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SUPERNOVAE: aggiornamenti di Dicembre 2021

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La ricerca amatoriale italiana di supernovae purtroppo sta attraversando il periodo più difficile della sua storia dal punto di vista delle scoperte. Nel 2021, infatti, nessun astrofilo italiano è ancora riuscito a mettere a segno una scoperta. Sono ormai solo un ricordo il periodo di alcuni anni fa, con i successi targati ISSP che variavano fra le 15 e le 20 scoperte annue. La spietata concorrenza dei programmi professionali di ricerca supernovae, che si avvalgo di sofisticate strumentazioni di ripresa e di controllo immagini, hanno steso al tappeto i volenterosi, ma impotenti astrofili di tutto il mondo impegnati in questo tipo di ricerca. Solo il giapponese Koichi Itagaki, il neozelandese Stuart Parker ed il cinese Xing Gao sono riusciti a difendersi, ottenendo delle preziose scoperte.

Abbiamo però un’importante novità da segnalare e precisamente due scoperte che potremmo definirle ibride. Ad ottenerle è stato il romagnolo Mirco Villi, che è si un astrofilo, ma ha ottenuto queste scoperte utilizzando la strumentazione professionale dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona del programma CRTS Catalina Real-Time Transient Survey.

Mirco Villi non è un astrofilo comune, ma riveste un ruolo fondamentale nella ricerca amatoriale di supernovae. Fu proprio lui insieme all’amico Giancarlo Cortini a dare vita agli inizi degli anni novanta alla ricerca amatoriale italiana di supernovae, mettendo poi a segno importanti scoperte come per esempio la SN1991T, che ancora oggi rappresenta un fondamentale punto di riferimento nella classificazione di questi fenomeni. Spesso, infatti, nella classificazione delle supernovae si legge “91T-like

È inoltre uno dei pochi astrofili italiani ad aver scoperto una supernovae in una galassia Messier, la SN1998bu in M96. In questi ultimi anni Mirco Villi ha instaurato una proficua collaborazione con i professionisti americani del Catalina ottenendo numerose scoperte. Era da circa un anno che non otteneva nuove scoperte e finalmente nel giro di soli due giorni ha messo a segno una fantastica doppietta. Ma andiamo per ordine…

Nella notte del 14 novembre ha individuato una debole stellina di mag.+20,5 nella galassia a spirale UGC6053 posta nella costellazione del Leone, al confine con quella del Sestante, distante circa 360 milioni di anni luce e situata a circa un grado ad Est della più appariscente galassia a spirale NGC3423.

Immagine di scoperta della AT2021aetx in UGC6053 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri

L’immagine di scoperta è stata ottenuta col il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro, uno dei tre strumenti del CRTS dedicati alla ricerca di nuovi transienti. Purtroppo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2021aetx.

Situazione invece completamente diversa per il secondo oggetto individuato da Mirco Villi nella notte del 15 novembre. Anche questo molto debole al momento della scoperta con una luminosità pari alla mag.+20,1 nell’immagine ottenuta sempre con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro. La galassia ospite è la UGC2393, una spirale posta nella costellazione del Perseo a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità del nuovo oggetto è aumentata fino a raggiungere intorno alla fine di novembre il massimo di luminosità con una magnitudine di circa +16,5 / +17,0.

Nella notte del 23 novembre, con la supernova che splendeva di mag.+17,3 è arrivata la conferma spettroscopica realizzata dall’astrofilo bellunese Claudio Balcon, che ha battuto sul tempo gli osservatori professionali e che rende perciò questa supernova molto italiana. Lo spettro, ottenuto con un semplice Newton da 20cm, munito di spettroscopio auto-costruito, ha permesso di classificare la supernova di tipo Ia molto giovane, scoperta a circa due settimane dal massimo di luminosità. Alla supernova è stata quindi assegnata la sigla definitiva SN2021aeuq.

Immagine della SN2021aeuq in UGC2393 ottenuta da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 200mm F.5 somma di 11 immagini da 180 secondi. In alto nell’immagine è visibile il pianetino Sarita di mag.11,4 che durante la posa di 33 minuti ha lasciato una traccia allungata.

Se la ricerca italiana di supernovae, come abbiamo visto, non sta attraversando un buon momento, situazione completamente diversa è invece per la spettroscopia italiana di supernovae, che grazie al bravo astrofilo bellunese, sta vivendo un periodo di grandi soddisfazioni e successi, proiettando Balcon in vetta alla classifica amatoriale di classificazioni di supernovae con l’impressionante numero di 46 spettri inseriti per primo nel TNS dal 2019 ad oggi, 25 dei quali ottenuti in questo 2021.

C’è comunque ancora speranza per gli astrofili che vanno a caccia di esplosioni di stelle in altre galassie. Ad avvalorare questa affermazione, è la recente nuova scoperta amatoriale che arriva dal Sol Levante. Tutti avranno subito pensato al solito Itagaki, ed invece, ad infilarsi con successo fra le strette maglie della rete dei programmi professionali di ricerca supernovae è stato un altro astrofilo giapponese, originario di Takatsuki City nella prefettura di Osaka. Nella notte del 29 novembre, utilizzando il suo telescopio Newton da 300mm F.4,Shuji Tokuoka, questo il suo nome, ha individuato un nuovo transiente di mag.+16,4 nella galassia a spirale UGC4671 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore, a circa 180 milioni di anni luce di distanza, ed accompagnata in cielo dalla vicina galassia a spirale barrata NGC2692. Shuji Tokuoka è sempre stato interessato alle supernovae, ma in questi ultimi tre anni ha messo in atto una ricerca sistematica che, all’età di 62 anni, gli ha permesso di raggiungere la sua prima scoperta. Possiamo immaginare quanto grande sia stata la sua felicità.

Shuji Tokuoka vicino al suo telescopio Newton da 300mm F.4 nel suo osservatorio privato.

Nella notte successiva, il nostro Claudio Balcon non poteva farsi scappare questa ghiotta occasione, classificando per primo il nuovo oggetto rivelatosi una supernova di tipo Ia scoperta dai 10 ai 15 giorni prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 12.000 km/s. Il massimo di luminosità dovrebbe quindi verificarsi dopo il 10 dicembre con una magnitudine interessante intorno a +14,5 / +15,0. Alla supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2021afsj. Questo è uno dei pochi casi di supernovae scoperte e classificate, tutto a livello amatoriale. Ne conosciamo almeno sei e negli ultimi quattro c’è il marchio bellunese di Balcon. UGC4671 ha visto esplodere al suo interno altre due supernovae conosciute: la SN2000dv scoperta da Mark Armstrong il 17 ottobre 2000 di tipo Ib e la SN2016bme scoperta dal GSST il 12 aprile 2016 di tipo II.

Immagine della SN2021afsj in UGC4671 ottenuta da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 da 350mm somma di 3 immagini da 35 secondi

Concludiamo la rubrica segnalando una supernova interessante e molto luminosa, che purtroppo non è visibile dal nostro emisfero. Si tratta della supernova più luminosa del 2021 ed anche una delle più luminose degli ultimi sette anni. Per ritrovare una supernova decisamente più luminosa bisogna infatti tornare indietro alla SN2014J esplosa il 21 gennaio 2014 nella galassia M82, che raggiunse la mag.+10,1. Nella notte del 11 novembre il programma professionale di ricerca supernovae denominato DTL40, utilizzando il telescopio robotico da 0,4 metri al Cerro Tololo in Cile, ha individuato una nuova stella di mag.+17,2 nella stupenda galassia a spirale NGC1566 distante circa 60 milioni di anni luce nella costellazione meridionale del Dorado. L’astronomo francese Charles Messier se avesse potuto osservare anche dall’emisfero meridionale, avrebbe sicuramente inserito questa galassia nel suo famoso catalogo.

L’immagine precedente ottenuta dal DTL40 risaliva a 5 giorni prima con la supernova non ancora visibile fino alla mag.+19,3 quindi il nuovo transiente era chiaramente molto giovane. Ed infatti nella stessa notte della scoperta, con il Southern African Large Telescope da 10 metri di diametro, in Sudafrica, è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare la SN2021aefx; questa la sigla definitiva assegnata, come una supernova di tipo Ia scoperta circa 20 giorni prima del massimo di luminosità e con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano all’impressionate velocità di 28.000 km/s.

Immagine della SN2021aefx in NGC1566 ottenuta da Rolando Ligustri in remoto dalla Namibia con un telescopio Dall-Kirham da 500mm F.6,8

Questa classificazione è stata poi confermata due giorni dopo anche dall’Osservatorio di La Silla in Cile con il telescopio NTT da 3,6 metri di diametro. La luminosità della supernova è perciò aumentata progressivamente fino ad arrivare al massimo intorno alla fine di novembre, raggiungendo la notevole mag.+11,8. Un facile oggetto, posto in una bellissima e fotogenica galassia che, purtroppo per noi, farà la felicità degli astrofili dell’emisfero meridionale.

Immagine della SN2021aefx in NGC1566 ottenuta da Grzegorz Duszanowicz con un telescopio Schmid-Cassegrain da 350mm F.7,7 somma da 35 immagini da 45 secondi per ogni canale colore RGB, ripresa effettuata intorno al massimo di luminosità della supernova.

Catturato un esopianeta intorno a b Centauri

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Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO ha battuto un nuovo record e fornisce l’immagine di un pianeta in orbita intorno a b Centuari, un sistema di due stelle estremamente massicce. In una posizione ove gli astronomi fino ad oggi escludevano di poterne trovare.

Una stella massiccia è una stella molto calda e luminosa, detta anche “stella blu” per il colore che tende ad assumere per le alte temperature. Un sistema solare con simili astri risulta essere molto caldo. Il pianeta è stato individuato in un’orbita pari a 100 volte la dimensione dell’orbita di Giove intorno al Sole. Gli astronomi credevano che non potessero esistere pianeti intorno a stelle così massicce.


«Il pianeta scoperto ruota intorno alla coppia di stelle più calda e più massiccia finora individuata», spiega Markus Janson, astronomo dell’Università di Stoccolma (Svezia), «Trovare un pianeta intorno a b Centauri è stato molto emozionante poiché cambia completamente la nostra visione delle stelle massicce come ospiti planetari». Lo studio è stato pubblicato di recente su Nature.


Il sistema a due stelle b Centauri (note anche HIP 71865) è situato a circa 325 anni luce di distanza da noi nella costellazione del Centauro. Ha almeno sei volte la massa del Sole, e questo lo rende il sistema più massiccio intorno al quale sia stata conferma la presenza di un pianeta. La sua stella principale è un astro di tipo B, ovvero tre volte più calda del Sole. A causa della sua alta temperatura, emette grandi quantità di radiazioni ultraviolette e raggi X.
L’enorme massa e il calore prodotto hanno un forte impatto sul gas circostante, il che renderebbe difficile la presenza di pianeti. Infatti, più una stella è calda e maggiore è la sua produzione di radiazione ad alta energia, la quale fa evaporare più velocemente il materiale circostante. «Le stelle di tipo B sono generalmente considerate ambienti piuttosto distruttivi e pericolosi, quindi si riteneva che sarebbe stato estremamente difficile trovare grandi pianeti intorno a loro», afferma Janson.

This image shows the most massive planet-hosting star pair to date, b Centauri, and its giant planet b Centauri b. This is the first time astronomers have directly observed a planet orbiting a star pair this massive and hot.  The star pair, which has a total mass of at least six times that of the Sun, is the bright object in the top left corner of the image, the bright and dark rings around it being optical artefacts. The planet, visible as a bright dot in the lower right of the frame, is ten times as massive as Jupiter and orbits the pair at 100 times the distance Jupiter orbits the Sun. The other bright dot in the image (top right) is a background star. By taking different images at different times, astronomers were able to distinguish the planet from the background stars.  The image was captured by the SPHERE instrument on ESO’s Very Large Telescope and using a coronagraph, which blocked the light from the massive star system and allowed astronomers to detect the faint planet.


Eppure la nuova scoperta conferma che i pianeti possono formarsi anche in sistemi così violenti. Il coautore GayathriViswanath, dottorando all’Università di Stoccolma aggiunge, «Il pianeta in b Centauri è un mondo alieno in un ambiente completamente diverso da quello che sperimentiamo qui sulla Terra e nel nostro Sistema Solare. È un ambiente aspro, dominato da radiazioni estreme, dove tutto è su scala gigantesca: le stelle sono più grandi, il pianeta è più grande, le distanze sono maggiori».


Gli astronomi confermato lo stesso pianeta, chiamato b Centauri (AB)b, è un oggetto celeste da record. Questo risulta essere 10 volte più massiccio di Giove, il che lo rende anche uno dei pianeti più massicci mai trovati. Inoltre, si muove intorno al sistema stellare in una delle orbite più ampie mai scoperte, a una distanza sbalorditiva, 100 volte maggiore della distanza di Giove dal Sole. La grande distanza dalla coppia di stelle potrebbe essere la risposta del perché questo pianeta riesce a sopravvivere in un simile contesto.


Queste osservazioni sono state effettuare tramite SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrastExoplanetResearch), un sofisticato strumento montato sul VLT. Simili apparecchiature sono la chiave per studiare sempre di più nel dettaglio sistemi così complessi. Janson conclude: «Il nostro scopo adesso sarà quello di cercare di capire come il pianeta potrebbe essersi formato, e quindi svelare il mistero delle sue origini».

Per approfondire:
Release:https://www.eso.org/public/italy/news/eso2118/?lang


Nature (Dicember 2021): “A wide-orbit giant planet in the high-mass b Centuari binary system”.

Il Nuovo Sito Online

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Un altro passo importante e necessario. Coelum Astronomia è sempre più il portale dell’Astronomia in Italia”

NUOVO sembra essere la parola d’ordine in questi giorni per Coelum Astronomia. Da qualche tempo vi arrivano proclami per una nuova casa editrice, poi una nuova redazione, ora arrivano un nuovo logo ed anche un nuovo sito.

Ma cosa sta succedendo? Alcuni di voi potrebbero pensare a uno stravolgimento totale, lo è probabilmente sotto alcuni punti di vista, ma era anche inevitabile. Trascorsi infatti molti anni dall’ultima versione del portale, ora qualsiasi intervento si mostra come un netto cambio di rotta rispetto alla precedente impostazione, così anche il logo che, dopo decenni in rosso e bianco, ora si veste di colori più ricercati e moderni.

Ma voglio rassicurare tutte e tutti, e forse in primis anche me stessa, non stiamo cambiando strada! Siamo ben saldi sui vecchi binari e guai a imboccare qualche scambio inaspettato. Ogni idea, ogni nuova soluzione è frutto di un team giovane, rinnovato, entusiasta, che vede in Coelum mille potenzialità, ma nulla è stato deciso senza il confronto con chi, per la solida esperienza, conosce i lettori di Coelum meglio di chiunque altro.
Il termine “passaggio di consegne” non è adeguato, stiamo parlando di una collaborazione stretta, quotidiana, che continuerà ancora a lungo perché la ricchezza sta nella novità, nell’intuizione di nuove forme di comunicazione e nuovi servizi, ma soprattutto è custodita nel cuore di chi questa rivista l’ha amata davvero.

Cosa succederà ora? Bene, partiamo belli e orgogliosi!
Il logo lo testimonia: un carattere forte, sicuro, deciso e solido, espressione di una forte fiducia nelle capacità del team e nella potenzialità dei nostri lettori. La rivista è sopravvissuta a molte difficoltà e a periodi incerti, ma è ancora la rivista di riferimento per il settore dell’Astronomia e continuerà ad esserlo per molti anni. I colori del logo varieranno, non sempre il petrolio, vedrete anche altre tonalità che scopriremo man mano e che serviranno ad una grafica anche simpatica e divertente; qualche gradevole tratto non renderà il contenuto meno autorevole!

Poi il sito.

È un newspaper, un portale di notizie, come la natura del servizio richiama. La home è caratterizzata dalle news, le notizie più interessanti dal mondo della ricerca in astrofisica, fisica, cosmologia, astrobiologia e tutte quelle discipline connesse al mondo dell’Astronomia. Trovano spazio anche le notizie sull’esplorazione spaziale, robotica e umana; ma la sezione che cattura l’attenzione è sicuramente il “Cielo del Mese“, un contenitore di articoli e rubriche dedicati agli oggetti a favore di osservazione per il mese in corso.

Alcuni di voi ricorderanno un progetto molto ambizioso chiamato “Coelum Stream” che in tempi forse poco maturi proponeva un canale streaming di interviste e dirette di osservazione. Niente di più banale e tecnicamente consolidato di questi tempi, ma non lo era allora e l’impresa si è dimostrata difficile da mantenere viva. L’idea era tuttavia vincente e fra i prossimi impegni la redazione ha in programma il rilancio del canale Youtube, in cui troveranno spazio interviste agli autori, ai ricercatori e dirette di eventi e osservazioni.

Sì, Coelum si rimette in moto non solo concettualmente, ma anche fisicamente. Nel prossimo anno la redazione parteciperà ai principali festival di scienze promossi sul territorio italiano e sarà anche lieta di dare visibilità alle iniziative più meritevoli organizzate da istituto nazionali e da associazioni di appassionati. Nelle prossime settimane metteremo a disposizione anche un nuovo servizio destinato alla segnalazione delle iniziative.

PhotoCoelum è sempre operativo, ancora per poco con i vecchi panni, poiché dal nuovo anno gli autori potranno contare su una nuova interfaccia e anche un nuovo motore di ricerca per favorire la visualizzazione dell’enorme archivio e la ricerca appunto di tutti i contributi e delle migliori foto.

