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Pausa caffè con Coelum, sfogliando la rivista

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Sfogliamo insieme la rivista!

Il 20 Gennaio è uscito il n. 254 di Coelum Astronomia, rinnovato nel formato, con tanti articoli, approfondimenti, spettacolari immagini e la qualità di sempre!

Vi aspettiamo in diretta oggi, venerdì 4 febbraio alle 14:30, per sfogliare insieme l’ultimissimo numero di Coelum Astronomia, scoprendo i contenuti e curiosando tra le pagine… bevendoci insieme un caffè!

Una piccola pausa tra le stelle!

L’occasione giusta per sbirciare insieme tra le pagine e per porgere le vostre domande direttamente alla Direttrice di Coelum!

Ci trovate su Facebook, YouTube e Twitter.

Il cielo del 1985

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Preparate le Reebok pump che oggi si vola nel 1985, quando tutto era possibile e i film erano fighissimi. In questo anno, mentre Etienne Navarre rincorreva in una struggente storia d’amore Isabeau in Ladyhawke, tre ragazzini, gli explorers, inventavano una formula per il computer, e costruirono artigianalmente un veicolo spaziale.

Altri ragazzini invece erano intenti a cercare il tesoro di Willy l’Orbo, ma non vi dico il nome del film perché sarebbe come chiedere quanto fa 1+1. Ora, sulla scia di Marty McFly, che tornava indietro nel tempo per la prima volta sul grande schermo, anche noi oggi ci spariamo uno degli anni più belli del decennio più incredibile del secolo scorso. Vediamo cosa succedeva nello spazio.

Scienziati veri, non quelli della NASA con i RayBan e la camicia bianca con le maniche arrotolate, misuravano per la prima volta il diametro di Plutone. L’astronomo Edward E. Tedesco di Terrasystems Inc. in quegli anni ebbe l’intuizione di approfittare di un’eclisse del pianeta da parte del suo satellite Caronte per ricavare il valore dell’estensione del suo disco: poco più di 3000 km, contro il valore vero di circa 2360 km. Il 2 luglio dello stesso anno venne lasciata la sonda interplanetaria Giotto, sparata nell’universo per osservare la cometa di Halley. Sempre nel 1985, gli studi di Raymond Davis Jr e Masatoshi Koshiba dimostrarono che il flusso dei neutrini emessi dal Sole era nettamente minore di quello che ci si sarebbe aspettato dalle leggi della fisica nucleare.

 

Questo scosse la cosmologia dell’epoca, facendo guadagnare ai due scienziati, nel 2002, il Nobel per la fisica. Grazie ai progressi della tecnologia, venne inoltre sviluppato il supercalcolatore CRAY-2, progettato da Seymour Cray ed in grado di eseguire un miliardo di operazioni matematiche al secondo. Mediamente oggi, un processore da 3.2 GHz può elaborare 3.2 miliardi di operazioni (o cicli) al secondo. Negli anni Novanta tale supercalcolatore venne utilizzato per simulare fenomeni fisici molto complessi, come la distribuzione delle galassie nell’Universo.

Il puzzle dell’astronomia acquisiva tasselli importanti in quegli anni. Nel 1985 fu persino scoperto il primo fullerene C60! Sì, esatto, quello a forma di pallone da calcio, una struttura a icosaedro tronco, composta da 12 anelli pentagonali e 20 anelli esagonali, che fu individuata nel vapore prodotto per irradiazione mediante laser della grafite. E mentre il buco nell’ozono continuava ad aumentare, e negli abissi del mare veniva individuato il relitto del Titanic, lo Shuttle Atlantis, il quarto orbiter della flotta americana dello Space Shuttle, iniziava la sua prima missione nello spazio. Durante la sua vita operativa, Atlantis orbiterà intorno alla Terra per un totale di 4848 volte, viaggiando per quasi 203 milioni di chilometri, più di 525 volte la distanza dalla Terra alla Luna. Ed ora che è quasi finito il 1985 uscite a giocare a palle di neve che, fidatevi, una nevicata così non la vedrete più per molti anni, quindi godetevela, inzuppatevi fino alle mutande, ridete e divertitevi, che gli anni ’80 sono già a metà.  Ora vado che devo finire una partita di Space Harrier sul SEGA. Ciao belli!

LUNA: la palestra ad hoc per gli astronauti

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La collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e il Centro aerospaziale tedesco (DLR) ha dato vita al progetto ESA-DLR LUNA, che fornirà uno spazio di addestramento per gli astronauti che si accingeranno ai futuri viaggi sulla Luna del programma Artemis.

Modello VR dell’esterno dell’edificio LUNA: l’ingresso principale della struttura e il modulo abitativo adiacente, chiamato Future Lunar Exploration Habitat (FLEXHab). Credit: ESA/DRL

Juergen Schultz, responsabile del progetto, afferma: «La prima idea per la struttura risale al 2015, ma a causa di alcuni incidenti di percorso (iterazioni della progettazione e specie infestanti in prossimità dell’area in costruzione dell’edificio) puntiamo ad avere l’edificio completo per la fine dell’estate 2022».

Un simulatore di regolite

LUNA avrà una sala principale che conterrà un’area di 700 m², ricoperta di regolite, ottenuta con un simulatore di polvere lunare chiamato EAC-1. Questa sala sarà dotata di un’illuminazione controllabile per replicare il più fedelmente possibile le condizioni del nostro satellite. A questa bisognerà aggiungere ulteriori stanze di simulazione, infrastrutture di supporto e un laboratorio, che faranno estendere l’edificio fino a circa 1000 m².

Modello VR della sala principale di LUNA contenente l’area del banco di prova della regolite. Credit: ESA/DRL

Al fianco di LUNA, verrà adibito un modulo abitativo, noto come Future Lunar Exploration Habitat (FLEXHab). Questo rappresenterà la base dove potrebbero vivere e lavorare gli astronauti. Sia FLEXHab che LUNA saranno alimentati da sistemi ad energia solare.

Rappresentazione del Future Lunar Exploration Habitat (FLEXHab) che ospiterà attività ed esperimenti scientifici. Situato al di fuori della struttura analogica ESA-DLR LUNA, fornirà un collegamento diretto alla superficie di regolite riprodotta. Credit: ESA/DRL

Una vera e propria palestra!

Il contesto abitativo fornirà una serie di attività, ideate per allenare i futuri esploratori della Luna. Si spazierà dall’esplorazione della superficie del nostro satellite alla verifica dei sistemi robotici, dall’applicazione di esperienze in realtà aumentata (AR) allo sviluppo e ricerca di nuovi materiali.
Infatti, lo scopo del progetto è quello preparare i futuri astronauti, fornendo un ambiente che simuli al meglio le condizioni della superficie lunare. Per raggiungere questo obiettivo, LUNA beneficerà della presenza dell’Istituto di Operazioni Spaziali e dell’Istituto di Medicina Aerospaziale, in aggiunta all’ESA e al DLR tedesco.

 

Juergen aggiunge: «LUNA andrà a colmare le lacune di un addestramento già preesistente per gli astronauti, così che possono essere pronti per sfide lunari eccezionali come le capacità di trasporto, la mobilità sulla superficie, le configurazioni per le comunicazioni, e prove per l’ambiente ostile del nostro satellite».

Immagine del modello VR dell’atrio principale di LUNA, con l’EAC visibile sul lato opposto. Credit: ESA/DRL

LUNA, rientrando nel programma Artemis, vuole suscitare l’interesse di altre agenzie internazionali che già si preparano a viaggi al di fuori dell’orbita terrestre.

«Con LUNA, l’ESA e DLR mirano a mettere l’Europa non solo in lista per i preparativi per la Luna, ma che per i prossimi viaggi su Marte», conclude Juergen.

 

Fonti: 

Release: https://www.esa.int/Space_in_Member_States/Italy/LUNA_sta_prendendo_forma

Tempeste solari nel ghiaccio

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Impresso nel ghiaccio.

È possibile trovare le prove di un’enorme e antica tempesta solare nel ghiaccio?

È proprio quello che hanno scoperto i ricercatori della Lund University in Svezia grazie ai campioni di alcuni carotaggi provenienti dalla Groenlandia e dall’Antartide. E ciò che ha sorpreso ancor di più gli scienziati è il fatto che la tempesta si sia verificata in una fase relativamente tranquilla del Sole, durante la quale si ritiene che la Terra sia stata meno esposta a tali eventi.

Immagine da satellite della costa ghiacciata della Groelandia. Credit: NASA

L’attività del Sole è un prerequisito fondamentale per la vita del nostro pianeta, ma intense esplosioni possono generare un’energia tale da generare delle tempeste geomagnetiche che possono causare interruzioni di corrente e disturbi ai mezzi di comunicazione.

 

Tempeste cicliche

Prevedere simili tempeste è piuttosto difficile. In ogni caso, le ricerche indicano che questi eventi siano più probabili durante una forte attività solare, che spesso corrisponde al ciclo delle macchie solari. Tuttavia, il nuovo studio (pubblicato su Nature Communications lo scorso 26 gennaio) dimostra che l’eventualità che si manifesti una tempesta anche durante una fase di attività relativamente debole non è poi così remota.

Scatto di un esplosione sulla superficie del Sole. Credit: NASA

«Per arrivare a queste conclusioni, abbiamo compiuto delle trivellazioni nel ghiaccio della Groelandia e dell’Antartide», afferma Raimund Muscheler, geologo presso la Lund University, «Abbiamo scoperto tracce di una massiccia tempesta, che deve aver colpito la Terra circa 9.200 anni fa, durante una delle fasi passive della nostra stella».

I ricercatori hanno analizzato le carote di ghiaccio alla ricerca dei picchi di alcuni isotopi radioattivi (berillio-10 e cloro-36). Tali picchi sono prodotti da particelle cosmiche ad alta energia, che possono essere conservate nel ghiaccio e nei sedimenti.

Immagine in laboratorio durante le analisi delle carote di ghiaccio. Foto: Raimund Muscheler

«Una simile ricerca richiede molto tempo e denaro. Pertanto, siamo rimasti piacevolmente sorpresi quando abbiamo riconosciuto che il picco indicava una gigantesca tempesta solare finora sconosciuta in relazione a una bassa attività solare», dice Raimun Muscheler.

 

E se qualcosa di simile si verificasse oggi?

Le conseguenze potrebbero essere severe.

Oltre alle interruzioni di corrente e al danneggiamento dei satelliti, potrebbe esserci un serio pericolo per il traffico aereo e gli astronauti, nonché il collasso di vari sistemi di comunicazione.

Non perderti il nostro articolo: Il Sole si è svegliato. Brillamenti e tempeste geomagnetiche

«Questi giganteschi eventi sono inclusi in relative categorie di rischio», conclude Muscheler, «È della massima importanza studiare in maniera approfondita il tema per comprendere sempre di più a quali rischi vanno incontro le nostre apparecchiature tecnologiche, e quindi proteggerci nel dovuto modo».

Ora, gli autori dello studio, sono concordi sul fatto che è essenziale compiere ulteriori analisi sulle carote di ghiaccio, per spiegare perché una simile tempesta si sia verificata quando il Sole era poco attivo. Forse esiste un diverso scherma rispetto all’ormai conosciuto ciclo di 11 anni della nostra stella, probabilità ora piuttosto concreta.

Fonti:

Release: https://www.lunduniversity.lu.se/article/ancient-ice-reveals-mysterious-solar-storm

Nature Communications (January 2022):Cosmogenic radionuclides reveal an extreme solar particle storm near a solar minimum 9125 years BP” by Chiara I. Paleari, Florian Mekhaldi, Florian Adolphi, Marcus Christl, Christof Vockenhuber, Philip Gautschi, Jürg Beer, Nicolas Brehm, Tobias Erhardt, Hans-Arno Synal, Lukas Wacker, Frank Wilhelms, Raimund Muscheler.

Il saluto a Tito Stagno, la voce che ci accompagnò sulla Luna

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«Ha toccato! Ha toccato in questo momento il suolo lunare»

Questa frase risuona ancora per molti italiani che hanno assistito in diretta allo sbarco sulla Luna del 20 luglio 1969.

Ad accompagnarci fu lui, Tito Stagno, storico giornalista del servizio pubblico. Si è spento ieri, il 1 Febbraio, all’età di 92 anni.

credit foto: ansa

Tito Stagno fu volto e voce tra i più noti di Rai1. Nel 1957 si era appassionato alla vicenda dello Sputnik, lanciato in quell’anno: «Me ne occupai io e da allora quel settore in ascesa divenne un po’ il mio» così raccontava.

Passò alla storia per la diretta di oltre 25 ore dallo studio 3 di via Teulada, in collegamento con Houston dove c’era Ruggero Orlando, per seguire lo sbarco sul nostro satellite. È diventata “leggenda” la storia del “battibecco” avuto proprio con Orlando durante la telecronaca dell’allunaggio. «Eravamo molto molto amici: comunque, anche per motivi tecnici, io diedi la notizia 20 secondi prima di lui» ricordava Stagno con un sorriso.

Di quella storica diretta il giornalista ricordava spesso con nostalgia il sentore di «una stagione di entusiasmi, di coraggio, di desiderio di conoscenza che si rivelò poi troppo breve».

 

«Ho un ricordo fortissimo di Tito Stagno, la notte dell’allunaggio nel luglio 1969, avevo 6 anni ed ero già innamorato dello spazio» racconta presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Giorgio Saccoccia «Ho un solo rammarico: non essere riuscito a farmi una chiacchierata con lui. Più volte ho sfiorato l’opportunità di incontrarlo ma non sono riuscito».

«Ho conosciuto Tito Stagno ed è stato un incontro simpatico, abbiamo partecipato ad una iniziativa insieme: era entusiasta dello spazio come fosse un giovanotto nonostante l’età, abbiamo chiacchierato per un bel po’» ricorda l’ex astronauta italiano Umberto Guidoni.

«Sono dispiaciutissimo per la scomparsa di Tito Stagno che è stato testimone di un’epoca» le parole di Franco Malerba, primo astronauta italiano.

Coelum Astronomia si unisce all’ultimo saluto di questa iconica voce del giornalismo italiano.

 

Fonti

https://www.rainews.it/
https://www.lastampa.it/

Misterioso segnale radio nella Via Lattea

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Puntuale come un orologio svizzero

18 minuti.
Anzi, a voler essere precisi: 18 minuti e 18 secondi.

È questa la cadenza di un insolito segnale captato dal radiotelescopio australiano Murchison Widefield Array, che sembra derivi da una sorgente misteriosa.

Il primo a individuarlo è stato uno studente universitario australiano, Tyrone O’Doherty, durante il lavoro per la tesi di laurea, analizzando dati raccolti dal 3 gennaio al 28 marzo 2018.

«L’impulso arriva ogni 18 minuti e 18 secondi, puntuale come un orologio svizzero», afferma l’astrofisica Natasha Hurley-Walker, che ha condotto l’indagine dopo la scoperta dello studente «Di solito oggetti nell’universo, come le pulsar, si accendono e si spengono con regolarità, ma questa è una frequenza con una precisione tale che non mai stata osservata prima».

Telescopio Murchison Widefield Array nel deserto dell’Australia occidentale. Credit: MWA

Gli astronomi che hanno osservato il fenomeno lo hanno definito come “qualcosa di un po’ inquietante”. Ora il team sta cercando scoprire la natura dell’oggetto.

Ordinando i dati raccolti, gli scienziati sono riusciti a stabilire che l’oggetto si trova a circa 4.000 anni luce dalla Terra. Sembra essere incredibilmente luminoso e ha un campo magnetico estremamente forte, ma ci sono ancora molti misteri di risolvere.

«Considerando le regole della matematica fino ad ora conosciute, tale oggetto non dovrebbe avere tutta questa potenza per poter emettere onde radio ogni 20 minuti circa», prosegue Hurley-Walker, «La sua esistenza sarebbe quasi impossibile».

I ricercatori sostengono che l’oggetto potrebbe essere qualcosa di già teorizzato, ma non ancora osservato: una “magnetar di periodo ultra lungo” (ultra-long period magnetar). Ovvero una tipologia di stella di neutroni che ruota lentamente e la cui esistenza è prevista dalla teoria, ma che nessuno si aspettava di rilevare direttamente. In particolare, i ricercatori non si aspettavano fosse così brillante.

