Passare davanti agli scaffali delle librerie, di questi tempi, significa fare un’abbuffata di codici. L’onda lunga del “Codice da Vinci” di Dan Brown si sente non tanto nelle onnipresenti copie del romanzo con la Monna Lisa in copertina, quanto nella miriade di cloni che contengono la parola “codice” nel titolo.
Sembra quasi che il concetto di codice sia una novità del terzo millennio, una scoperta recente e alla moda quanto il sudoku. In realtà, “codice” è parola che copre significati anche molto diversi, che hanno in comune forse solo il principio base di “portatore di informazioni”.
I codici inventati dall’uomo possono essere suddivisi in due categorie: quelli che tendono a restringere il numero dei destinatari (come tutti i codici militari e spionistici) e quelli che invece tendono ad aumentarlo, cercando di ottimizzare la trasmissione delle informazioni: tutto quanto viaggia in rete o nell’etere è strettamente codificato e protocollato, con procedure tanto complesse da far impallidire Enigma, la macchina che crittografava i messaggi tedeschi durante l’ultima guerra mondiale: ma lo scopo è proprio quello di garantire la corretta comunicazione.
Puntare un telescopio verso il cielo richiede l’utilizzo di codici cui siamo tanto abituati da non riconoscerli più come tali: questo non significa che non siano complessi. Sappiamo che i fotoni emessi da una stella vengono catturati da un sistema ottico e guidati fino alla nostra rètina, e da qui trasmessi al cervello: ma come faccia il cervello ad interpretarli fino alla produzione di una emozione di meraviglia è tutt’altro che chiaro. Ma se volessimo invece costruirci un radiotelescopio amatoriale, dovremmo per forza essere preparati ad interpretare codici meno comuni. Le grandi parabole che, anziché guardare, “ascoltano” il cielo sono alla ricerca di segnali complessi e particolari: bisogna saper riconoscere il tracciato d’una radiosorgente stellare; e bisogna aguzzare l’attenzione nella speranza di riconoscere un segnale dalla possibile natura artificiale.
La cosa positiva di questa ricerca è che è legittimo presupporre che gli extraterrestri, se davvero hanno mandato un messaggio in giro per il cosmo, lo avranno fatto con l’intenzione di essere compresi. E avranno allora preso le dovute precauzioni perché il messaggio risulti il più universale possibile, indipendente dalle particolarità della loro specie e del loro pianeta locale. E’ la stessa cosa che faremmo noi: anzi, è quello che abbiamo già fatto. E oggi puntiamo i nostri radiotelescopi nella speranza di trovare il segno di una sequenza chiaramente artificiale: a parte la lunghezza d’onda di trasmissione, l’unica cosa che può variare è la durata dell’impulso stesso. Se intercettiamo un impulso elettromagnetico che dura un certo tempo, seguito da un altro lungo il doppio, e poi da un terzo e da un quarto che raddoppiano ulteriormente la durata, possiamo ben “decodificare” questo trillo elettromagnetico con la sequenza numerica 1-2-4-8: e se la sequenza dovesse ripetersi ad intervalli ben regolati, sarebbe certo lecito ipotizzare la natura artificiale del messaggio. Il problema essenziale sta però nel fatto che il messaggio, oltre a palesare la sua natura artificiale, dovrebbe anche trasportare informazioni reali; meglio ancora, dovrebbe costruire le basi interpretative di sé stesso. Le distanze astronomiche obbligano a lunghi monologhi, e non è mai possibile dire “Avete capito?”, e aspettare la risposta.

Sareste portati per un simile lavoro di “crittoanalisi”? Supponiamo che siate così desiderosi di cercare la vita extraterrestre da portare sempre una maglietta con sopra scritto “Viva il SETI” e da fare domanda per un lavoro all’Osservatorio Radioastronomico di Arecibo. E immaginiamo anche che il vostro esaminatore voglia testare le vostre capacità deduttive. Dopo avervi illustrato il lavoro che si svolge nelle viscere dell’enorme parabola, vi racconta anche che c’è una grossa eccitazione nell’ambiente a causa d’un breve messaggio che sembra proprio essere d’origine aliena. Voi subodorate il trucco fin dall’inizio (una notizia del genere dovrebbe – almeno si spera – raggiungere anche le prime pagine dei quotidiani, quelli sportivi compresi), ma decidete di stare al gioco, e chiedete ulteriori informazioni sul presunto messaggio.


Sequenza A:
14 – 5 – 1 – 5 – 2 – 4 – 2 – 2 – 2 – 1 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 1 – 1 – 1 – 2 – 5 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 3 – 1 – 1 – 3 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 2 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 1 – 1 – 5 – 1 – 5 – 2 – 14

Sequenza B:
14 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 2 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 9 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 3 – 3 – 3 – 3 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 14

Al che il vostro interlocutore sorride, si fruga un po’ nelle tasche, e alla fine tira fuori due striscioline di carta coperte da una sfilza di numeri (come quella rappresentata nella figura a lato) dicendo: “Oh, facendo la copia devo aver sbagliato qualcosa, adesso come faccio a capire qual è quella giusta?”
Voi non credete neppure per un istante a quella mediocre sceneggiata, ma incominciate a preoccuparvi, intuendo una incombente e crudele verifica.
E lui infatti estrae dalla tasca del camice un notes, una matita e una gomma: ve li porge con noncuranza, e comincia a dirigersi verso la porta.
“Secondo te, qual è la sequenza giusta?” – sibila prima d’uscire – “Tornerò fra un’oretta circa, se potessi aiutarmi a capirlo, te ne sarei davvero grato…”
Quale sequenza decidete di prendere sul serio? Non tirate ad indovinare, è certo che l’esaminatore vi chiederà anche di motivare la scelta: questi ricercatori scientifici sono così noiosi…