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Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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14.12: “Racconti di stelle sotto il cielo d’inverno (miti e costellazioni)” e osservazione notturna (apice delle Geminidi).

Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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14.12: “Pan Starrs, la grande cometa in arrivo” di Loris Lazzati.

Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it

Al Planetario di Padova

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Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Un’eclissi dallo spazio, versione low-cost

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Un frame del filmato realizzato dall Eclipser 1. (Catalin Beldea, Marc Ulieriu, Daniel Toma et. al/Stiinta&Tehnica)
Un frame del filmato realizzato dall Eclipser 1. (Catalin Beldea, Marc Ulieriu, Daniel Toma et. al/Stiinta&Tehnica)

Va bene, forse 37 chilometri di altitudine non possono definirsi propriamente “spazio”. Ma l’immagine, o per meglio dire la storia di oggi, hanno il sapore delle migliori avventure scientifiche del secolo scorso. Gli ingredienti potrebbero essere gli stessi: un pallone atmosferico, una piccola telecamera ad alta risoluzione, un team misto di ricercatori, tecnici, astrofili e altri entusiasti pronti a rincorrere l’avventura. E un’eclissi totale di sole, quella del novembre scorso, ripresa per intero e in tutta la sua bellezza, nel filmato “autoprodotto” e realizzato da un pallone lanciato dall’Australia. Un filmato che racconta una bella avventura ma che ha anche il merito di riprendere un interessante fenomeno scientifico da un insolito e privilegiato punto di vista.

Iniziamo dal risultato finale, il video, e dagli uomini (e donne) che hanno fatto l’impresa.
La missione è stata chiamata Eclipser 1, e dietro a questa sigla si cela un team misto australiano e rumeno, messo insieme dalla rivista Stiinta&Tehnica. Hanno fatto parte del team associazioni di astrofili e di radioamatori ma anche enti istituzionali come l’Agenzia Spaziale Rumena (ROSA). A capo del team, Catalin Beldea, un astrofilo che ama definirsi “eclipse chaser”, cacciatore di eclissi. Infine, come in ogni iniziativa che oltre ad essere tecnologica e scientifica, è anche avventura allo stato puro, è necessario uno sponsor tecnico, che Eclipser 1 trova nella Duracell, azienda che ha fornito la benzina necessaria alla realizzazione delle riprese.

Il filmato racconta bene l’atmosfera a partire dai primi momenti coincitati del lancio.
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l filmato realizzato dall Eclipser 1 in cui è visibile l’ombra della luna sulla Terra. (Catalin Beldea, Marc Ulieriu, Daniel Toma et. al/Stiinta&Tehnica: http://www.youtube.com/watch?v=W_9eYcGIT88)
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A 25000 metri di altitudine iniziano le riprese altalenanti e poco stabilizzate dell’orizzonte terrestre sul quale si proietta l’ombra dell’eclisse che cresce da ovest, viaggiando alla velocità di circa 1 km/s, fino a diventare totale. Il cono d’ombra creato dalla Luna si vede poi allontanarsi sull’oceano. Le inquadrature continuano a susseguirsi, con la telecamera che ruota e sobbalza nel suo silenzioso viaggio verso lo spazio. La telecamera si alza nell’atmosfera fino ad arrivare ad un’altezza massima di 36 800 metri, la terza altitudine mai raggiunta da pallone nei cieli australiani.
A questa altitudine, il pallone esplode per le condizioni di temperatura e pressione (temperatura di circa -80°C e pressione inferiore all’1% della pressione a livello del mare). Al minuto 7:06, è chiaramente visibile l’esplosione e i pezzi del pallone che volano molto velocemente in tutte le direzioni, incontrando un’atmosfera molto rarefatta a rallentare il loro percorso. Da qui, inizia una caduta libera che continua per 19 000 metri, fino al dispiegamento del paracadute che accompagna a terra, in un atterraggio poco delicato sopra la cima di un albero, quello che rimane dell’Eclipser 1. Si immagina facilmente l’avventuroso recupero che verrà effettuato nelle ore seguenti dal team della missione.

A livello tecnico, tutto è stato realizzato in casa e immaginiamo con costi molto molto limitati (anche se una pagina con informazioni dettagliate sulla missione non è disponibile). L’antenna di bordo necessaria per trasmettere la posizione dell’Eclipser è un progetto realizzato dal club YO3KSR di Bucarest. La posizione del pallone è stata monitorata e pubblicata in tempo reale su web grazie al GPS di bordo e al sistema APRS, un sistema gratuito di radiolocalizzazione usato dai radioamatori per seguire postazioni mobili e misurarne in tempo reale posizione, velocità, direzione, status operativo (la mappa della traiettoria del pallone pubblicata online in tempo reale).

Insomma, forse è vero, l’Eclipser 1 non ha il contenuto scientifico né l’azzardo tecnologico delle missioni istituzionali. Ma certamente è bello raccontare un’avventura in cui l’amore per lo spazio e per la scienza ha messo insieme popoli lontani e persone con competenze e ruoli diversi. Tutti, con l’unico (e molto umano) scopo di andare oltre.

Le olimpiadi di Toutatis

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Superstar del mese: l’opposizione di Toutatis.


Il periodo di rivoluzione di Toutatis intorno al Sole è in risonanza 1:3 con quello di Giove e 1:4 con quello della Terra, il che significa che una volta ogni quattro anni, puntuale proprio come le olimpiadi (con le quali sembra essersi sincronizzato), l’asteroide si presenta alla minima distanza con il nostro pianeta. Quest’anno il 12 dicembre, alle 03:20, Toutatis passerà a 6,93 milioni di chilometri (0,0464 UA), raggiungendo la magnitudine +10,5.

Nell'impossibilità di rappresentare con il necessario dettaglio il percorso completo di Toutatis in dicembre, abbiamo selezionato due giorni in cui il piccolo asteroide transiterà tra le Iadi. Il primo tratto è quello che l'oggetto coprirà dalle ore 20:00 del 18 alle 2:00 del 19, mentre il secondo è relativo allo spostamento tra le 20:00 del 19 alle 2:00 del 20. Si tenga presente che Toutatis si sposterà con una velocità angolare di circa 24 primi d'arco l'ora!

Ci limitiamo però a fornire la mappa di una bella regione in cui brillerà quasi al suo massimo, e cioè quella in cui si troverà le sere del 18-19 (le Corna del Toro). Infatti, per effetto della grande eccentricità dell’orbita c’è per Toutatis una forte differenza temporale tra la data del massimo avvicinamento, il 12 dicembre, e quella dell’opposizione geometrica in cui si raggiungerà la massima luminosità.

> A questo link la tabella delle effemeridi orarie per seguirlo nei giorni di maggiore interesse.

Sarà davvero divertente inseguire un oggetto che nel suo momento migliore raggiungerà un moto angolare di quasi 25′ l’ora…

Leggi tutti i dettagli, la storia della scoperta e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 64 di Coelum n.165.

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Due asteroidi in visita alla Terra l’11 dicembre 2012

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L'animazione mostra la Terra come si sarebbe vista dall'asteroide 2012XE54 nel momento in cui si trovava eclissato.

Un nuovo piccolo asteroide appena scoperto di nome 2012 XE54, e (4179) Toutatis (un NEA – Near-Earth Asteroid – del diametro medio di circa 5,4 km, continuamente monitorato, e studiato con attenzione da tempo a causa della sua potenziale pericolosità), “sfioreranno” la Terra nelle prossime 24 ore (leggi anche l’articolo “Le olimpiadi di Toutatis” con le effemeridi per seguire il passaggio  dell’asteroide). Non c’è ovviamente nessun pericolo che colpiscano il nostro pianeta, ma è partita ovviamente la campagna osservativa di professionisti e dilettanti.

Un'animazione del passaggio di 2012 XE54 nel cono d'ombra della Terra, realizzata dall'AFAM dell'Osservatorio di Remanzacco

L’asteroide 2012 XE54, scoperto solo lo scorso fine settimana, il 9 dicembre (vedi i parametri nel sito dell’MPC), passerà tra la Terra e l’orbita della Luna ad una distanza di circa 226 000 km, l’equivalente di 0,6 distanze lunari medie. Il  minimo avvicinamento avverà nelle prossime ore (pomeriggio/sera). Ma sarà comunque interessante seguire anche successivamente l’evento per capire cosa accadrà a questo sasso di  28 metri di diametro, appena uscito dall’ombra della Terra, evento questo abbastanza raro e per questo seguito con attenzione dagli astronomi. Pasquale Tricarico dell’Institute of Planetology aveva infatti previsto che l’asteroide sarebbe passato questa scorsa notte nel cono d’ombra della Terra creando una sorta di eclisse d’asteroide (vedi animazione in basso che mostra l’eclisse come si sarebbe osservata dall’asteroide).

L'animazione mostra la Terra come si sarebbe vista dall'asteroide 2012XE54 nel momento in cui si trovava eclissato.

L’eclisse è inziata alle 02:22 (ora italiana) dell’11 dicembre per terminare circa un’ora più tardi. Chi ha seguito l’evento ha potuto osservare la traccia dell’asteroide sparire per poi ricomparire alla fine dell’eclisse. In un post pubblicato sul forum Mpml asteroid research group message board, Elia Cozzi, del New Millennium Observatory, ha commentato: “In due immagini riprese alle 01:30:16 e 01:31:18 (TU) con una posa di 60 secondi 2012 XE54 appariva come una debole e lunga traccia; nelle immagini successive invece… era sparito. Meraviglioso!” La traiettoria dell’asteroide è stata seguita questa notte anche dall’AFAM di Remanzacco che ha realizzato l’animazione in alto.

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4179 Toutatis invece, con la sua forma simile a una patata bitorzoluta, passerà a una distanza maggiore, pari a circa 6,9 milioni di chilometri dalla Terra, ovvero circa 18 volte la distanza media Terra Luna. Un approfondimento con le effemeridi per seguirlo in questi giorni è disponibile nell’articolo del cielo del mese:  le olimpiadi di Toutatis.

Attenti alla “cintura fotonica”!!!

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DALLA RETE…  Il prossimo 21 dicembre la Terra passera’ per un anello chiamato cintura fotonica; alle 01:00 su Uruguay, Argentina, Cile 00:00, 22:00 Perù, Colombia, Messico 21:00. Quando si spegne completamente sul nostro pianeta ci saranno tre giorni di buio. La NASA ha confermato l’evento il 4 Dicembre. Si dice che quando sara’ completamente buio, si sentirà un flash freddo. “Nulla accadrà, è solo un fenomeno straordinario che si ripete ogni 11 mila anni. Si consiglia di soggiornare nelle case in quanto l’energia non funziona ne’ tanto meno i dispositivi elettronici. I tre giorni di buio passeranno, perché questo era quello a cui si riferiva il calendario Maya.

