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ESA presenta la nuova generazione di astronauti

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L’Agenzia spaziale europea ha scelto 17 nuovi candidati astronauti tra gli oltre 22 500 provenienti da tutti i suoi Stati membri. In questa nuova classe 2022 di astronauti dell’ESA ci sono cinque astronauti in carriera, 11 membri di una riserva e un astronauta con disabilità. 

Il direttore generale dell’ESA, Josef Aschbacher, ha presentato oggi al Grand Palais Éphémère di Parigi, in Francia, i membri della classe di astronauti dell’ESA del 2022, le prime nuove reclute in 13 anni, poco dopo la conclusione del Consiglio dell’ESA a livello ministeriale. 

I candidati astronauti dell’ESA lo sono

Nome  Stato membro 
Sofia Adenot Francia  Astronauta in carriera 
Pablo Alvarez Fernández Spagna Astronauta in carriera
Meganne Christian UK  Membro della Riserva degli Astronauti
Anthea Comellini Italia  Membro della Riserva degli Astronauti
Rosmarino Coogan UK  Astronauta in carriera
Sara Garcia Alonso Spagna  Membro della Riserva degli Astronauti
Raphaël Liegeois Belgio  Astronauta in carriera
John Mc Fall UK  Membro dello studio di fattibilità sui paraastronauti
Andrea Patassi Italia  Membro della Riserva degli Astronauti
Carmen Possnig Austria  Membro della Riserva degli Astronauti
Arnaud Prost Francia  Membro della Riserva degli Astronauti
Amélie Schoenenwald Germania  Membro della Riserva degli Astronauti
Marco Siber Svizzera  Astronauta in carriera
Aleš Svoboda Repubblica Ceca  Membro della Riserva degli Astronauti
Sławosz Uznański Polonia  Membro della Riserva degli Astronauti
Marcus Wand Svezia  Membro della Riserva degli Astronauti
Nicola Inverno Germania  Membro della Riserva degli Astronauti

“Oggi diamo il benvenuto ai 17 membri della nuova classe di astronauti dell’ESA 2022. Questa classe di astronauti dell’ESA sta portando ambizione, talento e diversità in molte forme diverse, per guidare i nostri sforzi e il nostro futuro.

I nuovi candidati astronauti dell’ESA prenderanno servizio presso l’European Astronaut Centre di Colonia, in Germania. Saranno addestrati al più alto livello di standard come specificato dai partner della Stazione Spaziale Internazionale.

Frank De Winne, capo del Centro Astronautico Europeo e Responsabile del programma della Stazione Spaziale Internazionale dell’ESA, ha dichiarato: “Siamo entusiasti di dare il benvenuto alla nuova classe di astronauti dell’ESA del 2022 e non vedo l’ora di vedere tutti questi giovani e ambiziosi candidati astronauti in carriera unirsi a noi per il loro primo addestramento presso il Centro Astronautico Europeo dell’ESA nella primavera del 2023, andando avanti per esplorare e plasmare l’esplorazione dello spazio.

Dopo il completamento dell’addestramento di base di 12 mesi, i nuovi astronauti saranno pronti per entrare nella successiva fase di addestramento della Stazione Spaziale e, una volta assegnati a una missione, il loro addestramento sarà adattato a specifici compiti della missione.

Per la prima volta, l’ESA ha istituito un pool di riserva di astronauti. Questo elenco di riserva è composto da candidati astronauti che hanno superato l’intero processo di selezione ma che non possono essere reclutati in questo momento. Gli astronauti nella riserva rimangono con i loro attuali datori di lavoro e riceveranno un contratto di consulenza e supporto di base. Inizieranno l’addestramento di base nel caso in cui sia stata identificata un’opportunità di volo.

L’ESA ha anche selezionato un candidato astronauta con una disabilità fisica. Prenderà parte al Parastronaut Feasibility Project per sviluppare opzioni per l’inclusione di astronauti con disabilità fisiche nel volo spaziale umano e possibili missioni future.

La classe di astronauti ESA 2022 comprende cinque astronauti in carriera, 11 astronauti di riserva e un astronauta con disabilità fisica.

Fra i nominati due italiani entrambi come riserva sono: Anthe Comellini e Andrea Patassi, a loro e a tutti gli altri i più sinceri complimenti ed auguri da parte di tutta la redazione!

 

ESA Astronaut Class of 2022 – Andrea Patassa
ESA Astronaut Class of 2022 – Anthea Comellini

Vita da Astrofilo – 2° puntata

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Ritratti del Cielo

La passione per l’Astronomia si evolve durante la vita di una persona per manifestarsi poi a fasi e in diversi momenti.

All’inizio tutto è di solito mosso da una semplice curiosità che spinge a volgere lo sguardo verso il cielo, ci si dedica alla  ricerca di informazioni sui segreti cielo degli oggetti luminosi, delle costellazioni, dei movimenti della sfera celeste e dei pianeti che la percorrono. È  la fase in cui si sviluppano le basi culturali indispensabili.

Il periodo di apprendistato è stato descritto già approfonditamente nello scorso numero di Coelum, col primo articolo di questa rubrica (vedi Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre), in cui è stata trattata l’osservazione del cielo ad occhio nudo e col binocolo.

Vedremo ora come proseguire, sempre senza fare passi più lunghi della gamba.

L’astronomia è una passione relativamente poco diffusa e tuttavia è altrettanto vero che ci sono moltissimi curiosi (anche persone completamente estranee a questo mondo che un giorno sfoglieranno queste pagine), che avrebbero piacere di approfondire, ma che sono timorosi di affrontare temi troppo difficili o in genere scientificamente complessi.

Sono quelli che io definisco (simpaticamente e con riferimenti non troppo velati agli ultimi anni che abbiamo vissuto), “portatori sani”: ovvero persone che covano in loro gli elementi patogeni di questa passione senza presentare una sintomatologia evidente di “malattia”.

I “portatori sani”, dicevamo, se non hanno occasione di incontrare qualcuno già appassionato di astronomia, difficilmente riescono a trovare in se lo stimolo per il passo decisivo. Certo mi baso sulla mia esperienza quando ancora adolescente con la curiosità verso il cielo ormai sbocciata e definitivamente contagiato, ho dovuto affrontare un periodo piuttosto difficile non conoscendo nessuno con una passione simile e altrettanto forte con cui condividere notti insonni o escursioni notturne per andare ad osservare il cielo.

Molto spesso da solo, o al massimo con mio padre quando poteva, mi trovai ad andare in giro col mio piccolo telescopio mi sarebbe piaciuto al tempo coinvolgere qualcun altro ma come avrei potuto fare?. Mi venne in soccorso una soluzione “indiretta”, un modo per mostrare facilmente agli altri la visione degli oggetti celesti pur non essendo sul posto con me

Si trattava di realizzare immagini fotografiche, trasportabili, in grado di  mostrare la bellezza del firmamento non necessariamente di notte al telescopio, ma in un secondo momento, a casa, in classe, agli amici…uno strumento per convincere più facilmente qualcuno ad avvicinarsi al cielo.

Ho attraversato questa fase alla fine degli anni ’80, decennio in cui per ottenere immagini c’era un’unica strada percorribile: usare una fotocamera reflex analogica e rullini… tanti rullini…

Tanti rullini, si, proprio così: perché scattando su pellicola chimica, la scarsa luce tipica dei soggetti astronomici crea difficoltà da superare: l’inquadratura degli oggetti deboli, ad esempio, veniva eseguita quasi sempre “alla cieca”scrutando attraverso un mirino completamente buio alla ricerca di qualche stella di riferimento, diciamo “più o meno li”! Azzeccare poi la corretta esposizione  era un terno al lotto nonostante l’esistenza di alcune mistiche tabelle che proponevano una stima del tempo necessario per ciascuna tipologia di oggetto. Superati questi due aspetti, rimanevano in agguato le vibrazioni, che ad ogni più piccolo movimento o anche allo scatto stesso della macchina fotografica insinuavano il dubbio di aver irrimediabilmente rovinato una foto.

La messa a fuoco poteva fortunatamente essere un po’ più semplice, grazie al fine corsa degli obiettivi fotografici completamente manuali ma solo  nei casi in cui si usavano ottiche fotografiche, al momento di applicare il solo corpo macchina al telescopio la situazione cambiava drasticamente tramutando il fine corsa inuna delle principali fonti di errore.

In aggiunta a tutto questo, si finiva per utilizzare spesso costosi ed “esotici” rullini di pellicole ad altissima sensibilità e granuli grossi come fagioli i cui risultati tanto faticosamente ottenuti si potevano poi verificare solo dopo lo sviluppo e la stampa della pellicola, la quale avveniva, nel migliore dei casi, dopo qualche giorno presso un laboratorio fotografico.

Ammetto che gli insuccessi sono stati numerosissimi ma considero ancora quel periodo come una palestra durissima ma indispensabile, da cui acquisire esperienze a ed un metodo di lavoro molto attento e scrupoloso in grado di aumentare sempre di più la percentuale di immagini riuscite.

I tanti sforzi profusi ebbero alla fine però portarono ai primi risultati: le immagini ottenute, nonostante agli occhi di oggi facciano un po’ sorridere, lasciavano stupefatte le persone osservavano gli avventori di allora, consentendomi di convincere più di qualcuno a provare l’emozione di osservare direttamente al telescopio. Obiettivo raggiunto!

una primordiale immagine lunare da me ottenuta nel 1990 con una reflex a pellicola attraverso un rifrattore autocostruito da 67mm di diametroe focale 600mm di Cristian Fattinnanzi

(….)

L’astroinseguitore, come indica la parola stessa, consente di seguire l’oggetto puntato trascurando quindi il mosso dovuto alla rotazione terrestre, allungando le pose fino anche ad alcuni minuti.

Non è sempre lecito ma in queste poche righe (spero la redazione non me ne voglia) mi permetto di suggerirvene uno in particolare, il Minitrack. E’ un mio progetto, brevettato nel 2013, e da diversi anni acquistabile come un prodotto di serie. Il Minitrack è il più semplice, leggero ed economico astroinseguitore sul mercato: non ha bisogno di batterie e il suo moto è regolato da un timer ad orologeria che lo rende apprezzatissimo dagli escursionisti, i quali spesso raggiungono, lungo i loro percorsi, punti particolarmente panoramici da cui scattare foto astronomiche.

L’astroinseguitore in questione, ma anche alcuni altri modelli ad onor del vero, si montano su un comune cavalletto fotografico dotato di testa orientabile, da puntare verso il polo Nord celeste (abbiamo descritto nel precedente articolo come individuarlo, vedi Coelum Astronomia n°258 pag. 44).

La fotocamera andrà successivamente installata sopra alla testa sferica dell’astroinseguitore,  una posizione comoda per individuare l’inquadratura preferita prima di iniziare gli scatti.

una reflex digitale montata su un astroinseguitore “Minitrack” ed un cavalletto fotografico. Un setup molto leggero ma che permette già di ottenere ottimi risultati

(….)

La fotografia astro-paesaggistica astronomica più di tutte le altre tecniche (vedi Coelum Astronomia n°254 pag. 72), concede al fotografo creatività e uno strumento per trasferire emozioni. Conosco tanti eccellenti astrofotografi che pur ottenendo immagini stupefacenti con potentissimi telescopi e sensori CCD, non hanno resistito all’attrazione di provare questa esperienza: perché più che in altre tecniche, la ricerca di un luogo a volte con richiami storici o naturalistici, lo studio della conformazione del suolo e dell’orientamento del cielo, la scelta di voler includere una determinata costellazione o un allineamento particolare degli astri con elementi terrestri, sono azioni che trasferiscono un’anima al risultato finale, che sarà poi gratificante riscoprire successivamente negli occhi dello spettatore finale. Il limite è solo la fantasia!

(…)

L’articolo qui riprodotto è solo parziale, i puntini tra parentesi segnalano parti mancanti. L’articolo completo di Cristian Fattinnanzi si trova su Coelum Astronomia n°259 dicembre 2022/ gennaio 2023

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DART per salvare la Terra – Il punto sulla missione e i prossimi passi.

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Coelum Astronomia n°259

livello di difficoltà 🔴⭕⭕⭕⭕ semplice

Double Asteroid Redirection Test DART è la prima missione lanciata dalla NASA per colpire un asteroide e dimostrare che è realmente possibile ridurre il rischio di un impatto pericoloso per la Terra. Al lancio la DART aveva una massa di 610 kg e  portava con se un solo strumento, la camera DRACO (basata su LORRI, la camera a bordo della missione New Horizons che ha esplorato Plutone). DRACO aveva un massa di 8.66 kg (al momento in cui scriviamo questo articolo la sonda DART si è già schiantata sul suo obiettivo e quindi il passato è doveroso) e una lunghezza focale di 2.6 m, il che determina una risoluzione spaziale di 20 cm poco prima dell’impatto. Le ultime immagini trasmesse da questo strumento, per altro estremamente importanti, hanno messo in mostra una superficie piena di piccoli sassi, simili a quelle ottenute dalla camera OSIRIS a bordo della missione Rosetta poco prima dell’impatto con la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. (..)

Gli obiettivi Scientifici della missione e la ricerca

Come target della missione DART è stato scelto l’asteroide binario Didymos. Intorno all’asteroide più grande, Didymos, con diametro di 780 metri, orbita la luna più piccola, Dimorphos, di 160 metri di diametro. Prima dell’impatto di DART, il periodo orbitale di Dimorphos attorno a Didymos era di 11 ore e 55 minuti e la distanza tra i due corpi di 1,18 chilometri. Per dichiarare che lo scontro frontale della sonda DART fosse un meccanismo valido, e quindi un meccanismo in grado di raggiungere gli scopi di deviazione,  essa doveva modificare il periodo orbitale di Dimorphos. L’impatto è avvenuto con una precisione sorprendente il giorno 26 settembre 2022, a una velocità di circa 22.000 chilometri orari.

DART cablaggio elettrico e i sottosistemi sui pannelli del veicolo spaziale Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Ed Whitman

L’osservatore speciale è stato posto a bordo di DART. LICIACube Light Italian Cubesat for Imaging of Asteroids, un nanosatellite dell’Agenzia Spaziale Italiana realizzato dalla Argotec e a guida scientifica di INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, ha ripreso lo schianto della sonda americana da una distanza ravvicinata di circa 51 km grazie a due camere: LEIA e LUKE. LEIA è una telecamera pancromaticaad alta risoluzione, mentre LUKE è una camera a colori a 3 bande grandangolari RGB (LICIACube è descritto con dovizia nel box a seguire)

 

Durante le fasi di avvicinamento a Dimorphos la camera pancromatica DRACO a bordo di DART ha acquisito fino a poco prima dell’impatto un’immagine al secondo del sistema binario. Le immagini che ci sono giunte hanno mostrato la vera natura dei due corpi. La fig. 1,  mostra una delle immagini ad alta risoluzione ottenute pochi secondi prima dell’impatto, Dimorphos ha una struttura cosiddetta “rubble pile”, ovvero è un aggregato disorganizzato di frammenti di rocce di varie dimensioni tenute insieme dalla loro gravità.

 

Ma come si forma un oggetto di questo tipo? Oggi non è ancora chiaro se gli asteroidi binari si formino tutti allo stesso modo o seguano processi diversi. Sappiamo che quando due corpi vengono distrutti da una collisione, i loro detriti non solo si disperdono nello spazio in frammenti monolitici, ma ci si aspetta che le varie rocce disperse si riaccumulino sotto la forza di gravità, formando nuovi corpi. Questo processo dipende da vari fattori, in particolare dalle masse e velocità di collisione relative tra asteroide bersaglio e proiettile. La frantumazione causata da una collisione del corpo genitore e il riaccumulo dei frammenti potrebbero essere stati i passaggi essenziali nella storia passata del sistema binario Didymos-Dimorphos. Ma questo non è il solo meccanismo in grado di spiegare la natura di Dimorphos. Un’altra ipotesi ritiene che la rapida rotazione di Didymos abbia causato una fissione rotazionale, in cui frammenti dell’asteroide principale sono stati rilasciati nello spazio. Nel corso di milioni di anni tale materiale si è accumulato formando la luna Dimorphos. Da qui Didymos  potrebbe aver iniziato a ruotare più velocemente a causa di un meccanismo di nome effetto YORP, in cui la luce infrarossa emessa in modo non uniforme dalla superficie dell’asteroide riscaldata dal Sole provoca una forza di torsione o coppia che può aumentare la velocità di rotazione. (..)

Questa immagine ripresa dal satellite italiano LICIACube mostra i getti di materiale espulso dall’asteroide Dimorphos dopo l’impatto della sonda DART. Ogni rettangolo rappresenta un diverso livello di contrasto ottenuto per migliorare la visionedella struttura fine dei getti. Studiando questi flussi di materiale, saremo in grado di saperne di più sulla natura dell’asteroide e sul processo di impatto.
Credit: ASI/NASA/APL.

DON CHISCIOTTE NELLO SPAZIO

L’utilizzo di un impattore cinetico – termine tecnico per indicare una sonda che si schianti contro un asteroide cambiandone la traiettoria quel tanto che basta perché la Terra non sia più nel mirino – ci permetterebbe di giocare d’anticipo e viene considerata l’opzione più realistica. I tempi sono maturi per approfondire la questione: l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) lancia una competizione per determinare quale sia il miglior concetto originale di una missione spaziale in grado di contribuire in maniera significativa a prevedere e mitigare il rischio asteroidale. A luglio 2004 un comitato di esperti  nomina il vincitore con la seguente motivazione:

 

“Il comitato ritiene che la missione Don Chisciotte risponda al meglio ai requisiti della competizione. Don Chisciotte ha la capacità di fornire informazioni essenziali non solo sulla struttura interna di un NEO ma anche di come si possa interagire meccanicamente con un oggetto di questo tipo. Don Chisciotte è l’unica proposta in grado di fornire l’anello mancante nella catena di azioni che lega l’individuazione di un rischio asteroidale alla sua mitigazione. Delle sei missioni analizzate il comitato raccomanda che l’ESA dia la massima priorità alla realizzazione dello scenario proposto da Don Chisciotte”. (…)

HERA: il gran finale

La Missione Hera è attualmente in fase di realizzazione nell’ambito del programma Space Safety dell’Agenzia Spaziale Europea, con lancio previsto nell’ottobre 2024. Per soddisfare le condizioni necessarie a immettersi in orbita attorno al suo obiettivo il viaggio durerà poco più di 2 anni e Didymos verrà raggiunto a dicembre 2026. Hera completerà lo scenario dell’iniziativa AIDA Asteroid Impact and DeflectionAssessment il cui scopo è effettuare il primo esperimento di deflessione asteroidale nello spazio. Rimanendo per ben 6 mesi all’interno del sistema binario di Didymos la sonda europea potrà studiare in dettaglio gli effetti dell’impatto dell’americana DART testimoniato da LICIACube dell’ASI. Dall’analisi della forma e delle dimensioni del cratere formatosi si potrà risalire alle proprietà fisiche di Dimorphos, come ad esempio alla sua struttura interna, la cui conoscenza è di fondamentale importanza per mettere a punto la tecnica della deflessione cinetica in modo che possa essere impiegata efficacemente nel caso una minaccia diventi reale. I principali obiettivi di Hera sono:

  • misurare la massa di Dimorphos per calcolare accuratamente l’impulso ricevuto da DART;
  • analizzare il cratere prodotto da DART per comprendere le modalità di craterizzazione delle superfici asteroidali;
  • osservare effetti dinamici come la variazione della rotazione di Dimorphos che risulterebbero difficilmente rilevabili da osservazioni da terra; (…)

Uno sguardo da vicino a LICIACube

Un ruolo cruciale nella missione DART è giocato da LICIACube Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids, interamente realizzato in Italia: LICIACube è il primo CubeSat europeo a volare nello spazio profondo, fuori dalla protezione dell’atmosfera e della magnetosfera della Terra, nonché il primo CubeSat in assoluto a visitare un sistema di asteroidi.

I CubeSat sono satelliti miniaturizzati, costruiti in gran parte con moduli standard di tipo commerciale, molto più economici dei componenti sviluppati ad hoc per lo spazio: un aspetto essenziale per una missione a basso costo come quella di DART.

LICIACube è un CubeSat contenente 6 moduli e grande come una scatola di scarpe se si escludono i pannelli solari, progettato, costruito e testato dall’azienda torinese Argotec, che ha un’esperienza preziosa nel campo dei satelliti miniaturizzati: tra le altre cose ha costruito anche il CubeSat Argomoon, che volerà con Artemis 1 e trasmetterà a terra immagini mirate a dimostrare il corretto svolgimento della missione diretta alla Luna.

Il team scientifico di LICIACube è guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, con la partecipazione del CNR, dell’Università Parthenope di Napoli, dell’Università di Bologna e del Politecnico di Milano. Tutto il programma è coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana.

Dopo essere stato rilasciato da DART lo scorso 12 settembre, LICIACube ha sorvolato l’asteroide Dimorphos a poche decine di chilometri, con una traiettoria accuratamente studiata che gli permettesse di assistere da vicino all’impatto di DART, evitando allo stesso tempo la nuvola di frammenti generati dalla collisione. (…)

L’articolo completo è pubblicato su Coelum Astronomia n°259 dicembre 2022/ gennaio 2023

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Fotografare DEEP SKY da Ambiente Urbano

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Coelum Astronomia n°259

Oggi è possibile ma..

livello di difficoltà 🔴🔴🔴⭕⭕ tecnico

Oggi sono sempre meno i fortunati che, dalla propria abitazione, durante le notti di cielo stellato, possono alzare gli occhi e godere delle meraviglie del firmamento (vedi Coelum Astronomia 258 pag. 22 “Inquinamento luminoso”).

Noi appassionati di astrofotografia, spinti dalla costante ricerca di luoghi isolati e lontani dai bagliori cittadini, siamo soliti ad escursioni fuoriporta, ma non sempre le condizioni meteo ottimali coincidono con le nostre possibilità di pernottamento all’aperto.

Quindi, in che modo è possibile non rinunciare alla fotografia del cielo profondo rimanendo nel nostro ambiente cittadino residenziale?

Negli ultimi anni, le case produttrici di filtri interferenziali per astrofotografia, hanno migliorato nettamente la selettività delle radiazioni cromatiche, riducendo così al minimo l’intervallo delle frequenze luminose passanti – da cui nasce il nome di “filtri a banda stretta”.

Questi filtri, oltre a permettere il passaggio di un’unica frequenza visibile specifica, sono anche in grado di arrivare ad una tolleranza di soli 3 nanometri “ultra banda stretta” bloccando di conseguenza il passaggio di tutte le altre frequenze cromatiche, quindi di tutte quelle luci che non ci interessano o che creano disturbo – il così detto “inquinamento luminoso”.

Ma quali sono le frequenze cromatiche migliori su cui realizzare dei filtri così accurati?

La scelta ricade sulle specifiche degli elementi che si trovano nello spazio e che, a seconda della loro quantità e agglomerazione, formano gli oggetti così tanto amati da noi astrofotografi: le nebulose diffuse.

Si tratta di nubi caratterizzate da diversi tipi di gas e polveri interstellari che emettono luce o per riflessione da stelle vicine o per emissione poiché ionizzate da radiazioni.

Il loro elemento principale é l’Idrogeno anche se, in quantità minori e a seconda della nebulosa, nella loro composizione possono trovarsi anche altri gas come Ossigeno e Zolfo

I filtri a banda stretta catturano proprio le frequenze cromatiche corrispondenti a questi tre gas Idrogeno (H-alpha) Ossigeno (Oiii) e Zolfo (Sii) di cui sono costituite le nebulose diffuse.

L’utilizzo dei filtri a banda stretta – o ancor meglio “ultra stretta” – permette quindi di fotografare tutti quegli oggetti del profondo cielo ricchi dei tre gas, anche quando le riprese sono effettuate da luoghi non perfettamente ideali per l’astrofotografia “deep sky”.

Nel grafico fig.1 è rappresentata la selettività di taglio dei filtri ultra banda stretta da 3 nanometri impostati sulle frequenze cromatiche specifiche di Idrogeno, Ossigeno e Zolfo rispetto all’intera gamma visibile dove prevalgono i bagliori delle luci cittadine più comuni

Oltre alla selettività di taglio, nel grafico fig.1 si nota anche un altro fattore molto importante che rende questi gas ideali per la fotografia e quindi per la realizzazione dei filtri interferenziali: la lunghezza d’onda specifica di questi tre gas risiede nei canali principali della fotografia digitale RGB (red, green, blue), ossia l’Idrogeno (Halpha) e lo Zolfo (Sii) nel rosso, l’Ossigeno (Oiii) nel verde.

I sensori digitali a colori hanno come  componente una matrice di Bayer, un vetrino colorato RGB (rosso verde e blu) a forma di scacchiera che distribuisce i tre colori in modo omogeneo e sequenziale sui pixel di tutto il sensore. Questo fa si che, ad ogni singola foto, si avvii un processo detto di debayerizzazione attraverso il quale i colori catturati dai vari pixel vengono raggruppati e divisi nei tre canali fondamentali che compongono l’immagine a colori RGB.

Tale soluzione ha spinto  le case produttrici  a realizzare un unico filtro con una doppia banda passante denominato “bibanda” in cui le frequenze luminose passanti corrispondono a Idrogeno e Ossigeno. L’utilizzo di questi filtri bibanda nelle fotografie di nebulose effettuate con camere digitali a colori e il processo di debayerizzazione combinati insieme fanno si che i due gas vengano distribuiti nei vari canali colore: Halpha nel canale rosso e Oiii nel canale verde e blu.

La banda passante relativa allo Zolfo è volutamente tralasciata perché, avendo lo Zolfo una lunghezza d’onda vicina a quella dell’Idrogeno, verrebbe distribuito anch’esso nel canale rosso e, dato che l’Idrogeno è l’elemento principale delle nebulose, quest’ultimo andrebbe a mascherare completamente le quantità minori di Zolfo.

(…)

Le riprese con il set up monocromatico sono delle notti tra il 16 e il 21 settembre, con la luce della luna che illuminava ancora il cielo al’ultimo quarto. Come soggetto invece  ho scelto la nebulosa Cuore IC1805, perché ricca dei tre gas e perfetta come campo inquadrato a 380 mm.

Il bel tempo mi ha assistito regalandomi ben cinque notti consecutive di cielo sereno, permettendomi di spingere al massimo le mie sessioni fotografiche alternando i vari filtri ad esposizioni di 900 secondi per posa.

