Oggi alle 22:24 cade l’equinozio di primavera per quest’anno, il momento in cui inizia la stagione in cui la vita si riprende i suoi spazi dopo il freddo e l’oscurità invernale.
Non penso ci sia modo migliore di visualizzare la ciclicità di questi periodi che chiamiamo stagioni che non sia l’analemma solare.
📝 DISCLAIMER: questo post potrebbe annoiarvi, ma allo stesso tempo potrebbe essere una chicca per i nerd che amano incastrarsi sui dettagli che per tutti gli altri risultano poco interessanti.
Unendo i punti coperti dal Sole allo stesso orario per un anno intero emerge questa traiettoria a otto un po’ schiacciato che chiamiamo appunto analemma solare. Ecco, questa figura è il riflesso dei moti del nostro pianeta attorno al Sole.
Ci sono due punti intuitivi nell’analemma: il punto più in basso è quello coperto dal Sole al solstizio d’inverno. Del resto è quello il giorno in cui raggiunge la sua minima altezza sull’orizzonte, l’arco che disegna nel cielo è il più breve e il numero di ore di luce è il più piccolo di tutto l’anno. Il punto simmetrico, opposto, è quello del solstizio d’estate, il giorno in cui il Sole raggiunge la sua massima altezza sull’orizzonte e il numero di ore di luce è massimo.
La variazione di massima altezza, che determina l’estensione nord-sud dell’analemma, è semplicemente il riflesso dell’inclinazione dell’asse terrestre. Ossia, le stagioni esistono perché la Terra ha un’inclinazione, e in alcune parti dell’orbita mostra quindi maggiormente l’emisfero boreale verso il Sole, in altre l’emisfero australe. Dipende, insomma, dal fatto che sia il nord o il sud a trovarsi più vicino al Sole.
Ma l’analemma non è solo una linea che va dal basso verso l’alto, ha anche un’estensione in larghezza, in direzione est-ovest, e questa è di natura un po’ più complessa per l’intuizione. Infatti questo allargamento è conseguenza di una combinazione della stessa inclinazione dell’asse e del fatto che l’orbita della Terra è un’ellisse e non un cerchio.
Se guardiamo l’analemma dall’emisfero australe, noteremo che i due lobi sono scambiati, con il più grande in alto e il più piccolo in basso. In effetti scendendo da nord a sud ma prendendo l’analemma allo stesso orario, lo vedremo piano piano “sdraiarsi” sull’orizzonte. All’equatore è orizzontale, al polo sud risulta capovolto. Questa foto qui in basso è stata ottenuta dal sito megalitico di Callanish Stones, sull’isola scozzese di Lewis e Harris a circa 58° di latitudine nord.
Ma oggi è appunto l’equinozio di primavera, e insieme a quello d’autunno non è così semplice da identificare sull’analemma. Perché può sembrare intuitivo che gli equinozi si trovino proprio nel nodo centrale tra i due lobi, e invece si trovano un po’ più in basso, che sono i punti dell’orbita terrestre in cui il Sole passa dove si intersecano il piano dell’eclittica e l’equatore celeste.
Gli equinozi sono gli unici giorni dell’anno in cui i raggi solari arrivano perpendicolari all’asse terrestre e proprio per questo il numero di ore di luce e di buio si equivale in tutto il mondo. Rappresentano in un certo senso il passaggio di testimone tra il periodo in cui la luce è maggiore in un emisfero a quello in cui la luce è maggiore nell’altro emisfero.
Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà. Finché ci saranno il giorno e la notte.
Ve la ricordate? E’ una delle frasi più potenti del film Ladyhawke. Sempre insieme, eternamente divisi, come due facce della stessa medaglia, o come due lati di uno stesso pianeta.
Nell’universo esistono pianeti molto vicini alla loro stella, e a causa di ciò, la gravità li lega ad essa a tal punto che sono costretti a guardarla sempre in volto, sempre uno negli occhi dell’altra. Come in una storia d’amore tormentata. E quando si parla di stelle, non si va tanto per il sottile. Questo fenomeno si chiama risonanza mareale. Una parte sempre in ombra, l’altra sempre in luce. Pianeti di questo tipo sono particolarmente comuni perché esistono attorno a stelle che costituiscono circa il 70% delle stelle viste nel cielo notturno, le cosiddette stelle nane M, che sono relativamente più deboli del nostro sole. Esiste però una zona di equilibrio, come un porto franco fra due fazioni in guerra, un’area speciale chiamata terminatore, che è un anello circa a metà, dove le condizioni sono più accettabili. Né troppo caldo, né troppo freddo. Né troppa luce, né solo ombra. E queste condizioni sono essenziali se si ricerca uno degli ingredienti essenziali per la vita: la presenza di acqua allo stato liquido. Infatti, nel lato oscuro dei pianeti in risonanza mareale, la notte perpetua produrrebbe temperature molto basse che causerebbero il congelamento dell’acqua mentre il lato del pianeta sempre rivolto verso la stella potrebbe essere troppo caldo perché l’acqua rimanga a lungo prima di divenire vapore. In queste condizioni, la vita è difficile che si riesca a sviluppare. Non impossibile, ma difficile. In un nuovo studio, Ana Lobo, ricercatrice di post-dottorato presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’UCI e Aomawa Shields,professore associato di fisica e astronomia dell’UCI, hanno condotto delle simulazioni per comprendere meglio il comportamento del clima dei pianeti in risonanza utilizzando un software specifico per modellare il clima del nostro pianeta, ma con alcuni aggiustamenti, come, ad esempio, il fatto che la rotazione del pianeta è rallentata dalla vicinanza della stella madre. Il risultato è stato che, effettivamente, questi pianeti possono sostenere climi abitabili confinati in questa regione terminatore.
Questo studio ci racconta che non sono soltanto i pianeti con oceani a poter ospitare la vita, ma anche i pianeti le cui condizioni medie non sono proprio ottimali, ma che nascondono al loro interno, delle vere e proprie oasi. Anche se non possiedono oceani diffusi, potrebbero avere laghi o altri specchi più piccoli di acqua allo stato liquido.
Acqua. Si torna sempre all’acqua. Ovviamente, se il pianeta è per lo più coperto d’acqua, allora l’acqua rivolta verso la stella probabilmente evaporerebbe e coprirebbe l’intero pianeta in uno spesso strato di vapore mentre se c’è molta terra sul pianeta, lo scenario è proprio quello descritto in precedenza. Ed il clima adatto alla vita, nella zona del terminatore, potrebbe anche essere stabile.
Questo però significa che la vita, non essendo distribuita sulla loro intera superficie, si concentrerebbe in una ristretta fascia, con la conseguente presenza di biofirme solo in parti specifiche dell’atmosfera del pianeta.
Quello che è certo è che questo lavoro aiuterà anche a selezionare i target futuri per i telescopi come il James Webb Space Telescope o il Large Ultraviolet Optical Infrared Surveyor telescope, attualmente in fase di sviluppo alla NASA, ed aumentare le possibilità di trovare e identificare correttamente un pianeta abitabile.
Per approfondire: Ana H. Lobo et al, “Terminator Habitability: The Case for Limited Water Availability on M-dwarf Planets”, The Astrophysical Journal (2023).
Siamo alle porte della bella stagione e con l’alzarsi delle temperature le abitudini degli astrofili inevitabilmente si modificano con un aumento sistematico delle trasferte, verso luoghi più o meno lontani e remoti, ma che dimostrino di avere quel quid in più da agGiungere ad uno scatto speciale.
Purtroppo, non tutti sono favoriti dal vivere in territori al riparo dall’invasione dell’inquinamento luminoso ma le tanto agognate ferie sono l’occasione giusta per programmare una “scappata” lontano e unire utile e dilettevole godendosi un pò di relax sotto cieli favolosi.
Da questo numero inizia la carrellata dei luoghi più suggestivi da visitare e da raggiungere proprio se si è a caccia di quel contesto in grado di rendere uno scatto indimentibile e abbiamo scelto di partire in grande. Grazie all’aiuto di Emanuele Azteni gireremo la Sardegna alla scoperta dei luoghi più preservati per catturare la Via Lattea.
INTRO
“Non ho mai considerato la fotografia come parte della mia vena artistica, neanche dopo la nascita di mio figlio Thomas che l’ha fatta letteralmente esplodere.
Ho acquistato la prima mirrorless nel gennaio 2020 per documentare con dei video le mie creazioni; dalle magie con mio figlio, al presepe in movimento; dalle riproduzioni nuragiche al pane e la pizza nel forno a legna. Tutte mie grandissime passioni.
E’ stata la lunga esposizione ed i successivi esperimenti di (lightpainting) a spingermi alla fotografia notturna. Ricordo ancora la prima volta che trascinai mia moglie Daniela e mio Figlio Thomas dopo il tramonto, fin sopra il Castello di Monreale (posizionato in cima ad un colle che domina i paesi circostanti a quello in cui risiedo).
Una forte emozione si mescolava con la paura del buio squarciato dal fascio delle torce.
Ricordo ancora quella foto che postai sui social e che qualcuno commentò: “ è ben visibile la Via Lattea”. Ora quasi mi vergogno nell’ammettere che allora non sapevo di cosa parlasse. Qualche istante dopo seguivo già dei tutorial su YouTube per fotografarla.
L’estate 2020 volgeva ormai al termine e su una montagna coperta dalle luci, acquisivo la mia prima sequenza in cavalletto per elaborare uno “stack”, con moglie e figlio che dormivano in auto. La post produzione è stata illuminante perché, mentre chiunque vedeva tante immagini tutte uguali, io ci vedevo la spettacolare magia della rotazione terrestre ed il moto stellare apparente in un video dall’aspetto scenico di vero impatto.
Trascorsi tutto l’inverno studiando la fotografia astronomica per prepararmi alla successiva stagione della Via Lattea con la mia piccola Canon M50 APS-C alla quale avevo già abbinato un economicissimo 7Artisan 7,5 mm e un Samyang 14mm usato.
Scoprire dopo 40 anni suonati, di avere un Universo al di sopra di me, ha letteralmente svoltato la mia vita. L’interesse verso l’Astronomia cresceva in misura esponenziale rispetto al tempo stesso che dedicavo al suo studio. Avevo ben chiaro il mio prossimo progetto di Timelapse in giro per la Sardegna, e quando, per un colpo di fortuna, acquistai un furgoncino usato Volkswagen modello T5 (un vero affare) per trasformarlo in mini-camper, cambiai per sempre vita e abitudini dell’intera famiglia.
LA VIA LATTEA in SARDEGNA
Una nota prima di iniziare, chiamerò sempre al nostra galassia con il suo nome “Via Lattea” precisando che il mio tour fotografico notturno di due anni, ha sempre avuto come “target” il centro galattico o comunque tutto il suo arco, facendo in modo di catturare anche un paesaggio per ottenere una composizione fotografica d’effetto.
Mi riesce difficile contare tutti i siti che ho visitato in Sardegna alla ricerca di una foto o di un bel timelapse, anche perché numerarli significherebbe poi quantificare sia l’aspetto economico che il tempo speso, semplicemente preferisco non sapere. Credo comunque al di là di questi aspetti psicologici, di aver acquisito abbastanza esperienza per presentare la mia Isola come “BEST PLACE” per la fotografia notturna di paesaggio dedicata alla Via Lattea, accompagnare nella scelta dei siti migliori, nella pianificazione delle uscite, e dare quei piccoli consigli che possano agevolare gli appassionati come me.
QUANDO cercare la Via Lattea
Il periodo di osservazione del centro galattico, che va da marzo a novembre, è in realtà molto corto se si considerano le ore di visibilità nella notte astronomica.
Già a FEBBRAIO durante le prime luci si comincia a scorgere Antares, la stella rossa della costellazione dello Scorpione, che precede in levata quella del Sagittario, ma è impossibile catturare qualsiasi scatto a lunga esposizione per via del chiarore dell’alba.
A MARZO, è visibile dalle 3:00 del mattino, distesa verso est, e prosegue anticipando la sua levata, fino ad APRILE verso le 2:00 con un discreto margine di acquisizione ma poco consono come orario per i lavoratori come me che mediamente svegliano alle 6:00 per recarsi a lavoro.
MAGGIO e GIUGNO sono senza dubbio i mesi migliori di tutta la stagione, in primis perché via via che le settimane avanzano, è possibile osservare il centro galattico in orari più affini alla routine quotidiana di un lavoratore, poi perché il tempo di acquisizione copre quasi interamente la nottata. Il 20 maggio il centro galattico è visibile per ben 5 ore, andando poi a diminuire! In questo periodo possiamo ancora scorgere l’arco galattico nella sua levata da est verso l’azimut.
Nei mesi di LUGLIO e AGOSTO già dal tramonto si scorge di nuovo Antares bella alta in cielo e la costellazione del sagittario completamente fuori dall’orizzonte. La Via Lattea è ora in verticale ed in una composizione fotografica dovremo accontentarci di centrare soloil cuore pulsante. SETTEMBRE è un altro periodo d’oro per osservarla tramontare, mentre si adagia sull’orizzonte verso Ovest, mentre ad OTTOBRE potremo salutare le ultime nebulose visibili.
Molto spesso le copertine delle riviste astronomiche, italiane e non, sono riservate ad immagini accattivanti, scatti spettacolari di oggetti molto lontani ma dal sicuro impatto visivo e anche emotivo. L’imperativo è stupire, catturare lo sguardo e invitare all’acquisto. E’ difficile che si sfugga a questa logica ma per il numero 261 di Coelum Astronomia abbiamo scelto di ribellarci e ne è un’uscita una rarità.
Breve narrazione:
Da qualche mese in redazione siamo stati travolti dall’entusiamo e dalla maestria dell’autocostruzione. Per essere dei buoni visualisti o astrofotografi non c’è bisogno di essere piccoli ingegneri, in genere i nuovi strumenti sono perfettamente adattabili alle mille esigenze, eppure qualcosa avolte manca e li entrano in gioco fantasia, abilità e ingegnosità. Doti non rare ma che spesso asfaltate dalla comodità del “click to buy”.
Fra le tante testimonianze ci siamo imbattuti nell’impresa di Stefano Tognaccini, astrofilo piuttosto conosciuto nella comunità, e il suo progetto ci ha rapiti. Mai detto più fu più azzeccato “Pensare in grande” e Stefano evidentemente non si lascia spaventare dalle scale di misura. Quando insieme all’articolo è arrivata lo scatto che lo vede immortalato vicino al suo binoscopio non potevamo crederci. In una singola immagine c’era l’essenza dell’autocostruzione: orgoglio, personalizzazione, passione. La copertina di questo numero rimarrà nei nostri cuori, grazie Stefano, ci hai regalato una meravigliosa nota di serenità.
Ecco l’intro della testimonianza…
“Un saluto a tutti i lettori di Coelum, mi chiamo Stefano Tognaccini sono nato a Montevarchi (AR) nel 1982 e sono appassionato di Astronomia dall’età di 7 anni.
La mia passione per l’astronomia iniziò quando a mio nonno venne la meravigliosa idea di farmi osservare i crateri lunari con il binocolo (ancora in mio possesso) che usava per andare a caccia: uno Zenith 10×50. Lo stupore che in me generò questa visione fu evidente anche per i miei genitori, a tal punto che mio padre decise di regalarmi un piccolo rifrattore marchiato Antares. Con il passare degli anni la mia passione è costantemente cresciuta e ancora oggi quando mi trovo di fronte alla strumentazione attuale non posso fare a meno di ripensare a quei dolci momenti di me bambino, con quel binocolo che sembrava così enorme e una meravigliosa Luna piena estiva che illuminava i luoghi della mia infanzia.
Ho sempre avuto un debole per la visione binoculare, la mia è una vera e propria binomania. Qualche anno fa ebbi la fortuna di provare il fenomenale e luminosissimo Fujinon 25x150mm MT di produzione Giapponese, dal peso di 26 kg, forse il binocolo monoblocco più grande al mondo. Questo strumento nasce per un uso operativo militare: l’osservazione dal ponte delle navi della Marina in situazioni di scarsa luminosità, grazie alla grande apertura e bassi ingrandimenti. Caratteristiche che lo rendono perfetto anche per l’osservazione astronomica, soprattutto per se a caccia di comete. Rimasi talmente impressionato che promisi a me stesso che un giorno ne avrei comprato uno.
Dopo un rapido consulto del listino prezzi (cifre da paura e disponibilità solo su ordinazione) persi subito le speranze, vista anche la scarsa reperibilità nel mercato dell’usato.
Unica alternativa? Tentare di riprodurlo. La mia passione per l’autocostruzione era già solida, decisi di tentare.
L’unica via percorribile per riprodurre un simile strumento è costruire un binoscopio di simile rapporto focale e diametro.
La scelta ricadde velocemente sul rifrattore acromatico 150/750, un f5 con un cromatismo importante ma tollerabile visto l’intenzione di utilizzarlo a bassi ingrandimenti (circa 25x); d’altronde anche il Fujinon 25×150 MT è composto da due doppietti acromatici.
Iniziai la ricerca e non fu difficile recuperare in tempi brevi nel mercatino dell’usato un modello marchiato Skywatcher colore blu.
Dopo vari test rimasi stupito (sferica a parte) dalla nitidezza capace di offrire questo, passatemi il termine, “spazzolone” del cielo. Il cromatismo, inoltre, a differenza di quello che si può pensare per un acro f5, è a malapena percepibile a bassi ingrandimenti e il colore delle stelle ne esce abbastanza fedele.
Una partenza motivante per la ricerca del “doppione” ma, la possibilità di trovare due ottiche lavorate più o meno allo stesso modo vi garantisco non è per niente semplice. L’ideale sarebbe stato reperire uno strumento fabbricato nello stesso periodo: non mi sentivo infatti di acquistarli nuovi entrambi, sarebbe stata una spesa forse eccessiva per un esperimento del quale ancora non potevo prevederne l’esito.
Per fortuna il colore ma soprattutto la tonalità della verniciatura del tubo Skywatcher dice molto sul periodo di fabbricazione.
Chi, come me, ha avuto modo di avere tra le mani tubi di tale produzione, concorderà che solo della versione blu esistono almeno due tonalità: una chiara, tendente al violetto ed una blu elettrico più scuro, entrambi metallizzati; il mio è quello più chiaro. Insomma per farla breve, per soddisfare tutte le variabili la ricerca del secondo tubo è durata quasi un anno. Stavo quasi per rinunciare al progetto….
No, non si tratta di un errore o un vecchio articolo. Le immagini ricevute in passato dalle sonde sono, a distanza di anni, ancora frutto di indagine ed approfondimento, e anche se già “viste” le informazioni che se ne recuperano sono sorprendeti come quelle rese note dai ricercatori impegnati nello studio delle immagini che la sonda New Horizons passando vicino a Plutone ha inviato alla Terra nell’ormai lontano 2015.
New Horizons ha dato all’umanità i suoi primi sguardi ravvicinati su Plutone il 14 luglio 2015, quando la sonda è passata solo 12.500 chilometri sopra la superficie gelida del pianeta nano.
I ricercatori di New Horizons hanno condiviso le loro ultime scoperte martedì 14 marzo alla Lunar and Planetary Science Conference (LPSC) in Texas. Tra le scoperte presentate, una ha legato lo sconcertante capovolgimento di Plutone al suo bacino pieno di ghiaccio, un’altra ha trovato paesaggi interessanti ma esotici sulla superficie del pianeta nano e una terza ha svelato gli elementi costitutivi che formano l’oggetto simile a un pupazzo di neve Arrokoth, che New Horizons è volato il 1 gennaio 2019.
Indice dei contenuti
Il flip di Plutone legato allo Sputnik Planitia
Mentre gli scienziati sanno che Plutone, come la Terra , si è più di una volta ribaltato su un fianco nel suo passato, l’attuale orientamento di Plutone e il grado finale resta un mistero.
Ora, un gruppo di ricercatori sta dimostrando che ha attribuire al capovolgimento di Plutone è stata la formazione di Sputnik Planitia , un bacino largo 1.000 km che costituisce metà dell’iconica regione a forma di cuore su Plutone.
Probabilmente è stato l’oceano sotterraneo di Plutone a fornire una spinta allo Sputnik e a spostare gran parte della massa del pianeta nano verso il suo equatore. Tanto che le catene montuose parallele e le profonde vallate che sono state individuate sono state probabilmente il frutto del movimento di una globale tettonica.
“Non possiamo davvero spiegare definitivamente l’attuale configurazione di Plutone”, ha detto Oliver White, un co-investigatore di New Horizons presso il SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) Institute in California, durante una presentazione martedì all’LPSC. “le caratteristiche territoriali probabilmente esistevano presto lungo l’equatore di Plutone e sono migrate verso le loro attuali posizioni più vicine ai poli a causa del capovolgimento, ha detto.”