SE COPI QUESTO NELLA TUA BACHECA SARAI SALVO E AVRAI ENERGIA ELETTRICA E INTERNET PER 3 GIORNI, INFINITI AVOCADO, 3 UNICORNI DI PROTEZIONE E UN ESERCITO DI ELFI PER COMBATTERE L’APOCALISSE ZOMBIE, UN ANGELO PER RESPINGERE I DEMONI… E PARTECIPERAI ALLA LOTTERIA PER L’ARMATURA D’ORO DEL SAGITTARIO. COPIA E INCOLLA NEI PROSSIMI 60 SECONDI PER PARTECIPARE ALLA PROMOZIONE.

Ora Coelum è protetto… e i suoi lettori pure, quelli che si abbonano subito ovviamente, meglio ancora se regalate un abbonamento pure a un elfo ;)!!!!

Jean-Pierre Luminet a Mestre e Venezia

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Il 13 e 14 dicembre prossimi il prof. Jean-Pierre Luminet terrà due conferenze a Venezia e Mestre.

La conferenza di Venezia, il 13 alle ore 17:30, all'”Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti”, è di carattere tecnico sull’astrofisica dei Buchi-Neri.

Quella a Mestre, il 14 alle ore 18:00, organizzata dal Circolo degli Astrofili di Mestre “G. Ruggieri” in collaborazione con il Comune di Venezia, al Municipio in via Palazzo 1, è di tipo storico divulgativo sulla vita di Galileo e Keplero: “L’Occhio di Galileo”.

Il prof. Jean-Pierre Luminet è astrofisico, scrittore, artista e musicista di fama internazionale.
Direttore di ricerca presso il CNRS francese e membro del “Laboratoire Univers et Théories (LUTH)”.
Lavora presso l’Osservatorio di Parigi-Meudon.
Nel 2007 ha vinto il “Prix européen de la communication scientifique\” e a lui la comunità scientifica ha intitolato l\’asteroide 5523-Luminet.
Nel 2003 le sue ricerche sulla cosmologia e la forma dell\’Universo gli hanno valso la copertina di “Nature”.
Ha scritto molti libri:
“L’Occhio di Galileo” (La Lepre edizioni, 2012), “La parrucca di Newton” (La Lepre Edizioni, 2011), “Finito o infinito?” (Raffaello Cortina Editore, 2006), “L’invenzione del big bang” (Dedalo, 2006), “La segreta geometria del cosmo” (Raffaello Cortina Editore, 2004) e “Buchi Neri” (Marco Nardi Editore, 1992).

Patrick Moore (1923-2012)

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Sir Patrick Moore si è “spento serenamente” – come dichiarato in un comunicato rilasciato dagli amici intimi che l’hanno assistito – alle 12.25 di oggi 9 dicembre 2012″ a Farthings, la sua casa di Selsey nel West Sussex, all’età di 89 anni. “Dopo aver trascorso un breve periodo in ospedale la scorsa settimana, compreso che nessun altro trattamento medico avrebbe potuto più giovargli, ha espresso il desiderio di trascorrere i suoi ultimi giorni nella propria casa, in compagnia degli amici più stretti e del suo gatto Tolomeo”.

“Nel corso degli ultimi anni, Patrick, fonte di ispirazione per generazioni di astronomi, ha combattuto molte battaglie contro le gravi malattie che l’hanno afflitto, continuando sempre però a lavorare e a scrivere con grande stile; questa volta però il suo fisico era troppo debole e non è riuscito a superare l’infezione contratta qualche settimana fa.”

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Astronomo britannico e giornalista “eccentrico e senza paura”(come l’ha definito il suo più caro amico), Sir Patrick è noto in tutto il mondo per la sua attività di divulgazione. Ha presentato il programma della BBC “The Sky At Night” per oltre 50 anni, potendo così vantare il record della più lunga partecipazione allo stesso programma televisivo: ha infatti presentato la prima edizione di The Sky at Night il 24 aprile 1957, e la sua ultima apparizione è stata quella all’episodio trasmesso lunedì scorso!
Ha scritto decine e decine di libri tra saggi e manuali di astronomia (il primo “Guide to the Moon,” nel 1953, l’ultimo “Un anno intero sotto il cielo” nel 2007), e racconti di fantascienza, che sono stati tradotti e pubblicati in tutto il mondo.

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Patrick Alfred Caldwell-Moore è nato a Pinner, Middlesex il 4 marzo 1923. A causa di problemi al cuore che ne hanno segnato la salute per tutta la vita, ha trascorso gran parte della sua infanzia a casa, educato da un tutore privato. Nella sua autobiografia (Patrick Moore: The Autobiography, 2003) Sir Patrick racconta che la sua passione per l’astronomia gli nacque allora, grazie a un libro di G.F. Chambers, “La storia del Sistema Solare”, regalatogli dalla madre Gertrude.
Dopo la guerra, si è dedicato all’insegnamento, prima a Woking e poi a Holmewood, per poi iniziare la carriera di divulgatore con i suoi primi libri.

Nel 1965, è stato nominato Direttore del Planetario di nuova costruzione Armagh in Irlanda del Nord, incarico che ha ricoperto fino al 1968. Dopo il suo ritorno in Inghilterra ed essersi stabilito a Selsey nel West Sussex, si è occupato della riqualificazione del Grande Telescopio di Lord Rosse a Birr Castle e dello sviluppo del Museo Herschel of Astronomy a Bath.

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Ha fatto la sua prima apparizione televisiva nel 1950 in un dibattito sull’esistenza di dischi volanti a seguito di una ondata di avvistamenti. In seguito, è stato invitato a presentare un programma di astronomia dal vivo “The Sky at Night” il cui primo episodio, andato in onda alle 22:30 del 26 aprile 1957, era dedicato alla Cometa Arend-Roland. Da allora Moore ha presentato ogni episodio di ogni mese fino al luglio 2004, data dalla quale il programma è stato presentato dalla casa di Moore, in quanto non era più in grado di viaggiare a causa dell’artrite.

Un collage degli oggetti compresi nel Caldwell Catalogue. Cortesia Roberto Mura

Nel 1966 è stato eletto membro della Unione Internazionale Astronomica, unico astronomo dilettante a far parte della IAU. E’ stato anche presidente della British Astronomical Association, e co-fondatore della Society for Popular Astronomy (SPA). Nel 1982 ha compilato il Caldwell catalogue, un catalogo di 109 oggetti celesti (ammassi stellari, nebulose e galassie) alla portata degli astronomi dilettanti, in seguito al quale gli è stato dedicato l’asteroide 2602 Moore.

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Come da lui stesso richiesto, i suoi esecutori e amici intimi intenzione stanno predisponendo una tranquilla cerimonia di sepoltura. Mentre, il prossimo marzo, in occasione di quello che avrebbe dovuto essere il suo 90° compleanno, si celebrerà un Evento Pubblico di addio al grande divulgatore.

Corso di ASTRONOMIA PER TUTTI – 2012 “L’Universo come non l’hai mai visto”

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Le lezioni, tenute dagli esperti del Gruppo Divulgatori della Società Astronomica Italiana Sezione Puglia, si svolgeranno presso il:
Punto vendita Salmoiraghi & Viganò di Bari – Via Piccinni 92 – ogni mercoledì alle ore 20,00 a partire dal 14 novembre 2012

12.12: Gli strumenti astronomici e accessori. Guida all’acquisto di telescopi e accessori.

Le iscrizioni saranno raccolte direttamente nel negozio di Via Piccinni, versando una quota individuale pari a 60,00 euro che comprende l’abbonamento alla rivista Coelum
Astronomia (semestrale cartacea o annuale on line), materiale didattico e gadget. Il limite massimo è di 20 partecipanti per corso, al termine del quale verrà rilasciato un diploma
di partecipazione e la possibilità di accedere in via esclusiva a sconti.
Per informazioni e prenotazioni:
www.saitpuglia.it – www.thelunarsociety.it – www.salmoiraghievigano.it

Al Planetario di Ravenna

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11.12: “La stella di natale” di Massimo Berretti.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Echi dal passato in tutta la galassia

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Una nuova classe di galassie è stata identificata grazie alle osservazioni del Very Large Telescope, del telescopio Gemini Sud e del CFHT (Canada-France-Hawaii Telescope). Soprannominate galassie “green bean” (fagiolino) a causa del loro aspetto insolito, risplendono della luce intensa emessa da un enorme buco nero centrale supermassiccio e sono tra gli oggetti più rari dell’Universo.

Molte sono le galassie che possiedono un buco nero centrale che illumina il gas circostante; nel caso delle galassie “fagiolino”, invece, è l’intera galassia a risplendere, non solo il nucleo. Queste nuove osservazioni hanno perciò rivelato le regioni più grandi e brillanti mai trovate finora, che si pensa risplendano sotto l’influsso di un buco nero centrale, molto attivo nel passato ma che ora si sta spegnendo.

La scoperta è stata realizzata da Mischa Schirmer (in forze all’Osservatorio Gemini Sud – Cile) che, mentre esaminava immagini del lontano universo alla ricerca di ammassi di galassie, si è imbattuto in uno di questi oggetti in una delle riprese deep-field effettuate con lo strumento MegaCam CFHT(nell’ambito della Survey CFHT Legacyrecentemente conclusasi), rimanendo stupefatto: sembrava una galassia, ma era di un verde brillante e diversa da qualsiasi altra galassia che avesse mai visto prima… insomma, qualcosa di totalmente inaspettato.

“Ho subito inviato una proposta di osservazione al VLT dell’ESO per scoprire che cosa stava producendo quella strana luce verde [1] e L’ESO, molto rapidamente, mi ha concesso tempo speciale di osservazione e pochi giorni dopo la sottomissione della proposta questo oggetto bizzarro era stato osservato con il VLT”, dice Schirmer. “Dieci minuti dopo l’osservazione in Cile, avevo i dati nel mio computer in Germania. Ben presto ho ri-orientato  tutta la mia attività di ricerca, poichè sembrava chiaro che mi ero imbattuto in qualcosa di veramente nuovo”.

L'immagine della scoperta di J224024.1−092748 con CFHT MegaCam. Credit: CFHT-Schirmer.

Il nuovo oggetto è stato chiamato J224024.1−092748 o J2240, si trova nella costellazione dell’Acquario e la sua luce ha impiegato circa 3,7 miliardi di anni per raggiungere la Terra. Dopo la scoperta, l’equipe di Schirmer ha esaminato una lista di quasi un miliardo di galassie [2] trovandone altre 16 con proprietà simili, confermate poi da osservazioni effettuate al telescopio Gemini Sud.