Abbiamo inoltre voluto dare visibilità ad articoli, come dire, “datati”. Crediamo infatti sia un errore perdere il know-how raccontato con sapienza e cura dagli autori negli articoli sulle tecniche di osservazione, di fotografia, di ricerca. Random, quindi, ad ogni singolo accesso verranno mostrati articoli diversi scritti negli scorsi anni in occasione di eventi particolari come eclissi, congiunzioni, passaggi di comete, eruzioni solari, etc.; e se un tema vi dovesse colpire più di altri, la funzione CERCA spalancherà una porta su tutto l’archivio.

Implementeremo nuove funzioni nei prossimi mesi e continueremo a migliorare anche grazie alle vostre segnalazioni, perché, e ne siamo convinti, non c’è crescita senza un confronto!

E ora cosa resta? Ah sì, facile: la rivista! Ma questa è ancora un’altra storia che racconteremo… a breve 😉

GJ 367b: il “Pianeta Piuma”

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Un team internazionale di ricerca, che include Luisa Maria SerranoElisa Goffo e il Prof. Davide Gandolfi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, ha recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Science la scoperta del nuovo pianeta GJ 367b. La scoperta è stata resa possibile grazie alla collaborazione di 78 ricercatori provenienti da differenti enti di ricerca internazionali, ognuno coordinato da Kristine W. F. LamSzilárd Csizmadia dell’Institute of Planetary Research at the German Aerospace Center.

GJ 367b è un esopianeta con una massa pari alla metà di quella della Terra, e per questo ribattezzato come soprannome di “Pianeta Piuma”. Con un diametro di poco più di 9000 km, GJ 367b è leggermente più grande di Marte, ed impiega solo 8 ore a compiere una rivoluzione attorno alla sua stella.

«Grazie alla determinazione precisa delle sue dimensioni e della sua massa, siamo in grado di classificare GJ 367b come un pianeta roccioso», afferma il Prof. Davide Gandolfi, «È uno degli esopianeti terrestri più piccoli di cui sia stata misurata precisamente la sua massa».

Il “Pianeta Piuma” è stato scoperto grazie alle osservazioni condotte con il telescopio spaziale Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA, utilizzando il metodo dei transiti, che consiste nel misurare la diminuzione di luce di una stella quando questa viene parzialmente occultata da un suo pianeta che le transita di fronte. Osservazioni successive condotte utilizzando lo spettrografo HARPS dell’European Southern Observatory (ESO) hanno permesso di determinare la massa del pianeta. Pianeti con periodo orbitale più breve di 24 ore vengono chiamati in gergo scientifico ultra-short period planets, ossia pianeti con periodo orbitale molto corto.

«Si tratta generalmente di pianeti rocciosi con dimensioni più piccole di una volta è mezza quella della Terra. Tra i pianeti appartenenti a questa famiglia, GJ 367b è il più piccolo membro di cui sia stata misurata la massa», aggiunge Gandolfi, «Anche se non conosciamo bene le sue origini, riteniamo che GJ 367b si sia formato a distanze molto più grandi dalla sua stella e che successivamente sia migrato verso le regioni più interne del sistema planetario, raggiungendo la sua orbita attuale».

Determinando il raggio e la massa con una precisione rispettivamente del 7 e del 14 %, i ricercatori sono stati in grado di dedurre informazioni importanti sulla struttura e composizione interna dell’esopianeta.

«GJ 367b ha una densità di circa 8 grammi per centimetro cubo, maggiore di quella della Terra. Questo suggerisce che il pianeta abbia un nucleo molto esteso di ferro e nichel, simile a quello di Mercurio, il pianeta più interno del Sistema Solare», spiega la ricercatrice Maria Luisa Serrano.

La vicinanza del pianeta alla sua stella lo espone ad un livello di radiazioni estremamente elevato, oltre 500 volte più intenso di quello che riceve la Terra dal Sole. «Stimiamo che la temperatura superficiale sia di circa 1500 gradi Celsius. A questa temperatura le rocce ed i metalli fondono ricoprendo la superficie di GJ 367b con un mare di lava», aggiunge la ricercatrice Elisa Goffo.

Il pianeta appena scoperto orbita attorno ad una stella nana rossa avente un raggio pari a circa il 45% di quello del Sole e una temperatura superficiale di circa 3500 K che le conferisce un colore rossastro. Le nane rosse sono le stelle più comuni nella nostra Galassia e si stima che attorno ad esse orbitino in media da due a tre pianeti, ciascuno dei quali è più piccolo di Nettuno. Il team di scienziati mira ad osservare intensamente GJ 367b e il suo sistema solare per scoprire la presenza di altri pianeti simili e comprenderne le origini.

Per approfondimenti:

Science (Dicember 2021): “GJ 367b: A dense, ultrashort-period sub-Earth planet transiting a nearby red dwarf star”. Kristine W.F. Lam, Szilárd Csizmadia, Nicola Austudillo-Defru, Xavier Bonfils, Davide Gandolfi, Sebastiano Padovan, Massimilaino Esposito, Coel Hellier, Teruyuki Hirano, Michael Vezie (+69 authors)

La sfilata della Luna tra Venere, Saturno e Giove

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Una vera e propria sfilata tra i pianeti quella della Luna, dal 6 al 9 dicembre.

➜ 6 dicembre

Il primo giorno di questo bel affiancamento troveremo una sottilissima falce di Luna (fase 4%) e i pianeti apparire sull’orizzonte sudovest appena il cielo comincerà a scurirsi. Venere (mag. -4,7) e Luna, in congiunzione (circa 6° di separazione) potrebbero vedersi già prima delle 17. La Luna poi tramonterà attorno alle 18, quindi, per riprendere la congiunzione con il cielo buio e prima che sia troppo vicina all’orizzonte, si dovrà essere veloci! Negli stessi minuti (tra le 18:04 e le 18:10), la ISS attraverserà il cielo luminosissima (mag. -3,8) da nordovest a sudest, visibile alta nel cielo da tutto il Paese. Sarà il miglior passaggio della Stazione per il mese di dicembre, anche se mancherà per pochi minuti la nostra congiunzione.

Per cercare la ISS dal sito Heavens Above. Per i dettagli di orario e posizione corretti in alto a destra si può inserire la propria località (clicca sull’immagine)

7 dicembre

In questo secondo giorno, sempre poco dopo il tramonto, la Luna (fase 17%) si sarà spostata verso Saturno (mag +0,7). Avremo così un po’ più di tempo per studiare la giusta inquadratura (noi consigliamo attorno alle 17:30), in quanto il nostro satellite sosterà tra Saturno e Venere, che sarà il primo a tramontare alle 18.30. La ISS attraverserà il cielo, sempre luminosissima (mag. -3,6) tra le 17:17 e le 17:24, ancora lontana dai pianeti. Un passaggio più ravvicinato, ma molto più debole, si avrà solo dopo il tramonto di Venere.

➜ 8 dicembre

La falce crescente di Luna (fase 26%) si affiancherà a circa 8° da Saturno e si dirigerà verso la congiunzione con Giove. La ISS continuerà a solcare il nostro cielo, attorno alle 18:10, ma non al suo meglio (controllare nel box in alto le corrette circostanze del transito).

9 dicembre

L’ultima sera di questa passeggiata lunare, finalmente la falce di Luna ormai sostanziosa (fase 37%) si troverà a sinistra di Giove  (mag. -2,2), sempre a circa 6° di distanza. Questa volta il passaggio della ISS sarà più basso e ravvicinato all’allineamento dei tre pianeti. La vedremo sfrecciare tra le 17:19 e le 17:29 con una magnitudine di tutto rispetto di -2,7.

Le Costellazioni di Dicembre: il Cielo si accende con Orione, Capella e il Triangolo invernale

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Dicembre è il mese che segna il passaggio dal cielo autunnale a quello invernale e ad annunciarlo, oltre al solstizio di giorno 21 che determina l’ingresso della stagione più fredda, sono le costellazioni tipiche di questo periodo. Ad Ovest assisteremo al tramonto di quelle autunnali come Pegaso, Perseo, Andromeda e Ariete; a Sud-Ovest declinano verso l’orizzonte Capricorno, Acquario e Pesci; da Est in tarda serata sorgono Leone e Cancro mentre a Nord brillano le costellazioni circumpolari come l’Orsa Maggiore, Cassiopea, Cefeo, il Drago, la Giraffa e l’Orsa Minore con la Stella Polare a indicare il settentrione.

Da Sud-Est hanno fatto già il loro ingresso le costellazioni tipiche del cielo d’inverno, ovvero Toro, Pleiadi, Gemelli, Auriga e Orione con i suoi Cani da Caccia.

In alcune di esse sono collocate le stelle che ci regalano l’asterismo del Triangolo invernale, una figura molto brillante composta in basso da Sirio (Cane Maggiore), in alto a sinistra da Procione (Cane Minore) e Betelgeuse (Orione) in alto a destra.

Il vertice in basso rappresentato da Sirio viene attraversato dalla flebile scia di astri della Via Lattea invernale.

Interessante il quadretto di costellazioni composto da: il Toro con la stella rossa Aldebaran, le mitologiche sorelle Pleiadi, i Gemelli con le sue Castore e Polluce e poco più in alto la costellazione dell’Auriga con la brillante stella Capella.

Leggi bene!

https://www.lescienze.it/news/2010/04/08/news/risolto_il_mistero_di_epsilon_aurigae-556445/

Auriga e l’astro più brillante: Capella

Auriga è  una delle costellazioni che raggiunge la massima visibilità proprio nel periodo che va da novembre ad aprile, raggiungendo lo zenit intorno alla mezzanotte nel mese di dicembre. Si tratta di una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose, come ad esempio alcuni oggetti del catalogo Messier M36, M37 ed M38 e composti da stelle giovani.

L’Auriga rappresenta un ottimo punto di riferimento nell’identificazione di altri oggetti posti nelle vicinanze, partendo spesso dalla sua stella alfa, Capella, uno degli astri più luminosi del cielo boreale e sesta stella più  brillante del firmamento, visibile già ad occhio nudo nel cielo di dicembre e nei mesi invernali. Questa è composta da quattro stelle binarie spettroscopiche talmente vicine tra di esse da non poter essere risolte attraverso comuni, seppur potenti, telescopi, ma solamente attraverso apposite strumentazioni quali gli spettroscopi. Le stelle binarie spettroscopiche di cui fa parte Capella creano un sistema multiplo che dista circa 42,2 anni luce da noi.

L’Auriga trova origini mitologiche già nell’antichità. Nel mito greco viene associata a Capella la figura della capretta Amaltea che, dotata di copioso latte, fu in grado di allattare Zeus, il padre degli dei. Nel suo girovagare tra i boschi un giorno Amaltea finì contro un albero, spezzandosi uno dei due corni; le ninfe lo trovarono e lo raccolsero adornandolo di bellissimi fiori e Zeus, per ringraziarle, promise loro che il corno avrebbe generato per loro tanta abbondanza.

E’ proprio da questo episodio mitologico che nasce il famoso corno dell’abbondanza o cornucopia.

ORIONE domina il cielo d’inverno

Ma il vero protagonista del cielo di dicembre è sicuramente Orione: la sua figura di Cacciatore mitologico si staglia fiera a Sud, sulla volta celeste, intenta a combattere contro il Toro, delineando quella che è senza dubbio una delle costellazioni più amate e facilmente riconoscibili, una di quelle per cui vale davvero la pena restare a scrutare il cielo terso e magico di dicembre.

Trovandosi a cavallo dell’equatore celeste, Orione è ben visibile da tutto il pianeta, ed è facilmente individuabile grazie alla sua famosa “cintura”, data dall’allineamento delle tre stelle che la compongono Alnitak, Alnilam e Mintaka e nella cui prossimità sono presenti oggetti del cielo profondo come M43, NCG 1990, la Nebulosa Fiamma e la Nebulosa Testa di Cavallo.

Nella parte superiore della costellazione brilla con la sua luce arancio la stella Betelgeuse, una supergigante rossa grande quasi 1000 volte più del Sole e distante circa 600 anni luce dalla Terra. L’astro è un oggetto al centro dell’interesse degli astronomi già da diversi anni, costantemente monitorato e studiato poiché alla fine del suo ciclo vitale potrebbe esplodere in supernova.

Costellazione di Betelguese e Capella

Nonostante sia definita come stella alfa della Costellazione di Orione, Betelgeuse è in realtà la stella più luminosa dopo Rigel, una supergigante blu caldissima collocata all’altezza del ginocchio sinistro del Cacciatore.

La Cintura di Orione è avvolta all’esterno dall’Anello di Barnard, un imponente anello di nebulosità che dista circa 1600 anni luce dalla Terra e che ha una dimensione di 300 anni luce di diametro.

Si tratta del resto di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa, ed è apprezzabile tramite un telescopio o una fotografia a lunga esposizione.

A Sud dell’asterismo della Cintura di Orione, nei pressi della spada del Cacciatore, vi è la Nebulosa di Orione(M42), un oggetto brillante già visibile ad occhio nudo se osservato da un luogo sufficientemente buio, ma che può regalare grandi soddisfazioni attraverso l’utilizzo di adeguate strumentazioni, come il telescopio. Infatti, M42 si presta bene all’astrofotografia, è proprio uno degli oggetti più fotografati dagli amatori e dai più esperti, anche con macchine fotografiche adeguatamente impostate per realizzare scatti a lunga esposizione.

La Costellazione di Orione è oggetto di studio da parte degli astronomi, poiché contiene il più famoso complesso nebuloso molecolare del cielo, in cui hanno origine importanti processi di formazione stellare e che si estende ampiamente sulla volta celeste tra la cintura e la spada di Orione: è una delle regioni di formazione stellare più attive.

Dalla scienza al mito: il Cacciatore celeste

Oltre ad essere una costellazione particolarmente interessante dal punto di vista astronomico, Orione è circondato da un alone mitologico molto consistente; essendo una delle costellazioni più antiche sono tanti, infatti, i miti e le leggende che aleggiano sul protagonista del cielo invernale.

Figlio di Euriale e Posidone, Orione era un bellissimo ed abile cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani da caccia, in particolare Sirio. Le sue avventure sono legate principalmente a storie d’amore (e di vino) a causa delle quali si trovava spesso a dover combattere e scagliarsi contro i suoi rivali, arrivando persino a perdere(per poi riacquistare) la vista.

Tra le tante, la storia più appassionante e commovente è quella che lega Orione ad Artemide. Arrivato a Delo, l’isola sacra ad Apollo, insieme alla sua amante Eos, incontrò Artemide. Accomunati dalla passione del tiro con l’arco, il cacciatore e la bellissima sorella gemella di Apollo fecero presto ad innamorarsi.

Ma questa passione non andava giù ad Apollo, che considerava l’arrivo di Orione sull’isola e la relazione con Artemide una sorta di profanazione, così invocò l’aiuto della Madre Terra, che scatenò sul cacciatore la furia di un gigante e velenosissimo scorpione, figura dalla quale il cacciatore è eternamente inseguito sulla volta celeste.

Per non soccombere al velenoso attacco contro il quale nulla gli valsero le sue frecce, la sua armatura e la sua abilità, Orione si gettò in mare, dove il suo destino fu determinato dal perfido piano messo in atto dal geloso Apollo.

Mentre il cacciatore nuotava a pelo d’acqua, di notte, Apollo diede in mano ad Artemide l’arco invitandola a puntare la freccia in un punto poco visibile al largo; scagliando con abilità la fatale freccia, Artemide colpí a morte Orione.

Disperata per aver ucciso il suo amato, le sue lacrime ebbero la pietà di Zeus, che trasformò Orione in una luminosa costellazione e lo collocò tra gli astri affinché la sua amata Artemide potesse contemplarlo ogni sera.

Deep Sky: Camelopardus Seconda Parte

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L’AREA MERIDIONALE

Partiamo dalla stella più luminosa della costellazione che ci apprestiamo a conoscere: β Camelopardalis. Trovarla non è facile: ad ogni modo, individuiamo dapprima la luminosa Capella (α Aur), che irradia la sua luce dorata dallo zenit nelle gelide notti invernali, e tracciamo, da questa, un immaginario segmento che porta a Polaris (α UMi); partendo dalla lucida dell’Auriga, a circa un terzo e a metà di tale precorso, leggermente discostate da questo ma disposte parallelamente ad esso noteremo una coppia di stelle di quarta grandezza. Ebbene, la più meridionale, quella tra le due più vicina a Capella, è β Camelopardalis.

Splendendo di magnitudine 4,03 si pone al primo posto in ordine di luminosità tra le poco appariscenti stelle che popolano questa oscura area celeste. Si tratta di una rara stella supergigante gialla, astri che trascorrono in tale fase un breve periodo della loro evoluzione. La distanza di β Cam dal Sistema Solare è enorme, valutata in circa 870 anni-luce; essendo di tipo spettrale G1Ib–IIa (5.300 K alla superficie), ne consegue che la luminosità intrinseca di questa stella, dal raggio stimato in 58 volte quello solare, risulta essere oltre 1.500 volte quella della nostra stella, rispetto alla quale ha una massa ben 6,5 volte maggiore. L’analisi spettrale della sula luce dorata indica trattarsi di una giovane stella, nata circa 60 milioni di anni fa. L’allargamento delle sue righe spettrali, inoltre, ci informa che essa ruota ad una velocità (ca 12 km/s) insolitamente elevata per una stella evoluta; al fine di spiegare questa stranezza, è stato ipotizzato che la spiegazione potrebbe risiedere nell’aver inghiottito un pianeta gigante, non dissimile da Giove, ad essa vicino. Vero o no, sarà difficile poterlo confermare a “reato” compiuto.