Nella fig.2 il risultato della somma dei singoli gas Idrogeno (Halpha) Ossigeno (Oiii) e Zolfo (Sii) prima della miscelazione dei canali RGB

Nebuolsa Cuore IC1805 Somma delle riprese effettuate con camera monocromatica sui singoli gas utilizzando i filtri a banda ultra stretta da 3nm in ambiente urbano

(…)

L’articolo completo di Stefano Camaeti è utile ed estremamente dettagliato si trova su Coelum Astronomia n°259 dicembre 2022/ gennaio 2023

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MONOCEROS – Dalle Costellazioni alle Profondità del Cosmo

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DALLE COSTELLAZIONI ALLE PROFONDITÀ DEL COSMO

MONOCEROS – 1a parte

livello di difficoltà 🔴⭕⭕⭕⭕ abbastanza semplice

Il panorama del cielo invernale è senz’altro uno dei più spettacolari che la visione della volta celeste possa offrire; la Via Lattea, non certo preponderante come quella estiva o quella autunnale, passa attraverso un campo popolato da una moltitudine di stelle luminose, di prima e seconda grandezza, che delineano alcune tra le più note e meglio visibili costellazioni ed asterismi. Tra questi ultimi, il più rilevante è senz’altro il grande triangolo equilatero (15° ogni lato!) ai cui vertici risplendono le luminose Procyon (Alpha Canis Minoris), Betelgeuse (Alpha Orionis) e Sirius (Alpha Canis Majoris), che segna il vertice meridionale: è questo il famoso triangolo invernale, asterismo all’interno del quale giace una costellazione che certamente sfigura in stelle se mesa a confronto con i “portenti” da cui è circondata ma che riserva una quantità di oggetti del profondo cielo, stelle variabili e sistemi stellari multipli da non far invidia a ciò che vi è attorno: parliamo di Monoceros, ricca di storie e segreti che nascondono numerose soprese che ora ci accingiamo a conoscere.

NELLA STORIA

A differenza delle costellazioni da cui è circondata, presenti tra le 48 originarie elencate da Tolomeo nell’Almagesto, Monoceros risale a tempi – si fa per dire – più recenti. Sembra sia stato il cartografo olandese Petrus Plancius il primo a riportare su un globo celeste (molto in voga all’epoca) pubblicato nel 1612 o, forse, un anno più tardi, questa nuova figura; successivamente, l’astronomo tedesco (nonché genero di Keplero) Jakob Bartsch, in una mappa celeste pubblicata nel 1624, ne cambiò il nome in Unicorn, riferendosi al mitologico cavallo dotato di un corno sulla fronte. E così, da lì in poi, apparve rappresentata sulle mappe celesti.

Molti non sanno però che il termine Monoceros si riferisce, in realtà, ad una fantastica chimera: un animale con corpo di cavallo, testa di cervo, zampe di elefante e coda di cinghiale, sulla cui fronte fa bella mostra di se un corno nero sagomato in anelli o spirali; stando ai racconti, tale creatura, che era in grado di emettere potenti e discordanti muggiti, non amava essere circondato da consimili, vivendo quasi sempre da solitario tranne che per accoppiarsi. Questo animale leggendario sembra sia stato nominato per la prima volta dallo storico e medico greco Ctesia di Cnido, che rimase per diciassette anni alla corte di Dario II in Persia descrivendo un mondo molto lontano e diverso da quello conosciuto in occidente. Nellasua opera Indikà descrisse – con un’accuratezza proporzionale alla fantasia ivi utilizzata – la flora e la fauna del mondo indiano; tra le numerose storie e personaggi paradossali descritti come tigri con volti umani ed esseri umani con una sola gamba, descrisse la presenza di asini grandi come cavalli, dal corpo bianco ma dal capo rosso e con un lungo corno multicolore posizionato sulla fronte; non solo: la loro velocità era talmente straordinaria che nessun altro animale poteva eguagliarla.

Il racconto fantasioso potrebbe aver avuto ispirazione (anche se non si capisce come) dal rinoceronte indiano, dotato di un corno che dalle opache tonalità rossastre e nerastre, e dall’asino selvatico, che esibisce una colorazione rossiccia sul dorso e grigia nel resto del corpo. A creare confusione sembra si fosse aggiunto anche Megastene, diplomatico macedone vissuto nel IV secolo a.C. che venne inviato dal sovrano macedone Seleuco quale ambasciatore, guarda caso, in India. Anche il grande naturalista Plinio il Vecchio citò questo monoceros nella sua Historia Naturalis; e così fece anche Strabone, fornendo miseri dettagli su di esso. Successivamente, lo scrittore Claudio Eliano, vissuto tra il II e III secolo, fornì invece un riassunto molto più completo su questo essere, riferendo che chi beveva dal suo corno veniva preservato da malattie e veleni. Ad ogni modo, dopo che gli europei stabilirono contatti più stretti con l’India, nessuno fu in grado di verificare le fantastiche creature descritte da questi autori, tra le quali lo stesso monoceros. Ad alimentare ancora tali credenze fu il sacerdote francescano Girolamo Merolla, il quale riportò la testimonianza di un missionario, a sua volta appresa dai cinesi, secondo la quale questi monoceri viventi in Asia passarono a miglior vita lo stesso giorno in cui Gesù Cristo fu crocifisso! Il mito del monoceros venne ancora alimentata nel XVII secolo dall’autore olandese Arnoldus Montanus, il quale riferì di una creatura che questsa volta viveva nelle desolate foreste canadesi la quale, a quanto sembra, assomigliava molto al monoceros.

Concludiamo il quadro storico, come sempre, con l’atlante Coelum Stellatum Christianum dell’abate Julius Schiller, pubblicato nel 1627 ad Augusta: nel tentativo di cristianizzare il cielo stellato, convertendo le costellazioni storiche in figure che facevano riferimento alla tradizione cristiana, ecco che le stelle di Monoceros vennero utilizzate per – è proprio il caso di dirlo – fabbricare gli attrezzi di falegnameria di San Giuseppe, quest’ultimo rappresentato nelle attigue stelle di Orione. Possiamo dire che questo fu l’unico evento che mise sottosopra le stelle di Monoceros; da allora, questo curioso essere – che, a differenza della pura creatura presente nelle favole potremmo relegare al mondo dei mostri e delle chimere – passa tranquilla il suo tempo fornendo agli studiosi spunti di estremo interesse.

ASPETTO E VISIBILITA’

Essendo quasi interamente compresa nel triangolo invernale, Monoceros transita al meridiano subito dopo la mezzanotte…di Capodanno: in pieno inverno, quindi. Torneremo a menzionare questa particolarità più avanti trattando, in particolare, una precisa stella di questa costellazione. L’area occupata da Monoceros giace esattamente lungo l’equatore celeste e si estende su 482° quadrati, posizionando tale figura al 35° posto in ordine di estensione tra tutte le 88 costellazioni. Sono in tutto 36 le stelle visibili con luminosità inferiore alla magnitudine 5,5 presenti i questo campo che ha la forma grossolana di una T rovesciata; purtroppo, anche se attraversata dalla Via Lattea, Monoceros presenta solo due astri appena più luminosi della quarta grandezza. Tuttavia, osservando il grande triangolo invernale, non sarà difficile notare come le stelle di Monoceros diano, e senza neanche tanta fantasia, l’idea della figura di un animale intento a correre, a zampe spiegate, verso occidente.

LUNGO IL CORNO

La porzione di cielo in questione è quella rintracciabile a circa 1/3 del segmento che unisce Betelgeuse a Procyon, è un’area talmente ricca di meraviglie celesti tanto da poter essere definita “il campo dei miracoli di Monoceros”, che non sfigura davanti al ben più famoso presente in Sagittarius. L’astro più luminoso di questa zona è ε Monocerotis, che è anche la prima stella che andiamo qui a visitare. Quinta stella in ordine di luminosità della costellazione, splende di magnitudine 4,39 da una distanza pari a 122 anni-luce. La luminosità di questa stella è in realtà somma di quella emessa da due astri legati dalla mutua attrazione gravitazionale in un periodo orbitale lungo circa 331 giorni. La componente principale è una subgigante bianca di tipo A5 IV (7.900 K) e dalla massa doppia di quella solare; con un diametro 2,5 volte maggiore, ε Monocerotis A irradia 25 volte più del Sole. La componente secondaria splende di magnitudine apparente di 6,72 ed è separata da essa da 12,3″, valore che permette alla coppia di essere alla portata di risoluzione di telescopi di modesto diametro, dove il colore della componente primaria appare decisamente di un azzurrino-grigio acciaio mentre la secondaria decisamente giallognola.

Nelle pagine della rivista gli approfondimenti sulla Nebulosa Variabile di Hubble

L’articolo completo con tutti gli oggetti DEEP-SKY osservabili nella costellazione del Monoceros è pubblicato su Coelum Astronomia n°259 di dicembre 2022/2023

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HOO vs SHO

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Coelum Astronomia n°259

livello di difficoltà 🔴🔴⭕⭕⭕ abbastanza semplice

Fin dai primi giorni che ho iniziato a fare astrofotografia, uno dei miei obiettivi era arrivare ad elaborare immagini in Hubble palette, una composizione di colori molto bella e affascinante che ha anche una finalità scientifica. Per questo motivo a metà Giugno di quest’anno ho deciso di acquistare un filtro SII (Zolfo ionizzato) per provare a fare un po’ di banda stretta con la mia camera a colori, avendo già a disposizione un filtro dual-band dal quale poter estrarre i segnali dell’Idrogeno e dell’Ossigeno ionizzati, completando il tutto con un filtro a banda larga per prendere il colore delle stelle.
La palette di Hubble è un tipo di tecnica elaborativa ideata dai tecnici della NASA per mettere in risalto i tre gas più importanti che compongono le nebulose ad emissione, ossia Zolfo (simbolo chimico S), Idrogeno (H) e Ossigeno (O). Questo è possibile assegnando arbitrariamente il segnale dello Zolfo al canale rosso (R), il segnale dell’Idrogeno al canale verde (G) e il segnale dell’Ossigeno al canale blu (B), ottenendo un’immagine RGB in falsi colori che viene indicata con la sigla SHO, dai simboli chimici dei gas ionizzati.

Nella composizione che vedere di seguito ho voluto mettere a confronto la classica palette bicolor HOO, che generalmente si fa con le camere a colori, con la palette SHO di 12 nebulose molto diverse tra loro, sia per composizione chimica che per luminosità superficiale. L’immagine racchiude tutto quello che sono riuscito a fare da casa in 4 mesi puntando i miei 2 telescopi (Konus 200/1000 e SW Evostar 80ED) verso nebulose a Nord/Nord-Est situate nelle costellazioni di Cefeo, Cassiopea, Perseo e Auriga e sfruttando ogni piccolo sprazzo di cielo sereno. In totale, sono riuscito a macinare 265h e 49min di integrazione con i filtri L_eXtreme (da poco sostituito da L_Ultimate), SII e UV/IR-cut.

La composizione completa ed in HD è pubblicata in Coelum Astronomia n°259 di dicembre 2022/2023

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APOD riproporzionata da Cristian Fattinnanzi

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livello di difficoltà ⭕ ⭕⭕⭕⭕ semplice

Ieri la foto della Terra ripresa dalla sonda Orion è diventata virale e giustamente scelta dalla NASA come APOD Astronomical Picture of the Day. Ecco però che in redazione arriva un commento.

L’immagine che ha rilasciato la NASA è inspiegabilmente allungata in senso orizzontale, andrebbe ridotta in larghezza al 90% della dimensione proposta…. La Terra così come è raffigurata appare schiacciata, quasi come un pallone da rugby…. ” ci scrive il nostro affezionato collaboratore Cristian Fattinnanzi.

Probabilmente lo schiacciamento è dovuto ad impostazioni tecniche ed al formato delle riprese, ma abbiamo colto l’invito di Cristian e qui pubblichiamo una sua rielaborazione, con dimensioni leggermente ritoccate e proporzioni più gradevoli. Che ne pensate?

Crediti: Immagine originale @NASA rielaborazione Cristian Fattinnanzi

Ricerca italiana sulle Galassie ALL’ALBA DEL COSMO

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GALASSIE ALL’ALBA DEL COSMO CATTURATE DA JWST

livello di difficoltà 🔴🔴🔴🔴⭕ medio-alto

Una delle prime osservazioni realizzate con il telescopio spaziale James Webb lo scorso giugno ritrae due galassie tra le più antiche mai osservate, che popolavano l’universo quando aveva solo 350 e 450 milioni di anni, rispettivamente. Lo conferma lo studio di un team internazionale, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e pubblicato su The Astrophysical Journal Letters

Appena pochi giorni dall’inizio delle operazioni scientifiche, il James Webb Space Telescope (JWST) è stato in grado di rivelare la luce proveniente da due galassie tra le primissime dell’universo primordiale, tra 350 e 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Sono i risultati dell’analisi di osservazioni del lontanissimo ammasso di galassie Abell 2744 e di due regioni del cielo ad esso adiacenti, realizzate dal potente telescopio spaziale tra il 28 e il 29 giugno 2022 nell’ambito del progetto GLASS-JWST Early Release Science Program. “Questo lavoro mostra innanzitutto la capacità di JWST di selezionare sorgenti nell’epoca della cosiddetta ‘alba cosmica’. Non meno importante il fatto di avere trovato, tra le altre, due sorgenti brillanti in un’area relativamente piccola”, afferma Marco Castellano, ricercatore INAF a Roma e primo autore dell’articolo che descrive la ricerca di queste due lontanissime galassie, pubblicato recentemente su The Astrophysical Journal Letters. “Sulla base di tutte le previsioni, pensavamo che avremmo dovuto sondare un volume di spazio molto più grande per trovare tali galassie. I risultati invece sembrano indicare che il numero di galassie brillanti sia molto maggiore di quanto ci si aspettasse, forse per effetto di una maggiore efficienza di formazione stellare”.

Il gruppo di ricerca guidato da Castellano è stato tra i primi a usare i dati di JWST, pubblicando un preprint sulla piattaforma open-access arXiv a luglio, solo 5 giorni dopo che i dati erano stati resi disponibili. “C’era molta curiosità nel vedere finalmente cosa JWST poteva dirci sull’alba cosmica, oltre naturalmente al desiderio e all’ambizione di essere i primi a mostrare alla comunità scientifica i risultati ottenuti dalla nostra survey GLASS”, aggiunge il ricercatore. “Non è stato facile analizzare dei dati così nuovi in breve tempo: la collaborazione ha lavorato 7 giorni su 7 e in pratica 24 ore su 24 anche grazie al fatto di avere una partecipazione che copre tutti i fusi orari”. Alla collaborazione internazionale, che vede numerosi ricercatori e ricercatrici dell’INAF coinvolti sin dalla presentazione della proposta osservativa, hanno partecipato anche colleghi dello Space Science Data Center dell’Agenzia Spaziale Italiana e delle università di Ferrara e Statale di Milano.

La distanza delle due galassie in questione dovrà essere confermata con maggior precisione mediante osservazioni spettroscopiche, ma si tratta già dei candidati più robusti selezionati ad oggi con dati JWST. A confermare l’affidabilità dei risultati è proprio l’accordo con quanto riscontrato anche in altri studi, tra cui il lavoro guidato da Rohan Naidu dell’Harvard Center for Astrophysics, negli Stati Uniti, che analizza gli stessi dati del progetto GLASS, apparso lo stesso giorno su arXiv e attualmente in corso di pubblicazione, anch’esso su The Astrophysical Journal Letters.

Due delle galassie più lontane mai osservate, catturate dal telescopio spaziale JWST nelle regioni esterne del gigantesco ammasso di galassie Abell 2744. Le galassie, evidenziate da due piccoli quadrati indicati con i numeri 1 e 2, e in maggior dettaglio nei due riquadri centrali, non fanno parte dell’ammasso, ma si trovano a molti miliardi di anni luce al di là di esso. Oggi osserviamo queste galassie come apparivano rispettivamente 450 (nel riquadro 1, a sinistra nell’immagine) e 350 milioni di anni (nel riquadro 2, a destra) dopo il big bang.
Crediti: Analisi scientifica: NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu (UCLA); elaborazione delle immagini: Zolt G. Levay (STScI)

“Queste osservazioni sono rivoluzionarie: si è aperto un nuovo capitolo dell’astronomia” commenta Paola Santini, ricercatrice INAF a Roma e coautrice del nuovo articolo. “Già dopo i primissimi giorni dall’inizio della raccolta dati, JWST ha mostrato di essere in grado di svelare sorgenti astrofisiche in epoche ancora inesplorate”. A differenza degli strumenti usati in precedenza – dal telescopio spaziale Hubble ai più grandi osservatori disponibili a terra – JWST ha una sensibilità e risoluzione nell’infrarosso che permettono di cercare oggetti così distanti. “Stiamo esplorando un’epoca a poche centinaia di anni dal Big Bang che in parte era sconosciuta e in parte a malapena esplorata, con molte incertezze al limite delle possibilità dei telescopi precedenti”, ricorda Castellano.

Come e quando si sono formate le prime galassie e la primissima generazione di stelle – la cosiddetta popolazione III – è una delle grandi domande ancora aperte dell’astrofisica. “Queste galassie sono molto diverse dalla Via Lattea o altre grandi galassie che vediamo oggi intorno a noi”, spiega Tommaso Treu, professore all’Università della California a Los Angeles e principal investigator del progetto GLASS-JWST. “La domanda era: quando vedi le stelle più rosse e più vecchie con Webb, vedi che in realtà la galassia è molto più grande di quello che sembrava dalle osservazioni nell’ultravioletto?” Le nuove osservazioni di JWST sembrano indicare che le galassie nell’universo primordiale fossero molto più luminose, anche se più compatte del previsto. Se ciò fosse vero, potrebbe rendere più facile per il potente osservatorio trovare un numero ancor maggiore di queste galassie precoci nelle sue prossime osservazioni del cielo profondo.

La sorgente più lontana è effettivamente molto compatta”, sottolinea Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica ed infrarossa dell’INAF e coautore dello studio. “I colori di questa galassia sembrano indicare che la sua popolazione stellare sia particolarmente priva di elementi pesanti, e potrebbe contenere anche alcune stelle di popolazione III. La conferma verrà dai dati spettroscopici di JWST”. Osservare le galassie più distanti, come quelle rivelate in queste osservazioni di JWST, è un passo fondamentale per iniziare a capire come si sono formate le primissime sorgenti luminose nella storia del cosmo e comprendere le prime fasi della lunghissima evoluzione che ha portato l’universo a essere così come lo vediamo oggi, con la nostra galassia, il Sole, la Terra e noi umani che la abitiamo. Occorreranno ulteriori sforzi sia osservativi, per confermare e caratterizzare il risultato, che teorici, per comprenderne la fisica sottostante.

Articolo a cura di Media INAF

Per maggiori informazioni https://iopscience.iop.org/article/10.3847/2041-8213/ac94d0

Un’immagine che fissa un pensiero nei cuori

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Così vogliamo aprire il commento a questa immagine, che forse commento non ha, e chissà se tacere, difronte ad un sogno o all’immensità, non sarebbe almeno per questa volta la scelta giusta.

L’immagine immortalata in questo scatto da una delle 4 telecamere montate sul modulo di servizio ORION della missione Artemis 1, strappa stupore e lascia immobili, incapaci forse di accettare che tutto sia racchiuso in quella minuta biglia blu.

Si chiama “overview effect”, la reazione dell’essere umano nel vedere la Terra dall’esterno. Scoperto e studiato fin dal 1987 da Frank White, questo stato di meraviglia e di timore
reverenziale, di unità con la natura, di trascendenza e di fratellanza universale ha avuto un influenza importante anche sulla nascita dei movimenti ecologisti. “La vista della Terra dallo spazio presenta le ben note caratteristiche naturali ed umane da un punto di vista remoto e offre una visione della Terra totale, che oscura le differenze demografiche
e i confini nazionali. Prese insieme queste caratteristiche possono disporre lo spettatore ad un accresciuto senso di unità internazionale e forse anche di attitudini umanitarie” (Yaden e altri). (tratto da “Psicologia Spaziale” a cura di Remo Rapetti Coelum Astronomia n°259 dicembre2022/gennaio 2023)

Annoveriamo questa immagine fra gli archivi di Coelum certi che con il lancio di Artemis 1 saranno moltissime le riprese simili che finalmente torneranno ad animare desideri di coesione e di fratellanza.

Verso la Luna: inizia la missione lunare Artemis I

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Mercoledì, 16 novembre 2022

Alle ore 07:47 CET (06:47 BST, 01:47 ora locale), la missione Artemis I ha iniziato il suo viaggio verso la Luna: il nuovo razzo lunare della NASA è decollato dal Kennedy Space Center in Florida, USA, e ha messo in orbita il veicolo spaziale Orion e il suo Modulo di Servizio Europeo.

Dopo aver trascorso due ore in orbita intorno alla Terra, il veicolo spaziale sta funzionando come previsto, ed ha iniziato poco fa il suo viaggio di dieci giorni verso il nostro satellite naturale.

Lo Space Launch System (SLS) della NASA è il razzo più potente mai costruito finora ed è stato progettato appositamente in funzione del Orion, veicolo destinato a trasportare astronaute, astronauti e moduli del Gateway sulla Luna. Il volo di prova di Artemis I è senza equipaggio, ma i prossimi tre veicoli spaziali sono già in produzione con componenti forniti da oltre 20 aziende in dieci paesi europei e vedranno l’integrazione della figura umana.

Il Modulo di Servizio Europeo e il veicolo spaziale Orion nascono da decenni di eccellente collaborazione tra l’ESA e la NASA“, afferma Josef Aschbacher, Direttore Generale dell’ESA.

Dai telescopi Hubble e Webb e dal satellite di osservazione della Terra Sentinel-6 fino alla Stazione Spaziale Internazionale e adesso anche Artemis, l’ESA è orgogliosa di essere il partner privilegiato della NASA e, con questo lancio, di portare insieme l’umanità sulla Luna“.

L’ESA si è occupata della supervisione dello sviluppo del modulo di servizio dell’Orion, il componente del veicolo spaziale che fornisce aria, elettricità e propulsione. Analogamente al motore di un treno che traina le carrozze passeggeri e fornisce energia, il Modulo di Servizio Europeo porterà Orion sulla Luna e si occuperà anche del suo ritorno sulla Terra.

Abbiamo annunciato la collaborazione tra Orion e il Modulo di Servizio Europeo nel 2013 e, sebbene il lancio di oggi rappresenti un punto culminante della missione, segna solo l’inizio della missione Artemis I e delle nostre più importanti ambizioni in ambito lunare“, afferma David Parker, Direttore dell’ESA per l’Esplorazione Umana e Robotica.

Nei prossimi anni verranno lanciati moduli europei per costruire il Gateway lunare internazionale e l’obiettivo ESA è protare  un astronauta e un’astronauta europei in orbita intorno alla Luna entro la fine del decennio“.

Fino alla Luna e ritorno

La missione Artemis I vedrà Orion e il Modulo di Servizio Europeo impegnati in una missione di 42 giorni verso la Luna e ritorno. Trascorrerà circa due settimane in orbita intorno alla Luna, con il Modulo di Servizio Europeo che accenderà i suoi 33 motori per mantenere il veicolo spaziale in rotta e nella posizione migliore per ricevere la luce del Sole sui quattro pannelli solari lunghi 7 metri.

Il Modulo di Servizio Europeo, inoltre, manterrà il veicolo spaziale che contiene tutti i serbatoi di carburante per i motori, alle temperature ottimali e nelle future missioni Artemis, il Modulo di Servizio Europeo fornirà aria e acqua agli astronauti e alle astronaute che lavoreranno nel modulo di equipaggio di Orion.

Per tutta la durata della missione, il personale del Centro Spaziale Europeo per la Ricerca e la Tecnologia dell’ESA (ESTEC) nei Paesi Bassi è a disposizione per fornire competenze e conoscenze approfondite sul Modulo di Servizio Europeo al controllo principale della missione presso il Johnson Space Center della NASA, a Houston, negli Stati Uniti.

Artemis I tornerà sulla Terra con uno splashdown nell’Oceano Pacifico, al largo della costa della California, negli Stati Uniti. Il Modulo di Servizio Europeo si separerà e brucerà in modo innocuo nell’atmosfera poco prima dello splashdown del modulo di equipaggio.

Fonte: ESA

Altri documeti di approfondimento qui https://www.esa.int/Science_Exploration/Human_and_Robotic_Exploration/Exploration/Moon_media_kit

Aperta la Prevendita Coelum Astronomia n°259 dicembre 2022/gennaio 2023

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Coelum Astronomia è sempre ricco di contenuti e del contributo di nomi importanti delle ricerca professionale ma mai come numero 259 a farla da padrone sono i tantissimi astrofili e astrofile che hanno partecipato. Scoprili tutti!

Aperta la prevendita di Coelum Astronomia n° 259 di Dicembre 2022/Gennaio 2023

Tema del numero “Astronomia all’Italiana”, un occasione per raccogliere le testimonianze di quanti con impegno e costanza in Italia fanno Astronomia nel vero senso della parola. Per dimostrare che, a discapito dell’inquinamento luminoso, in Italia la ricerca amatoriale offre un contributo importante a tutta la comunità professionale internazionale.

In questo numero

La testimonianza di Fulvio Mete, per la spettroscopia solare, Marco Iozzi e la ricca squadra di cacciatori di Asteroidi (Maura Tombelli, Paolo Bacci, Luca Grazzini, Massimiliano Mannucci e Nico Montigiani, Andrea Mattei e Lorenzo Franco), Ernesto Guido esperto in comete (nel gruppo E. Bryssinck, M. Fulle, G. Savini, A. Valvasori) e Salvo Lauricella per la fotografia solare.

Speciale Esclissi, le tantissime foto arrivate in redazione e caricate nella sezione PhotoCoelum. Si ringrazia Rossana Miani per la bellissima ripresa in copertina, e poi ancora Salvo Lauricella, Bruno Conti, Fausto Lubatti, Massimo Bubani, Cristina Cellini e Fiorenzo Mazzotti, Fabrizio Aimar, Samuele Pinna, Robert Erriquez, Fadio di Stefano, Cristian Fattinnanzi, Roberto Ortu, Andrea Rapposelli, Roberto Ciri, Gerlando lo Savio, Giuseppe Granato, Mauro Muscas e Vincenzo Mirabella.

