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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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21.03 : “Il cielo dell’equinozio” di G. Ferrrario.
Conferenze inizio ore 21:00, a seguire osservazioni del cielo con i telescopi del Gruppo.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Circolo Astrofili Veronesi

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21.03: “Energia elettromagnetica: la luce” di Natalino Fiorio.

Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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21.03: ”Le aurore polari” a cura di A. Perboni.

Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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21.03: ”Astrofoto” di Davide Trezzi e Rosario Magaldi.

Per info: didattica@amicidelcielo.it
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Onde gravitazionali primordiali!

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L’annuncio che era nell’aria da qualche giorno è stato confermato questo pomeriggio. L’esperimento BICEP2, un telescopio da 26 cm di apertura che osserva dal Polo Sud, ha osservato tracce inconfondibili delle onde gravitazionali primordiali generatesi pochi istanti dopo il Big Bang. E, come spesso accade alle grandi scoperte, i dettagli della notizia più che chiudere una ricerca che va avanti da anni, rischiano di aprire nuovi e imprevisti scenari.

Ma andiamo con ordine. BICEP2 è stato concepito per osservare la radiazione cosmica di fondo (comunemente abbreviata in CMB, cosmic microwave background). Il CMB è la luce più lontana che possiamo osservare: ci arriva dalle profondità del cosmo e dunque del tempo (più si guarda lontano più si guarda indietro nel tempo), in un certo senso è la luce del Big Bang. Sappiamo ormai da oltre vent’anni che questa radiazione non è esattamente uniforme, ma possiede delle piccole (molto piccole, circa una parte su centomila) increspature. La ragione è presto detta: l’universo che abitiamo non è perfettamente omogeneo, ma la materia vi forma delle strutture su grandi scale: galassie, ammassi e superammassi di galassie. Queste strutture hanno impiegato miliardi di anni per formarsi per collasso gravitazionale (se creo una sovradensità esse tende a crescere per gravità), ma non potrebbero essere lì se qualcuno non avesse creato delle piccole increspature nell’universo primordiale. Infatti, un fluido perfettamente omogeneo non può formare strutture, evolve conservando l’omogeneità. Perché si formi struttura occorre ipotizzare l’esistenza di alcuni semi primordiali attorno a cui la materia si accumula. Questi semi, o perturbazioni primordiali, hanno influenzato la struttura del CMB: per questo essa appare ”increspata” (per usare un termine tecnico, anisotropa). Ma mentre la distribuzione della materia è stata irrimediabilmente modificata da miliardi di anni di amplificazione gravitazionale, il CMB, che proviene dall’universo giovane, ci trasmette un’immagine di queste perturbazioni come erano nell’universo primordiale.

Mappe della polarizzazione del CMB osservate (a sinistra) e calcolate (a destra), immagine da "BICEP2 2014 I: Detection of B-mode Polarization at Degree Angular Scales The BICEP2 Collaboration, 2014"

La domanda ovvia a questo punto è: come mai esistevano queste perturbazioni? Chi ce le ha messe? La risposta accreditata dalla maggior parte degli studiosi chiama in causa una fase dell’universo primordiale chiamata inflazione cosmica (cosmic inflation). Pochi istanti dopo il big bang (qualcosa come 10^-37 secondi dopo il Big Bang) l’universo ha cominciato a espandersi in maniera esponenziale, tanto da aumentare il proprio volume qualcosa come 80 ordini di grandezza in pochi istanti: a tempi dell’ordine di 10^-34 secondi dopo il Big Bang l’inflazione finisce. Questa crescita vertiginosa ha proiettato su scala macroscopica delle fluttuazioni che esistono naturalmente nel mondo microscopico del vuoto quantistico. Tutta la struttura su grande scala che conosciamo, inclusa la “struttura” del CMB deriva, in ultima analisi, da queste fluttuazioni quantistiche “rivelate” dall’inflation.

Le teorie predicono anche altre cose interessanti: le fluttuazioni di cui abbiamo parlato sono di tipo “scalare”. In parole semplici, sono perturbazioni alla densità di massa-energia locale. Esistono anche altre fluttuazioni che vengono dette di tipo “tensoriale”, che sono assimilabili a campi gravitazionali che viaggiano nello spazio. Esse sono dunque delle onde gravitazionali. L’inflation, oltre a produrre delle increspature nel fluido cosmico, ha anche lanciato un bang gravitazionale che si propaga nello spazio. Osservare direttamente queste onde gravitazionali è questione, si ritiene, del prossimo secolo. Esse sono troppo deboli per la tecnologia attuale. La loro esistenza può però essere confermata tramite le osservazioni del CMB, ed è esattamente ciò che ha fatto BICEP2. Vediamo perché.

Il CMB , una “luce” che osserviamo oggi nella regione spettrale delle microonde, dunque invisibile ai nostro occhi, possiede una debole polarizzazione lineare. Essa si polarizza per una ragione simile a quella che rende polarizzata la luce che si riflette su una superficie con basso angolo di incidenza (esperienza di ottica elementare osservabile con un semplice filtro polaroid). Questa polarizzazione del CMB può venir misurata. Dal punto di vista osservativo, ci sono due “modi” fondamentali in cui essa può presentarsi, denominate componente E e componente B, per analogia (solo formale) col comportamento dei campi elettromagnetici. Il punto cruciale è che le perturbazioni scalari possono generare solo una polarizzazione di tipo E (la ragione, un po’ tecnica, sta nel fatto che questi modi sono invariati sotto trasformazione di parità, esattamente come le fluttuazioni scalari che li generano, e la fisica del CMB, puramente elettromagnetica, deve conservare la parità). Le fluttuazioni tensoriali, invece, possono produrre sia polarizzazione di tipo E che polarizzazione di tipo B, non essendo obbligate a conservare una parità definita. Dunque, se osserviamo un modo B nella polarizzazione del CMB, siamo in presenza di una fluttuazione tensoriale. Abbiamo visto l’impronta che le onde gravitazionali primordiali hanno lasciato nella CMB. L’osservazione della polarizzazione B è stata annunciata oggi per la prima volta dall’esperimento BICEP2.

La notizia è di enorme importanza per varie ragioni. In primo luogo, costituisce una prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali che non sono ancora state osservate direttamente (e, come si diceva su, è lecito attendersi che queste onde gravitazionali primordiali non saranno osservate direttamente ancora per svariati decenni). Ma c’è di più. Averle viste significa aver la prova che l’inflation è davvero avvenuta. Esistono anche altri meccanismi che spiegano l’esistenza delle fluttuazioni cosmiche, ma nessuno a parte l’inflation prevede questa copresenza di fluttuazioni scalari e onde gravitazionali. Di più: misurando l’ampiezza dei modi B, si misura direttamente l’ampiezza delle fluttuazioni tensoriali primordiali, e quindi il rapporto tra fluttuazioni tensoriali e scalari. BICEP2 ci dice che questo rapporto è circa 0.20 (con incertezza di +0.07 e -0.05), cioè i tensori contano per circa il 20% di quanto contano le fluttuazioni scalari. Questo rapporto, sorprendentemente alto rispetto alle attese, è direttamente legato alla scala di energia a cui si è accesa l’inflation, scala che non è predetta dalla teoria. Oggi sappiamo quindi che questa scala è circa 10^16 GeV, qualcosa come 12 ordini di grandezza oltre la scala di energie raggiungibile da LHC, il più potente acceleratore di particelle terrestre, e solo due ordini di grandezza al di sotto della scala di Planck, che è il limite naturale oltre cui la gravità dovrebbe mostrare la sua natura quantistica.