Lasciamo ora β Cam per dirigerci a sud, al confine con Auriga, dove troveremo un’altra stella di quarta grandezza: 7 Camelopardalis. Lontana 370 anni luce dal Sistema Solare, la candida luce (mag.app. 4,43) emanata da questa stella è, in realtà, la combinazione di un sistema ternario di stelle. Nel 1864, il barone Ercole Dembowski riuscì ad individuare una compagna di ottava grandezza – 7 Cam B – ad 1,2” d’arco dalla stella principale. Nel corso del tempo, la separazione è scesa ma pur tornando ad allargarsi nuovamente, oggi è di soli 0,6” d’arco. La componente principale, chiamata 7 Cam A, è a sua volta un sistema binario spettroscopico dal periodo orbitale di soli 3,88 giorni del quale la componente principale è una stella di sequenza principale di tipo A1 (9.200 K) dalla massa 3,2 volte quella del Sole ed oltre 220 volte più luminosa. Secondo studi compiuti negli ultimi anni, la coppia sarebbe solo prospetticamente vicina.

Spostando la nostra attenzione a sud-ovest, ecco il primo ammasso aperto della costellazione: NGC1708, scoperto dall’astronomo britannico John Herschel nel 1831. Siamo nel mezzo della Via Lattea, in un fitto campo stellare: le stelle che compongono l’ammasso, circa una trentina di decima ed undicesima grandezza, sono sparse per poco meno 20’ e si staccano tutt’altro che facilmente dal fondo di stelle. Alla visione telescopica, le componenti sono disposte l’una dietro l’altra a formare una sorta di ampia curva con un apparente vuoto al centro. Lontano poco meno di 2.000 anni-luce dal Sistema Solare, NGC1708 ha un diametro effettivo di circa 12,5 anni-luce e, secondo le stime, tale ammasso aperto si sarebbe formato circa 575 milioni di anni fa. Circa 2° a nord-est di 7 Cam, che prendiamo ancora una volta come punto di riferimento, ecco il secondo ammasso aperto della costellazione: Alessi2. Il gruppo viene chiamato “ammasso ombrello” a causa della curiosa disposizione delle sue stelle: poco più di una ventina, con luminosità apparente comprese tra la nona e l’undicesima grandezza, che ricordano proprio un ombrello aperto. Le stelle più luminose, tra le altre cose, formano il manico, ricurvo come quello di un classico ombrello. Le altre componenti, che delineano il contorno ricurvo dello stesso, sono tutte di nona grandezza. Il gruppo di stelle si estende per circa 20’ ed è molto bello all’osservazione telescopica, oltre che per la curiosa forma, anche per il colore delle luminose componenti, che varia dall’azzurro al giallo-arancione.

Due interessanti sistemi multipli sono facilmente reperibili a sud di questo ammasso stellare ora visitato. Il primo è Hu612, sistema composto da due stelle non dissimili dal Sole per massa e luminosità. Apparendo come una unica stella di settima grandezza, il sistema, lontano circa 400 anni-luce dal Sistema Solare, è composto da due stelle di magnitudine 7,1 e 8,5 separate attualmente da 0,7” d’arco. Circa 64 UA separano le due stelle, che compiono una mutua orbita ogni 310 anni. Non lontano, poco meno di ad est, ecco 2 Camelopardalis, sistema questa volta ternario, lontano circa 145 anni-luce dal Sistema Solare. Due delle tre stelle possono essere osservate con un telescopio di modesto diametro, distando queste 21” d’arco e splendendo di magnitudine 6 e 13,2. La principale, a sua volta, può essere risolta in due componenti, entrambe bianco-azzurre, di magnitudine 5,6 e 7,5, utilizzando un telescopio di grande apertura dal momento in cui la loro separazione è attualmente stimata in 0,8” d’arco.

L’AREA OSCURA DI CAMELOPARDUS E ASSOCIAZIONI OB

Come sempre, laddove la Via Lattea attraversa la volta celeste, questa viene arricchita da un gran numero di caratteristiche e peculiarità; esattamente a quanto accade all’area sud-orientale di Camelopardus, intrisa da un gran numero di nebulose oscure, che portano l’intera zona ad essere visivamente molto oscurata tanto che gli stessi campi stellari presenti della regione risultano poco ricchi all’osservazione binoculare e telescopica: il pur breve tratto della Via Lattea in Camelopardus è, infatti, quello meno luminoso e appariscente dell’intera volta celeste. Sono proprio questi gli ambienti galattici nei quali si sviluppano episodi di formazione stellare, effettivamente riscontrati a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso. L’elemento più evidente di quest’area è un vasto complesso di nebulose oscure, che ospita anche alcune associazioni OB, generalmente chiamato “regione oscura di Camelopardus”; volendo inquadrare da un punto di vista geografico la posizione nella Galassia di questa interessante area, possiamo affermare che molti degli oggetti associati a questo complesso risiedono nella parte più esterna del locale braccio di Orion, a circa 3.300 anni-luce di distanza dal Sistema Solare; altri ancora giacciono ancora più lontano, nel braccio galattico di Perseus.

Tali formazioni vennero per la prima volta studiate dall’astronomo americano Edward Emerson Barnard, che provvide ad inserirle nel suo Catalogue of Dark Markings in the Sky, edito nel 1919; nella sua ultima versione, pubblicata postuma nel 1927, contiene in tutto 369 di questi oscuri oggetti. Come spesso accade per le nebulose oscure, non sono molte, purtroppo, le informazioni disponibili in letteratura evidentemente, queste anonime polveri oscure presenti in Camelopardus non hanno attratto l’attenzione degli astronomi. Ad ogni modo, partiamo, innanzitutto col dire che al di sotto di cieli veramente oscuri, il sistema non risulta difficile da osservare già utilizzando un binocolo del tipo 10×50. Il complesso di nebulose oscure catalogate (da oriente a occidente) con le sigle B6 B8 B9 B10 B11 B12. L’irregolare complesso, la cui parte più continua è lunga 2,5° e larga circa 0,5°, si estende in forma più o meno spezzata per circa lungo l’asse est-ovest. Una parte delle polveri si estendono a sud, andando ad intercettare la stella di quinta grandezza BD +53 750; anella sua parte occidentale, la nebulosa si divide in più parti.

Poco a sud della parte orientale di questo interessante complesso oscuro sono presenti due piccole nebulose ad emissione: Sh2-207 e Sh2-208. A causa della sua struttura circolare, Sh2-207 venne inizialmente scambiata per una nebulosa planetaria ma successivamente fu chiaro trattarsi di una regione H II, dove la fonte di ionizzazione che rende la nebulosa visibile è una sub-gigante blu tredicesima grandezza e tipo spettrale O9.5IV. La nebulosa appare larga solo 3’ a causa della sua enorme distanza dal Sistema Solare, stimata in oltre 11.000 anni-luce; date le dimensioni apparenti, è stato quindi possibile determinarne il diametro, stimandolo in circa 13 anni-luce. A sud di questa, praticamente unita ad essa, è presente Sh2-208, altra nebulosa ad emissione che però appare di dimensioni più ridotte della precedente, prossime ad 1’ di diametro: valore che indice della sua maggiore distanza. Il piccolo ammasso aperto Waterloo 1, formato da deboli stelle di quattordicesima grandezza, situato accanto alla nebulosa, si ritiene possa essere connesso con questa; la distanza dei due oggetti dal Sistema Solare, sarebbe superiore ai 14.300 anni-luce.

Concludiamo questo nostro primo viaggio nell’esplorazione delle poco note meraviglie celesti contenute nella parte più meridionale di Camelopardus con un ammasso stellare ed una bella nebulosa ad emissione che lo avvolge. Alicante 1, questo il nome del gruppo stellare, è lontano oltre 12 mila anni-luce dal Sistema Solare. La visione al telescopio restituisce una visione che è davvero un gioiello: una catena composta da una quindicina di stelle, con luminosità apparente mediamente di dodicesima grandezza, stretta tra due stelle di nona, l’una da una parte, l’una dall’altra. Come tutti gli ammassi del catalogo Alicante, redatto dal gruppo di astrofisica stellare dell’Università della città spagnola, anche Alicante, pur essendo piccolo, contiene sorprendentemente un gran numero di stelle molto massicce: praticamente, tutte le sue componenti. Tale gruppo di stelle è parte, a sua volta, di una più grande associazione OB di stelle ad elevata luminosità, chiamata Camelopardalis OB3, sparsa in questa ricca zona galattica e vecchia “solo” di 3 milioni di anni: stelle giovanissime quindi. Una di queste è, tra l’altro, una variabile ad eclisse, MY Cam, caratteristica per essere composta da stelle, per l’appunto, molto massicce. Uno studio condotto nel 2008 mise per la prima volta in relazione Alicante 1 con l’associazione Cam OB3 confermando, tra l’altro, l’esistenza della stessa associazione OB che in precedenza era stata messa in dubbio.

A testimonianza delle grandi quantità di gas presenti in zona, utili alla formazione di questi astri estremi, è la nebulosa ad emissione Sh2-204. Questa è legata all’associazione Camelopardalis OB3, tanto che quattro stelle di queste (BD +56 864, di tipo O6 V, HD 24372, di tipo O9.5 Ib, Hiltner 52, una O7.5 V e BD +56 866, addirittura una O9 V) sarebbero le responsabili della ionizzazione dei gas di Sh2-204: astri tutti di classe spettrale O, estremamente massicce e luminose. La nebulosa si presenta ricurva; alquanto simile, nella forma, all’ammasso ombrello che abbiamo visitato poco sopra. Allungata in direzione nord-sud, si estende per ben 27’’ d’arco. Nelle immagini a lunga posa è possibile notare come la parte più esile dei gas si spinga proprio in direzione dell’ammasso aperto Alicante 1; l’area più occidentale della nebulosa è addirittura divisa in tre tronconi, due dei quali più luminosi. Sulla parte centrale di questo spettacolare arco nebulare si sovrappone una piccola nebulosa oscura. Stime sulla distanza collocano tale questa vasta regione H II ad almeno 13 mila anni-luce dal Sistema Solare, ben oltre il braccio galattico di Perseo: forse, in quello della Norma. Uno studio del 2005, tuttavia, collega Sh 2-204 all’associazione Camelopardalis OB1, molto più vicina essendo collocata ad una distanza di circa 3.200 anni-luce dal Sistema Solare: precisamente, ancora all’interno del braccio di Orione. Quest’ultima è presente poco a nord della luminosa associazione OB centrata sulla luminosa Mirfak (α Per). Tenendo conto della distanza e delle dimensioni apparenti del gruppo, la reale estensione nello spazio di questo gruppo stellare si aggira attorno ai 260 anni-luce. Sono circa una quarantina le componenti ad oggi accertate; la metà di queste si concentrano nel gruppo chiamato Cam OB1-A, nel quale spicca la giovanissima GL 490, una stella di grande massa (circa 8-10 M⊙), in procinto di entrare nella fase di stella Be di Herbig, mentre nel gruppo Cam OB1-B ve ne sono una decina. E proprio all’interno di Cam OB1 potrebbe essere nata α Camelopardalis, una delle più note stelle fuggitive, al quale sarà punto di partenza della seconda parte del nostro tour cosmico tra nelle oscure plaghe della Giraffa.

…continua

Deep Sky: Camelopardus Prima Parte

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Tra i numerosi appassionati che rivolgono le lor attenzioni allo studio della volta celeste e, in particolare delle costellazioni, molti sapranno come l’area circostante il polo australe è intrisa da un gran numero di tali figure che, per la bassa luminosità delle stelle che le delineano, risultano poco appariscenti: per questo motivo, oltre che per il fatto di essere invisibili alle nostre latitudini medio-settentrionali, figure quali Mensa, Volans … Chamaleon (ed altre che potremmo ancora elencare) risultano, spesso e volentieri, lontane dalle attenzioni dei più.

Traendo spunto da questa considerazione, potremmo lecitamente chiedere a qualche esperto stargazer se anche nei cieli più settentrionali, quelli prossimi al polo nord celeste, esista qualche costellazione che funga da controparte alle oscure costellazioni australi sopra accennate. Facendo una rapida rassegna mentale ed andando per esclusione, quasi sicuramente una eventuale risposta andrebbe a citare le arcinote Ursa Minor e Major, Cepheus, Draco e Cassiopeia che però ben sappiamo contenere astri più o meno noti, certamente ben visibili ad occhio nudo, disseminati qua e la all’interno degli ampi spazi occupati da tali costellazioni.

All’attenzione dei più attenti, però, risulterà sicuramente un’area molto ampia, situata tra Ursa Minor, Ursa Major, Perseus e Auriga la quale, a tutti gli effetti, risulta spoglia di astri di una certa luminosità. C’è qualcosa lì, in quella zona, che sfugge alla memoria? La risposta è affermativa. Un veloce sguardo ad un atlante celeste mostrerà la presenza di un’area tutt’altro che uniforme, larga a sud tra Ursa Major, Auriga, Perseus e Cassiopeia, che a mo’ di cono di bottiglia si restringe spingendosi fin presso Polaris, popolata da quelle che nell’era dell’inquinamento luminoso, potremmo tranquillamente definire quali “deboli stelle”; le più appariscenti di queste formano, a tutti gli effetti, una costellazione poco conosciuta anche alle nostre latitudini e spesso trascurata da chi si accinge a compiere le prime osservazioni o riprese fotografiche nella volta celeste. Parliamo di Camelopardus, più nota in lingua italiana come Giraffa.

NELLA STORIA

La propensione dell’essere umano è, in qualche modo, quella di colmare il “vuoto”, sia esso interiore che nella vita di tutti i giorni. A questo, non sfuggirono neanche i cartografi celesti europei di qualche secolo fa i quali avviarono, soprattutto dopo la riscoperta dell’Almagesto tolemaico, la moda di riempire gli spazi vuoti esistenti tra le costellazioni descritte dall’astronomo alessandrino. Anche questa, era a tutti gli effetti, una sorta di atto liberatorio da quei dogmi religiosi, all’epoca ancora esistenti, che descrivevano il cielo come intoccabile oltre che statico. Una vera (pur inconsapevole) rivoluzione nacque, come detto, tra quei geografi ed astronomi che per assicurarsi i favori (e i soldi) dell’uno o dell’altro regnante dell’epoca, iniziarono a disegnare mappe e globi celesti che ritraevano la loro personale visione del cielo, con l’aggiunta ora di questa, ora di quell’altra figura tra le altre disegnate precedentemente da Tolomeo. C’è da dire che alcuni di questi cartografi lavorarono più seriamente, cercando di rappresentare, con le sole informazioni recepite da chi si apprestava a circumnavigare il mondo o andando ad esplorare nuove “terre incognite”, il cielo meridionale che solo da poco veniva osservato per la prima volta.

In tale contesto ritroviamo l’astronomo e cartografo fiammingo Pieter Platevoet (1552-1622) che, da pastore della Chiesa Riformista olandese, ebbe successivamente il suo nome latinizzato in Petrus Plancius. Nel 1585, a causa del timore suscitato dalle persecuzioni religiose indette dall’Inquisizione, si trasferì da Bruxelles ad Amsterdam. Nella capitale olandese, grazie alla fortuna di aver avuto accesso alle carte nautiche portate di recente dal Portogallo, Plancius iniziò ad interessarsi di navigazione e cartografia divenendo, tra le altre cose, grande esperto di rotte nautiche e introducendo, per la prima volta, la proiezione di Mercatore nelle mappe nautiche. La propensione di Plancius verso la geografia e l’esplorazione lo portarono, nel 1595, a chiedere a Pieter Dirkszoon Keyser, pilota della nave Hollandia, di effettuare alcune osservazioni della zona attorno al polo sud celeste, ancora ignota e quindi prima di stelle e riferimenti in molte delle carte europee del cielo australe all’epoca prodotte. Il catalogo che Keyser redasse con 135 stelle arrivò nelle mani di Plancius nonostante la morte del pilota, avvenuta a Giava solo l’anno successivo alla partenza; ad aiutare Keyser alla stesura del catalogo nonché ad ultimarlo fu quasi sicuramente l’esploratore Frederick de Houtman (…chissà quali emozioni avranno avuto questi primi esploratori dei cieli australi ad ammirare quel turbinio di stelle luminose e sconosciute, restando ammaliati dal maestoso aspetto della Via Lattea, delle sue nubi oscure, delle nubi di Magellano…).

Quando oggi, aprendo un libro sulle costellazioni o un atlante celeste del cielo meridionale, guardiamo incuriositi nomi quali Dorado, Chamaleon, Phoenix, Grus, Tucana, sognando di poter essere lì, in qualche deserto, a toccare per mano queste plaghe celesti spinti dalla voglia di conoscere, lo dobbiamo proprio a Plancius: fu lui, infatti a disegnare 12 nuove costellazioni con i dati che egli ricevette a seguito della sua richiesta. Le stesse vennero, tra l’altro, utilizzate dall’astronomo tedesco John Bayer nella composizione della famosa Uranometria, forse il più noto atlante celeste di tutti i tempi. Qualche anno più tardi, Plancius applicò anche alla parte più boreale del cielo la precisa volontà di disegnare nuove costellazioni, utilizzando stelle certamente meno luminose di quelle che delineavano le più note figure create da Tolomeo. Fu proprio così che per la prima volta, su un globo celeste di 26,5 cm di diametro, il cartografo fiammingo inserì 8 nuove costellazioni: Apis, Camelopardus, Cancer Minor, Euphrates, Tigris, Jordanis, Gallus, Monoceros e la più meridionale Sagitta Australis. Nomi che quasi sicuramente il lettore non avrà mai sentito a parte le uniche due sopravvissute di queste costellazioni: Columba, aggiunta nel 1624, Monoceros e, per l’appunto, Camelopardus.

