L’equazione è di quelle brevissime, appena tre termini, come si addice alle più eleganti tra le rappresentazioni matematiche della Natura: v = H0 D. Ciò che descrive è uno fra i tratti caratteristici del nostro universo: la velocità della sua espansione. E ciò che implica – descrivendo, appunto, un universo in espansione – è nientemeno che il big bang. Un’equazione fondamentale, dunque, conosciuta fino a oggi come Legge di Hubble. Ma presto potrebbe cambiare nome. E diventare “Legge di Hubble-Lemaître”, in onore del fisico e astronomo belga che per primo la formulò: Georges Lemaître, prete diocesano.
La proposta, da tempo nell’aria, è del comitato esecutivo della Iau, l’Unione astronomica internazionale. Gli stessi che hanno il potere di dare i nomi alle stelle, per dire. Gli stessi che, nel 2006, sancirono che Plutone non è più un pianeta. E proprio i malumori che fecero seguito a quella storica risoluzione li hanno ora indotti a procedere con cautela: la risoluzione sulla Legge di Hubble-Lemaître, pur approvata dai circa 3000 iscritti all’Iau presenti a Vienna la settimana scorsa in chiusura dell’Assemblea generale, per diventare effettiva dovrà superare il voto – questa volta elettronico – di tutti i circa diecimila membri dell’Unione.
Insomma, per la decisione definitiva occorre aspettare ancora tre mesi. Nell’attesa, per comprendere le ragioni storiche e scientifiche di questa risoluzione, abbiamo chiesto aiuto – e un parere – all’astrofisico Massimo Della Valle, dirigente di ricerca all’Inaf di Napoli.
«Nel 1927 Lemaître pubblica – in francese e su un giornale poco diffuso, gli Annales de la Société Scientifique de Bruxelles, l’articolo “Un Univers homogène de masse constante et de rayon croissant rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extragalactiques” (“Un Universo omogeneo con massa costante e raggio crescente che spiega le velocità radiali delle nebulose extragalattiche”, come venivano chiamate allora le galassie esterne alla nostra). In quest’articolo Lemaître non si limita a scoprire le soluzioni dinamiche alle equazioni della relatività generale di Einstein (peraltro già trovate da Friedmann nel 1922), dalle quali deriva quella che oggi è conosciuta, appunto, come “legge di Hubble” – cioè che la velocità di recessione delle galassie è linearmente proporzionale alla distanza: Lemaître va oltre. Utilizzando le velocità di 42 galassie, misurate qualche anno prima da Vesto Slipher, e le loro luminosità, derivate nel 1926 da Hubble, determina il tasso di espansione dell’universo. Quindi è Lemaître a misurare, prima di Edwin Hubble, la costante H0 ,successivamente chiamata costante di Hubble. Lemaître trova due valori», ricorda Della Valle, «575 km/s e 670 km/s per megaparsec, e assume un valore medio di 625 km/s per megaparsec. Due anni dopo, nel 1929 e poi nel 1931 con Humason, Edwin Hubble raffina la misura trovando H0 pari a circa 500 km/s per megaparsec [ndr: oggi è stimata fra i 66 e i 75 km/s/megaparsec]».
Come mai, allora, la relazione è stata invece attribuita all’astrofisico statunitense? «In molte storie importanti non mancano i colpi di scena. Questa non fa eccezione. Nel 1931», continua Della Valle, «l’editore di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society suggerì a Lemaître di fornire una versione in inglese del suo lavoro del 1927, per poterla pubblicare sul suo giornale. Il lavoro viene pubblicato, ma ne manca un pezzo, come appurato successivamente da vari autori, fra i quali l’astrofisico Sidney van den Bergh, che nel 2011 scriveva: “sembra che il traduttore dell’articolo di Lemaître del 1927 abbia deliberatamente cancellato quelle parti del documento che si occupavano della determinazione di ciò che viene attualmente chiamato parametro di Hubble. La ragione di ciò rimane un mistero”».
Lost in translation
Insomma, è come se il contributo di Lemaître fosse andato “perduto” nel corso della traduzione. Chi ha “censurato” Lemaître quando ha tradotto l’articolo? «Il mistero è stato recentemente svelato da Mario Livio», spiega a Media Inaf Della Valle, «mentre era astronomo allo Space Telescope Institute di Baltimora. Rovistando tra la corrispondenza della Royal Astronomical Society e nell’archivio di Lemaître, Livio ha trovato una lettera autografa di Lemaître nella quale l’astrofisico belga chiarisce di essere stato lui stesso a tradurre il lavoro del 1927, e a censurarlo in alcuni suoi paragrafi che considerava importanti nel 1927 ma irrilevanti nel 1931, perché oramai superati dopo la pubblicazione nel 1929 dell’articolo di Hubble».
La “colpa”, dunque, di altri non è se non dell’incredibile modestia di Lemaître stesso. Come del resto sottolinea la risoluzione della Iau, laddove nelle motivazioni, accanto al voler dare il giusto riconoscimento a entrambi gli scienziati, sottolinea la volontà di onorare l’integrità intellettuale di Georges Lemaître, che gli ha fatto anteporre il progresso della scienza alla visibilità personale. «Chiamare la legge di Hubble “legge di Hubble-Lemaître” mi pare doveroso», conclude Della Valle.
Per saperne di più:
- Leggi la risoluzione “on a suggested renaming of the Hubble Law” dell’International Astronomical Union
Correzione del 4.9.2018: Lemaître non era un prete gesuita, come scritto inizialmente, bensì un prete cattolico diocesano