E’ difficile sottostimare l’importanza di questa scoperta: in un colpo solo conferma l’inflation, mostrandocene letteralmente la “smoking gun”, e ci dice a quale energia si è accesa. Ci fornisce anche evidenza, indiretta, dell’esistenza delle onde gravitazionali che Einstein ha predetto nel lontano 1916. Prima di prenotare un (meritato) biglietto per Stoccolma, il team di BICEP2 dovrà aspettare che qualcun altro confermi questo risultato. Il satellite ESA Planck, dedicato proprio alla CMB, potrebbe farlo nei prossimi mesi. In effetti, Planck aveva pubblicato lo scorso marzo un limite superiore sul valore di r, asserendo che esso è minore di 0.11 con significanza statistica di due deviazioni standard. Questo risultato non deriva dai modi B, che Planck non ha (ancora) osservato, ma dall’anisotropia in intensità del CMB, ed è filtrato attraverso alcune assunzioni modellistiche (si assume cioè un modello di riferimento). Oggi questo risultato appare in tensione con quanto riportato da BICEP2. Occorre capire come mai. Una delle possibilità è che ci sia qualcosa da mettere a punto nel modello di riferimento: si aprono scenari molto interessanti. Al tempo stesso, la misura di BICEP2, unita ad altre che Planck ha già compiuto, ci aiuteranno a fare un passo avanti nella comprensione del meccanismo inflazionario, falsificando alcuni modelli di inflazione che prevedevano un apporto di tensori molto più basso di quello osservato da BICEP2. Questi modelli, con basso r, manco a dirlo andavano per la maggiore e, come spesso accade nella storia della Scienza, dovranno essere buttati o profondamente rivisti. La Natura non smette mai di stupirci.

by Scientificast.it

Per approfondire:

CONGIUNZIONE LUNA CON SATURNO

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congiunzione_luna21Mar

congiunzione_luna21Mar
21.3 La mattina del 21 marzo, un po’ penalizzata dall’orario antelucano, ci sarà la più bella congiunzione del mese, con una Luna all’ultimo quarto abbondante che, verso le 4:00, avvicinerà Saturno fino a una distanza angolare minima di 1,1°.

Il Planetario a Piacenza DAL 14 FEBBRAIO AL 22 MARZO

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20.03, ore 21:00: conferenza Gruppo Astrofili.

Per informazioni: info@planetariopiacenza.com
www.planetariopiacenza.com

Inflazione: c’è la prova

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Il pattern in polarizzazione rilevato da BICEP nella radiazione cosmica di fondo a microonde. Crediti: Harvard/CfA
Il pattern in polarizzazione rilevato da BICEP nella radiazione cosmica di fondo a microonde. Crediti: Harvard/CfA

RILEVATI I MODI B PRIMORDIALI

Mai prima, nella storia dell’umanità, ci si era spinti così indietro nel tempo. Se la mappa della CMB era stata battezzata “la foto dell’universo neonato”, quella presentata al mondo pochi istanti fa da John Kovac, cosmologo della Harvard University, e dal resto del team dell’esperimento BICEP non la si può nemmeno definire un’ecografia del terzo mese: volendo restare in metafora, è piuttosto l’equivalente della linea viola del test di gravidanza. Il primo segnale possibile che qualcosa è accaduto. Quel qualcosa è il big bang, e le impronte che il telescopio antartico ha rilevato, debolmente impresse sotto forma di “modi B” sul segnale in polarizzazione del fondo cosmico a microonde, sono le tracce del primissimo evento nella storia del nostro universo, avvenuto 10 alla meno 35 secondi dopo il big bang: l’inflazione.

L’attesa era tale che il server di streaming, al quale scienziati da tutto il mondo hanno provato a collegarsi per seguire l’annuncio in diretta webcast, non ha retto. Sembrano invece avere tutte le carte in regola per reggere i dati presentati: la significatività statistica del risultato, stando ai due articoli fatti circolare in anteprima, è superiore a 5 sigma. Insomma, è un signor risultato. «Se effettivamente è la vera misura, e non il frutto di un errore sistematico, è un risultato eccezionale», è il commento a caldo di Sara Ricciardi, cosmologa della collaborazione Planck e ricercatrice all’INAF-IASF Bologna. Certo è che si tratta d’un risultato inatteso, che sta lasciando quasi tutti a bocca aperta. Per cercare di comprenderne la portata, conviene ripercorrere alcune delle tappe principali di quest’avvincente avventura.

Dal big bang a oggi ci separano circa 14 miliardi di anni, ma la storia che ha condotto all’immenso risultato odierno – dal punto di vista scientifico, se verrà confermato, ha implicazioni paragonabili, se non addirittura superiori, a quelle della scoperta del bosone di Higgs – è molto più breve: compie proprio quest’anno esattamente mezzo secolo. E muove i primi passi non nel buio gelido della notte antartica, bensì sulla cima d’un dolce pendio – appena 116 metri – della contea di Monmouth, nel New Jersey: la collina di Crawford. È lì che trascorrono le giornate due ricercatori dei Bell Laboratories,  Arno Penzias e Robert Wilson, inseguendo l’origine di uno strano rumore di sottofondo nel segnale della grande antenna a forma di tromba, sensibile alle microonde, installata sulla cima del colle. Ed è nel 1964 che i due giovani astrofisici, ascoltando i colleghi di Princeton presentare le loro ipotesi sulla radiazione di corpo nero nel fondo cosmico, hanno l’intuizione che li porterà a vincere nel 1978 il Nobel per la fisica: il fruscio che sporca le loro ricezioni e sì di fondo, ma non è un rumore: è il segnale con la esse maiuscola, il primo segnale elettromagnetico possibile. Viaggia più o meno indisturbato da quasi 14 miliardi di anni, e per la precisione da 380mila anni dopo il big bang: dall’istante in cui nuclei ed elettroni, combinandosi, hanno dato origine agli atomi, spalancando così la finestra che ha reso l’universo trasparente.

E prima? Già, se prima era tutto opaco, quel limite dei 380mila anni non rappresenta per definizione un muro invalicabile? Certo che lo è, almeno per le onde elettromagnetiche. Ma immerse in quel segnale potrebbero esserci le tracce di quanto accaduto in precedenza. E infatti, come scoprirà il satellite COBE all’inizio degli anni Novanta (portando ai suoi ideatori, John Mather e George Smoot, un altro doppio Nobel per la fisica), la radiazione di fondo cosmico a microonde (CMB) si rivela “anisotropa”: pervasa, cioè, da impercettibili fluttuazioni in temperatura. Fluttuazioni la cui distribuzione – rilevata in modo sempre più preciso da esperimenti su pallone, come Boomerang, e da telescopi spaziali come WMAP e Planck – rispecchia i grumi del brodo primordiale, ovvero le regioni nelle quali materia ed energia erano più o meno dense. E rappresenta dunque i semi di quelle che diventeranno, nel corso di miliardi di anni, sotto l’azione della forza di gravità, le strutture a grande scala dell’universo: ammassi di galassie e galassie. E quindi noi, in fondo in fondo.

Ma l’inflazione, allora? L’inflazione, questo stiramento di portata inimmaginabile (letteralmente: andrebbe oltre i confini dell’orizzonte degli eventi, ritengono i cosmologi) del tessuto dello spazio-tempo, sarebbe la responsabile della quasi completa uniformità della CMB. È a causa della sua azione distensiva che le fluttuazioni in densità sono così difficili da rilevare. Ma proprio per la sua violenza e subitaneità dovrebbe aver innescato, nel brodo primordiale, un maremoto gravitazionale di portata pazzesca. Pazzesca quanto? È esattamente su questo numero che si gioca la validità dei risultati presentati oggi a Harvard. Per essere rinvenibile nella CMB da un esperimento come BICEP 2 con un intervallo di confidenza attorno a 5 sigma (che, come ormai tutti sappiamo dal giorno dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs, per gli scienziati è il minimo sindacale), dev’essere stato un maremoto davvero impetuoso: in grado di generare onde “alte” più o meno il doppio, e qui il discorso si fa delicato, di quanto previsto dai modelli attuali in base ai dati raccolti da WMAP e Planck.

L’ampiezza delle onde, in questi casi, si calcola misurando il rapporto tra fluttuazioni tensoriali (quelle dei “modi B” primordiali, dovute alle onde gravitazionali) e fluttuazioni scalari (quelle in densità di cui abbiamo parlato poc’anzi). Gli esperimenti condotti fino a oggi, WMAP e Planck in testa, suggerivano un limite superiore, per questo rapporto, pari a circa 0,1. Ebbene, il numero trovato da BICEP – quello che sta facendo tremare parecchi polsi, quello con una significatività superiore a 5 sigma – è guarda caso praticamente il doppio: r = 0.2. «Se confermata, la curva nello spazio dei parametri mostrata oggi», va dritta al punto Daniela Paoletti, ricercatrice all’INAF IASF Bologna, «andrebbe a escludere moltissimi modelli d’inflazione al momento ammessi dai dati». Quali modelli? Lo spiega senza mezzi termini il responsabile dello strumento LFI di Planck, Reno Mandolesi, congratulandosi con il team di BICEP: «Risultato eccezionale. In bocca al lupo per il Nobel. Esistono limiti superiori, per il valore di r, che sono più bassi di questa detection: quelli pubblicati dalla collaborazione Planck nel 2013, sebbene non derivanti dalle misure di polarizzazione dei modi B. A questo punto si spalanca uno scenario di grande interesse, perché si potrebbe aprire un ulteriore problema nel modello standard lambda CDM o nei modelli di inflazione esistenti. I risultati attesi da Planck nel 2014 saranno importantissimi per capire in che direzione muoversi». Insomma, diciamo che per chi si occupa di cosmologia, nei prossimi mesi, ci sarà parecchio da divertirsi.