Queste galassie sono così rare che in media se ne trova solo una per ogni cubo di 1,3 miliardi di anni luce di lato. Questa nuova classe di galassie è stata soprannominata “green bean” (galassie “fagiolino”) a causa del loro colore e al fatto che assomigliano – ma in grande – alle galassie “green pea” (galassie “pisello verde”) [3]. In molte galassie, la materia che circonda il buco nero supermassiccio centrale emana un’intensa radiazione e ionizza il gas circostante in modo da farlo brillare. Queste brillanti regioni  sono però di solito di piccole dimensioni, fino al 10% del diametro della galassia. Invece, le osservazioni di J2240 hanno mostrato che in questo caso (come anche nelle altre galassie “fagiolino” finora individuate), questa regione è veramente enorme, grande come l’intera galassia: l’ossigeno ionizzato si illumina di verde brillante, il che spiega il colore strano che ha attirato fin dal principio l’attenzione di Schirmer.

“Queste regioni incandescenti sono delle fantastiche sonde che ci possono permettere di capire meglio la fisica della galassie, è come infilare un termometro in una galassia lontanissima” dice Schirmer. “Di solito, infatti, non sono molto grandi nè molto luminose e possono essere individuate solo in alcune galassie vicine. Invece le galassie appena scoperte contengono regioni incandescenti così grandi e brillanti che possono essere osservate in gran dettaglio, anche se molto lontane”.

Ma le stranezze non sono finite qui. La successiva analisi dei dati da parte dell’equipe ha rivelato infatti un altro rompicapo. J2240 sembrava avere un buco nero non molto attivo al centro, sicuramente meno di quanto ci si attendesse dalla dimensione e dall’intensità della regione illuminata. L’equipe pensa che le regioni incandescenti siano un’eco del passato, di quando cioè il buco nero centrale era molto più attivo, e che diventeranno sempre meno brillanti a mano a mano che le ultime radiazioni dal buco nero attraversando la galassia si perderanno nello spazio [4].

Queste galassie perciò potrebbero essere anche degli evidenziatori di una fase fugace nella vita della galassia.

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Credit: CFHT/ESO/M. Schirmer. Music: movetwo

Nell’Universo primordiale le galassie erano mediamente più attive, gli enormi buchi neri al centro crescevano inghiottendo il gas e le stelle circostanti producendo così fino a 100 volte più luce di tutte le stelle della galassia messe insieme. Eco luminose come quella vista in J2240 permettono agli astronomi di studiare il processo di spegnimento dei nuclei attivi e di comprendere meglio la loro storia: di quando, come e perchè smettono, e perchè ora vediamo solo una piccola frazione attiva nelle galassie più giovani. Questo è il prossimo obiettivo dell’equipe, che verrà perseguito con ulteriori indagini spettroscopiche e con i raggi X. “Scoprire qualcosa di veramente nuovo è il sogno fatto di un astronomo che diviene realtà, un evento unico nella vita”, conclude Schirmer. “È molto stimolante!”

Indice dei contenuti

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Ulteriori Informazioni

Questo lavoro è stato presentato nell’articolo “A sample of Seyfert-2 galaxies with ultra-luminous galaxy-wide NLRs – Quasar light echos?”, che verrà pubblicato sulla rivista “The Astrophysical Journal”.

L’equipe è composta da M. Schirmer (Gemini Observatory, Cile; Argelander-Institut für Astronomie, Universität Bonn, Germania), R. Diaz (Gemini Observatory, Cile), K. Holhjem (SOAR Telescope, Cile), N. A. Levenson (Gemini Observatory, Cile) e C. Winge (Gemini Observatory, Cile).

Note
[1] Gli astronomi hanno studiato l’oggetto con il potente spettrografo X-Shooter sul VLT. Dividendo la luce nei suoi colori componenti hanno potuto identificare la composizione del materiale che produce la radiazione e scoprire perchè era così luminoso.
[2] La ricerca ha fatto uso dell’enorme database online dalla SDSS (Sloan Digital Sky Survey).
[3] Le galassie “green pea” (“pisello verde”) sono piccole e luminose e sono in un periodo di vigorosa formazione stellare. Sono state identificate per la prima volta nel 2007 dai partecipanti al progetto di crowd-sourcing “Galaxy Zoo”. A differenza dei “fagiolini”, queste galassie sono molto piccole – la nostra galassia, la Via Lattea, contiene una massa equivalente a quella di 200 galassie “pisello verde”. La somiglianza tra galassie “fagiolino” e galassie “pisello verde” è solo nell’aspetto e la maggior parte di esse non sono strettamente collegate.
[4] In molte galassie attive la vista del buco nero centrale è bloccata da grandi quantità di polvere, che rendono difficile misurare l’attività del buco nero. Per controllare se le galassie “fagiolino” sono veramente diverse dalle altre galassie in cui il centro è oscurato, gli astronomi hanno controllato la radiazione prodotta da queste galassie a lunghezze d’onda infrarosse, molto più lunghe di quelle visibili, che penetrano anche le nubi spesse di polvere. Le regioni centrali di J2240 e delle altre galassie “fagiolino” si sono rivelate molto più deboli del previsto. Ciò significa che realmente il nucleo attivo è molto più debole di quanto si deriva dalla luminosità delle nubi incandescenti.

Il GRAIL della gravita’ lunare

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Cara, vecchia, familiare – ma ancora sorprendente – Luna. Il nostro satellite naturale, il più vicino e per certi versi più studiato dei corpi celesti, ha ancora molte storie da raccontarci. La sua geologia superficiale viene studiata da secoli da Terra, e da decenni per mezzo di missioni spaziali, e rivela tracce di grandi impatti ed eruzioni vulcaniche nel passato. Ma nel corso del tempo il bombardamento di meteoriti ha cancellato la maggior parte delle tracce delle prime fasi della vita della Luna. E gli astronomi hanno ancora relativamente pochi dati su quello che c’è sotto la superficie della Luna, là dove restano i segni della sua storia.

Un grande salto di qualità nella conoscenza della crosta lunare arriva con i primi risultati della missione GRAIL (Gravity Recovery and Interior Laboratory) della NASA, pubblicati in tre diversi articoli sul numero di questa settimana di Science.

GRAIL, lanciata nel settembre 2011, ha il compito di studiare il campo gravitazionale lunare e, in base a questo, dedurre dettagli della topografia e composizione della crosta sottostante. Si basa su due sonde che orbitano attorno alla Luna in formazione, a una distanza prefissata l’una dall’altra. Quando una delle due passa su qualcosa (un rilievo, o una zona di diversa composizione geologica) che altera il campo gravitazionale, la distanza dalla sonda gemella varia leggermente. Messe assieme, queste variazioni permettono di costruire una mappa estremamente dettagliata della gravità della Luna.

La mappa, in proiezione Mercatore, delle variazioni della gravità lunare misurate da Grail. Il rosso corrisponde a maggiore attrazione gravitazionale, il blu a minore. Il lato oscuro è quello al centro della mappa. Credit: NASA/ARC/MIT

Lo stesso concetto era stato usato con grande successo sulla Terra dalla missione GRACE. Sulla Luna, questa scelta serviva ad aggirare il problema creato dal fatto che la Luna rivolge sempre la stessa faccia alla Terra, rendendo impossibile una misura fatta, per esempio, con una singola sonda che invii a terra un segnale radio: dalla faccia nascosta non arriverebbe nessun segnale. Ecco quindi l’idea di usare due satelliti che misurano la loro posizione relativa, anziché quella rispetto alla Terra. Se la missione GRACE, sulla Terra, usava il GPS per misurare le posizioni dei due satelliti, qui si è usato invece un “classico” tracking basato su segnali radio.

“I primi risultati dalla missione GRAIL appaiono estremamente importanti, e in linea con le aspettative createsi attorno alla missione stessa” commenta Roberto Peron, che fa parte del gruppo di gravitazione sperimentale dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’INAF , gruppo diretto da Valerio Iafolla. “I due satelliti della missione GRAIL hanno prodotto i dati che sono stati utilizzati dagli autori dell’articolo per sviluppare un modello del campo gravitazionale lunare con una risoluzione mai raggiunta in precedenza.”
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Un buon esempio del livello di dettaglio raggiunto da GRAIL sono le macchie bianche visibili nelle mappe, corrispondenti ai cosiddetti masconi, forti anomalie gravitazionali dovute a particolari concentrazioni di massa al di sotto della superficie. In particolare, sono dovuti a una forte concentrazione di massa basaltica di origine vulcanica. “I risultati della missione contribuiranno a porre vincoli sulla struttura e composizione interna della Luna, e a chiarire gli aspetti ancora sconosciuti sulla sua formazione ed evoluzione” commenta Peron.

In particolare, il “leit motif” della missione GRAIL, spiega Maria Zuber del Massachusetts Institute of Technology che guida il team scientifico della missione, è lo studio del ruolo degli impatti nella formazione della crosta lunare. E i dati di GRAIL parlano chiaramente di una crosta che è stata letteralmente bersagliata dai meteoriti: la crosta è infatti percorsa da fratture che vanno da sottilissime fessure a vere e proprie faglie che raggiungono decine di chilometri di profondità. Oltre a frammentare profondamente la crosta, gli impatti hanno avuto l’effetto di renderla più omogenea in densità. Un altro dato che emerge dalla missione è che la crosta lunare sembra più sottile di quanto si credesse: fra i 34 e i 43 chilometri, e non tra i 50 e i 60 come si credeva.

“Lo studio si concentra soprattutto sulla crosta” nota Peron. “A questo punto quello su cui mancano ancora informazioni definitive è il nucleo”. Peron ricorda a questo proposito che una proposta di missione tutta italiana, basata sullo stesso concetto della doppia sonda, era stata presentata qualche anno fa e portata fino alla conclusione della Fase A da un gruppo di ricerca guidato dalla scomparsa Angioletta Coradini. La proposta comprendeva anche l’uso di un accelerometro simile allo strumento ISA, sviluppato per la missione Bepi Colombo e di cui Valerio Iafolla è Principal Investigator. “Pur se la proposta MAGIA non ha avuto seguito nelle fasi successive, l’idea di utilizzo di un accelerometro ad elevata sensibilità per l’esplorazione lunare è stata portata avanti nel contesto di un rinnovato interesse di un’esplorazione diretta – con lander automatici – della superficie lunare. Infatti un accelerometro come ISA funziona allo stesso modo sia a bordo di una sonda che a terra, lavorando in quest’ultimo caso come sismometro. Una sua eventuale presenza contribuirebbe ad un monitoraggio pressoché continuo del sito di allunaggio, producendo al tempo stesso osservazioni scientifiche utili a caratterizzare meglio lo stato fisico del nucleo lunare, cosa che non sembra rientrare tra gli obiettivi scientifici prioritari di GRAIL”.

