Il bonobo e l’ateo
Recensione
Si chiama “teoria della vernice” e ha avuto molta fortuna. E’ l’idea che la morale umana sia come una sottile ed evanescente pellicola superficiale che copre il nocciolo, profondamente amorale, della natura. L’etica sarebbe cioè un comportamento che si oppone al naturale andamento delle cose, frutto di principi astratti che nulla hanno a che vedere con l’evoluzione biologica della nostra specie. Aveva accarezzato una prospettiva simile persino un darwiniano al di sopra di ogni sospetto, Thomas H. Huxley, inventando la celebre metafora del giardino vittoriano. La moralità è come un parco ben curato – scrisse – protetto da una cinta muraria che lo separa dalla giungla là fuori, regno della guerra senza quartiere, della lotta per la sopravvivenza, dell’indifferenza morale e persino dell’immoralità.
Il primatologo Frans de Waal non condivide per nulla questa impostazione e da anni cerca di confutarla. I mattoni fondamentali della morale si trovano all’interno della natura umana evoluta, non in superficie, sostiene. Come già in Darwin, l’etica scaturisce dal basso, da potenzialità insite nella nostra storia naturale. Ne Il bonobo e l’ateo l’etologo della Emory University di Atlanta va alla ricerca di “umanesimo” fra i primati, assicurando però i lettori di non avere tentazioni antropomorfiche. Riassume le evidenze più recenti sui comportamenti pro-sociali (cooperazione, risoluzione dei conflitti, altruismo) negli animali a noi più strettamente imparentati. Il lettore scoprirà così tutte le raffinatezze della socievolezza nei primati: atti altruistici spontanei, solidarietà sociale, gratitudine, reciprocità, altruismo, usi sociali del sesso, empatia, compassione, amicizia, persino un senso embrionale di giustizia nel rifiutare lo scambio iniquo. In questi comportamenti pro-sociali – istintuali ma raffinati, cognitivamente articolati ma radicati nelle emozioni sociali – de Waal riconosce le basi etologiche della moralità umana, cioè la piattaforma evolutiva dei sentimenti e delle intuizioni morali che a loro volta condizionano i giudizi morali. Un posto centrale in questa teoria del “cervello empatico” viene assunto ora dai neuroni specchio rilevati nei primati: il segreto è sapersi mettere nella prospettiva dell’altro.
Fare del bene fa sentire bene e attive le aree della remunerazione, ma in ultima analisi restiamo scimmie contraddittorie, oltre che imprevedibili. Esistono quindi nel mondo animale anche inibizioni, regolazioni degli impulsi, gerarchie sociali, gestione delle alleanze e della coesione di gruppo, sistemi di controllo, tabù, punizioni e vergogne. Da qui i presupposti delle norme sociali: empatia e paura di ritorsioni. Il sottotitolo del libro è “In cerca di umanità fra i primati” e si ha talvolta la sensazione che de Waal consideri un po’ troppo umani i suoi bonobo e scimpanzé in cattività. Ma perché il criterio di comparazione dobbiamo essere per forza noi? Il tema affiora nella seconda parte del libro: in che cosa consiste allora l’unicità umana? Secondo de Waal, sta nell’estensione inedita di potenzialità già presenti, nella loro cooptazione in contesti ecologici e sociali nuovi. In particolare, i primati non umani hanno una moralità individuale, diretta, emotiva. Noi invece concepiamo, in più, l’idea generale di equità, abbiamo cioè un concetto di comunità, estendiamo il nostro gruppo fino a includere l’intera specie umana come soggetto di diritti inalienabili. Ma soprattutto, lo scimpanzé non è un “essere morale” nel senso che non ha un giudizio morale argomentato attraverso ragioni astratte, non discute di valutazioni sul bene e sul male di comportamenti e azioni che non lo riguardano direttamente, non ha valutazioni sulla naturalità o meno di un comportamento sessuale.
Non siamo quindi né buoni per natura, né cattivi per natura: siamo ambivalenti per natura e in questa ambiguità possiamo costruire sistemi morali facendo leva sul nostro equipaggiamento di comportamenti pro-sociali e di acquisizioni culturali. L’evoluzione ci dà infatti le condizioni di possibilità della morale, non i suoi contenuti specifici. Da valori etici fondati sulla natura, sulla ragione e sull’argomentazione potrebbe nascere, conclude de Waal, un umanesimo non religioso, ma non anti-religioso, che favorisca la costruzione di una società migliore basata su capacità umane evolutesi naturalmente.
Telmo Pievani