Non è stato possibile inserire ogni singola immagine, non avremmo riempito tutta la rivista ma quasi, a tutti coloro che hanno inviato la propria foto ma non l’hanno vista pubblicata i complimenti dalla Redazione, faremo quanto possibile per dare visibilità a ogni  lavoro attraverso altri canali.

Approfondimento “DART salverà la Terra!”, ben otto pagine con tutti i dettagli della missione a cura di Gabriele Cremonese (INAF), John Robert Brucato (INAF), Ettore Perozzi (ASI), Ian Carnelli (ESA) e Andrea Ferrero per LICIACube.

E ancora.. le rubriche tecniche:

  • Vita da Astrofilo, iniziamo a fare sul serio a cura di Cristian Fattinnanzi
  • Astrofotografia: prime elaborazioni delle immagini grezze del JWST a cura di Elisabetta Bonora, e soluzioni e suggerimenti per fotografare in Deep Sky da ambienti urbani a cura di Stefano Camaeti
  • Per “la tecnica ci salverà!” interviene Gabriele Iocco a parlarci di “Lampi di Fluorescenza”, un esperimento da fare.

Un grazie speciale alle amiche del Gruppo Astrofile per il sostegno all’hastag #ancheiovoglioesserelacristoforetti, nel numero due pagine con tutte le immagini delle astrofile che anno aderito all’appello per sostenere la comandante Cristoforetti.

Uno sguardo al passato con Mauro Gargano (INAF) e Paolo Palma (Unione Astrofili Napoletani) dedicato ad Annibale de Gasparis astronomo partenopeo acclamato “Re degli Asteroidi”.

I fatti in evidenza e le curiosità, i primi a cura di Luca Nardi e Arianna Ricchiuti, le chicche invece nelle mani di Giuseppe Petricca per il Catalogo Messier, Paola Giorgini che ci parla di panico marziano (?), Stefano Marcellini (INFN) e la fisica nucleare al servizio della legge! Barbara Bubbi, in collaborazione ancora con Cristian Fattinnanzi, e la sua attenta selezioni delle Meraviglie del Cosmo; Pierdomenico Memeo a disposizione di didattica e divulgazione per raccontare il progetto San Marco della Space Economy e i modellini di sistemi solari, approssimativi ma molto efficaci per l’apprendimento.

Con questo numero si conclude la rubrica dedicata alla Moon Village Association, il grazie a tutti gli autori che in questi mesi hanno collaborato con Coelum, alla direzione e a Remo Rapetti che si fa carico del commiato lanciando un sasso significativo: la Psicologia Spaziale.

I classici:

  • La galleria PHOTOCOELUM che per questo bimestre pubblica le immagini di Andrea Iosi, Fabrizio Piras, Paul Waddington, Luca Marinelli, Federica Panzarella, Egidio Maria Vergani e Soumy Adeep Mukheriee. Non perdete il mosaico a cura di Massimo di Fusco, vi lascerà senza parole!
  • Dalle Costellazioni alle Profondità del Cosmo 𝑺𝒕𝒆𝒇𝒂𝒏𝒐 𝑺𝒄𝒉𝒊𝒓𝒊𝒏𝒛𝒊 ci accompagna nella dettagliata lettura di 𝘔𝘰𝘯𝘰𝘤𝘦𝘳𝘰𝘴, costellazione ricca di sorprese dep periodo invernale.
  • Il Cielo del Bimestre: tutti i fenomeni dei prossimi due mesi.

E in arrivo una sorpresa per tutti i lettori di Coelum 259 (abbonati e non) .. ancora qualche giorno di pazienza!

Note per l’acquisto

—->  Il numero sarà spedito alla fine del mese in corso, appena ricevuto dalla tipografia, vi consigliamo di procedere subito con la prevendita in modo da riservare la propria copia.

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L’ESO fotografa una meravigliosa fabbrica di stelle per celebrare 60 anni di collaborazione

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Negli ultimi 60 anni l’ESO (European Southern Observatory) ha consentito agli scienziati di tutto il mondo di scoprire i segreti dell’Universo. Celebriamo questo traguardo presentandovi la nuova spettacolare immagine di una fabbrica di stelle, la Nebulosa Cono, scattata con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO.

Il 5 ottobre 1962 cinque paesi hanno firmato la convenzione per creare l’ESO. Ora, sei decenni dopo e sostenuto da 16 tra stati membri e partner strategici, l’ESO riunisce scienziati e ingegneri di tutto il mondo per sviluppare e gestire in Cile osservatori da terra all’avanguardia che permettono di ottenere scoperte astronomiche rivoluzionarie.

In occasione del 60° anniversario dell’ESO, pubblichiamo questa nuova straordinaria immagine della Nebulosa Cono, catturata all’inizio di quest’anno con uno dei telescopi dell’ESO e selezionata dallo staff dell’ESO. L’immagine fa parte di una campagna che celebra il 60° anniversario dell’ESO e si svolgerà alla fine del 2022, sia sui canali social con l’hashtag #ESO60years, sia con eventi locali negli Stati membri dell’ESO e in altri paesi.

Nella nuova immagine, vediamo al centro della scena il pilastro della Nebulosa Cono, lungo sette anni luce, che fa parte della più ampia regione di formazione stellare NGC 2264 ed è stata scoperta alla fine del XVIII secolo dall’astronomo William Herschel. Troviamo questa nebulosa a forma di corno nella costellazione del Monoceros (l’unicorno), un nome sorprendentemente appropriato.

Ubicata a meno di 2500 anni luce di distanza da noi, la Nebulosa Cono è relativamente vicina alla Terra, il che ne fa un oggetto molto ben studiato. Ma questa veduta è più drammatica di qualsiasi altra ottenuta prima, poiché mostra l’aspetto scuro e impenetrabile della nebulosa in un modo che la fa assomigliare a una creatura mitologica.

La Nebulosa Cono è un perfetto esempio delle forme simili a pilastri che si sviluppano nelle gigantesche nubi di gas molecolare freddo e polvere, note per la creazione di nuove stelle. Questo tipo di pilastro si forma quando le stelle blu brillanti e massicce di nuova formazione emettono venti stellari e intense radiazioni ultraviolette che spazzano via il materiale dalle loro vicinanze. Mentre il materiale viene spinto via, il gas e la polvere più lontani dalle giovani stelle vengono compressi in forme dense, scure e alte simili a pilastri. Questo processo aiuta a creare l’oscura Nebulosa Cono, che punta lontano dalle stelle brillanti di NGC 2264.

In questa immagine, ottenuta con lo strumento FORS2 (FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph 2) installato sul VLT dell’ESO in Cile, l’idrogeno gassoso è rappresentato in blu e lo zolfo gassoso in rosso. L’uso di questi filtri fa sì che le stelle che indicano la recente formazione stellare, che altrimenti sarebbero blu e molto luminose, appaiano quasi dorate, in contrasto con il cono scuro quasi come luminarie.

Questa immagine è solo un esempio delle numerose osservazioni sbalorditive e affascinanti che i telescopi dell’ESO hanno realizzato in 60 anni. Anche se questa è stata ottenuta a scopo divulgativo, quasi tutto il tempo dei telescopi dell’ESO è dedicato alle osservazioni scientifiche che ci hanno permesso di catturare la prima immagine di un esopianeta, di studiare il buco nero al centro della nostra Galassia e di trovare la prova che l’espansione del nostro Universo sta accelerando.

A partire da questi 60 anni di esperienza nello sviluppo, nella scoperta e nella cooperazione dell’astronomia, l’ESO continua ad aprire nuove strade per l’astronomia, la tecnologia e la collaborazione internazionale. Con le strutture attuali e il prossimo ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, continueremo ad affrontare le più grandi domande dell’umanità sull’Universo e consentire scoperte inimmaginabili.

PUNTAMENTI AUTOMATICI CON SISTEMI GOTO

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PUNTAMENTI AUTOMATICI CON SISTEMI GOTO E COORDINATE CELESTI: VEDIAMO DI CAPIRCI

Al giorno d’oggi quasi tutti possono permettersi un telescopio con sistema di puntamento automatico; questi supporti a controllo elettronico, comunemente chiamati montature equatoriali GoTo, sono estremamente comodi  per le osservazioni visuali mentre diventano assolutamente essenziali per chi pratica astrofotografia. 

Credo che tanti, come me, si siano domandati come funzionassero senza però aver mai approfondito realmente l’argomento, accontentandosi (io in primis) di usarli senza “stressarsi” troppo. Un approccio diciamo “zen” vincente finché però la strumentazione non inizia a presentare i primi  problemi. E prima o poi tranquilli..capita! 

Quando ci troviamo fuori casa al buio e al freddo, senza avere una conoscenza approfondita dello strumento, un qualsiasi malfunzionamento, anche un semplice bug temporaneo, potrebbe innescare nella nostra testa un effetto domino tale da amplificare le ansie, la ricerca della soluzione diventa una vera odissea, ed insomma si rovina di fatto tutta una sessione. Dopo anni di pratica mi sono convinto che, tra tutti i temi tecnici discussi dagli astrofili, ce ne siano alcuni davvero poco trattati, sopratutto a causa di una carenza cronica di documentazione reperibile online.. e su questi mi concentrerò. Avere una buona conoscenza della propria cassetta attrezzi consente di affrontare con più sicurezza e lucidità serate sotto al cielo stellato, concedendo la giusta serenità per goderne a pieno!

La prima domanda: come diamine fa la mia montatura ad essere cosi’ precisa?! Purtroppo alcune informazioni si trovano solo sui siti dei costruttori (quasi sempre in lingua straniera) oppure su portali altamente specializzati. Altre informazioni invece

riguardano nozioni che tutti gli Astrofili dovrebbero avere, non tanto per appagare la propria curiosità, ma come bagaglio base delle proprie competenze; per creare un quadro generale  da cui partire inizieremo proprio da queste; cercherò di spiegarle nel modo più semplice possibile per essere compreso anche da chi è alle prime armi. 

 

IL FUNZIONAMENTO BASE DI UNA MONTATURA EQUATORIALE.

Tutti sappiamo che la terra ruota attorno al proprio asse e che questo movimento crea il cosiddetto moto apparente della volta celeste: l’unico punto fisso nel cielo, la prosecuzione dell’asse terreste, vede ruotare attorno a se tutto il resto. Ogni oggetto esterno al nostro Sistema Solare, che sia una stella, una galassia o una nebulosa percorrerà sempre la stessa traiettoria disegnando di fatto un cerchio attorno a questo punto. L’idea di base usata per poterli inseguire e tenerli sempre inquadrati è quella di creare un supporto per il telescopio che effettui gli stessi movimenti: l’asse della montatura, proprio come se fosse un compasso, analogamente al puntale, va orientato esattamente al centro del cerchio (il polo nord celeste); in base all’angolo di apertura (declinazione) si intercetta la traiettoria dell’oggetto e lo si insegue facendo ruotare lo strumento attorno al proprio asse (asse di ascensione retta).

Fin qui tutto abbastanza semplice no? No, e infatti ora le cose si complicano.

Inserire una funzione di puntamento automatico deve tener conto che la posizione delle stelle cambia a seconda del luogo di osservazione e la perplessità più ovvia, forse la prima che si può avere, è che non sia possibile memorizzare in un hardware una mappa del cielo corrispondente ad ogni singola località del mondo. Sarebbe necessario dare risposta a molte domande tipo: a quante località si dovrebbe far riferimento? Quanto distanti tra loro per avere una sufficiente precisione? Quasi infinite suppongo. Se poi ad ogni località dovesse corrispondere una mappa esatta del cielo per ogni singolo momento del tempo (che consideriamo indefinito) avremmo così tante combinazioni corrispondenti ad una capacità di storage incalcolabile! L’alternativa per avere un puntamento preciso ovunque (sia nello spazio che nel tempo) è quella di fornire dei riferimenti per calcolare le relative coordinate celesti facendo un match con un unico transito tenuto in memoria. Ad esempio memorizzando il transito al meridiano di una singola  stella ad un orario ed in un luogo specifico (ad esempio al meridiano di Greenwich) le coordinate verranno ricalcolate per il luogo d’osservazione scelto, in tempo reale, sfruttando algoritmi che meglio vedremo in seguito. 

La comprensione del funzionamento passa attraverso la conoscenza delle diverse misure del tempo che entrano in gioco in questi calcoli, senza scendere troppo nello specifico con spiegazioni matematiche complesse; esse sono  importantissime sia per gli astronomi che per gli astrofili: sono il tempo solare ed il tempo siderale.

 

TEMPO SOLARE E TEMPO SIDERALE

Il sistema di conteggio del tempo usato dagli uomini, il tempo solare, non è universale, seppur venga chiamato UTC (Universal Coordinated Time). Animali strani gli uomini che chiamano universale ciò che riferito solo alla Terra sulla base dei movimenti di una minuscola stellina al centro del nostro sistema planetario, il Sole. Il tempo solare, chiamato UTC solo per convenzione, è calcolato in base alla posizione del Sole rispetto alla linea verticale che passa sopra le nostre teste, il meridiano. Quando un astro passa allo zenith, il punto più alto nel cielo, si dice che transita al meridiano (da qui diremo solo transito). Dopo un giro della Terra su se stessa il Sole non apparirà nuovamente sopra la nostra testa come potremo pensare: questo perché contemporaneamente al moto di rotazione il moto di rivoluzione ci ha spinti un po’più avanti. La Terra dovrà compiere quindi ancora circa un grado di giro attorno al proprio asse per rimettere il Sole allo zenit. (vedi la fig. 2).

Come evidenziato in fig.2, le stelle (lontane abbastanza da essere considerate ad una distanza prossima all’infinito) ritornano sempre al meridiano dopo un giro esatto della terra: 360 gradi. Il Sole invece transita dopo un giro abbondante, circa 361 gradi. Sulla base di questo ragionamento è chiaro capire che il sole ci mette sempre un po’ di più per tornare al meridiano rispetto alle stelle.

In passato per gli uomini è stato senz’altro più ovvio prendere come riferimento l’astro più luminoso e facilmente individuabile nel cielo, il Sole e da qui la scelta del giorno solare come riferimento per misurare il tempo. Il tempo invece usato prendendo come riferimento le stelle si chiama tempo siderale dal latino sidereus appunto (delle stelle). Fissato quindi un giorno solare di 24 ore si può calcolare che una stella lontana (una qualsiasi) torni al meridiano ogni 23 ore e 56 minuti (tempo medio approssimato ndr.) che è il vero tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione attorno al proprio asse. Il tempo siderale resta indietro di circa 4 minuti al giorno rispetto al tempo solare, ed a lungo andare, nel giro degli anni, questa discrepanza aumenta tantissimo. Per questo non si può pensare di trovare corrispondenza tra un orologio solare ed un orologio siderale!! Al momento di scrivere questo articolo, ad esempio, in Italia, erano le 14:57 mentre il mio tempo siderale locale indicava le 10:52. 

Ogni volta che penso a questo mi chiedo quale sia il vero tempo universale, se quello creato da noi uomini sulla base dei riferimenti che troviamo dietro l’angolo o quello di stelle infinitamente lontane, che oramai possiamo ammirare solo abbandonando le città e tornando a guardare il cielo notturno incontaminato.  

Oggi, grazie alla tecnologia, è semplice tenere conto del tempo siderale grazie a molteplici strumenti in grado di compiere rapidi calcoli, ma in passato fu necessario ingegnare una diversa soluzione. In astronomia servivano metodi precisi e l’idea fu quella di dividere il cielo in 24 spicchi verticali con delle linee che confluivano verso la prosecuzione dell’asse terrestre: il polo nord celeste, molto vicino alla stella polare. In questo modo il cielo divenne un grosso orologio astronomico ed ogni astro compreso in una di queste “fasce” ottenne le sue coordinate espresse in ore, minuti e secondi; queste vennero chiamate coordinate di ascensore retta (AR o RA in inglese).  Quando una stella passa allo zenit i suoi valori di ascensione retta indicheranno il tempo siderale locale (TSL o LST in inglese). LOCALE! Bisogna fare attenzione a questa parola: una stella che transita al meridiano, cioè posta allo zenit ora, era al meridiano qualche ora fa in Turchia e sarà allo zenit tra qualche ora a Greenwich! Questo perché la terra ruota e tutti gli astri sorgono ad Est e tramontano ad ovest tracciando, come già accennato in precedenza, una traiettoria ben precisa nel cielo.

DIFFERENZA TRA TEMPO SOLARE E SIDERALE: LA CHIAVE DI VOLTA PER CALCOLARE I TRANSITI LOCALI

Fatte queste doverose premesse e sulla base di quanto detto basterà fornire alla strumentazione l’ora solare locale ed il suo computer farà un match con l’ora siderale memorizzata. Usando poi le nostre coordinate terrestri potrà capire di quanto il transito locale è avanti o indietro rispetto a quello in memoria e calcolare accuratamente l’ora siderale locale, ottenendo finalmente le coordinate celesti degli oggetti che stanno passando al meridiano nel nostro luogo d’osservazione. Praticamente un passaggio semplice, tuttavia nel box “un esempio pratico” spiego in dettaglio con un esempio appunto qual è il calcolo sottointeso).

Gli esempi pratici e gli scatti dell’autore sulla corretta impostazione della strumentazione sono disponibili nel numero 258 di Coelum Astronomia 

Arrivano le notifiche push per l’App Coelum

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Nuova funzionalità per gli amici di Coelum 

Ai tanti lettori di Coelum online e visitatori del portale non sarà sfuggita l’opzione, attiva oramai da tempo, che consente di installare sul proprio smarth phone o desktop l’icona di Coelum a cui corrisponde il collegamento diretto alla homepage.

L’invito è chiaro: se non l’avete ancora fatto, cosa aspettate?? 

come funziona? Un volta visitato Coelum.com da brower compare, in alto se da desktop o in basso se da smarthphone, il testo “Aggiungi Coelum alla schermata Home?” basterà cliccare e sul desktop del vostro pc o sulla schermata home del vostro smarthphone comparirà una nuova icona come questa:

Semplicissimo! una volta cliccato sull’icona il collegamento riporta direttamente alla homepage di Coelum.com.

Ma da oggi c’è una novità!

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Un buco nero molto, molto, molto vicino alla Terra

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Il telescopio Gemini North alle Hawaii rivela il primo buco nero dormiente di massa stellare nel nostro cortile cosmico

Gli astronomi che utilizzano l’International Gemini Observatory, gestito dal NOIRLab della NSF, hanno scoperto il buco nero più vicino alla Terra sino ad ora conosciuto. Questa è la prima rilevazione inequivocabile di un buco nero di massa stellare dormiente nella Via Lattea. La sua vicinanza alla Terra, a soli 1600 anni luce di distanza, offre un interessante obiettivo di studio per migliorare la nostra comprensione dell’evoluzione dei sistemi binari.

I buchi neri sono gli oggetti più estremi dell’Universo. Versioni supermassicci di questi oggetti inimmaginabilmente densi probabilmente risiedono al centro di tutte le grandi galassie. I buchi neri di massa stellare – che pesano da cinque a 100 volte la massa del Sole – sono molto più comuni, con una stima di 100 milioni nella sola Via Lattea. Solo una manciata è stata confermata fino ad oggi e quasi tutti questi sono “attivi”, il che significa che brillano ai raggi X mentre consumano materiale da una vicina compagna stellare, a differenza dei buchi neri dormienti che non lo fanno. 

Il buco nero è stato soprannominato Gaia BH1, è circa 10 volte più massiccio del Sole e si trova a circa 1600 anni luce di distanza nella costellazione dell’Ofiuco. La nuova scoperta è stata resa possibile studiando il movimento della compagna del buco nero, una stella simile al Sole che orbita attorno al buco nero all’incirca alla stessa distanza della Terra rispetto al Sole. 

Prendi il Sistema Solare, metti un buco nero dove si trova il Sole, e il Sole dove si trova la Terra, e ottieni questo sistema “, ha spiegato Kareem El-Badry, astrofisico del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian e il Max Planck Institute for Astronomy e l’autore principale dell’articolo che descrive questa scoperta. “Sebbene siano stati molti i rilevamenti dichiarati di sistemi come questo, quasi tutte queste scoperte sono state successivamente confutate. Questa è la prima rivelazione inequivocabile di una stella simile al Sole in un’ampia orbita attorno a un buco nero di massa stellare nella nostra Galassia.

Ho cercato buchi neri dormienti negli ultimi quattro anni utilizzando un’ampia gamma di set di dati e metodi “, ha affermato El-Badry. “I miei tentativi precedenti, così come quelli di altri, hanno prodotto un serraglio di sistemi binari mascherati da buchi neri, ma questa è la prima volta che la ricerca ha dato i suoi frutti. 

Il team ha originariamente identificato il sistema come potenzialmente sede di un buco nero analizzando i dati della navicella spaziale Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea. Gaia ha catturato le minuscole irregolarità nel movimento della stella causate dalla gravità di un oggetto massiccio invisibile. Per esplorare il sistema in modo più dettagliato, El-Badry e il suo team si sono rivolti allo strumento Gemini Multi-Object Spectrograph  su Gemini North, che ha misurato la velocità della stella compagna mentre orbitava attorno al buco nero e ha fornito una misurazione precisa del suo periodo orbitale. Le osservazioni di follow-up di Gemini sono state cruciali per vincolare il movimento orbitale e quindi le masse dei due componenti nel sistema binario, consentendo al team di identificare il corpo centrale come un buco nero circa 10 volte più massiccio del nostro Sole.

Le nostre osservazioni di follow-up sui Gemelli hanno confermato oltre ogni ragionevole dubbio che la binaria contiene una stella normale e almeno un buco nero dormiente “, ha elaborato El-Badry. “Non siamo riusciti a trovare uno scenario astrofisico plausibile che possa spiegare l’orbita osservata del sistema che non coinvolga almeno un buco nero. 

Il team ha fatto affidamento non solo sulle superbe capacità di osservazione di Gemini North, ma anche sulla capacità di Gemini di fornire dati in tempi rapidi, poiché il team aveva a disposizione solo una breve finestra temporale in cui eseguire le osservazioni di follow-up. 

Quando abbiamo avuto le prime indicazioni che il sistema conteneva un buco nero, avevamo solo una settimana per prepararci prima che i due oggetti fossero alla massima separazione nelle loro orbite. Le misurazioni a questo passaggio sono essenziali per effettuare stime di massa accurate in un sistema binario “, ha affermato El-Badry. “La capacità di Gemini di fornire osservazioni in tempi brevi è stata fondamentale per il successo del progetto. Se avessimo perso quella stretta finestra, avremmo dovuto aspettare un altro anno. ” 

Gli attuali modelli degli astronomi dell’evoluzione dei sistemi binari hanno difficoltà a spiegare come potrebbe essere sorta la peculiare configurazione del sistema Gaia BH1. In particolare, la stella progenitrice che in seguito si è trasformata nel buco nero appena rilevato sarebbe stata almeno 20 volte più massiccia del nostro Sole. Ciò significa che avrebbe vissuto solo pochi milioni di anni. Se entrambe le stelle si fossero formate contemporaneamente, questa stella massiccia si sarebbe rapidamente trasformata in una supergigante, gonfiandosi e inghiottendo l’altra stella prima che avesse il tempo di diventare una vera e propria stella di sequenza principale , che brucia idrogeno, come il nostro Sole. 

Non è per niente chiaro come la stella di massa solare possa essere sopravvissuta a quell’episodio, finendo come una stella apparentemente normale, come indicano le osservazioni del binario del buco nero. I modelli teorici che consentono la sopravvivenza prevedono tutti che la stella di massa solare avrebbe dovuto finire su un’orbita molto più stretta di quella effettivamente osservata.

Ciò potrebbe indicare che ci sono importanti lacune nella nostra comprensione di come si formano ed evolvono i buchi neri nei sistemi binari e suggerisce anche l’esistenza di una popolazione ancora inesplorata di buchi neri dormienti nei binari. 

” È interessante notare che questo sistema non è facilmente adattabile ai modelli di evoluzione binaria standard “, ha concluso El-Badry. “ Pone molte domande su come si è formato questo sistema binario e su quanti di questi buchi neri dormienti ci siano là fuori.

Come parte di una rete di osservatori spaziali e terrestri, Gemini North non ha solo fornito prove evidenti del buco nero più vicino fino ad oggi, ma anche del primo sistema di buchi neri incontaminati, non ingombrato dal solito gas caldo che interagisce con il buco nero ” , ha affermato Martin Still, responsabile del programma Gemini di NSF. “ Sebbene questo possa potenzialmente augurare future scoperte della prevista popolazione di buchi neri dormienti nella nostra Galassia, le osservazioni lasciano anche un mistero da risolvere: nonostante una storia condivisa con il suo vicino esotico, perché la stella compagna in questo sistema binario è così normale? 

L’ Osservatorio Internazionale dei Gemelli è gestito da una partnership di sei paesi, inclusi gli Stati Uniti attraverso la National Science Foundation , il Canada attraverso il Consiglio Nazionale delle Ricerche del Canada , il Cile attraverso l’ Agencia Nacional de Investigación y Desarrollo , il Brasile attraverso il Ministério da Ciência, Tecnologia e Inovações , Argentina attraverso il Ministerio de Ciencia, Tecnología e Innovación , e la Corea attraverso il Korea Astronomy and Space Science Institute

Fonte ufficiale: NOIRLab

News da Marte #5

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Bentornati su Marte con il quinto appuntamento delle nostre news!

Oggi vi voglio aggiornare sugli ultimi progressi dei due rover della NASA e su delle recentissime pubblicazioni rese possibili dai dati raccolti dal lander Insight la vigilia di Natale dello scorso anno. Si parte!

 

Un compleanno in viaggio

Ad agosto abbiamo celebrato 10 anni dal suo atterraggio nel cratere Gale. Il tempo è volato, ma Curiosity è su Marte addirittura dal 2012. Durante questi anni ha percorso quasi 29 km, scattato foto incredibili dei panorami marziani e delle lune del pianeta rosso in transito davanti al Sole, ma soprattutto posto delle pietre miliari nella nostra conoscenza di Marte. Tra le scoperte più importanti ci sono quelle che hanno determinato l’antica presenza di acqua allo stato liquido sul pianeta insieme, per almeno decine di milioni di anni,  ai nutrienti potenzialmente in grado di sostenere la vita.