GEMINIDI: l’appuntamento è per la mezzanotte del 13

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A sinistra, la posizione del radiante delle Geminidi rispetto alle stelle della costellazione da cui lo sciame prende il nome. Verso la mezzanotte del 13/14 dicembre, orario previsto per il massimo, il radiante sarà già alto circa +60° sull’orizzonte est. A destra, una splendida ripresa fotografica di un fireball delle geminidi realizzata dall’americano Wally Pacholka nel dicembre 2009 dal deserto del Mojave.

A sinistra, la posizione del radiante delle Geminidi rispetto alle stelle della costellazione da cui lo sciame prende il nome. Verso la mezzanotte del 13/14 dicembre, orario previsto per il massimo, il radiante sarà già alto circa +60° sull’orizzonte est. A destra, una splendida ripresa fotografica di un fireball delle geminidi realizzata dall’americano Wally Pacholka nel dicembre 2009 dal deserto del Mojave.

Lo sciame delle Geminidi, forse il più attivo e costante negli ultimi anni, si manifesta in genere nel periodo che va dal 7 al 17 dicembre, ed è l’unico (tra quelli conosciuti) che sembra essersi generato da un asteroide (3200 Phaethon, che è probabilmente il residuo di una cometa estinta) e non da una cometa. Sembra inoltre che abbia cominciato a manifestarsi solo dopo l’anno 1750 e che già dalla fine di questo decennio la Terra potrebbe non attraversare la parte più densa della nube di detriti.

Il radiante è situato circa 2° a nordovest di Castore, la stella alfa della costellazione dei Gemelli.

L’attività di quest’anno, con un massimo previsto verso le 23:30 TU del 13 dicembre (le 0:30 del 14 in Italia) sarà favorita dalla completa assenza del disturbo lunare. Le stime più recenti parlano di un picco di attività di circa 120 meteore osservabili in un’ora.

Inaugurato a Napoli il VLT Survey Telescope con una nuova immagine della Nebulosa della Carena

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Il più recente telescopio all'Osservatorio del Paranal dell'ESO, in Cile - il VST (VLT Survey Telescope) - è stato inaugurato il 6 dicembre 2012 all'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) - Osservatorio di Capodimonte, a Napoli. In questa fotografia scattata durante la cerimonia si vedono, da sinistra a destra: Roberto Tamai (ESO), Massimo Della Valle (Direttore di INAF-OAC), Luigi De Magistris (sindaco di Napoli), Giovanni F. Bignami (Presidente dell'INAF), Massimo Capaccioli (Principal Investigator del VST), Bruno Leibundgut (ESO) e Pietro Schipani (Project Engineer del VST). Crediti: ESO/Enrico Cascone (INAF-OACN)

“Sono molto contento di essere qui, non solo come rappresentante della città ma anche come napoletano”. Così il sindaco di Napoli Luigi De Magistris intervenendo alla cerimonia inaugurale del VLT Survey Telescope (VST) svoltasi all’Osservatorio Astronomico di Capodimonte dell’INAF.

Presente il Presidente dell’INAF, Giovanni Bignami, la cerimonia è stata aperta dal saluto del Direttore dell’osservatorio, Massimo Della Valle seguito dal principale promotore del VST, Massimo Capaccioli che ha illustrato genesi e evoluzione del progetto, ricordando come questo telescopio ad ampio campo è operativo da un paio d’anni all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile.

“L’Osservatorio Astronomico di Capodimonte – ha detto ancora il sindaco del capoluogo campano – è una delle eccellenze della scienza e della cultura napoletana e, visitando la nuova area museale, molto mi è piaciuta la sensibilità di mettere insieme storia, scienza e cultura. Nel mio piccolo farò il possibile perché realtà come questa e i tesori che contengono, come il volume di Copernico con le correzioni a penna dell’inquisizione, siano promosse meglio”.
“La scienza – ha concluso De Magistris – è un settore su cui Napoli deve investire sia in termini di risorse umane, competenza e passione oltre ovviamente che finanziariamente sollecitando anche il coinvolgimento di investitori privati”.

Questa spettacolare regione di formazione stellare nota come Nebulosa della Carena è stata osservata in gran dettaglio dal VST (VLT Survey Telescope) all'Osservatorio del Paranal dell'ESO il 5 giugno 2012 e pubblicata il 6 dicembre 2012 in occasione dell'inaugurazione del telescopio a Napoli. Crediti: ESO. Acknowledgement: VPHAS+ Consortium/Cambridge Astronomical Survey Unit

Nel suo intervento il Presidente Bignami ha sottolineato come la ricerca astrofisica italiana sia un’eccellenza mondiale, che ha una grande tradizione, dai duecento anni dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, ai 250 di quello di Brera, ricordando come i fisici italiani siano tutti figli di Fermi. “E sono lieto di annunciarlo – ha concluso Bignami – l’Italia, con l’INAF, ha dato il sostegno fondamentale perché si realizzasse il più grande telescopio ottico al mondo, l’Extremely European Large Telescope (E-ELT)” sottolineando il forte coinvolgimento che avrà nella sua realizzazione il nostro paese.

Al futuro ha fatto riferimento anche Massimo Della Valle nel suo saluto di benvenuto sottolineando come dopo il VST l’Osservatorio è impegnato in molti nuovi e importanti progetti, ai quali “danno un contributo fondamentale i giovani ed eccellenti ricercatori che qui lavorano”.

Per l’occasione l’ESO, rappresentato da Roberto Tamai, ha rilasciato una nuova immagine, della Nebulosa Carinae, realizzata con il VST e catturata in occasione della visita del presidente cileno all’Osservatorio di La Silla.


Il VST è un telescopio all’avanguardia di 2,6 metri di diametro, equipaggiato con l’enorme camera da 268 milioni di pixel, OmegaCAM. È stato progettato per ottenere grandi mappe del cielo di altissima qualità in modo rapido. Il VST è una joint-venture tra l’ESO e l’INAF, mentre OmegaCAM è stata prodotta dal consorzio OmegaCAM [1]. Questo nuovo telescopio è il più grande telescopio al mondo esclusivamente dedicato alle survey del cielo in luce visibile.

Questa regione di formazione stellare è una delle più importanti e più fotografate del cielo australe. È stata già ritratta in molte immagini con i telescopi dell’ESO (eso1208, eso1145, eso1031, eso0905), ma la nube di gas luminoso è molto estesa e perciò è difficile che i telescopi più grandi possano studiarne più di una piccola porzione per volta. Ciò la rende invece un obiettivo ideale per il VST e la sua camera OmegaCAM. Il VST produce immagini molto nitide grazie alla sua ottica di alta qualità e alle eccellenti condizioni del sito osservativo. Inoltre, poichè è stato progettato per survey del cielo, ha anche un ampio campo di vista che può riprendere quasi tutta la Nebulosa della Carena in una singola immagine.

La nebulosa era dunque il soggetto ideale da ritrarre durante la visita all’Osservatorio del Paranal del 5 giugno 2012 (eso1223) del Presidente del Cile, Sebastián Piñera, accompagnato dalla moglie, Cecilia Morel, graditi e illustri ospiti invitati a partecipare alle osservazioni con il VST. L’immagine che il Presidente ha contribuito a ottenere è stata combinata con altre immagini recenti della Nebulosa della Carena ottenute con il VST, per produrre infine una delle panoramiche più colorate e ricche di dettagli di questo oggetto.

La Nebulosa della Carena è un’enorme incubatrice stellare, a circa 7500 anni luce della Terra nella costellazione della Carena [2]. Questa nube incandescente di gas e polvere è una delle regioni di formazione stellare più vicine alla Terra e comprende molte delle stelle più brillanti e massicce che si conoscano. La Nebulosa della Carena è un laboratorio ideale per gli astronomi che studiano la nascita violenta e l’inizio della vita delle stelle.

Il colore rosso dominante nell’immagine proviene dall’idrogeno gassoso della nebulosa che diviene incandescente sotto l’azione della luce ultravioletta dalle molte stelle giovani e calde [3]. Sono visibili anche altri colori, dovuti a diversi elementi del gas, cosi come molte nubi di polvere. Appena sopra il centro dell’immagine si trova la stella brillante Eta Carinae (eso0817). Questa stella enorme e altamente instabile è divenuta incredibilmente brillante nel diciannovesimo secolo ed è un buon candidato per una prossima esplosione di supernova.

Fonte ESO

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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07.12: “50 anni di astronomia a raggi X” Laura Proserpio, ricercatrice dell’osservatorio di Merate.

Per info: Tel. 0341 367 584
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Earth at Night

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UNA SOTTILE FALCE DI... TERRA. Questo mosaico è stato ottenuto dalle immagini del satellite Suomi ottenute dopo ben 312 orbite attorno alla Terra.

Questo bellissimo e suggestivo (e anche un po’ inquietante…) video mostra una visuale notturna della Terra dallo spazio, senza nuvole, così come è stata acquisita  dal satellite della Suomi National Polar-orbiting Partnership (partnership nella quale collaborano NASA e NOAA).

Il video è stato montato utilizzando le ultime immagini catturate dal satellite della Suomi NPP (nell’aprile 2012 e in ottobre 2012) grazie al sensore DNB (day-night band) della sua Visible Infrared Imaging Radiometer Suite (VIIRS), che rileva la luce di lunghezza d’onda compresa tra il verde e il vicino infrarosso, riuscendo quindi a distinguere ed esaltare le luci più deboli come apputo le luci delle città, ma anche, ad esempio, i brillamenti di gas, le aurore, gli incendi e la luce riflessa della Luna.

UNA SOTTILE FALCE DI... TERRA. Questo mosaico è stato ottenuto dalle immagini del satellite della Suomi NPP ottenute dopo ben 312 orbite attorno alla Terra per avere riprese dettagliate di ogni parte dei continenti e delle isole della Terra. Credit: NASA Earth Observatory/NOAA NGDC

I nuovi dati, combinati ad altre riprese della Terra vista di notte ottenute dal NASA Earth Observatory, grazie alla mappattura elaborata dal NOAA’s National Geophysical Data Center sulle immagini  del precedente progetto  The Blue Marble Next Generation, assumono una forma tridmensionale, fornendo in questo modo una realistica visione del pianeta.

