La NASA ha tentato di usare la paletta del suo braccio robotico per spingere la sonda, la cosiddetta talpa, verso la parete del buco, per toglierla dallo stallo. Sembra che il tentativo sia andato a buon fine. Cliccare sull'immagine se l'animazione non parte. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Il team del lander InSight della NASA, la cui missione è esplorare l’interno del pianeta rosso, è impegnato da mesi a risolvere lo stallo dello strumento HP3 (Heat Flow and Physical Properties), chiamato affettuosamente la “talpa”. Una sonda che doveva penetrare nelle profondità del suolo marziano per misurare il calore proveniente dall’interno di Marte. La talpa però il 28 febbraio scorso, prima ancora di finire il primo tratto di percorso programmato, si è bloccata a 35 cm dei primi 50 cm per arrivare, passo dopo passo e misurazione dopo misurazione, ai 3 metri di profondità previsti.

Lo strumento non è stato ideato per poter essere estratto e posizionato in una diversa zona, ma per riuscire a spostare con il suo martellamento eventuali piccoli ostacoli che avesse trovato nel suo cammino. Il luogo di atterraggio del lander InSight è infatti stato scelto in modo da minimizzare la possibilità di incontrare grossi massi o rocce, e la posizione della sonda rispetto al lander in una precisa posizione a una distanza calcolata per minimizzare eventuali interferenze da InSight alla sonda.

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In questi mesi le strategie ipotizzate sono state varie. Inizialmente si è fatalmente pensato a una roccia troppo grossa per essere “spostata” o scalfita dal martellamento della talpa, cosa che avrebbe sancito la fine di almeno questa parte di missione (InSight ha altri strumenti al momento perfettamente funzionanti, vedi lo speciale missione su Coelum astronomia 228 InSight alla scoperta del cuore di Marte).

Dopo aver spostato con una delicatissima manovra la struttura di supporto della sonda, per avere una miglior visuale direttamente sul penetrometro e sul buco che si stava formando, alla fine del giugno scorso, si è capito che forse il problema poteva essere un altro.

È ancora possibile che la talpa abbia colpito una roccia, ma i test del DLR hanno suggerito che il problema potesse essere il terreno di scavo che, invece di collassare nel buco attorno alla talpa, è rimasto compatto.  Il meccanismo infatti ha bisogno dell’attrito del terreno circostante per scavare: senza attrito, il rinculo dovuto all’azione auto-martellante fa in modo che la talpa si ritrovi semplicemente a rimbalzare sul posto, impedendole di far forza e continuare il suo cammino. La fotocamera del braccio ha poi scoperto che, sotto la superficie, sembra che ci siano da 5 a 10 centimetri di “duricrust”, una specie di terreno cementato più spesso di quanto si sia mai trovato in ​​altre missioni, e diverso dal terreno per cui è stata progettata la talpa.

Una delle immagini che mostra con chiarezza il buco e le tracce dei tentativi, inefficaci, effettuati con la paletta per far collassare il terreno attorno alla sonda.
Si è tentato prima di far collassare e compattare il terreno attorno alla talpa usando la paletta del braccio robotico, facendo in modo da riempire il buco per darle maggior supporto e attrito. Sette tentativi non sono però stati sufficienti, la distanza a cui si trova il buco rispetto al corpo di Insight è infatti al limite della portata del braccio, che non ha sufficiente forza da compattare il terreno attorno al buco, come si fa solitamente quando si batte la sabbia con i piedi attorno al palo di un ombrellone per tenerlo ben fermo.

Gli ingegneri hanno quindi pensato a un diverso uso della paletta, chiamato “pinning”, un po’ come quando si tiene fermo il chiodo in posizione verticale per martellarlo meglio all’interno del muro se l’intonaco superficiale non tiene bene… «Proveremo a premere il lato della paletta contro la talpa, fissandola alla parete del suo buco», ha spiegato il vice PI di InSight Sue Smrekar, del Jet Propulsion Laboratory. «Questo potrebbe aumentare l’attrito abbastanza da farla avanzare quando la talpa riprenderà a martellare». Con questo tipo di manvora c’era anche l’intenzione di provare a raschiare del terreno superficiale per farlo cadere all’interno del buco.

A quanto pare questo tipo di strategia, messa in atto nelle settimane scorse, potrebbe aver funzionato. È di questa notte (10 ottobre) il twit dal controllo missione che da la buona notizia, anche se ora si è in attesa di ulteriori informazioni e dati  sui progressi ottenuti.

Questo genere di “missioni di salvataggio” in operazioni interplanetarie non è nuova per la NASA. Agire da remoto su di un pianeta lontano in situazioni, come in questo caso, in cui le uniche informazioni che abbiamo vengono da quello che ci mostrano le immagini non è banale, anche perché oltre alla mancanza di informazioni precise (in questo caso il tipo di terreno) non sempre è possibile portare in missione tutto quello che potrebbe servire ad ogni eventualità. Lo spazio e il peso in un viaggio interplanetario sono preziosi e costosi e spesso si devono sacrificare accorgimenti a favore di altri più essenziali per la buona riuscita della missione.
Ma in molti casi i team di ingegneri e scienziati sono riusciti con creatività e inventiva (oltre alle ovvie conoscenze tecniche) a risolvere numerosi problemi, che richiedono poi anche la capacità di pianificare nei dettagli i comandi che poi verranno inviati e “lasciati nelle mani robotiche” delle sonde senza la possibilità di eseguirli “in diretta” (ne abbiamo parlato anche, assieme alle basi della comunicazione con sonde e satelliti, in una serie di tre articoli di Stefano Capretti che trovate a questa pagina).


Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
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Coelum Astronomia di Ottobre 2019
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