Enormi depositi di ghiaccio di metano simili a coltelli si estendono fino al lato opposto di Plutone
Oltre ad aiutare gli scienziati a studiare i paesaggi antichi su Plutone, i dati di New Horizons stanno fornendo indizi sulle sue caratteristiche più recenti.
Il veicolo spaziale aveva precedentemente individuato enormi depositi di metano vicino all’equatore di Plutone, alti quasi quanto i grattacieli della Terra. Gli scienziati hanno annunciato martedì di avere nuove prove le quali suggeriscono che queste morfologie simili a coltelli si estendono anche al lato più lontano di Plutone, oltre ciò che New Horizons è stato in grado di vedere durante il suo sorvolo del 2015.
“La scoperta di queste caratteristiche mette in luce la complessità, la natura dinamica e la diversità delle superfici planetarie come quella di Plutone”, ha detto Ishan Mishra, ricercatore post-dottorato presso il Jet della NASA. Propulsion Laboratory in California.
Sulla Terra, tali colonne sono chiamate penitentes ; sono fatte di ghiaccio d’acqua e si estendono per pochi metri. Su Plutone, tuttavia, queste caratteristiche esistono principalmente nei punti più alti della sua superficie e si librano per centinaia di metri. A tali altezze, il metano si congela nell’atmosfera esile di Plutone quando fa freddo ed evapora tornando al suo stato gassoso durante periodi più caldi.
Il team dietro l’ultimo studio ha utilizzato immagini scattate dal Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) a bordo di New Horizons e notato come la luce riflessa dalle superfici cambia con diversi angoli di visione.
In tal modo, hanno trovato simili caratteristiche di assorbimento del metano sul lato opposto di Plutone, grazie alle superfici “più ruvide della rugosità media di Plutone”, ha detto Mishra durante la sua presentazione. Tali terreni “a lame” sono probabilmente una delle morfologie più comuni su Plutone, ha aggiunto.
Insomma non c’è dubbio che New Horizons ha ancora molto da raccontare del suo straordinario viaggio ai confini del Sistema Solare!
Una stella di Wolf-Rayet è un raro preludio al famoso atto finale di una stella massiccia: la supernova. Come una delle sue prime osservazioni nel 2022, il telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA ha catturato la stella Wolf-Rayet WR 124 con dettagli senza precedenti.
Un caratteristico alone di gas e polvere incornicia la stella che brilla nella luce infrarossa rilevata da Webb, mostrando una struttura intricata e una storia di espulsioni episodiche. Nonostante sia la scena di un’imminente “morte” stellare, gli astronomi rivolgono spesso lo sguardo verso le stelle di Wolf-Rayet per avere un’idea di nuovi inizi, prestando attenzione alla polvere cosmica che si forma nelle nebulose turbolente e che circanda le stelle. Si tratta di polvere composta dagli elementi costitutivi degli elementi pesanti dell’Universo moderno, compresa la vita sulla Terra.
La rara vista di una stella Wolf-Rayet – tra le stelle più luminose, più massicce e più rilevabili conosciute – è stata una delle prime osservazioni catturate dal telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/ CSA . Webb mostra la stella WR 124 con dettagli senza precedenti con i suoi potenti strumenti a infrarossi. La stella si trova a 15.000 anni luce di distanza nella costellazione del Sagittario.
Non tutte le stelle massicce, attraversanso i loro cicli di vita passano per la fase di Wolf-Rayet prima di diventare una supernova, rendendo tali osservazioni quindi molto preziose. Le stelle di Wolf-Rayet sono in procinto di liberarsi dei loro strati esterni, dando luogo ai loro caratteristici aloni di gas e polvere. La stella WR 124 è 30 volte la massa del Sole e finora ha perso materiale per un valore di 10 Soli. Mentre il gas espulso si allontana dalla stella e si raffredda, la polvere cosmica si forma e brilla nella luce infrarossa rilevabile da Webb.
L’origine della polvere cosmica che può sopravvivere a un’esplosione di supernova e contribuire al “bilancio della polvere” complessivo dell’Universo è di grande interesse per gli astronomi per molte ragioni. La polvere è parte integrante del funzionamento dell’Universo: protegge le stelle in formazione, si riunisce per aiutare a formare i pianeti e funge da piattaforma per l’aggregazione delle molecole, compresi gli elementi costitutivi della vita sulla Terra. Molti sono ancora i misteri a cui dare risposta. Nonostante infatti i molti ruoli essenziali svolti dalla polvere ce n’è ancora moltissima nell’Universo, più di quanto le attuali teorie sulla formazione della polvere degli astronomi possano spiegare. L’Universo sta operando con un surplus di budget di polvere.
Webb apre nuove possibilità per lo studio dei dettagli nella polvere cosmica, che si osserva meglio nelle lunghezze d’onda infrarosse della luce. La NIRCam (Near-Infrared Camera ) di Webb bilancia la luminosità del nucleo stellare di WR 124 e i dettagli intricati nel gas circostante più debole. L’innovativo strumento nel medio infrarosso del telescopio (MIRI), metà del quale è stato fornito dall’Europa, rivela la struttura grumosa della nebulosa di gas e polvere che circonda la stella con dettagli senza precedenti. Prima di Webb, gli astronomi non avevano informazioni abbastanza dettagliate per esplorare le questioni sulla produzione di polvere in ambienti come WR 124 e se tale polvere fosse di dimensioni e quantità sufficienti per sopravvivere e dare un contributo significativo al budget complessivo della polvere. Ora a queste domande si possono cercare più dettagliate e con dati reali.
L’immagine dettagliata di Webb di WR 124 immortala un breve ma turbolento momento di trasformazione di una stella e promette scoperte future che riveleranno i misteri a lungo celati sulla polvere cosmica.
Ancora 108 pagine tutte fitte fitte fitte di contenuti
e come sempre MOLTE novità!
In questo numero due principali approfondimenti.
Il primo, lo aveva anticipato nel numero scorso, “spazio al nulla”, una contraddizione? Forse ma anche il frutto di accurati ragionamenti promossi dall’uomo nella ricerca di risposte alle domande fondamentali e motrici della ricerca scientifica ed astronomica. Accompagnati da alcune grandi menti del panorama italiano, Vaila Allori, Marco Salvati, Federico Onoranti e Tiziano Cantalupi, lasciamoci introdurre nelle logiche più attuali inerenti la filosofia della scienza.
Il secondo grande approndimento, nella rubrica La Tecnica ci Salverà per questa speciale uscita dedicata all’AUTOCOSTRUZIONE. Tre testimonianze di appassionati che hanno accettato la sfida di realizzare in proprio strumenti o accessori performanti. Ce ne parlano Emiliano Maramonte, Maurizio Prezioso e Stefano Tognaccini protagonista della foto in copertina.
Continuano le consuete rubriche a cura di Barbara Bubbi e le Meraviglie del Cosmo, Giuseppe Petricca per il catalogo Messier, Pierdomenico Memeo per didattica e divulgazione, Paola Giorgini per Hanc Marginis e Il Tratto Corsivo a cura di Stefano Marcellini (avete presente l’equazione dell’amore…).
Alla seconda e quarta puntata rispettivamente Antonio Piras con le sue News da Marte e Cristian Fattinnanzi nel suo racconto da “Vita da Astrofilo“. Leggeremo di problemi di trasmissione fra l’elicottero Ingenuity e Perseverance, mentre sono disponibili consigli utilissimi per la scelta dell’autoguida migliore per catturare immagini corrette.
Le novità di questo numero: 👉 Radioastronomia: dopo il successo dell’articolo comparso nel numero 260 di Coelum, la dott.ssa Silvia Casu di INAF parte con un nuovo servizio di aggiornamento dedicato appunto alla ricerca nelle onde radio e ai nuovi scenari che si stanno palesando, iniziamo da “SpaceWeather“!
👉 Puntata zero per uno nuovo spazio dedicato all’Astrofotografia: Top10 Scenari perfetti, in ogni uscita un’esperta/o del proprio territorio ci guiderà alla scoperta dei luoghi migliori da cui immortalare scatti con panorami unici. Si parte con una meta di prestigio, la Sardegna, con Emanuele Atzeni.
👉 Torna su cartaceo, dopo il saluto nel primo numero dello scorso anno, la sezione dedicata alle Supernovae, campo di esplorazione in cui gli appassionati italiani sanno regalare grandi soddisfazioni! Testi e immagini di Fabio Briganti e Riccardo Mancini.
👉 Nascono due nuovi appuntamenti più leggeri: AstroQuiz per mettersi alla prova sulle nostre conoscenze di Astronomia a cura di Francesco Veltri e AstroMiao, micio e razzo, amici di esplorazione da condividere con i più piccoli, un’idea di Laura Saba.
Non sono terminati gli articoli di approfondimento (non sembrano ma 108 pagine sono davvero molte e ci sta tantissimo!). Stacchiamo la spina con una piacevole lettura di ArteAstronomia a cura di Paolo Colona e arriva l’aggiornamento di Alessandro Ravagnin su FOTONIContest con lo spin-off @ShaRA.
Ultima puntata per l’Esplorazione del Sistema Solare, giunti alla volta di Titano, interessante luna di Saturno, Gabriele Cremonese, John Robert Brucato e Lucia Marinangeli passano il testimone a nuovi autori (o quasi) ma non smetteremo di parlare di Missioni, Astrobiologia e Geologia Planetaria.
Facciamo il punto sui fatti più importanti delle ultime settimane grazie e Luca Nardi e, un consiglio, perdete qualche minuto a valutare la proposta dell’Unione Astrofili Napoletani, sembra davvero interessante!
🎁🎁 C’è una sorpresa a pagina 3 nell’editoriale.. ve la lasciamo scoprire!🎁🎁
Non perdete il Cielo del Bimestre per tutti gli eventi dei prossimi due mesi. Nota Bene: il cielo del bimestre è un’ottima traccia da seguire per programmare le attività e le osservazioni con largo anticipo, completando il set di informazioni con i dettagli che verranno pubblicati di volta in volta sul sito in occasione dei fenomeni principali.
Ben 12 pagine in più anche questa volta!
In ultimo ma non di certo per importanza gli autori degli scatti più affascinanti 📸📸 e difficili le cui segnalazioni sono giunte alla nostra redazione e pubblicati in PHOTOCOELUM (in ordine di pubblicazione): Umberto Zecchini, Giuseppe Conzo, Mauro Venturi, Massimo Marchini, Andrea Demarchi, Carlo Dellarole, Angelo Francesco Gambino, Giuseppe De Pace, Egidio Maria Vergani, Luciano Milianti, Rocco Scarnecchia, Luca Lacara, Salvo Lauricella, Simone Lochi, Soumyadeep Mukherjee, Vincenzo Mirabella.
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Bel passaggio questa sera alle 20:01 poco sopra Roma della ISS Stazione Spaziale Internazionale.
Il satellite sarà visibile da tutta Italia sorgendo da Ovest per vederla tramontare verso mare. Favorite le regioni centrali.
Il 16 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 20:01 in direzione OSO alle 20:07 in direzione ONO. Visibilità migliore dal Centro Italia, con magnitudine massima di -3.7.
ATTENZIONE alla puntalità! i transiti della ISS non durano mai molto, già i 6 minuti di questo transito sono sostanziosi.
Come riconoscere al ISS:
il moto apparente è più rapido di quello di un aereo
la sua luce tende ad essere fredda (blu) di contro quella dei pianeti è più calda (e i pianeti in una serata appaiono come immobili)
non ha la scia, è facile escludere che sia un meteorite o un oggetto celeste proprio perchè non è accompagnato da nessuno dei fenomeni tipici che notiamo ad esempio d’estate durante il periodo delle stelle cadenti.
ha una traiettoria estremamente rettilinea
in genere la sua velocità di moto può paragonarsi a quella degli aerei più vicini al suolo, tuttavia a differenza di questi ultimi, mancano totalmente le luci di segnalazione (lampeggianti o fisse rosso e verde)
in genere c’è un astronauta a bordo che sta scattando una foto alla Terra (ah ma si.. quello non potremmo scorgerlo!)
La ISS è difficile da seguire con un telescopio, anche se piccolo e quindi maneggevole, tuttavia un binocolo potrà dare delle soddisfazioni usando l’accortezza di scegliere un buon punto di appoggio per mantenere la massima stabilità possibile.
Dopo la tanta cusiosità suscitata dai “titoloni” da prima pagina dei giorni scorsi e calmate le acque parliamo dell’Asteroide 2023DW, si quello oramai noto come “Asteroide di San Valentino”.
Strana abitudine quella di accrescere la portata di un evento astronomico, che già di per se dovrebbe essere sufficientemente aclatante, abbinandolo ad un evento o nome noto, così come accaduto per la cometa di Neanderthal. Un’associazione certo si può sempre trovare ma occhio che “Don’t look up!” è sempre dietro l’angolo..
In tanto per rimanere sul concreto partiamo con qualche dato mappe alla mano.
2023 DW è un piccolo asteroide di circa 50 metri appartenente alla famiglia degli Aten, con un’orbita eliocentrica caratterizzata da un semiasse maggiore che si estende fino a 0.81 UA, un eccentricità di 0.39 ed un’inclinazione sull’eclittica di 5.8 gradi, che lo porta a stazionare per lo più all’interno dell’orbita terrestre.
Ad oggi 14 marzo, l’asteroide dispone di un arco osservativo di 15 giorni con 91 osservazioni pervenute e la sua orbita risulta essere delineata con maggiore precisione rispetto a quanto non lo fosse nei momenti immediatamente successivi la sua scoperta.
Il suo MOID* è pari a 0,0005 UA (74.700 KM) e le probablità di impatto stimate per il 14 febbraio 2046 sono di 1 su 670, vale a dire che l’asteroide ha il 99,85 % di probabilità di mancare il suo bersaglio.
L’attuale incertezza nella definizione dell’orbita potrà essere ridotta dalle misure di posizione che saranno effettuate grazie alle finestre osservative del 2026, 2029 e del 2032, oppure con un’auspicabile precovery, il ritrovamento dell’oggetto all’interno di immagini di repertorio che consentirebbe di estendere nel passato l’arco osservativo. Superato il punto di massimo avvicinamento avvenuto il 18 di febbraio, 7 giorni prima della sua scoperta, 2023 DW è adesso in rapido allontanamento e tra pochi giorni risulterà inosservabile anche per i grossi diametri.
*MOID = Minimum Orbital Intersection Distance, il valore (tipicamente in AU) che assume la minima distanza possibile tra l’orbita terrestre (nel nostro caso) ed il NEA
Stringendo quindi non sono molte le notizie certe sull’asteroide che dovrà senz’altro essere ancora oggetto di indagini accurate. La redazione di Coelum, con l’aiuto dei suoi collaboratori sarà pronta a comunicare ogni aggiornamento davvero rilevante.
Tra qualche anno, un piccolo radiotelescopio sul lato nascosto saràdi aiuto agli scienziati per scrutare nel passato dell’Universo.
Lo strumento lunare Lunar Surface Electromagnetics Experiment-Night (LuSEE-Night), è un esploratore sviluppato dai Brookhaven and Lawrence Berkeley National Laboratories del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, dallo Space Science Laboratory dell’Università della California, Berkeley, e dalla NASA, direzione della missione scientifica.
LuSEE-Night è attualmente programmato per il lancio su un lander lunare robotico privato alla fine del 2025 per atterrare sul lato nascosto della Luna, con l’obiettivo di raccogliere misurazioni uniche nel loro genere dai “secoli bui” dell’Universo.
Il Medioevo si riferisce a un periodo nell’Universo primordiale, tra circa 400.000 e 400 milioni di anni dopo il Big Bang , prima che le stelle e le galassie iniziassero a formarsi completamente. Dal lato più lontano della luna, LuSEE-Night utilizzerà antenne di bordo, ricevitori radio e uno spettrometro per misurare le deboli onde radio del Medioevo, alla ricerca di quello che gli scienziati chiamano il segnale del Medioevo.
LuSEE-Night non dovrebbe necessariamente fare già da solo grandi progressi posizionato appunto sul lato buio della Luna e affaciato ad un silenzio profondo. Il costante bombardamento radio attraverso il nostro pianeta crea un ambiente troppo rumoroso per gli strumenti supersensibili che LuSEE-Night utilizzerà. Tuttavia, una posizione così lontana presenta delle sfide.
Sopravvivere lì richiede un’impresa di ingegneria. Sebbene a volte sia etichettato erroneamente come “il lato oscuro” della luna, la parte del satellite naturale della Terra che è rivolta verso di noi nel cielo notturno ha in realtà un ciclo giorno/notte, ciascuna delle quali dura circa 14 giorni terrestri. Le temperature sul lato più lontano della luna oscillano tra circa 250 e meno 280 gradi Fahrenheit (121 e meno 173 gradi Celsius).
Quindi LuSEE-Night dovrà essere progettato per resistere a due settimane di Sole del giorno lunare intensamente spietato e non-stop, oltre a rimanere alimentato per due settimane di oscurità rigidamente fredda per quasi due anni.
“Oltre al significativo potenziale ritorno della scienza, la dimostrazione della tecnologia di sopravvivenza notturna lunare LuSEE-Night è fondamentale per eseguire indagini scientifiche a lungo termine e ad alta priorità dalla superficie lunare”, Joel Kearns, vice amministratore associato per l’esplorazione della NASA Science Direzione della missione, ha detto nella stessa dichiarazione.
Torna l’appuntamento annuale con l’Associazione dei Planetari Italiani. Un momento di confronto e apprendimento guidato attraverso lo scambio di nozioni ed esperienze fra i professionisti del settore.
L’incontro è aperto anche ai non soci e una valida opportunità per entrare in contatto con un ambito della divulgazione specifico e consolidato.
Il convegno avrà luogo presso il Planetario di Ravenna da venerdì 14 a domenica 16 aprile
Il convegno avrà inizio alle ore 14:00 di venerdì (ore 13:30 ritrovo) con il workshop in programma “Divulgazione scientifica e gestione del pubblico“ o in alternativa Tour di Ravenna. Nella giornata di sabato sia la mattina che nei pomeriggi sono in scaletta gli interventi e le testimonianze degli intervenuti che hanno riservato uno spazio per raccontare la propria esperienze. Seguiranno le premiazioni e la cena sociale.
Domenica mattina tavola rotonda libera per un dibattito su temi utili ai più e si chiude con l’assemblea soci. La fine del convegno è prevista per le ore 13:00
Indice dei contenuti
WORKSHOP
Venerdì 14 aprile è in programma il workshop “Divulgazione scientifica
e gestione del pubblico”, organizzato da PLANit e dedicato all’arricchimento delle competenze divulgative e alla gestione del pubblico in cupola.
Il workshop è composto da due moduli di 2 ore ciascuno:
14:00 – 16:00: Lo smarting up ci salverà dal dumbing down: si può essere chiari parlando di cose incomprensibili?
relatore: Luca Perri, astrofisico e divulgatore.
16:30 – 18.30: Spontaneità, narrazione creativa, gioco e rapporto con il pubblico.
relatore: Graziano Garavini, attore e formatore.
La presentazione dettagliata dei contenuti e delle finalità del workshop è riportata nella parte finale del programma del meeting.
Il workshop non è incluso nella quota di iscrizione al meeting e richiede un’iscrizione separata e indipendente. Il costo di partecipazione al workshop di 4 ore è di € 40 per i soci, € 80 per i non-soci.
PRE-MEETING TOUR
Per coloro che non fossero interessati a partecipare al workshop di venerdì 14 aprile, PLANit, in collaborazione con gli amici e colleghi del Planetario di Ravenna, propone un tour della città.
Ravenna è una città di grande interesse turistico che vanta ben 8 monumenti patrimonio dell’umanità. Molte di queste tappe sono anche di interesse astronomico e costituiscono i passaggi di questa visita guidata, che si svolgerà a piedi. Il ritrovo è fissato alle 14:00, presso il Planetario di Ravenna. L’escursione porterà verso la vicina Sant’Apollinare Nuovo, spostandoci poi in Piazza del Popolo e San Vitale, presso il mausoleo di Galla Placidia. Concluderemo la visita tornando al Planetario alle 18:30.
Il costo dell’uscita è di € 20 a partecipante e include i costi di accesso ai musei che saranno visitati durante la visita.
SEDE DEL MEETING
Il Planetario di Ravenna si trova all’interno dei Giardini Pubblici della città, immerso nel verde e collocato fra il viale che conduce alla stazione ferroviaria e la Loggetta Lombardesca, a 950 m dal centro storico.