Credit: NASA Goddard/NASA’s Earth Observatory/NOAA/DOD


› Video high-res

Associazione Astrofili Centesi

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07.12: “Giove: il gigante del sistema solare”. Al telescopio: Giove, la nebulosa di Orione e le Pleiadi

Per info: cell. 3468699254
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Vulcani attivi su Venere? Un nuovo studio rafforza l’ipotesi

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Una rappresentazione artistica di un vulcano attivo su Venere, la cui presenza sul pianeta è una delle possibili cause ai risultati ottenuti dallo studio della Venus Express dai quali è emersa l'evidenza di immissioni di anidride siolforosa nell'alta atmosfera venusiana (Cortesia ESA/AOES

Venere è un pianeta ancora attivo dal punto di vista geologico? La domanda, una tra le più dibattute nella comunità di scienziati che studiano il ‘gemello bollente’ della Terra, non ha ancora avuto una risposta definitiva, ma nuovi risultati provenienti dalla missione Venus Express dell’ESA rafforzano lo scenario che la superficie del pianeta sia tutt’altro che immutabile e priva di attività vulcanica recente.

Solo due anni orsono l’analisi delle misurazioni condotte dallo spettrometro italiano VIRTIS avevano permesso di identificare tracce di rocce “giovani” in alcune colate laviche sulla superficie venusiana (già osservate in precedenza dalla missione NASA Magellan) e di stimarne l’età geologica in non più di alcune centinaia di migliaia di anni. Oggi, sempre dalla missione Venus Express, ma da un altro strumento, SPICAV (lo spettrometro atmosferico nell’ultravioletto e infrarosso) arrivano nuovi dati sulla composizione dell’atmosfera del pianeta e in particolare sul suo strato esterno, dove è stata rilevata la presenza di anidride solforosa.  Questo composto chimico è assai abbondante negli strati più bassi dell’atmosfera del pianeta, che si stima ne contengano una quantità pari a circa un milione di volte quella presente nell’atmosfera terrestre.

Nel grafico la presenza di anidride solforosa negli strati dell'atmosfera venusiana negli ultimi 40 anni, ricavata dai dataset delle sonde NASA ed ESA (dalla Pioneer Venus alla Venus Express). Credits: Data: E. Marcq et al. (Venus Express); L. Esposito et al. (earlier data); background image: ESA/AOES

La scoperta sorprendente è stata proprio quella di aver trovato anidride solforosa negli strati più alti nella densa cappa gassosa che avvolge Venere, poiché i raggi ultravioletti provenienti dal Sole tendono a disgregare velocemente questa molecola; la sua abbondanza alle quote più alte potrebbe essere spiegata da eruzioni vulcaniche sulla superficie di Venere, che sprigionerebbero verso l’alto enormi sbuffi di anidride solforosa, in perfetta analogia a quello che accade anche sulla Terra.

“I risultati di Venus Express ci danno conferma che il fenomeno visto negli anni ’80 dalla sonda Pioneer Venus della NASA sul decremento dell’abbondanza dell’anidride solforosa (o biossido di zolfo) non è stato un fenomeno occasionale, ma probabilmente ricorrente o per lo meno causato da fenomeni non isolati” commenta Giuseppe Piccioni, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma e Principal Investigator dello spettrometro VIRTIS a bordo di Venus Express. “Una delle cause infatti, come anche ipotizzato per la Pioneer Venus, potrebbe essere stata una ‘iniezione’ di anidride solforosa prodotta da un vulcano attivo capace di spingere questa molecola fino ad altitudini molto elevate, al di sopra delle nubi di Venere, poste ad un’altezza di circa 70 km. Una iniezione di questo tipo può infatti aumentare significativamente l’abbondanza del di questo composto chimico sopra le nubi, per ridursi poi abbastanza rapidamente a causa dell’effetto distruttivo dei raggi ultravioletti solari. Questa ipotesi rafforzerebbe anche i risultati ottenuti con lo strumento VIRTIS e pubblicati su Science circa l’evidenza di un vulcanismo recente mediante le misure infrarosse della superficie di Venere. Certo è che si potrebbero immaginare altri scenari o ipotesi differenti e per certi aspetti più improbabili, quali ad esempio una fluttuazione decennale atmosferica dell’anidride solforosa ma ormai, anche visto altri risultati, possiamo immaginarci Venere sempre più come un pianeta vulcanicamente attivo senza pregiudizi”.

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Venus Express/ESA: Have Venusian volcanoes been caught in the act?

Un suggestivo spiegamento di pianeti il 10, 11 e 12 Dicembre

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10-12dicembre

10-12dicembre

Le mattine del 10, 11 e 12 dicembre, poco prima dell’alba sull’orizzonte sudest, si potrà godere della vista di Mercurio, Venere e Saturno, allineati lungo il tratto di eclittica che attraversa Scorpione, Bilancia e Vergine. A movimentare la scena, una falce di Luna molto sottile attraverserà il campo dando luogo ad una serie di congiunzioni più o meno larghe. All’ora indicata Mercurio sarà alto +6°, Venere +11° e Saturno +25°.

Gruppo Astrofili Rozzano

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Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri i venerdì e sabato: 07/08, 14/15 e 30/31 dicembre.

I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Ecco la “novità” dalla NASA: Curiosity non ha ancora scoperto nulla

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La NASA ha finalmente sciolto il riserbo seguito alle indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi prima da Grotzinger e poi da Elachi, a proposito di notizie “sconvolgenti” forse a proposito del rinvenimento di sostanze organiche, poi smentite dal JPL: in una conferenza a Pasadena, in concomitanza con l’apertura del convegno dei geofisici indicato da Grotzinger come sede di “storiche” comunicazioni, i tecnici di Curiosity hanno confermato che il rover funziona a meraviglia, ma dopo le prime analisi del suolo non ha ancora scoperto nulla di significativo.

“Abbiamo trovato acqua, zolfo e sostanze clorurate nei primi campioni di suolo marziano, a testimonianza di una chimica complessa, ma finora nessuna indicazione chiara se esso contenga composti di carbonio di natura organica” ha dichiarato Paul Mahaffy, del Goddard Space Flight Center.

Almeno non nei campioni prelevati dalla roccia Rocknest, analizzati con lo spettrometro-gascromatografo SAM e con il laboratorio ChemMin; l’APXS e la camera MAHL hanno mostrato una tessitura ed una composizione simili ai terreni analizzati da altre sonde atterrate in luoghi diversi di Marte, confermando la presenza di composti di cloro ed ossigeno, probabilmente i perclorati già individuati dal Phoenix Lander nei pressi del polo nord.

Questi composti, se riscaldati in presenza di carbonio, possono formare facilmente cloroderivati del metano, forse i semplici composti organici indicati inizialmente come gli “organici” dalle indiscrezioni di Grotzinger… ma il metano, se presente, può essere dovuto a contaminazioni di origine terrestre ed aver dato luogo, ancora una volta, a falsi risultati positivi.

Anche l’acqua rilevata non implica necessariamente l’idea di un passato “umido” del pianeta: molecole d’acqua di cristallizzazione sono comunemente contenute in rocce di origine basaltica e nei composti vetrosi rilevati nella sabbia introdotta nel rover.

Come commentare queste notizie, sempre in attesa dei comunicati scientifici ufficiali presentati al congresso dei geofisici americani?

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È una smentita, sicuramente “tombale” agli entusiasmi – troppo facili, ed in verità piuttosto ingenui – creatisi durante l’elaborazione dei primi risultati all’interno dello stesso JPL, che sembra lasciarsi andare con eccessiva frequenza ad atteggiamenti scientificamente non corretti; lo stesso Grotzinger, interrogato a proposito delle sue incaute dichiarazioni alla NPR che hanno dato il via al fiume in piena di “speculations”, ha riconosciuto che la missione “procede alla velocità della Scienza, ed ogni risultato va attentamente controllato prima di essere divulgato”.

I sofisticati strumenti a bordo di Curiosity funzionano bene, ma esistono ombre sia sul metodo di calibrazione interno, sia sulla presenza di contaminanti di origine terrestre, in grado di falsare i risultati; la potenzialità analitica dimostrata è comunque di buon auspicio per le prossime esplorazioni di Gale Crater e Curiosity ha probabilmente davanti a sé ancora molti anni di ricerche anche se, almeno per il momento, sembra che neanche da questa missione potranno forse mai arrivare le “vere” novità che tutti aspettiamo da Marte.

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Sul prossimo numero di Coelum (166) in edicola a gennaio 2013 troverete un articolo di approfondimento sull’intera “singolare” vicenda

Associazione Astrofili Centesi

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Prossimi appuntamenti:
07.12: “Giove: il gigante del sistema solare”. Al telescopio: Giove, la nebulosa di Orione e le Pleiadi.
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Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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07.12: “Dalle stelle.. alla tavola” a cura di Laura Colombo.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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06.12: “Cerere” di Luigi Folcini

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Ghiaccio sul pianeta del fuoco: su Mercurio acqua e molecole organiche

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Credit: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington

Mentre gli occhi di tutto il mondo sono puntati su Marte e su Curiosity [ma, come abbiamo già spiegato  la NASA ha smorzato gli entusiasmi su presunti annunci di portata storica… e forse stasera – dopo l’attesissima conferenza al meeting di San Francisco – ne sapremo di più!], è un altro pianeta del sistema solare a riservare una sorpresa. Gli scienziati hanno confermato la presenza di acqua in forma di ghiaccio su Mercurio (leggi anche Dalla Messenger nuove immagini del Polo Nord di Mercurio), che a questo punto potrebbe anche ospitare molecole organiche (quella a base di carbonio, le stesse che si pensava Curiosity avesse trovato su Marte). La scoperta viene da un lavoro congiunto della NASA, MIT e dell’Università della California: i ricercatori hanno trovato la prova che il piccolo, timido e caldo pianeta, con temperature superficiali che vanno oltre i 400 ° C, nasconde riserve di ghiaccio in alcune zone d’ombra del polo nord. Tutto questo grazie alla sonda Messenger.

Non è una sopresa totale. Le prime speculazioni sulla presenza di ghiaccio su Mercurio risalgono agli anni Novanta, quando osservazioni radar avevano rivelato zone più brillanti nei pressi dei poli del pianeta. Ma mancavano prove certe, arrivate invece grazie alla mappatura completa del pianeta eseguita dall’altimetro laser e dagli strumenti all’infrarosso della sonda Messenger, in orbita attorno a Mercurio dall’aprile 2011.

In questo modo hanno confermato, in alcuni crateri vicono al polo nord che rimangono permanentemente in ombra, la presenza di ghiaccio stabile sulla superficie; e altre zone, poco più a sud, che appaiono leggermente più scure perché il ghiaccio è stabile sotto la superficie, a profondità fino al metro.

