PBHs, nati nelle prime fasi di vita dell’Universo

Se, da una parte, l’esistenza dei buchi neri stellari (i.e., derivanti dall’evoluzione di stelle molto massicce) è ad oggi ampiamente dimostrata, dall’altra, invece, quella dei buchi neri primordiali  (i.e., PBHs, nati nelle prime fasi di vita dell’Universo) rappresenta da sempre soltanto un’ipotesi. Secondo la teoria, i PBHs potrebbero aver avuto origine durante la fase di riscaldamento post-inflattiva. Per inflazione cosmica si intende l’epoca di espansione esponenziale estremamente rapida, ossia di durata pari a 10-30 s, che ha avuto luogo circa 10-35 s dopo il Big Bang e ha provocato il raffreddamento e l’aumento della dimensione dell’Universo di un fattore superiore a 1030. Essa sarebbe stata generata da un campo scalare detto inflatone φ (i.e., associato all’esotica particella con spin 0 chiamata bosone di Higgs), la cui energia totale era dominata dalla componente potenziale. Il valore quasi costante assunto dall’energia potenziale avrebbe fatto sì che l’inflatone agisse come, appunto, una costante cosmologica nel guidare l’espansione esponenziale del tessuto spazio-temporale, in modo non troppo dissimile dall’attuale costante cosmologica Λ del modello cosmologico standard (i.e., ΛCDM). La progressiva crescita della componente cinetica dell’energia totale, fino al raggiungimento del valore di quella potenziale, avrebbe però ristabilito la condizione di equilibrio energetico necessaria per porre fine all’inflazione. Al termine di questa, l’inflatone sarebbe allora decaduto via risonanze parametriche e avrebbe trasferito tutta la sua energia alla materia e alla radiazione pre-esistenti. Sarebbe così iniziata la fase di riscaldamento o termalizzazione caratterizzata dal ristabilimento della temperatura precedente all’inflazione stessa, che si sarebbe rivelata poi fondamentale per la produzione di particelle e per la conseguente formazione delle strutture cosmiche. Infatti, l’inflazione avrebbe stirato e portato su scala macroscopica le fluttuazioni quantistiche di densità di materia presenti nel neonato Universo, mentre il riscaldamento ne avrebbe alimentato lo sviluppo a dimensioni ancora maggiori: ergo, le regioni ad elevata densità sarebbero emerse e avrebbero costituito l’ambiente ideale per la formazione dei PBHs. Un aspetto chiave del processo risiede nella definizione non solo di una soglia oltre la quale si verifica il collasso gravitazionale di tale regioni, ma anche dei meccanismi che conducono al suo superamento; si tratta, nondimeno, di un’operazione complessa, perché inerente sia alla cosmologia, sia alla fisica delle particelle, sia, infine, all’astrofisica.

Andamento del potenziale V(φ) associato all’inflatone φ. Tra le varie curve in figura, quella relativa alla fase di riscaldamento lento V(φ) ∼ φ^2 è rappresentata dalla linea punteggiata rossa. Crediti: arXiv.

Storicamente, la questione è stata affrontata con un approccio matematico perturbativo, dal quale è risultato che la scala energetica propria del riscaldamento sarebbe piuttosto bassa: ciò porta a supporre che la fase sia durata più e-foldings, ossia più intervalli di tempo in cui la temperatura dell’Universo avrebbe subito l’incremento di un fattore e 2.71828. Tale scenario prende pertanto il nome di riscaldamento lento e scaturisce dall’assunzione di un potenziale inflattivo V(φ) di tipo quadratico (i.e., V(φ) ∼ φ^2 ). 

