Davvero molto suggestiva questa foto della superficie della cometa 67/P ripresa dalla sonda Rosetta durante il suo ultimo ravvicinatissimo flyby del 14 febbraio scorso. Da un'altezza di 6 km, la sonda è infatti riuscita a fotografare anche la propria ombra! Cliccare per ingrandire. Crediti: ESA

Se De Andrè cantava “all’ombra dell’ultimo sole”, OSIRIS ci canta “all’ombra di Rosetta“. Lo strumento di raccolta immagini montato sulla sonda dell’ ESA ha scattato questa bellissima immagine della cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko durante il passaggio ravvicinato di Rosetta il 14 febbraio scorso. I dettagli catturati sono unici: è possibile vedere con precisione l’ombra della sonda europea (lanciata nel 2004 e arrivata nell’orbita della cometa nel 2014) circondata da una corona di luce sulla superficie dell’enorme oggetto spaziale mentre si avvicina al Sole.

In questo rendering grafico si vede la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Il riquadro rosso indica l’area fotografata da Rosetta durante l’ultimo flyby. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Con una risoluzione senza precedenti di 11 centimetri per pixel, questi dati della Narrow Angle Camera di OSIRIS (Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System) rivelano le strutture di 67P e, man mano che si avvicinano al Sole, la sonda e la cometa sono sempre più allineate. L’immagine mostra una zona di 228×228 metri vicino al bordo della parte centrale della cometa, al confine con la regione di Imhotep. La foto è stata scattata da una distanza di 6 chilometri dalla superficie della cometa.

L’ombra della sonda è quel “piccolo” (almeno nella foto) rettangolo di 20×50 metri quadrati in basso. Queste dimensioni sono determinate anche dalla penombra della navicella (che ovviamente non è così grande – 2 x 32 m), particolarmente pronunciata perché l’oggetto viene illuminato da più di una fonte di luce (si aggiunge anche la luce diffusa del Sole), che raggiunge l’oggetto da diverse direzioni creando sia un’ombra scura – dove l’oggetto blocca tutta la sorgente luminosa – sia una penombra dove, invece, solo una parte della sorgente luminosa è celata. In questo caso, l’effetto penombra aggiunge una ventina di metri in larghezza e in altezza al profilo di Rosetta.

Questo grafico illustra la differenza tra come viene generata un’ombra netta e precisa con una sorgente puntiforme (sinistra) e come nasce, invece, un’ombra più sfocata da una sorgente di luce diffusa (destra). Crediti: Spacecraft: ESA/ATG medialab. Comet background: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

In più, se guardate attentamente la foto, potete osservare quello che gli esperti chiamano effetto di opposizione (opposition surge): la regione attorno all’ombra di Rosetta appare significativamente più luminosa rispetto al resto della superficie cometaria. È lo stesso effetto che è stato visto spesso sulle foto degli astronauti attorno alle loro ombre sulla Luna. Questo particolare fenomeno di luce/ombra si verifica in genere sulle superfici di regolite quando la luce proviene dalla stessa direzione da cui si riflette portando ad un aumento marcato della luminosità.

Il flyby del 14 febbraio. Crediti: ESA

Il flyby del 14 febbraio scorso ha due primati da annoverare: intanto la distanza minima dalla cometa mai raggiunta da Rosetta e poi un punto di osservazione unico perché per la prima volta la sonda e Chury (così viene chiamata la cometa dagli appassionati) sono state perfettamente allineate. «Presa da questa angolatura, l’immagine ha un grande valore scientifico», ha detto il Principal Investigator di Osiris Holger Sierks del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS) in Germania. Dal momento che sulla superficie ci sono pochissime ombre, le proprietà riflettenti della superficie sono facilmente individuabili. «Questo punto di vista è fondamentale per lo studio delle dimensioni dei grani di polvere», ha aggiunto.

Rosetta non è il primo veicolo spaziale che ha catturato la propria ombra. Nel 2005, la sonda Hayabusa navicella della giapponese JAXA ha fotografato la sua ombra sulla asteroide Itokawa. Tuttavia, dato che Hayabusa era a solo poche decine di metri sopra la superficie, l’effetto penombra era molto meno visibile, e quindi l’ombra della navicella era più nitida e scura.