Ma certo, se vuole può iscriversi anche subito” – dice il segretario accomodandosi davanti al computer – “Nome?”
“Rossi, Giacomo Rossi”
“Professione?”
Il distinto signore seduto davanti alla scrivania non risponde, è intento ad osservare le foto che tappezzano l’ufficio. Improvvisamente si scuote, e voltandosi dice con un sorriso: “Pensionato”.
Poi approfitta di un piccolo problema del computer per guardare ancora in giro, come cercasse qualcosa di già conosciuto.
Quanto tempo era passato? Ricordava appena i nomi di qualcuno: Andrea, Stefano… Anna…
L’associazione, tra le prime in Italia, era nata sotto la spinta emotiva dei primi Sputnik. E Mino – così lo chiamavano gli altri – la sentiva quasi una sua creatura. Ma tutti loro si sentivano speciali, o forse lo erano davvero visto l’entusiasmo con cui trascinavano i nuovi iscritti verso ogni genere di avventure. Nelle numerose serate osservative erano seguiti da decine di appassionati anche nei periodi più freddi, e cominciavano allora i primi tentativi per portare l’astronomia nelle scuole…
Tempi così oscuri e felici, pensò – mentre intuiva vagamente che il computer non voleva ancora saperne di accettare il suo nome – solo che arrivò anche il momento di pensare al futuro…
Scelse la facoltà di Astronomia, naturalmente, anche se gli costò un lungo periodo di silenzio con suo padre.
Gli studi lo tenevano spesso lontano dalla propria città, ma, per le conferenze del venerdì, abbandonava tutto e rientrava in associazione. Almeno per i primi tempi… Perché ogni volta che tornava, ad intervalli sempre più lunghi, si diradavano i volti conosciuti, e cresceva la dolorosa impressione di un progressivo distacco .
Ancora anni per arrivare alla laurea. Festeggiata, come per un estremo e definitivo saluto, insieme con gli amici di un tempo, che già dispersi per mille strade si ritrovarono con lui proprio nella nuova sede dell’associazione. Il gruppo fondatore quasi al completo con una numerosa schiera di “nuovi” iscritti riempiva la sala delle conferenze. Solo Anna non c’era, e questo lo ricordava bene. Finalmente a casa pensava… ma rimase poco. Il mese seguente arrivò un’offerta di lavoro che non poteva rifiutare. Quasi agli antipodi, uno di quei grandi telescopi che nascono sulle alte montagne del sud America, per attività di ricerca. Il sogno della sua vita era ad un passo. “Due anni passano presto” si disse, e partì.
Per qualche tempo rimase in contatto con gli amici. Cartoline e fotografie con soggetti celesti, brevi saluti… poi altri pensieri più immediati gli riempirono la vita. La carriera, i trasferimenti, il matrimonio ed i figli, il lavoro sempre più stressante. E in qualche momento di stanchezza finì col pensare in modo meno assoluto al significato della ricerca, e a se stesso come ad un semplice tramite di dati e teorie da verificare per chi sarebbe venuto in seguito. “È forse troppo breve la vita di un essere umano per riuscire ad esprimere qualcosa di originale” – si diceva.
Così, dopo aver lavorato sodo per decenni, decise che quanto aveva fatto era più che sufficiente.
Aveva nostalgia della sua città, del suo mondo abbandonato per troppo tempo…
“Senta signor Rossi, per oggi niente da fare. Non capisco cosa… ma completeremo l’iscrizione con comodo”.
“Anzi” – aggiunge alzandosi dalla poltrona – “domani sera andiamo ad osservare, e se vuole unirsi al gruppo ne saremo lieti. Mi raccomando, è necessario coprirsi bene perché a star fermi si prende freddo. E se ha un binocolo tanto meglio, le sarà utile per seguire la descrizione del cielo”.
Rossi lo guarda per un momento con un’espressione assente e, riprendendosi risponde: “A casa dovrei avere un vecchio 114, porterò quello”.
“Ah, questo significa che in passato si era già avvicinato all’astronomia…” “Da ragazzo ne ero molto appassionato; poi, per motivi di lavoro ho lasciato, sa com’è… insomma, non mi sono più iscritto”.
“Iscritto? Ma lei è già stato iscritto qui da noi?”
“Sì, tanti anni fa. E non chiamarmi Giacomo… per tutti, da oggi, torno ad essere Mino”.