«Finalmente – dice il Presidente dell’INAF, Giovanni Bignami – abbiamo un’idea di come ha fatto l’Universo a diventare così grande così in fretta. Tutti hanno sempre creduto alla inflazione come l’unica soluzione possibile, ma averne una prova osservativa, anche se indiretta, è fantastico. Speriamo che sia vero, anche perchè, per buona misura, abbiamo avuto la conferma che le onde gravitazionali sono il modo di vedere l’Universo quando era invisibile, cioè opaco alla luce con la quale facciamo da sempre astronomia. Se confermato, un risultato stupendo, degno coronamento del lavoro europeo ed italiano con la missione spaziale Planck».

Per saperne di più:

Guarda su INAF-TV le primissime reazioni, a conferenza ancora in corso, di alcuni ricercatori INAF:

Per approfondire:

Club 100 Asteroidi: la parola ai protagonisti

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Poco da segnalare rispetto al mese scorso. Solo Luca Maccarini e la coppia Andrea Tomacelli e Valeria Starace ha incrementato il bottino. Situazione cristallizzata per tutti gli altri partecipanti. Non avendo quindi personalmente granché da aggiungere, ho deciso di dare la parola direttamente ai protagonisti per sentire le loro impressioni a questo punto della sfida.

Claudio Pra


Ugo Tagliaferri (94 osservazioni)

«Questo mese nessun aggiornamento. Il prossimo obbiettivo è (74) Galatea ad aprile.
Quando decisi di partecipare a questa sfida optai per operare visualmente. Immaginai, date le difficoltà, che i partecipanti sarebbero stati pochi ma non avrei mai immaginato di essere io a guidare la pattuglia! Contavo di concludere l’impresa in 2 anni ma ci vorrà un po’ di più.
Voglio comunque gustarmi gli ultimi asteroidi. Se finirò per primo bene, altrimenti bene lo stesso!».


Paolo Palma (87 osservazioni)

«Purtroppo devo aspettare ancora qualche altra settimana  prima di poter aggiungere un altro obiettivo alla mia lista. Intanto, per riempire l’attesa, mi sto divertendo ad osservare gli asteroidi dal 101 al 200. Con gli strumenti che posseggo e il cielo che mi ritrovo ci vorrà probabilmente un altro anno per portare a termine l’impresa.
In ogni caso queste gigantesche montagne cosmiche, nella piccolezza di ciò che le distanze ci lasciano vedere, sono capaci di trasmettere una loro bellezza in chi con pazienza le cerca  tra lo sfondo del cielo stellato».


Andrea Tomacelli e Valeria Starace (52 osservazioni)

«L’ambito traguardo dei “100” è diventata ormai un ossessione. Praticamente ogni giorno scrutiamo il cielo e le varie immagini satellitari per comprendere se il movimento delle nuvole ci lascerà un buco per poter rimpinguare il bottino.
L’obiettivo è raggiungere Paolo Palma, nostro amico, che ha si un grande vantaggio, ma osserva in visuale mentre noi abbiamo il CCD con cui possiamo fotografare oggetti molto deboli che visualmente sono difficili da cogliere. Paolo, sei avvisato!
Ugo, anche tu guardati le spalle. L’obiettivo è riuscire ad arrivare alla meta entro l’anno o anche prima se siamo fortunati con il meteo.
E’ un avventura che è iniziata lentamente ma che adesso è diventata una vera e propria sfida».


Luca Maccarini (33 osservazioni)

«Sono giunto quasi a un terzo del percorso di questa lunga “maratona”.
Non potendo raggiungere un luogo montano per le osservazioni, quando decisi di rintracciare in cielo i primi 100 corpi minori della fascia principale del nostro sistema solare mi chiesi innanzitutto se da un cielo urbano mediamente inquinato mi sarebbe stata possibile questo tipo di ricerca. La sensazione che ho avuto e’ che, nonostante i problemi di inquinamento luminoso comuni a molte delle nostre città, se si e’ armati di una buona dose di pazienza ma soprattutto se si riesce ad organizzare la serata osservativa, si possono “catturare” questi corpi celesti erranti anche attraverso una modesta attrezzatura.
Gli asteroidi più luminosi sono individuabili visualmente durante il periodo dell’opposizione anche con piccoli rifrattori, mentre quelli meno luminosi sono rintracciabili con diametri di almeno 130-150 mm. Personalmente ho preferito approcciare questo lungo percorso osservativo con due diverse metodologie: visuale quando ho la fortuna di avere una buona trasparenza del cielo o l’asteroide e’ discretamente luminoso ed alto. Fotografico quando queste condizioni vengono meno».


Onde gravitazionali, forse ci siamo

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ATTESO UN ANNUNCIO DALL’ESPERIMENTO BICEP 2

Sono ore di fermento e di attesa, queste, nella comunità scientifica internazionale. Quale sarà mai la major discovery – la grande scoperta – che la Harvard University annuncerà al mondo alle cinque ora italiana di oggi pomeriggio, lunedì 17 marzo? Il comunicato stampa non lo dice, ma le voci in rete si fanno sempre più insistenti, e sono tutte unanimi nell’evocare il sacro Graal della cosmologia: le onde gravitazionali.
Il ricordo corre subito al giorno dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs e il parallelismo è inevitabile. Oltre alla suspense costruita ad arte attorno a un annuncio internazionale da parte di un’istituzione leggendaria (il Cern allora, Harvard oggi), l’esistenza delle onde gravitazionali, come quella del bosone, è richiesta a gran voce dalla teoria – e che teoria: se per il bosone era Higgs, qui parliamo niente meno che di Einstein. Ma fino a oggi non hanno mai risposto all’appello. Perché mai dovrebbero farlo proprio ora? E in che modo?

In attesa di scoprirlo, o di essere colti in contropiede o peggio di rimanere delusi (e non sarebbe la prima volta, viste le major discoveries annunciate dalla Nasa negli ultimi anni che di major avevano soprattutto il battage pubblicitario), proviamo a seguire le tracce disseminate in rete in questi giorni.

Una tra le prime soffiate – forse la prima – è giunta venerdì scorso, il 14 marzo, con un post sul blog parigino Résonaances. L’autore mostra il grafico del range di valori possibili, stando ai dati di Planck e WMAP, per i parametri dell’inflazione primordiale e avverte: «guardatelo bene, perché da lunedì non sarà più lo stesso». A scombinare le carte, prosegue il post, saranno i dati raccolti da BICEP 2.
E chi sarebbe questo BICEP che offre anche il titolo al post, “Flettendo i bicipiti”? A guardare Wikipedia scopriamo che BICEP 2, seconda generazione dell’esperimento Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization, è un telescopio americano operativo in Antartide sensibile alla polarizzazione della radiazione cosmica di fondo a microonde (CMB), in particolare nelle bande 100 e 150 GHz. E già questo è un indizio notevole, perché è proprio nella polarizzazione della radiazione fossile che i cosmologi da anni cercano invano i cosiddetti “modi B” primordiali: l’impronta debole ma inequivocabile delle impetuose onde gravitazionali – un vero tsunami nell’oceano dello spazio-tempo – che stando alla teoria si sarebbero dovute sollevare a seguito dell’inflazione, ovvero l’episodio d’espansione vertiginosa che si vorrebbe appena 10 elevato alla meno 35 secondi dopo il big bang.