Questa immagine mostra la Via Lattea vista dalla Terra. L’icona a forma di stella mostra la posizione del misterioso segnale ripetuto. Credits: Dott.ssa Natasha Hurley-Walker (ICRAR/Curtin).

Oppure un’altra ipotesi è che si tratti di una nana bianca (residuo di una stella collassata).

«Ma anche questa ipotesi è piuttosto insolita. Conosciamo solo una pulsar nana bianca, che comunque non è in grado di rilasciare un simile energia», spiega la Hurley-Walker, «Potrebbe essere infatti qualcosa di completamente nuovo. Ulteriori rilevamenti saranno utili per comprendere se questo sia stato un caso isolato, o se ci troviamo di fronte ad una nuova classe di oggetti celesti».

La scoperta è stata recentemente pubblicata su Nature.

Fonti:

Nature (January 2022): “A radio transient with unusually slow periodic emission” by N. Hurley-Walker, X. Zhang, A. Bahramian, S. J. McSweeney, T. N. O’Doherty, P.J. Hancock, J. S. Morgan, G. E. Anderson, G. H. Heald & T. J. Galvin.

SUPERNOVAE: aggiornamenti di Febbraio 2022

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La stavamo aspettando da molti mesi e finalmente la tanto sospirata scoperta amatoriale italiana è arrivata. Mancava dal 23 novembre 2020 con la SN2020aavb scoperta da Paolo Campaner e Fabio Briganti. A mettere a segno il “colpaccio” ed ormai ad oggi, solo così possiamo definire un successo che permette di battere sul tempo gli infallibili o quasi programmi professionali di ricerca supernoave, sono stati Franco Cappiello, astrofilo lombardo di Noviglio (MI) e Salvo Massaro, astrofilo siciliano abitante a Palermo.

I due scopritori della SN2022abq in NGC5117, Franco Cappiello a sinistra e Salvo Massaro a destra.

I due amici hanno realizzato l’osservatorio Stazione Astronomica G. Bruno, situata al Passo del Brallo in provincia di Pavia, al confine fra la Lombardia e la Liguria. L’osservatorio ospita un telescopio Ritchey-Chretien da 50cm F.7,4 che viene utilizzato in remoto con il programma Ricerca 7 realizzato dallo stesso Massaro. Nella notte del 21 gennaio hanno individuato una nuova stella di mag.+16,2 nella galassia a spirale barrata NGC5117 posta nella costellazione dei Cani da Caccia al confine con quella della Chioma di Berenica e distante circa 110 milione di anni luce. Nella notte seguente la scoperta gli astronomi dell’Osservatorio di Asiago, guidati da Lina Tomasella e Paolo Ochner e coadiuvati dal nostro Claudio Balcon (ISSP), con il telescopio Galileo di 1,22 metri, hanno ottenuto lo spettro di conferma evidenziando che eravamo di fronte ad una supernovae di tipo II molto giovane, cioè scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. Alla supernovae è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2022abq.

Immagine della SN2022abq in NGC5117 realizzata da Franco Cappiello e Salvo Massaro con un telescopio Ritchey-Chretien da 50cm F.7,4 ed esposizione di 260 secondi.

Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità del transiente è aumentata, raggiungendo una luminosità vicino alla mag.+15. Per i due astrofili si tratta della prima scoperta ed immaginiamo quanto grande sia stata la loro gioia e soddisfazione. A loro vanno i nostri più sinceri complimenti per un successo così importante e veramente difficile da ottenere.

Sul versante italiano abbiamo il piacere di evidenziare anche un’altra importante scoperta. A metterla a segno, nella notte del 21 gennaio, è stato ancora una volta il veterano astrofilo romagnolo Mirco Villi, che continua la sua proficua collaborazione con i professionisti americani del CRTS Catalina. Come già detto in passato, questa scoperta possiamo definirla ibrida poiché è stata ottenuta da un astrofilo, ma utilizzando una strumentazione professionale.

Il successo infatti è stato ottenuto analizzando un’immagine realizzata con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. Il debole oggetto, che al momento della scoperta mostrava una mag.+19,9 è stato individuato nella galassia a spirale barrata UGC9476 posta nella costellazione del Bootes a circa 160 milioni di anni luce di distanza. Al momento in cui scriviamo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022aeg.

Immagine di scoperta della AT2022aeg in UGC9476 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Non contento di questo successo, Mirco Villi si è concesso il lusso di un fantastico bis a distanza soli sei giorni dalla prima scoperta. Nella notte del 27 gennaio ha infatti individuato un debole oggetto di mag.+20,3 sempre analizzando un’immagine realizzata con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri, nella piccola galassia PGC31434 posta nella costellazione del Leone a circa 360 milioni di anni luce distanza. Anche per questo secondo transiente, al momento in cui scriviamo, nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022amg.

Immagine di scoperta della AT2022amg in PGC31434 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Nel mese di gennaio dobbiamo segnalare altre due nuove scoperte amatoriali. Sono state realizzate entrambe dai cinesi del programma XOSS Xingming Observatory Sky Survey, capitanati da Xing Gao, che con queste due nuove scoperte raggiunge quota 57, occupando la decima posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Il primo transiente è stato individuato nella notte del 6 gennaio nella piccola galassia denominata LEDA2547211, posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore e distante circa 450 milioni di anni luce. Al momento della scoperta, il nuovo oggetto brillava di mag.+17,6 ed i primi ad ottenere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi italiani dell’Osservatorio di Asiago. Nella notte dell’8 gennaio, utilizzando il telescopio Copernico da 1,82 metri hanno classificato la SN2022eb, questa la sigla definitiva assegnata, come una supernova di tipo Ib scoperta intorno al massimo di luminosità.

Immagine di scoperta della SN2022eb realizzata dal team di Xing Gao con un riflettore da 30cm F.3,6

Ed infatti il 9 gennaio la luminosità era già calata alla mag.+18,3 come evidenziato da osservazioni di follow-up realizzate dal programma professionale americano denominato ATLAS. Sempre il 9 gennaio, anche gli astronomi cinesi dello Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang da 2,4 metri hanno ottenuto lo spettro di questa supernova, confermando la classificazione di Asiago come tipo Ib. Questo tipo di supernovae viene originato dal collasso del nucleo di stelle massicce, che hanno perduto gli strati esterni di idrogeno. Le supernovae di tipo Ib sono meno luminose delle Ia ed anche molto più rare. Basti pensare che nel 2021 sono state classificate 1550 supernove di tipo Ia e solo 40 di tipo Ib.

Immagine di follow-up della SN2022eb realizzata dal team di Xing Gao con un telescopio Ritchey-Chretien da 60cm F.8

La seconda supernova scoperta dei cinesi del team di Xing Gao è stata individuata la notte del 9 gennaio nella galassia a spirale IC4040 situata nella costellazione della Chioma di Berenice, distante circa 340 milioni di anni luce. IC4040 fa parte dell’ammasso di galassie della Chioma di Berenice, dove spiccano galassie più appariscenti come NGC4489, NGC4874 e NGC4921. Questa è una zona del cielo dove, con una ripresa a largo campo, si possono inquadrare e quindi monitorare numerose galassie con una singola immagine. Anche questo secondo transiente, al momento della scoperta, era molto debole a mag.+18,1.

Immagine di scoperta della SN2022jo realizzata dal team di Xing Gao con un Celestron C14 da 35cm

Se nella precedente supernova gli astronomi cinesi dello Yunnan Observatory erano stati battuti sul tempo dagli astronomi di Asiago, per questa supernova sono stati più rapidi, ottenendo per primi lo spettro di conferma nella notte dell’11 gennaio. La SN2022jo, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane, cioè scoperta pochi giorni dopo l’esplosione.

Immagine di follow-up della SN2022eb realizzata dal team di Xing Gao con un telescopio Ritchey-Chretien da 60cm F.8

Il nostro ISSP Italian Supernovae Search Project collabora con i cinesi del programma XOSS e perciò abbiamo contattato l’astrofilo Mi Zhang, che è uno dei membri più attivi del team di Xing Gao, il quale ci ha fornito le immagini di scoperta delle due supernovae realizzate rispettivamente con riflettore da 30cm F.3,6 e con un Celestron C14 da 35cm e le due immagini di follow-up realizzate con il telescopio Ritchey-Chretien da 60cm F.8 che rappresenta lo strumento principale dei tre osservatori di Xing Gao.

Il mitico ricercatore del Sol Levante Koichi Itagaki poteva restare a guardare? Naturalmente no e nella notte del 27 gennaio mette a segno anche lui la sua prima scoperta del 2022 raggiungendo quota 166 e riprendendosi la terza posizione nella Top Ten Mondiale a scapito del neozelandese Stuart Parker fermo a quota 165. Il famoso giapponese ha individuato il nuovo oggetto a mag.+17,3 nella galassia a spirale barrata NGC1255 posta nella costellazione della Fornace a circa 70 milioni di anni luce di distanza. La notte seguente la scoperta, dal Gemini Observatory sul Cerro Pachon in Cile con Gemini South Telescope da 8,1 metri di diametro è stato ripreso lo spettro di conferma.

Immagine di scoperta della SN2022ame in NGC1255 ottenuta da Koichi Itagaki con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 35cm F.11

La SN2022ame, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane scoperta appena 4 giorni dopo l’esplosione. Purtroppo è presente una forte estinzione da polveri della galassia ospite, che toglierà da due a tre magnitudini, impedendo alla supernova di raggiungere una notevole luminosità. NGC1255 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta, la SN1980O scoperta il 30 ottobre del 1980 dall’astronomo tedesco Hans-Emil Schuster.

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Transiti notevoli ISS per il mese di Febbraio 2022

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La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli nel tardo pomeriggio nella prima parte del mese e a orari antelucani nella seconda. Avremo ben sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni!

Si inizierà il giorno 1 Febbraio dalle 18:41 alle 18:47, osservando da NO a ENE.

La ISS sarà ben visibile da tutto il Paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.1.

Si replica il 3 Febbraio dalle 18:48 (verso ONO) alle 18:55 (verso SE).

Visibilità migliore da tutto il Paese per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.7.
Uno dei migliori transiti del mese: imperdibile, meteo permettendo!

Passiamo al giorno 4 Febbraio dalle 18:03 in direzione NO alle 18:13 in direzione ESE.

Osservabile da tutta Italia, con una magnitudine massima di -3.8.
Un altro bel transito da non perdere!

Saltiamo di circa due settimane e giungiamo al 20 Febbraio, dove avremo il miglior transito mattutino del mese.

Visibile da nord a sud del nostro Paese, dalle 06:22 (verso OSO) alle 06:32 (verso NE), con magnitudine massima di -3.7.
Sicuramente un passaggio che vale la sveglia anticipata!

Il penultimo transito del mese avverrà il 21 Febbraio dalle 05:42 alle 05:50 da SO a ENE. Magnitudine massima di -3.5, con visibilità ottimale da tutta la nazione.

L’ultimo transito, il 24 Febbraio, sarà invece un passaggio parziale con magnitudine massima di -3.3, visibile al meglio dal Nord Italia. Avverrà dalle 05:15 alle 05:20, da NO a NE.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

En route to the Moon again. This time to stay there! Pt. 1

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The journey to the Moon is surely the most extreme ever undertaken by a human being.

It is incredible to think how the Apollo astronauts managed to reach our satellite aboard a spacecraft which on board computer had the computing power of a pocket calculator.

Despite the technological limitations of the time, they were able to demonstrate the feasibility of a journey until then considered impossible. Today, more than fifty years later, with Artemis 1 we are preparing again to make this incredible crossing.

We will use the same trajectories born in that golden age of space exploration, but we will have the support of much more advanced knowledge in the field of astrodynamics that will allow us to exploit in a much more efficient way the gravitational laws of orbital mechanics. And in the near future, such a journey may become less and less exceptional, and more and more normal.

Illustration of SpaceX Starship human lander design that will carry the first NASA astronauts to the surface of the Moon under the Artemis program.
Credits: SpaceX

But never entirely easy and without danger!

Unlike atmospheric flight, space flight is in fact characterized by extremely limited freedom of movement. If an airplane can reach the same destination by making hundreds of different routes, the routes to the Moon are much less. The reason is that the motion of bodies in space is bound to very precise laws dictated by gravitation.

Exploiting these laws, the engineers of the Apollo program studied in the sixties, for the first time, the transfer trajectories to the Moon that are still used today. But the Artemis Mission will travel new ones.

Believe me. It will be a return to the “Apollo Spirit”, it will be something formidable, not to be missed.

So what would you say, in order not to be caught unprepared by the events and to follow at best a three-week space adventure, to do together a nice review of all phases of the mission?

Would you like to?

The exact day we do not know yet, but now we are sure to be in the home stretch. Whether it will be in next December or January, soon will finally start the mission that will open the doors of human exploration of the Solar System.

From Launch Complex 39B at Kennedy Space Center is in fact about to be launched Artemis 1, which in addition to being the first mission of the Artemis program, will also be the first flight for both the heavy Space Launch System and the Orion capsule.

Precisely because of the need to still test these means, onboard Artemis 1 there will be no astronauts. As a result, life support, displays, and control instrumentation have been removed from the capsule. In its place have been inserted sensors and scientific instruments capable of detecting every single parameter inside the capsule, such as radiation levels, pressures, and temperatures. Onboard, however, there will be dummies, on which sensors are placed to monitor all the levels of radiation they will undergo.

The name chosen for the main dummy (“Commander Moonikin Campos”) pays homage to the famous engineer of the Apollo 13 mission, the one who played a key role in bringing back safely to Earth the astronauts Jim Lovell, Jack Swigert, and Fred Haise, after an explosion in the service module not only thwarted the moon landing but also put a strain on the simple re-entry.

Moon’s surface. Credit: NASA

Moonikin Campos will wear the same spacesuit that will be used by the astronauts and will be equipped with a series of sensors that can measure several useful parameters, such as the values of acceleration during the various phases of the trip, the vibrations to which the crew members will be subjected and the level of radiation. Campos will not be alone, to keep him company there will be Zolgar and Helga, two human torsos similar to those normally used for simulations of ballistic trauma.

The service module, which will provide propulsion, electrical power, temperature control, and life support to the crew module, will be developed by the European Space Agency.

The Space Launch System rocket is designed for missions carrying crew or cargo to the Moon and beyond, and will produce 4 million kilograms of thrust during lift-off and ascent to carry a vehicle weighing 2,700 tons into orbit.

Lifted by a pair of boosters and four engines, the rocket will reach its period of maximum thrust within ninety seconds. After throwing the boosters, service module panels, and launch abort system overboard, the main stage engines will shut down and the main stage will separate from the spacecraft, consisting of the Orion capsule, the European Space Agency-provided Service Module, and the rocket’s second stage (the Interim Cryogenic Propulsion Stage). The ESA module is placed under the actual capsule, and will accompany it throughout the journey to and from the Moon.

Only before Orion returns to Earth this module will be undocked. Inside are the capsule’s main engines, gas and propellant tanks, and various secondary engines. The Space Launch System will bring the Orion capsule, together with the second stage and into a parking orbit at an altitude of about 200 km. After a couple of revolutions around the Earth, at the appropriate time will be deployed the solar panels and then turned on the engines of the second stage, which will produce an increase in speed that will allow the spacecraft to leave the parking orbit. This maneuver is called Transfer Lunar Injection and it will bring the spacecraft on the right course towards the Moon.

To be continued …

Il cielo di Febbraio 2022

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Il mese di febbraio ci offre ancora un’ampia panoramica sulle costellazioni invernali che occupano la volta celeste con i loro astri dominanti.

Già dalla prima serata è  ben visibile il leggendario cacciatore Orione, fiammeggiante al suo fianco l’occhio rosso del Toro (la stella Aldebaran), presenti inoltre Auriga e i Gemelli che con le stelle Castore e Polluce ci accompagnano per tutta la notte, splendono alti in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.

Per approfondire: Le Costellazioni di Febbraio 2022 a cura di Teresa Molinaro

COSA OFFRE IL CIELO

Effemeridi pianeti Febbraio 2022

Mercurio

Presente poco prima del sorgere del Sole, verso fine mese si avvicinerà a Saturno sempre più, fino a giungere a poco più di 3° di separazione il 28/02. La congiunzione avverrà all’approssimarsi delle prime luci dell’alba e i due pianeti saranno bassi all’orizzonte (quindi difficilmente osservabili).