Il planetario è facilmente raggiungibile anche dalla stazione ferroviaria, che dista meno di 10 minuti a piedi. In auto, i parcheggi limitrofi sono: Viale Santi Baldini (€ 1,50/giorno, domenica gratuito), Parcheggio Piazzale delle Blacherne (gratuito), Parcheggio XIII Giugno (gratuito), Parcheggio Serra (gratuito) e Parcheggio Segurini (a pagamento, max. 250 minuti).
Il Planetario di Ravenna è dotato del sistema opto-meccanico ZPK2 della ZEISS, installato sotto una cupola di 8 m di diametro che accoglie fino a 54 spettatori.
Il programma in via di definizione e i dettagli sulle modalità di partecipazione sono disponibili a questo link: https://www.planetari.org/meeting-dei-planetari-2023/
La scheda dettagliata del WorkShop con gli interventi a cura di Luca Perri e Graziano Garavini è disponibile qui: https://www.planetari.org/download/20230215-Bozza-programma-PLANit-Meeting-2023.pdf
Bentornati su Marte!
Dopo alcuni mesi di assenza da queste cronache è il momento di raccontare cosa sta facendo Curiosity, impegnato nell’esplorazione di nuove regioni e autore di importanti scoperte.
Nuvole su Marte
Il più anziano rover ancora in servizio sta portando avanti, per il secondo inverno marziano, l’osservazione delle nuvole. Già nel 2021 Curiosity studiò il movimento di queste formazioni nell’alta atmosfera impiegando principalmente le camere di navigazione in bianco e nero. Per questa nuova campagna osservativa i ricercatori hanno deciso di utilizzare in modo intensivo anche le MastCam a colori.
Grazie a questa scelta tecnica le nuove acquisizioni hanno guadagnato fascino e valore scientifico rispetto alle precedenti, regalando a Curiosity splendide viste di nubi nottilucenti.
È noto che le nuvole su Marte si formano ad altitudini sino a 60 km, più in alto che sulla Terra a causa della gravità ridotta, e sono costituite principalmente da cristalli di acqua. A quote maggiori, dove le temperature si riducono ulteriormente, anche l’anidride carbonica congela, formando quello informalmente noto come ghiaccio secco.
Studiare le tonalità cromatiche delle nuvole e le mutazioni nella loro iridescenza consente agli scienziati di dedurre informazioni sulle dimensioni dei cristalli che le costituiscono valutandone il ritmo di crescita.
Pochi Sol dopo la ripresa di queste nubi iridescenti, Curiosity ha posato i suoi occhi elettronici sul tramonto del 2 febbraio, regalandoci così la prima osservazione in assoluto dei raggi crepuscolari.
Il giorno in cui ha scattato le immagini ai raggi solari, Sol 3730, il rover si trovava sulla sinuosa piana battezzata Marker Band. L’esplorazione di questa regione era iniziata già a dicembre e le osservazioni compiute sono risultate, una volta di più, incredibili.
Acqua inattesa
Con il nome Marker Band gli scienziati hanno denominato un’ampia area osservata nelle immagini satellitari prima ancora del lancio del rover nel 2011. Visibilmente più scura rispetto al terreno circostante, era fissata ormai da anni nell’itinerario di viaggio di Curiosity.
Dall’analisi delle immagini di questa regione è emersa una delle prove più schiaccianti mai rinvenute da Curiosity dell’antica presenza di acqua. Paradossalmente ciò è avvenuto in una zona che si riteneva fosse sempre rimasta asciutta.
Il suolo qui è costituito da ampie lastre di roccia con delle strutture ondulate, riconducibili al fondale di un lago non troppo profondo smosso da onde leggere. Il sedimento andò progressivamente a solidificarsi producendo le increspature che oggi, miliardi di anni più tardi, possiamo ammirare.
Altre rocce, fotografate circa 50 metri più a ovest, mostrano invece delle linee che sembrano essere progressive stratificazioni, prodotte presumibilmente dai cicli meteorologici che si alternavano in passato mentre erano in atto i processi di sedimentazione.
Una maestosa panoramica a 360° della regione ci è offerta grazie a un mosaico composto da ben 137 immagini, Curiosity le ha catturate con la MastCam Left da 34 mm di focale il 16 dicembre dello scorso anno. La successiva elaborazione è stata eseguita con l’intento di restituire il più fedelmente possibile quello che vedrebbe l’occhio umano. Per ragioni di fruibilità questa che vi presento è una versione fortemente ridotta della panoramica, potete visionare e navigare quella a massima risoluzione a questo link.
Molto interessante anche uno scorcio di quella che è stata denominata Gediz Valley ripresa qui con la MastCam Right che offre un ingrandimento maggiore grazie alla focale di 100 mm.
Nel caso ve lo steste domandando, Curiosity non monta delle camere zoom identiche come Perseverance ma bensì due MastCam con focale fissa e diversa tra loro. La ragione di questo era una semplificazione del progetto decisa durante il design del rover. Successivamente, grazie alla dimostrata affidabilità delle MastCam e una semplificazione della meccanica, i progettisti hanno potuto riproporre un design con camere zoom e stavolta vederselo approvato. Sono così nate le MastCam-Z di Perseverance.
In questa foto stiamo allungando il nostro sguardo verso sud, in direzione dei rilievi che si fanno progressivamente più alti nel nostro avanzare verso Aeolis Mons, il promontorio al centro del cratere Gale. Sul pavimento della valle si notano dei cumuli grandi decine di metri costituiti da detriti, presumibilmente portati qui da flussi impetuosi d’acqua che li hanno staccati da regioni a quote maggiori. La presenza di questo materiale è un’ottima scoperta perché permetterà a Curiosity di analizzare rocce molto giovani che diversamente non avrebbe potuto raggiungere. Infatti la formazione di queste regioni è proceduta per strati, con le rocce più antiche che si trovano sul fondo e quelle più recenti progressivamente più in alto.
Le dure rocce della gelosa Marker Band
Nel frattempo il rover sta svolgendo anche delle analisi più dirette della regione, impiegando in questo il suo trapano e gli strumenti CheMin e SAM. Il primo serve a studiare i minerali nelle rocce grazie alla diffrazione a raggi-X, il secondo è il più importante strumento scientifico a bordo e serve a eseguire un’ampia serie di analisi tra spettrografia, gascromatografia e spettrometria laser.
C’è stato qualche intoppo iniziale nel prelievo dei campioni da studiare perché il pavimento della regione si è rivelato più duro del previsto. Questo ha messo in allerta i tecnici che sono alle prese già da alcuni anni con dei problemi di avanzamento della punta del trapano e più di recente con l’usura di alcuni meccanismi di blocco degli snodi del braccio robotico. Sembrava che queste rocce non volessero proprio svelarci i loro segreti…
Dopo alcuni tentativi di assaggio di tre rocce (Amapari, Encanto e Dinira) alla ricerca di quella ideale, Curiosity ha finalmente prelevato dei campioni da analizzare e dare in pasto agli strumenti con un prelievo dal sito Tapo Caparo che ha avuto successo il 26 febbraio.
Due porzioni di questo campione sono già state analizzate da CheMin, e a breve una terza porzione sarà depositata all’interno di SAM per altre analisi. In preparazione a questa attività lo strumento, qualche notte fa, è stato attivato nella “modalità di pulizia” con cui per 4 ore e mezza ha scaldato ad altissima temperatura i propri vani così da rimuovere eventuali contaminanti.
Particolarmente interessante il fatto che le analisi con SAM siano da programmare con molta attenzione e condizionino le attività di Curiosity per tre Sol. Lo strumento è il più oneroso in termini di alimentazione in quanto richiede mediamente 175W per circa 6 ore raggiungendo picchi di assorbimento che sfiorano i 350W. Il generatore di Curiosity produce solo poco più di 100W, quindi è necessario che il rover non svolga attività per un certo tempo prima dell’accensione di SAM in modo da dare tempo alle batterie di caricarsi a sufficienza.
Dopo l’operazione di pulizia SAM è ora pronto per accogliere il campione, con la deposizione all’interno dello strumento e successiva analisi che dovrebbero avvenire entro questo fine settimana.
Anche per questo aggiornamento marziano è tutto, alla prossima!
Le due agenzie stanno collaborando ad un satellite destinato a comprendere gli effetti di diversi tipi di inquinamento da particelle sulla salute umana.
La NASA e l’agenzia spaziale italiana Agenzia Spaziale Italiana (ASI) stanno collaborando per costruire e lanciare la missione Multi-Angle Imager for Aerosols ( MAIA ), uno sforzo per studiare gli impatti sulla salute delle minuscole particelle sospese nell’aria che inquinano alcune delle città più popolose del mondo. MAIA segna la prima missione della NASA il cui obiettivo principale è favorire la salute della società, nonché la prima volta che epidemiologi e ricercatori di sanità pubblica sono stati direttamente coinvolti nello sviluppo di una missione satellitare.
Al monento del lancio, previsto entro la fine del 2024, l’osservatorio MAIA sarà composto da un satellite noto come PLATiNO-2 fornito dall’ASI e da uno strumento scientifico costruito presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California. La missione raccoglierà e analizzerà dati dall’osservatorio, sensori a terra e modelli atmosferici.
Questi risultati saranno quindi correlati ai registri di nascita, morte e ospedalizzazione umana per rispondere a domande urgenti sugli impatti sulla salute delle particelle solide e liquide che contaminano l’aria che respiriamo. Queste particelle, chiamate aerosol, sono state collegate a malattie respiratorie come l’asma e il cancro ai polmoni, malattie cardiovascolari come infarto e ictus e esiti riproduttivi e alla nascita avversi, tra cui parto prematuro e basso peso alla nascita del bambino.
“L’iniziezione nei nostri polmoni di particelle inquinanti nell’aria è stata associata a molti problemi di salute, ma la tossicità di diverse miscele di particelle è stata completamente compresa”, ha affermato David Diner, ricercatore principale della NASA per MAIA. “Lavorando insieme ai colleghi in Italia e in tutto il mondo, ci aspettiamo che MAIA ci aiuti a capire in che modo l’inquinamento da particelle sospese nell’aria mette a rischio la nostra salute e potenzialmente fornisca approfondimenti che informeranno le decisioni dei funzionari della sanità pubblica e di altri responsabili politici”.
Lo strumento scientifico dell’osservatorio contiene una telecamera spettropolarimetrica orientabile, che cattura immagini digitali da più angolazioni nelle porzioni dell’ultravioletto, del visibile, del vicino infrarosso e dell’infrarosso a onde corte dello spettro elettromagnetico. Questi dati aiuteranno il team scientifico MAIA a esplorare le dimensioni, la distribuzione geografica, la composizione e l’abbondanza delle particelle sospese nell’aria e a indagare su come si relazionano ai modelli e alla prevalenza dei problemi di salute derivanti dalla scarsa qualità dell’aria.
“MAIA segna un momento importante nella lunga storia della cooperazione tra NASA e ASI, e simboleggia il meglio che le nostre due agenzie possono mettere in campo in termini di competenza, conoscenza e tecnologia di osservazione della Terra”, ha affermato Francesco Longo, responsabile dell’Earth Observation e Divisione Operazioni dell’ASI. “La scienza prodotta da questa missione congiunta fornirà benefici all’umanità per gli anni a venire”.
Le misurazioni di MAIA della luce solare riflessa dalle particelle sospese nell’aria aiuteranno i ricercatori a determinare l’abbondanza, le dimensioni e le proprietà ottiche di alcuni inquinanti nell’atmosfera. L’utilizzo di tali dati insieme a misurazioni basate sulla superficie aiuterà i ricercatori a decifrare la composizione chimica delle particelle.
Le particelle di diametro pari o inferiore a 10 micrometri (PM10) sono abbastanza piccole da poter essere inalate, causando potenzialmente danni ai tessuti e infiammazioni a naso, gola e polmoni. Le particelle inferiori a 2,5 micrometri (PM2,5) possono penetrare più in profondità nei polmoni ed essere assorbite nel flusso sanguigno, dove possono causare problemi di salute più gravi.
La composizione di tali particelle dipende da come si sono formate. Ad esempio, il nerofumo deriva dalla combustione di combustibili fossili e alberi, mentre la polvere minerale proviene dal suolo e dalla sabbia. Altre particelle – carbonio organico, solfati e nitrati – possono formarsi attraverso reazioni chimiche tra i gas nell’atmosfera. L’obiettivo principale di MAIA è studiare se le esposizioni a questi diversi tipi di inquinamento da particelle hanno impatti diversi sulla salute.
Nel corso della sua missione triennale, MAIA si concentrerà su 11 aree target primarie che coprono i principali centri urbani di tutto il mondo: Los Angeles, Atlanta e Boston negli Stati Uniti; Roma; Addis Abeba, Etiopia; Barcellona, Spagna; Pechino; Johannesburg; Nuova Delhi; Taipei, Taiwan; e Tel Aviv, Israele. Orbitando a 740 chilometri sopra la superficie terrestre, la missione raccoglierà anche alcuni dati su 30 aree target secondarie in tutto il mondo.
Gli epidemiologi del team scientifico intendono studiare gli effetti dell’esposizione a breve termine all’inquinamento da particolato nel corso dei giorni, così come l’esposizione cronica, che può durare molti anni. Interessante è anche l’esposizione “subcronica”, come l’inalazione di sostanze inquinanti per mesi che potrebbe verificarsi durante la gravidanza, che può portare a effetti negativi sulla salute di madre e bambino.
Maggiori informazioni sulla missione
MAIA è una missione congiunta di osservazione della Terra tra NASA e ASI. JPL, che è gestito per la NASA dal Caltech di Pasadena, guiderà la componente statunitense del progetto e fornisce lo strumento scientifico dell’osservatorio e ospita il centro operativo dello strumento. Il programma SCaN (Space Communications and Navigation) della NASA fornirà servizi di uplink e downlink per comandi e dati, e l’Atmospheric Science Data Center della NASA fornirà risorse computazionali per generare e archiviare prodotti scientifici. L’ASI fornirà il veicolo spaziale PLATiNO-2, contribuirà ai servizi di lancio e ospiterà il centro operativo della missione.
Per quanto tragico sia, l’inghiottimento di un oggetto planetario da parte del suo genitore stellare è uno scenario comune in tutto l’universo. Ma non deve per forza finire in rovina. Un team di astrofisici ha utilizzato simulazioni al computer per scoprire che i pianeti non solo possono sopravvivere quando la loro stella li divora, ma possono anche guidarne l’evoluzione futura.
I modelli di formazione dei sistemi planetari hanno dimostrato che molti pianeti spesso finiscono per essere consumati dalla loro stella madre. È semplicemente una questione di dinamica orbitale. Le interazioni casuali tra i pianeti di nuova formazione e il disco protoplanetario che circonda una giovane stella possono inviare i pianeti su traiettorie caotiche. Alcune di queste traiettorie finiscono per far uscire del tutto il pianeta dal sistema, mentre altre traiettorie lo attirano alla stella.
Un’altra possibilità di inghiottimento si verifica verso la fine della vita di una stella, quando diventa una gigante rossa. Anche questo influisce sulla dinamica gravitazionale del sistema e può finire per catturare alcuni grandi pianeti nell’atmosfera della sua stella madre.
Tuttavia la grande sorpresa è che il pianeta non necessariamente è destinato a morire. Gli astronomi hanno trovato molti strani sistemi in tutta la galassia in cui i pianeti sembrano essere sopravvissuti al loro viaggio verso la stella. Ad esempio, ci sono sistemi di nane bianche in orbita molto vicino a un pianeta gigante, troppo vicino perché quel pianeta si sia formato naturalmente. Ci sono stelle con una quantità sorprendente di metalli più pesanti nelle loro atmosfere, segno che un oggetto roccioso vi è precipitato dentro. E ci sono stelle che ruotano troppo velocemente, la loro velocità di rotazione potrebbe essere stata amplificata da un pianeta in esse cadute.
Tutti questi sistemi potrebbero essere il risultato dell’ingorgo planetario con il pianeta che influenza l’ulteriore evoluzione della stella. Ma un pianeta può davvero sopravvivere nell’intensa atmosfera di una stella? Un team di astrofisici ha deciso di affrontare questa domanda utilizzando simulazioni al computer dell’interno di una stella, monitorando l’evoluzione e il destino di vari tipi di pianeti che potrebbero cadere al suo interno. Nelle loro simulazioni hanno studiato pianeti di varie masse e anche nane brune. Le loro simulazioni rafforzano l’idea che i pianeti possano sopravvivere all’ingorgo.
Ad esempio, in alcuni casi il pianeta può vivere per migliaia di anni, ruotando attorno al centro della stella all’interno della sua atmosfera. Questa azione orbitale può espellere materiale dalla stella, assottigliando i bordi esterni dell’atmosfera. In altri casi lo scambio di energia orbitale fa aumentare la temperatura dell’atmosfera stellare, facendola apparire molto più luminosa di quanto sarebbe normalmente.
Ma per sopravvivere all’ingorgo il pianeta stesso deve essere relativamente grande, almeno la massa di Giove. Piccoli pianeti come la Terra non possono durare a lungo in quelle condizioni. Ma se il pianeta è abbastanza grande e dipende dalla precisa evoluzione, il pianeta può sopravvivere al suo passaggio attraverso la stella e di fatto accelerare l’evoluzione della stella in modo che termini rapidamente la sua vita, liberando il pianeta dal suo abbraccio mortale.
Mentre tutti puntavamo gli occhi verso Giove, in congiunzione con Venere, proprio laggiù la sonda Juno sorvolava una delle sue lune principali, Io.
Il 1 marzo la sonda gioviana della Nasa si è infatti avvicinata ad appena 50mila chilometri di distanza da Io, la distanza minima raggiunta fin da quando, nel 2006, la sonda New Horizons passò nei pressi del gigante gassoso prima di proseguire verso Plutone. Proprio in quest’occasione, Juno ha raccolto dati e immagini di Io (come questa qui sotto).
Io è il satellite con maggiore attività vulcanica in tutto il sistema planetario. È la più interna delle quattro lune galileiane, e proprio per questo interagisce con così tanta veemenza gravitazionale con Giove, che le sue enormi forze mareali innescano la fusione della roccia. Le varie osservazioni da Terra e dallo spazio hanno mostrato che la sua superficie è costellata da almeno 400 vulcani attivi.
Nelle immagini di questo flyby di Juno, si notano alcune piccole ma chiare variazioni sulla superficie di Io rispetto a quanto osservato dalla New Horizons. A riportarlo è Jason Perry, fotografo che lavora su varie missioni Nasa. Per esempio un cratere, Chors Patera, risulta arrossato a causa della deposizione di un composto vulcanico a base di zolfo durante le eruzioni avvenute in questi 17 anni. Oppure nei pressi di East Girru si nota un piccolo flusso di materiale che appariva diverso nelle immagini della New Horizons.
Ma la storia non finisce qui. Nel pieno della fase estesa della sua missione, Juno ha ormai orbitato 49 volte attorno a Giove, e ha approfittato numerose volte di orbite adatte per dare un’occhiata alle lune di Giove. E con Io non ha di certo terminato il lavoro: quello del 1 marzo era solo il terzo di nove flyby della luna. Il 3 febbraio 2024 si avvicinerà a 1500 chilometri e potremo vedere Io e i suoi vulcani con un dettaglio veramente da record.
Ecco delle foto più classiche della congiunzione planetaria tra Giove e Venere che potremo osservare anche domani 2 marzo 2023. Queste sono ottenute l’1 marzo al tramonto, da una località cercata proprio per allineare i pianeti al paesino dove abito, Montecassiano (MC – ITALY). Riprese ottenute a 70mm e 400mm con fotocamera full frame.
Ecco il timelapse ripreso durante gli scatti
Ricordiamo che per chi volesse e meteo permettendo il “bacio” sarà visibile anche stasera con le indicazioni a seguire dell’autore dello scatto.
Il massimo avvicinamento tra Giove e Venere avverrà durante la notte tra il giorno 1 e 2 marzo 2023, quando il “bacio” tra i due astri li vedrà a circa 30′ di distanza tra loro, praticamente pari al diametro lunare. Dall’Europa potremo osservarli leggermente prima, la sera dell’1 marzo, o leggermente dopo il massimo avvicinamento, la sera del 2 marzo, sempre verso Ovest, al tramonto, tra le 18 e le 20:15 circa. In queste condizioni i due astri si troveranno ad una distanza comunque molto interessante, intorno ai 40′. La posizione prossima all’orizzonte permetterà di fotografarli contestualizzate al paesaggio: per ottenere questo tipo di immagini dovremo usare focali appropriate, consiglio di non andare oltre i 400mm su formato full frame e 300mm su APSC.
Nelle due immagini sotto rispettivamente dove guardare nella sera dei giorni 1 e 2 marzo alle ore 19 ora locale.