A guardare Wikipedia emerge anche un altro indizio: dopo quasi due anni di calma piatta, la sera del 13 marzo d’improvviso sulla pagina dedicata a BICEP prende il via un’attiva frenetica, dovuta soprattutto al contributor Mike Peel, che porta a una dozzina d’aggiornamenti nell’arco di poche ore. Per non parlare di Twitter, dove gli hashtag #bicep e #primordial #gravitational #waves già venerdì non lasciavano dubbi su quale sarebbe stato il trending topic scientifico del fine settimana. E puntuale l’anticipazione è atterrata anche sulle pagine dei quotidiani, primo fra tutti il Guardian venerdì scorso.

Insomma, nella sempre più improbabile ipotesi che l’annuncio non sia la scoperta delle onde gravitazionali primordiali, la delusione sarebbe vasta. E se invece andrà tutto come atteso?

«Sarà una scoperta super importante», dice Sara Ricciardi, cosmologa della collaborazione Planck e ricercatrice all’INAF-IASF Bologna.«Possiamo misurare due tipi di perturbazioni: quelle dell’inflazione stessa, che si traducono in perturbazioni di densità, e quelle del campo gravitazionale. La CMB è un tracciatore perfetto di queste perturbazioni. Mentre le perturbazioni scalari lasciano un’impronta distintiva sia sullo spettro di temperatura che di polarizzazione (i cosiddetti “modi E”), le perturbazioni primordiali del campo gravitazionale determinano unicamente la forma dei “modi B” di polarizzazione. Una misura del genere è dunque doppiamente fondamentale: non solo mostrerebbe che le onde gravitazionali esistono, ma offrirebbe anche gli strumenti per misurarne l’ampiezza. Per questo siamo tutti in attesa spasmodica di ciò che diranno a Harvard. E pronti a fare le pulci ai dati immediatamente dopo, come una scoperta così importante ovviamente merita».

E’ possibile seguire la diretta della conferenza stampa a questo link

Per approfondire:

Al Planetario di Ravenna

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18.03: “L’equinozio di primavera” di M. Berretti.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

ASSOCIAZIONE CASCINESE

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17.03: “Asteroidi fra realtà e mistero” di P. Bacci.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Al Planetario di Ravenna

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16.03: GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI

Dalle ore 10:30 alle 19:00: Osservazioni al telescopio, laboratori didattici, Conferenze e molto altro ancora. Ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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16.03: GIORNATA NAZIONALE DEI PLANETARI
Alle ore 16:00: “Le favole del cielo” presso il Planetario di Lumezzane, in via Mazzini 92.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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14.03: “In viaggio con Dante: i paesaggi celesti del Purgatorio» di Loris Lazzati.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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14.03: Fanta-Scienza, Avventure nel tempo e nello spazio: “Impatti letali. Deep Impact, Armageddon” di Sara Ciet e Paolo Alfieri (in collaborazione con il Circolo del cinema “Sogni”).

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Il Planetario a Piacenza DAL 14 FEBBRAIO AL 22 MARZO

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14.03: Serata degustazione vini e lettura di poesie.

Per informazioni: info@planetariopiacenza.com
www.planetariopiacenza.com

Circolo Astrofili Veronesi

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14.03: “L’astronomia in rete” di Raffaele Belligoli.

Per informazioni: info@astrofiliveronesi.it
Cell: 334 7313710 (Antonio Cagnoli)
www.astrofiliveronesi.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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14.03: ”I satelliti medicei” di Fabio Quarato.

Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Permette una domanda? – approfondimenti sul quesito e soluzione

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Cavalieri e furfanti

Nella rubrica Moebius di Coelum 177 ho raccontato un sogno. Mi trovavo su un’astronave, in procinto di atterrare su un pianeta misterioso. Il pilota, che proveniva da un lontano sistema solare, mi spiegò che gli abitanti del mondo che dovevamo raggiungere erano tutti bugiardi, senza eccezione. Precisò poi che, tra gli otto pianeti del sistema solare, alcuni (i cosiddetti pianeti neri) sono proprio così, cioè abitati da bugiardi, mentre gli altri (i pianeti bianchi) sono popolati unicamente da persone sincere.

E quando si parla di sinceri e bugiardi, s’intende una cosa netta: un sincero dice sempre e soltanto cose vere, e un bugiardo afferma esclusivamente e costantemente il falso.

Dopo una fugace visita al pianeta, ci ritrovammo sull’astronave, e il comandante mi pose due enigmi: se non li avessi risolti entrambi, sarei stato ucciso.

I problemi erano i seguenti:

  • > Un preziosissimo tesoro è conservato in uno degli otto pianeti, e per determinare quale fosse questo pianeta potevo soltanto porre tre domande (la cui risposta poteva essere soltanto sì o no). Su ogni pianeta era pronto a rispondere un rappresentante della popolazione, e io dovevo scegliere a quali di questi delegati rivolgere ogni domanda.
  • > Sul pianeta del tesoro vi erano due cavità, una delle quali conteneva l’incalcolabile fortuna. Un indigeno svolgeva la funzione di custode del prezioso scrigno, coadiuvato nalla sua funzione da un forestiero. L’unico indizio che avevo per capire a chi dovevo domandare la posizione del tesoro era una frase del forestiero: “Io e il mio capo proveniamo da due pianeti dello stesso colore”.
Raymond Smullyan

L’enigma proposto s’inquadra, più o meno, in un filone di problemi di logica inventati dal geniale e poliedrico Raymond Smullyan. Nato a New York nel 1919, Smullyan è uno dei logici più famosi del nostro tempo, nonché un brillante inventore di giochi e rompicapi. Si occupa anche di musica (è un valente pianista), di prestidigitazione e di filosofia.

L’ambientazione tipica degli indovinelli di Smullyan è un’isola immaginaria abitata esclusivamente da “cavalieri”, cioè persone sempre sincere, e da “furfanti”, che sono solo capaci di mentire. Di solito il racconto prevede che un visitatore sbarchi sull’isola e s’imbatta in alcuni suoi abitanti: dalle loro affermazioni deve capire se si tratti di cavalieri o furfanti, e ricavare altre informazioni.

Ecco un esempio classico di questo tipo di indovinelli: il visitatore incontra due abitanti dell’isola, Alice e Bob. La prima afferma che sia lei che Bob sono furfanti. Si tratta di capire se i due sono sinceri o bugiardi. Ebbene, per scoprirlo basta un piccolo ragionamento. Supponiamo che l’affermazione di Alice sia vera, cioè che Alice sia una furfante: ma se è così, non può mai dire cose vere, quindi dobbiamo scartare questa ipotesi. Ne consegue che la frase è falsa, cioè non è vero che sia Alice che Bob sono furfanti. D’altra parte Alice non può essere un cavaliere, perché se così fosse non avrebbe affermato il falso. Quindi l’unica possibilità è che Alice sia una furfante e Bob un cavaliere.

Il pianeta del tesoro

Torniamo al nostro enigma di gennaio. Anche questo, come quello di dicembre sul “Palomar Cube”, non era di immediata soluzione. Ma come nel caso precedente non occorrevano particolari conoscenze logiche o matematiche per risolverlo: bastava un po’ di ragionamento logico e un pizzico di pazienza.

Vediamo come poteva essere risolto il problema, iniziando dal primo quesito, quello della determinazione del pianeta del tesoro. I pianeti possibili sono 8, da Mercurio a Nettuno, e le domande a disposizione sono 3, per ciascuna delle quali vi sono 2 possibili risposte (sì o no). Non a caso, 2 elevato alla 3 è proprio uguale a 8. La serie di domande deve essere quindi organizzata in modo che a ogni risposta il numero di pianeti candidati si dimezzi: dopo la prima risposta avremo 4 pianeti ancora in lizza, dopo la seconda risposta questi si saranno ridotti a 2, e finalmente la terza risposta ci fornirà l’indicazione risolutiva.

Il grosso guaio è che quando rivolgiamo una domanda al rappresentante di un pianeta, non possiamo sapere a priori se quel pianeta sia bianco o nero, cioè se il nostro interlocutore sia sincero o bugiardo. Come fare, allora?

Il trucco consiste nel formulare le domande in un modo un po’ particolare. Supponiamo che io chieda di parlare con il rappresentante di un pianeta qualsiasi, diciamo Giove, e gli rivolga la seguente domanda:

«Se tu fossi il rappresentante di un pianeta di colore opposto al tuo, e ti venisse rivolta la domanda “Il pianeta col tesoro è uno dei primi quattro del sistema solare?”, come risponderesti?»

