di Luca Bonardi
ABSTRACT
Fin da giovane, il mio interesse per la meccanica, l’elettronica e l’ingegneria, è cresciuto di pari passo con la mia inesausta curiosità di capire il funzionamento delle cose, smontando e rimontando – per la gioia dei miei genitori – ogni sorta di oggetto che mi capitasse tra le mani: un approccio sperimentale, un’attitudine alimentata dall’ammirazione che nutrivo per mio nonno e per la sua “arte di arrangiarsi”. Oggi abbiamo la fortuna di avere l’accesso gratuito ad una quantità di informazioni e risorse praticamente illimitate, possiamo costruire e creare qualcosa partendo quasi da zero e tutto è diventato molto più facile, a patto di sapere dove e cosa cercare. In queste pagine vi racconterò l’ avventura che ha portato alla creazione di questo mio SDM (Sky Darkness Meter), o “Buiometro” per gli amici, esplorando le idee, le sfide affrontate, le soluzioni adottate sia per lo strumento sia per cercare di prendere sonno la notte senza pensarci troppo.Perché costruire un “SDM”?
Risposta breve: per curiosità. Risposta non ufficiale: perché ritengo che l’unica alternativa simile disponibile sul mercato, seppure affidabile, sia ormai un po’ obsoleta, oltre che non particolarmente economica. Confesso che da quando ho iniziato a fare osservazione e poi astrofotografia ho desiderato avere un qualcosa che, più che dare un valore “assoluto” alle condizioni di buio del cielo, mi permettesse di fare confronti fra le diverse situazioni… fidarmi del buon vecchio “occhio” non mi bastava più. Ho trovato molti spunti in rete, nessuno dei quali mi ha mai convinto fino in fondo: progetti pronti, smart, molto articolati e ben fatti, nei quali però ho sempre trovato qualche pecca: errori di conversione fra le grandezze, superficialità nelle misure, scarsa ripetibilità, algoritmi poco convincenti. Da qui la decisione di tentare – per l’ennesima volta – la più impegnativa strada dell’autocostruzione.Un po’ di teoria
L’acronimo comunemente utilizzato, “Sky Quality Meter“, potrebbe fuorviare: il valore SQM rappresenta la luminanza del cielo in mag/arcsec^2 (o MPSAS, Magnitude Per Square Arc Second), e varia da 16.00 per i cieli più chiari a 22.00 per quelli più bui. Questo numero non riflette direttamente la qualità del cielo e, oltre a non essere propriamente definibile una grandezza in senso stretto, è influenzato da vari fattori come la trasparenza o il seeing; semplicemente fornisce un’indicazione di “quanto è buio” l’angolo di cielo che misuriamo, da qui la scelta del nome Sky Darkness Meter. Non esistendo sensori in grado di rilevare direttamente l’oscurità del cielo, si deriva la misura semplicemente valutandone la luminosità attraverso un piccolo miracolo dell’optoelettronica.Il sensore
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I primi test e prototipi
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