Venere

Il giorno 12/02 il pianeta condividerà con Marte la stessa ascensione retta, con 6° 34’ di separazione. Un bella congiunzione osservabile da intorno le 5:30 del mattino, accompagnandoci fino al sorgere del Sole (alle 07:09).

Poco dopo le 5:30 del 27/02 segnaliamo una bella congiunzione Marte-Luna, con Venere che sovrasterà il pianeta rosso sulla stessa linea del nostro satellite.

Non perdetevi l’approfondimento sul Falcetto di Venere immortalato il 13 Gennaio a cura del nostro autore Claudio Pra


Tra sogno e realtà – Falcetto di Venere

Marte

Per tutto il mese, Marte si mostrerà nei cieli mattutini a sudest, anticipando di poco l’alba del Sole.

Il giorno 05/02, all’interno della costellazione del Sagittario avremo un bel quadro celeste con Marte “affiancato” a M22 intorno le 6 del mattino. Un’osservazione non facile, trovandoli bassi all’orizzonte e in prossimità del sorgere del Sole, ma tentar non nuoce!

Degna di nota la già citata congiunzione Marte e Venere del giorno 12/02. Mentre, il 27/02, con soli 3°29’, Marte si accosterà a una sottilissima falce di Luna calante, con Venere a vegliare sopra di loro.

Giove

Visibile alle ultime luci del giorno fino intorno il 17 del mese, anticipando sempre di più il suo tramonto.

Si affiancherà a una sottilissima Luna il secondo e terzo giorno del mese, ma la sua vicinanza al Sole ne permetterà la visione solo tramite apposito filtro.

Disponibile sull’ultimo n.254 di Coelum Astronomia l’approfondimento su Juno – Giunone scruta sotto le nubi di Giove

Saturno

Già dai primi giorni del mese si affiancherà al Sole seguendone il moto nell’arco del cielo. In particolare, il 04/02, sarà in congiunzione con la nostra stella con una separazione di soli 0°51’.

Oltre a rimanere inosservabile per diverse settimane, il pianeta si presenterà anche alla sua minore luminosità, trovandosi al suo punto più lontano dalla Terra (a una distanza di 10,90 UA).

Urano e Nettuno

Urano sarà osservabile al tramonto per tutto il mese, il giorno 07/02 segnaliamo una bella congiunzione con la Luna; in particolare alle 20:30 i due astri si troveranno a solo 1°20’ di separazione.

Nettuno, all’inseguimento di Giove per tutto il mese, parteciperà all’affiancamento Luna-Giove del giorno 2 e 3 febbraio (inosservabile).

SOLE

Effemeridi Sole Febbraio 2022

Iniziamo questo mese di Febbraio con la nostra stella presente nella costellazione del Capricorno, dove sosterà fino al giorno 16 febbraio quando transiterà nella costellazione dell’Acquario.

Le giornate inizieranno ad allungarsi: avremo infatti un aumento di luce di 1 ora e 10 minuti dall’inizio del mese.

LUNA

Effemeridi Luna Febbraio 2022

Anche per il cielo di Febbraio 2022, il nostro autore Francesco Badalotti ci offre un’approfondita panoramica sull’osservazione del nostro satellite.

Per approfondire: Luna di Febbraio 2022

COMETE

Disponibile un approfondimento sulle comete visibili in questo mese a cura di Claudio Pra: Le comete di Febbraio 2022

Tra le altre, la C/2017 K2 PanSTARRS, cometa tra l’altro molto interessante dato che è stata scoperta quando si trovava a quasi due miliardi e mezzo di distanza dal Sole, si prospetta come l’oggetto più luminoso del 2022.

Pronti a delle levatacce per provare già a cercarla?

ASTEROIDI

È consultabile anche la rubrica dedicata agli asteroidi del cielo di Febbraio 2022, curata dal nostro autore Marco Iozzi che ci introduce a questo meraviglioso micromondo in maniera magistrale!

Per approfondire: Mondi in miniatura – Asteroidi, Febbraio 2022

TRANSITI NOTEVOLI ISS

A caccia della ISS!

Per questo cielo di Febbraio 2022 avremo ben sei transiti notevoli con magnitudini elevate: segnateli sul calendario per non perdene nemmeno uno!

La rubrica di approfondimento a cura di Giuseppe Petricca: Transiti notevoli ISS per il mese di Febbraio 2022

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Tra sogno e realtà – Falcetto di Venere

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Osservare Venere nei giorni che precedono e seguono la congiunzione inferiore con il Sole (ma possibilmente anche nel giorno in cui si verifica) è davvero interessante e suggestivo.

Trovandosi alla minima distanza dalla Terra, le dimensioni del pianeta sono cospicue (attorno al primo d’arco) e la fase minima: prerogative di sicuro spettacolo! L’osservazione è però resa difficile (e anche pericolosa, attenzione!) dalla vicinanza prospettica alla nostra stella, che con la sua abbagliante luce tende a fagocitare Venere.

Quest’anno la congiunzione inferiore è avvenuta nelle primissime ore del 9 gennaio e io ho potuto seguirla per bene, favorito da condizioni meteo e prospettiche ideali, nonché aiutato dalla muraglia rocciosa che si erge davanti al paesino dove abito. Questa ha infatti occultato il Sole negli istanti in cui invece Venere, posto ad una declinazione più alta, si rendeva già visibile per alcuni minuti prima dello scollinamento dell’astro diurno.

Posizione di Venere (credits: Claudio Pra, 13 gennaio 2022)

Inoltre, pur trovandosi a declinazione abbondantemente negativa, mi ha favorito anche l’orario della comparsa del pianeta (attorno alle 11.00), quando la sua altezza in cielo era vicina al massimo, con un sicuro vantaggio in fatto di seeing. Infine, l’avere un punto di riferimento ben preciso, costituito dalla cresta rocciosa, mi ha aiutato in modo determinante: mi è bastato infatti individuare il pianeta alcuni giorni prima della congiunzione inferiore, quando era ancora relativamente distante dal Sole, prendendo nota del punto della montagna in cui sorgeva. Nei giorni seguenti la sua posizione sarebbe mutata di pochissimo ogni giorno.

La preparazione

Dopo averlo ammirato nel cielo del post-tramonto per lungo tempo, ho cominciato a seguirlo assiduamente dal 2 gennaio, osservandolo poi, meteo permettendo, quasi tutti i giorni fino a fine mese.

L’8 gennaio, giorno in cui la fase e l’elongazione si sono ridotte al minimo (0,33% la prima e 4,49° la seconda), mi è stato possibile osservare per bene l’esilissima falce. Poi, nei giorni seguenti, le cose sono risultate man mano più facili per l’allontanamento, sia pur lento, dal Sole.

Una volta raggiunto l’obbiettivo di coglierlo nel momento della congiunzione inferiore, mi sono posto un’altra “missione“: riprendere Venere a ingrandimento spinto nello scenario montano che lo circondava.

Fondere assieme cielo e Dolomiti è infatti un’altra mia grande passione a cui mi dedico da decenni. In questo caso occorreva scegliere un contesto che esaltasse lo scatto e quindi non certo una delle immense pareti “sorvolate” da Venere, che avrebbe reso il pianeta quasi insignificante. Alcune guglie poste sulla Cima di Terranova, non distante dalla grandiosa e celebre parete del Monte Civetta chiamata in ambito alpinistico “la Parete delle Pareti“, sembravano l’ideale.

Proprio quei pinnacoli, che avevo adocchiato al binocolo e ritenuti perfetti per le dimensioni di Venere, avrebbero valorizzato un magnifico incontro tra cielo e terra. Dai miei calcoli il pianeta sarebbe passato di lì entro pochi giorni ed è cominciata quindi l’attesa, quasi un appostamento. Giorno per giorno ho tenuto d’occhio lo spostamento del falcetto, favorito quasi sempre dal meteo favorevole, fino al passaggio sui pinnacoli. Un primo tentativo, compiuto nella mattinata del 12 gennaio, ha portato ad un parziale successo, ma il seeing pessimo ha in parte deturpato l’immagine. Non soddisfatto del tutto ho così riprovato il giorno successivo, l’ultimo a disposizione per ritrarre Venere sulle guglie rocciose. È andata decisamente meglio con Venere (fase 1,17%) che è sbucato su una forcelletta e ha cominciato l’arrampicata della guglia più grande e spettacolare, regalandomi uno scatto fantastico ed un’emozione indescrivibile.

Falcetto di Venere (credits: Claudio Pra, 13 gennaio 2022)

Pur cimentandomi da tempo nell’osservazione delle fasi di Venere, mai ero riuscito ad arrivare al risultato di quest’anno in fatto di fase minima e minima distanza prospettica dal Sole. Ciliegina sulla torta poi, la foto quasi irreale di quel sottilissimo brillante falcetto tra le rocce, addirittura facilmente osservabile con un piccolo binocolo 10×50. Un’esperienza indimenticabile, che mi resterà negli occhi e nel cuore.

Note:

Nella prima foto a grande campo, segnalata dalla freccia, la posizione in cui si trovava Venere quando ho scattato la foto.

Nella seconda foto, scattata applicando la fotocamera al fuoco diretto di un telescopio da 80 mm di diametro e 600 mm di focale portati a 100 tramite un moltiplicatore di focale, la sottile falce di Venere nei pressi delle guglie della Cima di Terranova.

Per approfondire:

Un articolo, sempre a cura di Claudio Pra, su come osservare Venere nei giorni che precedono e seguono la congiunzione inferiore con il Sole, nel n. 224 pag. 140 di Coelum Astronomia: Gobba a levante… Venere Crescente!

Le Comete di Febbraio 2022

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TANTE COMETE IN CIELO

19P/Borrelly

La Borrelly passa al perielio nel primo giorno del mese, raggiungendo la presumibile massima luminosità che dovrebbe aggirarsi attorno all’ottava magnitudine, risultando l’oggetto più luminoso della sua categoria. Sarà comodamente osservabile già in prima serata, non appena il cielo si fa completamente buio, all’interno della costellazione dei Pesci durante la prima decade e poi nell’Ariete, deve incontrerà Urano sfilandogli ad una manciata di gradi di distanza. Ho avuto modo di osservarla a inizio gennaio, trovandola bella e facile grazie al sua aspetto compatto che permette di scorgerla anche con strumenti dal diametro modesto.

Nella cartina la posizione della Borrelly è calcolata per le 19.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 8

C/2019 L3 ATLAS

Pur essendo già passata al perielio varrà la pena cercare la ATLAS, che nel corso di gennaio è scesa di poco al di sotto la nona magnitudine risultando una cometa molto interessante. In allontanamento ed in calo si manterrà comunque al di sotto della decima magnitudine, cosa che sommata alla sua favorevole posizione ed al comodo orario di osservazione invoglia a cercarla. Altissima in cielo, la troveremo all’interno dei Gemelli e dunque già osservabile dall’inizio della notte astronomica e poi per gran parte della stessa. Osservandola a gennaio l’ho trovata decisamente cresciuta rispetto ai mesi precedenti.

Nella cartina la posizione della ATLAS è calcolata per le 19.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 9

104P/Kowal

Altra cometa visibile all’inizio della notte astronomica alta in cielo. Si muoverà per poco meno di metà mese nella Balena per poi trasferirsi nel Toro, terminando la sua corsa mensile nei pressi di Aldebaran. Fu scoperta il 27 gennaio 1979 dall’astronomo statunitense Charles Thomas Kowal, colui che scoprì l’enigmatico e massiccio Chirone, oggetto ritenuto inizialmente un asteroide ma che mostra un’attività cometaria, catalogato quindi come 95P/Chirone. La Kowal dovrebbe brillare di una magnitudine vicina alla decima. Personalmente l’ho osservata a inizio gennaio, quando era molto più bassa in declinazione, riuscendo a scorgerla con difficoltà perché molto diffusa e trasparente.

Nella cartina la posizione della Kowal è calcolata per le 19.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 8

67P/Churyumov-Gerasimenko

Passata al perielio da tempo, la 67/P si mantiene abbastanza luminosa ed al di sotto della decima magnitudine anche in febbraio (o per parte del mese). È il tempo di salutarla e per farlo occorrerà puntare gli strumenti tra le stelle del Cancro, comodamente in prima serata.

Nella cartina la posizione della 67P è calcolata per le 19.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 10

C/2017 K2 PanSTARRS

Prosegue l’avvicinamento della C/2017 K2 PanSTARRS, posizionata tra le stelle dell’Ofiuco ed osservabile prima dell’alba. Prosegue anche la sua lenta progressione luminosa anche se i valori rimangono ancora modesti, attorno all’undicesima magnitudine. Lo scorso mese, consultando la curva di luce, l’avevamo preannunciata di decima grandezza a fine gennaio ed invece la sua crescita va un po’ a rilento. L’undici gennaio, quando l’ho osservata per la prima volta, era ancora di dodicesima magnitudine, visibile al limite in un riflettore da 30 cm. sotto un cielo molto buio.

Nella cartina la posizione della PanSTARRS è calcolata per le 5.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 11

Speriamo in una pausa prima di una ripresa poiché, come ricordato lo scorso mese, questo oggetto è annunciato come il più luminoso del 2022, con il raggiungimento della sesta/settima magnitudine entro pochi mesi. Cometa tra l’altro molto interessante dato che è stata scoperta quando si trovava a quasi due miliardi e mezzo di distanza dal Sole. Solitamente a quelle profondità una cometa non mostra ancora attività ed invece la PanSTARRS era già circondata da una estesa chioma. Purtroppo a metà luglio, momento del suo massimo avvicinamento al nostro pianeta, passerà molto distante (circa 270 milioni di km.) raggiungendo secondo le attuali previsioni un valore compreso tra la sesta e la settima grandezza. Poi resterà a lungo su questa luminosità essendo il perielio previsto per il 19 dicembre, quando da noi non sarà però più visibile. Ad ogni modo avremo parecchi mesi a disposizione per osservarla e tutta l’estate per ammirarla mentre risplende al presumibile massimo delle sue potenzialità. Per chi vuole anticipare i tempi (come il sottoscritto), a febbraio si prepari ad una o più levataccie…

 

Le Costellazioni di Febbraio 2022

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LE COSTELLAZIONI DEI GEMELLI E DEL CANE MAGGIORE NEL CIELO DI FEBBRAIO

Il mese di febbraio ci offre ancora un’ampia panoramica sulle costellazioni invernali che occupano la volta celeste con i loro astri dominanti.

Già dalla prima serata è ben visibile il leggendario cacciatore Orione, fiammeggiante al suo fianco l’occhio rosso del Toro (la stella Aldebaran), presenti inoltre Auriga e i Gemelli che con le stelle Castore e Polluce ci accompagnano per tutta la notte, splendono alti in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.

La costellazione boreale dei Gemelli transita al meridiano proprio nel mese di febbraio (il giorno 20) ed è protagonista di questo periodo invernale con le sue stelle principali Castore e Polluce, che rappresentano le teste dei due gemelli zodiacali.

Castore, con magnitudine 1,6 distante circa 52 anni luce da noi, anche se indicata come α Geminorum è in realtà meno luminosa della “gemella” con cui si accompagna. Inoltre l’astro è in realtà composto da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra loro.

Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15 e situata a circa 34 anni luce da noi, classificandola così come la gigante a noi più vicina.

CASTORE E POLLUCE: GEMELLI DIVERSI

Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – come già anticipato, è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.

Costellazione dei Gemelli

Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.

Ma Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.

Circa dieci anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.

ALTRE STELLE E OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillaneti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.

Nella costellazione sono collocati degli oggetti celesti non stellari: stiamo parlando dell’ammasso aperto M35, gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.

Nebulosa Medusa (IC 443). Credit: NASA

Attraverso l’impiego di un buon telescopio e camera di ripresa, questi oggetti possono essere osservati e fotografati anche da astrofili appassionati del cielo profondo: già con un binocolo M35 può essere individuato come l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, composto da circa 250 stelle. Utilizzando invece un telescopio, ai nostri occhi si rivelerà un maggior numero di stelle.

Interessante soggetto per gli astrofotografi è sicuramente la Nebulosa Medusa, che si rivela agli appassionati attraverso il telescopio (e a un lavoro di post produzione necessario, come sempre in astrofotografia, per definirne tutti i dettagli).

I GEMELLI NELLA MITOLOGIA

I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.

Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.

Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.

Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.

Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).

Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.

Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.

LA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Un’altra menzione d’onore nel cielo di febbraio, è per la costellazione del Cane Maggiore (Canis Major) con la sua scintillante stella alfa: Sirio. Questa costellazione si accompagna al Cane Minore ed entrambi rappresentano i due fedeli cani da caccia che seguono Orione.