Fateci caso: indipendentemente dal fatto che il nostro interlocutore gioviano sia sincero o no, la sua risposta sarà, per così dire, la combinazione tra la risposta di un sincero e quella di un mentitore, per cui sarà sicuramente il contrario della verità.

Vediamo la cosa più in dettaglio: se Giove è pianeta di galantuomini, il nostro interlocutore è sincero. Ma noi gli chiediamo di immaginare di essere un bugiardo! Quindi, da sincero qual è, il gioviano ci risponderà, candidamente, come farebbe un bugiardo, e noi dovremo assumere come vera la risposta opposta alla sua. Se, ad esempio, lui rispondesse “Sì”, saremmo certi che il tesoro si trova in uno nei pianeti esterni del sistema solare.

Una formulazione leggermente diversa della domanda è la seguente:

«Se tu rivolgessi al rappresentante di un pianeta di colore opposto al tuo la domanda “Il pianeta col tesoro è uno dei primi quattro del sistema solare?”, come risponderebbe?»

Anche in questo caso la risposta risulterà dalla concatenazione tra la risposta di un sincero e quella di un mentitore, e dovremo considerare l’opposto per arrivare alla verità.

Invece, consideriamo la seguente formulazione alternativa:

«Se tu chiedessi a un tuo concittadino: “Il pianeta col tesoro è uno dei primi quattro del sistema solare?”, lui come risponderebbe?»

Questa volta vengono combinate insieme le risposte fornite da abitanti dello stesso pianeta, quindi entrambi sinceri o entrambi bugiardi. Nel primo caso la risposta sarà evidentemente sincera. Nel secondo la risposta sarà l’opposto dell’opposto della verità, quindi ancora sincera. In definitiva, a differenza delle due precedenti, questa nuova formulazione fornirà direttamente la risposta che cerchiamo.

In tutti i casi, abbiamo trovato alcune possibili domande che, indipendentemente dalla natura (sincera o meno) degli interlocutori, ci permettono di dimezzare (da 8 a 4) il ventaglio dei pianeti candidati: a seconda della risposta, scopriremo in quale parte del sistema solare si trovi il tesoro.

Se il tesoro si trova in uno dei pianeti interni del sistema solare, rivolgeremo di nuovo la stessa domanda, modificata soltanto nella parte in cui ci si riferisce all’insieme dei pianeti candidati. Utilizzando la prima delle formulazioni proposte:

«Se tu fossi il rappresentante di un pianeta di colore opposto al tuo, e ti venisse rivolta la domanda “Il pianeta col tesoro è tra il primo e il secondo del sistema solare?”, come risponderesti?»

Se invece apprendiamo che il tesoro si trova tra i pianeti esterni:

«Se tu fossi il rappresentante di un pianeta di colore opposto al tuo, e ti venisse rivolta la domanda “Il pianeta col tesoro è tra il quinto e il sesto del sistema solare?”, come risponderesti?»

La risposta ci permetterà di ridurre a due l’insieme dei pianeti possibili. A questo punto ci basterà ripetere per la terza volta la stessa domanda, opportunamente modificata (ormai avete capito come fare), per arrivare all’individuazione finale del pianeta del tesoro.

Il luogo del tesoro

Il secondo enigma era un po’ più facile.

Supponiamo che l’affermazione del forestiero, “Io e il mio capo proveniamo da due pianeti dello stesso colore”, sia vera. Ciò implica che forestiero e custode siano entrambi sinceri o entrambi bugiardi. Ma se sono entrambi bugiardi, l’affermazione del forestiero non può essere vera, e cadiamo in una contraddizione. Se invece sono entrambi sinceri, contraddizioni non ce ne sono.

Se invece l’affermazione iniziale è falsa, il forestiero e il custode sono l’uno sincero e l’altro bugiardo: e avendo ipotizzato che il forestiero ha mentito, rimane la possibilità che il forestiero sia bugiardo e il custode sia sincero.

Guardate bene: in entrambi i casi, abbiamo dedotto che il custode dev’essere sincero. Questo significa che il pianeta del tesoro è un pianeta bianco, e quindi per scoprire quale sia la caverna del tesoro dobbiamo chiedere al custode, e credere alla sua risposta.

Rivolgendo la domanda al forestiero, invece, non potremmo avere certezze, dato che è impossibile determinare se egli sia sincero o mentitore.

Notate infine che la certezza della sincerità del custode ci rassicura anche sulla verità della sua affermazione iniziale: “Il tesoro si trova in una delle due. Nell’altra c’è un baratro: chi vi entra cade e muore.”

Quell’affermazione rappresentava, in un certo senso, la premessa dell’enigma: se fosse risultata falsa, o indecidibile, avremmo potuto dubitare sulla fondatezza stessa del problema, e sarebbe stato un bel guaio.

Le soluzioni dei lettori

L’unico lettore che ha inviato una soluzione corretta a entrambi gli enigmi è stato Maurizio Carlino. Già risolutore del problema di dicembre, ma non abbastanza velocemente per aggiudicarsi l’abbonamento, Carlino ha confermato la sua bravura inviando una trattazione molto accurata del problema. Nella sua soluzione, Carlino ha utilizzato la “prima” formulazione per le domande necessarie a individuare il pianeta del tesoro. Ha anche osservato, correttamente, che le tre domande possono essere indifferentemente poste allo stesso interlocutore, a tre interlocutori diversi su diversi pianeti, o a un “mix” dei due. Sempre con riferimento al primo dei due enigmi, Carlino ha fatto notare che la struttura delle domande da rivolgere agli abitanti è un albero binario, come quello indicato nella seguente figura, in cui i nodi interni rappresentano le domande, gli archi le risposte, e i nodi “foglia” indicano i pianeti possibili sedi del tesoro.

Albero binario che rappresenta la struttura della soluzione

Anche il lettore Marco Carnevale ha saputo sbrogliare l’intricata matassa rappresentata dal primo enigma, proponendo l’interessante formulazione alternativa “Se tu chiedessi a un tuo concittadino…?” Carnevale è arrivato però dopo Carlino, e inoltre, a ben vedere, la sua soluzione al secondo enigma non è stata del tutto soddisfacente. Altri due lettori (Claudio Capecchi, Michele D’Errico) hanno proposto le loro soluzioni ai due enigmi, commettendo però alcuni errori.

A tutti i lettori che hanno tentato, con successo o meno, di svelare il mistero della caccia al tesoro interplanetaria vanno comunque i nostri più sinceri complimenti!

Paolo Alessandrini
“Mr. Palomar”

Letture consigliate

  • Raymond Smullyan, Qual è il titolo di questo libro?, Zanichelli, 1981
  • Raymond Smullyan, Donna o tigre?, Zanichelli, 1985
  • Raymond Smullyan, Alice nel paese degli indovinelli. Racconto alla maniera di Lewis Carrol per bambini infraottantenni, Zanichelli, 1988
  • Raymond Smullyan, Satana, Cantor e l’infinito, Bompiani, 1994

La nuova foto della cometa di Rosetta

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Abbiamo da poco festeggiato il risveglio di Rosetta, la sonda dell’ESA che è tornata in azione dopo il suo letargo programmato nello spazio profondo. In clima di ritorni, ecco allora che la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P/CG), meta finale del viaggio della sonda, che è appena riapparsa da dietro il Sole. Il 28 febbraio il Very Large Telescope (VLT ) del Paranal Observatory dell’ESO, in Cile, ha puntato il suo obiettivo verso 67P/CG, ottenendo le immagini qui sopra.  Nella foto a sinistra la cometa appare come un puntino sopra la traccia di una delle stelle di fondo, che sono state eliminate nell’elaborazione dell’immagine di destra per evidenziare la sola cometa.

67P/CG si sta scaldando, avvicinandosi al Sole. La sua attuale luminosità indica che il ghiaccio del suo nucleo ha cominciato a evaporare. L’ESO sta collaborando con l’ESA per fornire un monitoraggio da Terra della cometa, osservazioni che verranno utilizzate dall’ESA per ottimizzare la navigazione di Rosetta e analizzare la quantità di polvere che la cometa sta rilasciando. La sonda inoltre trasporta con sé il piccolo lander che scenderà sul nucleo della cometa e permetterà di studiarlo in dettaglio, raccogliendo campioni di materiale superficiale per analisi chimico-mineralogiche.Nei prossimi mesi la sonda effettuerà manovre di avvicinamento, per raggiungere l’orbita di 67/P il prossimo agosto.