 

Negli ultimi mesi Curiosity è stato impegnato in uno spostamento che l’ha visto attraversare paesaggi di transizione mentre risale lentamente la formazione chiamata Aeolis Mons, una montagna che si solleva per 5500 metri dal centro del cratere Gale.
Si ipotizza che le regioni attualmente percorse si siano formate in seguito all’evaporazione dell’acqua, che ha lasciato dietro di sé minerali salati come solfato di magnesio e solfato di calcio, nonché il ben familiare cloruro di sodio.

 

Unendo la visuale dall’alto che traccia gli spostamenti di Curiosity con le immagini scattate dal rover, possiamo provare a immergerci nei paesaggi che il rover ha attraversato. Nel farlo vi propongo tre momenti che vanno dal Sol 3549 al 3572 (dal 31 luglio al 24 agosto).

Durante questi giorni marziani Curiosity si è spostato verso sud valicando il Paraitepuy Pass, un piccolo canyon che si allunga in mezzo alle collinette Deepdale e Bolivar.

Tracciato percorso

 

Sol 3549, panoramica a 360° composta a partire da 31 immagini scattate con la Right NavCam ospitata sulla torretta di Curiosity. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Sol 3563, Curiosity avanza all’interno del Paraitepuy Pass come documentato da quest’altra ampia panoramica. La prospettiva estremamente distorta confonde i nostri punti di riferimento, ma ci troviamo dentro al canyon! La collina sulla destra è Bolivar mentre quella sulla sinistra è Deepdale. Evidentissime in direzione nord le tracce che il rover lascia sulla sabbia. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Sol 3572, con questa vista rivolta a ovest Curiosity celebra il successo dell’attraversamento del canyon. La collinetta sulla destra è ancora una volta Bolivar. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Lo spostamento non è stato privo di rischi: così come rocce dure e taglienti danneggiano le ruote del rover, il terreno sabbioso è altrettanto insidioso perché può portare Curiosity a perdere trazione e restare fatalmente bloccato. Ecco perché questo spostamento di poche decine di metri ha richiesto quasi un mese di caute pianificazioni sul percorso da compiere.

Un’attenzione particolare è stata rivolta anche alle comunicazioni radio, che rischiavano di essere ostruite dalle alte colline adiacenti. Questo ha richiesto che il rover restasse sempre orientato nella direzione più favorevole per puntare la propria antenna verso la Terra per comunicazioni dirette, e qualche rallentamento si è avuto nel corso delle trasmissioni con gli orbiter satellitari (che grazie alla loro potenza e alle grandi antenne permettono data rate molto maggiori svolgendo il ruolo di nodo nelle comunicazioni tra Terra e rover).

Al termine dell’attraversamento e nei primi giorni di esplorazione dell’area, i piloti del rover hanno istruito il robot per fargli eseguire il 36esimo foro con il suo trapano, avvenuto con successo il 3 ottobre sulla roccia battezzata Canaima.

Foro eseguito da Curiosity il 3 ottobre, Sol 3624. Il dettaglio in alto è ripreso dalla camera MAHLI, mentre l’immagine d’insieme è realizzata dalla MastCam. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

A differenza di Perseverance, Curiosity non è sviluppato per conservare i campioni che preleva ma piuttosto per svolgere analisi in situ con gli strumenti CheMin e SAM.

In seguito all’usura di alcuni meccanismi di blocco degli snodi del braccio robotico, l’operazione di foratura della roccia è diventata ulteriormente complessa. Attualmente si vuole minimizzare l’uso dell’azione percussiva del trapano su rocce troppo dure per non sollecitare il braccio. Per il momento questa strategia non sta dando problemi, e quest’ultimo campione è stato prelevato persino senza alcuna percussione.

 

Curiosity ha davanti a sé un nuovo capitolo di esplorazione molto interessante in questa regione, con nuove sfide che si apriranno ai controllori della missione. “Più i risultati scientifici diventano interessanti, maggiori sono gli ostacoli che Marte sembra metterci davanti” ha commentato Elena Amador-French, coordinatrice delle operazioni scientifiche del rover.

Perseverance può gioire: NASA ed ESA confermano gli impegni

Con un accordo formale finalizzato il 19 ottobre, l’agenzia spaziale statunitense e quella europea hanno confermato i reciproci impegni con la grande missione per portare sulla Terra campioni di roccia marziana.

Il prossimo passo è così la creazione, figurata ma non solo, del deposito dei campioni. Prossimamente Perseverance prenderà la strada verso la regione Three Forks, designata per le sue caratteristiche fisiche come luogo ideale per il rilascio al suolo delle preziose fiale.

Il momento della deposizione al suolo dei campioni sarà una tappa fondamentale nella missione di Sample Return. Marcherà in modo forte l’impegno scientifico a tornare in un luogo ben preciso, con un nuovo lander e obiettivi ambiziosi.

“Il fatto che possiamo implementare il piano [di rilascio campioni] così presto nella missione è la prova delle competenze della squadra internazionale di ingegneri e scienziati al lavoro su Perseverance e sulla Mars Sample Return” ha commentato David Parker, direttore del dipartimento Human and Robotic Exploration dell’ESA.

Il rilascio al suolo delle fiale è anche una sorta di assicurazione, finalizzata a mettersi al riparo da eventuali malfunzionamenti che dovessero colpire il rover Perseverance rendendolo impossibilitato a liberarsi delle fiale con i preziosi campioni.

 

Un meteoroide da record per Insight

Nella terza uscita di questa rubrica vi avevo raccontato come gli scienziati fossero riusciti, analizzando i dati registrati dal lander NASA, prima a stimare con buona precisione e poi a individuare quattro eventi di impatto con i loro relativi crateri.

Come descritto in due recenti pubblicazioni, uscite sulla rivista Science il 27 ottobre, la scoperta si ripete per la quinta volta e adesso è da record.

 

Il 24 dicembre 2021 un meteoroide di dimensione stimata tra i 5 e i 12 metri è penetrato nella sottile atmosfera marziana e ha impattato nella regione Amazonis Planitia generando un cratere di circa 150 metri di diametro e profondo 20. Parte del materiale è stato catapultato sino a 37 km di distanza. Quello stesso giorno Insight registrò un movimento sismico catalogato col quarto grado di magnitudine, ma al tempo non si poteva conoscere la causa della scossa.

La scoperta è giunta in seguito al confronto tra le immagini rilevate dal Mars Reconnaissance Orbiter, con il nuovo cratere che è stato individuato l’11 febbraio.

Confronto tra le immagini rilevate dalla Context Camera in bianco e nero del satellite MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Da lì si è poi andati a ritroso nelle immagini della camera MARCI che quotidianamente osserva, con risoluzione modesta ma sufficiente agli scopi, l’intera superficie di Marte. Questo ha permesso di individuare una finestra di appena 24 ore per l’evento, e correlare così l’osservazione visuale con la rilevazione strumentale di Insight.

Si tratta dell’evento di impatto più violento nell’intero sistema solare che abbiamo potuto vedere avvenire quasi davanti ai nostri occhi.

Un risvolto molto interessante ci è offerto dalla ripresa in alta risoluzione della camera HiRISE, sempre a bordo di MRO.

Ripresa in alta risoluzione e a colori da parte della camera HiRISE. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Le zone bianche sono ghiaccio d’acqua emerso in seguito all’impatto, e si tratta del suo ritrovamento più vicino all’equatore marziano mai compiuto sinora. Questo offre interessanti riflessioni nell’ottica di una futura missione umana su Marte, perché la presenza del prezioso composto a latitudini temperate e più agevoli per un atterraggio rappresenta un indubbio vantaggio.

Dal punto di vista sismologico questa è stata la prima rilevazione extraterrestre di onde sismiche superficiali, un tipo di oscillazione che si propaga sulla parte esterna della crosta di un pianeta. Si tratta di un’osservazione preziosissima, che permette di avere nuovi dati a disposizione con cui caratterizzare la superficie di Marte anche in regioni lontane da quella immediatamente sottostante al lander.

Lo studio della stratificazione della crosta marziana aggiungerà informazioni con cui comprendere i processi di formazione ed evoluzione del pianeta, rivelandoci qualcosa di più sulle condizioni di Marte miliardi di anni fa.

La situazione energetica di Insight, come raccontato nelle precedenti news, continua a essere molto precaria. La colossale tempesta di sabbia delle scorse settimane ha portato il team a controllo della missione a spegnere temporaneamente anche l’ultimo strumento scientifico ancora operativo, il sismometro, che è stato riattivato solo recentemente in seguito alla riduzione dell’oscuramento atmosferico. In un breve aggiornamento del primo novembre è stato comunicato che i pannelli del lander stanno producendo tra i 280 e i 290 Wh di energia al giorno, con un calo drammatico rispetto ai già pochi 420 di metà settembre. Per avere un riferimento, al momento dell’atterraggio i Wh/Sol prodotti erano 5000.

Di questo passo pare che a Insight non restino che pochissime altre settimane di funzionalità. Il termine della missione sarà decretato quando il lander mancherà l’appuntamento con due comunicazioni programmate di fila, ma comunque per scrupolo il Deep Space Network della NASA resterà in ascolto ancora per qualche tempo prima di dichiarare ufficialmente conclusi i lavori.

Anche per questo aggiornamento dal pianeta rosso è tutto, alla prossima!

Leggi News da Marte #4

Il Cielo di Novembre 2022

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Indice dei contenuti

Entrati ormai nel vivo dell’autunno, il cielo di Novembre ci offre un ampio panorama sulle costellazioni che osserveremo fino all’inverno prossimo!

Il dettaglio sulla costellazione di Andromeda, del Triangolo e quanto possiamo osservare in queste lunghe notti autunnali, disponibili all’articolo Le Costellazioni di Novembre 2022 a cura di Teresa Molinaro

COSA OFFRE IL CIELO

Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi 2022!

Mercurio

01/11
Sorge: h 06:15
Tramonta: h
16:58

30/11
Sorge: h 08:22
Tramonta: h 17:17

Questo novembre l’accostamento tra Mercurio e la nostra stella si fa man mano più stretto con il passare del tempo, per poi giungere al giorno 8 in cui il pianeta sarà in congiunzione superiore con il Sole. Quest’evento va a segnare il passaggio del pianeta dalle sue apparizioni mattutine a quelle serali. Nella seconda metà del mese si discosterà sempre più dalla nostra stella, passando in afelio il giorno 19, per poi soffermarsi maggiormente nel nostro cielo serale verso fine novembre. Solo per dovere di cronaca, segnaliamo una stretta triangolazione Mercurio-Luna-Venere il giorno 24: il nostro satellite sarà una sottilissima falce successiva al Novilunio e la stretta finestra temporale poco prima del tramonto non permetterà una buona visione dell’evento.

Venere

01/11
Sorge: h 06:52
Tramonta: h 17:16

30/11
Sorge: h 08:04
Tramonta: h 17:15

Ci siamo lasciati il mese precedente con pochissime occasioni per l’osservazione di Venere e la situazione a novembre sarà altrettanto poco entusiasmante. Il bel pianeta seguirà infatti il Sole per quasi tutto l’arco della giornata, rendendosi inosservabile. Una vera inversione di marcia l’avremo solo verso fine mese, in cui ci concederà qualche istante in più per essere contattato nelle ore serali. Tutta un’altra storia saranno i prossimi mesi invernali, in cui il luminoso astro della sera ci terrà compagnia per diversi istanti dopo il tramonto!

Marte

01/11
Sorge: h 19:27
Tramonta: h 10:48

30/11
Sorge: h 16:59
Tramonta: h 08:31

Novembre, come il mese precedente, sarà un ottimo periodo per l’osservazione del pianeta rosso. Marte ci accompagna per tutta la notte, sorvegliato attentamente dall’acceso occhio del Toro. Anticipa sempre più il suo sorgere e, per fine mese, farà capolino pochi istanti dopo il tramonto del Sole. L’11 novembre ci sarà una bella congiunzione con la Luna da non perdere: i due astri si troveranno a poco più di 2° di separazione, splendidamente apprezzabili nella bella cornice fornita dalle costellazioni del Toro e di Orione.

Giove

01/11
Sorge: h 15:28
Tramonta: h 03:30

30/11
Sorge: h 13:32
Tramonta:
h 01:32

Pian piano questo novembre iniziamo a salutare questo gigante del cielo, mentre scivoliamo lentamente verso i mesi invernali in cui non sarà più contattabile in orari serali. Giove inizierà a mostrarsi in orari pomeridiani, anticipando di molto il suo sorgere con il passare dei giorni. A inizio mese, precisamente il 4 novembre, lo troveremo in una bella congiunzione con la Luna: evento che ci accompagnerà per gran parte della notte, fino al tramontare dei due astri poco dopo le 3. Per un’altra suggestiva congiunzione tra i due, dovremo attendere il primo giorno di dicembre!

Saturno

01/11
Sorge: h 13:49
Tramonta:
h 23:55

30/11
Sorge: h 11:58
Tramonta: h 22:08

La finestra temporale di osservazione serale del pianeta ad anelli si fa nettamente stretta e avremo pochi attimi per ammirare la sua luce da dopo il tramonto fino le prime ore notturne. Il primo giorno di novembre ci regala una bella congiunzione con la Luna, con poco più di 4° di separazione, facilmente apprezzabile anche con modesti strumenti. E, come a volerci salutare, di congiunzione con il nostro satellite ce ne regala un’altra alla fine del mese: il giorno 29 Saturno e Luna si incontreranno nuovamente in un abbraccio un po’ meno stretto del precedente, ma sempre degno di nota.

Urano

01/11
Sorge: h 17:18
Tramonta: h 07:35

30/11
Sorge: h 15:21
Tramonta: h 05:35

Urano è una presenza costante delle nostre notti autunnali, l’unico pianeta gassoso che in questo periodo rimane placidamente a sorvegliare il cielo per quasi tutta la durata della notte. Vedremo anticipare sempre più il suo sorgere con il passare dei giorni, alla pari di Giove e Saturno, e lo possiamo contattare tra l’Ariete e il Toro, le due costellazioni che gli fanno da guardiane già da diverse settimane. Lo troveremo l’8 novembre in congiunzione con la Luna; verrà occultato dal nostro satellite in quella stessa data, ma l’evento non sarà visibile dall’Italia. Mentre sarà in opposizione il giorno successivo, visibile per quasi tutto l’arco della notte.

Nettuno

01/11
Sorge: h 15:12
Tramonta: h 02:56

30/11
Sorge: h 13:17
Tramonta: h 01:00

Anche per Nettuno, al pari degli altri pianeti gassosi, novembre segna la sua lenta scomparsa in orari serali. Costante accompagnatore – anche se invisibile – delle nostre serate estive, con il proseguire del mese di novembre seguirà Giove nella costante anticipazione dell’orario del suo sorgere. E proprio al gigante del cielo farà compagnia durante la congiunzione Luna-Giove del 04/11, fino al tramontare dei due astri.

SOLE

Previsioni attività solare – Novembre 2022
Continua ancora la fase di crescita del ciclo solare 25, che anche nel mese di Ottobre ci ha regalato un’attività molto varia ed interessante!

Non perdere l’articolo a cura di Daniele Bonfiglio: clicca QUI 

LUNA

Approfittiamo delle lunghe notti autunnali per goderci l’osservazione del nostro bellissimo satellite. Tutto ciò che devi sapere sulla Luna di Novembre!

Tutti gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite disponibili per il mese di Novembre 2022, a cura del nostro autore Francesco Badalotti.

Non perderti l’articolo: Luna di Novembre 2022

COMETE

Tutti in fermento per la C/2022 E3 ZTF e… Doppia cometa per questo mese!
Per approfondire: Le comete di Novembre 2022 a cura di Claudio Pra

ASTEROIDI

Un approfondimento su Cerere – il gigante del cielo – e quali asteroidi osservare il prossimo mese! 
Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Novembre 2022 a cura di Marco Iozzi

TRANSITI NOTEVOLI ISS

Novembre la ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molteplici transiti notevoli con magnitudini elevate durante quest’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni!

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Novembre 2022 a cura di Giuseppe Petricca

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Apriamo la rubrica con la bella notizia di una scoperta italiana, che mancava ormai da diversi mesi!

A metterla a segno è stato ancora una volta l’astrofilo romagnolo Mirco Villi grazie alla collaborazione con i professionisti americani del CRTS Catalina.

La notizia però che ci lascia veramente a bocca aperta, arriva ancora una volta dal paese del Sol Levante. L’incredibile extraterrestre, oramai non sappiamo più come definirlo, Koichi Itagaki elude la rete di controlli dei programmi professionali e realizza una stupenda doppietta nel giro di soli quattro giorni.

L’articolo a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini disponibile QUI

Cieli sereni a tutti!

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Mondi in miniatura – Asteroidi, Novembre 2022

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Un approfondimento su Cerere: il gigante del cielo

(1) Cerere è il più grande asteroide della fascia principale tanto che da solo costituisce il 40% della massa stimata dell’intera cintura degli asteroidi.

È classificato come asteroide di tipo C (carbonaceo) e, data la presenza sulla sua superficie di minerali argillosi, è indicato anche come asteroide di tipo G (una tipologia relativamente rara di asteroidi di tipo C).

La sua forma è quella di uno sferoide oblato, con un diametro equatoriale maggiore dell’8% rispetto al suo diametro polare. Le misurazioni effettuate della sonda Dawn hanno rilevato un diametro medio di 939 km e una densità media che suggerisce che un quarto della sua massa sia composta da ghiaccio d’acqua.

Si ritiene che (1) Cerere sia un corpo almeno parzialmente differenziato che potrebbe possedere un piccolo nucleo metallico, al momento non inoltre è chiaro se disponga o meno di un campo magnetico globale.

(1) Cerere ha una superficie tormentata e fortemente craterizzata dove il più grande cratere è costituito dal bacino di Kerwan, che si estende in larghezza per oltre 280 km. La regione polare nord presenta un numero maggiore di crateri rispetto alla regione equatoriale e si conoscono almeno tre grandi bacini poco profondi che si pensa siano i resti di antichi crateri da impatto, dei quali il più esteso – la Vendimia Planitia, con i suoi 800 km di diametro rappresenta la più grande struttura geografica ad oggi conosciuta.

La presenza di una tenue atmosfera transitoria costituita prevalentemente da vapore acqueo è stata rilevata inizialmente nel 2014 per poi essere confermata dalle misure della sonda Dawn nel 2017.

Sebbene (1) Cerere non sia considerato un ambiente favorevole ad ospitare forme di vita seppur elementari (a differenza di Marte, Europa, Encelado o Titano), resta comunque il corpo del sistema solare interno che dispone della maggior quantità di acqua dopo la Terra; non è quindi escluso che sotto la sua superficie possano esistere habitat idonei al suo sviluppo!

Dal punto di vista osservativo quando è in opposizione questo grande asteroide può raggiungere una magnitudine apparente di 6.7, rimanendo comunque troppo debole per essere osservabile ad occhio nudo.

Tra tutti gli asteroidi della Fascia, (4) Vesta è l’unico che può raggiungere regolarmente una magnitudine altrettanto brillante, mentre altri grandi asteroidi quali ad esempio (2) Pallas e (7) Iris lo fanno solo al momento dell’opposizione vicino al rispettivo perielio.

GLI ASTEROIDI DI NOVEMBRE

(27) Euterpe

(27) Euterpe è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.310 giorni (3,59 anni) ad una distanza compresa tra le 1,95 e le 2,75 unità astronomiche (rispettivamente: 291.715.848 km al perielio e 411.394.144 km all’afelio).

Deve il suo nome a Euterpe, musa della musica e della poesia nella mitologia Greca.

Scoperto da John Russel Hind l’8 Novembre 1853, questo grande asteroide (circa 96 Kilometri di diametro) sarà in opposizione il 12 di Novembre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 8.8.

Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (27) Euterpe trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(30) Urania

(30) Urania è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.330 giorni (3,64 anni) ad una distanza compresa tra le 2,06 e le 2,67 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.614 km al perielio e 399.426.315 km all’afelio).

Deve il suo nome a Urania una delle nove muse nella mitologia Greca, protettrice dell’astronomia e della poesia.

Scoperto da John Russel Hind il 22 luglio 1854, questo grande asteroide di dimensioni paragonabili a (27) Euterpe (circa 88 km di diametro) sarà in opposizione il 28 di Novembre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.7.

Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (30) Urania trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

 

SUPERNOVAE: aggiornamenti Novembre 2022

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Apriamo la rubrica con la bella notizia di una scoperta italiana, che mancava ormai da diversi mesi!

A metterla a segno è stato ancora una volta l’astrofilo romagnolo Mirco Villi grazie alla collaborazione con i professionisti americani del CRTS Catalina.

La scoperta della AT2022xod in UGC4958 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri

Nella notte del 14 ottobre, analizzando un’immagine realizzata con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona, ha individuato una debole stella nuova di mag.+19,7 nella galassia a spirale barrata UGC4958 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 370 milioni di anni luce di distanza.

Al momento in cui scriviamo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022xod.

UGC4958 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta, la SN2013gg scoperta il 5 novembre 2013 dagli astrofili cinesi Zhangwei Jin e Xing Gao, di tipo IIP.

La notizia però che ci lascia veramente a bocca aperta, arriva ancora una volta dal paese del Sol Levante. L’incredibile extraterrestre, oramai non sappiamo più come definirlo, Koichi Itagaki elude la rete di controlli dei programmi professionali e realizza una stupenda doppietta nel giro di soli quattro giorni. La prima è stata realizzata nella notte, prima dell’alba, del 13 ottobre individuando una stella di mag.+17 nella bella galassia a spirale NGC3938, posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 37 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 15 ottobre gli astronomi giapponesi dell’Okayama Observatory con il telescopio Seimei da 3,8 metri hanno ripreso lo spettro di conferma.

SN2022xlp in NGC3938 ottenuta dall’astrofilo giapponese Toshihide Noguchi con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 230mm F.10 + CCD KAF261E

La SN2022xlp, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Iax. Si tratta infatti di un tipo peculiare e raro di supernovae, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette di una normale Ia ed associate a popolazione stellare giovane. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale. NGC3938 ha visto esplodere al suo interno altre quattro supernovae conosciute: la SN1961U scoperta dall’astronomo svizzero Paul Wild di tipo II, la SN1964L scoperta sempre da Paul Wild di tipo Ic, la SN2005ay scoperta dall’astrofilo americano Doug Rich di tipo II ed infine la SN2017ein scoperta dall’astrofilo inglese Ron Arbour di tipo Ic.

NGC3938 è una stupenda galassia a spirale vista di faccia che poteva far parte a pieno titolo del catalogo di Messier. Molto probabilmente l’astronomo francese passò sopra questa galassia, ma il suo strumento gli permise di vedere solo il luminoso nucleo centrale scambiandolo per una semplice stella e non il meraviglioso vortice dei suoi bracci.

Peccato che NGC3938 è uscita il 21 settembre dalla congiunzione con il Sole e pertanto è visibile nelle ultime ore della notte. A fine ottobre bisognerà attendere fino alle ore 3,00 per averla ad un’altezza di almeno 30° sopra l’orizzonte. La supernova è comunque leggermente aumentata di luminosità ed ha raggiunto la mag.+15 intorno al 20 ottobre. Si tratta pertanto di uno stupendo soggetto da fotografare con la presenza di una supernova luminosa e molto particolare.

3) Stupenda immagine della galassia NGC3938 ottenuta nel febbraio 2011 dall’astronomo statunitense Adam Block al Mount Lemmon SkyCenter con il Schulman Telescope da 80cm + CCD SBIG STX ed esposizione LRGB=270-80-80-80 minuti.
E NON FINISCE QUI!

La seconda scoperta del veterano giapponese è stata invece realizzata nella notte del 17 ottobre, ma sempre prima dell’alba. Koichi Itagaki ha individuato una stella di mag.+15,5 nella galassia a spirale barrata NGC3705 posta nella costellazione del Leone a circa 50 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta la galassia era immersa nei primi bagliori dell’alba.

NGC3705 è infatti uscita dalla congiunzione con il Sole il 15 settembre ed ha una declinazione molto più bassa rispetto a NGC3938 e pertanto per averla ad un altezza di almeno 30° sopra l’orizzonte bisognerà attendere fino alle ore 5,00. La ciliegina sulla torta è arrivata dalla classificazione che è stata realizzata in condizioni a dir poco proibitive dal nostro Claudio Balcon la notte del 19 ottobre, poco prima dell’alba. Questa è perciò una supernova scoperta e classificata tutta a livello amatoriale, ad oggi ne conosciamo almeno otto e nelle ultime sei c’è il marchio dell’astrofilo bellunese.

Immagine della SN2022xxf in NGC3705 ottenuta dall’astrofilo giapponese Yuuji Ohshima

La SN2022xxf, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova peculiare di tipo Ic-BL scoperta pochi giorni prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano all’impressionante velocità di oltre 20.000 km/s.

Le supernovae di tipo Ic-BL (Broad-Lined) rispetto alle normali Ic sono più luminose ed hanno una velocità di espansione molto più elevata raggiungendo anche i 30.000 km/s un decimo della velocità della luce. Le supernovae Ic-BL sono le uniche associate alle sorgenti di raggi gamma molto intensi GRB.

Non tutte le supernovae Ic-BL però mostrano i GRB solo perché questi vengono emessi esclusivamente sull’asse di rotazione della stella e quindi la loro visibilità dipende dall’orientamento dell’asse verso di noi. Anche gli astronomi giapponesi del Higashi -Hiroshima Observatory con il telescopio Nakata da 1,5 metri hanno ripreso lo spettro di questa supernova confermando la classificazione fatta da Claudio Balcon.

Elaborazione dello spettro della SN2022xxf ottenuto da Claudio Balcon con telescopio Newton da 200mm F.5 + spettroscopio autocostruito ed esposizione di 15 minuti. Confronto tramite il programma Astrodash che trova la giusta comparazione con la SN1997ef di tipo Ic-BL 5 giorni prima del massimo di luminosità

Dal New Messico (USA) gli astronomi americani hanno puntato questa interessante  supernova con il radio telescopio Karl G. Jansky Very Large Array VLA, rilevando un emissione radio in una posizione compatibile con la supernova. A dimostrazione di quanto sia interessante la SN2022xxf, anche il telescopio spaziale SWIFT indirizzerà il suo occhio per una campagna osservativa di dieci giorni a partire dal 30 ottobre. Intanto la luminosità della supernova è leggermente aumentata intorno alla mag.+15 e la galassia NGC3705 si sta sempre più allontanando dal Sole migliorando le sue condizioni osservative, ma non sarà comunque uno stupendo oggetto da fotografare, se paragonato alla maggiore fotogenicità della precedente galassia NGC3938.