Costellazione del Cane Maggiore

Nonostante si tratti di una costellazione poco appariscente, il Cane Maggiore è facilmente individuabile partendo dalla cintura di Orione e tracciando una linea verso Sud-Est che conduce direttamente a Sirio. Questo astro, insieme a Betelgeuse e Procione, vanno a costituire i vertici del Triangolo Invernale.

Mirzam, Adhara, Wezen, Aludra, Furud sono stelle blu e supergiganti blu che compongono la costellazione del Cane Maggiore che ci appaiono meno luminose rispetto alla stella alfa poiché più distanti.

SIRIO E IL SUO SISTEMA BINARIO

Sirio si trova a soli 8,6 anni luce da noi e con il suo intenso bagliore bianco-azzurro, freddo e scintillante, e la sua magnitudine apparente di -1,47, illumina le notti dell’inverno boreale: Sirio è una stella bianca con una massa 2,1 volte quella del Sole e la sua luminosità è 25 volte superiore a quella della nostra stella.

L’astro è in realtà un sistema binario: attorno alla componente principale, Sirio A, orbita una nana bianca di nome Sirio B che compie una rivoluzione attorno alla componente primaria ogni 50 anni.

Osservare e immortalare Sirio B è un’impresa ardua ma non impossibile, a patto che si disponga di una buona attrezzatura e di tanta pazienza! La difficoltà è data dalla importante luminosità della stella principale che prevarica sulla più debole componente secondaria e che quindi genera non pochi ostacoli al tentativo di isolare la nana bianca.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Trovandosi in una porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, la costellazione del Cane Maggiore ospita interessanti oggetti del campo profondo.

M41 è un ammasso aperto a più di 2000 anni luce dalla Terra e con una magnitudine di 4,5; in condizioni ottimali di visibilità e osservando sotto cieli bui e privi di inquinamento luminoso, l’oggetto può essere individuato anche ad occhio nudo, mentre osservando con un binocolo sarà possibile scorgere molte più stelle tra quelle che compongono l’ammasso.

Altri oggetti situati nella costellazione sono ammassi aperti, nebulose e galassie: con l’utilizzo di telescopi e tecniche fotografiche a lunghe esposizioni, è possibile catturare NGC 2362, NGC 2354, NGC 2359, la Nebulosa Gabbiano, le galassie interagenti NGC 2207 e IC 2163, le galassie NGC 2217 e NGC 2280 oltre alla Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, una galassia satellite vicina alla Via Lattea.

Luna di Febbraio 2022

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Essendo ormai accertato che anche nel corso del 2022 potremo ammirare il nostro satellite naturale nelle sue evoluzioni giornaliere strettamente legate all’avvicendarsi delle sue fasi (e ci mancherebbe!!, con tutti gli sconvolgimenti che ne deriverebbero in fatto di maree, instabilizzazione dell’asse terrestre ed altri disastri vari…), non è poi così banale considerare il continuo allontanamento della Luna dal nostro pianeta al ritmo attuale di circa 3 cm ogni anno che, su scala “umana” potrebbe apparire come un dato irrilevante ma, qualora il nostro caro satellite decidesse veramente di cambiare aria dopo avere accompagnato la Terra nella sua orbita intorno al Sole per oltre quattro miliardi di anni (e chi gli darebbe torto?), il problema consisterebbe nell’individuare l’eventuale punto di rottura dell’equilibrio del sistema Terra-Luna il cui centro di massa si trova alla profondità di 1740 km sotto la superficie terrestre, a 4635 km dal centro del nostro pianeta. Pertanto Terra e Luna ruotano intorno a questo “centro di massa” il quale descrive una ellisse intorno al nostro Sole.

Cosa Osservare …

Venendo finalmente alla Luna di Febbraio, vediamo che proprio nella prima notte del mese, alle ore 06:46 del giorno 1, si avrà il Novilunio col nostro satellite che rivolgerà alla Terra il suo emisfero completamente in ombra. Contestualmente il progressivo avvicendarsi delle fasi porterà il nostro satellite nelle migliori condizioni osservative che culmineranno nel Primo Quarto alle ore 14:50 del 08 Febbraio.

Nel caso specifico la Luna, dopo essere sorta alle ore 11.01, transiterà in meridiano alle ore 18:22 a +61° rendendosi visibile fino alle prime ore della notte successiva quando scenderà sotto l’orizzonte. Per eventuali osservazioni col telescopio basterà attendere le 18:30 circa della medesima serata e, nonostante Febbraio sia un mese ancora pienamente invernale salvo sorprese, si potrà concentrare l’attenzione sul settore settentrionale e precisamente lungo il terminatore con le spettacolari vedute sulle Alpi con la Valle Alpina, sui monti Caucasus e sulla parte più settentrionale degli Appennini ammirando inoltre anche i vasti crateri Aristoteles (90 km, 3700 mt), Eudoxus (70 km, 3400 mt) e l’antichissimo Alexander (85 km molto danneggiato, periodo geologico Pre Imbriano da 4,5 a 3,8 miliardi di anni) situati immediatamente a nord dei monti Caucaus ed il cratere Cassini (60 km, 1200 mt) appena a sud delle Alpi. Altrettanto interessanti potranno risultare l’estremità nordest del mare Frigoris ed il bacino da impatto del mare Serenitatis (303000 kmq, diametro 670 km, periodo geologico Nectariano da 3,8 miliardi di anni) con la sua forma circolare ricoperto da rocce basaltiche molto scure.

Terminata la fase crescente, alle ore 17:57 del 16 Febbraio la Luna sarà in Pleniunio in fase di 15,4 giorni alla distanza di 391475 km dalla Terra, con diametro apparente di 30,52′ e ad un’altezza di +3°32′ (appena sorta alle 17:30), rivolgendo al nostro pianeta il suo emisfero completamente illuminato. Nel caso specifico sarà ampia la possibilità di effettuare osservazioni col telescopio, risultando perfettamente visibile per tutta la serata e la notte successiva fino al suo tramonto, contestuale al sorgere del Sole.

Osservare al telescopio la Luna Piena significa anche cercare di individuare i grandi sistemi di raggiere che si sviluppano radialmente intorno a determinati crateri, tipologia di strutture la cui osservazione viene facilitata col Sole alto sull’orizzonte lunare, condizione osservativa in cui vengono esaltate le differenze di albedo a discapito di gran parte dei dettagli che ben conosciamo. Infatti risulterà abbastanza semplice notare come dai crateri Tycho, Copernicus, Proclus, Kepler, Herodotus/Aristarchus si estendano in varie direzioni lunghe raggiere i cui principali segmenti raggiungono anche parecchie centinaia di chilometri attraverso la superficie lunare, mentre altrettanto interessanti risulteranno le interconnessioni tra i vari sistemi come nell’area dei crateri Copernicus, Kepler ed Herodotus/Aristarchus.

Contestualmente al Plenilunio ripartirà anche la fase calante che porterà il nostro satellite in Ultimo Quarto alle ore 23:32 del 23 Febbraio ma a -23° sotto l’orizzonte. Chi intendesse dedicarsi a qualche osservazione notturna di questa interessante fase lunare dovrà attendere solo qualche ora, infatti alle 02:00 la Luna sorgerà in fase di 23,7 giorni visibile fino alle prime luci dell’alba quando alle 06:34 transiterà sul meridiano ad un’altezza di +20°. A prescindere dall’auspicabile clemenza del meteo nonostante l’inverno abbia sempre il compito (non solo teorico…) di rispettare il calendario, lungo la linea del terminatore sarà possibile effettuare osservazioni in alta risoluzione partendo dai crateri Plato (104 km, periodo geologico Imbriano Superiore di all’incirca 3,8/3,2 miliardi di anni) ed Eratosthenes (60 km, periodo geologico Eratosteniano da 3,2 a 1 miliardo di anni fa).

Ancora più a sud lo spettacolare terzetto formato dall’antichissimo Ptolemaeus (158 km, Pre Nectariano da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa), Alphonsus (121 km, periodo geologico Nectariano, 3,9 miliardi di anni fa), Arzachel (104 km, Imbriano Inferiore, 3,8 miliardi di anni fa). Da qui in avanti la visibilità del nostro satellite sarà sempre più relegata alle ore notturne andando così a chiudere il mese di Febbraio con una sottile falce 27,7 giorni, in attesa del Novilunio del 2 Marzo da cui ripartirà un nuovo ciclo lunare, ma ne riparleremo tra un mese.

Le Falci lunari di Febbraio

Per chi va a caccia di falci di Luna appuntamento per il tardo pomeriggio del 2 Febbraio con una sottile falce di 1,5 giorni in fase crescente visibile fino alle ore 18:59 quando scenderà sotto l’orizzonte fra le stelle dell’Acquario, seguita a breve distanza (6,3°) dal pianeta Giove.

La sera successiva, il 3 Febbraio, una più comoda falce tramonterà alle ore 20:15 ed il tempo a disposizione sarà sufficiente per alcune veloci osservazioni. Nel caso specifico ci si potrà dedicare alle scure aree basaltiche dei mari Humboldtianum (a nordest) e Marginis, Undarum e Smythii ad est del mare Crisium, il quale starà uscendo solo parzialmente dalla notte lunare.

Per quanto riguarda la fase di Luna Calante l’appuntamento è per la tarda nottata del 28 Febbraio con una falce di 27 giorni che sorgerà alle ore 06:10 preceduta dai pianeti Venere e Marte e seguita da Mercurio e Saturno. Considerata l’esigua finestra temporale prima che la luce del Sole cancelli il sorgere della Luna oltre che dei quattro pianeti citati, eventuali riprese fotografiche dovranno essere effettuate in modo da non intercettare la luce solare. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

Librazione di Febbraio

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

Librazioni Regione Nordest-Est:

  • 02 Febbraio: Fase 01,51 giorni – Massima Librazione mare Humboldtianum
  • 03 Febbraio: Fase 02,60 giorni – Massima Librazione est cratere Endymion
  • 04 Febbraio: Fase 03,62 giorni – Massima Librazione est cratere Mercurius
  • 05 Febbraio: Fase 04,62 giorni – Massima Librazione est Lacus Spei
  • 06 Febbraio: Fase 05,62giorni – Massima Librazione est cratere Gauss
  • 07 Febbraio: Fase 06,62 giorni – Massima Librazione est cratere Cleomedes
  • 08 Febbraio: Fase 07,62 giorni – Massima Librazione est mare Marginis

Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

Librazioni Regione Sud-Sudovest-Ovest:

  • 11 Febbraio: Fase 10,70 giorni – Massima Librazione sud cratere Wilson
  • 12 Febbraio: Fase 11,70 giorni – Massima Librazione sud cratere Bailly
  • 13 Febbraio: Fase 12,70 giorni – Massima Librazione sudovest cratere Pingre
  • 14 Febbraio: Fase 13,70 giorni – Massima Librazione sud cratere Pingre
  • 15 Febbraio: Fase 14,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Pingre
  • 16 Febbraio: Fase 15,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Pingre
  • 17 Febbraio: Fase 16,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Pingre
  • 18 Febbraio: Fase 17,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Phocylides
  • 19 Febbraio: Fase 18,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Inghirami
  • 20 Febbraio: Fase 19,70 giorni – Massima Librazione ovest cratere Schickard
  • 21 Febbraio: Fase 20,70 giorni – Massima Librazione ovest mare Humorum

Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

Librazioni Regione Nordovest-Nord:

  • 24 Febbraio: Fase 23,70 giorni – Massima Librazione ovest Sinus Iridum
  • 25 Febbraio: Fase 23,80 giorni – Massima Librazione nord cratere Carpenter
  • 26 Febbraio: Fase 24,80 giorni – Massima Librazione calotta polare nord
  • 27 Febbraio: Fase 25,80 giorni – Massima Librazione calotta polare nord
  • 28 Febbraio: Fase 26,70 giorni – Massima Librazione est cratere Petermann

 

Accadde oggi: Galileo scopre Nettuno

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28 gennaio 1613

Galileo Galilei si ritrova a disegnare tra i suoi appunti quella che credeva essere una stellina. Ciò che ancora non sapeva è che quella semplice “stellina” fosse in realtà un lontano pianeta del Sistema Solare non ancora scoperto.

Galileo in quel periodo puntava il suo cannocchiale verso Giove per osservare ed annotare in un taccuino le posizioni dei satelliti Medicei da lui scoperti tre anni prima.

Galileo osserva Nettuno. Immagine a cura di Daniele Tosalli

In un suo disegno (riprodotto in alto a destra dell’immagine qui sopra), troviamo la data del giorno 28 e l’ora 6 italica o alla romana, ovvero circa le 23 attuali secondo analisi fatte anni fa dagli astronomi Charles Kowal e Stillman Drake, impegnati in ricerche storiche a riguardo.

Nel disegno viene indicata la stella fissa “a” sulla sinistra dello stesso, designata da Galileo come distante 29 semidiametri gioviani dal pianeta. Questa fu identificata come l’unica stellina percepibile in quel relativo campo inquadrato e denominata SAO119234.

Invece la “b” sottostante la “a”, che Galileo ha riportato dall’altra parte del foglio per chiari motivi di spazio, si è rivelato essere il pianeta Nettuno, come riscontrato in fondo l’illustrazione.

Dettagli tecnici

Nella stessa immagine grafica qui sopra, ai piccoli corpi designati e colorati sono stati sovrapposti, in un buon accordo geometrico, quelli a “macchia” che simulano visioni dirette con strumenti amatoriali (un’acquisizione caratteristica generata col programma Stellarium).

I punti indicati da crocette bianche sono invece quelli riportati di misura dal disegno di Galileo per un esplicito confronto posizionale.

Con un righello la stima da “b” ad “a” porta “b” a 32,5 semidiametri da Giove. Nel grafico Nettuno è a 36, poco più di un primo d’arco di differenza, ma la misura non essendo stata etichettata da Galileo come le altre, forse la separazione tra “a” e “b”, fu stimata solo in modo più approssimativo.

Data l’ottica usata da Galileo, ossia uno dei cannocchiali di sua speciale realizzazione, caratterizzato allora da un ridotto campo visivo di pochi ingrandimenti e affetto da inevitabili aberrazioni ottiche, sono comprensibili certe discrepanze di misure verosimilmente fatte con un micrometro artigianale, ovvero un probabile dispositivo a griglia abbinato al cannocchiale da traguardare con l’altro occhio.

Si noti l’accuratezza di introdurre una scala di riferimento: una misura di 24 semidiametri che Galileo ha tracciato orizzontalmente sotto Giove, e poi le relative misure che riguardano la posizione di tre satelliti, le quali sono tutte proporzionalmente appena un po’ più corte di quelle esibite nel grafico. I satelliti disegnati da Galileo si susseguono con Ganimede a 5,50 semidiametri, poi Europa etichettato 8,40 ma è a 8,70 e il più lontano Callisto a 20,40 raggi (circa 40 secondi d’arco in meno del riferimento).

Molte volte per arrivare ad osservare i corpi verso i margini in quel ristretto campo mostrato dell’arcaico cannocchiale bisognava anche spostare l’occhio dietro a quell’unica lente divergente che faceva da oculare, l’unico vantaggio è che raddrizzava l’immagine. Il quarto satellite Io, considerando il modesto strumento d’osservazione, non gli fui possibile percepirlo poiché dalle 22:40 iniziava transitare sul luminoso Giove.

In fondo al suo foglietto Galileo poi spiega anche che il giorno precedente, il 27 (di cui si notano le annotazioni sulla parte superiore dello stesso foglietto, ma senza indicazione al riguardo) le due stelle allineate sembravano tra loro più lontane: un’inconsapevole testimonianza del moto del pianeta.

Egli fu piuttosto coinvolto nell’annotare i sui Medicei, inoltre in quel periodo pare fosse comune pensare che l’ultimo dei pianeti del sistema solare dovesse essere Saturno. Fu davvero un peccato che Galileo scambiò il pianeta di passaggio per una stellina, malgrado l’avesse annotato anche su altri due precedenti schizzi, e gli sfuggì quella che poteva essere anche la sua grande scoperta di quel pianeta, anticipandola di ben oltre due secoli.