Dimenticando il paesaggio e volendo concentrare l’attenzione sui due astri, per riprendere qualche dettaglio della loro fase (Venere) o atmosfera (Giove), potremo spingerci ad usare focali più impegnative, nell’ordine massimo dei 2000mm su FF e 1300 su APSC.
Inviate i vostri scatti a coelumastro@coelum.com oppure caricateli in PhotoCoelum per la galleria che dedicheremo all’evento!
Deep Sky CCD Atlas è uno di quei testi da consultazione rapida e veloce che ogni osservatore, visualista o meno, dovrebbe avere con se.
Una guida in grado di aiutare subito nell’individuazione degli oggetti confrontandone la forma che appare con quella registrata dallo splendido lavoro dell’autore John C. Vickers.
All’interno dell’Atlante vengono fornite statistiche ed immagini di oltre 2400 oggetti identificati, cioè: 26 ammassi galattici formalmente riconosciuti, più di 1700 galassie (Ga), 310 ammassi aperti (OC), 10 asterismi, 120 nebulose planearie (PN), 145 nebulose diffuse (Em=ad emissione, Rifl=a riflessione), 102 ammassi globulari (GC) e 13 nebulose oscure (Dk.Neb).
I campi scelti per questo atlante contengono stelle deboli fino alla 21 magnetudine, un risultato raggiunto grazie a riprese effetuate nelle migliori condizioni di osservazione. Le galassie sono state esposte da 5 a 8 minuti, gli ammassi globulari e le nebulose di solito 3 minuti, brillanti ammassi stellari da 30 a 90 secondi (acquisendo stelle di magnitudine 18 e 19). Normalmente sono stati realizzati fotogrammi duplici dei campi, successivamente sommati. Molti degli oggetti relativamente estesi qui presentati sono stati ripresi in più frame, a volte in notti diverse, in seguito combinati in una tecnica a mosaico. Non sono stati utilizzati filtri mentre si è scelto di utilizzare immagini in negativo per rappresentare deboli dettagli nel modo più efficace possibile.
Nell’attesa del massimo avvicinamento, e confidando nella clemenza del meteo che per stasera fa ben sperare in alcune zone d’Italia, il nostro autore Cristian Fattinanzi ha immortalo i due astri già in pieno giorno, sfruttando un momento di cielo sereno.
Strumentazione: Takahashi FS102/820 con Canon 200d. 1/500″ a 200 ISO.
Il massimo avvicinamento tra Giove e Venere avverrà durante la notte tra il giorno 1 e 2 marzo 2023, quando il “bacio” tra i due astri li vedrà a circa 30′ di distanza tra loro, praticamente pari al diametro lunare. Dall’Europa potremo osservarli leggermente prima, la sera dell’1 marzo, o leggermente dopo il massimo avvicinamento, la sera del 2 marzo, sempre verso Ovest, al tramonto, tra le 18 e le 20:15 circa. In queste condizioni i due astri si troveranno ad una distanza comunque molto interessante, intorno ai 40′. La posizione prossima all’orizzonte permetterà di fotografarli contestualizzate al paesaggio: per ottenere questo tipo di immagini dovremo usare focali appropriate, consiglio di non andare oltre i 400mm su formato full frame e 300mm su APSC.
Nelle due immagini sotto rispettivamente dove guardare nella sera dei giorni 1 e 2 marzo alle ore 19 ora locale.
Dimenticando il paesaggio e volendo concentrare l’attenzione sui due astri, per riprendere qualche dettaglio della loro fase (Venere) o atmosfera (Giove), potremo spingerci ad usare focali più impegnative, nell’ordine massimo dei 2000mm su FF e 1300 su APSC.
Inviate i vostri scatti a coelumastro@coelum.com oppure caricateli in PhotoCoelum per la galleria che dedicheremo all’evento!
Deep Sky CCD Atlas è uno di quei testi da consultazione rapida e veloce che ogni osservatore, visualista o meno, dovrebbe avere con se.
Una guida in grado di aiutare subito nell’individuazione degli oggetti confrontandone la forma che appare con quella registrata dallo splendido lavoro dell’autore John C. Vickers.
All’interno dell’Atlante vengono fornite statistiche ed immagini di oltre 2400 oggetti identificati, cioè: 26 ammassi galattici formalmente riconosciuti, più di 1700 galassie (Ga), 310 ammassi aperti (OC), 10 asterismi, 120 nebulose planearie (PN), 145 nebulose diffuse (Em=ad emissione, Rifl=a riflessione), 102 ammassi globulari (GC) e 13 nebulose oscure (Dk.Neb).
I campi scelti per questo atlante contengono stelle deboli fino alla 21 magnetudine, un risultato raggiunto grazie a riprese effetuate nelle migliori condizioni di osservazione. Le galassie sono state esposte da 5 a 8 minuti, gli ammassi globulari e le nebulose di solito 3 minuti, brillanti ammassi stellari da 30 a 90 secondi (acquisendo stelle di magnitudine 18 e 19). Normalmente sono stati realizzati fotogrammi duplici dei campi, successivamente sommati. Molti degli oggetti relativamente estesi qui presentati sono stati ripresi in più frame, a volte in notti diverse, in seguito combinati in una tecnica a mosaico. Non sono stati utilizzati filtri mentre si è scelto di utilizzare immagini in negativo per rappresentare deboli dettagli nel modo più efficace possibile.
Nasce oggi il canale TELEGRAM di Coelum Astronomia.
Nella dispersione delle piattaforme social e nel rumore di fondo che mischia, immagini notizie e contenuti di rilievo. Coelum attiva un canale che vuole essere un luogo di informazione. Riservato e parsimonioso il nuovo spazio raccoglierà le ultime news di astronomia, astrofisica e esplorazione spaziale.
Solo in alcuni casi, e con dovizia, potranno trovare spazio anche delle comunicazioni di servizio importanti come l’uscita di un nuovo numero di Coelum o avvisi urgenti.
L’anteprima delle notizie sarà collegata agli articoli completi sul sito e la pubblicazione del post in contemporanea a quanto accade nel sito stesso.
Nell’immagine un alone blu risplende intorno alla falce di Plutone in uno scatto d’addio della navicella spaziale New Horizons della NASA il 14 luglio 2015. Al momento di fotografare Plutone, New Horizons era ad una distanza di circa 200.000 chilometri.
Sono colori approssimativi, ricostruiti tentando di essere fedeli a come dovrebbe essere nella realtà. L’immagine è il risultato dell’eleborazione di un mosaico di sei immagini in bianco e nero dal Long Range Reconnaissance Imager, con il colore aggiunto da un’immagine a colori Ralph/Multispectral Visible Imaging Camera che però è a risoluzione inferiore.
Gli scienziati ritengono che la foschia possa considerarsi uno “smog” derivante dall’azione della luce solare sul metano e su altre molecole nell’atmosfera di Plutone. Un reazione che produce una miscela complessa di idrocarburi i quali, accumulandosi in piccole particelle di foschia, tendono a diffondere la luce blu. Mentre si depositano nell’atmosfera, le particelle di foschia formano numerosi intricati strati orizzontali che si estendono ad altitudini di oltre 200 chilometri.
Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
Giunti oramai a marzo i mesi più “gelidi” dovrebbero essere trascorsi anche se con scarse piogge e solo qualche nevicata l’inverno quest’anno si è distratto, chissà che il freddo non si scateni proprio in questo mese folle.
Ampio spazio nel mese di marzo alla Costellazione dei Gemelli, dominante nei prossimi cieli con le due stelle appariscenti Castore e Polluce! Molto da dire anche sulla costellazione della Giraffa o Camelipardalis.
Tutte le effemeridi del mese di Marzo 2023 sono disponibili in file csv
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Mercurio
01/03 Sorge: h 06:25 Tramonta: h 16:47
31/03 Sorge: h 06:24 Tramonta: h 19:47
Mercurio nel mese di Marzo si renderà protagonista di splendide congiunzioni, ahinoi tutte diurne. Si inizia il 02 con Mercurio e Saturno molto vicini, solo 0.9° Sud; si continua il 16 Marzo con Nettuno addirittura a 0.4° Sud e si chiude con Giove a 1.5° Nord. Sotto l’orizzonte Mercurio incontra anche la Luna il 22 Marzo separati da 1.8° Sud. Mercurio sarà in congiunzione superiore il 17 Marzo mentre sarà al perielio il 31 ad una distanza dalla Terra pari a 0.3075 unità astronomiche.
Venere
01/03 Sorge: h 08:00 Tramonta: h 20:34
31/03 Sorge: h 07:24 Tramonta: h 21:46
Al contrario del primo pianeta del Sistema Solare, Marzo apre con Venere con il botto e con una bella sfida. Nella luce del tramonto, poco dopo la scomparsa del Sole sotto l’orizzonte, circa intorno alle 18:30 orario di Roma, Luna e Giove saranno vicinissimi e resteranno tali per circa un’ora e mezza prima di superare la linea immaginaria del suolo. Il resto del mese vedrà Venere allontanarsi sempre di più dal Sole per arrivare fino al 24 una nuova congiunzione con un delicatissima e sottile falce di Luna visibile sempre subito dopo il tramonto della nostra stella.
Marte
01/03 Sorge: h 11:02 Tramonta: h 02:32
31/03 Sorge: h 10:04 Tramonta: h 01:35
Marte continua la sua passeggiata attraverso tutto il cielo notturno. Allontanandosi via via da Albedaran si avvicina a M35 brillante ammasso aperto della costellazione dei Gemelli. Un solo evento interessante in questo mese per ammirare Marte e immortalare il suo percorso, dovremo attendere il 28 marzo per osservare una bella congiunzione fra Marte e Luna al primo quarto da osservare da subito dopo il tramonto fino al tramonto della coppia.
Giove
01/03 Sorge: h 08:04 Tramonta: h 20:35
31/03 Sorge: h 06:22 Tramonta: h 19:13
Ultimi spiragli per la finestra di osservazione del gigante rosso prima del tramonto, alla fine del mese infatti i due maggiori oggetti del Sistema Solare tramonteranno più o meno nello stesso momento chiudendo definitivamente il lungo periodo, durato anni, in cui il gigante rosso ha segnato i nostri cieli. Prima di salutarci definitivamente ultimo tentativo di immortalarlo nella congiunzione con Venere.
Saturno
01/03 Sorge: h 06:26 Tramonta: h 16:56
31/03 Sorge: h 04:37 Tramonta: h 15:16
Definitivamente un oggetto diurno e scomparso dai cieli della sera e della notte, solo a fine mese tornerà a fare capolino nel fresco della mattina per un’ora circa prima del sorgere del Sole. Poco tempo da dedicare quindi all’osservazione del gigante anellato perché anche nelle prime ore del mattino nessun evento particolare vedrà Saturno come protagonista, dovremo aspettare la metà di aprile per tornare ad ammirare il pianeta nei pressi della Luna.
Urano
01/03 Sorge: h 09:24 Tramonta: h 23:29
31/03 Sorge: h 07:29 Tramonta: h 21:37
Stessa sorte dei sui fratello gassosi, Giove e Saturno, Urano è sempre meno visibile, scompare nelle ore tiepide della mattina e si affaccia per un breve momento prima del tramonto prima di diventare definitivamente a fine mese un oggetto diurno. Prima di salutarci lancerà un’ultima sfida lasciandosi avvicinare alla Luna il giorno 24.
Nettuno
01/03 Sorge: h 07:25 Tramonta: h 19:06
31/03 Sorge: h 05:30 Tramonta: h 17:14
Nettuno che ha già preceduto i suoi compagni già dal mese di febbraio è completamente invisibile alla vista notturna. Continuerà ad assistere silenzioso agli eventi dei fratelli minori comodamente accolto nella costellazione dei Pesci.
LUNA
Il nostro satellite sempre ricco di dettagli!
Dopo il Primo Quarto dello scorso 27 Febbraio prosegue la Luna Crescente che culminerà col Plenilunio del 07 Marzo quando alle ore 13:40 il nostro satellite sarà in fase di 15,23 giorni, ad una distanza dal nostro pianeta di 403855 km, con un diametro apparente di 29,59’ ma si troverà a -37° sotto l’orizzonte essendo tramontato alle ore 06:53. Per effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere le 18:07 quando sorgerà contestualmente alla discesa del Sole sotto l’orizzonte rendendosi perfettamente visibile fino all’alba del mattino seguente.
Attivata immediatamente la fase di Luna Calante questa proseguirà di sera in sera passando alle ore 03:08 del 15 Marzo per l’Ultimo Quarto ad un’altezza di +7°40’, dopo essere sorta alle ore 02:06 e visibile fino alle prime luci dell’alba. Al termine della fase di Luna Crescente il nostro satellite, alle ore 18:23 del 21 Marzo, sarà in Novilunio completamente invisibile dal nostro pianeta in quanto contestualmente il Sole illuminerà interamente l’opposto emisfero…
Gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite per il mese di Febbraio 2023, continua nell’articolo di Francesco Badalotti.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
Le comete del mese di Marzo: la ZTF si allontana e una fivole C/2022 A2PANSTARRS resta sola nel cielo.
LA C/2022 E3 ZTF SI ALLONTANA
Con l’arrivo della primavera sta per terminare il regno della E3 ZTF, che tanto ci ha fatto trepidare nei mesi invernali e che per un bel po’ di tempo lascerà un grande vuoto dietro di sé. Alcune foto “artistiche” l’hanno trasformata in una novella Hale-Bopp, quando invece la realtà ci racconta di un bellissimo oggetto lontano però dai canoni della grande cometa.
C/2022 E3 ZTF
La sua corsa mensile si svolgerà quasi completamente nell’Eridano, a parte i primi due giorni quando sarà posizionata nella parte meridionale del Toro. Converrà cercarla non appena fa buio, inizialmente ancora discretamente alta sull’orizzonte ma gradualmente sempre più bassa. A inizio mese La sua luminosità dovrebbe aggirarsi attorno alla ottava magnitudine, rendendola ancora un bersaglio relativamente facile per modesti strumenti, mentre a fine mese non dovrebbe essere distante dalladecima magnitudine. In quel periodo saremo in sostanza quasi ai saluti, con la cometa ormai bassa e debole.
Ultimi appunti nel diario della cometa
Per finire vi propongo la seconda parte del mio diario osservativo dedicato alla C/ 2022 E3 ZTF riprendendo da dove lo avevo interrotto lo scorso mese:
27/1 h. 3.30
Nel riflettore da 30 cm. di diametro mostra una chioma molto estesa. Ilfalso nucleo è brillantissimo ed è circondato da un alone a sua volta brillante e dalla restante chioma più tenue ma rilevabile facilmente. Coda larga e corta. La visione d’assieme è però più soddisfacente nelgeneroso campodel binocolo 20×90.È Percepibile senza grandi problemi anche ad occhio nudo, pur rimanendo un oggetto poco appariscente. La stimo di quinta magnitudine.
30/1 h. 5.00
Oggi ho la miglior visione ad occhio nudo della cometa, che mi pare davvero facile da percepire, ovviamente con lavisione distolta. Non credo sia aumentata di luminosità, se non di un niente, forse è la posizione ad aiutare, nel senso che non è troppo vicina a stelle che disturbano e comunque non distante da un astro che fa da buon punto di riferimento.
1/2 h. 5.30
Nel giorno del suo passaggio nel punto più vicino alla Terra, ho la possibilità di osservarla poco prima dell’alba nell’ultima finestra di buio prima che la Luna si prenda la scena. La situazione è quella dei giorni immediatamente precedenti con la luminosità che ormai si è consolidata alla quinta magnitudine e l’aspetto che da qualche giornorimane sostanzialmente uguale.
5/2
Serata di plenilunio in cui la cometa si mostra in modo sorprendentemente facile nel piccolo binocolo 10×50. Nascondendo il nostro satellite naturale dietro ad un tetto la cerco allo zenith. È vicinissima alla stella Alfa dell’AurigaCapella e grazie alla sua chioma compatta risalta in un contesto non certo favorevole. Sinceramente credevo di fare più fatica e comunque di avere una sua visione molto meno chiara.
8/2
Cometa nuovamente visibile senza disturbo lunare, altissima in cielo(praticamente allo zenith). Così mi devo servire di uno sdraio per poterla osservare con il binocolo 20×90 tenuto a mano libera. È quasi a contattocon stella Iota Aurigae e continua a rimanere compatta, con falso nucleo ancora evidente. La coda è discretamente rilevabile, non molto lunga. Confrontando l’oggetto con i non lontani ammassi aperti Messier M 36, M 37 e M 38 somiglia molto a M 37, sia per dimensioni che per luminosità. La stima di magnitudine è quindi 5,6, in calo di sei decimi rispetto a una settimana prima. Non riesco a percepirla ad occhio nudo.
10/2
È vicina a Marte dalla quale la separano poco più di due gradi. Nel binocolo 10×50 i due oggetti sono visibili contemporaneamente ed è sempre un bel vedere quando si possono osservare questo tipo di incontri celesti.
17/2
Non è più così immediata, anche se non è comunque difficile. Credo la sua magnitudine possa avvicinarsi alla settima grandezza. Al binocolo 10×50 occorre accontentarsi di osservare la chioma mentre il 20×90 fa ancora vedere il falso nucleo, anche se non più spiccante, e una parvenza di coda quasi trasparente.
C/2022 A2PANSTARRS
Modesta cometa, ma pur sempre una delle più luminose del periodo, passata al perielio il 18 febbraio rivelandosi più luminosa del previsto. Si muoverà tra Lucertola e Andromeda, mantenendosi attorno alla decima magnitudine, osservabile al termine della notte astronomica.
Questo mese ci sembra doveroso dare spazio ai successi ed allo stupendo lavoro che stanno portando avanti, nel campo della ricerca delle Novae Extragalattiche, i componenti dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR) membro dell’ISSP dal gennaio 2013. Oltre a tre supernovae, la SN2012fm di tipo Ia scoperta il 21 ottobre 2012 nella galassia UGC3528, la SN2013ff di tipo Ic scoperta il 31 agosto 2013 nella galassia NGC2748 e la SN2020gpe di tipo II scoperta il 12 aprile 2020 nella galassia NGC6214, l’Osservatorio di Monte Baldo vanta al suo attivo anche la scoperta di numerose Novae Extragalattiche nelle tre stupende galassie M31, M33 e M81, che sono i principali soggetti seguiti da chi porta avanti questo tipo di ricerca. L’esplosione generata da una Nova è d’intensità assai minore rispetto all’evento più catastrofico che si verifica nell’universo, cioè ad una Supernova. Ecco perché le Novae hanno una luminosità molto inferiore rispetto ad una Supernova e pertanto con le strumentazioni attuali è possibile individuare solo quelle che si verificano nelle galassie a noi più vicine. Quelle più monitorate sono pertanto le famose M31, M33 e M81, è però possibile allargare il campo di ricerca anche ad altre galassie come ad esempio M32, M83, M110, NGC2403, IC342 cioè a galassie distanti non oltre i 15 milioni di anni luce. Le Novae Extragalattiche sono fenomeni che si verificano molto più frequentemente rispetto agli eventi di Supernova, però come abbiamo detto essendo di luminosità molto inferiore sono solitamente seguite da programmi professionali che utilizzano strumentazioni di elevata qualità. Non è pertanto facile per gli astrofili riuscire ad ottenere delle scoperte in questo campo di ricerca, ma gli amici di Monte Baldo hanno voluto provare ad intraprendere questa strada ed i risultati ottenuti vanno oltre qualsiasi più rosea aspettativa.
Gli scaligeri hanno deciso di monitorare sistematicamente, tutte le notti di sereno, le tre principali galassie cioè M31, M33 e M81 utilizzando la loro strumentazione di tutto rispetto costituita da un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 su montatura GM 4000. Per riuscire ad ottenere una minima probabilità di scoperta erano necessari due importanti fattori: raggiungere una profonda magnitudine limite, che arrivasse intorno alla mag.+20,0 / +20,5 ed una tempestività nei controlli per battere sul tempo i programmi di ricerca professionali. Il gruppo dell’Osservatorio di Monte Baldo riprende perciò subito in prima serata M31 ed M33 con pose complessive di 60 minuti ed a seguire una posa doppia di 120 minuti per la più lontana M81. Immediatamente dopo le riprese partono i controlli delle immagini acquisite, confrontate con immagini equivalenti di archivio. Prima però le immagini subiscono un lavoro standard di calibrazione (dark e flat) e poi un lavoro di mascheratura con Maxim per togliere il bagliore della galassia e isolare solamente le stelle. Con pose così lunghe infatti la luce della galassia saturerebbe l’immagine rendendola inutilizzabile allo scopo.
