
Con questo termine (sostanzialmente “stelle magnetiche”) vengono indicate rarissime stelle di neutroni caratterizzate da un campo magnetico eccezionalmente intenso. Nella nostra galassia ne conosciamo sei e si presume ve ne possa essere al massimo una ventina. La loro individuazione è dovuta a spaventosi sussulti che ne squarciano la crosta più esterna quando il campo magnetico si riconfigura. In tale occasione la magnetar emette incredibili energie soprattutto nel dominio X e gamma.
Lo scorso giugno i due osservatori spaziali Swift e Fermi hanno rilevato un’intensa emissione proveniente dalla magnetar SGR 0418+5729, una ghiotta occasione per osservarne l’emissione anche nell’ottico e carpirne qualche segreto. Occasione che Paolo Esposito (IASF-INAF di Milano) e il suo team internazionale non si sono lasciati sfuggire. La campagna osservativa ha tenuto sotto controllo un’ampia gamma di lunghezze d’onda e si è protratta per 160 giorni. Nonostante l’impiego del telescopio più grande al mondo e del suo fantastico spettrografo OSIRIS (Optical System for Imaging and low-Intermediate-Resolution Integrated Spectroscopy), però, la radiazione luminosa di SGR 0418+5729 è risultata troppo debole per essere registrata.
Un apparente buco nell’acqua, dunque. Ma la cosa non ha affatto scoraggiato Esposito: “Anche il fatto di non aver osservato nell’ottico questo oggetto – ha commentato – è per noi fonte di preziose informazioni su di esso”. Queste indagini, le più approfondite mai ottenute finora per una simile sorgente, possono infatti fornire agli astronomi preziose e stringenti informazioni sui limiti delle caratteristiche fisiche di questa elusiva classe di corpi celesti.