La scoperta mancata

La sfortuna volle anche che, forse per via del nuvolo o cattivo tempo, Galileo non puntò il cannocchiale su Giove nelle notti a cavallo dell’inizio anno, proprio quando Nettuno molto avvicinato a Giove finì addirittura occultato dallo stesso nella notte tra giovedì 3 e venerdì 4 gennaio. Il raro fenomeno è quello che motivò i due astronomi citati precedentemente a concentrare la loro ricerca storica sui lavori di Galileo in quel lontano periodo.

In un altro disegno riguardante la mattina di domenica 6 gennaio, c’è segnata una macchiolina poco più in là del satellite Io, riscontrata intenzionale da Anna Maria Nobili nell’esaminarla con un microscopio, sembrò proprio disegnata in un punto in buon accordo con la posizione di Nettuno.

Di tre disegni al riguardo, in quello precedente del 28 dicembre 1612 (quando il pianeta si trovava solitario in un punto un po’ più lontano da Giove), Galileo lo marcò su un breve tratteggio orientato giusto, ma verso un punto che non poteva entrare di misura nel foglietto. In quel caso lo indicò solo con “fixa” ossia come una stella fissa.

Per concludere, bisogna riconoscere come Galileo Galilei sia stato il più grande astronomo di quel tempo, soprattutto per aver riprodotto innumerevoli schizzi, disegni lunari e solari, di stelle e, tra le sue pubblicazioni, il famoso “Sidereus Nuncius”.

Un’indubbia genialità, grande intuizione e un po’ di benevola furbizia, lo hanno portato a creare cannocchiali e osservare e annunciare cose che altri ancora non riuscivano. Purtroppo dovette anche scontrarsi col rassodato doppio millennio d’indottrinamento aristotelico e tolemaico, che però non riuscì a spegnere la luce del suo genio indiscusso.

Scoperta una nuova stella variabile dal Gruppo Astrofili Palidoro

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È stata chiamata MaCoMP_V1, nome derivante dagli acronimi degli scopritori, la nuova stella variabile a 13.500 anni luce da noi nella costellazione del Cefeo

Un’incredibile scoperta da parte del Gruppo Astrofili Palidoro, approvata e certificata dall’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) [bollettino consultabile qui].

Un’avventura di 3 anni

credits: Gruppo Astrofili Palidoro www.astrofilipalidoro.it

È il 2019 e alcuni soci del Gruppo Astrofili Palidoro stanno effettuando delle sessioni di ripresa per fotografare la Nebulosa Wizard nella costellazione del Cefeo.

Impiegano circa un mese per ottenere svariate centinaia di immagini che poi in seguito saranno elaborate opportunamente per produrre l’ottima visione finale dell’oggetto NGC7380 ritratto qui sotto.

[Nell’immagine di lato, invece, il telescopio Apocromatico Evostar 80ED con camera ASI 387-MCC utilizzato in questa prima fase d’indagine]

NGC7380 (credits: Gruppo Astrofili Palidoro www.astrofilipalidoro.it)

E’ abitudine tra i componenti del gruppo setacciare tutto il materiale realizzato per scopi di studio e ricerca scientifica e quindi, anche in questo caso, tutti i frame a disposizione ottenuti sul campo della Nebulosa Wizard vengono analizzati minuziosamente.

Una stella “sospetta”

C’è una stella, in particolare, che desta quasi subito l’attenzione. Questa, anche piuttosto luminosa tra le tantissime altre visibili nel campo stellare, mostra, con misure fotometriche, una variazione di luminosità nell’arco di tempo di circa un mese delle sessioni fotografiche.

credits: Gruppo Astrofili Palidoro www.astrofilipalidoro.it

Si rende quindi necessario riprendere ad effettuare riprese sul campo per capire se la variazione di luminosità intravista sia reale o semplicemente un’impressione. A questo punto si mette in campo un telescopio più potente, il Meade LX200R 8”, e camera ATIK TitanMono.

Le riprese proseguiranno per altri 2 anni, registrando più volte significative variazioni di luminosità per quell’anonima stellina dando così il via allo studio del periodo di variazione (tempo di ripetizione ciclico di un fenomeno), utile per la rappresentazione della variabilità in un grafico in funzione della fase (cicli).

 

La scoperta ufficializzata

Ci vorrà circa un anno per studiare il periodo di variazione della luminosità, in quanto, sin da subito, più di un valore risulterà essere valido, mostrando una curva di luce ben definita e inequivocabile.

Per tale motivo si rende quindi necessario un confronto diretto con alcune Survey presenti in letteratura, in particolare le Survey ASAS-SN e ZTF che sono rispettivamente le osservazioni di All-Sky Automated Survey della Ohio State University e le osservazioni del Palomar Observatory in California che confermeranno la veridicità del fenomeno di variazione, suggerendo inoltre univocamente un periodo che si andrà ad amalgamare con le misure effettuate.

L’analisi dei dati termina così a inizio 2022 con l’invio di tutto il lavoro all’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) dove sarà analizzato e poi approvato il 25 gennaio 2022.

Gli autori Paolo Giangreco Marotta, Giuseppe Conzo e Mara Moriconi scoprono così una nuova stella variabile a 13.500 anni luce da noi nella costellazione del Cefeo, denominata ora con l’acronimo MaCoMP_V1

credits: Gruppo Astrofili Palidoro www.astrofilipalidoro.it

La stella, secondo il catalogo GAIA, è una gigante rossa e la fotometria effettuata ha rivelato che essa varia la sua luminosità in un lasso di tempo di 24 giorni 18 ore e 14 minuti.

Il lavoro del Gruppo Astrofili Palidoro però non finisce qui, perché partirà uno studio sui dati raccolti che si spera porti alla luce la motivazione di tale variazione di luminosità, oltre a svelare le dimensioni della stella scoperta e altre importanti informazioni su di essa.

Complimenti per questa scoperta da parte di Coelum Astronomia!

Mondi in miniatura – Asteroidi, Febbraio 2022

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Antica testimonianza della formazione del sistema Solare, con diametri che vanno da pochi metri fino a raggiungere le centinaia di chilometri, gli asteroidi variano molto in forma, dimensione e conformazione.

Gli asteroidi più grandi [come (4) Vesta] sono plasmati dalla forza di gravità e si pensa possano essere oggetti “differenziati” con una struttura interna a livelli, in cui gli elementi metallici più pesanti si trovano condensati al centro e ne costituiscono un vero e proprio nucleo. Al di sopra del nucleo si ipotizza la presenza di un mantello roccioso, che è a sua volta ricoperto da uno strato più sottile di polvere e frammenti di roccia, la cosiddetta Regolite.

Gli asteroidi più piccoli, quelli con diametro fino ai 150 metri, sono per lo più corpi solidi monolitici di forma irregolare, nati dalla frammentazione a seguito di un impatto di un più grande asteroide progenitore.

Asteroide “Rubble Pile” (credits www.planetpailly.com)

Sopra questa dimensione (tra i 200 metri e i 10 km di diametro) troviamo i cosiddetti asteroidi Rubble Pile, che si ritiene essere principalmente degli agglomerati di polvere e roccia, poco  densi e scarsamente coesi, tenuti insieme da una tenue forza di gravità [(101955) Bennu ne è un esempio]. I Rubble Pile sono nati a seguito di eventi catastrofici, nei quali i frammenti, generati a seguito di un impatto, non sono andati dispersi ma si sono riaggregati, dando così vita ad un nuovo asteroide.

In quest’ultima classe di oggetti le forze che li mantengono coesi sono così deboli che il periodo di rotazione deve essere superiore alle 2,5 h, pena una nuova frantumazione!

Asteroidi binari

Un altro fenomeno interessante è quello degli asteroidi binari (asteroidi accompagnati da un satellite) e la loro origine può essere molto diversa a seconda della zona in cui si sono formati.

Gli asteroidi binari che popolano la fascia sono perlopiù il prodotto di una collisione di natura catastrofica, seguita dalla reciproca cattura dei singoli frammenti a causa della mutua attrazione gravitazionale, oppure di in un grande evento di craterizzazione, con un riaccumulo in orbita di parte del  materiale espulso con l’impatto.

Diversa si ritiene sia l’origine degli asteroidi NEO binari (parleremo più approfonditamente dei Near Earth Object in uno dei prossimi articoli), nei quali, a fronte dell’irraggiamento solare e della successiva riemissione termica (effetto YORP), si può verificare un progressivo aumento della velocità di rotazione, seguita da una dispersione di materiale che viene poi a riaccumularsi in orbita sotto forma di satellite.

Per una piccola percentuale di NEO si pensa che nella formazione di un satellite possa essere implicato un processo di distruzione mareale del corpo, al quale fa quindi seguito  una  fase di riaggregazione.

Immagine ripresa dalla sonda Galileo 14 minuti dopo il passaggio ravvicinato del 28 Agosto 1993. Dactyl è visibile sul lato destro di Ida. Image Credit: NASA/JPL

(243) Ida [32 Km di diametro], asteroide di Fascia Principale scoperto da Johann Palisa il 29 settembre 1884, è stato il primo asteroide conosciuto per avere un satellite naturale, individuato per la prima volta nel 1993 dalla Sonda Galileo e battezzato in seguito Dactyl [1.4 Kilometri di diametro].

(243) Ida è anche membro della famiglia degli asteroidi Koronis, i cui componenti si ritiene siano i frammenti di un più grande asteroide frantumatosi a seguito di una collisione catastrofica, avvenuta pochi milioni di anni fa.

L’osservazione degli asteroidi

Il mese scorso abbiamo accennato a due modalità di ripresa, che consentono rispettivamente di mantenere l’asteroide di aspetto puntiforme, oppure di trasformarlo in una suggestiva striscia luminosa che ne metta in risalto il movimento.

Oggi introduciamo un’ulteriore opzione.

Come ben sappiamo gli asteroidi hanno una velocità angolare che deve essere tenuta in considerazione: prepareremo quindi la nostra sessione osservativa come di consueto, scaricando le effemeridi dal sito dell’MPC (oppure ci affideremo a quelle calcolate da un programma per planetario al quale avremo cura di aggiornare gli elementi orbitali) e all’atto della ripresa calibreremo i tempi di esposizione in modo da mantenere la forma puntiforme dell’oggetto.

In fase di elaborazione delle immagini utilizzeremo però una tecnica di integrazione leggermente differente, che consiste nella somma delle pose sul moto orario (noto) dell’asteoride, invece che sulle stelle. Così facendo otterremo un interessante risultato: con un tempo di ripresa sufficiente, diciamo almeno una 40ntina di minuti, nelle nostre immagini vedremo l’asteroide spiccare come l’unico oggetto di aspetto puntiforme, circondato da un tripudio di piccole striscie luminose (le stelle di campo).

N.B. Il tempo di integrazione appena suggerito si applica bene agli asteroidi di Fascia principale. Nel caso di asteroidi più veloci e meno luminosi (como i NEO), utilizzeremo  tempi di esposizione e di integrazione differenti.

Cosa osservare a Febbraio 2022

L’orbita di (11) Parthenope e la sua posizione al 14/2/2022. (https://www.spacereference.org/solar-system#ob=11-parthenope-a850-ja)

(11) Parthenope

(11) Parthenope è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3,83 anni) ad una distanza compresa tra le 2,21 e le 2,70 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.293 km al perielio e 403.914.249 km all’afelio).

Deve il suo nome a Parthenope, una delle Sirene nella mitologia Greca che, si narra in una tarda leggenda, morì gettandosi in mare assieme alle sorelle per l’insensibilità del prode Ulisse al loro Canto.

Scoperto da Annibale Gasparis l’11 Maggio 1850, questo grande asteroide (149 km di diametro) sarà in opposizione il 10 Febbraio del 2022. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.1. Ipotizziamo quindi di volerlo riprendere tra le notti del 9 e del 13 (Febbraio) quando solcherà il cielo muovendosi di 0,65 secondi d’arco al minuto. Per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, dovremo utilizzare dei tempi di esposizione non superiori ai 4/5 minuti. Al fine di ottenere invece la bella traccia che metta in risalto il movimento, dovremo poter esporre (o integrare) per un tempo più lungo e con 40 minuti di posa vedremo (11) Parthenope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

L’orbita di (20) Massalia e la sua posizione al 4/2/2022. (https://www.spacereference.org/solar-system#ob=20-massalia-a852-sa)

(20) Massalia

(20) Massalia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.370 giorni (3.75 anni) ad una distanza compresa tra le 2,06 e le 2,75 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 km al perielio e 411.394.143 km all’afelio).

È il progenitore della famiglia di asteroidi Massalia che popola le regioni interne della Fascia Principale. Scoperto da Annibale Gasparis il 19 Settembre 1852, questo grande asteroide (145 km di diametro) sarà in opposizione il 4 Febbraio del 2022, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8,5.

Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4/5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (20) Massalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

L’orbita di (19) Fortuna e la sua posizione al 22/2/2022. (https://www.spacereference.org/solar-system#ob=19-fortuna-a852-qa)

(19) Fortuna

(19) Fortuna è un asteroide di Fascia Principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3,81 anni) ad una distanza compresa tra le 2,06 e le 2,83 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 km al perielio e 423.361.972 km all’afelio).

Deve il suo nome alla divinità romana Fortuna, dea del caso e del destino. Scoperto da John Russell Hind il 22 Agosto 1852, con i suoi 225 km di diametro è più tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. Sarà in opposizione il 22 Febbraio del 2022 brillando ad una magnitudine di 10,6.

Come nei due casi precedenti, il  moto dell’oggetto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 4/5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (19) Fortuna trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Acqua liquida su Marte

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Il geofisico David Stillman del Southwest Research Institute ha tentato di misurare le proprietà fisiche di alcune miscele di ghiaccio e salamoia al di sotto della calotta glaciale del Polo Sud marziano, ad una temperature di circa – 98 ºC, per provare a confermare l’esistenza di acqua salata in questa area del pianeta. Le misurazioni sono state supportate dal radar MARSIS, montato sulla sonda ESA Mars Express. I risultati sono stati pubblicati recentemente sulla rivista Earth and Planetary Science Letters.

Immagine di Marte con il Polo Sud ghiacciato. Credit: NASA

MARSIS è stato sviluppato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), in collaborazione con la NASA, e con un’antenna di 39,6 m il radar sorvola il pianeta rosso, facendo rimbalzare le sue onde radio sull’area presa in esame. Qualsiasi campione di acqua liquida sulla superficie dovrebbe inviare un chiaro e forte segnale luminoso, a differenza di ghiaccio o roccia che inviano segnali riflessi più piccoli.

A causa delle bassissime temperature della calotta polare, molti scienziati hanno messo in dubbio la presenza di acqua liquida su Marte. L’argilla, sali idrati e ghiaccio salino potrebbero essere invece la spiegazione alla ricezione delle forti fonti luminose catturate da MARSIS. Ma il team internazionale sembra aver trovato un’altra soluzione.

«Sulla Terra laghi di acqua liquida al sotto dei ghiacciai delle regioni artiche e antartiche sono effettivamente presenti», afferma Stillman, «Agglomerati di sali idrati hanno delle incredibili proprietà antigelo e consentirebbero a miscele di ghiaccio e salamoia di rimanere allo stato liquido anche a – 75 °C. Per confermare questa ipotesi, abbiamo studiato la natura di questi sali in laboratorio, verificando quale tipo di segnale avrebbero inviato al radar».

Illustrazione grafica che prova a spiegare come le miscele e ghiacciaio e salamoia riescono a rimanere allo stato liquido nonostante le basse temperature marziane. Credit: NASA

Stillman ha oltre un decennio di esperienza nella misurazione delle proprietà dei materiali a basse temperature. Per il progetto ha studiato le caratteristiche di alcune salamoie di perclorato, settando un sistema di analisi che tenta di riprodurre le temperature di azoto liquido a pressioni simili a quelle di Marte.

«Le ricerche hanno dimostrato che al di sotto del Polo Sud di Marte potrebbero esserci delle salamoie di perclorato e cloruro tra i granelli di ghiaccio, che invierebbero una forte risposta dielettrica al radar MARSIS», prosegue Stillman, «Questo fenomeno è simile a quello che accade sul nostra pianeta, quando l’acqua marina satura i granelli di sabbia sulla costa».

Immagine della calotta polare sud marziana. Credit: NASA

Se la presenza di acqua liquida fosse confermata, si potrebbero anche aprire nuove prospettive per la ricerca di vita extra-terrestre.