Ma veniamo alle tre scoperte del mese di febbraio messe a segno da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli. La prima è stata ottenuta la notte del 7 febbraio nella galassia di Andromeda M31, individuando una debole stellina di mag.+18 situata a 69” Ovest e 196” Sud dal nucleo della galassia. Un’attenta analisi del transiente ha evidenziato che la posizione coincideva con la Nova AT2022abzg scoperta il 1° novembre 2022 dai cinesi del programma Xoss.
L’analisi dello spettro e della curva di luce permise di classificarla come una Nova Simbiotica. Questo tipo di oggetti sono simili alle tradizionali Novae, con un sistema binario formato da una nana bianca ed una gigante rossa, però differiscono principalmente dal fatto che la nana bianca è di massa più piccola ed il trasferimento di materia dalla gigante rossa alla nana bianca non arriverà mai al limite di Chandrasekhar, impedendo al sistema di esplodere in una deflagrante supernova di tipo Ia. Gli scaligeri hanno perciò individuato un nuovo outburst di questo interessante transiente. La seconda scoperta è stata invece realizzata la notte del 10 febbraio, individuando una stella discretamente luminosa di mag.+16,8 nella bella galassia del Triangolo M33. Al nuovo transiente è stata assegnata la sigla AT2023bne ed un’analisi della curva di luce ottenuta sempre dal team dell’Osservatorio di Monte baldo ed uno spettro ottenuto dal bellunese Claudio Balcon hanno permesso di classificarla come una Variabile Cataclismica della nostra Via lattea, posizionata prospetticamente proprio davanti M33.
Non si tratta pertanto di una Nova di questa stupenda galassia a spirale, ma è pur sempre un’interessante scoperta. La terza ed ultima scoperta è stata infine ottenuta sempre nella notte del 10 febbraio nella bella galassia a spirale M81, con il nuovo transiente che mostrava una luminosità pari alla mag.+18,4. Questa scoperta deve essere condivisa con astrofilo ceco Kamil Hornoch, infatti anche se l’immagine di Monte Baldo è antecedente di quasi due ore rispetto a quella di Hornoch, il ceco è stato il primo a comunicarla con l’Atel 15896. All’oggetto è stata assegnata la sigla AT2023bnl e grazie agli astronomi bulgari del Rozhen Observatory, che hanno osservato il transiente con filtri a banda stretta con il telescopio RCC da 2 metri, è stato possibile confermare la natura di Nova in M81 vista la forte emissione nella banda H-alpha in corrispondenza del calo di luminosità nel visibile. L’oggetto infatti era sceso il 17 febbraio a mag.+19,6 e il 18 febbraio era ormai oltre la ventesima a mag.+20,1.
Nella rubrica supernovae non possiamo però parlare solo di Novae, anche se Extragalattiche e pertanto concludiamo analizzando la supernova più luminosa di questo inizio del 2023. Stiamo parlando della SN2023bee scoperta la notte del 1° febbraio dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC2708 situata nella costellazione dell’Idra a circa 90 milioni di anni luce di distanza. La supernova che al momento della scoperta mostrava una luminosità pari alla mag.+17,3 è situata molto distante dal nucleo della galassia e precisamente 124” Nord e 54” Est. I primi a riprendere lo spettro in tempo di record, appena 20 minuti dopo la scoperta, sono stati gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang da 2,4 metri, classificando il nuovo transiente come una supernova di tipo Ic o Ic-BL molto giovane, lasciando però una certa incertezza sulla classificazione a causa della giovanissima fase della supernova.
Il giorno seguente gli astronomi australiani del Siding Spring Observatory con il Faulkes Telescope South di 2 metri, hanno ripreso un nuovo spettro e questa volta il dubbio sulla classificazione è stato fugato: si tratta in realtà di una supernova di tipo Ia scoperta più di due settimane prima del massimo di luminosità, appena 2-3 giorni dopo l’esplosione, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano all’impressionate velocità di circa 25.000 km/s. La supernova infatti è aumentata progressivamente di luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 19 febbraio alla notevole mag.+13. Abbiamo pertanto un facile e luminoso oggetto da poter immortalare situato nei pressi di una fotogenica galassia.
Trovi tutti gli eventi osservabili e dell’ultimo mese nella sezione: Il Cielo del Mese
Indice dei contenuti
Il cielo del mese con mappe, effemeridi ed eventi importanti è su
(1) Ceres, il più grande asteroide della fascia principale, compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.55 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 381.474.570 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Deve il suo nome Cerere, Antica divinità italica e romana dei campi. Scoperto da Giuseppe Piazzi il 1 Gennaio 1801, questo imponente pianetino (974 Kilometri di diametro equatoriale) sarà in opposizione il 20 di Marzo. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 6.9. Il suo moto sarà di 0,57 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti, ma data la brillantezza del soggetto sarà opportuno utilizzare pose più brevi onde evitare di incorrere nel rischio di saturare l’immagine. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (1) Ceres trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(134) Sophrosyne è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.500 giorni (4.11 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 2.86 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.166 Km al perielio e 427.849.910 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 27 Settembre 1873 dall’astronomo tedesco Robert Luther. Prende il nome da Sophrosyne, un termine Platonico indicante “padronanza di sé” o “moderazione”. Questo grande asteroide (circa 108 Km di diametro) sarà in opposizione il 15 Marzo momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 12.1. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (134) Sophrosyne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
Marzo Iozzi è membri di GRAM Gruppo Astrofili Montelupo Fiorentino
Interrompiamo momentanemante l’esplorazione dei principali asteroidi della fascia per dedicarci nuovamente agli asteroidi Near Earth, quel gruppo oggetti (31.300 alla data di oggi), le cui orbite eliocentriche li portano ad avvicinarsi in vario grado al nostro pianeta.
Come abbiamo imparato, quando la Terra si trova nel punto di intersezione con l’orbita del NEA nel momento preciso in cui vi transita anche l’oggetto, l’ingresso in atmosfera è inevitabile: se l’asteroide ha una massa contenuta si consumerà in quota ed al suolo giungeranno eventualmente solo dei piccoli frammenti, come nel caso di 2023 CX1, il piccolo asteroide NEA di circa 1 metro di diametro, caduto sopra il canale della Manica il 13 febbraio. In quel caso si trattava di un asteroide appartenente alla famiglia Apollo, con un’orbita eliocentrica caratterizzata da un semiasse maggiore che si estendeva fino a 1.68 UA, un eccentricità di 0.45 ed un’inclinazione sull’eclittica di 3.5 gradi, che lo portava a stazionare per lo più al di fuori dell’orbita terrestre.
Quando il tempismo dell’incontro tra Terra e Asteroide non è così perfetto, e il corpo celeste si avvicina al nostro pianeta per poi proseguire la sua corsa, si verifica un Close Passage, un passaggio ravvicinato. Eventi di questo tipo sono piuttosto frequenti e un caso eclatante è stato quello dell’asteroide 2023 BU, un piccolo sasso di circa 5 metri di diametro che ha ci ha letteralmente sfiorato il 27 gennaio di quest’anno, passando ad una distanza di appena 3.600 Kilometri dalla superfice terrestre, ad una velocità relativa di circa 9 Km al secondo. Prima dell’incontro con la Terra l’orbita del piccolo asteroide presentava un semiasse maggiore che si estedeva fino a 0.98 UA, con un’eccentricità di 0.06 ed un’inclinazione sull’eclittica di 2.39 gradi. Se pensiamo all’enorme differenza di massa che intercorre tra i due corpi, constatare che l’orbita del pianetino sia stata modificata a seguito del passaggio non deve soprendere: il semiasse maggiore si è esteso fino a 1.1 UA, l’orbita presenta adesso un’eccentricità di 0.11 ed un’inclinazione sull’eclittica di 3.7 gradi ed anche il periodo orbitale del pianetino è cambiato, passando dai 358.67 giorni – prima del passaggio – agli attuali 425.38. Per quanto ravvicinato e spettacolare, il Close Passage di 2023 BU è stato di ben 10 volte più “ampio” di quello di quello avvenuto il 13 novembre del 2020, quando l’asteroide di 10 metri 2020 VT4 ha sorvolato la superficie terrestre ad un’altezza di appena 360 Km.
Non tutti i passaggi sono però così “stretti”, se si pensa che per la maggior parte si verificano a distanze di centinaia di migliaia o di milioni di KM dalla Terra. Il Minor Planet Center rende disponibile in home page un elenco aggiornato di passaggi ravvicinati – passati e futuri – dei NEA oggi noti, con i relativi dati. Un’intera pagina dedicata ai passaggi ravvicinati si trova poi all’interno del sito internet del Center of Near Earth Object Studies (CNEOS https://cneos.jpl.nasa.gov/ca/), dalla quale è possibile effettuare ricerche mirate impostando l’arco temporale di interesse, la distanza di minimo avvicinamento e la magnitudine assoluta del NEA. Una volta scelti i valori, i risultati sono presentati in forma di tabella, ordinabile in base alla proprie preferenze ed esportabile nei consueti formati CSV e XLSX.
Impostando una ricerca per i prossimi 60 giorni, scopriremo che per Marzo 2023 sono previsti 4 passaggi ravvicinati di NEA entro 10 LD, il più piccolo dei quali 2016 GH1 ha una diametro stimato tra gli 8 ed i 19 metri mentre il più grande 2023 DQ ha un diametro stimato tra i 130 ed i 290 metri, e nessuno si troverà a meno di 1,227 LD dalla terra.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
07 MARZO
Si inizierà il giorno7 Marzo, dalle 05:47 alle 05:56, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.
08 MARZO
Si replica l’8 Marzo, dalle 05:01 verso NNO alle 05:07 verso ESE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
10 MARZO
Passando al 10 Marzo, dalle 05:02 alle 05:08, da SO a SE, la ISS sarà osservabile al meglio per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.6 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.
16 MARZO
Saltando di sei giorni, ed iniziando con i transiti serali, il 16 Marzo avremo un nuovo transito parzialedalle 20:01 in direzione OSO alle 20:07 in direzione ONO. Visibilità migliore dal Centro Italia, con magnitudine massima di -3.7.
17 MARZO
Il 17 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle 19:13 alle 19:21, da SO ad ENE. Visibilità ottima, meteo permettendo, per tutta la nazione. Magnitudine massima a -3.8 per il migliore transito serale del mese.
19 MARZO
Due giorni dopo, un nuovo transito il 19 Marzo, dalle 19:12 alle 19:21, da OSO aNE, osservabile al meglio dal Centro Nord Italia, con magnitudine massima a -3.7.
30 MARZO
L’ultimo transito notevole del mese sarà nuovamente visibile al meglio da tutto il paese, il 30 Marzo. Dalle 20:55 alle 21:01, da NO ad E. Magnitudine di picco a -3.5.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
Dopo il Primo Quarto dello scorso 27 Febbraio prosegue la Luna Crescente che culminerà col Plenilunio del 07 Marzo quando alle ore 13:40 il nostro satellite sarà in fase di 15,23 giorni, ad una distanza dal nostro pianeta di 403855 km, con un diametro apparente di 29,59’ ma si troverà a -37° sotto l’orizzonte essendo tramontato alle ore 06:53. Per effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere le 18:07 quando sorgerà contestualmente alla discesa del Sole sotto l’orizzonte rendendosi perfettamente visibile fino all’alba del mattino seguente.
Attivata immediatamente la fase di Luna Calante questa proseguirà di sera in sera passando alle ore 03:08 del 15 Marzo per l’Ultimo Quarto ad un’altezza di +7°40’, dopo essere sorta alle ore 02:06 e visibile fino alle prime luci dell’alba. Al termine della fase di Luna Crescente il nostro satellite, alle ore 18:23 del 21 Marzo, sarà in Novilunio completamente invisibile dal nostro pianeta in quanto contestualmente il Sole illuminerà interamente l’opposto emisfero. Immediata la ripartenza di un nuovo ciclo riportando progressivamente il nostro satellite fuori dalle profondità della notte fino alle più comode ore tardo pomeridiane e serali con la possibilità per gli appassionati di osservazioni lunari di scandagliare le innumerevoli strutture geologiche nelle migliori condizioni osservative. Nel corso di questo mese il Primo Quarto sarà alle ore 04:32 del 29 Marzo con la Luna in fase di 7,38 giorni ma ormai a -10° sotto l’orizzonte essendo tramontata alle ore 03:09. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni di questa spettacolare fase lunare dovrà considerare la necessità di anticipare la propria sessione osservativa di alcune ore vista la presenza della Luna in cielo già da inizio serata. Analogamente alla prima settimana di questo mese, anche gli ultimi 5 o 6 giorni di Marzo saranno ideali per “buttarsi” letteralmente sul nostro satellite andando a selezionare col telescopio fra l’immenso campionario di strutture geologiche di qualsiasi tipo e dimensione che, con un meteo finalmente favorevole (ma è solo un’ipotesi….) ed un seeing almeno decente, potranno consentire piacevolissime e dettagliate osservazioni anche in alta risoluzione.
Infatti la sera del 31 Marzo il nostro satellite sarà in fase di 10 giorni e già dalle ore 20:15/20:30 circa potrà essere osservato ad un’altezza di ben +64° mentre il transito in meridiano si verificherà alle ore 21:29 a +70° rendendosi a nostra disposizione, oltre che per tutta la serata, anche fino a notte fonda quando alle ore 05:07 dell’1 Aprile scenderà sotto l’orizzonte. L’ultima di Marzo potrebbe rivelarsi veramente la tipica “serata lunare” se tutti i parametri andranno al loro posto. Infatti dalla regione polare settentrionale si potrà scendere lungo il terminatore ammirando il Sinus Iridum spingendosi fino al cratere Plato ed al gigantesco arco formato da Alpi, Caucasus e Appennini dove sarà d’obbligo andare a scandagliare negli imponenti e spettacolari crateri Eratosthenes e Copernicus con le loro alte pareti terrazzate che si innalzano per migliaia di metri in un mare letteralmente tappezzato da una miriade di piccolissimi craterini, quale conseguenza della ricaduta al suolo dei materiali in seguito ai devastanti impatti che originarono queste due grandi strutture geologiche. Sempre in prossimità del terminatore sarà possibile andare alla ricerca di piccoli dettagli nei mari Insularum, Cognitum e Nubium per poi arrivare sull’altopiano meridionale dove ci si presenterà una estesa porzione di questa vasta regione in cui la craterizzazione raggiunse tre/quattro miliardi di anni fa elevatissime concentrazioni con la formazione degli imponenti e spettacolari crateri pronti ancora oggi ad esibire i loro più fini dettagli. Senza dimenticare infine che nella medesima serata del 31 Marzo, come se già non bastasse, il punto di massima librazione sarà proprio in prossimità della regione polare sud. In conclusione, i “compiti a casa” non mancano certamente e Photocoelum rimane in attesa dei vostri “capolavori”. Alla Luna di Aprile ci penseremo il mese prossimo.
Le Falci lunari di Marzo
Per gli appassionati di falci lunari primo appuntamento per la tarda nottata del 19 Marzo quando alle ore 05:25 sorgerà un sottile (ma anche problematica) falce di 26,9 giorni in cui la parte illuminata riguarderà esclusivamente una ridotta porzione del settore più occidentale. Falce certamente problematica a causa della vicinanza al sorgere del Sole per cui sarà di fondamentale importanza attuare ogni possibile precauzione al fine di non intercettare la luce del Sole per evitare danni permanenti alla propria vista. Informo che la Luna sorgerà contemporaneamente al pianeta Saturno da cui sarà separata da 9°.
Con la Luna in fase crescente appuntamento per la successiva serata, il 23 Marzo, quando alle ore 20:39 scenderà sotto l’orizzonte una altrettanto sottile falce di 2,1 giorni sulla cui superficie sarà possibile individuare il mare Humboldtianum a nordest, i mari Marginis e Smythii ad est ed una porzione del mare Australe a sudest. Il tramonto di questa bella falce lunare sarà seguito dal pianeta Venere alla distanza di circa 9°, venendo a costituire un piacevole quadretto da immortalare in foto che potrete inviare a Photocoelum.
Una falce non proprio stretta (3,1 giorni) ma pur sempre spettacolare si potrà osservare la sera del 24 Marzo tenendo presente che alle ore 21:51 scenderà sotto l’orizzonte preceduta dal pianeta Venere (separazione di 4°) e seguita dal pianeta Urano (separazione di 3°). Altro fotogenico quadretto di cui attendiamo i vostri riscontri fotografici mentre chi fosse interessato ad osservare la superficie lunare potrà spaziare lungo tutto il bordo orientale, dal mare Humboldtianum a nordest fino al settore est del mare Crisium con i mari Marginis e Smythii, spostandosi poi lungo il bordo est del mare Fecounditatis fino al mare Australe a sudest. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Marzo
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudest + Regione Polare Sud:
01 Marzo. Fase crescente 09,50 giorni – Librazione mare Australe
02 Marzo. Fase crescente 10,57 giorni – Librazione cratere Boussingault
03 Marzo. Fase crescente 11,57 giorni – Librazione cratere Demonax
04 Marzo. Fase crescente 12,60 giorni – Librazione cratere Newton
05 Marzo. Fase crescente 13,64 giorni – Librazione cratere Wilson
Librazioni Regione Sudovest-Ovest:
06 Marzo. Fase crescente 14,64 giorni – Librazione cratere Bailly
07 Marzo. Fase crescente 14,20 giorni – Librazione cratere Bailly
08 Marzo. Fase calante 16,46 giorni – Librazione cratere Schickard
09 Marzo. Fase calante 17,50 giorni – Librazione Mare orientale sud
10 Marzo. Fase calante 18,55 giorni – Librazione crateri Grimaldi, Riccioli
Librazioni Regione Nordovest:
11 Marzo. Fase calante 19,60 giorni – Librazione crateri Kraft, Cardanus
12 Marzo. Fase calante 20,65 giorni – Librazione crateri Struve, Russel
13 Marzo. Fase calante 20,75 giorni – Librazione crateri Struve, Russel
14 Marzo. Fase calante 21,70 giorni – Librazione cratere Lavoisier, mons Rumker
15 Marzo. Fase calante 22,75 giorni – Librazione cratere Markov, Sinus Roris
16 Marzo. Fase calante 23,80 giorni – Librazione crateri Cleostratus, Pythagoras
17 Marzo. Fase calante 24,84 giorni – Librazione crateri Anaximander, Carpenter
23 Marzo. Fase crescente 02,09 giorni – Librazione mari Marginis, Smythii, Undarum
24 Marzo. Fase crescente 03,14 giorni – Librazione crateri Kastner, La Perouse
25 Marzo. Fase crescente 04,19 giorni – Librazione crateri Balmer, Humboldt
26 Marzo. Fase crescente 04,38 giorni – Librazione crateri Balmer, Humboldt
27 Marzo. Fase crescente 05,95 giorni – Librazione Mare Australe
28 Marzo. Fase crescente 06,98 giorni – Librazione Mare Australe
29 Marzo. Fase crescente 08,02 giorni – Librazione Mare Australe, cratere Pontecoulant
Librazioni Regione Polare Sud:
30 Marzo. Fase crescente 05,95 giorni – Librazione cratere Boussingault
31 Marzo. Fase crescente 10,09 giorni – Librazione cratere Schomberger
Note:
– Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
La Russia lancia la navicella di sostituzione verso la Stazione Spaziale Internazionale dopo il danneggiamento delle precedenti
Continua la situazione di difficoltà per l’equipaggio ora in opera nella ISS.
LaRussia ha lanciato oggi, venerdì, la nuova Soyuz di salvataggio diretta verso la Stazione Spaziale Internazionale e destinata a riportare a casa l’equipaggio attuale dopo che, quella predisposta e già attraccata presso la ISS sembrava riportare lo stesso problema che ha afflitto la navicella di dicembra quando a causa dell’impatto di un micrometeorite il serbatorio del liquido refrigerante era risultato danneggiato e perforato.
La stessa cosa sembrava essere accaduto di nuovo all’inizio di questo mese, questa volta su una nave da carico russa attraccata . Le viste della telecamera mostravano un piccolo foro in ogni veicolo spaziale.
L’Agenzia spaziale russa ha ritardato il lancio della Soyuz sostitutiva, alla ricerca di eventuali difetti di fabbricazione. Non sono stati riscontrati problemi e l’agenzia ha proceduto al lancio prima dell’alba di venerdì dal Kazakistan della capsula con pacchi di rifornimenti legati ai tre sedili.
Con sollievo di tutti, la capsula ha raggiunto in sicurezza l’orbita nove minuti dopo il decollo: “un viaggio perfetto verso l’orbita”, ha riferito da Houston Rob Navias della NASA Mission Control. La nuova capsula Soyuz vuota dovrebbe arrivare al laboratorio orbitante domenica.