Con questa doppietta di supernovae pecuniari e molto interessanti l’astrofilo giapponese raggiunge quota 171 scoperte consolidando la sua terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale, con 6 supernovae scoperte nel 2022!

E C’È CHI LO BATTE…

Sembrerà incredibile ma a livello amatoriale nel 2022 c’è chi ha fatto meglio di lui.

Stiamo parlando dei cinesi del programma XOSS capitanati dall’astrofilo Xing Gao che in questo 2022 hanno raggiunto quota 10 supernovae. Si tratta di eventi poco appariscenti perché deboli come magnitudine e posizionati principalmente in galassie anonime.

Chiudiamo la rubrica prendendo in esame la loro ultima scoperta avvenuta la notte del 22 ottobre, individuando una stella nuova di mag.+17,7 nella piccola galassia PGC6266216 posta nella costellazione di Pegaso. Lo spettro di conferma, che ha permesso di assegnare alla supernova la sigla definitiva SN2022yjl, è stato ripreso nella notte del 23 ottobre dagli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il Lijiang Telescope da 2,4 metri.

Si tratta di una giovane supernova di tipo II con una magnitudine assoluta di -20 e quindi potremmo essere davanti ad un evento luminoso o addirittura super-luminoso. Come sappiamo le supernovae più luminose sono le tipo Ia con una magnitudine assoluta di -19. Le supernovae di tipo II sono di solito un paio di magnitudini più deboli posizionandosi intorno alla magnitudine assoluta di -17.

Esistono però dei casi molto rari di supernovae di tipo II super-luminose che hanno raggiunto anche l’impressionate magnitudine assoluta di -22, dei veri e propri mostri di potenza. Gli astronomi cinesi grazie al loro spettro hanno ottenuto un redshift di 0,08 che corrisponde alla notevole distanza di circa un miliardo di anni luce di distanza. Questo è un chiaro esempio di una supernova che diventa più luminosa dell’intera galassia che la ospita.

SN2022yjl in PGC6266216 ottenuta da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 200mm F.5 + CCD ATIK428ex ed esposizione 3×180 secondi

Nella foto di Claudio Balcon infatti la galassia è praticamente invisibile perché sovrastata dalla forte luminosità della supernova, che comunque è non riuscita a superare la mag.+17 a causa dell’enorme distanza della galassia ospite.

 

 

Previsioni attività solare – Novembre 2022

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Continua ancora la fase di crescita del ciclo solare 25, che anche nel mese di Ottobre ci ha regalato un’attività molto varia ed interessante!

Per quanto riguarda le previsioni per il ciclo 25, non essendoci novità particolari ci limitiamo a riportare il grafico con i dati aggiornati allo scorso mese (con la curva di previsione invariata) che si può ottenere dal sito a cura dei fisici solari Lisa Uptone e David Hathaway: http://solarcyclescience.com/forecasts.html

IL REPORT DI OTTOBRE 2022

Veniamo ora a discutere gli aspetti salienti dell’attività solare del mese in corso (Ottobre 2022).

Come di consueto vediamo innanzitutto l’evoluzione generale delle macchie solari, riportata nell’animazione prodotta sulla base di immagini a banda larga del satellite Solar Dynamics Observatory della NASA.

credits: NASA/SDO and the AIA, EVE, and HMI science teams

Nella prima metà del mese abbiamo assistito ad una intensa attività nell’emisfero Nord, con una sfilata di regioni attive a partire dalla 3110 fino alla 3112, che insieme alla regione 3116 ha costituito una sorta di macroregione attiva dalla struttura complessa ed articolata.

A questa coppia di regioni attive si è poi aggiunta la 3119, che è stata l’ultima a scomparire dietro il limbo occidentale il giorno 16 Ottobre.

Si sono poi avuti alcuni giorni privi di strutture di dimensioni significative, finché il 24 Ottobre è comparsa dal limbo orientale la coppia di regioni attive 3131 e 3133, che sono ancora visibili tuttora nell’emisfero Nord.

Passiamo ora ai fenomeni energetici come i brillamenti solari

Anche in questo caso la prima metà del mese di Ottobre ha mostrato l’attività più intensa, come evidenziato dal grafico con il flusso dei raggi X durante l’intero mese misurato dai satelliti GOES (figura prodotta utilizzando il sito https://www.polarlicht-vorhersage.de/goes-archive).

Nei primi giorni del mese si è osservata una sequenza piuttosto ravvicinata di brillamenti rapidi, di cui uno di classe X originatosi il giorno 2 Ottobre dalla regione attiva 3110.

Sì è poi passati ad una serie di brillamenti più sporadici ma di durata maggiore, come quello che si è prodotto il 13 Ottobre dalla regione attiva 3119 e catturato nella sua fase esplosiva in questa ripresa in idrogeno alfa con telescopio solare Solar Scout 60.

Nell’immagine qui sopra si può osservare il brillamento come una struttura molto luminosa che scaturisce da una macchia solare e termina in una contigua. Si tratta essenzialmente di una scarica di particelle cariche che segue un percorso dalla caratteristica forma a “nodo” (kink in inglese) dovuta all’instabilità magnetoidrodinamica del canale di corrente stesso.

LA PERLA DEL MESE: L’ECLISSE PARZIALE!
credit: Daniele Bonfiglio

Infine non possiamo non menzionare l’eclisse parziale di Sole avvenuta pochi giorni fa, il 25 Ottobre con fase massima alle 12:20 ora italiana. Come sempre è stato un fenomeno molto suggestivo da osservare e fotografare.

Vi proponiamo qui un’immagine in idrogeno alfa della fase finale dell’eclisse fatta da Padova dopo che finalmente le nuvole si erano diradate per permettere di godersi lo spettacolo.

Le Comete di Novembre 2022

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C/2022 E3 ZTF

Tutti in fermento per la C/2022 E3 ZTF!

Novembre sarà ancora un mese di transizione per gli amanti delle comete, in attesa dell’inverno e di osservazioni che si preannunciano molto interessanti se non entusiasmanti.

Per il momento continuiamo a seguire l’avvicinamento della C/2022 E3 ZTF, l’astro chiomato che tutti attendiamo al varco nei primi mesi del 2023 quando potrebbe raggiungere la visibilità ad occhio nudo.

Si muoverà nella porzione settentrionale del Serpente scendendo nel corso del mese al di sotto della decima magnitudine.

A inizio novembre sarà meglio osservabile non appena fa buio (ma sempre più bassa sull’orizzonte), mentre negli ultimi giorni del mese la troveremo più alta in cielo poco prima del termine della notte astronomica.

La cartina riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF in novembre alle 18.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 11

C/2020 V2 ZTF

Doppia cometa per questo mese!

Altra scoperta del ZTF (Zwicky Transient Facility), avvenuta nel novembre del 2020.

Non può competere con la sorella di cui abbiamo parlato sopra, dato che non sembra poter andare oltre la nona magnitudine, ma la posizione favorevole in cielo (sarà addirittura circumpolare!) oltre alla luminosità comunque discreta ne consigliano l’osservazione.

Ci farà compagnia per parecchi mesi e in novembre dovrebbe scendere al di sotto della decima magnitudine, muovendosi per quasi tutto il periodo all’interno dell’Orsa Maggiore (solo a fine periodo valicherà i confini del Drago).

Pur osservabile appena fa buio e poi per tutta la notte la troveremo più alta in cielo al termine della notte astronomica. Nei primi giorni del mese transiterà molto vicina a Dubhe, la stella alfa dell’Orsa Maggiore.

La cartina riporta la posizione della C/2020V2 ZTFin novembre alle 5.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 11

Transiti notevoli ISS per il mese di Novembre 2022

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A Novembre la ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molteplici transiti notevoli con magnitudini elevate durante quest’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni!
5 Novembre

Si inizierà il giorno 5 Novembre, dalle 05:55 alle 06:04, osservando da NO ad ESE. La ISS sarà ben visibile da tutto il Paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.7.

6 Novembre

Si replica il giorno 6 Novembre, dalle 05:09 verso NNO alle 05:15 verso ESE, visibilità migliore dal Nord Est Italia. Osservabile senza problemi, meteo permettendo. Magnitudine di picco a -3.1.

8 Novembre

Passiamo al 8 Novembre, dalle 05:10 in direzione SO alle 05:15 in direzione SE. Questo sarà un transito osservabile al meglio da tutta la nazione, anche se parziale, con una magnitudine massima di -3.8 appena la ISS uscirà dall’ombra della Terra.

18 Novembre

Saltando di una decina di giorni, il 18 Novembre, dalle 18:29 verso SO alle 18:35 verso S, con magnitudine di picco a -3.8. Visibilità migliore da tutto il Paese, con la ISS che raggiungerà la magnitudine massima poco prima di entrare nell’ombra della Terra.

19 Novembre

Il giorno dopo, il 19 Novembre, dalle 17:41 alle 17:48, da SO ad ENE. Magnitudine massima a -3.7 con visibilità migliore da tutto il Sud Italia, sperando nel meteo favorevole. Osservata dal Centro, la ISS transiterà vicino a Saturno e Giove durante il suo tragitto nel cielo.

20 Novembre

Il penultimo transito del mese, il 20 Novembre, sarà visibile al meglio dal Nord Italia, dalle 18:28 verso OSO alle 18:34 verso N. Magnitudine di picco a -3.2.

21 Novembre

L’ultimo transito notevole, visibile al meglio da tutta Italia, e osservabile quasi da orizzonte ad orizzonte, avverrà il 21 Novembre. Dalle 17:40 alle 17:48, da OSO a NE, magnitudine di picco a -3.6.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

Luna di Novembre 2022

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Approfittiamo delle lunghe notti autunnali per goderci l’osservazione del nostro bellissimo satellite. Tutto ciò che devi sapere sulla Luna di Novembre!

Come già anticipato in precedenza, il mese di Novembre si apre con la Luna che il giorno 1 alle ore 07:37 sarà in Primo Quarto in fase di 6,8 giorni, ma a ben -65° sotto l’orizzonte. Mentre per chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere le 17:30 circa della medesima serata del primo Novembre col nostro satellite ad un’altezza iniziale di +23° visibile fin verso le 23:30 quando scenderà sotto l’orizzonte.

La fase di Luna crescente avrà il suo capolinea alle ore 12:02 del 08 Novembre col nostro satellite in Plenilunio quando si troverà a -31,5° sotto l’orizzonte. Anche in questo caso ancora poche ore e alle 16:56 sorgerà una bella Luna Piena in fase di 14,2 giorni alla distanza di 391.487 km dalla Terra e con diametro apparente di +30,52’ perfettamente a nostra disposizione e visibile fino all’alba del mattino seguente quando tramonterà contestualmente al sorgere del Sole.

La nuova fase di Luna Calante porterà il nostro satellite sempre più lontano dalle comode ore tardo pomeridiane e serali relegandone progressivamente l’osservazione telescopica alle ore notturne.

Alle ore 14:27 del 16 Novembre sarà in Ultimo Quarto mentre si troverà a -10° sotto l’orizzonte (essendo tramontata alle ore 13:31) pertanto per osservarne le sempre interessanti formazioni geologiche della sua superficie si renderà necessario organizzarsi per la nottata precedente oppure quella seguente.

Falci di Luna sempre più sottili ci condurranno al Novilunio previsto per le ore 23:57 del 23 Novembre. In questo caso le nuove falci lunari di sera in sera consentiranno di osservarne una superficie illuminata progressivamente sempre più ampia fino all’ultima serata di questo mese quando alle ore 15:36 del giorno 30 il nostro satellite si troverà per la seconda volta in Primo Quarto in questo Novembre.

Nel caso specifico dalle ore 17:30 circa si renderà visibile fino intorno alla mezzanotte quando andrà a tramontare.

Si tratterà pertanto di un mese racchiuso fra due fasi di Primo Quarto, due periodi in cui il nostro satellite si renderà visibile nelle migliori condizioni osservative considerando inoltre che in entrambi i casi i punti di massima Librazione si troveranno in prossimità del settore nordest interessando il bordo lunare presso i crateri Cusanus e Petermann (01 Novembre) e l’area intorno al mare Humboldtianum il 30 Novembre.

Le occasioni per dettagliate osservazioni del nostro satellite non mancheranno certamente come d’altra parte anche in tutti gli altri mesi dell’anno, e se il meteo e il seeing saranno clementi (….ma non troppo, perché Novembre deve comunque rispettare il calendario!), ci sarà da divertirsi.

Le Falci lunari di Novembre

Appuntamento per chi osserva le falci di Luna per il 21 Novembre con una falce di 26,7 giorni che sorgerà alle ore 04:01 fra le stelle della Vergine.

Come già visto in analoghe fasi lunari, sulla superficie illuminata sarà possibile distinguere nettamente la scura colorazione dei basalti di Procellarum nel settore nordovest in contrapposizione con le più chiare rocce anortositiche degli altipiani del settore sudovest.

**Ma nella medesima nottata del 21 il punto di massima Librazione coinciderà proprio con l’area del Mare Orientale scorrendo da sud verso nord fra il sorgere della Luna (ore 04:01) e le prime luci dell’alba. Si tratterà pertanto di una importante occasione per andare a “curiosare oltre il bordo lunare” su questo gigantesco bacino da impatto con i suoi spettacolari anelli montuosi concentrici, meteo e seeing permettendo.**

La notte successiva, il 22 Novembre, una falce di 27,7 giorni sorgerà alle ore 05:12 sulla cui superficie ci sarà ben poco da vedere tranne scattare alcune foto. Per quanto riguarda la fase di Luna Crescente appuntamento per il tardo pomeriggio del 25 Novembre con una falce di 1,74 giorni che alle ore 17:49 scenderà sotto l’orizzonte, ma anche in questo caso ben pochi dettagli si potranno osservare sulla sua superficie.

Infine il 26 Novembre alle ore 18:52 tramonterà una più larga falce di 2,79 giorni. A differenza delle precedenti, in questo caso le opportunità per effettuare dettagliate osservazioni delle innumerevoli strutture geologiche individuabili sulla superficie illuminata di questa falce saranno già notevoli. Infatti si va dall’area del cratere Endymion e mare Humboldtianum a nordest fino al vasto mare Crisium con i vari piccoli mari presenti nella sua zona per finire con le consuete grandi e spettacolari strutture crateriformi situate lungo il margine est del mare Fecounditatis. Senza dimenticare le cuspidi nord e sud. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

Librazioni di Novembre

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini)

Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Nordest-Est:

  • 01 Novembre. Fase 07,49 giorni – Massima Librazione crateri Petermann, Cusanus
  • 02 Novembre. Fase 08,51 giorni – Massima Librazione nord cratere Hayn
  • 03 Novembre. Fase 09,36 giorni – Massima Librazione mare Humboldtianum
  • 04 Novembre. Fase 10,39 giorni – Massima Librazione est cratere Endymion
  • 05 Novembre. Fase 11,42 giorni – Massima Librazione cratere Gauss
  • 06 Novembre. Fase 12,45 giorni – Massima Librazione est cratere Cleomedes
  • 07 Novembre. Fase 13,49 giorni – Massima Librazione est mare Marginis

Librazioni Regione Sud-Sudovest:

  • 14 Novembre. Fase 20,41 giorni – Massima Librazione sud cratere Klaproth
  • 15 Novembre. Fase 20,73 giorni – Massima Librazione sud cratere Bailly
  • 16 Novembre. Fase 22,49 giorni – Massima Librazione crateri Hausen, Pingre
  • 17 Novembre. Fase 22,79 giorni – Massima Librazione ovest cratere Pingre
  • 18 Novembre. Fase 23,54 giorni – Massima Librazione ovest cratere Pingre

Librazioni Regione Ovest:

  • 19 Novembre. Fase 24,58 giorni – Massima Librazione ovest cratere Schickard
  • 20 Novembre. Fase 25,63 giorni – Massima Librazione ovest cratere Piazzi
  • 21 Novembre. Fase 26,68 giorni – Massima Librazione mare Orientale
  • 22 Novembre. Fase 27,72 giorni – Massima Librazione ovest cratere Schluter

Librazioni Regione Polare Nord-Nordest:

  • 27 Novembre. Fase 03,89 giorni – Massima Librazione nord-nordest cratere Baillaud
  • 28 Novembre. Fase 04,89 giorni – Massima Librazione est crateri Petermann, Cusanus
  • 29 Novembre. Fase 05,95 giorni – Massima Librazione cratere Bel’Kovich
  • 30 Novembre. Fase 07,00 giorni – Massima Librazione mare Humboldtianum

Note:

Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

–  Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.

Immagine “Mare Orientale” di F. Badalotti.

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp

 

Primi Scatti Eclissi 25 Ottobre

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Immagine di Samuele Pinna versione con e senza saturazione colori realizzato da Serramanna in Sardegna con Canon 6D a fuoco diretto di un quadrupletto Tecnosky 65 e filtro solare. ISO 200 Scatto 1/800 ss.

L’eclissi parziale di Sole è stata condizionata da zone ampiamente coperte da novolosità, un meteo che seppur non minaccioso, ha di fatto compromesso l’accesso all’eclissi da molte località italiane. Tuttavia alcuni astrofili appassionati e dobbiamo dirlo, anche molto preparati, sono riusciti nell’impresa. Ecco i primi scatti:

In copertina:

Versione con e senza saturazione colori, realizzate da Serramanna in Sardegna con Canon 6D a fuoco diretto di un quadrupletto Tecnosky 65 e filtro solare. ISO 200 Scatto 1/800 ss Credit: Samuele Pinna.

Immagine di Salvo Lauricella, ripresa da Siracusa realizzato con TS 80 ED f/7, Lunt B1200 Ca-K module, ZWO ASI183MM

 

Eclissi di Sole Ore 12,36 Tecnosky 65/420 1/1250 sec 200 ISO Canon 6D filtro Astrosolar Autore Anna Maria Catalano Scordia (CT)

 

Rifrattore APO 102/800 e reflex APSC. Ribaltate, dx sx. Filtro usato: prisma di Herschel autocostruito di Cristian Fattinnanzi

Pubblicheremo altre immagini man mano che arriveranno in redazione.

Le migliori immagini ricevute e caricate su PhotoCoelum saranno pubblicate su Coelum Astronomia di dicembre/gennaio.

 

Le Costellazioni di Novembre 2022

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Entrati ormai nel vivo dell’autunno, il cielo di novembre ci offre un ampio panorama sulle costellazioni che osserveremo fino all’inverno prossimo!

Le giornate sono sempre meno luminose e ciò favorisce la possibilità di poter ammirare gli oggetti celesti per molto più tempo.

Già dopo il tramonto sarà possibile scorgere le costellazioni più luminose e interessanti del periodo: da Est e Sud-Est daremo il benvenuto a Toro, Gemelli, Orione, Cane Maggiore con Sirio e Auriga con Capella. Tali costellazioni, assieme ai loro astri, saranno i protagonisti dei mesi a seguire.

Nel cielo di novembre, in prossimità dello Zenit, brilla ancora la costellazione di Pegaso, mentre spostando lo sguardo verso Nord-Est troveremo le costellazioni di Perseo, Cassiopea, Cefeo, Andromeda e il Triangolo.

ANDROMEDA NEL CIELO DI NOVEMBRE

Tra le costellazioni che transitano al meridiano nel mese di novembre c’è Andromeda: l’oggetto si trova nelle vicinanze di Pegaso, con il quale condivide la stella Sirrah (α Andromeda o anche δ Pegasi) astro che costituisce il lato superiore dell’asterismo del Quadrato (vedi articolo costellazioni di ottobre).

La costellazione di Andromeda lambisce quasi la scia settentrionale della Via Lattea, estendendosi a Nord e ad Est dell’asterismo.

ANDROMEDA: TRA STELLE DOPPIE E LA REGINA DELLE GALASSIE

Oltre ad ospitare un buon numero di stelle doppie come π Andromedae, una coppia risolvibile già con un binocolo e sistemi multipli come μ Andromedae, è innegabile che la fama della costellazione è dovuta principalmente all’oggetto del profondo cielo che essa ospita: M31, la Galassia di Andromeda.

M31 Galassia di Andromeda (credit Arcangelo Di Palo)

Amata da astrofotografi, astrofili, appassionati, tutti conoscono l’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo.

M31 è uno degli oggetti del profondo cielo più paparazzati dagli astrofotografi, poiché si rivela all’obiettivo senza bisogno di sofisticate strumentazioni. Per ottenere immagini più nitide e dettagliate è chiaro che bisogna affidarsi a telescopi e camere astronomiche, oltre che a diverse fasi di elaborazione e post produzione.

Per questa ed altre bellissime immagini di M31, visita la sezione PHOTO COELUM

Posta a oltre 2 milioni di anni luce, M31 è una galassia a spirale, la più vicina alla nostra Via Lattea e sorprendentemente visibile ad occhio nudo da luoghi idonei all’osservazione del cielo notturno.

Partendo dalla costellazione omonima, possiamo individuare la galassia in direzione Nord-Est/Sud-Ovest, nei pressi di Perseo e Pegaso: va ribadito che è necessario avere a disposizione un cielo privo di inquinamento luminoso e di elementi di disturbo affinché M31 sia visibile ad occhio nudo.

Scopri il ricco dossier dedicato al preoccupante aumento esponenziale dell’Inquinamento luminoso pubblicato sull’ultimo numero di Coelum

La Galassia di Andromeda apparirà come un batuffolo luminoso leggermente allungato sui lati, mentre con un binocolo esso si rivelerà più nitido, con la possibilità di individuare anche la galassia satellite M32.

La costellazione di Andromeda ospita anche l’interessante ammasso aperto NGC 752, posto verso il confine col Triangolo e che si mostra ben visibile con l’ausilio di un binocolo. Nei luoghi caratterizzati da un cielo particolarmente nitido l’ammasso è percepibile anche a occhio nudo.

ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA
credit www.atlascoelestis.com

Figlia dei sovrani di Etiopia Cefeo e Cassiopea, Andromeda era una fanciulla bellissima che per un soffio non pagò con la propria vita la superbia di sua madre.

Cassiopea, infatti, osò vantarsi di definire lei e sua figlia molto più belle delle Nereidi, ninfe marine che componevano il corteo del dio Poseidone. Il dio del mare colse tale affermazione come un’offesa e quindi inviò il mostro marino Cetus (la costellazione della Balena) a distruggere le navi commerciali del regno dei sovrani Etiopi.

Ma neanche questo bastò a placare l’ira nefasta di Poseidone e Cefeo, dopo aver consultato l’oracolo, fu costretto a incatenare la giovane e innocente figlia Andromeda sul costone di roccia affinché espiasse con la propria vita le colpe di sua madre.

Fu Perseo a capovolgere le sorti della fanciulla servendosi del cavallo alato Pegaso, sottraendo Andromeda dalle grinfie del mostro marino e restituendole la libertà. La fanciulla ritrovò anche la felicità convolando a nozze proprio con il suo eroe.

Quando la giovane Andromeda morì, la dea Atena la tramutò in stelle, collocandola in cielo come costellazione proprio accanto Perseo.

LA COSTELLAZIONE DEL TRIANGOLO

Tra gli oggetti osservabili nel mese di novembre troviamo anche la piccola costellazione del Triangolo.

Posto poco più a Sud delle costellazioni di Andromeda e Perseo, il Triangolo è un oggetto facilmente identificabile nonostante la sua ridotta estensione e la carenza di stelle particolarmente brillanti: la sua forma infatti è riconoscibile per via della vicinanza tra loro degli astri che la compongono.

La stella alfa della costellazione è alfa Trianguli, una binaria che, nonostante sia classificata come stella principale del Triangolo, è in realtà la seconda più luminosa di questa costellazione dopo beta Trianguli, mentre il terzo vertice è composto dalla stella gamma Trianguli.

M33: LA GALASSIA NELLA COSTELLAZIONE
M33 Galassia del Triangolo di Alfonso Gregorini

La costellazione ospita uno degli oggetti più conosciuti del profondo cielo: M33 o Galassia del Triangolo.

Si tratta di una galassia a spirale, la seconda più vicina alla Via Lattea dopo quella di Andromeda, che può essere individuata già con un binocolo da posti privi di qualsiasi tipo di disturbo luminoso.

Altri oggetti del profondo cielo di cui tentare l’osservazione anche con attrezzature amatoriali sono le galassie barrate NGC 672 e NGC 925.

IL TRIANGOLO NELLA MITOLOGIA

Per i greci la costellazione del Triangolo rappresentava la lettera Delta, mentre gli egizi lo identificavano come il delta del fiume Nilo; secondo lo scrittore latino Igino il Triangolo rappresentava la Sicilia (Trinacria), l’isola sacra a Cerere e dove si ritenga risalga il ratto di Persefone e la sua discesa agli inferi.

La costellazione trova anche riferimenti alle antiche tradizioni marinare e, sempre secondo Igino, il Triangolo rappresentava una sorta di segnale posto sulla via celeste e utile a Mercurio per individuare la costellazione dell’Ariete.

 

 

𝙡𝙖 𝙑𝙞𝙨𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙎𝙩𝙧𝙖𝙤𝙧𝙙𝙞𝙣𝙖𝙧𝙞𝙖 – i Pilastri della Creazione JWST

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😍 𝙡𝙖 𝙑𝙞𝙨𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙎𝙩𝙧𝙖𝙤𝙧𝙙𝙞𝙣𝙖𝙧𝙞𝙖 😍elaborazione a cura di Giuseppe Conzo
 
I 𝑃𝑖𝑙𝑎𝑠𝑡𝑟𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝐶𝑟𝑒𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 hanno lasciato tutti senza parole! Ma cosa succede se sapientemente si interpolano le immagini raccolte dall’Hubble Space Telescope prima e del James Webb Space Telescope dopo? Nell’immagine di Giuseppe Conzo sono sovrapposte una visione realizzata nel vicino infrarosso con la NirCam del James Webb Telescope con quella in Hubble Palette realizzata appunto da Hubble.
 