«Pensavamo che la scoperta di ghiaccio potesse essere la scoperta più interessante – ha detto Maria Zuber del MIT – ma la scoperta di  materiale più scuro, isolante, che potrebbe nascondere molecole organiche rende il tutto ancora più eccitante». Il modo in cui le zone più scure riflettono la luce è infatti compatibile con la presenza di semplici molecole organiche contenenti carbonio. Tanto l’acqua quanto queste molecole sarebbero arrivate su Mercurio a causa dell’impatto di asteroidi e comete.

I ricercatori ritengono che anche il polo sud abbia il ghiaccio, ma l’orbita di Messenger non ha ancora permesso agli scienziati di ottenere informazioni approfondite su quella regione.

Gli studi proseguiranno almeno per altri due o tre anni: tra il 2014 e il 2015, la sonda terminerà il carburante a sua disposizione, e sarà attratta dalla forza di gravità di Mercurio.

La scoperta è stata pubblicata in tre studi su Science, a firma dei gruppi coordinati dai ricercatori americani Gregory Neumann, del Goddard Space Flight Center della Nasa, David Lawrence, della Johns Hopkins University, e David Paige, dell’università della California a Los Angeles.

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Per saperne di più:

Gruppo Astrofili Rozzano

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06.12: “Cerere” di Luigi Folcini
I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.

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Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero. Inizio ore 21:00.

04.12: “Guido e le stelle del deserto. Racconti di astronomia e di un viaggio impossibile” di Oriano Spazzoli.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Corso di ASTRONOMIA PER TUTTI – 2012 “L’Universo come non l’hai mai visto”

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Le lezioni, tenute dagli esperti del Gruppo Divulgatori della Società Astronomica Italiana Sezione Puglia, si svolgeranno presso il:
Punto vendita Salmoiraghi & Viganò di Bari – Via Piccinni 92 – ogni mercoledì alle ore 20,00 a partire dal 14 novembre 2012

05.12: Viaggio tra i miti delle costellazioni. Descrizione astronomica e mitologica delle costellazioni.

Le iscrizioni saranno raccolte direttamente nel negozio di Via Piccinni, versando una quota individuale pari a 60,00 euro che comprende l’abbonamento alla rivista Coelum
Astronomia (semestrale cartacea o annuale on line), materiale didattico e gadget. Il limite massimo è di 20 partecipanti per corso, al termine del quale verrà rilasciato un diploma
di partecipazione e la possibilità di accedere in via esclusiva a sconti.
Per informazioni e prenotazioni:
www.saitpuglia.it – www.thelunarsociety.it – www.salmoiraghievigano.it

Un disco inedito per ALMA… attorno a una nana bruna!

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Rappresentazione artistica del disco di polvere e gas intorno a una nana bruna. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/M. Kornmesser (ESO)

Non è fatto di vinile come i vecchi ‘33 giri’ né di policarbonato e metallo come i più recenti compact disc, ma è destinato a scalare rapidamente la hit parade, quella delle scoperte astronomiche più significative del 2012. Il disco che è stato identificato da un team guidato da ricercatori italiani e dell’INAF è fatto di polveri con grani che raggiungono le dimensioni del millimetro e circonda una stella, o meglio una quasi stella: la nana bruna Rho-Oph 102, che si trova  in direzione della costellazione di Ofiuco.

La scoperta è sorprendente perché gli astronomi non ritenevano possibile che un simile agglomerato di polveri di queste dimensioni potesse esistere attorno a un oggetto celeste così piccolo, in cui potrebbero formarsi successivamente pianeti di tipo roccioso. Potrebbe essere quindi necessario un ripensamento delle attuali teorie sulla formazione dei pianeti extrasolari rocciosi che, alla luce di questa scoperta, ottenuta grazie ai dati raccolti dal telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) sarebbero molto più numerosi di quanto finora ritenuto.

Una rappresentazione artistica che mostra i grani di polvere cosmica nel disco che circonda una nana bruna. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/L. Calçada (ESO)

“Spiegare la presenza di un disco di polvere con queste caratteristiche attorno ad una stella così piccola è davvero difficile nel quadro della nostra attuale comprensione sulla formazione dei pianeti” dice Leonardo Testi, astronomo dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri attualmente in forza all’ESO, che con la sua collega Antonella Natta, sempre della struttura di ricerca fiorentina, ha partecipato alla scoperta, i cui risultati sono stati appena pubblicati on line in un articolo della rivista The Astrophysical Journal. “Un risultato che viene da lontano, frutto di una decennale attività di ricerca avviata dal personale dell’Osservatorio di Arcetri con le osservazioni del Telescopio Nazionale Galileo e del VLT. E grazie alle eccezionali doti di sensibilità che possiede ALMA siamo finalmente giunti a questa scoperta”.

La regione di formazione stellare Rho Ophiuchi con al centro, identificata dalla croce, la nana bruna ISO-Oph 102 (o Rho Oph 102). L'immagine in luce visibile è ottenuta a partire dai dati della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

L’oggetto celeste attorno al quale è stato scoperto il disco di polveri è la giovane nana bruna ISO-Oph 102, nota anche come Rho-Oph 102, che si trova nella regione di formazione stellare Rho Ophiuchi. Di massa circa 60 volte quella di Giove, ma solo 0,06 volte quella del Sole, la nana bruna è troppo piccola per innescare le reazioni termonucleari che producono la luce delle stelle ma emette tuttavia calore, che è generato dalla sua lenta contrazione gravitazionale, e brilla così di un colore rossastro, molto più debole di una stella normale.

Un obiettivo scientifico ideale per esaltare le qualità di ALMA, che raccoglie la luce di lunghezza d’onda intorno al millimetro, proprio quella emessa dal materiale del disco riscaldato dalla nana bruna. I grani del disco non emettono molta radiazione a lunghezze d’onda maggiori della propria dimensione, perciò si misura una brusca diminuzione di luminosità alle lunghezze d’onda più lunghe. ALMA è uno strumento perfettamente in grado osservare con precisione questa decrescita e misurare così le dimensioni dei grani. Gli astronomi hanno confrontato la luminosità del disco a lunghezze d’onda di 0,89 mm e 3,2 mm. Il calo di luminosità tra 0,89 mm e 3,2 mm non era così ripido come previsto, mostrando così che almeno alcuni dei grani hanno dimensione di un millimetro o più.

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Questo video inizia con una panoramica delle spettacolari regioni centrali della Via Lattea in luce visibile. Si ingrandisce quindi la zona di formazione stellare Rho Ophiuchi, fino alla nana bruna ISO-Oph 102. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/Nick Risinger (skysurvey.org)/Digitized Sky Survey 2 Music: movetwo

Il livello di dettaglio raggiunto dalle osservazioni di ALMA, molto migliore dei telescopi precedenti, ha permesso all’equipe anche di identificare la presenza di monossido di carbonio intorno alla nana bruna. Anche questo è un record, poiché è la prima volta in cui del gas molecolare freddo è stato rivelato in un disco di questo tipo. Questa scoperta, insieme a quella delle dimensioni dei grani di polvere, suggerisce che il disco sia molto più simile di quanto si sospettasse a quelli intorno alle stelle giovani.

Nonostante questi risultati di grande rilievo, ALMA non è ancora nel pieno delle sue potenzialità scientifiche, che raggiungerà nel prossimo anno, quando saranno operative tutte le 66 antenne che comporranno la sua configurazione definitiva. Nel prossimo futuro, una volta completato, ALMA sarà così potente da ottenere immagini dettagliate del disco di Rho-Oph 102 e di altri oggetti. “Saremo presto in grado non solo di rivelare la presenza di piccole particelle nei dischi, ma anche di costruire una mappa della loro distribuzione nel disco circumstellare e di spiegare come interagiscono con il gas da noi trovato nel disco. Questo ci aiuterà a comprendere meglio come si formano i pianeti” sottolinea Luca Ricci, astronomo italiano del California Institute of Technology, USA, che ha guidato la scoperta.

Per saperne di più:

  • il comunicato stampa INAF
  • il comunicato stampa ESO
  • l’articolo ALMA observations of rho-oph 102: grain growth and molecular gas in the disk around a young brown dwarf di Luca Ricci, Leonardo Testi, Antonella Natta, Alexander Scholz  e Itziar de Gregorio-Monsalvo pubblicato online sul sito web della rivista The Astrophysical Journal

La vicenda marziana sta diventando una farsa

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(ANSA) – JPL – Le prime analisi compiute sul suolo di Marte da Curiosity non hanno rilevato segni di materiale organico. E’ quanto ha comunicato oggi la Nasa che definisce anche ”non corrette” le voci e le speculazioni diffusesi su nuove importanti scoperte in queste prime fasi dell’esplorazione del pianeta rosso. (ANSA).

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Il comunicato NASA/Jet Propulsion Laboratory

Le olimpiadi di TOUTATIS

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asteroidi 165

Superstar del mese: l’opposizione di Toutatis.


tabella-asteroidiIl periodo di rivoluzione di Toutatis intorno al Sole è in risonanza 1:3 con quello di Giove e 1:4 con quello della Terra, il che significa che una volta ogni quattro anni, puntuale proprio come le olimpiadi (con le quali sembra essersi sincronizzato), l’asteroide si presenta alla minima distanza con il nostro pianeta. Quest’anno il 12 dicembre, Toutatis passerà a 6,93 milioni di chilometri (0,0464 UA), raggiungendo la magnitudine +10,5.

Nell'impossibilità di rappresentare con il necessario dettaglio il percorso completo di Toutatis in dicembre, abbiamo selezionato due giorni in cui il piccolo asteroide transiterà tra le Iadi. Il primo tratto è quello che l'oggetto coprirà dalle ore 20:00 del 18 alle 2:00 del 19, mentre il secondo è relativo allo spostamento tra le 20:00 del 19 alle 2:00 del 20. Si tenga presente che Toutatis si sposterà con una velocità angolare di circa 24 primi d'arco l'ora!

Ci limitiamo però a fornire la mappa di una bella regione in cui brillerà quasi al suo massimo, e cioè quella in cui si troverà le sere del 18-19 (le Corna del Toro). Infatti, per effetto della grande eccentricità dell’orbita c’è per Toutatis una forte differenza temporale tra la data del massimo avvicinamento, il 12 dicembre, e quella dell’opposizione geometrica in cui si raggiungerà la massima luminosità.

> A questo link la tabella delle effemeridi orarie per seguirlo nei giorni di maggiore interesse.