Una valutazione del team di controllo aveva stabilito che riportare l’equipaggio a terra con la Soyuz in parte danneggiata sarebbe stato troppo rischioso. Senza refrigerante, la temperatura della cabina aumenterebbe durante il viaggio di ritorno sulla Terra, danneggiando potenzialmente computer e altre apparecchiature ed esponendo l’equipaggio Frank Rubio della NASA e Sergey Prokopyev e Dmitri Petelin della Russia, in tuta a un calore eccessivo.
Fini all’arrivo della nuova navicella il piano di evaquazione prevede che Rubio, passi ad una nave SpaceX mentre i due russi Prokopyev e Petelin rimarebbero assegnati alla loro Soyuz danneggiata nell’improbabile necessità di una fuga veloce. Avere una persona in meno a bordo manterrebbe la temperatura a un livello, si spera, gestibile, hanno concluso gli ingegneri russi.
La Soyuz danneggiata tornerà sulla Terra senza nessuno a bordo entro la fine di marzo, così gli ingegneri potranno esaminarla.
I tre uomini sono stati lanciati con questa Soyuz lo scorso settembre per quella che avrebbe dovuto essere una missione di sei mesi. Ora rimarranno nello spazio per un anno intero, fino a quando una nuova capsula non sarà pronta per i sostituti dell’equipaggio per il decollo a settembre. Quella orginale era proprio questa che ora è partita senza nessuno a bordo.
La nave di rifornimento danneggiata invece è stata riempita di spazzatura e liberata durante il fine settimana, bruciando nell’atmosfera come inizialmente previsto.
La NASA ha un nuovo equipaggio di quattro persone che si lancerà su un razzo SpaceX lunedì mattina (27 febbraio) presto dal Kennedy Space Center della Florida. William Gerstenmaier di SpaceX ha detto che i quattro astronauti che torneranno sulla Terra tra poche settimane hanno già ispezionato la capsula Dragon che li porterà a casa e “tutto è regolare”.
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Caro Marzo Entra, Come sono felice Ti aspettavo da tanto Posa il Cappello Devi aver camminato Come sei Affannato..
In bilico tra l’inverno e la primavera, il cielo di marzo ci regala un mix di costellazioni ancora in grado di offrirci spunti di osservazione e fotografia astronomica.
Insieme ad Orione, Auriga e Toro, nel cielo di marzo ritroviamo la costellazione dei Gemelli che, con le stelle Castore e Polluce, ci accompagna per tutta la notte splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.
Castore, con magnitudine 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, è composta da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra loro; sebbene venga indicata come α Geminorum, la stella è in realtà meno luminosa di Polluce (i due astri che rappresentano le teste dei gemelli zodiacali).
Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15 e situata a circa 34 anni luce da noi: si tratta della gigante a noi più vicina.
CASTORE E POLLUCE: GEMELLI DIVERSI
Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione dei Gemelli: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – come già anticipato è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.
Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.
Ma Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.
Circa dieci anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.
ALTRE STELLE E OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI
Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.
Nei Gemelli sono collocati degli oggetti celesti non stellari: stiamo parlando dell’ammasso aperto M35, gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.
Attraverso l’impiego di un buon telescopio e camera di ripresa, questi oggetti possono essere osservati e fotografati anche dagli astrofili che si approcciano al cielo profondo: già con un binocolo M35 può essere individuato come l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, composto da circa 250 stelle;utilizzando invece un telescopio sarà possibile identificare un maggior numero di stelle.
Interessante soggetto per gli astrofotografi è sicuramente la Nebulosa Medusa, che si rivela agli appassionati attraverso il telescopio (e a un lavoro di post produzione necessario, come sempre in astrofotografia, per definirne tutti i dettagli).
I GEMELLI NELLA MITOLOGIA
I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.
Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.
Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.
Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.
Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).
Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.
Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.
LA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA
In una remota area di cielo compresa tra l’Orsa Maggiore, l’Osa Minore, Cassiopea e Auriga, è situata la costellazione della Giraffa, nota anche come Camelopardalis.
Si tratta di una costellazione circumpolare boreale difficilmente riconoscibile ad occhio nudo da un cielo urbano: puntando in direzione della Giraffa ci troveremo dinanzi a una regione di cielo buia e priva di stelle luminose; questo perché le sue stelle sono di quarta e quinta magnitudine e quindi poco favorevoli ad essere individuate con semplicità.
La stella più luminosa della costellazione, β Camelopardalis, è una supergigante gialla di magnitudine +4,03, posta a una distanza di circa 900 anni luce; Alfa Camelopardalis è invece una stella supergigante blu con magnitudine apparente di +4,29 posta a 5240 anni luce.
OGGETTI NON STELLARI NELLA GIRAFFA
Tra gli oggetti deep sky presenti nella costellazione vi è l’ammasso aperto NGC 1502, composto da una cinquantina di stelle e osservabile già con un binocolo.
Nei pressi dell’ammasso di trova un interessante oggetto, la Cascata di Kemble: si tratta di un asterismo che appare come una sequenza di stelle di diversi colori e luminosità, disposte e allineate solo per un effetto prospettico.
Degli oggetti non stellari della Giraffa fa parte la nebulosa planetaria NGC 1501, la galassia a spirale NGC 2403, la galassia nanaNGC 1569, la galassia IC 342 che appartiene al Gruppo di galassie di Maffei 1, situato nei pressi del nostro Gruppo Locale.
Trattandosi di una costellazione creata da Petrus Plancius nel 1612, quella della Giraffa non vanta riferimenti nella mitologia; tuttavia possiamo, forse, riscriverne la storia, poiché negli ultimi mesi ha “ospitato” nelle sue vicinanze (anche se per brevissimo tempo) un corpo celeste che ha fatto molto parlar di sé in questo inizio anno: si tratta della Cometa C/2022 E3 (ZTF), ribattezzata come cometa di Neanderthal, che rimarrà nella storia dell’astronomia non tanto per essere stato un oggetto particolarmente luminoso e men che meno per la sua visibilità, (la cometa si è rivelata essere un tenue batuffolo verde invisibile ad occhio nudo) ma per via del suo ultimo passaggio ravvicinato che risale a circa 50.000 anni fa!
sta per scadere – mancano solo 5 giorni!
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La scoperta di massicce galassie primordiali sfida la precedente comprensione dell’universo
Sei enormi galassie scoperte nell’Universo primordiale stanno ribaltando ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla loro formazione.
“Questi oggetti sono molto più massicci di quanto ci si aspettasse”, ha detto Joel Leja, assistente professore di astronomia e astrofisica alla Penn State, che ha ricostruito la forma luminosa degli oggetti. “Ci saremmo aspettati infatti di trovare solo minuscole e giovani, insomma baby-galassie in questo stadio dell’evoluzione dell’Universo, ed invece abbiamo scoperto galassie mature come la nostra in quella che in precedenza era considerata l’alba dell’Universo”.
Utilizzando il primo set di dati rilasciato dal James Webb Space Telescope della NASA, il team internazionale di scienziati ha scoperto oggetti maturi come la Via Lattea quando l’Universo aveva solo il 3% della sua età attuale, circa 500-700 milioni di anni dopo il Big Bang. Il telescopio è dotato di strumenti di rilevamento a infrarossi in grado di catturare la luce emessa dalle stelle e dalle galassie più antiche. In sostanza, il telescopio consente agli scienziati di vedere indietro nel tempo circa 13,5 miliardi di anni, vicino all’inizio dell’Universo come lo conosciamo, ha spiegato Leja.
“Questo è il nostro primo sguardo così indietro, quindi è importante mantenere un approccio il più possibile ampio su ciò che stiamo vedendo”, ha detto Leja. “Mentre i dati indicano che si tratta probabilmente di galassie, penso che ci sia una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino buchi neri supermassicci oscurati. Indipendentemente da ciò, la quantità di massa che abbiamo scoperto significa che la massa nota nelle stelle in questo periodo del nostro universo è fino a 100 volte più grande di quanto avessimo pensato in precedenza. Anche se dimezziamo il campione, questo è comunque un cambiamento sorprendente”.
In un articolo pubblicato il 22 febbraio su Nature , i ricercatori dimostrano che le sei galassie sono molto più massicce di quanto ci si aspettasse e mettono in discussione ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla formazione delle galassie proprio all’inizio dell’universo.
“La rivelazione che la massiccia formazione di galassie è iniziata molto presto nella storia dell’universo sconvolge ciò che molti di noi pensavano fosse una scienza consolidata”, ha detto Leja. “Abbiamo chiamato informalmente questi oggetti ‘distruttori di universi’, e finora sono stati all’altezza del loro nome.”
Leja ha spiegato che le galassie scoperte dal team sono così massicce da essere in contraddizione con il 99% dei modelli per la cosmologia. Spiegare una quantità così elevata di massa richiederebbe l’alterazione dei modelli per la cosmologia o la revisione della comprensione scientifica della formazione delle galassie nell’Universo primordiale , secondo cui le galassie iniziarono come piccole nuvole di stelle e polvere che gradualmente si ingrandirono nel tempo. Entrambi gli scenari richiedono un cambiamento fondamentale nella nostra comprensione di come è nato l’universo, ha aggiunto.
“Abbiamo esaminato l’universo primordiale per la prima volta e non avevamo idea di cosa avremmo trovato”, ha detto Leja. “Si scopre che abbiamo trovato qualcosa di così inaspettato che in realtà crea problemi per la scienza. Mette in discussione l’intero quadro della prima formazione delle galassie “.
Il 12 luglio, la NASA ha rilasciato le prime immagini a colori e dati spettroscopici dal James Webb Space Telescope. Il più grande telescopio a infrarossi nello spazio, Webb è stato progettato per vedere la genesi del cosmo, la sua alta risoluzione gli consente di vedere oggetti troppo vecchi, distanti o deboli per il telescopio spaziale Hubble.
“Quando abbiamo ottenuto i dati, tutti hanno iniziato a immergersi e gli oggetti enormi sono saltati fuori molto velocemente”, ha detto Leja. “Abbiamo iniziato a modellare e abbiamo cercato di capire cosa fossero, perché erano così grandi e luminosi. Il mio primo pensiero è stato che avevamo commesso un errore e lo avremmo trovato e saremmo andati avanti con le nostre vite. Ma dobbiamo ancora trovare quell’errore, nonostante molti tentativi.”
Leja ha spiegato che un modo per confermare la scoperta del team sarebbe quello di acquisire un’immagine dello spettro delle galassie massicce . Ciò fornirebbe al team dati sulle vere distanze, e anche sui gas e altri elementi che costituivano le galassie. Dovremo quindi aspettare di ottenere altri dati dalle indagini del JWST
Gli altri coautori dell’articolo sono Elijah Mathews e Bingjie Wang della Penn State, Ivo Labbe della Swinburne University of Technology, Pieter van Dokkum della Yale University, Erica Nelson della University of Colorado, Rachel Bezanson della University of Pittsburgh, Katherine A. Suess dell’Università della California e della Stanford University, Gabriel Brammer dell’Università di Copenhagen, Katherine Whitaker dell’Università del Massachusetts e dell’Università di Copenhagen, e Mauro Stefanon dell’Universitat de Valencia.
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Intervista con Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, dal 1° gennaio 2023 direttore di EGO.
Fondato nel 2000 dall’INFN e dal CNRS Centre National de la Recherche Scientifique, il Consorzio EGO, lo European Gravitational Observatory, è oggi tra i protagonisti della scena internazionale della ricerca sulle onde gravitazionali grazie ai successi dell’interferometro Virgo. EGO, infatti, è il sito, alle porte di Pisa, di uno dei tre interferometri al mondo che ad oggi hanno osservato le minuscole vibrazioni dello spaziotempo previste da Albert Einstein nella Relatività Generale e le cui scoperte, premiata con il Nobel nel 2017, ha portato alla nascita dell’astronomia gravitazionale e dell’astronomia multimessaggera, due modi completamente nuovi di studiare l’universo. La missione di EGO è assicurare l’operatività, il mantenimento e il potenziamento dell’interferometro di Virgo, e promuovere la ricerca nel campo delle onde gravitazionali in Europa. Il consorzio EGO ha costruito negli anni forti legami con il territorio, grazie anche all’impegno nella diffusione della cultura scientifica, in particolare accogliendo le migliaia di studenti e studentesse che ogni anno visitano Virgo. Presto Virgo riprenderà a operare, dopo importanti lavori di potenziamento. Ma, guardando ancora oltre, la comunità internazionale delle onde gravitazionali ha lanciato una nuova importante sfida: la realizzazione in Europa di un rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione, ET Einstein Telescope. Dopo oltre vent’anni di storia, EGO si troverà quindi ad affrontare nei prossimi anni sfide decisive per il futuro della fisica gravitazionale europea e mondiale, sfide su cui si concentrerà il mandato del direttore del centro, Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, entrato in carica il 1° gennaio 2023, succedendo a Stavros Katsanevas, prematuramente scomparso nel novembre dello scorso anno.
Lei ha appena assunto la carica di direttore di EGO, succedendo a Stavros Katsanevas, che lo guidava dal 2018 e che ci ha prematuramente lasciati poco prima della fine del suo mandato.
Mirabile era l’entusiasmo con cui Stavros Katsanevas ha affrontato la sua attività di ricerca e la sua intera vita, che lui sapeva essere, negli ultimi anni, minata dal male che purtroppo lo ha portato via troppo presto. In particolare, di Stavros due aspetti mi hanno sempre colpito. Il primo è la capacità che lo contraddistingueva di saper guardare molto lontano e di lavorare sempre con uno sguardo rivolto al futuro, non soffermandosi mai sull’oggi. Il secondo riguarda invece il prezioso contributo che ha fornito alla fisica delle onde gravitazionali. Stavros aveva compreso quanto questo settore fosse importante non solo per le conoscenze scientifiche, ma anche per l’impatto che può avere sulla società. E aveva capito il forte interesse da parte del pubblico nel conoscere questo tipo di ricerche, che sono un incredibile attrattore per una serie di altri interventi culturali, artistici e filosofici.
Che cos’è EGO oggi? Su quali tematiche e attività si concentrerà l’inizio del suo mandato?
La funzione e gli scopi di EGO non sono essenzialmente cambiati rispetto al passato, e si concentrano sul dare supporto, come infrastruttura di ricerca, all’interferometro gravitazionale Virgo. La nostra missione, che perseguirò nel mio ruolo di direttore, continua perciò a essere quella di garantire che l’attività del rivelatore si svolga al massimo della sensibilità. Tra le responsabilità di EGO c’è poi mantenere le relazioni con le istituzioni scientifiche che fanno parte del consorzio o che vorrebbero entrare a farne parte. Una delle novità più importanti rispetto al passato riguarda l’ingresso dell’Istituto nazionale olandese per la fisica subatomica, Nikhef, in veste di socio del Consorzio. Fino a tempi recenti EGO è stata essenzialmente un’impresa italo-francese. Le due nazioni, attraverso l’INFN e il CNRS, hanno contribuito alla maggior parte dei finanziamenti necessari e, grazie ad Adalberto Giazotto e Alain Brillet, alle idee che hanno portato allo sviluppo delle tecnologie di Virgo e alla fondazione del Consorzio. Solo da qualche anno le modifiche apportate allo statuto di EGO hanno reso possibile l’ingresso come soci di altre istituzioni scientifiche, consentendo l’adesione di Nikhef e un’apertura nei confronti di tutti gli enti che vorranno in futuro farne parte.
Ma, ritornando all’importante contributo di chi mi ha preceduto e alla costruzione di una attiva presenza di EGO anche al di fuori del campo della fisica della onde gravitazionali, una delle eredità di Stavros Katsanevas, che sarà certamente portata avanti nel prossimo futuro, riguarda la collaborazione con le comunità di ricerca interessate a utilizzare i dati relativi al rumore ambientale o antropico che noi dobbiamo conoscere per rendere possibile l’osservazione delle onde gravitazioni.
La collaborazione scientifica Virgo si sta preparando al nuovo ciclo di presa data, dopo importanti lavori di potenziamento dell’interferometro.
Il nuovo ciclo di presa dati di Virgo, chiamato O4, dovrebbe prendere il via prima della prossima estate. Attualmente, siamo in quella che viene definita fase di commissioning, cioè di collaudo dei miglioramenti tecnici e tecnologici già effettuati sull’interferometro. Lavoro che va in parallelo con quello dei due rivelatori statunitensi LIGO, anch’essi sottoposti negli ultimi due anni a interventi di upgrade. Questo perché l’alternanza tra periodi di presa dati e periodi dedicati al miglioramento degli strumenti è ormai concordata dalla collaborazione mondiale di cui fanno parte Virgo, LIGO e l’interferometro giapponese KAGRA. Molti sono stati gli upgrade implementati su Virgo, tra cui l’installazione di una sorgente laser più potente, un elemento necessario per ridurre un particolare tipo di rumore denominato shot noise. Altri miglioramenti sono stati ottenuti tramite l’inserimento di un risonatore ottico aggiuntivo, che ha la funzione di permettere il riciclo del segnale ottico aumentando la larghezza di banda a cui sarà sensibile il rivelatore. E la costruzione di ottiche aggiornate, in grado di ridurre l’effetto della cosiddetta luce parassita, ovvero la dispersione della luce all’interno dell’interferometro. È stata inoltre implementata una rete di sensori che hanno l’obiettivo di ridurre il cosiddetto rumore newtoniano alle basse frequenze. L’intervento tecnologicamente più rilevante ha infine riguardato lo squeezing, una configurazione ottica quantistica che permette di ridurre al minimo l’accoppiamento del rumore dovuto alla pressione di radiazione e quello dovuto al sopramenzionato short noise. Tutti questi interventi si tradurranno in una maggiore sensibilità di Virgo, che sarà in grado di sondare lo spazio alla ricerca di eventi di coalescenza di sistemi binari composti da buchi neri, stelle di neutroni, o da coppie miste di questi oggetti, a distanze maggiori rispetto al passato. Ciò comporterà ovviamente anche un aumento del volume di spazio osservabile e del numero di segnali che saranno rivelati.
Dalla scoperta delle onde gravitazionali nel 2015 ad oggi è stato un susseguirsi di nuove misure e osservazioni. La ricerca sulle onde gravitazionali si dimostra determinante per il progresso delle nostre conoscenze. Perché queste ricerche fanno la differenza?
Con l’aumento della risoluzione, prevediamo che il tasso di eventi registrati da Virgo crescerà dal massimo di due ogni settimana a uno al giorno. La crescita del numero di eventi che ci aspettiamo di osservare sarà di fondamentale importanza perché consentirà di iniziare a effettuare studi di popolazione delle sorgenti coinvolte. Un aspetto rilevante che riguarda O4 è, inoltre, la decisione di allungare il periodo di presa dati da un anno a 18 mesi. Tra le motivazioni quella di riuscire a rivelare nuovamente un evento multimessaggero. Fino a oggi c’è stata infatti una sola osservazione di un evento simile, in cui l’onda gravitazionale associata ha un corrispettivo di tipo elettromagnetico. L’evento in questione fa riferimento alla fusione di due stelle di neutroni osservata da Virgo e LIGO nell’agosto del 2017. La fisica multimessaggera è estremamente interessante perché permette di studiare questi fenomeni in varie frequenze – non solo attraverso le onde gravitazionali, ma anche nelle bande dello spettro elettromagnetico – e di ricavare informazioni molto accurate sul tipo di sorgenti. L’astrofisica multimessaggera rappresenta quindi un fondamentale strumento per riuscire a fare luce sulle questioni ancora aperte che concernono le sorgenti astrofisiche estreme. Un settore su cui anche l’INFN sta investendo molto, come dimostrano progetti come l’osservatorio sottomarino KM3NeT, che avrà tra i suoi obiettivi affiancare e integrare l’attività degli interferometri gravitazionali attraverso lo studio dei neutrini, messaggeri cosmici che possono trasportare informazioni sulle sorgenti astrofisiche d’interesse.
La comunità scientifica internazionale sta già lavorando per il futuro interferometro di terza generazione ET. Quali sono le principali sfide che questo nuovo rivelatore pone per la sua realizzazione?