Durante il riscaldamento lento, il collasso gravitazionale delle regioni ad elevata densità sarebbe sottoposto a tre diverse condizioni: la prima sulla sfericità di queste, la seconda sul loro spin e la terza sulla massima dispersione di velocità dell’intero processo. Il prevalere di una di esse determinerebbe, quindi, l’esito finale del collasso gravitazionale, alias la nascita o meno di un PBH. In particolare, si trova che il criterio di dispersione di velocità σ sarebbe più stringente rispetto agli altri due per valori del parametro ≤ 0.04 km/s: ciò significa che, se σ > 0.04 km/s, i vincoli più restrittivi per il verificarsi del collasso gravitazionale sono impartiti dalla morfologia e dalla rotazione della regione ad elevata densità considerata. Ora, la dispersione di velocità sembrerebbe rivestire un ruolo cruciale nella formazione delle strutture cosmiche, in quanto si opporrebbe al collasso gravitazionale e favorirebbe il mantenimento di uno stato di equilibrio dinamico indispensabile per il completamento di questa. Valori troppo bassi di dispersione di velocità sarebbero insufficienti a bloccare il collasso gravitazionale, mentre valori troppo alti causerebbero la disgregazione delle proto-strutture: per questo motivo, affinché nasca un PBH nella situazione σ > 0.04 km/s, si richiede l’intervento di ulteriori criteri regolatori del collasso gravitazionale.

 Altro elemento imprescindibile sarebbe, in tal senso, il legame tra la scala spaziale R delle regioni ad elevata densità e la lunghezza d’onda di de Broglie λ_dB ad esse associata: λ_dB ≃ 0.8R_1/2, ove R_1/2 simboleggia la metà della scala spaziale R. Più esplicitamente,  la lunghezza d’onda di de Broglie rappresenta la misura di spazio al di là della quale le proprietà ondulatorie (i.e., quantistiche) della materia predette dall’equazione di Schrödinger non si manifestano.

Evoluzione di un condensato di Bose-Einstein. Crediti: NASA/Caltech.

Tale relazione si spiega tenendo conto del fatto che durante la fase di riscaldamento si possano generare strutture di tipo alone a scale spaziali superiori a λ_dB, e di tipo solitone dall’aggregazione delle particelle di materia in uno stato detto condensato di Bose-Einstein a scale spaziali comparabili a λ_dB. Il collasso gravitazionale di queste strutture darebbe luogo a PBHs nel primo caso scevri dagli effetti quantistici della materia, e nel secondo ad essi soggetti, poiché i condensati di Bose-Einstein si comportano proprio come singole entità quantistiche (i.e., conservano le relative proprietà ondulatorie come unicum, o meglio non più a livello particellare). Da notare, inoltre, che alle strutture di tipo alone sarebbe attribuito un profilo di densità Navarro-Frenk-White (NFW), laddove a quelle di tipo solitone un profilo di densità solitone.

Profilo di densità di tipo alone (linea punteggiata) e di tipo solitone (linea tratteggiata). Crediti: arXiv.

In conclusione, la determinazione del meccanismo di formazione di un PBH dipenderebbe dalle caratteristiche della regione ad elevata densità progenitrice (i.e., morfologia, rotazione e scala spaziale) e dalla dispersione di velocità che ne accompagna il collasso gravitazionale. Tuttavia, è bene sottolineare che tali congetture sussistono nello speciale contesto del riscaldamento lento, che, a differenza del riscaldamento normale, si basa sulle delle precise ipotesi. Tra queste si annoverano l’assenza di risonanze parametriche nel decadimento dell’inflatone, nonché l’esistenza di un potenziale inflattivo quadratico e la prescrizione di una maggiore durata del periodo post inflazione per permettere la comparsa di strutture di tipo alone e di tipo solitone.

Benché l’elaborazione di teorie fisico-matematiche sui primi stadi di vita dell’Universo abbia carattere ancora fortemente astratto ed implichi la conoscenza di innumerevoli concetti e dettagli tecnici, essa si rivela essenziale per il progredire della cosmologia. Grazie alla ricerca sui possibili canali di formazione dei PBHs e sulle condizioni per la loro effettiva insorgenza a seguito dell’inflazione cosmica è dunque possibile ottenere informazioni tanto rilevanti quanto inattese sulle leggi che governano la storia evolutiva dell’Universo. In fin dei conti, la produzione scientifica dello scorso secolo insegna come i buchi neri, inizialmente apparsi in veste di mera soluzione matematica delle equazioni della relatività generale di Einstein, abbiano rappresentato un punto di svolta per la comunità astrofisica odierna. Il tutto nonostante la prova osservativa della loro esistenza sia stata di gran lunga postuma la loro formulazione teorica. Che possa valere lo stesso per i PBHs? È, questo, un altro meraviglioso e affascinante mistero della scienza celeste.

Fonte: arXiv

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