Sarà davvero divertente inseguire un oggetto che nel suo momento migliore raggiungerà un moto angolare di quasi 25′ l’ora…

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…e non solo: Vesta, Ceres e Brixia negli “Asteroidi” di dicembre


asteroidi 165
La cartina rappresenta il percorso apparente di Cerere, Vesta e Brixia nell'intervallo di tempo che va dall’1 al 31 dicembre. I cerchietti azzurri lungo il percorso segnano il punto in cui l'asteroide si troverà durante l'opposizione nel punto più vicino alla Terra (1,679 UA per Cerere il 19 dicembre; 1,588 UA per Vesta il 9 dicembre e 1,068 UA l'8 dicembre per Brixia). Da notare come quest'ultimo passerà nei pressi di zeta Tauri il 13 del mese. Cliccare sull'immagine per ingrandirla.

Dopo il trailer dell’ultimo numero, dove abbiamo presentato (e in qualche modo anticipato) l’opposizione dicembrina di Ceres e Vesta, poco resta da dire sull’argomento. Posso solo ricordare che, oltre ad essere in opposizione al Sole, i due grandi asteroidi (gemellati dalla comune visita della sonda Dawn) saranno anche in congiunzione tra loro, cosa che non accadeva dal 1996. Come si può vedere anche dalla mappa in alto, Vesta sarà in opposizione intorno al 9 dicembre, e Ceres al 19, quando brilleranno rispettivamente di mag. +6,5 e +6,8. Anche il contorno sarà assolutamente all’altezza… i due oggetti si muoveranno infatti tra le Corna del Toro, oggettivamente uno dei più bei “mille gradi quadrati” del cielo, e alla presenza sfolgorante di un Giove anch’esso in opposizione.

Si può chiedere di più per passare qualche ora serena nella gelida notte di dicembre?

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 64 di Coelum n.165.

PAZIENTIAMO… aspettando le due super comete

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tabella comete
tabella comete
La tabella a lato riporta il sorgere, la culminazione, l’altezza sull’orizzonte astronomico dell’osservatore raggiunta dalla cometa all’istante del transito in meridiano, e il tramonto. Sono quindi indicate: la magnitudine visuale (la magnitudine totale indicata è quella teorica calcolata in base a dei parametri fisici e geometrici; l’effettiva magnitudine visuale delle comete può risultare a volte decisamente diversa da quella tabulata), la distanza dalla Terra (in Unità astronomiche), l’elongazione dal Sole – occidentale “W” (la cometa è visibile alla mattina prima del sorgere del Sole), od orientale, “E” (la cometa è visibile alla sera dopo il tramonto del Sole) – l’Ascensione Retta, la Declinazione e la costellazione in cui si trova. Gli istanti sono topocentrici e calcolati per le 00:00 TMEC per una località situata a 12° di longitudine Est e 42° di latitudine Nord.

Dal punto di vista strettamente osservativo dicembre ci porterà soltanto la cometa C/2012 K5 (Linear), che durante il mese attraverserà velocemente la costellazione dell’Orsa Maggiore e della Lince, migliorando la sua luminosità dalla magnitudine +12,3 alla +10,3. Tutti gli altri oggetti chiomati saranno di magnitudine superiore e, in definitiva, interessanti soltanto per gli amatori esperti impegnati in ricerche particolari (vedi QR-code). Nei mesi passati la K5 Linear ha mostrato una bella coda di polveri, prima sottile poi sempre più larga e luminosa, e si spera che a fine dicembre, quando passerà a 0,3 UA dalla Terra, possa rivelarsi una cometa interessante da fotografare. Del resto, le magnitudini osservate si stanno rivelando inferiori a quelle teoriche e si pensa addirittura che la K5 possa arrivare alla +8 entro fine mese e alla +7 in gennaio. Per ciò che riguarda invece le due super comete in arrivo nel prossimo futuro, la C/2011 L4 (PanSTARRS), si trova attualmente nello Scorpione, ed è quindi visibile solo dall’emisfero sud.
Dopo l’acquisizione di numerose osservazioni, la curva di luce sta confermando una crescita in luminosità più rapida del previsto. Per il nostro emisfero si manterrà inosservabile fino a marzo, quando dovrebbe cominciare a dare spettacolo, raggiungendo la magnitudine –1.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 74 di Coelum n.165.

Nel Cielo – M79 e IC 418 un paio di oggetti in una costellazione “rubata”

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nel Cielo
La cartina di questo mese è centrata sulla costellazione della Lepre, che ospita i due oggetti di cui si parla nella rubrica: l'ammasso globulare M79 e la nebulosa planetaria IC 418, le cui posizioni sono sommariamente indicate dai cerchietti gialli.
nel Cielo
La cartina di questo mese è centrata sulla costellazione della Lepre, che ospita i due oggetti di cui si parla nella rubrica: l'ammasso globulare M79 e la nebulosa planetaria IC 418, le cui posizioni sono sommariamente indicate dai cerchietti gialli.

È un triste dato di fatto, ma la maggior parte degli osservatori visuali del cielo profondo abita in città super illuminate o in periferie più o meno invase dalle luci… o comunque sempre sotto un cielo inquinato che non permette più di puntare i telescopi nei pressi dell’orizzonte, come si riusciva a fare invece solo pochi anni fa. Con il passare del tempo si è così persa l’abitudine di andare a curiosare in quella fascia di costellazioni completamente australi che si levano dall’orizzonte soltanto di pochi gradi, e che pure offrono delicati oggetti deepsky, ormai quasi del tutto abbandonati. Colomba, Poppa, Corvo, Scultore… per citarne qualcuna di quella fascia che va dai –15° ai –30 gradi di declinazione… nomi che stanno diventando ormai desueti per gli osservatori di questo emisfero, appartenendo a regioni celesti sempre più considerate di stretta pertinenza australe. Una di queste costellazioni “rubate” è la Lepre, che tuttavia custodisce due oggetti che grazie alla loro natura puntiforme possono essere apprezzati anche dai nostri
siti urbani e suburbani.

tabella Nel CieloTabella Nel CieloM79, un globulare fuori posto – Siamo nella costellazione del Lepus (la Lepre), un piccolo asterismo di 290 gradi quadrati, situato appena al di sotto di Orione, a una declinazione media di –19°. Alla latitudine di Roma questo corrisponde a una altezza massima sull’orizzonte di appena una trentina di gradi, il che giustifica il suo inserimento nella lista delle costellazioni rubate.

L’oggetto che cerchiamo si trova ancora più in basso, a –24,5°, e si tratta di M79, un ammasso globulare scoperto la notte del 26 ottobre 1780 da Pierre Méchain e nel dicembre dello stesso anno da Messier che così lo descrisse: “Nebulosa senza stelle, situata sotto la Lepre”; William Herschel invece, nel 1782, lo trovò “bello ed estremamente ricco”, lo risolse parzialmente in stelle e ne riconobbe la reale natura,
anche se in realtà lo stesso Herschel coniò il termine di “Globular cluster” soltanto nel 1789. E si tenga presente che l’astronomo inglese osservava sotto i brumosi cieli dell’Inghilterra, da una latitudine di +51,5°, e quindi poteva vedere l’ammasso a un’altezza massima
di soli +20°!

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici,  le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 50 di Coelum n. 165.

Ancora molta confusione nella vicenda di Marte

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La roccia soprannominata 'Rocknest 3'. Credit: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems

Il clamoroso annuncio di John Grotzinger, responsabile della strumentazione SAM del team di Curiosity, da qualche giorno sta mettendo a soqquadro il mondo scientifico: il laboratorio automatico avrebbe effettuato una sensazionale scoperta su campioni del suolo marziano, tanto importante da “far tremare la terra e riscrivere i libri di storia”, secondo le sue stesse parole (leggi anche l’editoriale di Giovanni Anselmi su Coelum 165).

L’annuncio ha suscitato una ridda di ipotesi tra gli esperti, ed una comprensibile attesa a livello di media e pubblico.

La NASA, dopo l’annuncio, ha però evitato di comunicare che cosa il rover abbia effettivamente trovato, rimandando la discussione scientifica al prossimo meeting della Società Americana di Geofisica, che comincerà il prossimo 3 dicembre.

La strategia comunicativa adottata dalla NASA ha fatto storcere la bocca a molti, ma non è eccepibile dal punto di vista scientifico: meglio controllare i risultati e comunicarli per via ufficiale in un autorevole consesso accademico, specialmente se si tratta di scoperte della massima importanza e suscettibili di argomentate obiezioni, come è facile supporre che accadrà in questa occasione.

Nonostante il giustificato riserbo iniziale, dalla NASA cominciano però a trapelare alcune indiscrezioni che, sebbene rimangano generiche sui contenuti effettivi, lasciano trasparire qualche conferma alle ipotesi più ragionevoli avanzate da esperti del settore: secondo Charles Elachi, direttore del JPL, Curiosity potrebbe aver rilevato tracce di semplici composti organici presenti sui campioni di suolo, analizzati di recente dal SAM.

Dopo tanto battage pubblicitario verrebbe quasi da dire: tutto qui?

Ma come: niente attività metabolica di organismi marziani, niente composti complessi di natura biochimica, niente molecole organiche complesse, ma solo semplici composti organici?

Il panorama dalla postazione Rocknest in cui si trova Curiosity, un mosaico di immagini riprese dalla Mast Camera. Credit: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems

Scarica il panorama completo ad alta risoluzione (36.8 MB)

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Eppure, questa potrebbe davvero essere una scoperta che riscrive la storia di Marte, perché finora nessuna sonda automatica era stata in grado di campionare composti organici nel suolo del pianeta rosso e, soprattutto, perché i modelli teorici che descrivono la chimica possibile sulla superficie del pianeta, bombardato di continuo da radiazioni solari UV senza nessuna protezione offerta dalla troppo tenue atmosfera, prevedono che eventuali composti organici, anche complessi, magari presenti nel sottosuolo, vengano immediatamente degradati a semplici composti di carbonio, non necessariamente organici.

Beninteso, la presenza di molecole organiche anche complesse non significa necessariamente né che su Marte siano presenti, o siano state presenti nel passato più o meno recente, forme di vita, né che i composti in oggetto siano autoctoni del pianeta: del resto gli astronomi hanno da tempo individuato molecole organiche semplici anche negli spazi interstellari oltre che, probabilmente, in meteoriti nel Sistema Solare…

Ma la scoperta che tali composti possono resistere alle condizioni ambientali di Marte ad una profondità di poco inferiore alla superficie apre indubbiamente ad una riflessione sull’eventuale esistenza in profondità sia di molecole più complesse, sia sulla possibile resistenza di forme di vita – presenti o passate – a condizioni ambientali molto ostili.