Rispetto ai rivelatori di seconda generazione, ET dovrà migliorare ulteriormente la risoluzione, soprattutto alle basse frequenze. Gli osservatori gravitazionali possiedono infatti una curva di sensibilità che varia con le frequenze, che sono a loro volta associate a fenomeni astrofisici diversi. La regione delle basse frequenze è particolarmente interessante perché, qualora riuscissimo a esplorarla, saremmo in grado di osservare le cosiddette onde gravitazionali primordiali, ovvero quelle che si sono prodotte insieme al Big Bang. Tuttavia, rimane una regione molto difficile da rivelare perché il rumore a bassa frequenza può avere molte sorgenti: tutt’oggi stiamo studiando per capire come implementare soluzioni per eliminarlo. Ciò rappresenterà sicuramente la sfida principale per la realizzazione di ET, per superare la quale sarà necessario sviluppare nuove tecnologie. Dobbiamo inoltre considerare anche l’aspetto legato alle difficoltà ingegneristiche e costruttive che i nuovi rivelatori pongono. A differenza degli attuali osservatori, caratterizzati da bracci della lunghezza di 3 chilometri, i prossimi interferometri possiederanno bracci con lunghezze che, a seconda dei progetti, andranno dai 10 ai 20 chilometri, allo scopo di aumentare la sensibilità alle medie e alte frequenza. Per esplorare invece le basse frequenze, la nostra proposta per ridurre al minimo il rumore ambientale, è stata quella di posizionare ET sottoterra.
Lei è stato rettore dell’Università di Sassari e durante il suo mandato è stato tra i promotori della candidatura a ospitare ET della Sardegna.
L’idea che la Sardegna fosse il posto ideale per ospitare un osservatorio gravitazionale non è recente: può essere fatta risalire al padre di Virgo e dell’interferometria gravitazionale, Adalberto Giazotto. Già all’epoca del mio trasferimento da Pisa a Sassari, Giazotto mi chiese infatti di attivarmi per promuovere il progetto, perché anche lui riteneva che la Sardegna fosse il posto giusto. Le ragioni sono valide ancora oggi e sono le stesse alla base della candidatura a ospitare ET nella regione: la limitata attività sismica che contraddistingue l’area, tra le più basse d’Europa, e l’altrettanto limitata presenza di rumore prodotto dalle attività umane. In particolare, il sito poi individuato, l’ex miniera di Sos Enattos, si trova nel comune di Lula, caratterizzato da una delle più basse densità di popolazione di tutto il territorio europeo. A ciò si aggiungono anche le caratteristiche geologiche dell’area, che si prestano alla realizzazione di ET. Il merito di aver compreso per primo che la Sardegna sarebbe potuta diventare il luogo ideale in cui osservare e studiare le onde gravitazionali va quindi a Giazotto, senza il quale la fisica di cui ci occupiamo non esisterebbe: è stato lui, in maniera molto visionaria, a proporre la tecnica che ha reso possibile la nascita di questo settore. Sulla base del suggerimento fornitomi da questo grande scienziato, una volta diventato rettore dell’Università di Sassari, e grazie alla maggiore capacità di intercedere presso le istituzioni nazionali e locali che il ruolo mi consentiva, ho perciò iniziato grazie all’INFN, che ha fornito la guida scientifica, a sottoporre la proposta. Pur nella speranza che ET potrà effettivamente essere ospitato in Italia, il solo fatto di essere riusciti a portare avanti la candidatura ha rappresentato un risultato non del tutto ovvio, perché il territorio di riferimento, proprio per la sua bassa antropizzazione, presenta difficoltà logistiche.
Perché è rilevante ospitare una grande infrastruttura di ricerca?
Sono stati condotti studi per valutare l’impatto di una grande infrastruttura di ricerca internazionale come ET e questi hanno mostrano come per ogni euro speso ci si aspetta un ritorno sei o sette volte superiore, di cui una parte rimarrebbe nel territorio. Ci sarebbe quindi un vantaggio immediato in termini economici legato all’indotto generato dai servizi necessari al funzionamento dell’infrastruttura di ricerca. Aspetto forse ancora più importante è che la realizzazione di ET in Sardegna garantirebbe inoltre la crescita complessiva di tutto il tessuto tecnologico locale e nazionale, e del capitale di competenze, attraverso la formazione che i giovani ricercatori potrebbero ricevere non solo nel campo della fisica gravitazionale, ma anche in tutti quei settori scientifici e applicativi necessari a rendere possibili le attività di un avanzato centro di ricerca. L’insieme di tutti questi fattori potrebbe così contribuire a rallentare il fenomeno dello spopolamento che sta gravando su tutte regione depresse d’Italia come le aree della Sardegna scelte per ospitare ET.
A prescindere da dove sarà costruito, EGO sostiene la realizzazione in Europa del progetto ET. Qual è il contributo che può portare al nuovo progetto? E qual è il contributo che la comunità scientifica italiana può portare?
Va detto che il contributo principale che sarà fornito al progetto ET concerne il ruolo esclusivo che EGO oggi svolge in Europa come centro per la fisica delle onde gravitazionali. Il solo centro in Europa in cui sia oggi possibile per un giovane maturare e acquisire competenze nel settore delle onde gravitazionali rimane Virgo: l’unico laboratorio europeo in cui è possibile fare esperienza diretta di questa fisica e sperimentare le nuove soluzioni tecnologiche cui faranno ricorso i prossimi osservatori. EGO e Virgo rappresentano quindi la scuola all’interno della quale saranno formati gli scienziati che lavoreranno su ET. Presso il nostro laboratorio possono inoltre essere studiate le fonti di rumore in grado di disturbare la rivelazione delle onde gravitazionali alle basse frequenze e si sta lavorando sulle tecnologie che saranno sviluppate per ET, come quelle del vuoto, di ottica o delle sospensioni. Una funzione fondamentale che EGO e Virgo potranno svolgere potrà essere, infine, quella di traghettare e mantenere attiva la comunità della fisica delle onde gravitazionali, per non correre il rischio che si disperda, in attesa della realizzazione di ET, che potrebbe richiedere anche 15 anni. Al termine dei periodi di presa dati O4 e O5 già programmati, noi potremmo infatti ospitare un ulteriore miglioramento di Virgo, il progetto Virgo Next, che potrà colmare le lunghe tempistiche che ancora ci separano dalla partenza delle attività scientifiche di ET.
Anche negli Stati Uniti si sta lavorando alla prossima generazione di interferometri, Cosmic Explorer. Perché una rete globale di interferometri è determinante per il successo di queste ricerche?
La differenza tra la fase iniziale di nascita della fisica delle onde gravitazionali, in cui è stata dimostrata sperimentalmente l’esistenza di queste perturbazioni dello spaziotempo, e quella attuale, che è caratterizzata dallo studio approfondito dei segnali gravitazionali, è la capacità di localizzare con precisione nello spazio le sorgenti degli eventi osservati grazie a più osservatori in grado di triangolare i segnali. Oltre a garantire informazioni indispensabili per lo studio delle onde gravitazionali, avere a disposizione una rete estesa di interferometri ha un secondo importante vantaggio, rappresentato dal fatto che, lavorando in sincrono, gli interferometri possono ridurre il rumore di fondo, aumentando l’accuratezza e la sensibilità complessiva delle misure. Questo è il motivo per cui sarebbe necessario iniziare a pensare alla ricerca sulle onde gravitazionali come un’attività coordinata a livello globale, che consenta di ottimizzare le risorse disponibili e quelle future, compreso l’interferometro spaziale LISA.
Cosa prevede e si augura per il futuro di EGO?
Dal punto di vista di EGO, una questione legata a un aspetto contingente che mi trovo a dover affrontare è il ritorno alla normalità dopo la pandemia. Mi auguro quindi che nel 2023 si possa tornare ad avere un’affluenza massiccia di ricercatori nel nostro centro. Tra gli obiettivi che mi sono prefisso per il mio mandato c’è proprio quello di rendere EGO ancora più accogliente dal punto di vista logistico e dei servizi disponibili.
Bentornati su Marte!
Continuiamo a seguire Perseverance e Ingenuity nel loro viaggio verso il delta attraverso terreni difficili. Si parte! Anzi…
…si sale! Nella prima metà di febbraio il rover è stato impegnato nella scalata verso i rilievi a nord della regione dove ha lavorato questi mesi passati, superando complessivamente un dislivello di circa 35 metri. Per farlo è ricorso alle sue doti di arrampicatore che, grazie a un baricentro molto basso, gli permettono di inclinarsi sino a 45° in qualunque direzione senza pericolo di ribaltamento. Tuttavia, per non correre rischi, durante tutto il corso della missione si intende evitare di portarlo oltre i 30°. Fanno comunque una certa impressione le immagini che il rover ci ha inviato nel corso dei giorni di spostamento, e per mezzo anche alla documentazione fornita dalle rilevazioni satellitari (maggiori dettagli più tardi) possiamo verificare che Perseverance ha percorso una strada con inclinazione media di 10° con picchi che hanno sfiorato i 25°.
Nei giorni in cui Perseverance risaliva l’importante dislivello Ingenuity non ha riposato.
Dopo la pausa estiva e gli impattanti rallentamenti autunnali (riferiti alle stagioni terrestri) l’elicotterino riprende calore. Per questo dobbiamo ringraziare il solstizio d’inverno, stavolta relativo al Pianeta Rosso, che dal 26 dicembre sta allungando i Sol. Con essi aumenta l’energia che Ingenuity riesce a produrre e la durata dei voli non può che giovarne.
Il volo 42 è stato eseguito il 4 febbraio decollando da Airfield Beta e atterrando a Airfield Gamma. Nel corso di 248 metri di spostamento orizzontale eseguiti in 137 secondi l’elicottero è salito di circa altri 20 metri di altitudine raggiungendo la regione del delta.
E qui sono forse iniziati un po’ di problemi.
Ingenuity, ci ricevi? Il piccolo elicottero non comunica direttamente né con la Terra né con i satelliti in orbita attorno a Marte. Si appoggia invece a Perseverance che ospita dell’hardware dedicato per dialogare con lui sulla frequenza di 900 MHz tramite un protocollo commerciale chiamato ZigBee. È poi il rover che salva i dati e ce li trasmette.
Concepito per lavorare entro poche centinaia di metri da Perseverance, nel tempo Ingenuity ha dimostrato di poter comunicare senza problemi anche oltre il chilometro di distanza. Tutto valido finché i due sono in contatto visivo, quella che viene chiamata line of sight. Se ci sono ostacoli in mezzo le onde radio sono disturbate e la comunicazione risulta deteriorata o persino impossibile.
Alcune delle primissime immagini che abbiamo ricevuto del volo 42, scaricate il 7 e 9 febbraio, mostravano segni evidenti di corruzione dei dati.
È possibile che sia stata proprio la posizione di Ingenuity e Perseverance ad aver influito sulla comunicazione? Per provare a trovare una risposta dobbiamo indagare un po’.
Il riferimento indispensabile sono le immagini satellitari scattate da HiRISE, il telescopio da 50 cm di diametro montato sul Mars Reconnaissance Orbiter. Questa impressionante ottica è corredata con un sensore fotografico che consente di distinguere dettagli più piccoli di un metro dalla quota di 300 km. Lo strumento permette anche, tramite il confronto tra immagini della stessa area acquisite da punti di vista differenti e algoritmi di elaborazione molto onerosi, di generare i Digital Terrain Models. I DTM sono niente meno che mappe altimetriche, e grazie all’elevata qualità delle immagini di partenza possono arrivare a risoluzioni di 25 cm per pixel, con una precisione di poche decine di cm nell’altitudine rilevata. Le immagini ad alta risoluzione di HiRISE e i DTM sono disponibili per tutti e gratis sul sito scientifico dello strumento curato dall’Università dell’Arizona. Agli “scienziati di quartiere” non resta che scaricare i file, importarli su un programma di modellazione 3D o GIS (Geographic Information System), e analizzare lo scenario.
Delle numerose osservazioni disponibili del cratere Jezero, luogo di atterraggio e lavoro di Perseverance, ho selezionato una coppia di riprese acquisite nel gennaio e maggio 2007. La posizione dell’elicottero e del rover è stata recuperata sul sito che traccia gli spostamenti dei due robot e sono così in grado di mostrarvi dove si trovavano precisamente il Sol 697, giorno del 42esimo volo.
A questo punto ho eseguito due elaborazioni.
Nel corso della prima ho caricato il relativo DTM sul programma di modellazione 3D Blender, ho sovrapposto la corrispondente texture e aggiunto nelle posizioni corrette i modelli per Perseverance e Ingenuity.
Vi presento così un video in cui voliamo insieme su Marte, prima attorno a Perseverance e poi verso Ingenuity sfiorando promontori rocciosi. Risaliamo il Rocky Top e siamo nella regione del delta, dove i due robot stanno attualmente già avanzando.
Questa visuale, per quanto interessante, non chiarisce tutti i dubbi. Per analizzare meglio la posizione di rover ed elicottero serve qualcosa di più approfondito.
Ci viene in soccorso il programma gratuito QGIS. Esso può nativamente prendere in ingresso i file DTM e fornire una rapida visualizzazione generando delle opportune ombre.
Ancora una volta, prendendo come riferimento le posizioni di Ingenuity e Perseverance al Sol 700 (7 febbraio), possiamo estrarre informazioni quali la distanza in linea d’aria di 356 metri e il dislivello di 30 metri.
Ma ancora più interessante, e adatta ai nostri scopi, è l’analisi del profilo altimetrico. Scopriamo così che per metà della distanza che separava rover ed elicottero c’era un muro di roccia alto sino a quasi tre metri che avrebbe avuto la potenzialità di disturbare la propagazione del segnale radio emesso da Ingenuity.
Il grafico disegna il profilo altimetrico della line of sight tra Perseverance e Ingenuity il giorno 7 febbraio. La retta verde è il percorso tra le rispettive antenne, che tiene conto anche dell’altezza a cui sono installate sui due robot. L’altezza in ordinata risulta negativa perché il cratere Jezero si trova sotto il livello medio della superficie marziana, il cosiddetto areoide, calcolato sulla base del campo gravitazionale del pianeta.
Alcuni giorni più tardi (11, 13 e 15 febbraio) Perseverance ha eseguito altri download delle immagini dalla memoria dell’elicottero e questi sono avvenuti con successo pur senza che il rover si sia spostato in maniera rilevante. Non ci è quindi possibile, senza conoscere alcuni dettagli del protocollo di comunicazione, concludere con certezza che questi apparenti problemi abbiano avuto come unica causa l’ostacolo delle rocce.
I DTM si rivelano tuttavia un aiuto prezioso per comprendere meglio le difficoltà del terreno in cui Perseverance e Ingenuity stanno operando, e lo saranno ancora di più nei prossimi mesi in cui ci troveremo a fare slalom tra le formazioni rocciose del delta.
Gli ultimi voli Senza avere ancora svuotato la memoria dalle foto del 42esimo volo, Ingenuity è decollato ancora una volta e il 16 febbraio ha continuato ad avanzare verso nord-ovest per ben 390 metri in 146 secondi. Non vedevamo simili distanze e tempi di volo da aprile, segno della riacquisita confidenza nelle capacità dell’avanzatissimo drone.
Nelle ultime ore abbiamo avuto conferma del 44esimo spostamento che ha avuto luogo il 19 febbraio. Ingenuity ha proseguito l’avanzamento verso nord-ovest per 325 metri, continuando a studiare il terreno con le rilevazioni fotografiche a tutto vantaggio del suo compagno rover. Quest’ultimo ha davanti a sé terreni molto accidentati che richiederanno caute valutazioni sul percorso da seguire. Considerando la rinnovata vitalità di Ingenuity, non è così certo che Perseverance riuscirà a rivedere l’elicottero da vicino molto presto.
La “magnifica desolazione” di Perseverance
Chiudiamo questo aggiornamento marziano con alcune delle più belle immagini che il rover ci sta inviando dalla regione del delta. Il terreno è estremamente accidentato, e per avanzare con passo spedito il rover deve fare affidamento sul software di navigazione autonoma. Grazie alle sue camere riesce a individuare con un’ottima autonomia ostacoli e aree pericolose, elaborando un percorso sicuro che sino ad ora gli sta permettendo di spostarsi sino a 200 metri al giorno.
Anche per questo aggiornamento marziano è tutto!
A presto con nuove immagini, nuovi video e nuovi racconti.
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Uno spettacolare trio di galassie in fusione nella costellazione di Boötes è al centro di questa immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Queste tre galassie sono in rotta di collisione e alla fine si fonderanno in un’unica galassia più grande, distorcendo la struttura a spirale l’una dell’altra attraverso l’interazione gravitazionale reciproca nel processo. Una galassia in primo piano non correlata sembra fluttuare serenamente vicino a questa scena, e sullo sfondo sono visibili le forme sfumate di galassie molto più distanti.
Questo trio in collisione, noto agli astronomi come SDSSCGB 10189, è una combinazione relativamente rara di tre grandi galassie in formazione stellare che si trovano a soli 50.000 anni luce l’una dall’altra. Anche se potrebbe sembrare una distanza di sicurezza, per le galassie questo le rende estremamente vicine. I nostri vicini galattici sono molto più lontani; Andromeda, la grande galassia più vicina alla Via Lattea, dista oltre 2,5 milioni di anni luce dalla Terra.
Questa immagine proviene da un’osservazione progettata per aiutare gli astronomi a comprendere l’origine delle galassie più grandi e massicce dell’universo. Questi colossi galattici sono chiamati Brightest Cluster Galaxies (BCG) e, come suggerisce il nome, sono definiti come le galassie più luminose in un dato ammasso di galassie. Gli astronomi sospettano che i BCG si formino attraverso la fusione di grandi galassie ricche di gas come quelle viste qui. Si sono rivolti alla Wide Field Camera 3 e alla Advanced Camera for Surveys di Hubble per indagare su questo trio galattico nei minimi dettagli, sperando di far luce sulla formazione delle galassie più massicce dell’universo.
Il disco nero di Mercurio aiuta ad affinare la visuale di Solar Orbiter
Quest’anno è iniziato con una bella opportunità di imaging per Solar Orbiter e un’opportunità per migliorare ulteriormente la qualità dei suoi dati. Il 3 gennaio 2023, il pianeta interno Mercurio ha attraversato il campo visivo della navicella, dando vita a un così detto transito in cui Mercurio è apparso come un cerchio perfettamente nero in movimento attraverso la faccia del Sole.
Un certo numero di strumenti dell’ESA/NASA Solar Orbiter ha catturato il transito. Nell’immagine Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) , Mercurio appare come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell’immagine ed è nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.
L’Extreme Ultraviolet Imager (EUI) ha poi continuato a filmare il viggio del pianeta mostrando Mercurio subito dopo aver lasciato il disco che si stagliava davanti a strutture gassose nell’atmosfera del Sole.
Lo strumento Spectral Imaging of the Coronal Environment (SPICE) suddivide la luce proveniente dal Sole nei suoi colori costituenti per isolare alcuni spettri che provengono dal lato inferiore del Sole. Linee che corrispondo ad atomi di elementi scelti per rivelare i diversi strati nell’atmosfera del Sole a diverse temperature. Il neon (Ne VIII) è a una temperatura di 630 000 K, il carbonio (C III) è a 30 000 K, l’idrogeno (Ly Beta) è a 10 000 K e l’ossigeno (O VI) è a 320 000 K K.
“Non si tratta solo di guardare Mercurio che passa davanti al Sole, ma anche il passagio su diversi strati dell’atmosfera”, afferma Miho Janvier, Institut d’Astrophysique Spatiale, Francia, il vice scienziato del progetto SPICE che è attualmente distaccato a ESA.
I transiti planetari sono stati utilizzati per vari scopi dagli astronomi. Nei secoli passati venivano usati per calcolare le dimensioni del nostro Sistema Solare. Gli osservatori in quel tempo si posizionavano in luoghi molto distanti cronometrando il transito e quindi confrontando i risultati. L’ora precisa dell’evento sarebbe stata leggermente diversa. Conoscendo la distanza tra gli osservatori, il diverso orario consentiva loro di utilizzare la trigonometria per calcolare la distanza dal Sole.
Più di recente, i transiti sono diventati il modo più efficace per trovare pianeti attorno ad altre stelle.
L’ESA utilizza il metodo del transito per studiare gli esopianeti nella sua attuale missione Cheops (CHaracterising ExOPlanet Satellite). Nel prossimo futuro, la missione PLAnetary Transits and Oscillations of stars (PLATO) utilizzerà i transiti per cercare pianeti delle dimensioni della Terra nelle zone abitabili fino a un milione di stelle. E nel 2029, Ariel (Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey) dell’ESA utilizzerà i transiti per studiare le atmosfere di circa 1000 esopianeti conosciuti.
Per Solar Orbiter, questo particolare transito ha offerto una preziosa opportunità per calibrare gli strumenti. “È un oggetto nero certificato che viaggia attraverso il campo visivo”, afferma Daniel Müller, scienziato del progetto Solar Orbiter presso l’ESA. “Pertanto, qualsiasi luminosità registrata dallo strumento all’interno del disco di Mercurio deve essere causata dal modo in cui lo strumento trasmette la sua luce, chiamata funzione di diffusione del punto. Quanto meglio questo è noto, tanto meglio può essere rimosso.” Quindi, studiando questo evento, la qualità dei dati di Solar Orbiter può essere ulteriormente migliorata.