𝗖𝗼𝗺𝗽𝗹𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗚𝗶𝘂𝘀𝗲𝗽𝗽𝗲! 🏅
 
Crediti sono NASA, ESA Hubble Heritage Team (STScI/AURA) and CSA, STScI; Joseph DePasquale (STScI), Anton M. Koekemoer (STScI), Alyssa Pagan (STScI).

Coelum sceglie InfoClip per Carta Docente – PA – Bonus 18APP

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Coelum sceglie InfoClip per Carta Docente – PA – Bonus 18APP

A partire dal mese di ottobre per le Pubbliche Amministrazioni e il mondo Scuola, Coelum Astronomia ha scelto il partner InfoCLip.

Attraverso il sito Infoclip è possibile acquistare l’abbonamento cartaceo annuale cartaceo a Coelum Astronomia ad un prezzo vantaggioso ed utilizzando:

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Per info sul servizio visitate l’apposita sezione riservata a Coelum Astronomia su InfoClip.

Editoriale Coelum – 258

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“Il cielo stellato interessa solo a quelli che stanno tutta la notte a guardare in quei cosi” forse è questa l’idea generalmente diffusa? Che il Cielo Stellato sia solo “affar” di astrofili ed astrofile? Attraverso le parole degli autori è proprio un simil luogo comune che vogliamo sviscerare dimostrando che, vuoi per motivi di salute, vuoi per motivi di estetica, vuoi per motivi di sicurezza e perché no, vuoi per motivi di risparmio energico, la risposta alla domanda è No! La conservazione del patrimonio stellato, come la stessa UNESCO l’ha dichiarato, non è una responsabilità di un ristretto gruppo di appassionati e nostalgici sognatori ma è invece un dovere di tutti. Se si parla di sostenibilità per preservare l’ambiente, il “colore” del nostro cielo di notte deve diventare la spia di allarme e il gradiente un termometro per misurare il livello di sostenibilità di ogni comunità.

Qualsiasi contesto abitativo ha le proprie esigenze, le aree urbane, i paesi, le comunità isolate, le località al mare quelle turistiche, ognuna deve adoperarsi per mettere in pratica le buone prassi necessarie a creare il giusto connubio fra le richieste sociali e le necessità  ambientali, non esiste quindi un vademecum assoluto applicabile ad ogni situazione. Esistono delle linee guida dettate dal buon senso ma anche da evidenze tecniche e ancor meglio da leggi ben specifiche che devono essere rispettate e che tutti dovrebbero conoscere, così come tutti (o così speriamo sia) hanno una certa familiarità ad esempio con il codice della strada.  

Gli autori offrono spunti e informazioni, avvolte curiosità che i lettori possono assorbire e riproporre a conoscenti amici familiari in un passaparola di sensibilizzazione che è senz’altro l’unica vera chiave di successo se si vuole imporre un’inversione di marcia alla progressiva perdita di cielo stellato.

Quindi signore e signori c’è da rimboccarsi le maniche e vogliamo lasciarci fino al prossimo appuntamento con un nota positiva: l’Astronomia, quella di ricerca e di scoperta, in Italia si può ancora fare e nel prossimo numero scopriremo come e chi sono i protagonisti.

Buona lettura.

Coelum Astronomia 258 è disponibile in forma cartacea PRENOTA QUI la tua copia oppure consultalo in digitale SCOPRI COME

 

News da Marte! #4

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Bentornati su Marte! (puntata n°4)

In questo aggiornamento partiamo dall’ultimo volo di Ingenuity, con un “passeggero” inaspettato, e da lì vi racconterò per immagini alcune particolari osservazioni che Perseverance ha svolto negli scorsi mesi.

3, 2, 1…decollo

Era il Sol 567 per Mars 2020, 24 settembre sulla Terra. Alle 16:18 locali, dopo un’intera giornata passata a ricaricare le proprie batterie, Ingenuity ha energia sufficiente e decolla per il suo 33esimo volo. Lo spostamento è di routine e, similmente agli ultimi due già compiuti, prevede di coprire una distanza di 111 metri in circa 55 secondi.
Poche ore dopo vengono trasmessi a Terra come di consueto gli ultimi 5 frame relativi all’atterraggio, per confermare la riuscita del volo, e qualche giorno dopo buona parte degli altri fotogrammi della camera di navigazione è resa disponibile.

Il volo sembra partire come di consueto, ma a pochi istanti dal decollo si capisce subito che c’è qualcosa di strano.

Un oggetto non identificato resta impigliato a una delle gambe dell’elicottero, rimanendo a sbandierare per qualche secondo soffiato dall’intenso flusso d’aria delle eliche. L’oggetto si stacca solo nel momento in cui Ingenuity si inclina leggermente per iniziare lo spostamento verso ovest (la parte superiore della telecamera è rivolta verso sud) e precipita al suolo. Sono riuscito a seguirlo per alcuni frame indicandolo nel video con una freccia.

Di cosa si tratta? Non è del tutto chiaro perché queste sono le uniche immagini a disposizione, l’oggetto non era presente durante il precedente volo. Tuttavia il modo in cui si comporta fa pensare che possa trattarsi di un brandello del paracadute che a febbraio dello scorso anno ha svolto una parte importante nell’atterraggio del rover Perseverance.

Fotogramma tratto dalla sequenza di atterraggio di Mars 2020 con inquadratura del colossale paracadute di 21.5 metri di diametro. Le lettere svelano il codice nascosto dal team del JPL nella sequenza di colori che corrisponde al motto del centro di ricerca: “Dare mighty things”. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Questa osservazione da parte di Ingenuity non costituisce la prima volta che, nel corso di Mars 2020, abbiamo testimonianza di frammenti degli stadi di atterraggio sparpagliati in giro per il cratere Jezero.

Possiamo dire che le prime foto a riguardo risalgano addirittura al Sol 0.

Un po’ di “spazzatura” in giro per Marte

Le foto del nostro rover sono iniziate subito “col botto”. Oltre che in senso figurato, il botto è stato anche quello della Skycrane, la maestosa gru dotata di razzi che ha adagiato il rover al suolo prima di mettere al massimo i suoi propulsori e andare a schiantarsi il più lontano possibile.

Qui era il Sol 0, 18 febbraio 2021 e giorno dell’atterraggio! Una delle Hazard Cam posteriori riprende una nuvola di fumo che si alza dietro le rocce. È il luogo dove la Skycrane è atterrata molto poco dolcemente. Crediti: NASA/JPL/Caltech/MSSS

Non è la prima volta che un rover scatta delle foto agli apparati di atterraggio che l’hanno portato su Marte, ma la qualità delle fotocamere di Perseverance fa sì che anche i più piccoli dettagli non sfuggano all’occhio attento del robot e soprattutto dei controllori di missione.

Come visto in apertura di news, gli occhi a disposizione sono anche quelli di Ingenuity. Nel corso del suo volo numero 27 ha sorvolato e fotografato lo stadio EDL (Entry, Descent and Landing) che ha custodito rover ed elicottero durante il viaggio interplanetario e nelle prime concitate fasi dell’ingresso in atmosfera.

 

Lo stadio EDL separato nelle sue macro-componenti.
Doppia visuale da Ingenuity nel corso del volo 27 che ha visto il sorvolo dell’aeroshell e del paracadute. Il video completo è raggiungibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=9htVHoHujAs

Ma ci sono anche elementi decisamente più piccoli e meno vistosi che si stanno facendo vedere in questi mesi, probabilmente trasportati dal vento marziano, e che mostrano una tendenza ad accumularsi a nord delle aree di atterraggio. Gli avvistamenti infatti sono stati frequenti nelle settimane che il rover ha trascorso in queste aree, e sono tutti frammenti dell’EDL!

I primi avvistamenti sono cominciati a inizio giugno, con un piccolo elemento brillante individuato dapprima da grande distanza e poi ripreso più da vicino una settimana più tardi. Le sue caratteristiche superficiali, soprattutto la particolare punteggiatura, non lasciano spazio a dubbi: si tratta dell’isolamento multi-strato a protezione di alcune parti della Skycrane.

Nel Sol 467, 13 giugno, Perseverance riprende questo oggetto brillante poggiato su una roccia. Le dimensioni sono di circa 15 cm. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Passano solo 10 giorni e il rover si trova di fronte un altro frammento di rivestimento termico, stavolta un pezzo di una fibra sintetica chiamata Dacron impiegata comunemente nelle “coperte spaziali”.

Il frammento di rete in Dacron ripreso il 23 giugno. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Tre settimane dopo c’è un altro avvistamento, stavolta di un frammento all’apparenza molto più usurato e di identificazione più incerta. La trama a rete con dimensione 2x2mm fa propendere per l’idea che si tratti di un altro pezzo di Dacron. Il team di imaging non fa in tempo a riprenderlo in dettaglio con lo zoom della MastCam-Z perché purtroppo qualche soffio di vento lo sposta prima che ci sia il tempo di scattare delle foto in alta risoluzione.

Foto del 12 e del 15 luglio, che mostrano il piccolo frammento di fibra sparire dalla visuale del rover. Crediti: NASA/JPL-Caltech

All’inizio del mese di agosto, pochi Sol dopo la raccolta del 12esimo campione, nuove immagini fanno preoccupare i tecnici della NASA. Come da procedure, tutta la raccolta del campione è stata documentata con delle serie di foto, e c’è stato qualcosa che ha spinto la squadra del JPL a richiedere al rover dei set aggiuntivi di foto.

Le immagini arrivano a Terra il 5 agosto, e si scopre che ci sono due intrusi negli apparati di Perseverance.

Si tratta di due detriti, probabilmente delle fibre, di cui il primo si trova sulla punta di foratura e il secondo all’interno del carousel, la struttura rotante dove il rover ripone le punte del suo trapano.

Foto del 4 agosto scattata dalla camera WATSON (il basso è a sinistra). La piccola fibra sintetica è impigliata al meccanismo centrale. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Le attività di quei giorni hanno richiesto analisi fotografiche molto approfondite, una movimentazione degli apparati coinvolti e l’induzione di vibrazioni per cercare di “scrollarsi” di dosso questi oggetti, che nel frattempo si è chiarito che fossero di origine esterna e non originatisi dai meccanismi del rover. Si è tenuto d’occhio anche il suolo, con le HazCam e le NavCam, per rilevare l’eventuale caduta di queste piccole fibre.

Dopo aver eseguito anche le operazioni di cambio punte senza problemi e aver constatato di essere ancora in presenza di questi cosiddetti FOD (foreign object debris), il team a capo delle operazioni ha valutato che non rappresentavano un disturbo per il rover e si poteva procedere con le attività senza troppe preoccupazioni.

Un’altra foto del 17 agosto mostra che la fibra non aveva ancora intenzione di abbandonare il rover. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Le ultimissime operazioni del rover

Il ritorno al Lago Incantato è avvenuto a inizio settembre, dove Perseverance ha già eseguito nuove analisi oltre che prelevato e sigillato un campione (Shuyak dalla roccia denominata Amalik).

Visuale dell’area battezzata Amalik. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Heller

In questa immagine d’insieme si vede il lavoro delle ultime settimane da parte di Perseverance. Osserviamo un’abrasione fallita e risultata nella frantumazione della roccia (Chiniak) e il secondo tentativo di successo (Novarupta). Sono seguiti i due carotaggi Shuyak e Mageik. Purtroppo solo il primo dei due è risultato in un campione correttamente sigillato.

Per ragioni ancora da chiarire e su cui non abbiamo informazioni specifiche dal team della missione, non è stato possibile chiudere la fiala #073 con il campione Mageik, sebbene il suo prelievo sia avvenuto correttamente come testimoniato dall’immagine qui sotto.

Immagine del campione Mageik ripreso dalla Right MastCam-Z del rover. Sol 579, pochi minuti dopo il prelievo. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Al momento possiamo solo fare speculazioni, e le ipotesi sembrano convergere sul fatto che questo campione risulti eccezionalmente lungo al punto quasi da uscire dal vano ricavato all’interno della punta del trapano.

Sono seguiti alcuni giorni di tribolazioni e analisi fotografiche, finché nel Sol 586 (14 ottobre) si è deciso di rinunciare al prelievo e di sigillare la fiala designata sebbene con un “semplice” campione atmosferico.

Immagine ravvicinata della fiala con numero di serie 073 recentemente sigillata. L’immagine è della CacheCam, Sol 586. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Anche per questo aggiornamento marziano è tutto, appuntamento tra due settimane!

Nuova versione Coelum Digitale

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Il rientro di Samantha Cristoforetti

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Credit: ESA

Cita una nota canzone “che sapore ha la felicità?” non sappiamo, ma il sorriso si!

Così ieri sera (il 14 ottobre 2022 alle 22:55 CEST) è apparsa Samantha Cristoforetti appena recuperata dopo l’ammaraggio del veicolo spaziale Crew Dragon Freedom che ha riportato a terra la missione Minerva.

L’astronauta dell’ESA Samantha Cristoforetti è rientrata sulla Terra insieme agli astronauti della NASA Kjell Lindgren, Bob Hines e Jessica Watkins, ponendo così fine alla sua seconda missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), denominata Minerva.

Samantha e gli altri membri dell’equipaggio, noto come Crew-4, sono tornati a bordo del veicolo spaziale Crew Dragon Freedom, che si è sganciato autonomamente dalla Stazione il 14 ottobre 2022 alle 18:05 CEST. Dopo aver completato una serie di burns da deorbita, Freedom è entrata nell’atmosfera terrestre e, il 14 ottobre 2022 alle 22:55 CEST, ha dispiegato i suoi paracadute per un ammaraggio morbido al largo delle coste della Florida.

I membri della Crew-4 sono partiti alla volta della Stazione Spaziale il 27 aprile 2022 e vi hanno trascorso quasi sei mesi, vivendo e lavorando in orbita come membri dell’Expedition 67 della ISS.

Nell’ambito della sua missione Minerva, Samantha ha sostenuto numerosi esperimenti europei e molti altri esperimenti internazionali in ambiente di microgravità. Ora volerà direttamente a Colonia, in Germania, dove sarà monitorata dal team di medicina spaziale dell’ESA mentre si riadatterà alla gravità terrestre presso il Centro Europeo Addestramento Astronauti (EAC) dell’ESA e la struttura “Envihab” del Centro aerospaziale tedesco (DLR).

Attualmente l’arrivo di Samantha a Colonia è previsto alle 16:00 CEST del 15 ottobre.

The SpaceX Crew Dragon Freedom spacecraft is seen as it lands with NASA astronauts Kjell Lindgren, Robert Hines, Jessica Watkins, and ESA (European Space Agency) astronaut Samantha Cristoforetti aboard in the Atlantic Ocean off the coast of Jacksonville, Florida, Friday, Oct. 14, 2022. Lindgren, Hines, Watkins, and Cristoforetti are returning after 170 days in space as part of Expeditions 67 and 68 aboard the International Space Station. Photo Credit: (NASA/Bill Ingalls)

Hines, Lindgren, Watkins e Cristoforetti hanno viaggiato per 72.168.935 miglia durante la loro missione, hanno trascorso 170 giorni a bordo della stazione spaziale e hanno completato 2.720 orbite attorno alla Terra. Lindgren ha registrato 311 giorni nello spazio sui suoi due voli e, con il completamento del loro volo oggi, Cristoforetti ha registrato 369 giorni nello spazio sui suoi due voli, diventando così la seconda nella lista di tutti i tempi per la maggior parte dei giorni nello spazio di una donna . La missione Crew-4 è stato il primo volo spaziale per Hines e Watkins.

L’equipaggio-4 ha continuato il lavoro sulle indagini che documentano come i miglioramenti alla dieta spaziale influenzino la funzione immunitaria e il microbioma intestinale, determinando l’effetto della temperatura del carburante sull’infiammabilità di un materiale, esplorando i possibili effetti negativi sull’udito degli astronauti dal rumore e dalla microgravità dell’attrezzatura e studiando se gli additivi aumentano o diminuiscono la stabilità delle emulsioni . Gli astronauti hanno anche studiato i cambiamenti indotti dalla microgravità nel sistema immunitario umano simili all’invecchiamento , hanno testato una nuova membrana per il recupero dell’acqua ed hanno esaminato un’alternativa concreta realizzata con un materiale trovato nella polvere lunare e marziana.

Scopri di più sul programma Commercial Crew della NASA su: https://www.nasa.gov/commercialcrew

 

Il veicolo spaziale, chiamato Freedom by Crew-4, tornerà in Florida per l’ispezione e l’elaborazione al Dragon Lair di SpaceX, dove i team esamineranno i dati e le prestazioni del veicolo spaziale durante il volo.

 

Il volo Crew-4 fa parte del Commercial Crew Program della NASA e il suo ritorno sulla Terra segue la scia del lancio SpaceX Crew-5 della NASA, che è attraccato alla stazione il 6 ottobre, dando inizio a un’altra spedizione scientifica.

 

L’obiettivo del Commercial Crew Program della NASA è un trasporto sicuro, affidabile ed economico da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. Ciò ha già fornito ulteriore tempo di ricerca e ha aumentato le opportunità di scoperta a bordo del banco di prova della microgravità dell’umanità per l’esplorazione, incluso l’aiuto della NASA a prepararsi per l’esplorazione umana della Luna e di Marte.

“Sì, come la Luna obbedisce ad Aglaonice”

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“Sì, come la Luna obbedisce ad Aglaonice”

Oggi vi parlo di Aglaonice di Tessaglia. Questa è una figura di donna emblematica che, come Ipazia, rientra fra le prime donne di cui si abbia memoria che si occuparono di astronomia. Ma dire che essa sia riconducibile soltanto a questo sarebbe come affermare che Marie Curie era quella del Radio. Si dice che Aglaonice riuscisse a prevedere correttamente le eclissi di Sole e di Luna, stabilendo esattamente i tempi e i luoghi dove esse sarebbero avvenute.

Visse a cavallo fra il II ed il I secolo a.C. e viene menzionata negli scritti di Plutarco come donna che era “completamente al corrente dei periodi di luna piena quando è soggetta a eclissi e che sapeva in anticipo il momento in cui la luna doveva essere superata dall’ombra della terra”. Anche Apollonio di Rodi la ricorda come astronomo donna e figlia di Hegetor di Tessaglia.

Era contemporanea di Eratostene di Cirene (276 a.C. – c. 195/194 a.C.) meglio conosciuta per essere stata la prima persona a calcolare la circonferenza della Terra. Spesso all’epoca le donne sapienti venivano considerate con sospetto. In particolare, essa si fregiava della facoltà di saper far sparire la luna dal cielo. Ovviamente stiamo parlando della capacità di prevedere le eclissi. Avete mai sentito parlare delle streghe della Tessaglia? Ebbene, essere non erano altro che seguaci astrologhe associate ad Aglaonice, attive dal III al I secolo a.C. Sembra che Aglaonice fosse a conoscenza del ciclo lunare, che dura oltre 18 anni11,3 giorni dopo il quale si ripetono eclissi lunari e solari. Questo ciclo denominato Sarosvenne scoperto dagli antichi astronomi babilonesi. Spesso, nelle eclissi lunari, la Luna non scompare completamente ma cambia colore e assume una tonalità più scura o ramata. Dal momento che Aglaonice parla di completa sparizione della Luna, come “completamente divorata”, è ragionevole pensare che essa conoscesse le date dell’oscuramento ciclico regolare della Luna da parte delle escursioni a lungo termine dell’attività solare. In quel periodo ci furono infatti eclissi lunari insolitamente scure, a tal punto da far sì che la Luna effettivamente sembrasse scomparire alla vista.

Ad Aglaonice è anche dedicato uno dei crateri di Venere.

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AL VIA LA VENTESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA DI GENOVA

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Ci siamo! Anche quest’anno torna il FESTIVAL DELLA SCIENZA di Genova

❏ In programma a Genova da giovedì 20 ottobre a martedì 1° novembre 2022

❏ Parola chiave: Linguaggi

❏ In programma 300 eventi, articolati in 133 conferenze, 84 laboratori, 31 mostre, 10 spettacoli, 17 eventi speciali e 25 eventi online solo per le scuole

❏ Ospiti 424 scienziati e personalità illustri provenienti da tutto il mondo

❏ Oltre 500 giovani coinvolti tra animatori e studenti del progetto OrientaScienza

❏ 378 gli enti, le associazioni, le aziende e gli editori che hanno partecipato alla composizione del programma

❏ 49 le location cittadine coinvolte nel programma del Festival

❏ Oltre 1.000 classi già prenotate da tutta l’Italia con circa 25.000 studenti

❏ Il programma completo disponibile sul sito festivalscienza.it e scaricabile in formato pdf

Genova – Un modo innovativo e coinvolgente di raccontare la scienza, fortemente legato al territorio e riconosciuto come uno dei più importanti eventi di diffusione della cultura scientifica al mondo. Prende il via giovedì 20 ottobre il Festival della Scienza di Genova, manifestazione che fino a martedì 1° novembre porta in 49 location cittadine 275 eventi in presenza, 133 conferenze, 84 laboratori, 31 mostre, 10 spettacoli e 17 eventi speciali per visitatori di ogni fascia d’età e livello di conoscenza, a cui si aggiungono 25 eventi online riservati alle classi, per un totale di 300 eventi. Di questi, 86 conferenze saranno fruibili on demand sulla piattaforma festivalscienza.online a partire dal 7 novembre 2022. Nel suo programma, il Festival coinvolge 424 scienziati e personalità illustri provenienti da tutto il mondo e 378 tra enti, associazione, aziende e editori che hanno partecipato alla composizione del programma.

A legare tutti gli eventi in programma la parola chiave scelta per l’edizione 2022, Linguaggi, affrontati all’interno del Festival nelle diverse declinazioni: linguaggi matematici, tecnici, simbolici, di programmazione, musicali e artistici, strumenti essenziali per lo sviluppo del pensiero scientifico. Attraverso gli incontri, il Festival esplora la forza e i limiti dei linguaggi, riflettendo sul tema della comunicazione efficace, in un difficile equilibrio tra qualità e quantità.

Il 2022 è un anno molto speciale per il Festival della Scienza perché la manifestazione compie vent’anni. Per festeggiare al meglio questa importante ricorrenza, il Festival ha preparato un programma dalle dimensioni pre-pandemia, che vuole essere un inno al tornare a vivere gli eventi in presenza. A partire dal pubblico delle scuole, che ha subito risposto con entusiasmo all’appello: sono oltre 1000 le classi provenienti da tutta Italia che si sono già prenotate agli eventi del Festival, per un totale di circa 25mila alunni. Oltre che dalla Liguria, sono arrivate prenotazioni da Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria, Friuli e Veneto.

La nuova edizione del Festival della Scienza è stata presentata con la conferenza stampa d’apertura che si è tenuta oggi, alle ore 13, al Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi, in via Garibaldi, a Genova. Dopo i saluti dell’assessore al Marketing territoriale e alle Politiche per i Giovani del Comune di Genova Francesca Corso e un breve intervento di Nicoletta Viziano del Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo, il presidente del Festival Marco Pallavicini e il presidente del Consiglio Scientifico Alberto Diaspro hanno illustrato gli aspetti salienti della ventesima edizione. Alla direttrice Fulvia Mangili il compito di entrare nel dettaglio del programma della manifestazione.

 

LE NOVITÀ DELLA VENTESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA

Molte le novità all’interno del programma della ventesima edizione del Festival della Scienza. Oltre al ruolo fondamentale degli enti scientifici soci, tutti presenti nel programma con progetti di alta qualità scientifica, quest’anno il Festival si apre a nuove collaborazioni con il tessuto culturale cittadino. Tra le novità, infatti, ci sono eventi realizzati da enti scientifici del territorio nelle loro sedi, come le conferenze proposte dai tre ospedali principali, San Martino, Gaslini e Galliera, conferenze ed eventi speciali organizzate dalla Direzione Generale Musei della Liguria, laboratori a cura dei servizi didattici dei musei di Genova e un incontro promosso dalla Scuola Ianua dell’Università di Genova.

Per la prima volta nella sua storia e per aprire maggiormente le porte ai giovani e stimolare le nuove generazioni nella scoperta delle bellezze della scienza, il Festival quest’anno ha deciso di rendere tutte le conferenze in programma gratuite per gli under 20. Per partecipare è sufficiente che i ragazzi e le ragazze nati da gennaio 2003 in poi si presentino all’ingresso delle conferenze muniti di documento d’identità (l’ingresso è libero fino a esaurimento posti).

Inoltre, fa il suo debutto al Festival il progetto Scienziati nelle biblioteche, incontri con autori di scienza per giovani lettori consapevoli. Il progetto, indirizzato agli istituti scolastici genovesi, è stato realizzato in collaborazione con il Sistema delle Biblioteche del Comune di Genova nell’ambito dell’iniziativa Patto per la lettura e prevede un ciclo di 10 incontri gratuiti con scienziati e divulgatori scientifici in 6 biblioteche comunali genovesi. Gli incontri sono riservati al pubblico scolastico e coinvolgono le biblioteche Lercari, Brocchi Nervi, Bruschi-Sartori, Guerrazzi, Saffi e Gallinora. Tra le nuove location coinvolte anche l’Alliance Française Galliera de Gênes e i nuovi spazi di Baltimora Garden Sea-ty nei Giardini Baltimora. Inoltre, il Festival torna anche in Strada Nuova nei meravigliosi spazi di Palazzo Rosso, recentemente rinnovato.

Rinnovato anche La scienza va in onda!, il programma online per le scuole che, durante la pandemia, ha portato il Festival della Scienza nelle classi di tutta Italia. In questa terza edizione, realizzata grazie al contributo di Fondazione Compagnia di San Paolo e in collaborazione con Orientamenti, l’offerta, sempre gratuita, comprende 9 webinar con ricercatori e divulgatori scientifici e 16 visite virtuali in diretta dai principali laboratori di ricerca italiani. 

Foto Bruno Oliveri & Lorenzo Gammarota

 

LA GIORNATA INAUGURALE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA 2022

La ventesima edizione del Festival della Scienza si apre giovedì 20 ottobre alle ore 17 nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale con l’inaugurazione ufficiale, con il presidente Marco Pallavicini, il presidente del Consiglio Scientifico Alberto Diaspro e la direttrice Fulvia Mangili, oltre alle istituzioni cittadine e ai rappresentanti dei maggiori partner e sostenitori del Festival.