Stillman conclude: «’Seguire l’acqua’ ci ha permesso di raggiungere luoghi così freddi da sembrare inospitali per la vita. Sappiamo però che batteri e protozoi (se presenti) possono riservarci parecchie sorprese. Sarà interessante scoprire quali percorsi evolutivi tali microrganismi potrebbero aver intrapreso per sopravvivere in un condizioni ambientali così difficili».

Fonti:

Press Release: https://www.swri.org/press-release/swri-scientist-helps-confirm-liquid-water-beneath-martian-south-polar-cap

Earth and Planetary Science Letters (January 2022): “Assensing the role of clay and salts on the origin of MARSIS basal bright reflections” by Elisabetta Mattei, Elena Pettinelli, Sebastina Emanuel Lauro, David E. Stillman, Barbara Cosciotti, Lucia Marinangeli, Anna Chiara Tangari, Francesco Soldovieri, Roberto Orosei, Graziella Caprarelli.

NEA Scout: all’inseguimento dei micro-asteroidi

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Prossimo alla partenza questo 2022 con Artemis I come carico secondario, il Near-Earth Asteroid Scout (NEA Scout), veicolo spaziale delle dimensioni di una scatola di scarpe, inseguirà quello che sembra essere l’asteroide più piccolo mai visitato da un veicolo spaziale. La missione si prefigge di raggiungere gli asteroidi più vicini alla Terra (NEA), grazie a una speciale vela solare che sfrutti le radiazioni emesse da Sole.

Il video del test di simulazione del dispiegamento della vela solare (credits NASA)

Micro-mondi!

Attualmente l’obiettivo è 2020 GE, un ammasso roccioso di dimensioni inferiori a 18 m. Un vero e proprio micro-mondo!

Asteroidi più piccoli di 100 m di diametro non sono mai stati esplorati prima. NEA Scout userà una telecamera per osservare più da vicino l’asteroide, misurando le dimensioni, la forma, la rotazione e le proprietà della superficie dell’oggetto celeste.

Con una risoluzione della camera inferiori a 10 cm per pixel, il team scientifico sarà in grado di determinare se 2020 GE è un ammasso solido, o se è composto da rocce più piccole e polvere agglomerate.

Illustrazione grafica dell’asteroide di piccole dimensioni. Credit: NASA

«2020 GE rappresenta una classe di asteroidi di cui al momento sappiamo molto poco»

Ci ricorda Julie Castillo-Rogez, ricercatrice a capo della missione presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA in California, «Il progetto NEA ha permesso di individuare diversi obiettivi nella gamma di dimensioni da  5 a 30 m. Abbiamo quindi tutto il necessario per scoprire la verità sulla natura di questi oggetti celesti».

L’asteroide 2020 GE è stato osservato per la prima volta il 12 marzo 2020 dal Catalina Sky Survey dell’Università dell’Arizona. La missione NEA Scout si prefigge di favorire future missioni umane e robotiche che potrebbero utilizzare le relative risorse minerarie contenute in questi oggetti celesti e ampliare gli studi relativi alla difesa planetaria da questa classe di asteroidi.

«Sebbene i grandi asteroidi siano la principale preoccupazione per la difesa della Terra, oggetti come 2020 GE sono molto più comuni e possono rappresentare un pericolo per il nostro pianeta», prosegue Castillo-Rogez, «Ad esempio, il 15 febbraio 2013 un meteorite è esploso sopra i cieli russi creando un’onda d’urto che ha rotto le finestre di tutta la città e ferendo 1.600 persone. La meteora di Chelyabinsk era della stella classe di 2020 GE, con un diametro di circa 20 m».

Massa ridotta, prestazioni elevate

Parte del lavoro di NEA Scout è anche quello però di sviluppare la nuova tecnologia delle vele solari per viaggi nello spazio profondo.

Dopo il lancio, la navicella utilizzerà dei bracci meccanici in lega di acciaio inossidabile per dispiegare la vela che si espanderà fino a raggiungere dimensioni pari a 86 m².

Immagine di una vela solare dispiegata. Credit: NASA

Realizzata in alluminio rivestito di una plastica più sottile di un capello umano, la vela genererà una spinta propulsiva riflettendo fotoni solari, particelle quantistiche di luce che si irradiano dal Sole. La luce solare è una fonte di energia costante, che può quindi far viaggiare molto rapidamente un veicolo di piccole dimensioni nello spazio profondo. NEA Scout manovrerà la vela inclinandola a seconda dell’esposizione solare, alterando quindi la quantità di spinta e la direzione di marcia, in un modo simile ad una barca che sfrutta il vento per navigare.

Si stima che per settembre 2023, l’asteroide 2020 GE si avvicinerà alla Terra e NEA Scout, con l’aiuto gravitazionale della Luna, si avvicinerà all’obiettivo.

«NEA Scout realizzerà probabilmente il sorvolo più lento di un asteroide mai realizzato, con una velocità relativa inferiore ai 30 m/s», conclude Castillo-Rogez, «Ciò permetterà di raccogliere informazioni preziose e di osservare da vicino la superficie dell’asteroide».

NEA Scout pone quindi le base per le navicelle a vele solari. Anche la missione Solar Cruiser sfrutterà lo stesso tipo di tecnologia per viaggiare verso il Sole nel 2025.

L’esplorazione spaziale si apre a nuove fonti di energia!

Per approfondire

Release: https://www.jpl.nasa.gov/news/nasa-solar-sail-mission-to-chase-tiny-asteroid-after-artemis-i-launch?utm_source=iContact&utm_medium=email&utm_campaign=nasajpl&utm_content=daily20220120-1

La Terra nel 2021 per la Nasa

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Se vi chiedessero cosa ricordate del 2021, difficilmente rispondereste una delle immagini che potete vedere in questo video. E se è vero che per molti il 2021 è stato un anno difficile e da dimenticare, è altrettanto vero che cambiare prospettiva e – come si suol dire – vedere le cose “da fuori” non può che rivelare buoni spunti.

Molte delle immagini proposte da Kathryn Hansen, ricercatrice della Nasa che lavora come divulgatrice nella sezione dedicata allo studio della Terra, nel suo video di riepilogo del 2021 pubblicato sul sito della Nasa Earth Observatory, riguardano il clima o le conseguenze che il cambiamento climatico ha sul nostro pianeta, sulla sua geologia e sui fenomeni che lo interessano.

Immagini da satellite del sistema Landsat del 2021. Credit: NASA

Video: https://earthobservatory.nasa.gov/images/149281/earth-in-2021

Tutte le immagini del video sono state scattate dai satelliti Landsat, che da trent’anni raccolgono dati per studiare l’ambiente, le risorse, i cambiamenti naturali e artificiali che avvengono sul nostro pianeta e aiutare nella gestione e nel monitoraggio di eventi catastrofici come terremoti, tempeste, eruzioni vulcaniche.

Aria

Parliamo di temperature estreme, del freddo eccezionale che in Texas e altri stati centrali degli Stati Uniti ha provocato un improvviso blackout, e dell’ondata di calore “storica e pericolosa” che, lo scorso giugno, ha colpito Stati Uniti e Canada. Nel video, una striscia rossa attraversa e colora le città di Seattle e Tacoma, che hanno registrato le temperature più alte di sempre nel mese di giugno 2021.

Acqua

Da quella che manca, per via della siccità, a quella che si scoglie, nei ghiacciai e nelle calotte polari, a quella che cambia aspetto e direzione. Il denominatore comune è lo stesso: ancora una volta, il cambiamento climatico.
Cominciamo dalla prima: in agosto, il lago Mead, situato nei pressi di Las Vegas e importante serbatoio per il rifornimento idrico di Stati Uniti e nord del Messico, ha raggiunto il suo minimo storico. Il punto più basso da quando Franklin Delano Roosevelt era presidente. Lo scorso agosto, dicevamo, il lago è arrivato a solo il 35 per cento della sua capacità. Le immagini scattate dai Landsat 7 e 8 sono chiare e non hanno bisogno di ulteriore spiegazione.

Ora l’acqua che si scioglie

Nella stessa estate, il 18 agosto, un iceberg grande 1270 chilometri quadrati (due volte le dimensioni di Chicago) si è staccato definitivamente dalla costa e si è scontrato con il Brunt Ice Shelf, una piattaforma glaciale situata tra il ghiacciaio Dawson-Lambton e la lingua glaciale Stancomb-Wills, lungo la costa della Terra di Coats, in Antartide. Le prime crepe sull’enorme lastra di ghiaccio chiamata A-74 erano emerse alla fine di febbraio: sei mesi dopo, l’enorme iceberg era libero di muoversi. Un timelapse del distaccamento e del successivo scontro con la Brunt Ice Shelf è stato ripreso dal satellite Sentinel-1 del programma Copernicus dell’Esa.

Iceberg A-74 vicino alla collisione con Brunt Ice Shelf. Credit: NASA

Video: https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2021/08/A-74_iceberg_near_collision_with_Brunt_Ice_Shelf

Non solo lo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare, anche la rottura degli iceberg è una conseguenza, senza possibilità di ritorno, del riscaldamento globale.

L’acqua che cambia, infine.

Quella di un terzo dei grandi fiumi degli Stati Uniti, che negli ultimi 35 anni ha mutato il proprio colore dominante, spesso a causa della presenza di sedimenti o della crescita di alghe. Le immagini scelte per il video mostrano come è cambiato il colore dal 1986 al 2020 lungo il fiume Rio Grande nel New Mexico. Oltre al colore più giallo, comunque, impossibile non notare anche la riduzione della quantità di acqua che il fiume contiene. Cambia anche direzione, a causa delle forze di marea estreme, l’acqua: accade a fine settembre nel Mare di Okhotsk, al largo della Russia orientale. Si trovava lì, a godersi lo spettacolo e immortalarlo per noi, il satellite della Nasa Landsat 8.

Fuoco

Chi non ricorda la massiccia eruzione vulcanica di fine settembre sull’isola delle Canarie La Palma: un muro di lava basaltica in lento movimento dal vulcano Cumbre Vieja si è fatto strada attraverso i paesi e le comunità dell’isola, coprendo più di mille ettari di terreno e costringendo all’evacuazione circa settemila persone. La colata lavica ha raggiunto il mare, ha distrutto più di tremila edifici, coperto completamente la strada costiera e dato vita a una nuova penisola. Nel video, all’immagine del fiume di lava infuocata segue il drastico colpo di spugna su tutto quel che c’era prima: un’enorme macchia di colore marrone sostituisce case, strade, campi coltivati, vita.

Più di tre mesi di eruzione, anche se meno raccontata della precedente, sono successi anche in Islanda, vicino alla capitale Reykjavik: la lava ha rotto la superficie vicino al vulcano a scudo Fagradalsfjall a fine marzo, annunciandosi già nel mese di febbraio con piccoli terremoti sulla penisola in cui si trova la capitale.

Terra

Quella che caratterizza e distingue il nostro pianeta, rendendolo unico e capace di enorme bellezza. Parliamo dei paesaggi nuvolosi sopra Sumatra, dipinti dall’aria umida che sale mentre scorre attraverso le montagne dell’Indonesia, dopo aver attraversato il mare di Java. Parliamo del colore dell’autunno in Giappone, dove il Momijiari, letteralmente la “caccia alle foglie rosse”, può durare fino all’inizio di dicembre nelle regioni meridionali del paese. E, perché no, parliamo anche dell’uomo, con le sue estesissime coltivazioni di mais nella regione del Midwest, negli Stati Uniti, e con la prima luce del satellite Landsat 9, lanciato dalla Nasa il 9 settembre 2021 e dedicato – come il suo predecessore Landsat 8 – principalmente alla rilevazione della temperatura superficiale della Terra per studiare il riscaldamento globale.

Il video si chiude con lo spettacolo naturale più antico e meraviglioso, l’eclissi di Sole. L’unica totale, nel 2021, si è vista dall’Antartide, dove la Luna ha oscurato completamente la nostra stella per circa due minuti.

Immagine dell’Operational Land Imager (OLI) Ddi Pensacola Mountains in Antartide prima e dopo l’eclissi di Sole. Credit: NASA

Insomma, il tempo dei bilanci per il 2021 è forse già finito, e ha lasciato posto a quello dei buoni propositi, o semplicemente alla frenesia del quotidiano. Ma, se permettete un consiglio, date un’occhiata al video: se non ridimensionerà alcune delle vostre posizioni, almeno vi regalerà tre minuti di stupore.

 

IN PARTENZA! – n. 254 Coelum Astronomia

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in partenza!

Per tutti coloro che hanno già acquistato la propria copia in prevendita, è in arrivo il primo numero della nuovissima serie di Coelum Astronomia!

Vieni a scoprire tutti i contenuti del N°254 FEBBRAIO MARZO 2022 

Ricordiamo che è in edizione limitata, solo poche copie disponibili!

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Gli abbonamenti saranno disponibili a breve, a partire dal numero 255

In Deep – Editoriale del n. 254 Coelum Astronomia

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La passione
per la lettura scientifica

«Partirò da uno spunto di riflessione recapitato in questi giorni in redazione da parte di un nostro carissimo lettore».

Il testo, molto più articolato di quanto in realtà non mi sia possibile riportare in queste righe, poneva un quesito ma anche una personale opinione: è possibile, nel 2021, che una rivista scientifica possa ancora optare per il cartaceo come formato di distribuzione? Oggi che la minaccia ambientale è sempre più incalzante l’unico approccio accettabile è quello sostenibile e la stampa su carta evidentemente non è l’emblema di questo pensiero!

E noi siamo d’accordo, in toto, condividiamo la preoccupazione di questo lettore, sensibile, come oramai molti di noi oggi sono, sulle tematiche di consumo ed energetiche.

Dobbiamo a questo punto spiegare il perché della scelta editoriale e il ritorno a questo oggetto, una rivista, a cui, nonostante tutto, come redazione continuiamo a dare un enorme valore. Addurre la sola tradizione come motivazione non è sufficiente, non necessariamente infatti essa passa per il formato, è una tradizione anche la qualità dei contenuti, l’attenzione al lettore, il dialogo con le grandi istituzioni, non era necessario stendere tutto nero su bianco per dare continuità.

No, alla base non c’è un freddo ragionamento, c’è invece ahinoi passione.

Amiamo leggere, leggere molto, apprendere dalle righe, dalle pagine, tornare indietro, prendere nota, evidenziare, mostrare agli amici ed ai cari, interrompere e riprendere, anche a volte tenendo il segno con una benevola piega.

Si può fare anche online direte voi, anche con il pdf, ma non è la stessa cosa. Il paragone è banale, ma la TV non sostituisce la radio così come un ebook per quanto sempre più gradevole, non sostituirà un buon libro.

Questa rivista, in questo formato, è per quanti, fra gli affezionati lettori di Coelum, nutrono un ugual piacere nel gesto di sfogliare, riporre in uno scaffale e ogni tanto dare un occhio a quella fila di dorsi e ripensare a qualche concetto, qualche immagine che ha lasciato il segno e riprendere in mano questi pochi fogli anche a distanza di anni. A tutti gli altri invece chiediamo di pazientare, Coelum Astronomia si è sempre distinto anche per l’innovazione e siamo certi non vi deluderà neanche in futuro.

Buona lettura.
Molisella Lattanzi

Le Supernovae di Rosino – n. 254 Coelum Astronomia

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Le quattro supernovae
di Leonida Rosino

In Coelum Astornomia n° 2 del lontano ottobre 1997, la redazione dedicava un bell’articolo al compianto astronomo Leonida Rosino. Ricercatore dello scorso secolo pioniere nella scoperta ed indagine delle supernovae visibili dal nostro emisfero boreale.

Oggi con più di 20 anni di distanza, il lavoro di questo straordinario e pignolo indagatore continua a stupirci con documenti inediti.

Alla ricerca di informazioni sulle sue supernovae infatti, inizialmente ci siamo ritrovati in difficoltà, sul web non sembrano reperibili dettagli ne tanto meno immagini facilmente accessibili. Certo, è pur vero che stiamo parlando di testi di oltre 60 anni fa, ma in genere oramai online si ritrovano digitalizzati archivi di ogni sorta. Nel nostro contributo alla divulgazione astronomica non ci piace arrenderci facilmente, convinti del fatto che le vere informazioni siano quanto meno rare e preziose e quindi, come tutti i tesori, da ricercare.