Quale strano nome! A ben pensarci, pur in latino, è evidente come esso sia composto da due differenti nomi: camel (il cammello) e pardus (il leopardo). Certamente, non esiste nella realtà un simile animale; trattasi, quindi, di un altro essere leggendario, da accostare a Hydra o Monoceros? Assolutamente no ma certamente molta confusione emerse, in passato, su tale termine. Sebbene nessuna delle prime rappresentazioni mostri tale figura come un cammello, l’astrofilo e naturalista americano Richard Hinckley Allen (1838-1908) riportò che fosse stato l’astronomo tedesco Jakob Bartsch (1600 ca-1633) ad attribuire – secondo lui, in modo piuttosto sommario – tale nome indicando trattarsi del cammello di biblica tradizione che portò Rebecca da Isacco. Se è pur vero che le conoscenze zoologiche del Bartsch non fossero corrette, d’altro canto la sua errata interpretazione può essere giustificata dal fatto che in antichità il nome della giraffa, simile ad un cammello dal pelo maculato come quello di un leopardo, fosse davvero cammello-leopardo: Camelopardus, per l’appunto. Nella sua opera Usus astronomicus planisphaerii stellati (1624), Bartsch descrisse effettivamente un cammello, attribuendone l’introduzione all’astronomo Isaac Habrecht II (1589-1633).

Allen si chiese se tale cambiamento poteva spiegare il motivo per il quale l’astronomo inglese Richard Anthony Proctor (1837-1888) cambiò, a sua volta, il nome della costellazione da Camelopardus, ormai in uso, nel più semplice Camelus, sottolineando come in tal modo la costellazione in questione fosse stata denominata nell’edizione del 1894 del noto l’Astronomie Populaire di Camille Flammarion, unica opera del XIX secolo ad adottare tale cambio di nome. Di certo, un bel po’di confusione in più per questa povera giraffa celeste, già costretta a roteare attorno al polo nord celeste!

L’area celeste dove venne alloggiato Cameloparus era evidentemente destinata a mancare di serenità, dal momento in cui nell’atlante celeste La Théorie des comètes, pubblicato nel 1743 dall’astronomo e geofisico francese Pierre Charles Le Monnier (1715-1799), fece comparsa una nuova costellazione: Rangifer (la renna), situata tra Camelopardus, Cassiopeia e Cepheus. Il motivo risiede in una dedica fatta al suo amico Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, astronomo e naturalista che venne commissionato di condurre una spedizione scientifica nelle fredde terre della Lapponia al fine di studiare la forma della Terra; al fine di ringraziarlo per il lavoro scientifico compiuto, Le Monnier decise di attribuire a quelle “stellucce” così settentrionali la figura di un animale che rappresentasse il freddo e la desolazione di terre nordiche quali la Lapponia, la Siberia o il Nord-America: per l’appunto, una renna. Ben presto, i cartografi del XIX secolo iniziarono a non considerare tale costellazione, rappresentandone unicamente le stelle che a queste erano state attribuite ma senza più indicare tale figura; in una delle ultime apparizioni, anche a Rangifer venne applicato un nome diverso, comparendo nel Astronomy By Observation di Eliza A. Bowen (1888) come Tarandus; l’ultima e definitiva apparizione di Rangifer in un atlante celeste risale al 1899, dove viene nominato tale nel Celestial Handbook scritto dai fratelli Poole.

Ancora più bizzarra la storia di un’altra costellazione che, per un breve periodo, esistette nella plaga celeste oggi occupata da Camelopardalis ed ebbe anche una certa notorietà. Nel 1775, infatti, in un globo celeste prodotto da un altro astronomo francese, Joseph Jérôme Lefrançois de Lalande (1732-1807), fece comparsa Custos Messium (il custode delle messi). Nel 1824, l’astronomo Jacob Green spiegò come Lalande creò questa nuova figura in onore del suo amico Charles Messier, astronomo che scoprì un gran numero di comete dai cieli parigini e che compilò il più noto catalogo di oggetti del profondo cielo, che ne porta il nome.

L’idea che Lalande ebbe fu probabilmente di natura goliardica dal momento in cui il nome latino della costellazione è chiara allusione alla traduzione in lingua francese dello stesso: esattamente, Messier. Secondo l’astronomo Allen, il reale motivo dell’esistenza di Custos Messium andava addirittura ricercato nell’antica cultura fenicia; a suo dire, nella stessa area celeste, il popolo di grandi navigatori vi avrebbe visto la figura di un … campo di grano! Da aggiungere a questo, il fatto che figure di guardiani come Bootes venivano attribuite alla salvaguardia di beni come, per l’appunto, il grano o animali da allevamento. In qualche modo, anche Custos Messium avrebbe svolto una simile funzione; forse per questa relazione certamente importante, Custos Messium resistette per un secolo dopo la sua prima apparizione; l’ultima di queste avvenne nel 1877, quando il noto astrofilo inglese George F. Chambers citò Custos Messium, senza riferirsi direttamente ad esso, nel suo A Handbook of Descriptive and Practical Astronomy: “Lalande pose il nome di Messier nei cieli formando una nuova costellazione in suo onore nei pressi di Tarandus”.

ASPETTO E VISIBILITA’

Estesa per 757° quadrati, 18a in ordine di ampiezza tra le 88 costellazioni che popolano l’intera volta celeste, l’area occupata da Camelopardus raggiunge la massima larghezza nella parte meridionale per poi, come già accennato, salire verso il polo nord celeste restringendosi, laddove va ad inoltrarsi tra Ursa Minor e Bootes. Circumpolare alle nostre latitudini, comprende più di una quarantina di stelle con luminosità apparente entro la magnitudine 5,5. Bisogna dirlo: anche se non esiste alcuna standardizzazione attuata dall’Unione Astronomia Internazionale per la definizione delle linee stilizzate atte a rappresentare le costellazioni, la disposizione di questi deboli astri quale solitamente rappresentata in letteratura lascia davvero intravvedere, se dotati di sufficiente fantasia, i tratti di un animale dal lungo collo quale è una giraffa; tuttavia, è pur vero che tale cosa riesce più facilmente su una mappa stellare che all’atto pratico osservando la medesima area in cielo!

Ad ogni modo, il segmento composto dal trio β Cam, α Cam e γ Cam delinea una delle zampe anteriori dell’animale; quella posteriore dalla vicina coppia HD21389 a sud e HD21291 poco a nord, dalla cui ultima parte una spezzata verso nord che, passando prima per HD23475 incontra, poco sopra, la già citata γ Cam. Da quest’ultima parte un lungo segmento di stelle diretto poco al di sotto di Polaris, che delineano il lungo collo della giraffa: nell’ordine, HD33564, HD55966 ed HD89571, che segna la nuca della giraffa. Infine, il piccolo e poco appariscente triangolo formato da quest’ultima assieme alle vicine HD90089 e HD112028 ne segna la testa. Avvolgendosi strettamente attorno al polo nord celeste, Camelopardus si estende addirittura tra 3h e 14h di Ascensione Retta (!) e salendo da +53° a +85° in Declinazione. La prima parte che qui andremo a descrivere, quella meridionale, situata a ridosso del confine con Perseus e Auriga, raggiunge il meridiano alla mezzanotte di fine dicembre. E proprio quest’area è attraversata dalla Via Lattea, che la arricchisce di un gran numero di interessanti stelle ed oggetti che andremo a conoscere. A proposito della nostra galassia, numerose stelle tra quelle stagliate in questa zona sono molto, molto lontane dal Sistema Solare: verso quella direzione, infatti, si osservano alcune stelle situate ben al di fuori del locale braccio galattico di Orione. Iniziamo, quindi, il nostro tour all’interno di Camelopardus dalla sua parte più meridionale, attraverso il quale avremo modo di visitare e conoscere stelle ed intriganti oggetti del profondo cielo, la maggior parte dei quali davvero poco o per nulla noti ai più.

Donne e Ricerca in Fisica: opportunità, ostacoli e sfide

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L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) bandisce un nuovo concorso per gli studenti e le studentesse delle classi III, IV e V degli istituti secondari di II grado. I ragazzi potranno partecipare singolarmente o in gruppo, con la supervisione del loro insegnate. Per partecipare gli studenti dovranno realizzare e presentare un video della durata massima di 5 minuti, trattando temi inerenti al rapporto tra le donne e la scienza. L’iscrizione al concorso dovrà essere effettuata entro il 20 febbraio 2022, mentre il progetto dovrà essere sottomesso per il 21 marzo 2022.

Lo scopo è quello di sensibilizzare le nuove generazioni sul tema della parità di genere nella ricerca scientifica. L’uguaglianza di genere e l’integrazione delle donne nel mondo accademico, sono state considerate dalla Commissione Europea come una delle priorità dei prossimi anni. Bisogna incentivare, in particolar modo le studentesse, ad affacciarsi al mondo delle STEM, sviluppando dell’opportunità di approfondimento del tema.

I vincitori e vincitrici del concorso avranno la possibilità di visitare per due giorni una struttura o un laboratorio dell’INFN, per scoprire da vicino cosa vuol dire fare ricerca. Inoltre, i video presentati da vincitori, saranno esposti nel corso di un evento previsto per maggio 2022 a Roma, in occasione di una giornata dedicata alla fisica e al ruolo delle donne in questo settore.

Per approfondimenti:

Sito Bando: https://genera.sites.lngs.infn.it/

Nuovo Logo Coelum Astronomia

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Data speciale oggi 01 Dicembre 2021. La redazione è lieta di annunciare il restyling del logo Storico di COELUM ASTRONOMIA che oggi diventa:

Si tratta del primo passo verso una nuova veste grafica già anticipata, con un tratto più pulito e a fondo bianco che meglio si presta alle nuove regole della fruizione di contenuti di informazione.

Il FUTURO: un connubio fra Passato e Presente

Indice dei contenuti

Il FONT

 
L’esigenza di unire le due realtà che fino ad oggi hanno contribuito a definire l’immagine di Coelum Astronomia, fondendole in un unico linguaggio che la rivista utilizzerà negli anni avvenire. Il punto di partenza è quindi la storicità della rivista, prezioso gioiello della divulgazione scientifica italiana. Fondata da Guido Horn D’Arturo, rappresenta uno dei primissimi esempi e meglio riusciti di dialogo fra ricerca a pubblico. La tradizione viene rievocata dallo studio sul font classico, in essere già dal primo numero (1931) e successivamente alleggerito del grassetto, adattandolo ad uno stile ed un visual con un taglio decisamente più moderno.
Elemento chiave invece di assoluta distinzione il simbolo grafico “oe” con le due vocali unite ripreso dall’ultima versione.
Una fusione da cui sorge un nuovo spirito in assoluta continuità con le scelte editoriali precedenti.
 

IL COLORE

Colore petrolio: un tono collocato a metà strada fra il verde ed il blu. Il petrolio è un elemento naturale presente nei fondali marini, nel sottosuolo e nei giacimenti negli strati superiori della crosta terrestre.

Un composto a tratti controverso, più per il suo utilizzo che per la sua natura, ma fattore chiave dello sviluppo energetico del mondo moderno. Per la psicologia dei colori è quindi una tonalità dal carattere forte, avvolgente ed affascinante, una perfetta sintesi dello spirito e dell’anima della rivista Coelum Astronomia.

Concept Studio e Design Martina Battaglioni

Transiti ISS notevoli per il mese di Dicembre 2021

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La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nostra nazione ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda metà. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.

Si inizierà il giorno 4 Dicembre, dalle 17:59 verso NO alle 18:05 verso NE. Visibilità migliore dal Nord-Est Italiano e dalle regioni Adriatiche per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.2. Un buon transito per iniziare il mese, osservabile senza problemi anche dal resto della nazione.

Si replica il 6 Dicembre, dalle 18:01 alle 18:09, osservando da NO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8 Un classico transito individuabile senza alcun problema da ogni parte del paese, meteo permettendo.

Passiamo al giorno 7 Dicembre, dalle 17:14 in direzione NO alle 17:24 in direzione ESE. Visibile da tutto il paese con una magnitudine massima di -3.6. Sperando come sempre in cieli sereni.

Si passa ai transiti mattutini, prima dell’alba. Il 20 Dicembre, la Stazione Spaziale Internazionale sarà visibile nuovamente da orizzonte a orizzonte da tutta Italia, dalle 06:56 alle 07:07, da OSO a NE, con magnitudine massima di -3.7.

Il penultimo si avrà il giorno 21 Dicembre, dalle 06:12 da SO alle 06:20 ad ENE, con magnitudine massima nuovamente a -3.7. Visibilità eccellente da tutta la nazione.

L’ultimo transito del mese sarà visibile al meglio ancora una volta da tutta Italia il 23 Dicembre. Dalle 06:15 alle 06:22 da ONO a NE. Magnitudine di picco a -3.3.

Giorno Ora Inizio Direzione Ora Fine Direzione Magnitudine
04 17:59 NO 18:05 NE -3.2
06 18:01 NO 18:09 SE -3.8
07 17:14 NO 17:24 ESE -3.6
20 06:56 OSO 07:07 NE -3.7
21 06:12 SO 06:20 ENE -3.7
23 06:15 ONO 05:22 NE -3.3

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

Immagini da Heavens-Above.com

Telescopio ESO buchi neri supermassicci e vicinissimi!

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This image shows close-up (left) and wide (right) views of the two bright galactic nuclei, each housing a supermassive black hole, in NGC 7727, a galaxy located 89 million light-years away from Earth in the constellation Aquarius. Each nucleus consists of a dense group of stars with a supermassive black hole at its centre. The two black holes are on a collision course and form the closest pair of supermassive black holes found to date. It is also the pair with the smallest separation between two supermassive black holes found to date — observed to be just 1600 light-years apart in the sky.   The image on the left was taken with the MUSE instrument on ESO’s Very Large Telescope (VLT) at the Paranal Observatory in Chile while the one on the right was taken with ESO's VLT Survey Telescope.

Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO (European Southern Observatory) ha rilevato di recente una coppia di buchi neri supermassicci abbastanza vicina alla Terra. Secondo le osservazioni degli astronomi, i due buchi neri si trovano nella Galassia NGC 7727 nella costellazione dell’Aquario, a circa 89 milioni di anni luce dal nostro pianeta. Anche se questa distanza sembra notevole, in verità abbatte il precedente record di 470 milioni di anni luce, rendendo la nuova coppia di buchi neri la più vicina scoperta fino ad ora.

This image shows close-up (left) and wide (right) views of the two bright galactic nuclei, each housing a supermassive black hole, in NGC 7727, a galaxy located 89 million light-years away from Earth in the constellation Aquarius. Each nucleus consists of a dense group of stars with a supermassive black hole at its centre. The two black holes are on a collision course and form the closest pair of supermassive black holes found to date. It is also the pair with the smallest separation between two supermassive black holes found to date — observed to be just 1600 light-years apart in the sky.   The image on the left was taken with the MUSE instrument on ESO’s Very Large Telescope (VLT) at the Paranal Observatory in Chile while the one on the right was taken with ESO’s VLT Survey Telescope.

Questi grandi e complessi corpi celesti, come oramai ampiamente verificato, si trovano spesso al centro di galassie particolarmente grandi, e quando esse si fondono, i rispettivi buchi neri finiscono in rotta di collisione avvicinandosi fra loro. Un altro record infatti della coppia in NGC 7727 è proprio la distanza che li separa pari a soli 1600 anni luce. Karina Voggel, astronoma dell’Osservatorio di Strasburgo e autrice dello studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics, afferma: «E’ la prima volta che troviamo due buchi neri così vicini l’uno all’altro, meno della metà del precedente primato».

L’ESO, organizzazione intergovernativa fondata nel 1962, offre l’opportunità di accesso ai propri strumenti a numerosi laboratori di ricerca internazionali impegnati nello studio dei segreti dell’Universo, a beneficio di tutta la comunità scientifica.

Voggel e il suo gruppo hanno determinato la massa dei due oggetti osservando come l’attrazione gravitazionale dei buchi neri influenzi il loro moto. Il buco nero più grande tra i due risulta avere una massa pari a quasi 154 milioni di volte quella del Sole, mentre il secondo ha una massa è di 6,3 milioni di masse solari.

Il calcolo delle masse dei due oggetti è stato possibile tramite una serie di osservazioni presso l’Osservatorio del Paranal in Cile, sfruttando il Multi-Unit Spectroscopic Explorer (MUSE), installato sul VLT dell’ESO. Questo strumento affiancato da dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA ha permesso all’equipe di confermare che gli oggetti in NGC 7727 erano effettivamente “buchi neri supermassicci”.

Voggel prosegue: «La nostra scoperta implica che là fuori potrebbero esserci molti altri resti di fusioni di galassie, con altrettanti buchi neri massicci nascosti che aspettano solo di essere trovati».

La previsione è che la ricerca di buchi neri supermassicci sconosciuti farà enormi passi con le nuove tecnologie offerte dall’ESO. Oltre al VLT sta per essere testato, entro la fine di questo decennio, l’Extremely Large Telescope (ELT) nel deserto di Atacama in Cile. «Questo studio è solo l’inizio», conferma il coautore della scoperta Steffen Mieske, astronomo dell’ESO in Cile e capo delle operazioni scientifiche al sito dell’ESO al Paranal, «Installando anche lo strumento HARMONI sull’ELT, saremo in grado di effettuare ulteriori rilevamenti su distanze attualmente impossibili da raggiungere».

Che la caccia ai nuovi buchi neri abbia inizio!

Per approfondimenti:

Release: https://www.eso.org/public/italy/news/eso2117/?lang

Astronomy & Astrophysics (November 2021): “First Direct Dynamical Detection of a Dual Super-Massive Black Hole System at sub-kpc Separation”, Authors: Karina T. Voggel (Université de Strasbourg, CNRS, Observatoire astronomique de Strasbourg, Francia), Anil C. Seth (University of Utah, Salt Lake City, USA [UofU]), Holger Baumgardt (School of Mathematics and Physics, University of Queensland, St. Lucia, Australia), Bernd Husemann (Max-Planck-Institut für Astronomie, Heidelberg, Germania [MPIA]), Nadine Neumayer (MPIA), Michael Hilker (European Southern Observatory, Garching bei München, Germania), Renuka Pechetti (Astrophysics Research Institute, Liverpool John Moores University, Liverpool, Regno Unito), Steffen Mieske (European Southern Observatory, Santiago de Chile, Cile), Antoine Dumont (UofU), e Iskren Georgiev (MPIA).