A seguire, alle ore 21, sempre nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale si tiene la conferenza spettacolo gratuita Quanto – La parola che ha cambiato la fisica. Protagonisti dell’incontro di apertura del Festival il presidente Marco Pallavicini, in qualità di fisico sperimentale e vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e il famoso musicista jazz Danilo Rea, in un dialogo tra parole e musica che racconta il percorso che ha cambiato la fisica, dalla visione classica di Galileo a quella controintuitiva della meccanica quantistica. Entrambi gli appuntamenti di giovedì 20 ottobre sono a ingresso gratuito e disponibili anche in diretta streaming sul canale YouTube del Festival della Scienza.

Tutte le mostre e i laboratori sono attivi a partire dalla prima giornata, giovedì 20 ottobre, e proseguono fino alla fine della manifestazione, martedì 1° novembre 2022.

 

I PRINCIPALI PROTAGONISTI DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA 2022

Ospite d’onore del Festival è la matematica ucraina Maryna Viazovska, neovincitrice della Medaglia Fields 2022, premio riservato agli under 40 e considerato “il Nobel della matematica”, seconda donna nella storia a ricevere questo riconoscimento (lectio Sfere: come impacchettarle e perché, con Roberta Fulci, martedì 25 ottobre, ore 18)

Nel dialogo internazionale Pianeti Extrasolari, universo oscuro e buchi neri (sabato 29 ottobre, ore 21) in cui tra scienza, arte e filosofia viene percorso un viaggio che va dalle profondità del cosmo a quelle sotterranee del Large Hadron Collider, intervengono in collegamento da Ginevra Michel Mayor (premio Nobel per la fisica nel 2019 per la scoperta del primo esopianeta) e dall’osservatorio ESO in Cile l’astronomo Luca Sbordone, mentre sono presenti in sala Sushita Kulkarni, fisica teorica, Claudia Sciarma, filosofa della scienza ed Enrico Magnani, ingegnere e artista. Il dialogo è moderato da Paola Catapano.

In presenza anche Cumrun Vafa, fisico teorico iraniano naturalizzato americano, premio Dirac nel 2008 e uno dei massimi esperti al mondo di teoria delle stringhe, con la sua lectio Enigmi per decifrare il mondo (domenica 23 ottobre, ore 18) e Maria Elena Bottazzi, microbiologa ambasciatrice di Genova nel mondo, coordinatrice del team che ha sviluppato il Corbovax, il vaccino contro il Covid-19 senza brevetto accessibile anche ai Paesi in via di sviluppo (lectio Un vaccino per il mondo, con Anna Meldolesi, sabato 29 ottobre, ore 15).

Linguaggi, la parola chiave di quest’anno, viene approfondita da molti punti di vista e discipline dai protagonisti del Festival della Scienza. Il linguaggio come elemento distintivo dell’essere umano: sono Andrea Moro, neuroscienziato e linguista, insieme a Luciano Fadiga, neurofisiologo studioso dei comportamenti umani, e a Stefano Cappa, neurologo esperto di disturbi del linguaggio, ad approfondire l’affascinante tema del rapporto tra la struttura delle lingue umane e il cervello nell’incontro Lingue, azioni, regole: cosa ci dice il cervello? (sabato 22 ottobre, ore 15). Tocca invece alla sociolinguista Vera Gheno e a Claudia Bianchi, filosofa del linguaggio, entrambe autrici di saggi di grande successo, descrivere il rapporto tra linguaggio, parole e inclusione di genere nella conferenza Scienza, linguaggio e diversità (moderata da Alessandro Volpe, venerdì 28 ottobre ore 18).

La lingua riflette attraverso le proprie trasformazioni i cambiamenti sociali, civili e culturali: ne trattano Valeria Della Valle, linguista, codirettore della nuova edizione del Vocabolario Treccani, il primo vocabolario italiano che non presenta le voci privilegiando il genere maschile, e Massimo Bray, direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana nella conversazione I linguaggi della classificazione (sabato 29 ottobre, ore 15.30). Il neuroscienziato Salvatore Maria Aglioti e Donato Ferri, esperto di psicologia e neuroscienze sociali, affrontano il tema della leadership dal punto di vista delle neuroscienze nella conversazione Neuroleadership: il cervello di chi è al comando (venerdì 28 ottobre, ore 18.30).

Ma esistono linguaggi non umani? Certamente sì: lo racconta l’etologo Enrico Alleva insieme alla psicobiologa Daniela Santucci nella conversazione Animali che parlano (domenica 30 ottobre, ore 15), un viaggio alla scoperta dei modelli comunicativi degli animali. Di rapporto tra gli esseri umani e le altre specie animali si occupa invece Roberto Marchesini, filosofo post-umanista, nella lectio L’amore per gli animali (con Luisella Battaglia, sabato 29 ottobre, ore 17.30).

La scienza offre inoltre strumenti essenziali per capire il linguaggio con cui comunica la natura: lo spiega Roberto Battiston, fisico sperimentale e uno dei massimi esperti mondiali di raggi cosmici, nella lectio L’alfabeto della Natura (sabato 29 ottobre, ore 17.30). Esiste un linguaggio che accomuna il micro e il macro mondo? Lo confermano Gianpaolo Bellini, fisico subparticellare, Marco Bersanelli, astrofisico e il geofisico Enrico Bonatti nell’incontro Dai quark alle galassie (con Roberto Battiston, domenica 30 ottobre, ore 18.30). Nuovi linguaggi, per far dialogare uomini e macchine, con un’attenzione crescente agli aspetti etici legati a queste nuove tecnologie. Ne trattano, tra gli altri, Malvina Nissim, esperta su scala internazionale di linguistica computazionale, e Silvia Bencivelli (conversazione Ma un computer mi capisce?, sabato 29 ottobre, ore 17.30), Elena Esposito, sociologa, (lectio Comunicazione Artificiale, lunedì 31 ottobre, ore 17.30) e Paola Inverardi, informatica conosciuta a livello internazionale e specializzata nell’ingegneria del software (lectio Sistemi autonomi e intelligenza artificiale, giovedì 27 ottobre, ore 18).

La chimica computazionale, grazie al progresso delle capacità di calcolo dei moderni supercomputer, apre le porte a una vera rivoluzione nell’ambito delle scienze della vita: ne approfondiscono l’impatto che avrà prossimamente nella ricerca farmaceutica William Jorgensen, uno dei pionieri dell’uso della chimica computazionale per il disegno di nuovi farmaci e Marco De Vivo, group leader di un gruppo di ricerca dedicato alla scoperta di nuovi farmaci su base molecolare nella conversazione Inventare nuovi farmaci con i supercomputer (sabato 22 ottobre, ore 15.30).

La scienza si occupa di linguaggi, e di altri linguaggi ha bisogno per progredire e per essere raccontata. Ne parla nella sua lectio L’immaginazione e la verità del mondo (giovedì 27 ottobre, ore 18) Ariane Koek, fellowship della Bogliasco Foundation riconosciuta a livello internazionale per il suo lavoro transdisciplinare tra arte, scienza e tecnologia, fondatrice del progetto “Arte e Scienza” al Cern di Ginevra. Anche la letteratura può essere un veicolo straordinario per comunicare la scienza, come racconta il fisico delle particelle Dario Menasce, nella sua lectio Ti racconto la fisica (lunedì 31 ottobre, ore 21). L’interazione tra scienza, arte e tecnologia, su cui la Commissione Europea sta fortemente investendo, sta assumendo sempre più la connotazione di vera innovazione scientifica e tecnologica: lo illustrano con esempi e progetti Antonio Camurri, Beatrice De Gelder, Maria Grazia Mattei, Paolo Naldini e Maurizia Rebora nell’incontro A regola d’arte (con Vincenzo Napolano, lunedì 31 ottobre, ore 18.30).

Molto ampio come sempre lo spazio dedicato ai temi collegati all’esplorazione dell’Universo. A inizio maggio la scoperta di Sagittarius A, la “super star” dei buchi neri, ha entusiasmato gli appassionati di fisica del Cosmo di tutto il mondo. Al Festival ne trattano Mariafelicia De Laurentis, astrofisica napoletana che per prima fotografò il buco nero M87 nel 2019, e Ciriaco Goddi, Project Scientist del progetto BlackHoleCam, entrambi membri della collaborazione internazionale Event Horizon Telescope nell’incontro Einstein ha ancora ragione? (con Matteo Massicci, lunedì 24 ottobre, ore 18.30).

Dai telescopi terrestri a quelli spaziali: a luglio sono arrivate le prime straordinarie immagini del James Webb Telescope, il principale osservatorio scientifico nello spazio del mondo. A illustrarne i dettagli Giovanna Giardino, ricercatrice dell’Estec, il centro scientifico e tecnologico dell’Agenzia Spaziale Europea, e l’astrofisico Adriano Fontana nell’incontro Sguardi sull’universo sconosciuto (con Giorgio Pacifici, mercoledì 26 ottobre, ore 18.30). Lo spazio profondo esplorato non solo con le immagini ma anche con il suono: con le sonorizzazioni del musicista informatico Massimo Magrini (in arte Bad Sector) ne parlano Wanda Diaz Merced, astrofisica non vedente, insieme a Stavros Katsanevas, direttore dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo nel dialogo internazionale Il suono dell’Universo (con Andrea Parlangeli, domenica 30 ottobre, ore 21).

Dieci anni fa veniva annunciata l’osservazione del Bosone di Higgs: una scoperta che fu la conferma della teoria per cui Higgs e Englert vinsero il premio Nobel 2013. Al Festival si rivive l’emozione di quei giorni con tre fisici che furono tra i protagonisti di questa rivoluzionaria scoperta: Marco Ciuchini, Mia Tosi e Antonio Zoccoli nel dialogo L’ultima particella della materia conosciuta (con Sara Zambotti, sabato 22 ottobre, ore 21).

Alla figura di Albert Einstein il Festival dedica quest’anno alcuni eventi, tra cui la conferenza/spettacolo con intermezzi musicali 1922: la nascita di una celebrità condotta da Massimiano Bucchi (musiche di Arturo Stàlteri, giovedì 27 ottobre, ore 21), e il dialogo internazionale Einstein secondo Einstein (sabato 29 ottobre, ore 18.30) con Hanoch Gutfreund, direttore degli Archivi di Einstein all’Università di Gerusalemme e Renn Jürgen, storico della scienza, insieme al fisico teorico Vincenzo Barone.

I modelli matematici del clima del futuro è l’argomento di cui dibattono Annalisa Cherchi e Susanna Corti, geofisiche, entrambe coinvolte nella redazione del recente report IPCC sul Climate Change nell’incontro Clima 2050 (martedì 25 ottobre, ore 18). Ad Antonello Provenzale, esperto di modelli del clima, impatti dei cambiamenti climatici su risorse idriche, ecosistemi e incendi il compito di illustrare il legame essenziale tra geo e biodiversità nella lectio Le forme della Terra (lunedì 31 ottobre, ore 15), mentre Sandro Carniel, oceanografo di fama mondiale, parla dell’innalzamento dei mari con cui si deve imparare a convivere nel prossimo futuro (lectio Un futuro sott’acqua, sabato 22 ottobre, ore 17.30).

È necessario imparare ad aver cura dell’ambiente: questo il messaggio che porta al Festival Alex Bellini, esploratore e coach motivazionale, raccontando la sua impresa di navigazione sui dieci fiumi più inquinati del pianeta nell’incontro Sulla stessa barca…anzi, zattera (con Chiara Manzotti, venerdì 21 ottobre, ore 21). La CO2 di cui tanto si sente parlare come il nemico numero uno dell’ambiente, può in realtà diventare nel prossimo futuro una materia prima per la produzione di energia sostenibile: lo spiega Gianfranco Pacchioni, chimico che si occupa di teoria quantistica della materia con particolare riferimento ai materiali per l’energia e l’ambiente nella lectio Anidride carbonica: veleno o fonte di vita? (venerdì 21 ottobre, ore 18.30). Un altro materiale dalle proprietà notevoli è la perovskite, un minerale con cui si producono innovativi pannelli solari. Ne parlano Daniele Cortecchia, Giulia Folpini, Isabella Poli e Antonella Treglia, un gruppo di ricerca che sta lavorando su questi materiali del futuro nell’ambito di un innovativo progetto europeo nell’incontro Dall’alfabeto della chimica alle tecnologie green (lunedì 24 ottobre, ore 18.30).

Nell’incontro E luce fu… i fisici Paola Batistoni, Gustavo Granucci e Piergiorgio Sonato aggiornano sullo stato di sviluppo del progetto ITER, il grande consorzio europeo per la fusione nucleare (con Silvia Kuna Ballero, giovedì 27 ottobre, ore 18.30). Sempre a proposito di futuro energetico, la comunicatrice scientifica Silvia Kuna Ballero e il Direttore di Le Scienze e National Geographic Marco Cattaneo fanno una riflessione, con dati alla mano, sul dibattutissimo tema dell’energia nucleare (conversazione Travolti da un atomico destino, martedì 1° novembre, ore 16).

Non mancano gli incontri in vario modo collegati ai temi della salute: prevenzione e buone pratiche di alimentazione nella conversazione La salute vien mangiando (domenica 30 ottobre, ore 11) tra Marco Bianchi, divulgatore scientifico esperto di temi di alimentazione e il gastroenterologo Silvio Danese, mentre la genetista Isabella Saggio fa ragionare di invecchiamento e immortalità nella sua lectio Per sempre giovani? (lunedì 24 ottobre, ore 21).

Tra i molti graditi ritorni alla ventesima edizione del Festival l’immunologo Alberto Mantovani, uno dei più citati scienziati italiani di sempre, e lo scrittore Gianrico Carofiglio con un dibattito scientifico-etico sulla scienza comunicata, tra esigenze di esattezza e chiarezza Parole della scienza e arte della chiarezza (martedì 1° novembre, ore 15). A chiudere il Festival la conversazione Il capitale biologico (martedì 1° novembre, ore 18.30) con Luca Carra, giornalista scientifico e saggista e Paolo Vineis, epidemiologo, sul rapporto tra salute e diseguaglianze economiche e sociali.

Dieci anni fa iniziava l’avventura di Comics&Science, il progetto editoriale del CNR per parlare di scienza attraverso i fumetti. Il festival dedica ampio spazio a questa ricorrenza, anche con un ciclo di sei incontri in cui gli scienziati dialogheranno con alcuni dei fumettisti che hanno preso parte al progetto, tra cui Silver, Sergio Ponchione, Francesco Frongia, Sara Menetti, Davide la Rosa.

Il programma è nato dalle oltre 480 proposte arrivate da tutta l’Italia, in risposta al bando di idee lanciato dal Festival a dicembre 2021. La selezione dei progetti è stata realizzata dai 55 membri del consiglio scientifico del Festival costituito da scienziati, giornalisti scientifici e professionisti della comunicazione, con il supporto del comitato di programmazione.

 

INFORMAZIONI E BIGLIETTI

Il programma completo del Festival è disponibile sul sito www.festivalscienza.it, in cui è possibile anche scaricare il pdf del catalogo. Attivo il call center del Festival al numero 010 8934340, per informazioni e prenotazioni da parte degli istituti scolastici. L’acquisto dei biglietti si può effettuare sul sito del Festival (senza necessità di ritiro in biglietteria) e all’Infopoint allestito nel cortile interno di Palazzo Ducale, in cui gli animatori possono fornire anche consigli sulle attività da seguire nel corso della giornata.

Confermata la tipologia di biglietti delle precedenti edizioni. In occasione dei vent’anni di Festival, tutte le conferenze del Festival sono gratuite per i nati dopo il 1° gennaio 2003. I biglietti e le prenotazioni sono acquistabili online sul sito del Festival www.festivalscienza.it, tramite il call center (tel. 010 8934340) e all’Infopoint. Invariati i costi dei biglietti: giornaliero intero 13 euro, ridotto 11 euro, ridottissimo 9 euro, Abbonamento Standard intero 21 euro, ridotto 18 euro, ridottissimo 12 euro, Abbonamento Premium (con prenotazioni gratuite per il titolare dell’abbonamento) 30 euro e Abbonamento Scuole 9 euro. I bambini fino ai 5 anni, gli insegnanti che accompagnano le classi e gli accompagnatori di persone con disabilità non pagano. Gli abbonamenti hanno validità per tutti i giorni e tutti gli eventi del Festival. È disponibile anche l’abbonamento Festival Online per la fruizione per 365 giorni dell’archivio on-demand sulla piattaforma festivalscienza.online al costo di 10 euro. I tre abbonamenti Standard, Premium e Scuole comprendono l’Abbonamento Online. Tutti gli eventi del progetto Scienziati nelle Biblioteche e il programma online per le classi sono gratuiti.

Le prenotazioni (posti riservati) per gli eventi a pagamento (costo 0,50 euro) sono consigliate per il pubblico generico. Da quest’anno anche per gli eventi gratuiti è possibile effettuare le prenotazioni (gratuite). Per le classi le prenotazioni sono obbligatorie e gratuite e devono necessariamente essere effettuate tramite il call center. Il Biglietto scuole e l’Abbonamento Insegnante consentono anche la fruizione individuale dell’intero programma del Festival, dal 20 ottobre al 1° novembre. Gli orari del call center sono: fino al 19 ottobre dal lunedì al venerdì ore 08.30 – 17; dal 20 ottobre al 1° novembre, dal lunedì al venerdì ore 08.30 – 19; sabato e festivi ore 09.30 – 19. Tutti gli abbonamenti del Festival includono anche l’abbonamento alla piattaforma www.festivalscienza.online, su cui visionare alcuni degli eventi di questa e delle passate edizioni, per un anno.

Maggiori informazioni sui biglietti su www.festivalscienza.it/site/home/info-utili.html

 

ANIMATORI E ORIENTASCIENZA

Sono più di 400 gli animatori del Festival, tra studenti universitari e giovani ricercatori selezionati a partire da oltre 600 candidature provenienti da tutta l’Italia. Grazie al supporto di Camera di Commercio, a loro è affidato il compito di facilitare il pubblico di ogni fascia d’età a orientarsi all’interno delle ultimissime scoperte della scienza, imparando e divertendosi.

Il Festival della Scienza partecipa a Orientamenti 2022 anche con la realizzazione della decima edizione di OrientaScienza, progetto che si propone di motivare e orientare gli studenti e le studentesse alle discipline scientifiche utilizzando il Festival come motore. Sono 100 gli studenti degli istituti superiori genovesi che affiancano gli animatori del Festival in formative e divertenti prime esperienze di lavoro nell’ambito dei loro percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento.

L’Associazione Amici del Festival della Scienza organizza anche per questa edizione le cene del Festival, che rappresentano da sempre momenti di accoglienza e conoscenza reciproca per gli ospiti.

 

I Soci dell’Associazione Festival della Scienza

Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Genova, Centro Fermi – Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi, CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Comune di Genova, Confindustria Genova, Costa Edutainment, GSSI – Gran Sasso Science Institute, IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Regione Liguria, Sviluppo Genova, UNIGE – Università degli Studi di Genova

 

I Partner istituzionali dell’edizione 2022 (non soci)

Unione Europea, Fondazione Compagnia di San Paolo, Ministero dell’Università e della Ricerca

 

Gli Sponsor dell’edizione 2022

IREN, ERG, Autostrade per l’Italia, Costa Edutainment, Axpo, Coop Liguria, Gruppo Spinelli, Gruppo Merck, Italmatch Chemicals, Leonardo, Tenova, Thales Group, SAAR, Amico&Co, Ernst & Young, Federchimica/Plastic Europe, IVSI, TibMolbiol, Consorzio Coreve, SIBPA, SPX lab

 

I media partner 2022

Coelum Astronomia, Giornale Radio, Il Secolo XIX, La Voce di Genova, Rai Cultura, Rai Liguria, Rai Radio 3

 

Partner culturali

Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, Alle Ortiche, Andersen, Amici del Festival della Scienza, Acquario di Genova, Biblioteca Universitaria di Genova, Biblioteche di Genova, Baltimora Garden Sea-ty, Genova Blue District, Galata Museo del Mare, Fondazione Treccani Cultura, Istituto Giannina Gaslini, MEI – Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, Musei di Genova, MOG Mercato Orientale Genova, Musei Nazionali della Liguria, Ospedale Galliera, Ospedale Policlinico San Martino, Genova Palazzo Ducale, Villa del Principe, Porto Antico di Genova, Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, SIBPA – Società Italiana di Biofisica Pura e Applicata

 

Gli editori al Festival della Scienza 2022

Add Editore, Carocci Editore, Casa Editrice EDT, Casa Editrice Il Castoro, Casa Editrice Il Mulino, Chiarelettere Editore, Codice Edizioni, De Agostini Editore, Editori Laterza, Editoriale Scienza, Edizioni Dedalo, Edizioni del Capricorno, Edizioni Lindau, Luiss University Press, Edizioni Piemme, Egea Editore, Fabbri Editore, Giulio Einaudi Editore, Harper Collins, Hoepli Editore, Lapis Edizioni, Rizzoli, Mondadori, Springer Nature, Treccani Libri, Zanichelli Editore.

 

I luoghi del Festival della Scienza 2022

Accademia Ligustica di Belle Arti, Acquario di Genova, Alle Ortiche, Alliance Française Galliera de Gênes, Auditorium Ist. Comprensivo Garaventa-Gallo, Baltimora Garden Sea-ty, Banca d’Italia, Biblioteca Berio, Biblioteca Civica Brocchi Nervi, Biblioteca Civica Bruschi-Sartori, Biblioteca Civica Gallino, Biblioteca Civica Guerrazzi, Biblioteca Civica Saffi, Biblioteca Internazionale per Ragazzi E. De Amicis, Biblioteca Universitaria di Genova, Castello d’Albertis, Cimitero Monumentale di Staglieno, E.O. Ospedali Galliera di Genova, Fondazione Ansaldo, Galata Museo del Mare, Gallerie Nazionali di Palazzo Spinola, Genova Blue District, Giardini E. Luzzati – Area Archeologica, MadLab 2.0, Leonardo Labs, Magazzini del Cotone – Modulo 1, MEI Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, MOG – Mercato Orientale Genova, Museo di Storia Naturale Giacomo Doria, Ospedale San Martino – Centro di Biotecnologie Avanzate, Osservatorio Astronomico del Righi, PalaCUS, Palazzo del Principe, Palazzo della Borsa, Palazzo della Regione, Palazzo Ducale, Palazzo Grillo, Palazzo Imperiale, Palazzo Reale, Palazzo Rosso – Musei di Strada Nuova, Palazzo San Giorgio, Piazza delle Feste, Teatro Carlo Felice, Teatro della Tosse, UniGe World, Università di Genova sedi di Balbi 5, Dipartimento Architettura e Design, e Orto Botanico.

 

 

Il Festival della Scienza online

Sito web: festivalscienza.it

 Piattaforma streaming e on-demand: festivalscienza.online

 Hashtag: #Festivalscienza #FDS2022

Facebook: www.facebook.com/Festivaldellascienza

 Instagram: https://www.instagram.com/festivalscienza/

 Twitter: @FDellaScienza

 Youtube: FestivalScienza

Archivio fotografico in alta definizione: https://www.flickr.com/photos/festivaldellascienza/

La NASA conferma che l’impatto della missione DART ha cambiato il movimento dell’asteroide nello spazio

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L’analisi dei dati ottenuti nelle ultime due settimane dal team investigativo del Double Asteroid Redirection Test (DART) della NASA mostra che l’impatto cinetico del veicolo spaziale con il suo asteroide bersaglio, Dimorphos, ha alterato con successo l’orbita dell’asteroide. Questo segna la prima volta che l’umanità cambia di proposito il movimento di un oggetto celeste e la prima dimostrazione su vasta scala della tecnologia di deflessione degli asteroidi.

Tutti noi abbiamo la responsabilità di proteggere il nostro pianeta natale. Dopotutto, è l’unico che abbiamo“, ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson. “Questa missione mostra che la NASA sta cercando di essere pronta per qualsiasi cosa l’universo ci getti addosso. La NASA ha dimostrato che siamo seri come difensori del pianeta. Questo è un momento spartiacque per la difesa planetaria e per tutta l’umanità, a dimostrazione dell’impegno dell’eccezionale team della NASA e dei partner di tutto il mondo”.

Prima dell’impatto di DART, Dimorphos impiegava 11 ore e 55 minuti per orbitare attorno al suo asteroide genitore più grande, Didymos. Dalla collisione intenzionale di DART con Dimorphos il 26 settembre, gli astronomi hanno utilizzato i telescopi sulla Terra per misurare quanto è cambiato quel tempo. Ora, la squadra investigativa ha confermato che l’impatto della navicella spaziale ha alterato l’orbita di Dimorphos attorno a Didymos di 32 minuti, riducendo l’orbita di 11 ore e 55 minuti a 11 ore e 23 minuti. Questa misurazione ha un margine di incertezza di circa più o meno 2 minuti.

Il team investigativo sta ancora acquisendo dati con osservatori a terra in tutto il mondo, nonché con strutture radar presso il radar planetario Goldstone del Jet Propulsion Laboratory della NASA in California e il Green Bank Observatory della National Science Foundation in West Virginia. Stanno aggiornando la misurazione del periodo con osservazioni frequenti per migliorarne la precisione. L’attenzione ora si sta spostando sulla misurazione dell’efficienza del trasferimento di quantità di moto dalla collisione di circa 14.000 miglia (22.530 chilometri) di DART con il suo obiettivo. Ciò include un’ulteriore analisi degli “ejecta” – le molte tonnellate di roccia asteroidale spostate e lanciate nello spazio dall’impatto.

Per comprendere l’effetto del rinculo dell’ejecta, sono necessarie maggiori informazioni sulle proprietà fisiche dell’asteroide, come le caratteristiche della sua superficie e quanto sia forte o debole. Questi problemi sono ancora oggetto di indagine.

“DART ci ha fornito alcuni dati affascinanti sia sulle proprietà degli asteroidi che sull’efficacia di un impattatore cinetico come tecnologia di difesa planetaria”, ha affermato Nancy Chabot, responsabile del coordinamento DART del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL) a Laurel, nel Maryland. “Il team DART continua a lavorare su questi dati ricchi per comprendere appieno questo primo test di difesa planetaria della deflessione degli asteroidi”.