Rosetta è stata lanciata nel 2004, ed era già stata protagonista nel 2008 e nel 2010 dei sorvoli degli asteroidi Steins e Lutetia, grazie ai quali abbiamo acquisito immagini spettacolari di questi corpi celesti. Non ci resta che augurare buon risveglio a Rosetta e attendere insieme a voi nuove ed emozionanti immagini da una delle missioni spaziali più ambiziose mai progettate dall’uomo.

Un approfondimento sulla brillante supernova SN2014J in M82

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La SN2014J ripresa da Marco Burali (Osservatorio MTM Pistia). Astrografo TAKAHASHI FRC 300 F 7.8 camera CCD FLI 1001e su A.P 1200 GTO. Luminanza combinata di filtri CLS-CCD + Infrarosso 800-1000nm + H-ALFA 6nm 120+60+180 minuti. Archivio dati: Astrografo TAKAHSHI BRC 250 F5 camera ccd SXVF-H16 FILTRI IR-CUT+RGB 300+60+60+60 minuti (rgb in binning 2x2).

Non si può certo dire che il nuovo anno sia iniziato sotto tono per quanto concerne le scoperte di SNe.

Il 5 gennaio, il gruppo del L.O.S.S. ( col telescopio KAIT dell’oss. Lick, a Berkeley in California) ha individuato, nella parte orientale della famosa spirale NGC 7331 (Peg), la SN 2014 C (tipo Ib) che, da allora, è salita quasi fino alla mag.+14,7 nel visuale; da notare che nella stessa galassia, solo 8 mesi prima, era apparsa un’altra SN discretamente brillante, la 2013 bu, scoperta dall’astrofilo giapponese K. Itagaki.

Passati alcuni giorni, il 14 fa capolino nella parte W di NGC 3448 (UMa) la SN 2014 G, del raro tipo IIpec., scoperta anche questa da Itagaki, un evento che ha suscitato molto interesse da parte dei professionisti, essendo diventato discretamente luminoso (mag.+14,5).

Ma il pezzo da novanta arriva una settimana dopo: nella prima parte della notte del 21, esattamente il 21,81 (T.U.), viene scoperta dal Prof. Steve Fossey, e dal suo gruppo di studenti dell’osservatorio dell’Università di Londra, una brillante SN di mag.+11,7 (+10,5 in R) nella “vicina” galassia peculiare NGC 3034 (M82), utilizzando un riflettore di 35 cm. di diametro.

M82 è certamente una galassia molto fotogenica, a causa della sua struttura particolare (è classificata come S Irr), testimone di una precedente interazione mareale con un altro membro del suo gruppo e, per la sua bellezza, ogni notte è il soggetto di svariate immagini, sia di professionisti che di amatori, tanto che non c’è da meravigliarsi che siano state realizzate svariate foto prima della scoperta.

Stranamente, questa stella ospite non è però stata individuata nei giorni precedenti quando era gia’ visibile alla mag.+15,6 circa (Itagaki) o di +16,3 (L.O.S.S.), forse a causa del denso affollamento di sorgenti luminose presenti nell’area. M82 ha infatti una brillanza superficiale molto elevata, e i programmi automatici di riconoscimento degli eventi transienti possono fallire, come può accadere persino all’occhio allenato di una bravo ricercatore come Itagaki (che non l’ha rilevata in ben 5 immagini antecedenti alla scoperta, ottenute con cadenza giornaliera!).

A causa della sua breve distanza, di circa 3,6 Megaparsec (Mpc), equivalenti a quasi 11,7 milioni di anni luce, è prevedibile che questo evento possa diventare molto luminoso, anche più della magnitudine apparente +10, e quindi osservabile anche con piccoli telescopi; ciò la renderebbe la più brillante SN degli ultimi 27 anni (dall’ormai lontano febbraio del 1987, quando apparve la 1987 A in LMC), riuscendo anche probabilmente ad eguagliare la SN2011fe in NGC 5457 (M101 in UMa), che raggiunse la mag.+9,8.

Naturalmente, dopo la scoperta del 21, una nutrita schiera di telescopi, sia a terra che nello spazio, si è buttata a studiare questa stella in esplosione, per non parlare dell’esercito di astrofili, da ogni parte del globo, che ha riempito i siti internet dedicati, con immagini e report osservativi (oltre un centinaio).

Vediamo allora in dettaglio la breve, ma già intensa storia di questa SN così importante per la moderna astrofisica. La galassia M82, fino agli inizi del 2004, non aveva mostrato esplosioni stellari, fatto alquanto strano per una “starburst “ galaxy quale è. Poi, finalmente, il 5 marzo del 2004 il gruppo del L.O.S.S. vi ha scoperto la SN 2004 am, di mag.+17,0.

Probabilmente per il solito motivo di trovarsi annidata in una densa regione nebulare HII, l’oggetto non era stato individuato in immagini d’archivio ottenute in precedenza, nonostante fosse già visibile alla mag.+16,.0 il 21/11/ 2003. L’analisi spettrale la classificò di tipo II, con forte arrossamento dovuto all’elevata presenza di polveri interstellari nella zona d’origine (si rilevarono ben 5 magnitudini di estinzione nel visuale!).

Dopo poco più di 2 anni e mezzo, M82 fece riaccendere i riflettori su di sé per la scoperta di un significativo flusso radio proveniente dal suo centro (con un picco di circa 120 mJy), avvenuto tra il 29/10/2007 ed il 24/3/2008 (data di scoperta del radiotelescopio VLA in New Mexico). Anche se direttamente non venne ottenuta l’immagine ottica dell’evento esplosivo, la spiegazione più ovvia, per un simile transiente durevole, parve essere l’esplosione di una radio SN, probabilmente di tipo core collapse; di conseguenza, le venne assegnata la denominazione ufficiale SN 2008 iz dal CBAT di Boston.

Ma non è finita: dopo poco più di un anno, sempre tramite il grande radiotelescopio VLA, venne scoperto un altro transiente ottico tra l’1 e il 5 maggio del 2009, con caratteristiche spettrali simili al precedente. Indagini spettroscopiche nel vicino infrarosso col grande riflettore “Gemini Nord” (dell’11 giugno) non evidenziarono alcun evento esplosivo dopo gli inizi di maggio, e neanche un eventuale progenitore in immagini d’archivio di mesi precedenti l’eventuale esplosione (ammesso che il tipo di SN fosse anche qui II o I b/c). Come per la precedente SN 2008 iz, anche per questa probabile SN radio non è stato possibile associare la sua posizione, entro un errore di 1/3 di sec. d’arco, con le innumerevoli sorgenti presenti nelle immagini X del telescopio spaziale Chandra, a causa del denso affollamento di simili sorgenti nel nucleo di M82 (per lo più resti di SNe o binarie X). Per questo evento più incerto non è mai stata assegnata una denominazione ufficiale.

Riassumendo, abbiamo almeno 3 eventi esplosivi nell’arco di soli 5 anni (2004 – 2009) e, con l’ultima scoperta, arriviamo a 4 SNe in circa 10 anni: non male per una galassia con una popolazione stellare decisamente minore della nostra Via Lattea, o della compagna M81. Ma, naturalmente, dato il brevissimo intervallo di tempo considerato, non è certo possibile dire che in M82 appaia una SN ogni circa 2 anni! Il lungo digiuno di circa 1 secolo precedente al 2004 lo testimonia…

Fino a pochi giorni fa M82 aveva prodotto solo SNe di tipo II (o eventualmente I b/c), cioè SNe originate dal collasso del core stellare: sono gli eventi più frequenti, specialmente in una galassia “starburst” con popolazione stellare giovane. Ma ogni tanto spuntano alla ribalta anche oggetti di natura diversa come le SNe di tipo Ia, e, guarda caso, quest’ultima SN appartiene proprio a questa categoria specifica. Per questo evento si può disporre, fortunatamente, di varie stime di magnitudini su immagini precedenti la scoperta del 21 gennaio, ovvia conseguenza del fatto, come si è già detto, che una galassia così famosa e spettacolare, ogni notte è tenuta sotto controllo da molti osservatori, anche occasionali, che ne realizzano immagini anche per il solo fine estetico, e non a scopi di ricerca. Le varie comunicazioni pervenute al noto sito gestito da D. Bishop, il “Latest Supernovae”, lo confermano:

K. Itagaki 2014/01/15.570 +14.4 (V) Antartic Survey Tel. 15.827 +14.38 (U) L.O.S.S. 16.38 +13.3 (V) K. Itagaki 16.64 +13.9 (V) K.Itagaki 17.61 +13.3 (V) Antartic Survey Tel. 17.69 +13.1 (U) K.Itagaki 19.62 +12.2 (V) MASTER – Tunka 19.74 +11.8 (V) Antartic Survey Tel. 19.83 +11.97 (U) K. Itagaki 20.62 +11.9 (V) MASTER – Tunka 20.68 +11.6 (V)

Interessante notare la curva di luce provvisoria che il gruppo del L.O.S.S. ha pubblicato in rete, dove si può dedurre parte della veloce salita fotometrica dell’evento dopo l’esplosione iniziale.