Luna di Dicembre

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Proseguendo nella fase calante che abbiamo ammirato in chiusura dello scorso Novembre, questo mese si apre col nostro satellite che nella prima “notte utile” sorgerà alle ore 03:41 in fase di 26,2 giorni fra le stelle della Vergine. Anche se ormai l’avanzare della stagione invernale potrà costituire una notevole limitazione all’attività osservativa, in modo particolare nelle ore notturne controbilanciata però da una più ampia disponibilità di ore di buio nella fascia tardo pomeridiana e in prima serata, almeno per il cosiddetto “dovere di cronaca” si precisa che nel caso specifico la Luna si renderà visibile fino alle prime luci dell’alba.
Occorre tenere presente che in questa fase della lunazione la porzione di suolo selenico illuminata si ridurrà sempre più fino alle ore 08:43 del 4 Dicembre quando il nostro satellite, giunto al capolinea del ciclo lunare, rivolgerà al nostro pianeta il suo emisfero non illuminato essendo posizionato fra il Sole e la Terra, avremo infatti il Novilunio o Luna Nuova, dando contestualmente il via alla fase di Luna crescente fino a portare il nostro satellite nelle migliori condizioni osservative, comunemente intese come quelle intorno al Primo Quarto almeno per quanto concerne la comodità delle ore tardo-pomeridiane o serali disponendo inoltre di una maggiore superficie lunare illuminata dal Sole, mentre per gli appassionati alla ricerca dei più fini dettagli potrà rivelarsi importante effettuare osservazioni in alta risoluzione lungo il terminatore in condizioni di luce solare relativamente radente a prescindere da qualsiasi fase lunare.
Alle ore 02:36 del 11 Dicembre il nostro satellite sarà in Primo Quarto in fase di 6,7 giorni ma a -29° al di sotto dell’orizzonte. Per chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio sarà pertanto sufficiente attendere il tardo pomeriggio (dalle ore 17:30 circa) con la Luna ad un’altezza di +25/30° e con transito in meridiano alle 18:57 a +38°, andando poi a tramontare poco dopo la mezzanotte.
A prescindere dalle condizioni meteo decisamente invernali. almeno secondo il calendario, scorrendo col telescopio lungo la linea del terminatore saranno innumerevoli le strutture che attireranno la nostra attenzione. Infatti partendo dalle regioni polari settentrionale e meridionale, la cui osservazione viene almeno parzialmente limitata dal notevole quanto inevitabile schiacciamento prospettico che affligge tutte le strutture lontane dal centro geometrico del disco lunare, spostandoci da nord verso sud sono da citare gli spettacolari crateri Aristoteles ed Eudoxus rispettivamente di 90 e 70 km di diametro con gli adiacenti monti Caucasus (altezza circa 4000 mt) situati fra i mari Frigoris e Serenitatis. Sempre lungo il terminatore, scendendo più a sud sarà possibile ammirare le grandi e imponenti strutture crateriformi presenti sul lato est del mare Nubium ancora parzialmente in ombra, fino al vaso altipiano sudorientale dove ci sarà solo l’imbarazzo della scelta fra una miriade di crateri di qualsiasi dimensione.
La fase di Luna crescente avrà il suo culmine col Plenilunio previsto per le ore 05:36 del 19 Dicembre in età di 14,87 giorni alla distanza di 403302 km dalla Terra, con diametro apparente di 29,63′ e ad un’altezza di +24°. Mi astengo volentieri dal proporre l’osservazione della Luna Piena in una notte con clima invernale consapevole che in tal caso mi farei odiare da chi legge queste righe, ma forse non sarebbe da escludere l’exploit di qualche Astrofilo coraggioso…

Contestualmente al Plenilunio riparte la fase di Luna calante che porterà il nostro satellite, dopo essere sorto pochi minuti oltre la mezzanotte, in Ultimo Quarto alle ore 03:24 del 27 Dicembre, quando si troverà ad un’altezza di +30° fra le stelle della Vergine rendendosi visibile fino all’alba. Anche se solamente una notte particolarmente mite potrà convincere qualche appassionato ad un’osservazione notturna dell’Ultimo Quarto nel pieno dell’inverno, segnalo che in tale occasione vaste aree dei mari Imbrium e Nubium si troveranno in prossimità del terminatore, linea che indica il confine tra zone illuminate e zone in ombra sul suolo lunare, con la concreta possibilità di effettuare sedute osservative in alta risoluzione in condizioni particolarmente favorevoli di luce solare più o meno radente, mentre ancora più a sud sarà possibile scandagliare le numerose strutture dei vasti altipiani fino alla regione polare meridionale. Ad occidente invece si estende l’immensa pianura basaltica dei mari Imbrium, Nubium, Humorum ed Oceanus Procellarum. Nelle notti successive il progressivo avanzamento della fase calante porterà il nostro satellite ad alzarsi dall’orizzonte sempre più in tarda nottata fino a chiudere questo mese sorgendo alle ore 05:16 del 31 Dicembre fra le stelle dello Scorpione in fase di 26,8 giorni. Queste tra l’altro saranno anche le ultime ore del 2021 in cui vedremo la Luna mentre all’alba del nuovo anno una sottile falce di 28 giorni sorgerà alle ore 06:38 del 1 Gennaio preceduta dal pianeta Marte, ma se ne riparlerà fra un mese.
Le FALCI lunari di DICEMBRE
Il primo appuntamento in Luna calante è per la tarda nottata del 2 Dicembre quando alle ore 05:01 sorgerà una falce di 27,2 giorni fra le costellazioni della Vergine e Bilancia. Non ci sarà molto da vedere in questa fase ad eccezione della netta distinzione fra gli scuri basalti dell’estremità occidentale di Procellarum e la maggiore albedo delle rocce anortositiche degli altipiani, con l’inconfondibile “isola nera” del cratere Grimaldi in prossimità dell’equatore. La mattina successiva, il 3 Dicembre, una sottile falce di 28,3 giorni sorgerà alle ore 06:24 preceduta dal pianeta Marte (distanza 3°40′), ma l’esiguo margine temporale prima del sorgere del Sole sarà sufficiente solo per una rapida sessione fotografica attuando ogni indispensabile precauzione.
Per le falci in Luna crescente appuntamento per il tardo pomeriggio del 5 Dicembre con una falce di 1,37 giorni che tramonterà alle ore 17:37 in Sagittario seguita dal pianeta Venere. Solo pochi dettagli saranno individuabili sulla sua superficie ed anche molto breve sarà il tempo a disposizione per una rapida occhiata in condizioni di sicurezza. La serata successiva, il 6 Dicembre, una più comoda falce di 2,4 giorni tramonterà alle ore 18:44. Nel caso specifico la più ampia superficie di suolo lunare illuminata consentirà ottime osservazioni anche in alta risoluzione sugli altipiani, ristretti fra il bordo orientale ed il terminatore, in particolare sul mare Humboldtianum (nordest), sul settore più orientale di Crisium con i mari Marginis, Undarum e Smythii ad est e fino al settore sudorientale oltre alle rispettive cuspidi nord e sud. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
LIBRAZIONI di DICEMBRE
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudovest: (a)
– 01 Dicembre: Fase 26,2 giorni, sorge 03:41, tramonta 14:59. Ovest cratere Piazzi-C.
– 02 Dicembre: Fase 27,2 giorni, sorge 05:01, tramonta 15:26. Ovest cratere Lagrange.

Immagine Massima LIBRAZIONE 01-02 Dicembre 2021
Massima LIBRAZIONE 01-02 Dicembre 2021

Librazioni Regione Nordest-Est:
– 05 Dicembre: Fase 0,85 giorni, sorge 09:09, tramonta 17:37. Mare Humboldtianum.
– 06 Dicembre: Fase 2,42 giorni, sorge 10:18, tramonta 18:44. Mare Humboldtianum.
– 07 Dicembre: Fase 3,42 giorni, sorge 11:14, tramonta 19:59. Mare Humboldtianum.
– 08 Dicembre: Fase 4,52 giorni, sorge 11:55, tramonta 21:17. Est cratere Endymion.
– 09 Dicembre: Fase 6,00 giorni, sorge 12:27, tramonta 22:32. Est cratere Endymion.
– 10 Dicembre: Fase 2,62 giorni, sorge 12:52, tramonta 23:44. Est cratere Atlas.
– 11 Dicembre: Fase 7,62 giorni, sorge 13:14, tramonta 00:50. Est cratere Atlas.
– 12 Dicembre: Fase 7,67 giorni, sorge 13:33, tramonta 02:00. Est cratere Atlas.
– 13 Dicembre: Fase 9,50 giorni, sorge 13:52, tramonta 03:00. Est cratere Gauss.
– 14 Dicembre: Fase 10,6 giorni, sorge 14:11, tramonta 04:05. Est cratere Gauss.
– 15 Dicembre: Fase 11,6 giorni, sorge 14:32, tramonta 05:09. Est cratere Cleomedes.

Massima LIBRAZIONE dal 5 al 15 Dicembre
Massima LIBRAZIONE dal 5 al 15 Dicembre

Librazioni Regione Sud-Sudovest-Ovest: (b)
– 20 Dicembre: Fase 15,6 giorni, sorge 17:33, tramonta 09:56. Sud cratere Phocylides.
– 21 Dicembre: Fase 16,6 giorni, sorge 18:31, tramonta 10:34. Sud cratere Schickard.
– 22 Dicembre: Fase 17,6 giorni, sorge 19:35, tramonta 11:05. Sudovest cratere Phocylides.
– 23 Dicembre: Fase 18,6 giorni, sorge 20:41, tramonta 11:39. Ovest cratere Phocylides.
– 24 Dicembre: Fase 19,6 giorni, sorge 21:50, tramonta 11:55. Sudovest cratere Schickard.
– 25 Dicembre: Fase 20,6 giorni, sorge 22:58, tramonta 12:16. Ovest cratere Schickard.
– 26 Dicembre: Fase 21,6 giorni, sorge ——,  tramonta 12:16. Ovest cratere Schickard.
– 27 Dicembre: Fase 22,6 giorni, sorge 00:08, tramonta 12:36. Ovest cratere Piazzi.
– 28 Dicembre: Fase 23,6 giorni, sorge 01:20, tramonta 12:57. Ovest cratere Piazzi.

Massima LIBRAZIONE dal 20 al 28 Dicembre 2021
Massima LIBRAZIONE dal 20 al 28 Dicembre

– 29 Dicembre: Fase 24,7 giorni, sorge 02:35, tramonta 13:21. Ovest mare Humorum.
– 30 Dicembre: Fase 25,8 giorni, sorge 03:54, tramonta 13:50. Ovest cratere Sirsalis.

Massima LIBRAZIONE 29-30 Dicembre
Massima LIBRAZIONE 29-30 Dicembre

– 31 Dicembre: Fase 26,8 giorni, sorge 05:16, tramonta 14:26. Ovest cratere Struve.

Massima LIBRAZIONE 31 Dicembre 2021
Massima LIBRAZIONE 31 Dicembre 2021

NOTE SULLE IMMAGINI

Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.

Il cielo di Dicembre 2021

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In questo mese osserveremo che quando il brillante Occhio del Toro Aldebaran, l’ammasso delle Iadi, raggiungerà il meridiano, a ponente staranno già scendendo lentamente le costellazioni dell’Acquario, del Pegaso, del Cigno, con la brillante Deneb, e i Pesci. Lo zenit è ora occupato dal Perseo e dall’Auriga, in cui dimora la fulgida Capella. Più in basso rispetto al Toro riconosceremo il dolce fluire delle acque stellari dell’Eridano. Verso est, circondato da altri animali e personaggi mitologici, salirà invece un ruggente Leone.

Più tardi, nel corso della notte, sorgerà anche il Boote, con la brillante Arturo, mentre staranno già scendendo verso l’orizzonte occidentale la Balena, i Pesci e Andromeda.

IL SOLE

Da Photo Coelum: macchia solare regione AR2882 (di Luigi Morrone)

–> Per le info tecniche della ripresa sopra clicca qui

All’inizio di dicembre il Sole si troverà nella costellazione zodiacale dell’Ofiuco e passerà in quella del Sagittario il giorno 17.

Sempre più bassa e immersa nella foschia, la nostra stella raggiungerà in questo periodo, più precisamente il giorno 21, la minima altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano alle 16:00. Sarà questo il giorno del Solstizio invernale (dal latino solstitium, che significa “Sole immobile”, stazionario, per il fatto che la sua apparente caduta in altezza sembra progressivamente arrestarsi).

Da questo momento in poi avrà inizio nel nostro emisfero l’inverno astronomico.

credit NASA

Per dovere di cronaca, segnaliamo che il 4 dicembre avverrà un’eclissi di Sole totale. La Luna si troverà a “soli” 354.000 km e occulterà completamente il disco solare, con il massimo dell’eclissi alle 8:33. L’evento, purtroppo, non sarà visibile dall’Italia. La totalità si osserverà in Antartide, mentre la fase parziale in Sud Africa e Oceano Atlantico.

COSA OFFRE IL CIELO

Venere continua a dominare il cielo della sera, anticipando sempre più il suo tramonto. A fine mese incrocerà il suo cammino con quello di Mercurio che, in quei giorni, inizia invece timidamente a mostrarsi sull’orizzonte della sera.  Negli ultimi tre giorni di questo 2021 li vedremo affiancati nel cielo ancora chiaro del crepuscolo, molto bassi sull’orizzonte sudovest e in procinto di tramontare. Mercurio infatti, al contrario di Venere, si allontanerà dal Sole rendendosi sempre più visibile solo verso l’ultima decade del mese.

Saturno e Giove, ancora allineati a Venere, lo seguono mentre declina verso l’orizzonte, ma continueranno a mostrarsi per tutto il mese, sempre a sudovest. Approfittiamone per le nostre immagini panoramiche già poco dopo il tramonto!

Segnaliamo in particolare tra il 6 e 9 dicembre, una elegante sfilata della falce di Luna accanto ai tre astri, che, partendo molto sottile in congiunzione con Venere, prende sostanza alla fine dei quattro giorni affiancandosi al gigante gassoso Giove (N.B. in prossimità dell’evento troverete nella sezione “Cielo del mese” l’articolo dedicato).

Da Photo Coelum, “Incontro tra gli dei” – Giove, Saturno e la Luna si incontrano sopra il Duomo di Siracusa la cui struttura integra un antico tempio dorico dedicato alla dea Atena (di Andrea Rapposelli)

–> Per le info tecniche della ripresa sopra clicca qui

Consigli per i vostri scatti: proponiamo un approfondimento – estratto da Coelum Astronomia n.202 – su come riprendere il movimento e la trasformazione della falce di Luna tra i pianeti nel cielo (di Giorgia Hofer).

La Danza dei Pianeti

Marte fa capolino nel cielo del mattino, lo vedremo migliorare sempre più la sua visibilità, seppur sempre lentamente, anticiperà infatti il suo sorgere di poco meno di una decina di minuti dall’orizzonte sudest, attorno alle 6. Per i più temerari (sappiamo chi siete!), il pianeta incrocia, il 2 dicembre, una sottilissima falce di Luna, quasi invisibile nel crepuscolo del mattino. A fine mese, invece, la sua nemesi Antares lo affiancherà, e proprio l’ultimo giorno dell’anno verranno accompagnati da una altrettanto sottilissima falce di Luna a meno di 2 giorni dalla fase di Nuova.

Urano e Nettuno, come per il mese di novembre, continuano ad essere ben visibili, il primo per tutta la notte, mentre il secondo solo nella prima parte. Nettuno, invisibile e discreto, andrà a completare l’allineamento Venere, Saturno e Giove.

Urano incrocia la Luna il 14 dicembre, mentre Nettuno incrocia il primo quarto di Luna il giorno 11.

Effemeridi Luna

Effemeridi Sole

Effemeridi Pianeti

LA LUNA

Da Photo Coelum – Mosaico Luna piena minerale (di Roberto Ortu)

Dicembre inizia con una Luna in fase calante tra le stelle della Vergine. In questo primo giorno del mese la sottile falce si affiancherà alla luminosa Spica, in un quadro suggestivo. Per riprenderle nella cornice del paesaggio bisognerà però alzarsi intorno le 4:30!

Un’ulteriore – e fugace! – occasione per degli ottimi scatti cadrà il 3 dicembre: una sottilissima falce di 28,3 giorni sorgerà alle ore 06:24 preceduta dal pianeta Marte (distanza 3°40′), permettendo una bella, ma rapida, ripresa fotografica poco prima che la luce dell’alba disturbi l’osservazione.

Il 4 dicembre ci sarà il Novilunio e, dal 6 al 9 dicembre (come già anticipato), potremo godere del sfilata del nostro satellite naturale che si affiancherà, in ordine, a Venere, Giove e Saturno.

Segnaliamo inoltre, il 16 e 17 dicembre, un bel passaggio della Luna ad est nella costellazione del Toro: il primo giorno a circa 5° dalle Pleiadi e il secondo a 5° dal brillante occhio Aldebaran.

–> Per le info tecniche della ripresa “Luna Pinea Minerale” clicca qui

Avvicinamento della Luna alle Pleiadi e Aldebaran (16 e 17 dicembre)

Un maggiore approfondimento sulla Luna di dicembre, curato dal nostro autore Francesco Badalotti, sarà disponibile domani sul nostro sito.

GEMINIDI

Da non perdere il magnifico spettacolo offerto dallo sciame meteorico delle Geminidi, dirigendo lo sguardo proprio verso la costellazione dei Gemelli. La notte migliore per osservarle cade tra il 13 e 14 dicembre, con il picco alla mattina del 14. Con la Luna che avrà superato da pochi giorni il primo quarto (fase 81 %) l’osservazione risulterà difficoltosa, ma senza dubbio la luminosità del nostro satellite non nasconderà i bolidi più luminosi e spettacolari!

