Hot jupiters, ovvero gioviani caldi, sono una classe di esopianeti di dimensioni simili o maggiori del nostro Giove, ma situati così vicini alla loro stella che impiegano meno di una settimana a compierne un’orbita, e la loro temperatura superficiale raggiunge necessariamente temperature altissime.
All’Università di Yale, Sarah Millholland (Ph.D.) e Greg Laughlin (professore di astronomia) sono riusciti a identificare 60 nuovi candidati di questa classe grazie a una nuova applicazione delle tecniche generalmente utilizzate nell’analisi di big data, grandissime quantità di dati. Hanno utilizzato un sofisticato algoritmo che può essere addestrato a riconoscere delle configurazioni nei dati, e poter quindi fare previsioni, per individuare minuscole variazioni di ampiezza nella luce osservata delle stelle, ma dovute alla luce riflessa di un grande pianeta in orbita attorno ad esse.
«Il lavoro di Sarah ci ha dato quello che rappresenta un “ritratto di classe”, un segno distintivo, di pianeti extrasolari in situazioni estreme», ha dichiarato Laughlin. «È incredibile come le ultime tecniche di apprendimento automatico, combinate con il calcolo ad alte prestazioni, ci permettano di estrarre classici set di dati che portano a straordinarie scoperte».
Millholland ha recentemente presentato la ricerca in una Kepler Science Conference presso l’Ames Research Center NASA in California. Lo studio, di cui lei e Laughlin sono autori, è in via di pubblicazione nell’Astronomical Journal.
Millholland e Laughlin hanno quindi sistematicamente cercato i segnali di luce riflessa nelle osservazioni di oltre 140.000 stelle, grazie ai dati di quattro anni di missione del telescopio spaziale Kepler.
Kepler sappiamo che ha permesso l’individuazione di migliaia di esopianeti grazie al calo di luce osservato in seguito al transito del pianeta davanti alla stella ospite. I segnali della luce riflessa, invece, sono estremamente deboli e possono essere confusi con quelli dovuti alla variabilità stellare, o strumentale. Un approccio “alla Big Data” ha però permesso ai due ricercatori di estrarre anche questi deboli segnali. La ricerca ha generato migliaia di serie sintetiche di dati e hanno “insegnato” all’algoritmo come distinguere le caratteristiche dei segnali di luce riflessa da quelli di altri tipi di variabilità.
La tecnica di Yale è pioniera di un nuovo metodo di ricerca in grado di identificare più pianeti dalle grandi quantità di dati disponibili di Kepler. «Mi è stato detto, dai membri del team scientifico di Kepler, che la ricerca di luce riflessa faceva parte delle prime versioni di compiti della missione Kepler», spiega Millholland. «Lo avevano chiamato modulo RLS (Reflected Light Search, ricerca di luce riflessa). Sotto questo punto di vista, quindi, non stiamo facendo altro che seguire uno degli scopi originali della missione».
Secondo i ricercatori, i segnali di luce riflessa possono contenere anche ricche informazioni sulle atmosfere dei pianeti: segnali dell’esistenza di nuvole, sulla composizione atmosferica, sui modelli delle correnti dei venti e sulle differenze di temperatura tra notte e giorno.
I 60 candidati pianeti richiederanno ora nuove osservazioni per essere confermati tali, attraverso misure di effetto Doppler. Si tratta di una tecnica ormai consolidata, che consente la rilevazione delle oscillazioni, nel movimento di una stella, dovute all’influenza gravitazionale di un pianeta orbitante. Dal momento che i gioviani caldi sono così massicci e vicini alle loro stelle, queste oscillazioni sono ampie e facilmente riconoscibili. Un nuovo strumento progettato proprio a Yale – denominato EXPRES e che sta venendo installato nel Discovery Channel Telescope in Arizona – potrebbe riuscire a dare queste conferme entro la fine dell’anno.
Indice dei contenuti
Risorse online
L’articolo originale Supervised Learning Detection of Sixty Non-Transiting Hot Jupiter Candidates.
Il diagramma 3D interattivo, da cui è tratta l’animazione in apertura, di un gioviano caldo in orbita attorno alla sua stella. Giocando con il diagramma si può notare come cambia la luce riflessa dal pianeta in base al punto dell’orbita in cui si trova, ma anche in base all’inclinazione del piano della sua orbita rispetto al nostro punto di vista.
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