CURVA DI LUCE DEL L.O.S.S.

La prima immagine in assoluto è perciò quella di Itagaki, esattamente del 15.57. L’indagine specifica degli astronomi non si fa attendere molto; dal 21 gennaio, come un virus in rete, si diffonde subito la notizia dell’apparizione di una brillante SN in uno degli oggetti più belli del catalogo di Messier.

Il primo spettro proviene dal riflettore ARC di 3.5 m. di diametro, all’Osservatorio di Apache Point ( New Mex), il 22.305: sono ben evidenti le righe in emissione del Si II, con v = 20.000 Km./sec. circa, nonché le righe del Na D in assorbimento; è la classica firma delle Ia. Poche ore dopo, il 22.400, un secondo spettro ottenuto dall’Osservatorio Higashi di Hiroshima, col riflettore Tanaka di 1.5 m. , rivela una velocità di espansione delle righe del Si II di circa 15.000 Km./sec., confermando il tipo Ia (ad alta velocità), una settimana circa prima del massimo. Il primo report fotometrico nell’infrarosso è del 22.760 e fornisce i valori di: J = 9,94 +/-0,06 ; H = 9,83 +/-0,06; K = 9,80 +/-0,08.

Nel dominio X anche le più accurate analisi profonde dell’area, eseguite col telescopio spaziale Chandra, non evidenziano alcun segnale associato alla nana bianca in fase finale di accrescimento pre esplosivo. Il 23.30 le indagini profonde si spostano nel campo delle frequenze radio/millimetriche (VLA e CARMA); a queste lunghezze d’onda la palla di fuoco dell’esplosione non si mostra affatto, è perciò deducibile una bassa densità del mezzo interstellare entro un raggio di circa 10 miliardi di km (confrontabile con le dimensioni del diametro dell’orbita di Nettuno) attorno alla posizione della SN. Identico risultato, poche ore dopo, col grande telescopio radio GMRT il 23.78.

In una simile caccia al progenitore non potevano rimanere esclusi i colossali telescopi ottici dell’ultima generazione: il Large Binocular Telescope (LBT) fornisce un limite superiore di mag. apparente nella zona dell’esplosione, su immagini del 4 gennaio, corrispondente a +24,3 R (con 3 sigma), che equivalgono, a quella distanza, a una sorgente di mag. assoluta M = -3,4 .

Ulteriori spettri, realizzati con i telescopi “I. Newton”  di 2,5 m alle Canarie e “G.D. Cassini” di 1,5 m all’Osservatorio di Loiano (Bo), confermano il forte arrossamento di questa SN, stimabile in B-V = 1,2.

E il telescopio spaziale Hubble (HST)? Non ha certo continuato le sue osservazioni di altri oggetti, ma anche lui si è concentrato sulla ricerca di un eventuale progenitore che, in caso di risultato positivo, diverrebbe una scoperta epocale dato che mai, in precedenza, nessun altro strumento era riuscito nell’impresa (le nane bianche, e le loro compagne di tipo solare/sub gigante nel sistema binario, non sono certo stelle luminose da potersi osservare in galassie esterne).

Determinata con elevata precisione la posizione della 2014 J, sono state esaminate 3 immagini (a 435, 555 e 814 nm) ottenute il 27/3/2006: ma, anche in questo caso, non sono emersi alla luce candidati progenitori, sia nei dati della ACS (Advance Camera for Survey) sia della WFC (Wide Field Camera).

Il team dell’HST (Atel N.5824 del 28 gen.) conclude sottolineando che, nonostante la ricerca abbia fissato dei limiti superiori di mag. apparente +23,3 a 435nm, +23,4 a 555 nm e +24,5 a 814 nm, in linea con le precedenti ricerche del LBT, si può pensare alla possibilità che il progenitore di 2014 J sia del tipo nova classica (come per esempio U Sco = nana bianca + secondaria sub gigante), o anche nova ricorrente (RS Oph / T CrB = nana bianca + gigante rossa), e che questi limiti non possano escludere del tutto la possibilità che tali sistemi doppi siano i potenziali progenitori di SNe Ia.

Rimane però un fatto: recenti osservazioni, proprio dell’HST, alla ricerca di progenitori di SNe Ia, nei residui gassosi delle esplosioni storiche avvenute nella nostra galassia, non hanno sortito alcun risultato, cioè non sono stati individuati eventuali compagni di tipo: gigante rossa, sub gigante o stella tipo solare, entro distanze di alcuni anni luce dal centro del residuo (Cas A = SN Ia del 1667 / Lup A = SN Ia del 1006).

Dai risultati di queste ricerche sembra venire messo in discussione il modello classico della singola degenere, accettato da decenni dalla comunità scientifica, con conseguente riconsiderazione del modello alternativo della doppia degenere (2 nane bianche legate in un sistema binario stretto che si fondono, per perdita di momento angolare, con conseguente esplosione termonucleare).

Ritorniamo, dopo queste interessanti considerazioni astrofisiche, al comportamento della nostra stella ospite. Il 25 gennaio anche il grande telescopio Herschel, di 4,2 m all’Osservatorio di La Palma (Canarie), realizza spettri ad alta risoluzione ottenendo valori di v = 13.400 km/sec per le righe del Si II, confermando un sensibile rallentamento del guscio gassoso in espansione. Ulteriori stime fotometriche (del 25.87) vengono ottenute al telescopio dell’ Università “N. Copernicus” in Polonia, e sembrano mostrare l’inizio della fase di massimo della curva di luce.

Un altro aspetto interessante di questa brillante SN viene evidenziato dalle analisi spettro polarimetriche (del 28.16) col riflettore di 2,2 m all’Osservatorio di Calar Alto (Spagna), che mostrano una marcata polarizzazione del continuo spettrale, dal 6,5% (B) al 2% (R), da cui si può dedurre che i grani di polvere interstellare e intergalattica, lungo la linea di vista tra noi e la SN, hanno dimensioni minori di quelli tipici del disco della nostra galassia (M82 si trova infatti lontano dal piano della Via Lattea).

Il 28.13, sempre col riflettore Herschel, si deducono i valori: riga del Si II (635,5 nm) con v = 12.600 km/sec, riga del C II (658 nm) con v = 13.700 km/sec , riga del S II (546.8 nm.) con v = 12.150 km/sec, che mostrano un basso gradiente di diminuzione della velocità di espansione. In questa fase, circa 20 giorni dopo l’esplosione iniziale (data plausibile 14 gennaio?), il residuo gassoso ha già percorso oltre 25 miliardi di km, alla spaventosa velocità media di circa 14.000 km/sec! Dal 27 gennaio la fase di crescita fotometrica si è praticamente conclusa, e l’evento si assesta nel massimo largo della curva di luce; alcune stime di osservatori non professionisti riportano la mag.+10,6 costante (dal 27 al 31 gen.), probabile max.(V).

Rimane comunque un fatto importantissimo: anche se questa SN non eguaglierà la luminosità apparente della recente 2011 fe in M110, è la più vicina Ia degli ultimi 42 anni, da quando, il 15 maggio 1972, l’astronomo C. Kowal scoprì la 1972 E in NGC 5253 (Cen), distante circa 10 mil. di anni luce, che raggiunse la mag.+7,2! …e che divenne, per svariati anni seguenti, la SN Ia di riferimento principale. E se non avesse sofferto di oltre 1 magnitudine di estinzione, 2014 J avrebbe potuto raggiungere la +9.5 (V) circa, corrispondente ad una M = -18,2 , valore sensibilmente inferiore alla mag. assoluta di una Ia tipica (-19,0), fatto che implicherebbe una estinzione un po’ più elevata di quanto finora indicato.