Meno famose delle sorelle estive, le  stelle cadenti invernali non sono però meno spettacolari: è infatti è uno degli sciami più attivi oggi noti. Il modo migliore per osservare le Geminidi è senz’altro a occhio nudo, ma si potranno anche riprendere le scie attraverso una macchina fotografica con un obiettivo grandangolare orientato verso il punto di origine apparente, il radiante (nei pressi della stella Castore), per creare una fotografia con “effetto pioggia”.

A differenza degli altri sciami meteorici, la particolarità delle Geminidi è quella di non essere originate da una cometa, ma da un asteroide della Fascia Principale, 3200 Phaeton, di diametro 5 km, scoperto l’11 ottobre 1983 attraverso l’Infrared Astronomical Satellite.

COMETE

Sono ben 3 le comete che è possibile osservare in questo periodo. Le approfondiamo nell’articolo del nostro autore Claudio PraComete di dicembre“, presente nella sezione “Cielo del Mese”.

Di Francesco Badalotti. Cometa “C/2021 A1 Leonard” ripresa il 20/11/2021 dalle Isole Canarie (Piattaforma SLOOH) con telescopio a controllo remoto Celestron C11 RASA, 280mm F2,2. Elaborazione MaxIm, Camera Raw, Photoshop. Questa cometa è transitata prospetticamente vicina alla galassia a spirale NGC 4395 (mag. 10,6), situata nella costellazione dei “Cani da Caccia” e nota per la sua debole luminosità superficiale, di cui fanno parte le galassie NGC 4399-4400-4401. L’immagine è stata inoltre elaborata col filtro Larson-Sekanina con angolo di rotazione di 21,10° (nel riquadro allegato)

➜ C/2021 A1 Leonard scoperta nel 2021, esattamente il 3 gennaio, dall’astronomo americano Gregory J. Leonard. La Leonard risulterà teoricamente visibile ad occhio nudo, raggiungendo un’ottima quarta magnitudine nei giorni in cui transiterà nei pressi del nostro pianeta (con il punto più vicino sarà il 12 dicembre). In ogni caso si consiglia l’utilizzo di un binocolo o di un telescopio.

➜ 67PChuryumov-Gerasimenko già transitata al perielio, ma ancora visibile nei nostri cieli nella parte settentrionale del Cancro. Abbiamo parlato di questa cometa anche in un articolo di questo novembre Occhi al cielo: il ritorno della cometa di Rosetta

➜ C/2019 L3 ATLAS raggiungerà l’apice di luminosità il 22 dicembre, con il passaggio al perielio. Nella prima metà del mese transiterà nella Lince, passando poi per Auriga e infine nei Gemelli.

Comete del Mese di Dicembre

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Tutti gli occhi puntati sulla Leonard

A molti mesi di distanza, eccoci di nuovo su Coelum. In questo periodo, riguardo le comete, non è successo molto di significativo. Guarda caso però, ci rifacciamo vivi giusto in tempo per guidarvi all’osservazione della C/2021 A1 Leonard, che speriamo possa regalarci momenti molto emozionanti. Occhio su questo promettente oggetto, dunque, il quale sarà protagonista per gran parte del mese di dicembre, prima di scomparire tra le luci del Sole.

credit: Francesco Badalotti

C/2021 A1 Leonard

E’ stata la prima cometa ad essere scoperta nel 2021, esattamente il 3 gennaio; merito dall’astronomo americano Gregory J. Leonard dall’Osservatorio di Monte Lemmon. Un fatto curioso è che la cometa raggiungerà il perielio esattamente un anno dopo, il 3 gennaio 2022, passando a 0,6 U.A. dal Sole. In seguito, si allontanerà lungo la sua orbita iperbolica, che non la riporterà più a passare dalle nostre parti per molto tempo. Sicuramente è l’ ”astro chiomato” più atteso di quest’anno, visto che il 2021 non ci ha finora regalato comete molto luminose.

Secondo le curve di luce degli esperti, infatti, la Leonard risulterà teoricamente visibile ad occhio nudo, raggiungendo un’ottima quarta magnitudine nei giorni in cui transiterà nei pressi del nostro pianeta, arrivando presso il punto più vicino intorno il 12 dicembre. In quei giorni, sarà però posizionata molto bassa sull’orizzonte, ed inoltre la sua visibilità dipenderà dall’aspetto compatto o diffuso, oltre che dalla sua reale brillantezza. Un oggetto di quarta grandezza molto basso in cielo è comunque difficile da percepire. Risulterà in ogni caso una bella cometa, sicuramente avvistabile con piccoli binocoli.

Un incontro spettacolare e imperdibile è previsto per il 3 dicembre prima dell’alba, quando passerà sul luminoso ammasso globulare dei Cani da Caccia M3, uno dei più belli dell’emisfero boreale. Ovviamente c’è da considerare l’imprevedibilità che spesso caratterizza le comete. Magari chissà, la Leonard potrebbe riservarci exploit imprevisti e graditissimi. La sua traiettoria in cielo coprirà oltre 130°. Partendo dai Cani da Caccia attraverserà Boote, il Serpente, una piccola porzione dell’Ercole, l’Ofiuco, lo Scudo, il Sagittario per finire la sua corsa nel Microscopio. A inizio mese sarà ancora alta in cielo, osservabile nelle migliori condizioni verso la fine della notte astronomica. Il suo veloce movimento la porterà però in breve ad abbassarsi sull’orizzonte, tanto che il 12 dicembre – giorno in cui abbiamo già detto raggiunge il punto più vicino al nostro pianeta (ci separeranno circa 23 milioni di km) e il presumibile massimo splendore – sorgerà appena prima del termine della notte astronomica. Sarà l’ultimo giorno in cui la si potrà osservare con il cielo completamente buio.

Dal 13 dicembre la dovremo, infatti, cercare in migliori condizioni dopo il tramonto, a inizio del crepuscolo astronomico (facendo i conti anche con la Luna crescente); ed in seguito le condizioni rimarranno più o meno identiche. Considerando questo e la sua scarsissima altezza non sarà facile estrarla dal fondo del cielo, a meno che non superi le previsioni riguardanti la sua luminosità. Sarà allora curioso osservare un ammasso globulare nei pressi della coda. Il 17 e 18 dicembre incontrerà invece il pianeta più luminoso, transitando 5,5° a sud di Venere. A fine mese speriamo di poterla salutare con un’ultima e ben chiara osservazione, poiché in seguito non risulterà più visibile.

Aggiornamento del 6 dicembre 2021:

Cometa Leonard. Disegno di Claudio Pra

La cometa Leonard sta per raggiungere il punto più vicino alla Terra e con esso la sua massima luminosità. Dopo l’incontro con il luminoso ammasso globulare M3, avvenuto qualche giorno fa, altri momenti spettacolari ci attendono, con l’astro chiomato che potrebbe raggiungere una luminosità tale da essere scorto a occhio nudo sotto cieli bui e cristallini.

A fine novembre alcune immagini sembravano mostrare una frammentazione dell’oggetto, con timori per la sua crescita luminosa. I dubbi però sembrano fugati con più recenti osservazioni: in questi primi giorni di dicembre, la Leonard è già visibile con piccoli binocoli, non essendo lontana dalla quinta magnitudine, con margini di crescita ancora promettenti. In una osservazione del 6 dicembre a cura di Claudio Pra, autore di questo articolo, eseguita con un binocolo 20×90, è apparsa bella e luminosa. Falso nucleo evidente e chioma compatta, oltre ad almeno un grado di tenue coda, ben visibile anche con un piccolo binocolo 10×50. È quindi il momento di darci dentro con le osservazioni, anche perché giorno dopo giorno la cometa si abbassa velocemente sull’ orizzonte andando incontro alla luce solare.

Aggiornamento del 12 dicembre 2021:

Cometa Leonard. Foto di Claudio Pra – 12 dicembre 2021

Leonard al picco di luminositàil commento di Claudio Pra

La cometa Leonard è ormai transitata nel punto della sua orbita più vicino al nostro pianeta. È accaduto domenica 12 dicembre, quando è passata a circa 23 milioni di km dalla Terra. Ora si sta avvicinando al Sole, con il perielio fissato per il 3 gennaio 2022. Il picco luminoso è però previsto proprio in questi giorni, quando purtroppo la posizione in cielo dell’”astro chiomato” risulta molto sfavorevole, con l’oggetto bassissimo sull’orizzonte ed offuscato dalle ultime luci del giorno oltre che dal chiarore lunare.

Ma che luminosità ha raggiunto la cometa? Personalmente posso proporre tre osservazioni recenti, in cui secondo le mie stime, è scesa poco al di sotto della quinta magnitudine, probabilmente 4,5/4,8 mag. Ciò mi ha permesso di percepirla ad occhio nudo il 10 dicembre, seppure al limite ed usando la visione distolta, da un sito osservativo posto in montagna a mille metri di quota. Riporto tre sessioni osservative:

8 dicembre, ore 5.00

Il cielo non è completamente pulito, ma solcato da velature che di tanto in tanto si diradano. La trasparenza non è comunque ottimale. La Leonard è ben visibile sia al binocolo 20×90 che nel piccolo 10×50. Visibile anche la coda, che però già tenue di suo, fatica a staccarsi in quel cielo non perfetto.  

10 dicembre, ore 5.30

Riosservo la Leonard che, seppure relativamente bassa in cielo, risulta visibile ad occhio nudo, percepibile come una piccola chiazza appena accennata, localizzabile con la visione distolta. Al Binocolo 20×90 è evidente il suo falso nucleo e molto luminosa la chioma più interna. La coda è invece tenue, lunga almeno 1,5°. Anche al binocolo 10×50 la cometa è facile, con visibile anche la coda. Comparandola al vicino ammasso globulare M5 la valuto di mag.5.

12 dicembre, ore 6.00

Con gli amici Vittorio e Andrea salgo in quota a Passo Valles, 2032 m sperando in un ultimo (forse) saluto alla Leonard che passa vicino alla Terra. Fa freddissimo (temperatura -11°C) ma il cielo è ottimo, a parte qualche sporadica velatura all’orizzonte.

Avvisto la cometa con il binocolo 10×50 alle 6.00, proprio alla fine della notte astronomica, alta circa 3° sull’orizzonte. Al binocolo 20×90, quando si alza un po’ di più ed il cielo comincia a rischiarare, risulta piuttosto luminosa, con la chioma ben condensata ed uniforme. La coda è invece molto tenue, percepibile per circa mezzo grado. La cometa si trova a poco più di 3° dall’ammasso globulare M12, di mag. 6,8, che però non riesco a vedere. Una stima non accurata sulla luminosità mi porta a valutarla al di sotto della quinta mag. tra la 4,5 e la 4,8 mag. Risulta molto facile anche nel piccolo binocolo 10×50. Chiaramente non è visibile ad occhio nudo come qualche giorno prima perché troppo bassa ed immersa in un cielo non completamente buio. Se alta sarebbe stata sicuramente visibile piuttosto agevolmente anche senza strumenti, pur senza spiccare. Scatto anche una suggestiva foto usando l’astro-inseguitore, immortalandola con una focale di 135mm. sopra una serie di cime dolomitiche appartenenti alle Pale di S. Martino.

Domenica 12 dicembre sarà stato l’addio a questa bella cometa?

Qualcuno la dava per spacciata a fine novembre a causa di un suo presunto disgregamento, ed invece ha tutto sommato tenuto. Speriamo tenga duro ancora e magari ci sorprenda! Ma razionalmente le possibilità di rivederla non sono molte, dato che la luminosità attuale raggiunta non è abbastanza elevata per riuscire a staccarla da un fondo cielo non certo scuro come quello in cui sarà immersa nei prossimi giorni. Inoltre, come già ricordato, influisce moltissimo anche la sua posizione che la colloca vicina all’orizzonte nel momento in cui fa buio, senza infine dimenticare che in pochi giorni dovrebbe cominciare a perdere luminosità. Ci vorrebbe un colpo di…coda, un evento che portasse l’oggetto ad aumentare, anziché diminuire, la propria brillantezza, ma questo è un fattore non pronosticabile a tavolino. Un astronomo dilettante motivato ed appassionato di comete ha comunque l’obbligo di monitorare la situazione, anche considerando che sarà più comodo , come orario,  tentarne l’osservazione dato che sarà osservabile dopo il tramonto anziché all’alba. Un ultimo spunto: nelle serate del 17 e 18 dicembre la Leonard transiterà a sud di Venere, passando a poco più di cinque gradi dal brillantissimo pianeta. Potrebbe essere l’occasione per una bella ripresa a grande campo includendo elementi paesaggistici. Oppure, usando una focale più spinta di una foto che ritragga la fase di Venere (attorno al 13%) e la cometa. Ammesso e non concesso, come abbiamo già scritto, che la Leonard sia ancora percepibile!

Ma tentare porta a volte a grandi soddisfazioni e spingersi un po’ oltre il solito tran tran porta a volte a grandi soddisfazioni.  

67P Churyumov-Gerasimenko

La periodica 67P, famosa per l’incontro del 2014 con la sonda Rosetta – che rilasciò l’orbiter Philae per uno schianto programmato sulla cometa – sarebbe di per sé un target interessantissimo, se non fosse oscurata dalla Leonard, sicuramente più attrattiva in questo periodo. Ma un’occhiata, soprattutto chi non lo ha già fatto precedentemente, la consiglio vivamente, poiché nonostante sarà già transitata al perielio e nel punto più vicino alla Terra, in dicembre risulterà ancora piuttosto visibile (si manterrà al di sotto della decima magnitudine).

La dovremo cercare nella parte settentrionale del Cancro, nei pressi della stella di quarta magnitudine, che fungerà da ottimo punto di riferimento. Sarà osservabile già prima della mezzanotte, anche se in seguito si alzerà maggiormente in cielo, risultando visibile in condizioni migliori.

Nella prima decade di novembre, in una sessione condotta con un riflettore da 30 cm, ho trovato 67P molto facile da osservare. Erano visibili qualche primo arco di coda ed un falso nucleo piuttosto marcato.

C/2019 L3 ATLAS

E’ una cometa già relativamente luminosa (decima magnitudine), che in dicembre raggiungerà il suo apice di luminosità (nona magnitudine). Nella prima metà del mese sarà rintracciabile nella Lince, passando poi per alcuni giorni in Auriga, prima di trasferirsi nei Gemelli e transitare non distante dalla stella Alfa Castore. Sarà già osservabile in prima serata, anche se in seguito si alzerà ulteriormente in cielo. All’occhio risulterà molto piccola e d’aspetto condensato, risultando visibile anche per un occhio poco esperto.

Buone osservazioni!!!

Elon Musk Space X Obiettivo Marte di Giulia Carla Bassani e Francesco Maio

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Il testo scritto a quattro mani di Giulia Carla Bassani – che molti conosceranno come Astrogiulia, – e Francesco Maio non lascia alito a fraintendimenti: il testo parla di Elon Musk e SpaceX, punto.

Un elenco inesorabile di fallimenti sì, ma anche di intuizioni, di brusche virate nei progetti in risposta a necessità imprevedibili, difficoltà tecniche sovra o sottostimate, cooperazioni andate in fumo o strette in tempi brevissimi.

Si perché quello che traspare dal testo è che il cammino di SpaceX non è stato e non è ancora, un percorso in linea retta, sembra più un procedere tortuoso, con bussola in mano, con cambi di rotta nel tentativo di evitare vicoli ciechi. Un procedere anche a tentativi e abbozzando e costruendo soluzioni ad hoc in risposta agli imprevisti.

L’immagine evocata è quella vista molte volte in alcuni film americani, con team costretti a vivere letteralmente negli uffici, notte e giorno, in una corsa contro il tempo che può evitare; o come è spesso accaduto, fallimenti e mesi di lavoro e milioni in risorse economiche letteralmente “bruciati”.

Leggendo il libro la sensazione è quella di immedesimarsi nei panni di ingegneri e tecnici, alle prese con una sfida senza precedenti: srotolata in una timeline fitta di scadenze e ove, ogni annuncio del “capo” sembra segnata da uno scossone da brividi. Non è da dimenticare, infatti, e agli autori non sfugge di sottolinearlo, l’aspetto finanziario che corre sul binario parallelo alla ricerca tecnologica; e che alla stessa vorticosa velocità impone ritmi e bisogni da soddisfare. Per non scontentare gli azionisti, per non sminuire i marchi di proprietà del geniale Musk, ad ogni passo falso deve succedere un annuncio ancora più vigoroso e più eclatante, un tam tam che finalmente oggi sembra aver raggiunto il suo successo. Razzi vettori e moduli di trasporto umano affidabili, una rete di mobilità alimentata elettricamente che ha già coperto con le sue auto “Tesla” quasi tutti i paesi più industrializzati, e una rete satellitare per fornire internet ovunque.

Il libro non è solo un racconto, nella prima metà infatti sono anche descritti con un approccio ingegneristico ma non troppo tecnico, le caratteristiche dei principali razzi prodotti e, in alcuni casi, abbandonati, da SpaceX. Un’ottima guida per chi in questi ultimi 6/7 anni ha perso il filo nel susseguirsi di lanci più o meno di successo.

Per maggior informazioni ed acquistare il libro:

https://www.ibs.it/elon-musk-spacex-obiettivo-marte-libro-giulia-carla-bassani-francesco-maio/e/9788898876907

Biografia

Giulia ha sempre amato la scienza e lo spazio. Nel 2015 è stata selezionata per partecipare all’ESO Astronomy Camp per trascorrere una settimana all’Osservatorio di Saint Barthélemy in Valle d’Aosta con altri 50 partecipanti internazionali.