Rosino osservò principalmente dall’Osservatorio di Asiago, ai tempi, ed ancora, oggi fra i massimi centri indagatori in termini di supernovae, e proprio allo staff dell’osservatorio ci siamo rivolti per trovare traccia delle scoperte. Il punto di partenza è un classico file Excel (un evergreen a quanto pare!), contenente un elenco, abbastanza lungo, di tutte le lastre ed immagini riprese dal 1942 ad oggi dai quattro strumenti disponibili nell’osservatorio. Il primo lavoro di recupero è stato evidenziare quelle che potevano contenere le immagini degli oggetti di nostro interesse.

Poi, grazie all’intervento dell’amico Mirko Villi, siamo entrati in possesso di una lista di testi, articoli e circolari riferite ai nostri 4 oggetti. Si tratta di documenti non facili da reperire perché appunto di più di mezzo secolo fa. L’aiuto tanto sospirato è arrivato infine dal gentile interessamento dell’astrofisica Lina Tomasella che prendendo a cuore la nostra ricerca, ci ha fornito le lastre originali ed inedite arricchite di testi con notizie davvero interessanti ed esclusive.

Leonida Rosino (1915 – 1997)

Leonida Rosino nel 1953 diventa direttore dell’Osservatorio di Asiago subentrando al posto di Giovanni Silva di cui ne fu assistente. Nel 1958 entra in funzione ad Asiago il telescopio Schmidt 50/40 F.2,5 con lo specchio sferico da 50cm e la lastra correttrice da 40cm progettato da tecnici di Asiago e realizzato dalle Officine Sarti di Bologna. A differenza del grande telescopio Galileo da 122cm di diametro in funzione dal 1942, anno di
inaugurazione dell’osservatorio, questo “piccolo” telescopio Schmidt permetteva di ottenere immagini con un grande campo (circa 35°) ideale per la ricerca di stelle variabili, stelle a flares e naturalmente novae e supernovae. Le quattro supernovae che analizzeremo in questo articolo furono scoperte proprio con questo strumento.

L’Articolo completo è disponibile su COELUM ASTRONOMIA N° 254 FEBBRAIO MARZO 2022.

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Coelum n. 254 – 2022 Febbraio-Marzo

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Torna in versione cartacea la storica rivista di astronomia n°1 in italia

LA COPERTINA

Una delle prime spettacoli della superficie del gigante gassoso Giove riprese dalla CAM della sonda Juno. Alessandro Mura ci svela i segreti e le ambiziose aspettative del team alla guida dello strumento.

ARTICOLI DI COPERTINA

Juno – Giove come non lo avete mai visto di Alessandro Mura
Luna Gravity – da un’intuizione di Joseph Weber l’idea di studiare le onde gravitazionali sulla Luna di Matteo Massicci
Il Site Testing – un lavoro avventuroso con molte responsabilità nei luoghi più impervi del pianeta di Gianluca Lombardi
Telescopio Lensing – il Sole ci aiuterà a comprendere gli oggetti più lontani di Marco Sergio Erculiani
L’Enigma di Bootes che tardi tramonta – seconda parte – la soluzione di Paolo Colona
Le Supernovae Italiane – storia di grandi scoperte di Leonida Rosino di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

LE RUBRICHE
Il SISTEMA SOLARE:

Le MERAVIGLIE del COSMO di Barbara Bubbi:

CATALOGO MESSIER: M1 – Nebulosa del Granchio di Giuseppe Petricca

ASTROFOTOGRAFIA:

OSSERVARE è UN’ARTE: Un nuovo inizio dedicato alla Luna di Pictores Caeli

DIDATTICA E DIVULGAZIONE di Pierdomenico Memeo:

MOON VILLAGE ASSOCIATION: Hotel Moon di Marco Peroni

LE SEZIONI DA NON PERDERE a cura della Redazione di Coelum

  • PHOTOCOELUM
  • I FATTI IN EVIDENZA
  • IL CIELO DEL MESE

 

COELUM ASTRONOMIA N°254 FEBBRIO MARZO 2022 è pronto!

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Il primo numero di Coelum Astronomia con il ritorno al cartaceo è prodotto in edizione limitata. Molti hanno già prenotato la propria copia nelle scorse settimane e poche sono quelleora in magazzino. AFFRETTATI!

https://www.coelum.com/prodotto/coelum-astronomia-n-254-febbraio-marzo-2022

Hotel Moon – n. 254 Coelum Astronomia

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Pensando di trascorrere una lunga permanenza sulla Luna o su Marte (o comunque al di fuori della Terra), l’ambiente che sogniamo è un luogo illuminato dalla luce naturale, organizzato in ampi livelli multipiano e dove sarebbero presenti piante e acqua: un habitat accogliente secondo gli standard terrestri e dove al contempo sarebbe possibile ammirare il panorama spaziale in tutta sicurezza.

Progettare un ambiente simile all’interno di un involucro chiuso e pressurizzato (data la mancanza di atmosfera esterna) ci obbliga inevitabilmente a studiare soluzioni ecologiche in modo da salvaguardare le preziose riserve di aria e acqua dell’avamposto.

Le costruzioni e la loro disposizione dovranno essere modellate sulla base di una visione “organica” dell’urbanistica, dove ogni elemento diventerebbe un ingranaggio fondamentale all’interno di un ecosistema auto-alimentato e a impatto zero.

La costruzione di insediamenti extraterrestri potrebbe quindi costituire un’importante occasione per sperimentare nuove soluzioni per il riciclo dei rifiuti e la produzione di energia, sistemi che risulterebbero sicuramente utili anche sulla Terra dove l’azione dell’uomo sta già causando notevoli problemi di inquinamento che ormai non possono più essere ignorati.

Non in ultimo, ed è questo lo spirito con cui presentiamo questo lavoro, il vivere in un ambiente a bassa gravità aprirebbe ad opportunità ludiche e sportive inedite e sicuramente molto interessanti nell’ottica del turismo.

Non si tratterebbe solo di un avamposto in cui sopravvivere, ma di un luogo stimolante e divertente dove trascorrere una vacanza nello spazio!

L’Articolo completo è disponibile su COELUM ASTRONOMIA N° 254 FEBBRAIO MARZO 2022.

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Occhi per vedere – n. 254 Coelum Astronomia

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L’arte della visualizzazione scientifica

La sala è avvolta nel buio. Un suono basso, diffuso, penetrante, a metà strada tra il brusio della statica e la vibrazione del basso di un concerto elettronico. Il suono sale, si gonfia, diventa onnipresente.
Infine, il buio viene squarciato da un lampo di energia: chiara, tersa, purissima. Poi, la voce:

Io sono la Luce.

Ragazza in silhouette. ©DANIELE CHIOETTO/G. INCHINGOLO

Questo è l’inizio dell’esperienza, potente e inaspettata, che ha vissuto chi ha partecipato ad una delle iterazioni della mostra Into the (Un)Known.

Ma prima di immergerci in un viaggio nel cosmo con il suo creatore, Giannandrea Inchingolo,
facciamo un passo indietro.

Fare divulgazione scientifica vuol dire tante cose, e le modalità sono varie quanto sono diverse le persone che la praticano.

Ci sono ricercatori e ricercatrici che, in ossequio alla terza missione degli enti di ricerca e delle università, prestano la loro voce per spiegare i loro studi e i loro risultati.

Ci sono giornalisti e giornaliste, che dalle pagine delle riviste e attraverso le frequenze delle trasmissioni, prestano la loro penna per raccontare la scienza, le sue notizie, e le sue scoperte.

Ci sono animatori ed animatrici, che all’interno dei festival e delle manifestazioni,
prestano il loro entusiasmo per coinvolgere il pubblico nel grande gioco della scienza. E, soprattutto negli ultimi anni, c’è una nuova generazione di divulgatori e divulgatrici, che sulle piattaforme di social media e negli spazi ibridi della comunicazione, partecipano ad una grande discussione collettiva sulla scienza, i suoi metodi, e il suo ruolo nella società.

In questa rubrica, cercherò quindi di coinvolgere alcuni di questi diversi operatori e operatrici della divulgazione, cogliendone per quanto mi riesce gli aspetti interessanti e innovativi. Per questo, la mia prima scelta non poteva che essere il lavoro di chi opera a metà strada tra ricerca scientifica ed espressione artistica, cercando sempre nuovi modi per coinvolgere ed emozionare.

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Mercurio Astrobiologia – n. 254 Coelum Astronomia

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Focus su Mercurio

La ricerca di vita su altri mondi porta inevitabilmente al concetto di abitabilità, ovvero qual è la capacità di un pianeta o di sue particolari regioni a sostenere l’attività biologica di un organismo vivente.

Oggi sappiamo che la vita sulla Terra conosce pochi limiti.

È presente in quasi tutti gli ambienti anche i più estremi, dai più caldi come la solfatara dei Campi Flegrei sino ai ghiacciai dell’Antartide, dagli ambienti estremamente acidi come il lago artificiale Rio Tinto in Spagna a quelli aridi del deserto di Atacama in Cile.

Non è chiaro se la Terra alle origini somigliasse di più a qualcuno di questi ambienti, tant’è che ancora oggi, dopo decine di anni in cui si sono esplorate le vie che la chimica può aver intrapreso prima che la vita comparisse, continuano ad esserci accesi dibattiti nella comunità scientifica su quale fosse l’ambiente ideale dove la vita ha fatto la sua comparsa.
Se da una parte non si conoscono ancora i percorsi chimici più plausibili attivi nella Terra primitiva, dall’altra gli studi hanno evidenziato quali debbano essere le caratteristiche ambientali globali presenti nel nostro pianeta e le condizioni particolari, specifiche di certe aree geografiche che potrebbero rivelarsi i modelli geochimici da seguire quando cerchiamo la vita su altri pianeti.

Un prerequisito essenziale per la vita è la presenza di acqua.

Sappiamo infatti che la vita utilizza l’acqua come solvente. Ma un pianeta come Mercurio, cosi vicino al Sole con temperature superficiali che possono superare i 400 °C può avere acqua?

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Il pianeta dei Robot – n. 254 Coelum Astronomia

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Robotica e coding per la didattica dell’astronomia

La mente non è un vaso da riempire,
ma un fuoco da accendere

Interno giorno. Laboratorio didattico.
Gruppo nutrito, età variabile, assortimento umano in età scolare. In mezzo, una
ragazzina sugli 8 o 9 anni: salopette, treccine, e occhioni, completo d’ordinanza della fanciullezza.

Allora: abbiamo visto quali sono i rover sbarcati su Marte nel corso degli anni. Adesso
è il momento di costruire! Che cosa servirà al nostro rover per andarsene in giro sul pianeta rosso? Silenzio.

«Forza. Nessuna timidezza. Non ci sono risposte sbagliate, solo
soluzione da valutare insieme. Tu, per esempio: prova a fare un’ipotesi.»
«Io? Boh. Non so. Le ruote?»
«Benissimo. Mi sembra un’ottima idea. E cosa serve per muovere
le ruote?»
«Il motore?»
«Eccellente. Questo è il cacciavite, là ci sono i pezzi che servono.
Comincia a montare.»
«Ma… io?»
«Certamente. Chi, se no? Ora sei tu l’ingegnera. Al lavoro.»
«Oh. Ok!»

Lo so, lo so: troppo bello per essere vero.

Eppure, sotto un sottile strato di vernice editoriale necessaria alla trascrizione della conversazione, questa è la rappresentazione fedele di una delle tante esperienze che mi sono capitate negli anni come divulgatore ed educatore scientifico.

Ho scelto proprio questo aneddoto per inaugurare la rubrica dedicata alla didattica dell’astronomia perché credo che racchiuda molte delle chiavi di lettura per una vera educazione alla scienza: a partire dal metodo socratico, fino al superamento degli stereotipi di genere, tutti aspetti imprescindibili per una didattica efficace e inclusiva.

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Osservare è un’arte. Rubrica Pictores Caeli – n. 254 Coelum Astronomia

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UN NUOVO INIZIO

Cari amici, eccoci di nuovo sulle pagine di questa magnifica rivista.

Giorgia Hofer, astrofotografa

È stato un anno di cambiamento ed evoluzione per tutti, e ora sono sicura che per ognuno di voi c’è tanta voglia di novità e di rinnovamento.

Ho pensato tanto a come poter ricominciare a scrivere con la carica giusta, dare a questa
rubrica di Astrofotografia una sferzata di energia, cercando di offrirvi la possibilità di percepire e riprendere il cielo da più punti di vista.

È nata così l’idea di coinvolgere il gruppo di astrofotografi di cui faccio parte, il cui nome non vi suonerà nuovo:

Sto parlando dei Pictores Caeli.

Il nostro gruppo è nato per condividere idee e suggerimenti sull’astrofotografia, unendo le reciproche competenze tecniche e artistiche per sviluppare immagini di alta qualità, certificate
da un marchio condiviso.

Stefano De Rosa, Dario Giannobile, Giorgia Hofer, Marcella Giulia Pace e Alessia Scarso, questi i nostri nomi.

Siamo cinque appassionati del cielo come voi, ci occupiamo principalmente della fotografia paesaggistica sia a grande campo che a focali ridotte ed ognuno di noi ha un settore in cui è più ferrato:

Marcella sulle fotometeore,

Alessia sull’interpretazione contemplativa del paesaggio,

Dario sugli startrail ed in generale sulla tecnica fotografica,

Stefano è specializzato nella ripresa della Luna

ed io (Giorgia, ndr) nella ripresa a grande campo sulle Dolomiti.

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Riprese solari in H Alfa – n. 254 Coelum Astronomia

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Quando scatto delle immagini del Sole,
la nostra stella mi si presenta
come un rosso ed intenso quadro impressionista.
I vortici continui della superficie mi incantano ogni volta.

Giovanna Ranotto, astrofotografa

Per questo articolo, ho voluto proporvi tre immagini della cromosfera della nostra stella, così come si presentava giovedì 28 ottobre 2021.
Le immagini sono state scattate tra le 13.42 e le 14.09 ora italiana dalla località di Sciolze in provincia di Torino sulle colline a ridosso della città.

Nonostante sia agli inizi con questa tecnica di riprese del Sole e a causa del poco tempo che ho a disposizione per dedicarmi alla mia passione, mi ritengo abbastanza soddisfatta dei risultati che sto ottenendo.

Certo le difficoltà non sono mancate, ma pian piano, grazie all’esperienza, a molti tentativi falliti e con i preziosi consigli di amici astrofotografi solari più esperti di me, sto gradualmente acquisendo una buona pratica.

Ma come mi sono avvicinata all’astrofotografia solare?

In primis ritengo sia importante conoscere la teoria sul funzionamento del Sole e delle stelle in genere e possibilmente avere già un po’ di dimestichezza nelle osservazioni solo visuali del Sole le quali consentono di prendere confidenza con le caratteristiche principali della nostra stella.

L’osservazione e l’astrofotografia solare mi appassionano per la mutevolezza della nostra stella. Ogni giorno c’è sempre qualche dettaglio diverso: magari una protuberanza ha cambiato forma, oppure una macchia solare ha cambiato posizione, o anche si notano dei dettagli non sempre facili da identificare, insomma non ci si annoia mai!

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Vivere le missioni robotiche con l’image processing – n. 254 Coelum Astronomia

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In meno di un secolo, l’uomo ha inviato nello spazio migliaia di sonde, lander e rover che hanno fatto la storia visitando angoli inesplorati del nostro Sistema Solare.

In questo momento, una flotta robotica composta da veterani e dalla più recente generazione sta trasmettendo dati e immagini dall’orbita terrestre, dalla Luna, dal Sole, dai pianeti interni ed esterni, dalla fascia di Kuiper e persino dallo spazio interstellare.

NASA/JPL-CALTECH/MSSS PROCESSING: ELISABETTA BONORA &
MARCO FACCIN / ALIVEUNIVERSE.TODAY

Queste navicelle e robot di superficie estendono i nostri sensi nello spazio con i loro strumenti scientifici:

Sono i nostri occhi, il nostro udito, il nostro tatto e anche olfatto e gusto.

Tra tutti, gli strumenti di imaging, che possono includere fotocamere, telescopi, spettrometri, radar, sono certamente i più amati dal pubblico: grazie a loro riceviamo immagini spettacolari di luoghi esotici e inesplorati.

Molte missioni condividono pubblicamente queste foto, quasi in tempo reale, altre le rendono disponibile dopo qualche mese o anno, altre ancora non rilasciano quasi nulla. Ma, quando ci sono, questi cataloghi di immagini grezze offrono un modo coinvolgente per vivere l’esplorazione spaziale in prima persona.

