La supernova di tipo Ia iPTF16geu, ingrandita dalla lente gravitazionale, vista nel vicino infrarosso con il telescopio del Keck Observatory. Crediti: W. M. Keck Observatory

Tutto ha inizio in una calda notte californiana, quella del 5 settembre 2016. Quando, nel corso della campagna osservativa della survey Iptf, il telescopio da 120 cm dello storico Osservatorio di Palomar coglie un cosiddetto “transiente”: una variazione repentina, in questo caso una luce là dove non c’era. Un’esplosione di supernova. Tempo nemmeno un mese, siamo al 2 ottobre, ed ecco che da una serie di misure spettroscopiche emergono due informazioni cruciali. Primo, si tratta di una supernova di tipo Ia (si legge ‘uno-a’), le più ambite dagli astronomi, le supernove da Nobel: la loro luminosità è infatti così regolare da poterle usare come “candele standard”, fari di riferimento perfetti per stabilire a che distanza si trovano le galassie che le ospitano. Secondo, gli spettri dicono che si trova a una distanza assai elevata. Troppo elevata per la luce che emette. O c’è un errore oppure…

Il fenomeno di lente gravitazionale.
Credit: ESA/Hubble, L. Calçada

Oppure c’è di mezzo una lente. Una lente gravitazionale: il fenomeno, previsto dalla relatività generale di Einstein, per il quale la curvatura impressa sullo spaziotempo da un oggetto di grande massa – tipicamente, una galassia – fa sì che la sorgente che si trova alle spalle della “lente” appaia come ingrandita.

L’occasione è ghiotta. Subito entrano in azione i migliori telescopi da terra e dallo spazio. Prima il Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, poi il 22 ottobre è il turno dell’Osservatorio del Keck, alle Hawaii. Tre giorni dopo, il 25 ottobre, vengono azionati i razzi del telescopio spaziale Hubble per orientarlo verso la supernova. Il 5 novembre ancora il Keck. E sono proprio questi due, Hubble e il Keck, a mettere in evidenza, lungo un anello dal raggio di “appena” 3000 anni luce (la linea tratteggiata nella figura a inizio articolo), un’immagine mai vista prima: una supernova di tipo Ia “scissa” in quattro.

La supernova iPTF16geu vista attraverso vari telescopi. Sullo sfondo, con quello del Palomar Observatory. Nei riquadri, da sinistra: con la Sloan Digital Sky Survey, con Hubble Space Telescope in infrarosso, ancora con Hubble in ottico e, infine, con il Keck. Crediti: Joel Johansson, Stockholm University

A ricostruire ai microfoni di Media Inaf, da una Stoccolma ancora innevata, la cronistoria di questa avvincente osservazione è un astronomo italiano di stanza in Svezia, dove lavora come ricercatore postdoc. Si chiama Francesco Taddia, ed è originario di Ospital Monacale, una minuscola frazione del comune di Argenta, in provincia di Ferrara, non lontana dai luoghi dove si sta cercando da giorni il killer noto alle cronache come “Igor il russo”. Laurea e master a Ferrara, poi dottorato all’Università di Stoccolma, Taddia è uno degli astronomi che hanno preso parte alle prime misure dello spettro della supernova, ed è anche coautore dell’articolo, uscito oggi su Science, che descrive la scoperta.

Francesco Taddia, ricercatore postdoc all’Università di Stoccolma

Guardiamoli dunque bene, questi quattro bagliori luminosi (evidenziati dai circoletti nell’immagine di apertura). Il soggetto è sempre lo stesso: una lontanissima supernova dal nome impronunciabile, iPtf16geu. La stessa supernova ripetuta quattro volte. Una supernova, appunto, speciale. Come la Marilyn Monroe delle Marilyn series di Andy Warhol. Nel caso di Marylin la ripetizione – mai identica, con variazioni di tonalità – è dovuta al passaggio nella mente dell’artista. A restituirci quattro volte l’immagine della supernova è invece, come dicevamo, il passaggio della sua luce attorno a una galassia che agisce da lente gravitazionale – “ingrandendo” l’immagine della supernova alle sue spalle di 52 volte. Quanto basta per consentire agli scienziati di vederla così luminosa nonostante l’enorme distanza.

Anche nel caso di iPtf16geu – o Sn 2016geu, altra sigla con la quale è conosciuta – le quattro immagini ripetute non sono identiche. La differenza, nel loro caso, non è cromatica, bensì temporale: deviata dalla lente gravitazionale, la luce della supernova, nel corso dei circa 4.3 miliardi di anni che ha impiegato in media per giungere fino a noi, ha seguito quattro percorsi di lunghezza leggermente diversa fra loro.

Lontanissima. Disponibile “in quattro versioni” grazie alla lente gravitazionale. Standard come solo quelle di tipo Ia sanno essere. È la supernova perfetta, quella che astronomi di mezzo mondo aspettavano di trovare.

«È la prima immagine di questo genere – ovvero, vista attraverso una lente gravitazionale – per una supernova di tipo Ia, e questo è importante», sottolinea Taddia, «perché poco tempo fa già era stata ottenuta un’immagine analoga per una supernova di tipo II (vedi articolo su Media Inaf, ndr), ma aveva ovviamente meno interesse, perché non si trattava di una supernova standard, dunque non sapevamo esattamente quanto fosse brillante».

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Essere stati in grado di distinguere così nettamente – di “risolvere”, come dicono gli astronomi – le quattro immagini ripetute della supernova «rappresenta una vera e propria svolta», aggiunge Ariel Goobar, anch’egli dell’Università di Stoccolma e primo autore dello studio pubblicato su Science. «Ora possiamo misurare il potere di “mettere a fuoco” della gravità con una precisione mai raggiunta prima, e sondare scale fisiche che fino a oggi sembravano al di fuori della nostra portata».

Aver trovato la supernova perfetta è stato come acquistare il biglietto vincente della lotteria: il valore non sta tanto nell’oggetto in sé, bensì in tutto ciò che permetterà di scoprire e misurare. A partire dal valore corretto della costante di Hubble, valore a proposito del quale, negli ultimi tempi, stanno emergendo stime alquanto diverse, al punto da risultare incompatibili. Insomma, la sigla è ostica, ma di iPtf16geu faremo bene a ricordarcene, perché presto ne sentiremo di nuovo parlare.

Per saperne di più

  • Leggi su Science l’articolo “iPTF16geu: A multiply imaged, gravitationally lensed type Ia supernova”, di A.Goobar, R.Amanullah, S.R.Kulkarni, P.E.Nugent, J.Johansson, C.Steidel, D.Law, E.Mortsell, R.Quimby, N.Blagorodnova, A.Brandeker, Y.Cao, A.Cooray, R.Ferretti, C.Fremling, L.Hangard, M.Kasliwal, T.Kupfer, R.Lunnan, F.Masci, A.A.Miller, H.Nayyeri, J.D.Neill, E.O.Ofek, S.Papadogiannakis, T.Petrushevska, V.Ravi, J.Sollerman, M.Sullivan, F.Taddia, R.Walters, D.Wilson, L.Yan e O.Yaron (qui il preprintorg/abs/1611.00014)

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