Per questa analisi, gli astronomi continueranno a studiare le immagini di Dimorphos dall’approccio terminale di DART e dal Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids (LICIACube), fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana, per approssimare la massa e la forma dell’asteroide. Tra circa quattro anni, il progetto Hera dell’Agenzia spaziale europea prevede anche di condurre rilievi dettagliati sia di Dimorphos che di Didymos, con un focus particolare sul cratere lasciato dalla collisione di DART e una misurazione precisa della massa di Dimorphos.

Altre informazioni sui dati raccolti da LICIACube sono disponibili qui https://www.ssdc.asi.it/liciacube/

 

 

 

I favolosi anni 90 dell’Astronomia – 1991

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Il 1991, l’anno dell’Eclissi

Cowabunga!

Ciao a tutti popolo delle stelle? Come dite? Avete nuovamente voglia di fare un tuffo nel passato? Benissimo! Allora allacciatevi le cinture, regolate l’orario del vostro scuba e mettetevi comodi! Da qui in avanti non si torna indietro! E nemmeno si chiama a casa, visto che i GSM non li avevano ancora inventati, la prima rete commerciale arriverà soltanto a luglio.

Si parte verso i folgoranti anni ’90! Questa volta andremo nel 1991, l’anno in cui ci fu l’eclissi di sole più lunga del XX secolo. Pensate, nel punto di eclissi massima, è durata ben 6 minuti e 53 secondi! Aahh…il XX secolo. Che guazzabuglio moderno. Bene, boom. Cominciamo così. Procediamo veloci come Sonic fra le scoperte astronomiche più mirabolanti di quest’anno. Mentre sulla terra le persone si affaccendavano a vivere le loro vite frenetiche vestiti da improbabili abiti oversize dalle spalline imbarazzanti e Kevin McCallister cercava di evitare che i ladri gli entrassero in casa, sul ghiacciaio del Similaun, sul versante italiano al confine fra Italia ed Austria, veniva ritrovato un uomo mummificato, definito un cacciatore, vissuto ben 5000 anni fa. Ora lo possiamo osservare nel museo di Bolzano ed è la famosissima mummia del Similaun o, per gli amici, Ötzi. Però all’universo dell’uomo del Similaun non gli importava granchè, come d’altronde, di tutto il resto. Nemmeno del fatto che Magic Johnson, proprio in quell’anno, comunicava alla stampa il suo ritiro.

Nel 1991 ci fu una scoperta importante che, da un lato avrebbe fornito pacchi di programmi gratuiti ai ricercatori, dall’altra avrebbe regalato altrettanti pacchi di bestemmie da parte delle matricole. Si tratta del sistema operativo Linux, che proprio nel 1991 faceva capolino sul panorama informatico, grazie a Linus Torvalds. Non dico che può essere paragonato ad Alexander Fleming, ma di sicuro l’intento è stato veramente nobile. Tanto che attualmente questo sistema operativo viene usato da milioni di utenti nel mondo, specialmente dalle università e dai centri di ricerca. Sempre nel 1991, il matematico Qiu-dong Wang trovava un cambiamento di coordinate con cui scrivere una soluzione globale al problema degli N-corpi, con impatti molto importanti in vari campi di ricerca. Dal lato spaziale, venne sparato in orbita il Compton gamma ray observatory (CGRO) a bordo della navetta spaziale Atlantis, per studiare le sorgenti cosmiche di raggi X, come supernovae, quasar, stelle di neutroni e buchi neri. Sempre nel campo delle alte energie, ci fu il primo rilevamento dell’emissione di raggi X vicino al picco di un’esplosione nova classica, Nova Herculis, tramite lo strumento ROSAT (PSPC) e la scoperta del quasar più distante e più brillante (10 volte rispetto a tutti i quasar conosciuti) allora conosciuto, ad opera di tre gruppi di radioastronomi dell’Australia Telescope National Facility, dell’Università della Tasmania e del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Questo quasar era a ben 14 miliardi di anni luce di distanza,  ossia 1,3∙1023 km circa. Col camper delle micro-machines ci impiegheresti…no. Col camper delle micro-machines non ci arrivi nemmeno. Hubble nel frattempo, lanciato l’anno prima, stava facendo man bassa di immagini, scoprendo una quindicina di sistemi proto-planetari, dischi di gas e di polvere simili a quello scoperto nel 1983 dal satellite IRAS intorno alla stella Beta pictoris. Infine, nel 1991 il geologo Haraldur Sigurdsson, dell’Università dell’Islanda a Reykjavik, grazie all’analisi dei vetri da impatto, sviluppa una ipotesi a conferma della teoria della catastrofe avvenuta circa 65 milioni di anni fa, quando sulla Terra si spiaccicò un asteroide di 14 km, che fece più danni di un pallone da calcio degli anni ’80, mutando il clima e facendo comparire molte specie animali e vegetali. Che dire, gli anni ’90 erano cominciati col botto, e spesso la nostalgia di quel periodo attanaglia le nostre menti ma sapete cosa? Come diceva Merlino, mi sa che “stanno bene dove stanno!”. Ora scappo che mi comincia “una bionda per papà”, altrimenti mi perdo la sigla. Ciao cipollini!

Non hai letto tutti gli anni ’80?? Li trovi qui

Qui invece il 1990!

News da Marte! #3

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Credit NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Bentornati su Marte! (puntata n°3)

Oggi dedichiamo il racconto degli ultimi aggiornamenti al lander Insight, tra alti e bassi della situazione energetica e recentissimi nuovi studi relativi alle sue rilevazioni.

Insight cambia i programmi

Il lander della NASA che studia l’interno del pianeta rosso ha come unica fonte di alimentazione dei pannelli solari, i quali soffrono degli stessi problemi che abbiamo visto affliggere l’elicottero Ingenuity: oscuramento atmosferico e polvere.

Soprattutto quest’ultima è stata da sempre la spina nel fianco dei tecnici del JPL, con il costante declino dell’energia raccolta da Insight e il fallimento dei più recenti tentativi di rimuoverla almeno in parte dalle grandi superfici dei pannelli. L’apparente impossibilità di invertire la tendenza ha spinto il team che gestisce la missione del lander a delineare la timeline che porterà alla fine della missione. 

 

A fine maggio era stata così programmata la dismissione progressiva di tutti gli apparati scientifici, con l’intenzione di lasciare attivi solo i sistemi legati alla rilevazione di temperatura e pressione atmosferica, le camere e i sistemi di comunicazione. In queste condizioni si stimava che Insight avrebbe continuato a funzionare sino circa a dicembre 2022.

Nella seconda metà di giugno il Jet Propulsion Laboratory ha diffuso un aggiornamento che ha revisionato i programmi. È stato infatti deciso che il sismometro, l’ultimo strumento che si sarebbe dovuto spegnere alla fine del mese, sarebbe invece rimasto attivo a tempo indefinito. Questo dispendio energetico extra avrebbe portato invariabilmente a ridurre le prospettive di vita di Insight, che perdipiù opera già da alcuni mesi in modalità d’emergenza disattivata. Il cosiddetto safe mode permette al lander di entrare automaticamente in una modalità a ridottissimo consumo energetico nel caso di condizioni sfavorevoli (legate per esempio alla temperatura o alla scarsa energia disponibile) per dare modo agli ingegneri di gestire la situazione.

Insight scattata il 2 ottobre
La foto più recente inviataci da Insight scattata il 2 ottobre, Sol 1368, alle 5 del pomeriggio marziano. In primo piano si trova la campana che scherma dal vento il delicatissimo sismometro. Crediti: NASA/JPL-Caltech

L’obiettivo è diventato ottenere più dati scientifici possibile finché le condizioni lo permetteranno piuttosto che prolungare il funzionamento di Insight senza però ottenere da ciò alcun beneficio per gli studi in corso.

Un risvolto inaspettato e decisamente positivo si è delineato in queste ultime settimane grazie all’aumento delle ore di luce (il solstizio invernale è avvenuto il 21 luglio) e la mutazione delle condizioni climatiche. La situazione energetica di Insight è così leggermente migliorata grazie anche alla riduzione del 30% rispetto a giugno dell’opacità atmosferica. Questo ha portato a una maggiore quantità di energia generata giornalmente; nello specifico parliamo di un incremento da 400 Wh misurati a inizio luglio per arrivare agli attuali 425 Wh nelle rilevazioni più aggiornate. Si tratta comunque di una piccola frazione rispetto ai circa 5000 Wh che Insight generava appena atterrato su Marte nel 2018.

Ma per il povero lander non c’è pace, e proprio nella serata di venerdì 7 settembre è arrivato un funesto aggiornamento da parte della NASA che riguarda una probabile tempesta di sabbia di dimensioni colossali che sta interessando l’emisfero sud di Marte.

Osservata per la prima volta il 21 settembre, la tempesta ha continuato a crescere di dimensioni sino a raggiungere un’estensione raffrontabile con le dimensioni del pianeta stesso. Il 3 ottobre la crescita del fenomeno atmosferico, formatosi a 3500 km dalla posizione di Insight, aveva iniziato a interessare anche l’atmosfera nella regione Elysium Planitia dove si trova il lander. La densità della foschia è aumentata del 40% portando a un crollo della generazione di energia, scesa a soli 275 Wh al giorno. Una quantità assolutamente insufficiente per l’attuale configurazione operativa di Insight.

La posizione della tempesta di sabbia
La posizione della tempesta di sabbia come ripresa il 29 settembre dalla camera Mars Climate Imager a bordo della sonda MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Sebbene l’osservazione dall’orbita faccia pensare che il picco di intensità della tempesta sia ormai passato e che il fenomeno stia rallentando, la situazione per il lander non sembra destinata a migliorare nel breve periodo. Per questa ragione il team della missione ha preso la decisione di spegnere per due settimane il sismometro, altrimenti tenuto in funzione continuativamente tutto il giorno, per permettere così alle batterie di mantenere una carica adeguata. Senza questo intervento si stima che a Insight sarebbero rimaste solo poche altre settimane di operatività.

 

Terremoti ma anche crateri

Dei circa 1300 eventi sismici rilevati da Insight, si è sospettato a lungo che alcuni di essi fossero generati da impatti al suolo di meteoriti. Le ragioni per ritenerlo sono la sottilissima atmosfera marziana, che blocca solo i meteoroidi più piccoli, e la vicinanza con l’importante fascia di asteroidi tra il pianeta rosso e Giove. Tuttavia per molto tempo è mancata l’evidenza sperimentale che permettesse di collegare delle registrazioni di una scossa con un cratere da impatto.

Le cose sono cambiate il 19 settembre con la pubblicazione su Nature Geoscience di un articolo che, per la prima volta, ha dimostrato la possibilità di analizzare a un nuovo livello le registrazioni del sismometro impiegando i dati relativi alla pressione acustica e le onde sismiche. Non è solo l’impatto al suolo a generare potenziali vibrazioni di cui Insight resta in ascolto, ma anche l’ingresso in atmosfera del corpo. I modelli matematici usati dai ricercatori mettono in relazione inoltre il tempo di arrivo delle onde sismiche e la loro polarizzazione, permettendo infine di stimare la posizione degli impatti meteorici.

Il paper documenta in dettaglio ben quattro di questi eventi, rilevati da Insight tra il 2020 e il 2021, e avvenuti a distanze comprese tra 85 e 290 km. Il primo riconosciuto e indubbiamente più spettacolare è quello occorso il 5 settembre 2021, che ha visto un corpo principale entrare in atmosfera e frantumarsi in almeno tre parti più piccole.

Al link https://soundcloud.com/nasa/insight-captures-sound-of-a-meteoroid-striking-mars è possibile ascoltare la registrazione audio processata a partire dai dati del lander.

I tre impatti sono udibili distintamente come fossero il suono di tre gocce, con tempi di arrivo molto diversi tra suoni a bassa ed alta frequenza a causa dell’interazione con l’atmosfera.

Successivamente il satellite Mars Reconnaissance Orbiter, durante un sorvolo dell’area sospettata di aver subito gli impatti, ha acquisito delle immagini in bianco e nero a bassa risoluzione della regione. Tre macchie scure hanno confermato i sospetti, così nuove immagini più dettagliate sono state programmate per la camera HiRise.

tre siti di impatto del meteorite
Immagine dei tre siti di impatto del meteorite “ascoltato” da Insight il 5 settembre 2021. I colori sono stati elaborati per agevolare la visualizzazione all’occhio umano dei dettagli rilevanti. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Gli altri tre eventi registrati da Insight sono avvenuti il 27 maggio 2020, 18 febbraio e 31 agosto 2021. Ciascuno ha lasciato l’inconfondibile firma di un cratere.

I tre crateri dovuti ad altrettanti mini-terremoti
I tre crateri dovuti ad altrettanti mini-terremoti rilevati da Insight. Foto acquisite dal satellite MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Torniamo così alla domanda iniziale: perché abbiamo documentato il primo impatto di un meteorite su Marte tramite Insight solo un anno fa, se stimiamo un’alta frequenza di ingresso di questi corpi in atmosfera? La risposta del team è che data la debolissima intensità delle scosse generate da questo tipo di fenomeno, non superiore al secondo grado di magnitudine per questi quattro eventi, si pensa che la maggior parte di essi sia stata confusa con il rumore del vento marziano e di fenomeni atmosferici stagionali.
Ora che è stato possibile caratterizzare la “firma sismica” dell’impatto di un meteorite su Marte, ci si aspetta che se ne troveranno numerosi altri andando ad analizzare con attenzione i quattro anni di registrazioni del lander a disposizione degli scienziati.

Per questo aggiornamento marziano è tutto, appuntamento al prossimo che cercherò di rendere meno monotematico!

Leggi la prima puntata di News da Marte qui e la seconda qui

Leggi tutte le News da Marte in Astronautica ed Esplorazione

Le Stelle Giganti della Tarantola

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Nella composizione l’immagine della Nebulosa Tarantola catturata dal JWST a sinistra e a destra lo “scatto” del Telescope Hubble.

La Nebulosa Tarantola viene rivelata in tutto il suo splendore in questa immagine dettagliata, ripresa nel visibile e nel vicino infrarosso dal telescopio Hubble. La Tarantola, chiamata anche 30 Doradus, è un’immensa e complessa regione di formazione stellare nella Grande Nube di Magellano, la famosa galassia nana distante 170.000 anni luce da noi. L’oggetto deve il suo nome alla disposizione delle sue regioni di nebulosità più luminose, che in qualche modo assomigliano alle zampe di un ragno cosmico, estendendosi da un “corpo” centrale, dove un ammasso di calde stelle illumina e modella la nube. La zona è ricca di vasti ammassi stellari, gas brillante e oscure polveri cosmiche. Una delicata foschia viola di idrogeno ionizzato riempie la scena celeste, arricchita da filamenti sparsi di polveri e da una miriade di stelle particolarmente luminose e giganti.
Un super-ammasso stellare noto come R136, visibile a sinistra del centro, contiene giovani stelle tra le più massicce e brillanti conosciute, alcune con masse superiori a un centinaio di masse solari e milioni di volte più luminose del Sole. Assieme a Hodge 301 è uno dei due raggruppamenti stellari multipli che rendono così luminosa la Nebulosa Tarantola. Le stelle massicce in R136, la cui età è di pochi milioni di anni, vivono una vita sfolgorante ma breve e muoiono giovani, almeno per gli standard astronomici, esaurendo il loro combustibile nucleare nel giro di qualche milione di anni. All’interno di R136 risplende R136a1, ritenuta la stella più massiccia conosciuta, con una stazza superiore a 250 masse solari.

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Sistema Solare – gli asteroidi

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Schema della classificazione degli asteroidi e le possibili corrispondenze con la composizione delle meteoriti. Da un semplice aggregato di detriti, attraverso processi di fusione parziale o totale (oceano di magma) possono formarsi proto-pianeti con differenziazione interna dei minerali, gli elementi chimici più leggeri nella crosta e quelli più pesanti verso il nucleo. Immagine modificata da K. Joy/LPI/E&SS/NASA/Gary Hincks/Science Photo Library

Di cosa sono fatti gli asteroidi?

Nonostante la loro massa totale non superi quella della Luna, gli asteroidi rappresentano una fonte di informazione unica sulle fasi di evoluzione del nostro Sistema Solare.

Oltre alla variabilità dei loro parametri dimensionali, morfologici, dinamici e orbitali, è stata osservata anche una certa variabilità composizionale all’interno del più di un milione di asteroidi classificati finora, fattore che è stato possibile studiare in dettaglio solo negli ultimi decenni grazie alla maggiore risoluzione delle osservazioni nelle finestre del visibile e infrarosso e alle missioni dedicate.

Un grande aiuto nel lavoro di definizione della  composizione degli asteroidi è offerto dalle meteoriti, che per la  maggior parte sono proprio  frammenti dei primi, anche se non sempre è possibile trovare una corrispondenza diretta con il corpo originario.

Lo stesso  spettro delle superfici proprio degli asteroidi potrebbe essere  stato alterato dalla radiazione solare  rendendole più rosse e più metalliche di quanto non siano in realtà (invecchiamento superficiale) e questo ne limiterebbe la diretta corrispondenza con le meteoriti.

Dall’analisi delle luce riflessa nello spettro visibile e infrarosso, indicativa per altro della presenza di specifici minerali sulla superficie degli asteroidi, sono state proposte poco più di una dozzina di classi composizionali, raggruppate sulla base dell’albedo in tre gruppi principali. Circa il 90% degli asteroidi  appartiene quindi classi C, S e M, tre tipologie che danno informazioni sulla storia evolutiva dei corpi planetari (Figura 1).

La classe C raccoglie gli asteroidi più primitivi, poco evoluti, mentre la S e M caratterizzano corpi che hanno subito una fusione e differenziazione magmatica con la formazione di ‘gusci’ a diversa composizione. In analogia con le meteoriti, la classe S e M vengono raggruppate nella superclasse ‘ignea’ di Bell (Bell et alii, 1988).

La classe C, generalmente corrispondente alla composizione delle meteoriti condritiche, è caratterizzata da una bassa albedo ad essa appartiene la maggioranza degli asteroidi conosciuti. È ricca di carbonio (condriti carbonacee) con percentuali variabili di silicati, in particolare di argille, testimonianza della presenza di acqua in questi corpi poco evoluti. Cerere sarebbe l’oggetto meglio rappresentativo di questa classe, anche se le altre sue caratteristiche portano spingono i ricercatori e più un pianeta nano. La Dawn lo ha avvicinato nel 2015evidenziando macchie chiare ricche di sali con ammonio (De Sanctis et alii, 2016) probabilmente formatisi negli ultimi 2 milioni di anni per percolazione di acqua attraverso le fratture generate da un impatto.

Gli asteroidi avvicinati da una missione planetaria. La figura riporta il nome ufficiale, la classe spettrale, il diametro, il periodo di rotazione, la dimensione del semi-asse maggiore e la missione con l’anno. Le classi Le immagini non sono in scala.
La classe V che rappresenta il corpo più evoluto Vesta e la E di Šteins, rientrano nella superclasse ignea.
La classe Q dell’asteroide Braille rappresenta la superclasse ‘metamorfica’ cioè quegli asteroidi che hanno subito una fase iniziale di parziale fusione con la presenza di silicati ricchi di Fe e Mg e anche dei metalli.
Crediti: CNSA | ESA OSIRIS/MPS/UPD/LAM/IAA/RSSD/INTA/UPM/DASP/IDA |
JAXA, U. Tokyo & collaborators | NASA/IPL-Caltech/Goddard/JHUAPL/SwRI/UA/UMD/UCLA/MPS/DLR/IDA.

La figura sopra mette a confronto le diverse tipologie di asteroidi che sono stati osservati da vicino da una missione planetaria.

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Vita da Astrofilo – parte I

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Prende il via con il numero 258 di Coelum Astronomia una collaborazione importante fra la Redazione e l’astrofotografo Cristian Fattinnanzi che in passato ha già più volte contribuito alla rivista. Fattinnanzi con il suo ricco bagaglio di esperienze maturato sapientemente in tanti anni di paziente preparazione e pratica, metterà a disposizione dei tanti lettori, suggerimenti e trucchi per alimentare le tecniche per l’osservazione e l’astrofotografia, partendo dalle basi acquisite ancora giovane e inesperto fino a giungere alle sofisticate tecniche e soluzioni implementate oggi, dopo oltre trent’anni di operatività per una passione che non sembra mostrare segni di cedimento. Grazie Cristian, lasciamo a te la parola!

Il progresso ci fornisce mezzi tecnologici eccezionali e sempre più evoluti: smartphone, tablet, computer, strumenti che abbinati ad apps o software in numero sempre crescente permettono di soddisfare qualsiasi genere di esigenza.

Anche chi si avvicina all’astronomia, con pochi click, può avvantaggiarsi di questa tecnologia ed entrare velocemente nel fantastico mondo dell’osservazione del cielo grazie ai numerosissimi simulatori della volta celeste.

Apparentemente tutto sembra più facile e veloce, ed in parte lo è, ma forse stiamo dimenticando  qualcosa.

Ho iniziato ad osservare il cielo da bambino: a scuola sentir parlare del Sistema Solare aveva generato in me un’insaziabile curiosità di conoscere e vedere coi miei occhi cose che fino a quel momento avevo completamente ignorato.

Era la fine degli anni ’80, informazioni sull’astronomia si potevano trovare solo su libri, sulle poche riviste di settore reperibili su ordinazione in edicola o su depliant pubblicitari di telescopi scovati in qualche negozio di ottica.

In questo modo un po’ approssimativocontinuai a documentarmi per anni, fino a quando acquistai il mio primo “telescopio”. Dove? Alla “Standa”! Un supermarketmolto famoso inquel periodo!

Si trattava di uno strumento giocattolo, probabilmente dalle prestazioni simili al primo rudimentale cannocchiale di Galileo, l’obiettivo era infatti costituito da una singola lente da 5 cm di diametro (diaframmata a 20mm per ridurre il cromatismo!) con focale di 50 cm, mentre l’oculare, che forniva circa 25x, era formato da 4 lenti di cui 2 preposte al raddrizzamento dell’immagine.

Ebbene, con questo ridicolo strumento, sostenuto da un (inqualificabile!) treppiede da tavolo, iniziai ad ammirare i crateri della Luna e qualche altro oggetto luminoso.

La mia curiosità, unita alla limitatezza della strumentazione, mi spinsero ben presto a studiare più nel dettaglio questo strumento, “vivisezionandolo” alla ricerca di improbabili modifiche per migliorarne la resa.

Nel frattempo mi ero procurato una mappa del cielo, che avevo ridisegnato manualmente ingrandita (le fotocopiatrici erano ancora rarissime…) per potermi orientare meglio nelle notti passate alla ricerca delle costellazioni.

Mappa Stella Cristian Fattinnanzi
La prima mappa stellare ancora conservata

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Piero Angela scienza e umanità a braccetto

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Il 13 agosto scorso i famigliari danno la triste notizia della scomparsa di Piero Angela, per tutti gli italiani il volto amico della TV della divulgazione scientifica.

Oggi tutto il mondo della divulgazione, non solo quello televisivo ma per esempio anche quello che passa attraverso i social network, si nutre dei suoi insegnamenti e delle linee di rispetto dal giornalista sempre promosse.

Noi della redazione lo vogliamo ricordare attraverso l’impegno speso per la diffusione di informazioni verificate scientificamente che l’ha condotto fino alla fondazione del CICAP.

«Bisogna essere dalla parte degli scienziati per i contenuti e dalla parte del pubblico per il linguaggio»

questa era la convinzione di Piero Angela e una delle ragioni profonde del suo successo straordinario. Al contrario di altri personaggi televisivi dediti a solleticare gli istinti più bassi, Piero Angela trattava i suoi spettatori come persone intelligenti che desiderano imparare, anche se non sempre hanno avuto la fortuna di ricevere un’istruzione superiore: il pubblico capiva che il suo rispetto era autentico e lo ripagava con affetto immenso.

Accompagnare Piero Angela al Salone del Libro o ai Convegni del CICAP era come andare in giro con l’equivalente laico di un Papa: a ogni passo si veniva fermati da qualcuno che voleva testimoniarei la propria stima per il suo lavoro. Al termine di ogni sua conferenza c’era una lunga coda di persone che chiedeva autografi sul suo ultimo libro. Lui si godeva l’affetto del suo pubblico e lo ricambiava sinceramente, rimanendo al suo posto per tutto il tempo necessario per scambiare qualche parola con tutti coloro che lo desideravano, con la stessa educazione e cortesia che mostrava in televisione. Non c’erano due Piero Angela, uno privato e uno pubblico: quello che si vedeva in televisione era lo stesso che conoscevano i suoi amici e colleghi, sempre lucido e razionale, senza mai un moto d’ira o una parola fuori posto, ma anche umano e ricco di passioni, dalla musica agli scacchi.

La prima educazione arriva dalla famiglia e quella di Piero Angela era fuori dal comune. Suo padre Carlo era un neuropsichiatra che durante la seconda guerra mondiale salvò numerosi ebrei e antifascisti dalla deportazione ricoverandoli con false diagnosi nella sua casa di cura di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino.

Finita la guerra, la famiglia non rivelò l’accaduto, con tipico riserbo piemontese, e il coraggio di Carlo Angela rimase sconosciuto fino a quando nel 1995 fu pubblicato il diario postumo di una delle persone che aveva salvato, Renzo Segre. Nel 2001 Carlo Angela fu riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” e il suo nome venne inserito nel “Giardino dei Giusti” a Gerusalemme.

È da lui che Piero Angela apprese non solo l’amore per la giustizia, ma anche quello per la razionalità che contraddistinguerà tutto il suo operato.

Piero Angela con i volontari del CicapFest 2019 cortesia di Roberta Baria

La carriera giornalistica di Piero Angela comincia all’inizio degli anni Cinquanta. Finito il liceo classico, Piero studia ingegneria al Politecnico di Torino, ma dopo aver accompagnato un amico a un provino presso la Rai è inaspettatamente lui a essere scelto: per dedicarsi al lavoro mette da parte sia gli studi universitari sia una promettente carriera da pianista jazz, anche se non smetterà mai di suonare per divertimento. Diventa cronista radiofonico e poi inviato all’estero dell’unico telegiornale nazionale. Sarà anche conduttore della prima edizione del telegiornale e primo conduttore del TG2 alla nascita della seconda rete, ma è soprattutto come conduttore di trasmissioni di divulgazione scientifica che conquista il pubblico. Comincia nel 1968, con il programma Il futuro dello spazio dedicato al programma spaziale Apollo. Non si fermerà più per i successivi cinquantaquattro anni.

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