Per osservare da vicino Mercurio, l’ESA ha inviato la missione BepiColombo. Farà il suo prossimo sorvolo ravvicinato del pianeta nel giugno 2023. Nel frattempo, Solar Orbiter farà il suo prossimo passaggio
Fonte: ESA/NASA Solar Orbiter
In Coelum Astronomia 260 l’approfondimento dedicato allo stato della Radioastronomia in Italia e nel Mondo a cura di Silvia Casu dell’INAF
IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA INVISIBILE UTILIZZA LA TECNOLOGIA DELLA RADIOASTRONOMIA PER RILEVARE OGGETTI ARTIFICIALI NELLO SPAZIO
I ricercatori dell’International Center for Radio Astronomy Research (ICRAR) hanno sviluppato un sistema di sensori portatili a basso costo che può essere utilizzato per rilevare spazzatura spaziale, satelliti e aerei.
Il progetto portatile Space Domain Awareness (SDA) fa parte di una borsa di ricerca collaborativa finanziata dal Defense Science Centre del governo dell’Australia occidentale. Sviluppato dai ricercatori della Curtin University dell’ICRAR, il progetto SDA sfrutta le tecnologie utilizzate nella radioastronomia per creare un sistema radar passivo economico, flessibile e portatile.
A differenza dei sistemi radar convenzionali, che trasmettono deliberatamente un segnale noto, un sistema radar passivo fa uso di trasmissioni di terze parti come segnali radio e TV per rilevare oggetti senza rivelare la propria esistenza.
Il professore associato Randall Wayth dell’ICRAR-Curtin è il ricercatore capo del progetto e afferma che il sistema a 32 antenne potrebbe essere configurato per diverse applicazioni.
“Il nostro sistema è altamente portatile, sensibile e invisibile a molti sistemi di rilevamento tipici o commerciali, rendendolo ideale per l’implementazione in ambienti remoti e scenari di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.
I ricercatori dell’ICRAR hanno prototipato il loro sistema di sensori portatili basato sulla tecnologia di radioastronomia esistente, dimostrando il suo uso per la sorveglianza nascosta che può essere gestita autonomamente o integrata in una rete più ampia.
“Nella costruzione di questo prototipo, ICRAR ha preso le tecnologie e le competenze sviluppate nel corso della nostra attività principale di radioastronomia e le ha applicate a uno scopo di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.
“Le tecniche che usiamo per immaginare l’Universo distante si traducono direttamente nel rilevamento di oggetti più vicini a casa”.
Una considerazione chiave per il progetto è stata quella di motivare e stimolare lo sviluppo di una catena di approvvigionamento manifatturiero dell’Australia occidentale per i componenti critici. Per raggiungere questo obiettivo, il progetto ha sfruttato le forti connessioni dell’ICRAR con le industrie ingegneristiche e manifatturiere dell’Australia occidentale per rispondere alle esigenze di capacità attuali ed emergenti della difesa. Ciò ha dimostrato il sostegno dell’ICRAR ai posti di lavoro locali e all’industria manifatturiera di WA.
Il team di ricerca ha collaborato con il Development WA del governo WA , per distribuire il sistema SDA portatile all’Australian Automation and Robotics Precinct (AARP) a Neerabup. Questa disposizione ha accresciuto la consapevolezza delle capacità di ricerca e sviluppo dello stato nel campo della SDA e ha fornito una vetrina per le strutture del governo WA.
Guardando al futuro, il professore associato Wayth afferma che sono in corso discussioni con collaboratori dell’industria e del governo, con l’obiettivo di raggiungere capacità di elaborazione dei dati in tempo reale, migliorando il potenziale di applicazione a varie sfide di difesa e sicurezza.
Fonte: https://www.icrar.org/portable-sda/
In Coelum Astronomia 260 l’approfondimento dedicato allo stato della Radioastronomia in Italia e nel Mondo a cura di Silvia Casu dell’INAF
Prima fa centro di nuovo: trovata la Meteorite di San Valentino
Eccola, è la meteorite di San Valentino!
Lo scorso 14 febbraio un bolide, una meteorona bella grossa, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia. Se fino a qualche anno fa un evento come questo raramente portava al ritrovamento di meteoriti, oggi grazie alla rete Prisma, capita sempre più di frequente. È successo per esempio con la meteorite di Cavezzo, raccolta il 4 gennaio 2020 a Modena, ed è successo di nuovo in questi giorni di febbraio, sempre grazie alla rete di Prisma.
Il concetto è semplice in teoria, ma richiede un certo impegno per essere messo in atto: una rete di telecamere all-sky disseminate in tutto il territorio italiano che tengono d’occhio il cielo in ogni momento. Non sai mai quando e dove capiterà la prossima meteora degna di nota. Quando ci sono i presupposti, ossia quando il fenomeno è abbastanza energetico da suggerire che qualche frammento di roccia sia arrivato a Terra, grazie alle telecamere è possibile triangolare il potenziale punto di atterraggio.
Ovviamente questo metodo non permette di trovare il punto di caduta al millimetro, pertanto è comunque necessario organizzare spedizioni ad hoc per andarle a cercare in un’area più o meno estesa, a seconda del numero di telecamere con cui è avvenuta la triangolazione.
La meteorite di San Valentino, dicevo, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia, attorno alle 19 di sera del 14 febbraio, tra la Puglia e la Basilicata. Il giorno dopo è stata delineata l’area di ricerca, a nord di Matera. Questa volta però la ricerca è finita ben presto: la meteorite è caduta su un balcone ed è stata segnalata a Prisma da due cittadini di Contrada Rondinelle. Sono stati raccolti oltre 70 grammi in 12 frammenti principali e decine più piccoli, riporta Prisma nel comunicato della faccenda. Avrebbe viaggiato a 300 chilometri orari, creando un minuscolo craterino in una piastrella del balcone. Penso in pochi possano dire di avere un cratere da impatto in casa propria.
La quasi totalità delle meteoriti sono rinvenute nei deserti, per via delle favorevoli condizioni climatiche e ottiche. Avere la possibilità di recuperarne in luoghi umidi e per di più fresche fresche di caduta (invece che ben alterate dopo decenni o secoli sulla Terra), è qualcosa di sensazionale dal punto di vista scientifico. Non a caso il 18 febbraio (che poi sarebbe ieri) la meteorite è stata consegnata ai ricercatori di Prisma, che ne faranno le dovute e approfondite analisi per ascoltare le storie che ha da raccontarci sul sistema planetario in cui viviamo.
L’approfondimento sarà sul prossimo numero di Coelum, n°261 da non perdere!
Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preceduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno
“Spettacolare quanto problematica la congiunzione che avrà come protagonisti Luna, Venere e Giove prevista per la serata del 22 Febbraio intorno alle ore 20:15. Infatti una bella falce lunare di 2,8 giorni il cui tramonto nella zona di Roma è previsto per le ore 20:37, verrà a trovarsi alle 20:15 quasi a metà strada fra Venere (separazione di 4°46’) ormai in procinto di tramontare ed il pianeta Giove (separazione di 3°23’). Sarà opportuno tenere presente che questa congiunzione potrà essere osservata col nostro satellite ad un’altezza di soli 4°16’ per la zona di Bolzano fino ai 3°40’ per l’Italia Centrale, per finire con i 3°13’ per chi osserva dall’Italia Meridionale.”
In breve riprendiamo gli eventi interessanti per le osservazioni dei prossimi 7 giorni
DATA
ORA
OGGETTO
EVENTO
19/02/2023
10:05:53
Luna
Perigeo
20/02/2023
00:57:32
Luna-Saturno
Congiunzione
20/02/2023
08:05:43
Luna
Nuova
21/02/2023
19:14:41
Luna-Nettuno
Congiunzione
22/02/2023
08:53:38
Luna-Venere
Congiunzione
22/02/2023
22:59:56
Luna-Giove
Congiunzione
24/02/2023
19:55:59
Luna
Nodo
25/02/2023
14:04:20
Luna-Urano
Congiunzione
26/02/2023
16:20:00
Luna-Pleiadi
Congiunzione
Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preeduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno
Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica. Come avviene ogni mese ormai da oltre quattro miliardi di anni, dal Novilunio ripartirà un nuovo ciclo lunare mentre, volendo, potremo constatare come di notte in notte il nostro satellite ci presenterà una falce illuminata di proporzioni sempre maggiori fino a riportarsi nuovamente nelle migliori condizioni osservative, anche se per i cosiddetti “esperti” qualsiasi dettaglio anche nelle più ostiche condizioni può essere fonte di ricerche e osservazioni sistematiche, dalla falce di 1 o 2 giorni fino alla Luna Piena.
Protagoniste delle foto più romantiche, le falci, ci danno appuntamento per il tardo pomeriggio del 21 Febbraio con una sottile falce di 1,47 giorni che alle ore 19:23 scenderà sotto l’orizzonte, seguita dai pianeti Venere e Giove, e per il il 22 Febbraio quando una falce di 2,5 giorni tramonterà alle ore 20:37 sulla cui superficie aumenteranno notevolmente le strutture che potranno essere oggetto di dettagliate osservazioni nei settori nordest
Dovremo attende il giorno 27 per scorgere (40) Harmonia in opposizione.
Le tabelle di tutti gli eventi sono nell’Almanacco 2023 di Coelum, libriccino di ben 16 pagine con tutti i riferimenti raccolti in tabelle per mese ed oggetto. Facile da portare sempre con se! Se non hai ancora la tua copia
ALMANACCO 2023 con i principali eventi astronomici
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Formato opuscolo facile e leggero da trasportare.
Da tenere con se in tutte le serate osservative.
Nelle 16 pagine le tabelle dei principali eventi astronomici dell’anno suddivise per singolo Mese e per Oggetto Celeste.
Luna Fasi e Nodi, Congiunzioni, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, Nettuno, Urano, Eclissi, Sciami Meteoritici, Solsisti ed Equinozi e Moti.
In più i suggerimenti per osservare le principali Comete e gli Asteroidi in opposizione per tutto il 2023.
L’Almanacco sarà distribuito omaggio agli abbonati (con Spedizione Standard e Corriere Espresso) e per tutti i lettori che hanno acquistato o acquisteranno la copia.
Il 3 febbraio, un asteroide lungo più di tre volte la sua larghezza ha sorvolato in sicurezza la Terra a una distanza di circa 1,8 milioni di chilometri, o poco meno di cinque volte la distanza tra la Luna e la Terra. Sebbene non vi fosse alcun rischio che l’asteroide, chiamato 2011 AG5, colpisse il nostro pianeta, gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California hanno seguito da vicino l’oggetto, facendo osservazioni inestimabili per aiutare a determinarne le dimensioni, la rotazione, i dettagli della superficie e, soprattutto, forma.
Questo avvicinamento ravvicinato ha fornito la prima opportunità di dare un’occhiata dettagliata all’asteroide da quando è stato scoperto nel 2011, rivelando un oggetto lungo circa 500 metri e largo circa 150 metri, dimensioni paragonabili all’Empire State Building. La potente parabola dell’antenna radar Goldstone Solar System da 70 metri presso la struttura del Deep Space Network vicino a Barstow, in California, ha rivelato le dimensioni di questo asteroide estremamente allungato.
“Dei 1.040 oggetti vicini alla Terra osservati dal radar planetario fino ad oggi, questo è uno dei più allungati che abbiamo visto”, ha detto Lance Benner, scienziato principale del JPL che ha contribuito a condurre le osservazioni .
Le osservazioni radar di Goldstone si sono svolte dal 29 gennaio al 4 febbraio, catturando molti altri dettagli: insieme a una grande e ampia concavità in uno dei due emisferi dell’asteroide, 2011 AG5 ha sottili regioni scure e più chiare che potrebbero indicare una superficie su piccola scala e presenta un diametro di poche decine di metri. Se l’asteroide fosse visibile ad occhio nudo, sembrerebbe scuro come il carbone. Le osservazioni hanno anche confermato che l’AG5 del 2011 ha una velocità di rotazione lenta, impiegando nove ore per ruotare completamente.
Oltre a contribuire a una migliore comprensione dell’aspetto ravvicinato di questo oggetto, le osservazioni radar di Goldstone forniscono una misurazione chiave dell’orbita dell’asteroide attorno al Sole. Il radar fornisce misurazioni precise della distanza che possono aiutare gli scienziati del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA a perfezionare il percorso orbitale dell’asteroide. L’asteroide 2011 AG5 orbita attorno al Sole una volta ogni 621 giorni e non avrà un incontro molto ravvicinato con la Terra fino al 2040, quando passerà di nuovo in sicurezza vicno al nostro pianeta a una distanza di circa 1,1 milioni di chilometri, o quasi tre volte la Terra- distanza lunare.
“Le continue osservazioni di questo oggetto hanno escluso ogni possibilità di impatto, e queste nuove misurazioni perfezioneranno ulteriormente le misure”, ha affermato Paul Chodas, direttore del CNEOS al JPL.
CNEOS calcola l’orbita di ogni asteroide noto vicino alla Terra per fornire valutazioni dei potenziali rischi di impatto. Sia il Goldstone Solar System Radar Group che il CNEOS sono supportati dal Near-Earth Object Observations Program della NASA all’interno del Planetary Defense Coordination Office presso la sede dell’agenzia a Washington.
è passato un anno, volato letteralmente, eppure ne sono successe di cose. Le notizie e i fatti popolari di attualità certo non sono mancati. E a noi, fortunati fra i fortunati, il compito assolutamente non oneroso di narrare le più importanti novità scientifiche in campo astronomico, un privilegio per cui ringraziamo.
Così nel corso delle sei ci siamo persi con voi nella lettura del racconto di chi ha contribuito alla realizzazione della prima immagine del buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A*, un cerchio rossiccio un po’ sfocato ma che ha contribuito a confermare molte delle ipotesi su questi oggetti misteriosi e sulla formazione della Galassia. Subito dopo siamo rimasti folgorati dai primi dati trasmessi verso la Terra dal James Webb Space Telescope, capaci di mostrare sin da subito la potenza di uno strumento colossale che segna il passo sullo sviluppo tecnologico fondamentale per seguire i passi da gigante della ricerca scientifica. Dettagli da lasciare senza parole, che fanno impallidire i più stimati osservatori a terra ed in orbita, ma è il lavoro in sinergia di tutti i team, reattivi ad ogni stimolo, il tassello fondamentale di questa folle eppur entusiasmante corsa alle scoperte.
Dopo oltre 20 anni da quando la fantasia dell’umanità è stata solletica dal film Deep Impact arriva a destinazione la sonda DART, il primo vero tentativo (e a prima vista piuttosto ben riuscito) di deviazione di un asteroide potenzialmente pericoloso per la Terra e per la vita su di essa ospitata. Cronaca in diretta di un impatto che, stranamente, rassicura. Abbiamo anche seguito e sostenuto la nostra astronauta Samantha Cristoforetti nel suo ritorno alla ISS, testimone di professionalità e passione, e ambasciatrice di un approccio estremamente positivo alle sfide. Non dimenticheremo le ore passate a guardare la sua EVA. Ed in fine, ahinoi, salutato anche l’amato Piero Angela, signore elegante della divulgazione in Italia.
Lo scorso dicembre poi il comunicato che annuncia la riproduzione della fusione nucleare e Artemis I minuzioso racconto ad immagini che disegna la strada ad una nuova era di esplorazione della Luna, e quindi si riparte subito già in questo numero con la narrazione, con il dott. Vincenzo Vagnoni affrontando il significato vero del risultato raggiunto in ambito nucleare e con l’avvocato Antonino Salmeri a proporci uno spunto differente da cui valutare il ritorno dell’uomo sul nostro satellite.
Ogni numero ha un tema principale e questa volta parliamo di Radioastronomia con una bella testimonianza amatoriale ma anche facendo il punto dei progetti in carico ai siti professionali, la dott.ssa Silvia Casu ci racconta del Sardinia Radio Telescope e dello SKA finalmente al via! A si, un’altra delle notizie del 2022.
Come promesso abbiamo aggiunto 12 pagine in più, stavamo riducendo sempre di più le dimensioni del carattere per farci stare tutto, ma alla fine ci siamo detti che ne valeva la pena, e grazie ai suggerimenti che ci sono arrivati in redazione abbiamo sfruttato al meglio questa opportunità dando più spazio alle rubriche e alle immagini, ma continuate a scriverci, Coelum è un progetto editoriale flessibile e che si sta formando sotto le mani tutti.
Gli astronomi hanno svelato l’ultima immagine in campo profondo del telescopio spaziale James Webb della NASA, con dettagli mai visti prima in una regione dello spazio nota come Ammasso di Pandora (Abell 2744). L’inquadratura di Webb mostra tre ammassi di galassie – già enormi – che si uniscono per formare un megacluster. La massa combinata degli ammassi di galassie crea una potente lente gravitazionale, un naturale effetto di ingrandimento della gravità, che consente di osservare galassie molto più distanti nell’universo primordiale utilizzando l’ammasso come una lente d’ingrandimento.
Solo il nucleo centrale di Pandora è stato precedentemente studiato in dettaglio dal telescopio spaziale Hubble della NASA. Combinando i potenti strumenti a infrarossi di Webb con un’ampia vista a mosaico delle molteplici aree di lente della regione, gli astronomi miravano a raggiungere un equilibrio di ampiezza e profondità che aprisse la visuale al centro e nuova frontiera nello studio della cosmologia e dell’evoluzione delle galassie.
“L’antico mito di Pandora riguarda la curiosità umana e le scoperte che delineano il passato dal futuro, che penso sia una connessione appropriata con i nuovi regni dell’universo che Webb sta aprendo, inclusa questa immagine del campo profondo dell’Ammasso di Pandora”, ha detto l’astronomo Rachel Bezanson dell’Università di Pittsburgh in Pennsylvania, co-principale ricercatrice del programma “Ultradeep NIRSpec and NIRCam ObserVations before the Epoch of Reionization” (UNCOVER) per studiare la regione.
La nuova vista dell’ammasso di Pandora unisce quattro istantanee Webb in un’unica immagine panoramica, mostrando circa 50.000 fonti di luce nel vicino infrarosso.
Oltre all’ingrandimento, la lente gravitazionale distorce l’aspetto delle galassie lontane, quindi appaiono molto diverse da quelle in primo piano. La “lente” dell’ammasso di galassie è così massiccia da deformare il tessuto dello spazio stesso, abbastanza perché anche la luce proveniente da galassie lontane che passa attraverso quello spazio assuma un aspetto deformato.
L’astronomo Ivo Labbe della Swinburne University of Technology di Melbourne, in Australia, co-principal investigator del programma UNCOVER, ha affermato che nel nucleo in basso a destra nell’immagine Webb, che non è mai stata ripresa da Hubble, ci sono centinaia di galassie con lenti distanti che appaiono come deboli linee arcuate nell’immagine. Lo zoom sulla regione ne rivela sempre di più.
Il team di UNCOVER ha utilizzato la NIRCam (Near-Infrared Camera) di Webb per catturare l’ammasso con esposizioni della durata di 4-6 ore, per un totale di circa 30 ore di osservazione. Il passo successivo sarà esaminare meticolosamente i dati di imaging e selezionare le galassie per l’osservazione di follow-up con lo spettrografo nel vicino infrarosso (NIRSpec), che fornirà misurazioni precise della distanza, insieme ad altre informazioni dettagliate sulla composizione delle galassie distorte, fornendo nuove approfondimenti sulla prima era dell’assemblaggio e dell’evoluzione delle galassie. Il team UNCOVER prevede di effettuare queste osservazioni NIRSpec nell’estate del 2023.
Nel frattempo, tutti i dati fotometrici NIRCam sono stati resi pubblici in modo che altri astronomi possano familiarizzare con essi e pianificare i propri studi scientifici futuri. “Siamo impegnati ad aiutare la comunità astronomica a sfruttare al meglio la fantastica risorsa che abbiamo in Webb”, ha affermato il co-investigatore di UNCOVER Gabriel Brammer del Cosmic Dawn Center del Niels Bohr Institute presso l’Università di Copenaghen. “Questo è solo l’inizio di tutta la straordinaria scienza nell’era Webb.”
I mosaici di immagini e il catalogo delle fonti sull’ammasso di Pandora (Abell 2744) forniti dal team UNCOVER combinano i dati di Hubble pubblicamente disponibili con la fotometria Webb da tre primi programmi di osservazione: JWST-GO-2561, JWST-DD-ERS-1324 e JWST- DD-2756.
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