Aspettiamo quindi con pazienza le comunicazioni ufficiali della NASA al congresso dei geofisici: l’Ente Spaziale, anche se in difficoltà di immagine e in assenza di garanzie sui finanziamenti futuri, non avrebbe pompato a dismisura l’attenzione su questo convegno se non avesse dati abbastanza concreti ed importanti da presentare…

Speriamo soltanto che non sia caduto di nuovo nel medesimo infortunio di qualche settimana fa, quando annunciò la presenza di metano marziano, risultato poi una contaminazione trasportata dalla Terra fino a Marte, il che fa supporre che il procedimento di sterilizzazione della sonda presenti quantomeno dei punti deboli.
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Preoccupa anche il ritrovamento nei pressi del rover di filamenti di materiale plastico o in fibra polimerica attribuiti ai resti del paracadute, o del complicato sistema di atterraggio scelto dai tecnici della missione: il suolo marziano nelle vicinanze di Curiosity è quindi inquinato da campioni di origine terrestre.

Se sono presenti resti macroscopici, forse sono presenti anche resti polimerici microscopici che, sottoposti inconsapevolmente al campionamento ed all’analisi del SAM, potrebbero forse rivelare tracce di composti organici…come dire che Curiosity starebbe analizzando il proprio paracadute, ipotesi troppo grottesca per essere presa seriamente in considerazione – sarebbe imperdonabile se la NASA non avesse preso tutte le precauzioni del caso – ma, come si sa, l’inferno è lastricato di buone intenzioni…

Dalla MESSENGER nuove immagini del Polo Nord di Mercurio

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Anche se Mercurio è quasi tre volte più vicino al Sole della Terra e raggiunga temperature diurne superiori ai 400ºC , non possiede praticamente alcuna atmosfera che trattenga o trasmetta il calore. Le temperature notturne poi, possono raggiungere i -185°C… Perciò, dato che un giorno mercuriano ne dura 176 terrestri, su Mercurio fa molto freddo (o molto caldo) per un periodo molto lungo!

Inoltre, poiché l’asse di rotazione di Mercurio non è inclinata come quella terrestre, le aree poco elevate vicino ai poli non ricevono alcuna irradiazione luminosa dal Sole e sono quindi perennemente in ombra, a temperature bassissime.

Crediti: NASA / Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory / Carnegie Institution di Washington

Questa foto non è che una porzione dell’immagine molto più grande (a sinistra, clicca sull’immagine per ingrandirla), rilasciata lo scorso 26 novembre dal team della MESSENGER, e mostra il Polo Nord di Mercurio, pesantemente craterizzato, come appare ripreso dal sistema di ripresa MDIS (Mercury Dual Imaging System) montato a bordo della sonda. In realtà si tratta di un mosaico di molte immagini – e non una singola – composte per creare una vista più ampia della regione polare di Mercurio, centrata sull’immagine in alto, in proiezione stereografica.

Il grande cratere molto scuro vicino al centro è Prokofiev (dal nome del celebre compositore russo), di circa 110 km di diametro, al cui interno perennemente in ombra, si trovano i brillanti depositi visibili nelle rilevazioni radar che si pensa contengano ghiaccio d’acqua.  Ghiaccio che, sepolto all’interno di questo come di altri profondi crateri che caratterizzano la regione (vedi sotto la mappa delle formazioni polari in cui sono stati rilevati questi depositi), rimarrebbe perennemente ghiacciato a meno che non venisse vaporizzato dalla caduta di un meteorite.

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La regione Polare nord di Mercurio con i nomi dei crateri principali.

Una curiosià: tutti i crateri del Polo nord di Mercurio portano i nomi di famosi artisti, autori o compositori, come Kandinsky, Stieglitz, Goethe… e da poco ce n’è uno dedicato anche a JRR Tolkien: si tratta del cratere Hobbit!

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Domani, 29 novembre, durante una conferenza stampa della NASA (ore  20:00 ora italiana) verranno rese note le nuove osservazioni dalla MESSENGER, la prima sonda ad orbitare Mercurio. La conferenza stampa sarà trasmessa in diretta dal canale TV della NASA .

Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero. Inizio ore 21:00.

30.11: I Venerdì dell’A.R.A.R. “Il teatro di fisica. La carica elettrica” di Marcello Caselli e Oriano Spazzoli.
Ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Al Planetario di Padova

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Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Mercury 13… la recensione

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La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio

Il nostro mondo è sempre stato – e per molti versi lo è ancora – fondamentalmente maschilista. Se pensiamo alla Storia, la maggior parte delle imprese pionieristiche – incluse quelle recenti per la conquista dello spazio – sono state compiute da uomini. Non in modo assoluto però, visto che ad esempio il primo essere vivente a raggiungere l’orbita è stato, a rigore, uno di sesso femminile: tale infatti era la cagnetta Laika, scelta perché nel regno animale spesso è la femmina a essere più forte e resistente.

L’avventura raccontata in questo bel volume di Martha Ackmann (una scrittrice e giornalista americana, collaboratrice tra le altre prestigiose testate del New York Times, del Boston Globe e Los Angeles Times; scrive in particolare di scienza, sport e di donne che hanno cambiato l’America) inizia agli albori dell’astronautica e sviluppa in modo molto scorrevole e discorsivo il percorso a ostacoli che ha dovuto seguire un gruppo di aspiranti viaggiatori spaziali. Il titolo del libro, Mercury 13, svela il nome di questo gruppo che si contrappose al più noto Mercury 7, composto dai primi sette americani che sono andati nello Spazio.

Mercury 13.

La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio.

Martha Ackmann
Springer Italia Collana I Blu – 2011
Formato 21 x 14 cm; pp 290
Prezzo 24 €

Per acquistare il libro Mercury 13  “Coelum Astroshop

Ma da chi era formato il gruppo Mercury 13? Da donne! Dalle 13 donne che hanno seguito passo passo i colleghi maschi nella preparazione per diventare astronauta e si sono distinte al punto da risultare, in alcuni casi, addirittura superiori.

Purtroppo sappiamo tutti com’è andata a finire: a causa di alcuni pregiudizi sulla prestanza fisica femminile e altrettanti di tipo culturale, che tendevano a vedere le donne non come protagoniste ma solo come fedeli assistenti, gli USA hanno dovuto (o voluto…) attendere fino al 1983 per permettere a Sally Ride di raggiungere lo Spazio. E questo malgrado la “guerra fredda” e la cosmonauta Valentina Tereshkova (entrata in orbita già nel 1963!)…

Probabilmente tutti gli avvenimenti raccontati sono successi troppo presto, in un periodo in cui le donne nell’immaginario collettivo erano ancora assegnate alla cura della casa e non ai viaggi nello “spazio interstellare”, come si diceva al tempo e come riporta fedelmente l’autrice.

Il volume si presenta come un romanzo, un racconto avvincente, narrato con proprietà di linguaggio. Le pagine scivolano via con le avventure e i test in cui le tredici ragazze si sono dovute cimentare, senza tralasciare i retroscena e gli intrecci politici che l’avventura spaziale ha sempre trascinato con sé, andando a scavare nelle sensazioni e nella psicologia di questo gruppo eterogeneo di donne raccolte da un’unica passione, il volo, e un unico sogno: diventare astronauta.

Tutto il racconto è basato principalmente sugli avvenimenti, i pensieri e le sensazioni che le “Mercury 13” hanno accumulato durante la loro esperienza ed è infarcito di note a piè di pagina e da riferimenti bibliografici che testimoniano l’enorme cura con cui l’autrice ha raccolto le informazioni, inanellandole in un’unica avventura. Nonostante vi siano diversi riferimenti a termini tecnici, la spiegazione della Ackmann tende a semplificare e rendere comprensibile anche la definizione più complicata.

Pure la breve referenza iconografica (16 pagine patinate con molte foto delle protagoniste) aiuta a calarsi in quegli anni emozionanti. E a questo proposito un plauso va anche alla traduttrice che ha fatto un ottimo lavoro, mantenendo l’atmosfera anni ’60 del racconto.

In sostanza è un libro molto bello, assolutamente consigliato a chi è appassionato di argomenti spaziali, ma anche a chi ama leggere dei romanzi avvincenti, con quel qualcosa in più che hanno le storie vere. E questa è la vera Storia!

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La recensione è stata pubblicata su Coelum 155

Nuove immagini dal sistema di Saturno: che ci fa Pac-Man lassù?

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Tutto ci si poteva aspettare nei dintorni di Saturno, tranne che ritrovare il più famoso videogioco degli anni ’80, Pac-Man, su un’altra delle sue lune, Teti (un’altra somiglianza di questo tipo fu trovata sul satellite Mimas nel 2010). Eppure i ricercatori della missione Cassini, studiando le immagini dei dati termici di quella luna, si sono trovati di fronte proprio il profilo giallo più famoso tra gli amanti dei videogiochi.

La forma appare nei dati raccolti con uno spettrometro a infrarossi, che evidenzia le aree più calde del satellite.

Una coppia di 'Pac-Man!: così appaiono le due lune di Saturno, Mimas e Thetys, riprese con lo spettrometro all'infrarosso di Cassini. Image credit: NASA/JPL-Caltech/GSFC

Gli scienziati ritengono che i Pac-Man di Teti si formino a causa del modo in cui gli elettroni ad alte energie bombardano le latitudini più basse della luna, sulla parte rivolta verso il pianeta Saturno. Il bombardamento compatta il ghiaccio in quelle zone, dove di conseguenza la superficie alterata non si riscalda così rapidamente alla luce del sole né si raffredda altrettanto rapidamente durante la nott come il resto della luna.

«Trovare un secondo Pac-Man nel sistema di Saturno ci spiega molto sul processo di creazione di queste forme, più di quanto ci si aspettasse», ha setto Carly Howett, l’autore principale dello studio recentamente pubblicato sulla rivista Icarus. «Il sistema di Saturno, come anche quello di Giove, potrebbe essere una vera e propria “sala giochi” per questi personaggi».

La scoperta conferma che gli elettroni ad alta energia possono alterare drasticamente la superfice ghiacciata di una luna.”Le osservazioni nell’infrarosso ci danno una grande quantità di informazioni sui procesis che danno forma a pianeti e lune” spiega Mike Flasar, principal investigator dello spettrometro per il Goddard Space Flight Center di Greenbelt.  “Un risultato come questo evidenzia quanto siano potenti questi studi”.

I dati raccolti risalgono al 14 settembre scorso e danno la possibilità ai ricercatori di raccogliere nuove informazioni sull’interazione tra i pianeti e le loro lune.

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Il sito della Missione Cassini

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