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M1 Nebulosa del Granchio – n. 254 Coelum Astronomia

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Nebulosa al di sopra del corno meridionale
della costellazione del Toro,
non contiene alcuna stella; possiede
una luce biancastra, elongata nella
forma di una fiamma di candela, scoperta durante
le osservazioni della Cometa del 1758.

Traduzione dal Catalogo Messier – 3a versione del 1781, pubblicata nel 1784

Un brillante astro nel cielo diurno

Siamo agli inizi dell’anno mille, 1054 per la precisione, quando osservatori in Italia, Armenia, Cina, Nord America, Iraq e Giappone notano, vicino al Sole, una nuova stella.

Questo oggetto insolito – che ora sappiamo essere la supernova SN 1054 – è visibile a occhio nudo anche nel cielo diurno e ha una magnitudine stimata tra -4 e -7.5.

L’astro luminoso suscita subito grande interesse e astronomi cinesi proseguono le osservazioni diurne a fino alla fine di luglio di quello stesso anno, e notturne fino all’aprile di due anni dopo.

Pittura rupestre degli indios Anasazi nel Chaco Canyon, ora Stati Uniti d’America, ritraente la Luna insieme alla supernova SN 1054 – Foto a cura di Alex Marentes

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Incontri ravvicinati stellari in Messier 62 – n. 254 Coelum Astronomia

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Comet or cluster?

Messier 62, ripreso in questa sfavillante immagine del telescopio Hubble, è uno degli ammassi globulari dalla forma più irregolare tra quelli noti nella Via Lattea.

Il raggruppamento stellare si trova al confine tra le Costellazioni dell’Ofiuco e dello Scorpione, non lontano dalla luminosa supergigante Antares.

Se osservato con un binocolo, appare come un alone chiaro e indefinito. Piccoli telescopi possono rivelare la sua forma allungata, mentre telescopi da 200mm di apertura sono in grado di risolvere le stelle più luminose dell’ammasso.

Charles Messier individuò l’oggetto nel 1771 e lo descrisse così:

Una nebulosa molto bella, assomiglia a una piccola cometa. Il centro è brillante e circondato da un debole bagliore.

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AG Carinae in primo piano – n. 254 Coelum Astronomia

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La morte di una stella massiccia rappresenta uno degli eventi più spettacolari dell’Universo.

Questa ripresa del telescopio Hubble inquadra AG Carinae, una stella prossima a distruggersi, che risplende con la luminosità di un milione di Soli nella Costellazione della Carena, ad una distanza di circa 20.000 anni luce da noi.

AG Carinae è osservabile prevalentemente dall’emisfero australe ed è una delle stelle più brillanti della Via Lattea, sebbene le polveri che la circondano e la distanza dalla Terra la rendano non visibile a occhio nudo.

Appartiene alla classe elitaria delle Variabili Blu Luminose, stelle estremamente rare e massicce, che trascorrono qualche decina di migliaia di anni in questa fase.

Conosciamo soltanto una cinquantina di Variabili Blu Luminose: sono stelle ipergiganti, con masse che possono arrivare a 150 volte quella del Sole, destinate a una vita breve, bruciando furiosamente il combustibile nucleare a loro disposizione.

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Enigma Bootes – n. 254 Coelum Astronomia

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“Boote che tardi tramonta”
la soluzione dell’enigma

Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto che Omero, nel quinto libro dell’Odissea, definisce il Boote come “tardo a tramontare”. Un’eventualità impossibile, dato che le costellazioni sono fisse sulla sfera celeste e quindi sorgono e tramontano tutte alla stessa velocità.

Perciò, fin dai primi studi filologici del Quattrocento, su tale verso è stato scritto molto senza trovare una spiegazione plausibile.

Un altro aspetto sorprendente che abbiamo avuto modo di vedere nella prima parte è che, a differenza di oggi, nell’antichità quel versetto non sembra però incontrare nessun problema di comprensione, tanto che tutti si sentivano liberi di ripeterlo, di variarlo, addirittura di scherzare sulla lentezza del Boote.

Per confronto, si tenga presente che, poche righe sopra, Omero dice che l’Orsa Maggiore è la sola costellazione circumpolare, e quel sola, che anche noi sappiamo essere un errore perché di costellazioni che non tramontano, e quindi circumpolari, ve ne sono diverse, scatenò furiosi dibattiti tra studiosi, al punto che perfino Aristotele scese in campo per difendere Omero nella disputa. Non è accaduto niente del genere per “Boote tardo a tramontare”, a dimostrazione, appunto, della sua pacifica comprensibilità per i nostri antenati.

In un crescendo di meraviglia, l’ultimo punto sottolineato nella prima parte è forse ancora più incredibile: alla fine dell’Antichità, il filosofo Severino Boezio si accorse che il senso di quel verso si andava perdendo e lo trasformò in una sfida intellettuale, in una sorta di test culturale per distinguere il vero sapiente dal mero erudito. Egli infatti, nel quinto libro del suo testo più famoso, il De Consolatione Philosophiae, scrive:

Se qualcuno non sa che le stelle di Arturo
Tramontano vicine al cardine sommo
O perché il Boote conduca lentamente i
Carri e immerga tarde fiamme nell’acqua
Mentre invece sorge velocissimo
Si stupirebbe delle leggi dell’alto cielo.

Andiamo quindi a scoprire insieme la soluzione a questo affasciante enigma!

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Missione Bepicolombo – n. 254 Coelum Astronomia

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La missione BepiColombo è stata selezionata dall’agenzia spaziale Europea (ESA) alla fine del 2000 e dopo tutta una serie di complicazioni e incidenti di percorso è stata lanciata il 18 Ottobre 2018.  La sonda arriverà a Mercurio nel Dicembre 2025 e impiegherà circa 3 mesi per inserirsi in orbita nominale intorno al pianeta.

Si tratta di una missione molto ambiziosa in quanto lavorerà molto vicina al Sole e orbiterà attorno a Mercurio, che ha la superficie rivolta verso il Sole molto calda.

È il pianeta con il più elevato gradiente termico tra l’emisfero buio e quello rivolto verso il Sole, arrivando a 600 K di differenza. Inoltre a causa della vicinanza al Sole il satellite è investito da una quantità di radiazione 10 volte superiore a quella che normalmente arriva sulla Terra. L’analisi termica e la protezione dalle radiazioni hanno richiesto molte risorse e sforzi tecnologici e di progettazione.

I 3 moduli di BepiColombo a Estec, nell’hangar ESA dove sono stati effettuati gli ultimi test prima di inviare tutto in Guyana francese

L’82% dei materiali e dispositivi utilizzati per la missione sono stati disegnati e realizzati appositamente, molto probabilmente un record per le missioni spaziali.

Una delle tante innovazioni introdotte sono stati i pannelli solari, su cui è stato depositato un particolare e specifico materiale, e fino all’ultimo hanno rappresentato un elemento critico del progetto al punto che sono state necessarie 9000 ore di test con una dose di radiazioni e temperature alle quali saranno sottoposti.

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Telescopio Lensing – n. 254 Coelum Astronomia

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Nell’era dell’esplorazione spaziale è sempre più decisivo il miglioramento della tecnologia in grado di catturare più indizi utili possibili per comporre il vastissimo puzzle dell’universo.

In particolare, la ricerca e la caratterizzazione degli esopianeti è di vitale importanza per aiutarci a rispondere agli interrogativi più ambiziosi: Quanti e quali tipi di esopianeti esistono? Quello che sappiamo dei pianeti è corretto? Siamo soli nell’universo?

Fortunatamente, parafrasando Richard Feynmann, la cassetta degli attrezzi a disposizione degli astronomi è abbastanza fornita. Secondo lo schema disegnato da Perryman esistono tre macro- gruppi di ricerca.

Il primo (dynamical effect) utilizza gli effetti dinamici come ad esempio l’effetto doppler della luce generato dal moto radiale della stella a causa della presenza di un pianeta che gli orbita attorno.

Il secondo (microlensing) sfrutta la deformazione del percorso rettilineo della luce quando attraversa un campo gravitazionale importante. Il terzo gruppo (photometry) usa la fotometria, ovvero l’analisi della luce. Appartengono a questa categoria il metodo dei transiti ed il direct imaging.

[…]

Il metodo del direct imaging è decisamente molto promettente, tuttavia per poterlo implementare è necessario possedere una altissima risoluzione angolare e grande flusso di luce.

Questo si traduce in una enorme area collettrice dei telescopi e strumenti sempre più sofisticati.

Si pensi che per poter osservare un pianeta come la Terra alla distanza di 30 pc riducendolo ad un singolo pixel sarebbe necessario avere un telescopio con una apertura utile di 90 km! L’uso di interferometri parimenti richiederebbe tempi di integrazione estremamente lunghi, centinaia di milioni di anni, per ottenere un segnale accettabile.

Diagramma dell’albero di Perryman, in cui sono schematizzati i più comuni metodi di rilevazione e caratterizzazione degli esopianeti.

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Il Site Testing – n. 254 Coelum Astronomia

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COME SCEGLIERE IL POSTO
DOVE COSTRUIRE UN TELESCOPIO
OTTICO-INFRAROSSO

Siamo già entrati nell’epoca dei telescopi ottico-infrarosso giganti, o per meglio dire, Estremamente Grandi (Extremely Large Telescopes, o ELT). Progetti bilionari, con propositi ambiziosi, che richiedono enormi investimenti, innovazione ingegneristica, creazione di imponenti opere civili e infrastrutture, stipulazione di accordi internazionali, utilizzo di risorse umane ed economiche senza precedenti, progettazione di nuovi sistemi di controllo e immagazzinamento e gestione dei dati.

L’European Extremely Large Telescope (E-ELT, di 39 m di diametro), il Thirty Meter Telescope (TMT, di 30 m di diametro) e il Giant Magellan Telescope (GMT, di 22 m di diametro) sono ormai in avviata fase di costruzione, e saranno pronti entro la prossima decade per affrontare casi scientifici sino ad ora impossibili da sbrogliare.

Scoprire e caratterizzare sistemi planetari e proto-planetari, identificare pianeti terrestri e studiarne l’atmosfera, capire la formazione e l’evoluzione dei buchi neri, districare l’interrogativo sulla formazione e l’evoluzione delle galassie ad alto redshift
e chiarire l’origine della materia oscura, sono solo alcuni dei quesiti che questi giganti si propongono di decifrare.

Ma tutti gli sforzi e le ambizioni si vedrebbero vanificati se, alla fine di tutto, questi nuovi telescopi ottico-infrarosso giganti non fossero sovrastati da un cielo trasparente e calmo, privo di nuvole, lontano da fonti di inquinamento luminoso, e in condizioni climatiche eccellenti; il tutto incasellato in modo tale da permettere a questi nuovi occhi dell’umanità di puntare al cielo notturno per il maggior tempo possibile, senza interruzioni, e poter finalmente produrre nel modo migliore quei dati così importanti per la ricerca.

Un po’ di Didattica

La scelta dei siti ideali per i nuovi ELT ha richiesto l’impegno di molti gruppi di ricerca in tutto il Mondo, in un lavoro globale di studio di cime inesplorate e già note.

La caratterizzazione di nuovi siti astronomici è una vera e propria branca dell’Astronomia moderna, e viene definita Site Testing.

Stazione di monitoraggio presso Cerro Armazones, Cile.

Il Site Testing è una scienza multidisciplinare, in cui trovano posto nozioni di Astronomia, Climatologia, Meteorologia, Sismologia, Geologia, Geografia, Ingegneria, Politica ed Economia.

Non tutti questi fattori hanno però lo stesso peso, e non tutti vengono considerati nella loro completezza, avendo influenze parziali e variabili nella Funzione di Merito finale che darà il punteggio definitivo ad ogni sito e che lo collocherà in una classifica generale da cui
poi verrà scelto quello in grado di rappresentare il compromesso migliore per la costruzione del telescopio.

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Astrogeologia – n. 254 Coelum Astronomia

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«Da lungo tempo io non ho più pubblicato
nulla che possa in certo modo
servir di contraccambio. Però negli ultimi
sei mesi mi è riuscito di fare un
lavoro, il quale può interessare almeno altrettanto
i geologi, quanto gli Astronomi: è il rilievo della
carta di Marte, di cui ti presento una copia. Spero
che la vorrai gradire come piccolo dono.

Non senza meraviglia si trova che in Marte la distribuzione del liquido e del solido è ben altra, che presso di noi. Vi sta ciò che sulla Terra più non si vede in così grande scala: estese aree di continenti sommersi sott’acqua a piccole profondità sono le regioni
ombreggiate in ½ tinta. La moltitudine dei canali è molto maggiore di quanto abbia potuto indicare, ma ho dovuto limitarmi a quello, che si può constatare con certezza. In certi momenti il pianeta pareva avviluppato di una rete a ricami diversi.
Questo lavoro mi ha cagionato più piacere nel farlo, che se avessi io scoperto i satelliti del pianeta»

Così scriveva l’astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli nel 1878 al suo amico Quintino Sella, ingegnere minerario, mineralogista e co-fondatore della Società Geologica Italiana nonchè più volte ministro delle finanze durante il periodo 1862-73 (Pizzarelli e Roero, 2015).

La sensibilità e curiosità geologica dimostrata da Sella, tanto da aver promosso la realizzazione della prima Carta Geologica del Regno d’Italia, si accese nel vedere quelle carte di Marte e invitò Schiaparelli all’Accademia dei Lincei per presentare il
suo lavoro davanti ai maggiori astronomi europei, per poi ottenere in Parlamento un finanziamento con il quale potenziò il telescopio dell’Osservatorio di Brera.

Sappiamo bene l’impatto che ebbe l’accurata cartografia di Marte prodotta da Schiaparelli
nel mondo scientifico, anche per quella imprecisa traduzione del termine canali nel mondo anglosassone che alimentò idee sulla presenza di canali costruiti artificialmente sul pianeta da una civiltà aliena descritta dai libri di Percival Lowell.

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Luna Gravity – n. 254 Coelum Astronomia

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Il futuro lunare dello studio delle onde gravitazionali

Una rete di sensori lunari in grado di rivelare le vibrazioni del nostro satellite prodotte dal passaggio delle onde gravitazionali.

No, non stiamo parlando di una suggestione contenuta all’interno di un racconto di fantascienza, ma di una possibilità reale di cui si sta occupando una collaborazione internazionale istituita al fine di valutare la realizzazione di un’antenna di onde gravitazionale lunare, LunarGravitational-Wave Antenna (LGWA), a cui l’INFN contribuisce insieme al Gran Sasso Science Institute (GSSI), all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).

Un gruppo di ricerca a cui è affidato il compito di valutare e analizzare, da un punto di vista teorico, fattibilità e caratteristiche di un simile progetto nell’ambito dei programmi NASA e ESA che prevedono, nel prossimo futuro, il ritorno dell’uomo sulla Luna e la costruzione di basi permanenti sul nostro satellite.

Per quanto ambiziosa, la proposta può contare sui risultati di esperienze sperimentali condotte sin dalla metà del secolo scorso sulle cosiddette barre di Weber, strumenti dimostratisi fino a oggi inefficaci per l’individuazione delle onde gravitazionali a causa delle loro modeste dimensioni, il cui principio di funzionamento potrebbe tuttavia risultare efficace invece se applicato all’analisi delle vibrazioni di un corpo di dimensioni planetarie come la Luna.

L’idea di misurare con grande precisione le vibrazioni di oggetti solidi con l’intento di individuare il segnale del passaggio di un un’onda gravitazionale, una perturbazione dello spazio-tempo in grado di deformare temporaneamente e in maniera quasi impercettibile anche la materia, si deve a Joseph Weber, fisico statunitense pioniere della ricerca sperimentale nel campo delle onde gravitazionali.

Un’intuizione che a partire dagli anni ‘50 portò alla costruzione di antenne risonanti, note come barre di Weber, costituite da cilindri di alluminio di diverse tonnellate di peso distanziate e sospese all’interno di camere a vuoto per isolarle dai rumori sismici e acustici.

Grazie alla presenza di sensori in grado di convertire l’oscillazione meccanica in segnale elettrico, tali dispositivi avrebbero quindi potuto, almeno in linea teorica, vibrare all’unisono e rivelare un’onda gravitazionale che li avesse attraversati.

An artist’s impression of gravitational waves generated by binary neutron stars.
Credits: R. Hurt/Caltech-JPL

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