Nel 2017 ha scritto il suo primo romanzo di fantascienza “Ad Martem 12″, sui primi esseri umani che un giorno potranno nascere su Marte. Nello stesso anno si è iscritta al Politecninco di Torino per studiare ingegneria aerospaziale. Nel dicembre 2018 è stata invitata da ArianeGroup, ESA e CNES a partecipare al lancio di un razzo Ariane V a Kourou nella Guinea francese.

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Social media dell’autore:

Blog personale: https://www.astrogiulia.com/

Coelum Astronomia apre le porte all’MVA

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Coelum è lieta di annunciare l’inizio della collaborazione con l’organizzazione no-profit Moon Village Association.

La partnership si prefigge di garantire uno spazio per gli aggiornamenti sui programmi di esplorazione globale della Luna e sugli studi avveniristici sugli sviluppi futuri. Una finestra di visibilità per le idee di professionisti ed aziende italiane già membri dell’associazione, ma anche uno sguardo agli approcci internazionali. Senza tralasciare le analisi dei fatti nei temi Space Economy e Space Policy.

La Moon Village Association nasce con lo scopo di garantire uno spazio aperto e costruttivo alle ipotesi di colonie stabili sul nostro satellite, e Coelum Astronomia, da sempre vigile e attenta a tutte le novità, nella sua veste di rivista di sintesi degli accadimenti più importanti e significativi nella ricerca, anche in questa occasione si rende disponibile nel ruolo di amplificatore sulle progettualità  e sulle visioni per il prossimo futuro.

A breve i primi contributi!

Riscrivendo la storia della Via Lattea e delle sue galassie satelliti

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Stiamo riscrivendo la storia della Via Lattea.

La nostra galassia non è sola, bensì è circondata da oltre 50 galassie nane. Per decenni queste sono state considerate tutte come galassie satelliti, “catturate” in orbita attorno alla Via Lattea,  ma gli ultimi dati raccolti dalla missione Gaia dell’ESA ci rivelano che sono in verità delle nuove arrivate.

Lo studio, guidato da François Hammer dell’Observatoire de Paris – Université Paris Sciences et Lettres in collaborazione con colleghi di tutta Europa e Cina, si è focalizzato sui movimenti di 40 di queste galassie nane. Calcolando l’energia orbitale di ogni galassia e il loro momento angolare con una precisione senza precedenti grazie ai nuovi dati di Gaia, hanno scoperto che queste galassie si muovono molto più velocemente delle stelle giganti e degli ammassi stellari che orbitano attorno alla Via Lattea. Così veloci che fanno supporre si tratti di un recente avvicinamento di questi oggetti, diversamente la loro energia orbitale e il loro momento angolare sarebbero stati indeboliti e rallentati dall’interazione con la nostra galassia. Gli scienziati ipotizzano che l’avvicinamento sia avvenuto negli ultimi miliardi di anni – un tempo piuttosto recente, su scala astronomica! -.

Tutti insieme appassionatamente quindi?

Non è proprio così: la Via Lattea ha infatti già cannibalizzato un certo numero di galassie nane. Un esempio è la galassia chiamata Gaia-Enceladus, interamente assorbita dalla Via Lattea attorno ai 8-10 miliardi di anni fa. Ricordiamo anche la Galassia Nana del Sagittario, catturata dalla Via Lattea tra i 4-5 miliardi di anni fa e attualmente in procinto di essere fatta a pezzi e assimilata. In questo caso l’avvicinamento è più recente, giacché che l’energia delle stelle della Galassia del Sagittario è superiore a quella di Gaia-Enceladus, a indicare il minor tempo in cui sono state soggette all’influenza della Via Lattea.

François Hammer afferma: «La Via Lattea è una galassia molto grande e la sua forza è quindi gigantesca. Per una galassia nana di passaggio è molto facile essere catturata e disintegrata. Il destino delle nuove galassie nane individuate è diventare satelliti per poi essere ridotte in pezzi».

«Grazie a Gaia ora la storia della Via Lattea si compone di nuove importanti tasselli, del tutto sconosciuti in precedenza», dice anche Timo Prusti, Gaia Project Scientist dell’ESA, «Studiando questi interessanti fenomeni, speriamo di svelare nuovi affascinanti capitoli sul passato della nostra galassia».

Per approfondimenti:

The Astrophysical Journal: Gaia EDR3 proper motions of Milky Way Dwarfs II: Velocities, Total Energy and Angular Momentum” by Francois Hammer et al. will be published online on 24 November 2021.

Lancio rimandato: Webb riuscirà a partire per le stelle?

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La data di lancio per il telescopio spaziale James Webb è stata rinviata.

La partenza non avverrà prima del 22 dicembre prossimo, per consentire altri check a seguito di un recente incidente verificatosi durante i preparativi della missione.

La NASA riporta che l’incidente è avvenuto presso l’impianto di preparazione del satellite a Kourou nella Guinea francese, sotto la direzione di Arianespace. I tecnici si stavano preparando ad agganciare Webb (costato 10 miliardi di dollari) ad un adattatore per il veicolo di lancio, quando un distacco improvviso di una fascetta – che fissa il telescopio all’adattatore – ha provocato una vibrazione in tutta la struttura.

E’ stato subito convocato un comitato di revisione per valutare con assoluta sicurezza che l’incidente non abbia danneggiato alcun componente. La NASA e i partner della missione forniranno aggiornamenti non appena i test saranno completati.

Il lancio di Webb era stato precedentemente programmato per il 18 dicembre sul razzo Ariane 5 dell’Arianespace (società di lancio francese responsabile della missione).

Il Webb Space Telescope è una collaborazione internazionale tra le agenzie spaziali americane, europee e canadesi. Il telescopio, dotato di uno specchio primario di circa 6,5 ​​metri, aprirà nuovi orizzonti per l’astronomia a raggi infrarossi. Sfruttando questo metodo d’indagine, il progetto vuole esplorare le origini del cosmo, dall’interno del nostro Sistema Solare alle galassie osservabili più lontane.

Non è la prima volta che la data di lancio viene rimandata. Pandemia, problemi tecnici e nuovi test sulla strumentazione hanno fatto slittare la partenza – inizialmente prevista a marzo 2021 – al 31 ottobre, poi nuovamente al 18 dicembre. Questo nuovo e imprevisto cambio di programma non fa che accrescere il fermento e le aspettative legate a questo degno successore del famoso Hubble.

Per approfondimenti:

Press realese: https://blogs.nasa.gov/webb/2021/11/22/nasa-provides-update-on-webb-telescope-launch/

La missione DART ci salverà?

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È possibile deviare un asteroide che rischia di impattare il nostro pianeta?

È in programma il 24 novembre alle 7:20 (ora italiana) il lancio del Double Asteroid Redirection Test (DART), la prima missione per la difesa planetaria che vuole fornire una risposta a questa domanda.

La sonda, targata NASA, vede la collaborazione dei principali centri di ricerca dell’agenzia spaziale americana: il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), il Jet Propulsion Laboratory (JPL), il Goddard Space Flight Center (GSFC), il Johnson Space Center (JSC), il Glenn Research Center (GRC) e il Langley Research Center (LaRC).

DART è un cosiddetto impattore cinetico, il cui scopo principale è quello di modificare l’orbita di un asteroide così da evitare che questo incontri il nostro pianeta lungo la sua traiettoria.

L’obiettivo della missione è l’asteroide lunare Dimorphos (160 m di diametro), che ruota attorno all’asteroide più grande Didymos (che ha un diametro di 780 m).

La sonda raggiungerà Dimorphos nell’autunno del 2022. DART avrà un impatto quasi frontale su Dimorphos, riducendo di diversi minuti il ​​tempo necessario al piccolo asteroide per orbitare attorno a Didymos. L’impatto sarà monitorato dai telescopi di tutto il mondo, ma soprattutto da LICIACube, un cubesat tutto italiano, finanziato e coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

«LICIACube avrà il compito principale di acquisire tutte le immagini possibili che descrivano la scena di impatto di DART e l’evoluzione dei detriti che si solleveranno per via dell’impatto, e lo farà con le sue due camere, Leia e Luke» dice Angelo Zinzi, tecnologo ASI e responsabile dello Science Operations Center «Leia, grazie alla sua alta risoluzione, sarà in grado di mostrarci nel dettaglio il punto di impatto, mentre Luke, avendo un campo di vista più ampio, avrà modo di inquadrare la gran parte del materiale espulso e raccontarci la sua evoluzione».

Specifichiamo che l’asteroide bersaglio di DART non è una minaccia per la Terra. Questo sistema binario di asteroidi è però il banco di prova perfetto per verificare se lo schianto intenzionale di un veicolo spaziale contro un asteroide sia un modo efficace per cambiarne la rotta, nel caso in cui rischi di impattare il nostro pianeta.

La NASA sottolinea che per i prossimi 100 anni nessun asteroide noto di dimensioni superiori a 140 metri si trovi in rotta di collisione con la Terra. Ma – precisano – solo il 40% circa di questi asteroidi è stato finora identificato (dati aggiornati a ottobre 2021).

Monitorare i NEOs (Near-Earth objects) è fondamentale per tracciare e rilevare questi oggetti potenzialmente pericolosi, proprio per questo la NASA ha istituito il Planetary Defense Coordination Office (PDCO), in modo tale da coordinare i suoi sforzi di difesa planetaria. Inoltre, dal 2015 si celebra la Giornata Mondiale degli Asteroidi (International Asteroid Day), nata con lo scopo di aumentare la conoscenza degli asteroidi e di cosa si può fare per evitare eventi catastrofici che coinvolgano la Terra. La data scelta per la ricorrenza è il 30 giugno con riferimento all’evento di Tunguska (30 giugno 1908), il maggior evento di impatto accaduto sulla Terra e di cui sia accertata la data di accadimento.

Sappiamo bene quanto sia disastroso un evento simile a quello di Tunguska, oppure pensiamo all’impatto che 65 milioni di anni fa ha contribuito all’estinzione del 75 % delle specie viventi. Campagne di informazione e importanti progetti scientifici sono quindi senz’altro i primi importanti passi per la difesa della nostra Terra.

FONTE

NASA – Missione Dart

Inseguendo un raggio di luce. Alla scoperta della teoria della relatività di Amedeo Balbi

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Con la sapienza di chi sa usare molto bene gli strumenti del mestiere, Balbi in quest’opera da prova non solo della sua assoluta conoscenza dei temi trattati ma si dimostra un abile divulgatore quale è.

L’idea vincente è una trama tessuta con argomenti caldi e di generale interesse spesso richiamati dalla fantascienza, disciplina a cui lo stesso autore si rivolge di frequente per spezzare un ritmo che può risultare pesante martellando su temi troppo complessi. Il testo in sé offre un momento rigenerante e rinfrescante per le menti dei lettori.

Lo spunto e il filo conduttore è la teoria della relatività di Einstein, da quella ristretta alla generale. Un dialogo a doppio filo con la natura della luce e la sua intrinseca velocità.

La teoria di Einstein, che ad oggi non ha mai mancato un appuntamento con la conferma della sua validità, è l’appiglio da cui partire per affrontare temi su cui speculare è facile; ma quando poi si decide di attenersi alle “regole” di interpretazione e rimanere nei confini segnati dalla teoria, vede ridurre sostanzialmente il numero delle opzioni valide.

Così funziona con i viaggi nello spazio/tempo, come per il limite invalicabile della velocità della luce, così per i wormhole e i buchi neri o bianchi, o ancora per l’accoppiamento meccanica quantistica/relatività generale.

Balbi in questo libro indica, fra tutte le soluzioni di fantasia pubblicate a queste ipotesi, solo quelle realistiche e realizzabili. Quelle che in termini tecnici la ricerca considera come ammissibili.

Il linguaggio è vivace e tutti i capitoli scorrono davvero piacevolmente. Sono evitate le dimostrazioni matematiche e ciò vale anche per le formule. Le uniche davvero citate, sono quelle che godono di un’incidenza fondamentale nella descrizione del funzionamento del cosmo così come ora ci appare.

Come ci appare infatti e non come realmente è, poiché l’autore non trascura i passaggi poco chiari e i dubbi ancora irrisolti, con il voluto intento di lasciare respiro e porte aperte a nuove ipotesi.

Il testo è un’ottima introduzione a chi è neofita sul tema della relatività e delle sue implicazioni. Una buona sintesi da un lato ed anche una buona selezione dall’altro, non tutte le molteplici intuizioni che ne possono derivare infatti meritano veramente attenzione.

Stimolare una sana curiosità a cimentarsi in specifici approfondimenti è un obiettivo ampiamente raggiunto.

E se poi i temi e i concetti affrontati sono familiari, lo consigliamo per un buon ripasso, reso piacevole da simpatici aneddoti fantascientifici.

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Biografia

Amedeo Balbi (Roma 1971), astrofisico, è professore associato all’Università di Roma “Tor Vergata”. Sul fronte della divulgazione, cura da anni una rubrica sul mensile «Le Scienze», ha collaborato con programmi radio e tv e scritto per diverse testate, tra cui «il Post», «La Stampa» e «la Repubblica». Fra i suoi libri: Cercatori di meraviglia (Rizzoli 2014; Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2015), Dove sono tutti quanti? (Rizzoli 2016) e L’ultimo orizzonte (UTET 2019; Premio Asimov 2021). Ha un canale YouTube molto seguito, dove spiega in modo semplice e coinvolgente concetti di fisica e astrofisica.

Social media dell’autore:

Blog personale: https://www.amedeobalbi.it/

Canale YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCvG_mqHj_wmFZiM1SkoZccw

Beaver Moon 2021: quando, come e dove vedere l’eclissi di Luna

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Nella serata del 19 novembre, un’eclissi lunare parziale ricompenserà i pazienti osservatori del cielo con la vista di una Luna insolita e da una tonalità rossastra.

L’eclissi di Luna si verifica quando il nostro satellite passa nel cono d’ombra della Terra. Questa volta, la fase d’eclissi durerà 3 ore, 28 minuti e 24 secondi, rendendola l’eclissi parziale più lunga degli ultimi 580 anni.

L’Osservatorio di Holcomb dell’Indiana afferma: «All’apice dell’eclissi, la faccia della Luna sarà coperta per il 97% dall’ombra terrestre, con molta probabilità potremo ammirare un colore rosso intenso».

Tradizionalmente la Luna di novembre è detta come Beaver Moon, quando, come afferma il detto comune, “i castori si preparano per l’inverno”. La sua visibilità sarà buona in tutte le Americhe, gran parte dell’Asia, parti dell’Europa e dell’Africa Occidentale. Come ricorda l’autore dell’articolo sul sito NASA «Questa eclissi, proprio perché parziale, potrebbe non essere spettacolare come quelle totali, ma esse si verificano più frequentemente e garantiscono comunque un’osservazione entusiasmante e l’occasione per ammirare anche i più piccoli cambiamenti del nostro Sistema Solare.

ORA E DURATA DELL’ECLISSI

Il picco del fenomeno è previsto per le 04:02 EST – 09:02 GMT. L’evento sarà visibile dal Nord e Sud America, dall’Australia e da parti dell’Europa e dell’Asia. Ricordiamo che EST è il fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti.

Quattro come sempre le fasi principali. All’01:02 EST (06:02 GMT) la Luna entrerà nella penombra, o la parte più chiara dell’ombra lunare. Un passaggio difficile da individuare senza un’attrezzatura idonea perché l’oscuramento sarà molto leggero.

La Luna entrerà quindi nel cono d’ombra, la zona più scura, alle 02:18 EST (07:18 GMT). E questo il momento dello spettacolo maggiore quando il satellite sarà inondato da rosso scuro o marrone,  con una copertura del 97% della superficie visibile. Il restante 3% sarà nella parte sud del suolo lunare, ancora esposto ai raggi solari.

Lo spettacolo durerà circa 3 ore e 30 minuti, fino a quando il satellite non uscirà dall’ombra alle 05:47 del mattino (10:47 GMT). L’eclissi terminerà alle 06:03 EST (12:03 GMT).

I momenti di avvicinamento alla fase di oscurazione potrebbero risultare difficili all’osservazione non solo per l’esiguità dell’ombra, un velo molto leggero sul nostro satellite, ma anche a causa di fattori esterni quali ad esempio l’inquinamento luminoso o presenza di troppa umidità nell’aria. Senza dimenticare che bisogna sempre sperare in un fattore meteo favorevole.

LUOGHI DELL’ECLISSI

L’eclissi sarà visibile a seconda della località, i più fortunati saranno gli osservatori dell’America Settentrionale  e dell’Asia Orientale.

Mappa che mostra la visibilità dell’eclissi lunare parziale del 18-19 novembre. Le aree più scure indicano una maggiore visibilità. (Fonte: NASA)

Il Sud America vedrà la maggior parte dell’eclissi prima del tramonto della Luna. L’Europa e l’Africa occidentale vedranno parte dell’inizio dell’eclissi, mentre l’Asia centrale e l’Australia vedranno l’evento quando la Luna starà per sorgere.

SUGGERIMENTI PER UNA BUONA OSSERVAZIONE

La visione di un’eclissi lunare non richiede attrezzature speciali. Anzi, anche ad occhio nudo ogni dettaglio sarà ben visibile. Per migliorare l’osservazione tuttavia, si può usare un binocolo o un piccolo telescopio. Quest’ultimo in particolare offrirà la vista accurata dei crateri si un inusuale colore.

L’abbigliamento deve essere consono al periodo dell’anno, non è ancora inverno è vero ma le temperature basse anche a  novembre si fanno sentire, inoltre per evitare problemi di condensa, è consigliabile portare qualsiasi attrezzatura all’esterno almeno mezz’ora prima dell’uso previsto.