Dopo una sosta di oltre 2 settimane nella fase di max., quindi dalla metà di febbraio, la sua luminosità (in V) subirà una prima veloce diminuzione (di circa 2,5 mag. in una trentina di giorni), seguita da un più lento calo per almeno un anno (di oltre 5 mag.), a causa della sensibile diminuzione della densità dei gas espulsi, che diverranno sempre più trasparenti e freddi. Alla fine di quest’anno, la 2014 J si porterà perciò fuori della portata anche dei maggiori strumenti amatoriali, e resteranno visibili, per parecchi anni, solo le ceneri della sua potente esplosione con i più grandi telescopi professionali.

Si ringrazia il Dott. Andrea Pastorello (Osservatorio Astronomico di Padova) per la gentile supervisione.

Giancarlo Cortini (Presidente del “Gruppo Ricerca SNe Fritz Zwicky”)

Al Planetario di Ravenna

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11.03: “Keplero, la sonda che ha scoperto pianeti alieni” di Claudio Balella.

Per info: tel. 0544-62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

CONGIUNZIONE CON LUNA, MARTE E SPICA

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congingiunzione_luna18Mar

congingiunzione_luna18Mar
Come avviene da ormai tre mesi a intervalli di una lunazione, il nostro satellite darà vita a una bella congiunzione con Spica e Marte, che questa volta potrà essere seguito a partire dalle 21:30 del 18 marzo. All’ora indicata nella illustrazione (in orientamento altazimutale) i tre oggetti saranno alti circa +12° sull’orizzonte di est-sudest, con la Luna situata 1,2° da Spica e 4° da Marte.

ASSOCIAZIONE CASCINESE

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10.03: Corso base di Astrofotografia con Digitale Reflex e camera WEB, lezione pratica con gli strumenti sul campo. Presso “Parco Collodi” Via Porto Santa Lucia a San Benedetto (Cascina).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Global Test 179 – la montatura ibrida Meade LX80

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GLOBALTEST, un NUOVO FORMAT per i TEST STRUMENTALI

E’ cominciata con il n. 178 di Coelum Astronomia una nuova rubrica tecnica in cui saranno presentati più prodotti, ognuno dei quali corredato dal giudizio “collettivo” (medio e ponderato) di utenti ed esperti di tutto il mondo che hanno già avuto modo di usarli e di esprimere il loro parere.
Questo tipo di recensione “allargata” al web – che include i siti web personali, i forum e i social network – nelle nostre intenzioni dovrebbe permettere ai lettori – o almeno lo speriamo – di farsi un’idea più oggettiva delle qualità e degli eventuali limiti e difetti della strumentazione presente sul mercato, orientando pertanto in modo più preciso i futuri acquisti. La rubrica “cartacea” verrà inoltre affiancata da contenuti multimediali che verranno segnalati nel testo (tramite link e QR-code) e raccolti in queste pagine, per approfondire e completare quanto scritto sulla rivista.

Ovviamente ci attendiamo dai lettori molti suggerimenti su come migliorare questo nuovo servizio.

Riportiamo quindi di seguito i video e i link ai contributi, nell’ordine in cui vengono proposti, della rubrica Global Test pubblicata sul n. 179 di Coelum Astronomia a cura di Plinio Camaiti (Telescope Doctor).

Dal WEB il parere degli utenti su…

LA MONTATURA IBRIDA MEADE LX80

La presentazione del prodotto dal sito del costruttore

La presentazione del prodotto sul sito dedicato dell’importatore e distributore per l’Italia Skypoint

UNBOXING LX80
video di Jack Huerkamp


Vibrazioni all’oculare

Test vibrazioni all’oculare
video di Jack Huerkamp

recensione di Fabio Bocci (Cocco Bill sul Forum Coelestis)

esperienza dell’utente Max (Forum Yahoogroups, in lingua inglese)


Test “pro” e “contro”

Un elenco di pro e contro sempre dall’utente Max del Forum Yahoogroups e ancora nel thread di Fabio Bocci sul forum Coelestis


EQ drift

video di Jack Huerkamp


LX80 controllata con modulo SkyFi
video del giapponese hawkch77

Rumorosità del GOTO
video di Thomas Mohr


Qualità dell’inseguimento…

video di Jack Huerkamp

…e dell’autoguida

Esperienza dell’utente Jokehoba su Stargazers Lounge


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L’articolo completo è pubblicato su Coelum n.179 – 2014 a pagina 44

Asteroide in dieci cocci

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La sequenza della disintegrazione fotografata dallo Hubble Space Telescope. Crediti: NASA, ESA, D. Jewitt/UCLA
La sequenza della disintegrazione fotografata dallo Hubble Space Telescope. Crediti: NASA, ESA, D. Jewitt/UCLA

Asteroide disintegrato sotto gli occhi di Hubble

Prima erano tre. Poi cinque. E nell’ultima immagine acquisita dal telescopio spaziale Hubble di frammenti se ne contano dieci. I quattro più grandi hanno un raggio di circa 200 metri, e mettendoli tutti sulla bilancia la lancetta segnerebbe qualcosa come 200mila tonnellate, briciola più briciola meno. Questo è quanto si legge nell’ultimo bollettino – nella fattispecie, un articolo appena pubblicato su Astrophysical Journal Letters – relativo a P/2013 R3: un oggetto individuato per la prima volta il 15 settembre del 2013 dai telescopi delle survey CatalinaPan-STARRS, a circa mezzo miliardo di km dal Sole, nella cosiddetta Fascia principale.

Come molti altri oggetti scoperti recentemente nella regione fra Marte e Giove, P/2013 R3 rientra nella categoria delle “comete della fascia principale”: corpi celesti che si muovono come asteroidi ma si comportano come comete. In che senso? Per esempio sfaldandosi, come appunto avviene in questo caso. Non solo: ognuno dei dieci frammenti di quel che fu P/2013 R3 è dotato di coda. Dieci piccole appendici polverose simili in tutto e per tutto a quelle delle comete.

Mentre nel caso delle comete, data la loro fragilità, assistere alla frammentazione è un evento abbastanza comune, uno sfaldamento progressivo come questo, avente per protagonista un asteroide della fascia principale, è uno spettacolo inedito persino per veterani come David Jewitt, primo autore dell’articolo: uno che di oggetti del genere, essendo fra coloro che nel 1992 contribuirono alla scoperta della fascia di Kuipert, ne deve aver visti innumerevoli. «Osservare questa roccia cadere a pezzi sotto ai nostri occhi è davvero sorprendente», ammette il ricercatore di UCLA.

Quanto alla causa dello sbriciolamento, anche se ancora non c’è sicurezza assoluta, andando per eliminazione non rimane che dare la colpa al Sole. La prima ipotesi che i ricercatori hanno scartato è quella dell’impatto con un altro asteroide: in tal caso la roccia si sarebbe dovuta disintegrare con molta più violenza, e i frammenti dovrebbero allontanarsi a velocità elevatissime, mentre quelli osservati vanno pigramente alla deriva l’uno rispetto all’altro a nemmeno due chilometri all’ora. Improbabile anche che stia perdendo pezzi per la pressione dei ghiacci interni: la grande distanza dal Sole, rimasta più o meno invariata dagli albori del Sistema solare, fa sì che la temperatura dell’asteroide sia infatti troppo bassa per giustificare l’ipotesi d’un processo di sublimazione in atto.

Non resta dunque che un bizzarro effetto, detto effetto YORP, dovuto alla luce del Sole, che poco a poco incrementerebbe la velocità di rotazione della roccia fino a mandarla in frantumi sotto l’azione della forza centrifuga. Un’eventualità della quale gli scienziati discutono da anni, quella della disintegrazione per effetto YORP, ma che mai prima d’ora era stata osservata con certezza.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Disintegrating Asteroid P/2013 R3“, di David Jewitt, Jessica Agarwal, Jing Li, Harold Weaver, Max Mutchler e Stephen Larson

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