Capita un po’ a tutti di rimanere sorpresi quando veniamo a sapere l’età di una persona che ci appare assai più giovane – oppure più vecchia – di quanto ci dica la sua carta d’identità. Una situazione analoga l’hanno gli astrofisici che studiano le proprietà degli ammassi globulari, agglomerati di stelle piuttosto compatti che possono raggiungere anche il milione di astri, distribuiti in modo approssimativamente sferico. Pur essendosi formati tutti circa 13 miliardi di anni fa, all’alba dell’universo, alcuni presentano caratteristiche evolutive significativamente diverse dagli altri. Un dilemma che è stato risolto grazie allo studio di un gruppo italiano di astrofisici che hanno individuato un metodo per riconoscere lo stadio evolutivo degli ammassi globulari. Un’informazione fondamentale per comprendere come e quanto velocemente questi gruppi di stelle invecchiano.
“Sapevamo già quanti anni avessero gli ammassi globulari, ma non eravamo in grado di stabilire a che punto della loro evoluzione dinamica si trovassero. Non sapevamo cioè quanto si fossero trasformati dal punto di vista morfologico, fisico e spaziale dal momento della loro formazione ad oggi. Un po’ come succede per gli esseri umani, per i quali possiamo distinguere un’età anagrafica ed una biologica” spiega Francesco Ferrarodel Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna (Unibo), che ha guidato il team internazionale nell’ambito del progetto Cosmic-Lab, finanziato con quasi 2 milioni di euro dall’Unione Europea.
All’interno degli ammassi stellari, le stelle si muovono continuamente ed interagiscono le une con le altre per effetti di reciproche interazioni gravitazionali, cosicché le loro posizioni e le loro velocità cambiano continuamente. Era già noto che questi processi determinano progressivi cambiamenti strutturali negli ammassi (una sorta di ‘invecchiamento dinamico’), ma non era mai stato scoperto un metodo capace di stabilirne un’esatta sequenza temporale. I ricercatori italiani sono riusciti a trovare la soluzione concentrandosi su alcune particolari stelle che popolano questi ammassi: le cosiddette “vagabonde blu” (blue straggler). Si tratta di stelle particolarmente massicce, perché frutto della fusione di più stelle e per questo motivo più luminose e calde, a cui è associato il tipico colore blu. Le blue straggler, per la loro stazza ‘oversize’ tendono nel tempo a sprofondare verso il centro dell’ammasso globulare. La ricerca, che viene pubblicata oggi sulla rivista Nature, ha permesso di associare il grado di ‘sprofondamento’ delle vagabonde blu al grado di invecchiamento ‘dinamico’ degli ammassi. Nonostante questi sistemi stellari abbiano all’incirca la stessa età cronologica, quelli in cui le blue straggler sono quasi tutte concentrate nel centro risultano molto più evoluti rispetto a quelli in cui questo processo di sprofondamento è più lento e, dal punto di vista dinamico, si sono mantenuti giovani più a lungo.
“Le blue stragglers sono tra gli oggetti stellari più esotici e sono una prova dell’importanza della dinamica nell’evoluzione degli ammassi stellari. Infatti, le blue straggler nascono dalla fusione tra due stelle, fusione che potrebbe essere il risultato di interazioni dinamiche estreme quali, ad esempio, collisioni tra stelle” sottolinea Michela Mapelli, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, che ha partecipato all’indagine. “Questo articolo mostra che l’evoluzione delle blue straggler, e in particolare la velocità con cui esse percolano verso il centro dell’ammasso, ci aiuta a gettare luce sull’età dinamica dell’ammasso stellare che le ospita. Per età dinamica di un ammasso non intendiamo la sua epoca di formazione, bensì il livello di evoluzione strutturale e morfologica che esso ha raggiunto. Quindi, conoscere l’età dinamica di un ammasso stellare e combinarla con quella cronologica permette di ricostruirne l’intera storia evolutiva”.
Sfruttando questo metodo è così possibile risolvere alcune incongruenze che sembravano mostrare certi ammassi globulari, per i quali era difficile dare una collocazione evolutiva certa. “Sono almeno due le ragioni per cui è così importante studiarli” spiega Barbara Lanzoni, dell’Università di Bologna, co-autrice della ricerca. “Da un lato rappresentano fossili dell’universo primordiale, poiché contengono stelle che sono nate nelle fasi iniziali della vita della nostra Galassia e del resto del cosmo. Capire come sono fatti e come si sono trasformati da allora può aiutarci a gettare nuova luce su come la Galassia in cui viviamo si sia sviluppata”. “In secondo luogo – aggiunge Ferraro – “gli ammassi costituiscono l’habitat ideale per l’osservazione di comportamenti stellari sorprendenti. Il loro centro è così denso che le stelle interagiscono le une con le altre in modi assai rari nell’universo. È qui che hanno luogo fusioni, collisioni, cannibalismo tra astri diversi. All’interno degli ammassi possiamo capire come le stelle, in genere piuttosto solitarie, si relazionano le une con le altre. Sono il laboratorio ideale per gettare le basi di quella che possiamo definire una sociologia stellare”.
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