Bisogna assicurarsi che gli occhi si adattino all’oscurità, il che richiederà almeno 20-30 minuti. La Luna è un bersaglio così luminoso che l’inquinamento luminoso probabilmente non sarà un problema, ma se si vuole guardare altri oggetti, è necessario stare il più lontano possibile dalle fonti di luce.

Teniamo a ricordare che in questi giorni, sarà possibile guardare anche altri eventi celesti. Venere, Giove e Saturno sono molto visibili nel cielo notturno e se, si rimane fuori abbastanza a lungo, si vedrà Marte sorgere al mattino. Avremo inoltre lo sciame delle Leonidi, anche se la Luna piena potrebbe minacciarne la visibilità coprendo con la sua luce le scie meno significative.

Per approfondimenti:

Resources: https://moon.nasa.gov/news/168/an-almost-total-lunar-eclipse/

Vicini di casa: alla ricerca di mondi abitabili su Alpha Centauri

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Alla porta accanto.

Si chiama TOLIMAN – come l’antico nome arabo di Alpha Centauri – il progetto guidato da Peter Tuthill dell’University of Sydney, destinato a seguire scrupolosamente le analisi sui dati raccolti dal Toliman telescope. Questa la nuova missione appena annunciata per scoprire pianeti potenzialmente in grado di ospitare la vita. Una collaborazione con le Breakthrough Initiatives, il Jet Propulsion Laboratory della NASA e la Sabre Astronautics.

La ricerca si concentrerà intorno al più prossimo sistema stellare della Terra a soli quattro anni luce da noi, ovvero quello di Alpha Centauri, in particolare nella fascia abitabile denominata Goldilocks (“riccioli d’oro”) dove le temperature sembrano adatte  a permettere all’acqua di mantenersi stato liquido.

Gli studi sono incominciati nell’aprile di quest’anno e Peter Tuthill afferma di essere entusiasta dei nuovi dati: «Gli astronomi hanno accesso a tecnologie straordinarie che consentono di trovare migliaia di pianeti in orbita intorno alle stelle, in vaste aree della nostra galassia. Eppure non sappiamo quasi nulla del nostro vicinato celeste».

Tuthill e il suo team sostengono che questo è un punto cieco dell’astronomia e indagini più approfondite meritano di essere intraprese.

«Conoscere “i pianeti della porta accanto” è estremamente importante. Studiandone l’atmosfera e i processi chimici della superficie, si possono individuare le condizioni necessarie per una biosfera in grado di ospitare delle forme di vita».

Alpha Centauri è il sistema stellare più vicino alla Terra, collocato nella costellazione del Centauro. Ed è attorno alla terza stella di questo sistema stellare triplo, la nana rossa Proxima Centauri, che si trova un pianeta ipoteticamente abitabile.

Immagine simulata della binaria di Alpha Centauri attraverso la pupilla diffrattiva del Toliman telescope. (Fonte: Peter Tuthill)

Pete Klupar, ingegnere capo del programma astronomico Breakthrough Watch dichiara: «Questi pianeti vicini sono i luoghi nello spazio interstellare dove l’umanità potrebbe fare i primi passi, utilizzando da principio sonde robotiche».

Le Breakthrough Initiatives sono una serie di programmi di scienze spaziali mirati ad indagare sulle questioni fondamentali della vita nell’Universo ed alla ricerca di segnali provenienti dallo spazio inviati da eventuali civiltà extraterrestri. La missione TOLIMAN ha ricevuto il sostegno economico delle Breakthrough Initiatives e la Sabre Astronautics, compagnia di ingegneria spaziale che opera in Australia e Stati Uniti. Una sovvenzione in totale di 788.000 dollari destinati a sostenere lo sviluppo di tecnologie utili per la ricerca di mondi abitabili.

«Il segnale che stiamo cercando richiede una tecnologia nuova che faccia fare un salto di qualità!»ndice Klupar.

La missione TOLIMAN metterà in campo un telescopio spaziale progettato per effettuare misurazioni estremamente precise e che permetterà di rilevare le perturbazioni dei movimenti stellari: una delle tecniche più note e di successo per la rilevazione di esopianeti. La vera sfida sarà analizzare con precisione le caratteristiche di questi esopianeti così vicini a noi. Una sfida che con le nuove tecnologie i ricercatori e gli ingegneri spaziali non hanno timore di cogliere. Se c’è un pianeta idoneo alla vita intorno a Proxima Centauri, lo sapremo!

Per approfondimenti:

Release: https://www.sydney.edu.au/news-opinion/news/2021/11/17/worlds-next-door-habitable-planets-alpha-centauri-exoplanets-breakthrough.html

Fossili Fake su Marte?

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Sembrano fossili, ma non fatevi ingannare!

La ricerca di forme di vita su Marte si complica: le rocce del pianeta rosso potrebbero contenere numerosi tipi di depositi non biologici che appaiono simili a fossili.

È quanto emerge da una ricerca dell’University of Edinburgh, pubblicata recentemente sul Journal of the Geological Society.



Distinguere falsi fossili da quelle che potrebbero essere prove di vita antica sulla superficie marziana – forse abitata in passato – è la chiave per il successo delle missioni attuali e future.

Per identificare la causa della formazione di depositi così simili a composti organici, gli astrobiologi hanno testato diversi processi chimici conosciuti. Hanno identificato dozzine di processi – e chissà quanti altri ancora da scoprire! – che possono produrre strutture che imitano quelle di forme di vita microscopiche e semplici, come si evince dall’immagine qui sopra.

Tra i campioni realistici che questi processi possono creare ci sono depositi che sembrano cellule batteriche e molecole a base di carbonio che assomigliano molto ai mattoni di tutta la vita conosciuta. Poiché le biofirme possono essere imitate da processi non viventi, è probabile che l’origine di qualsiasi esemplare simile a un fossile trovato finora su Marte sia molto ambigua. Il team responsabile dello studio sta progettando un’analisi di ricerca interdisciplinare per far luce su come potrebbero formarsi questi depositi e quindi contribuire a migliorare i metodi di ricerca di forme di vita antica nel Sistema Solare.

Il Dr. Sean McMahon, membro del Rettorato in Astrobiologia presso la School of Physics and Astronomy dell’University of Edinburgh, ha dichiarato: «Ad un certo punto un rover su Marte troverà quasi sicuramente qualcosa che assomiglia molto a un fossile, quindi essere in grado di distinguerli con sicurezza dalle strutture e dalle sostanze prodotte dalle reazioni chimiche è vitale. Per ogni tipo di fossile là fuori, esiste almeno un processo non biologico che crea cose molto simili, quindi c’è un reale bisogno di migliorare la nostra comprensione di come si formano».

Il perché infatti si verificano tali fenomeni chimici è ancora poco compreso. La formazione di queste false biofirme potrebbe essere guidata da processi cinetici in presenza di acqua allo stato liquido e materia organica, ovvero le condizioni necessarie che potrebbero effettivamente dare origine e sostenere la vita.

Julie Cosmidis, professoressa associata di Geobiologia presso l’University of Oxford, ha dichiarato: «In passato siamo stati ingannati da processi che imitano la vita. In molte occasioni, oggetti che sembravano microbi fossili sono stati descritti in antiche rocce sulla Terra e persino in meteoriti di Marte, ma dopo un esame più approfondito si è scoperto che avevano origini non biologiche. Questo articolo è un ammonimento in cui chiediamo ulteriori ricerche sui processi che imitano la vita nel contesto di Marte, in modo da evitare di cadere nelle stesse trappole più e più volte».

Per approfondimenti:

Press realese: https://www.ph.ed.ac.uk/news/2021/life-on-mars-search-could-be-misled-by-false-fossils-study-says-21-11-17

ISS in pericolo! Da un test anti-satellite russo generata una nube di detriti

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Ieri mattina sulla ISS è stata attivata la procedura di emergenza da detriti spaziali. L’equipaggio a bordo della Stazione è stato portato nelle relative capsule per una ragione di sicurezza. I due cosmonauti Pyotr DubrovAnton Shkaplerov e l’astronauta Mark Vande Hei sono entrati nella capsula Soyuz MS-19, mentre l’equipaggio di Crew-3 è salito a bordo della capsula Dragon.

Si tratta di un’azione precauzionale standard quando una nube di detriti interseca l’orbita della ISS. Dai primi rilevamenti, anche se la ISS si è avvicinata ai detriti in più occasioni durante le diverse orbite, non è mai stato superato un limite critico di distanza. Alle 15:39 di ieri Roscosmos ha dichiarato che la ISS si trovava in Green Zone, e quindi non più in situazione di emergenza. Gli astronauti e cosmonauti inoltre sono rimasti a bordo delle rispettive capsule solo durante il primo passaggio dei detriti, avvenuto alle 9:30 di mattina, orario italiano. Il controllo missione della NASA tuttavia ha confermato che alcuni moduli della ISS sono rimasti isolati per diverse ore con lo scopo di garantire la sicurezza della Stazione.

L’origine dei detriti

Non è la prima volta che la ISS deve effettuare un cambio di orbita per evitare detriti. Già lo scorso 10 novembre infatti la ISS ha dovuto evitare frammenti del Fengyun-1C: il satellite distrutto dalla Cina nel 2007 per dimostrare la sua capacità di possedere armi antisatellite. Notizia inizialmente poco chiara ma poi successivamente confermata dalle stesse autorità cinesi.

La dinamica di questo nuovo sventato incidente già nel weekend sembrava simile giacché alcune fonti militari americane hanno confermato che nel weekend la Russia ha tenuto un test ASAT di distruzione di un satellite. Stiamo parlando del Kosmos-1408 non più attivo dagli anni ’80. Altra conferma è arrivata dal tracciamento indipendente dell’azienda LeoLabs, specializzata nell’osservazione di oggetti in orbita. L’azienda ha rilevato detriti nella vicinanza del satellite in questione.

Tweet di Jonathan McDowell che rappresenta l’orbita del satellite russo Kosmos-1408, in viola, e quella della ISS, in blu. La parte rossa è invece il periodo in cui è stata attivata l’emergenza sulla ISS, che quindi coincide con l’intersezione con l’orbita del satellite russo.

La conferma ufficiale

Inizialmente, a partire dallo spostamento degli astronauti nelle capsule, la NASA e lo US Space Command non hanno fornito nessuna dichiarazione ufficiale. Nella serata del 15 novembre però il Dipartimento di Stato USA ha confermato che la Russia ha condotto un test antisatellite sparando nello spazio oltre 1500 detriti già tracciati e migliaia di altri frammenti più piccoli. La nube di detriti è attualmente sotto controllo sia da Terra che dagli astronauti sulla ISS.

Aggiornamento 16 novembre ore 00:20

Rilasciata la dichiarazione ufficiale dell’amministratore della NASA Nelson sull’emergenza da detriti spaziali scatenata dal test russo avvenuto ieri mattina. Nelson ha per la prima volta confermato ufficialmente che i detriti spaziali originati dal test sono gli stessi che hanno minacciato la ISS per tutta la giornata di oggi.

Nelson ha inoltre criticato pesantemente il test antisatellite russo, con parole piuttosto pesanti, affermando di esserci stata una insensatezza nell’aver generato dei detriti che hanno messo in pericolo sia gli astronauti americani e internazionali, ma anche quelli russi.

Fonti:

Astro Space: https://www.astrospace.it/2021/11/15/una-nube-di-detriti-spaziali-ha-messo-in-emergenza-la-iss-lorigine-e-ancora-da-confermare/

E se la Terra avesse più di una Luna?

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L’asteroide Kamo’oalewa potrebbe essere un frammento della Luna. Usando il Large Binocular Telescope (LBT) sul Monte Graham, gli astronomi dell’Università dell’Arizona hanno analizzato lo spettro della luce riflessa dell’oggetto celeste ed hanno trovato correlazioni molto strette con i silicati delle rocce lunari.

Poco si sa riguardo i “quasi-satelliti della Terra”, una classe di piccoli oggetti del Sistema solare che orbitano intorno al Sole, ma rimangono vicini al nostro pianeta. Solitamente hanno una debole luce riflessa, e sono difficili da osservare.

Kamo’oalewa è stato scoperto nel 2016. Fino ad oggi si sapeva ben poco riguardo la sua origine e la sua composizione rocciosa. Le nuove osservazioni suggeriscono che potrebbe essere un frammento lunare, lanciato nello spazio da un’antica collisione. L’asteroide ha le dimensioni di una ruota panoramica ed è difficilissimo da osservare ad occhio nudo. Di conseguenza, sono necessari i più potenti telescopi a nostra disposizione per carpirne i segreti.

Ben Sharkey, dottorando dell’Università dell’Arizona e principale autore della ricerca, dice: «Inizialmente, nonostante le tante osservazioni, non riuscivamo a trovare alcuna corrispondenza. Poi sfruttando i potenti telescopi dell’Arizona, siamo riusciti ad ottenere uno spettro di luce riflessa da 0,4 a 2,2 micron. Quando abbiamo riconosciuto delle analogie con il materiale lunare, è stato incredibile. Non potevamo crederci.».

I risultati degli spettrogrammi sono molti simili a quelli dei campioni di materiali lunare raccolti durante le missioni Apollo della NASA degli anni ’60 e ’70.

«Possono sicuramente esserci altri asteroidi con spettri simili, ma fino ad oggi non abbiamo trovato nulla che gli assomigli», conclude Sharkey.

Questa somiglianza e la prossimità alla Terra non sembra essere una coincidenza. «L’asteroide potrebbe essere stato espulso dai numerosi impatti che ci sono stati durante la formazione del nostro satellite», afferma Vishnu Reddy, professore associato di astronomia planetaria.

Per scoprire se le ipotesi degli astronomi dell’Università dell’Arizona sono fondate, la Cina prevede di lanciare una missione per raccogliere un campione di roccia da Kamo’oalewa nel 2024 e poi farlo analizzare sulla Terra. Questo asteroide suscita così tanto interesse anche perché è il più stabile dei cinque “quasi – satelliti” terrestri attualmente conosciuti. L’orbita di Kamoʻoalewa è molto simile a quella della Terra e, poiché orbita attorno al Sole con un periodo di circa 1 anno, segue di fatto un percorso quasi satellitare rispetto al nostro pianeta. Una volta l’anno, intorno ad aprile, l’asteroide si trova in una posizione favorevole per le osservazioni con i grandi telescopi terrestri: queste finestre di osservazione regolari permetteranno uno studio continuo di questo plausibile frammento lunare.

Per approfondimenti:

Nature Communications (2021): “Lunar-like silicate materiale forms the Earth quasi-satellite (269219) 2016 H03 Kamo’oalewa”. Benjamin N. L. Sharkey, Vishnu Reddy, Renu Malhotra, Audrey Thirouin, Olga Kuhn, Albert Conrad, Barry Rothberg, Juan A. Sanchez, David Thompson & Christian Veillet.

Le nuove sfide di Artemis Moon

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L’amministrazione Biden-Harris lo scorso martedì ha delineato la leadership della NASA per i prossimi anni, discutendo gli ultimi aggiornamenti sul progetto Artemis riguardo le future esplorazioni sulla Luna e Marte.

E’ stato deciso di sviluppare un nuovo lander lunare per ripotare gli astronauti sul nostro bianco satellite per la prima volta in oltre 50 anni.

Bill Nelson, amministratore della NASA, ha guidato la conservazione, tracciando il percorso per le prime missioni di Artemis. «Siamo soddisfatti della valutazione approfondita della Corte dei reclami federali degli Stati Uniti sul processo di selezione della fonte della NASA per il sistema di atterraggio umano (HLS) e abbiamo già ripreso le conversazioni con SpaceX. È chiaro che siamo entrambi ansiosi di tornare a lavorare insieme e stabilire una nuova cronologia per le nostre missioni dimostrative lunari iniziali.», ha detto Nelson, «Tornare sulla Luna nel modo più rapido e sicuro possibile è una priorità dell’agenzia. Tuttavia, con la recente causa e altri fattori, il primo atterraggio umano sotto Artemis probabilmente non sarà prima del 2025».

La speranza di un ritorno sul suolo lunare dovrebbe essere garantita da Artemis II e III, dove si include una missione dimostrativa di lander senza equipaggio, per poi procedere con l’atterraggio vero e proprio degli astronauti. Infine, dalla Luna si prevede l’invio di astronauti verso lo spazio profondo (circa 40.000 miglia dal nostro satellite) tramite Orion.

Nelson ha sottolineato che un atterraggio lunare è sempre stato ritardato in primo luogo da una mancanza di fondi, aggravatasi dalla pandemia da COVID-19. «In futuro, la NASA sta pianificando almeno dieci allunaggi, l’agenzia ha bisogno di aumenti significativi dei finanziamenti per la futura competizione dei lander, almeno a partire dal 2023».

La NASA sta riorganizzando i suoi programmi di volo spaziale umano. In cantiere non solo Artemis ma anche Gateway, un avamposto orbitante lunare che fornirà infrastrutture e funzionalità critiche per l’esplorazione a lungo termine  sia della Luna che di Marte. Progetti condivisi con partner commerciali che  la stessa NASA  vuole incoraggiare.

«Quello che stiamo facendo è una delle grandi imprese dell’umanità», ha dichiarato il vice amministratore della NASA Pam Melroy «La sua portata da Orion a Gateway, sistemi di atterraggio umano, sistemi di terra, comunicazioni, tute spaziali e altro ancora – è sbalorditivo. Prima sulla Luna e poi su Marte. Siamo la NASA e dobbiamo accettare la sfida».

Per approfondimenti:

vedi anche www.coelum.com/coelum/archivio/articoli/ritorno-alla-luna-il-programma-artemis

Press release: www.nasa.gov/press-release/nasa-outlines-challenges-progress-for-artemis-moon-missions

Il cielo di Novembre 2021

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Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato dal Toro, con la bella Aldebaran e le Pleiadi, Gemelli e Cane Maggiore con la lucente Sirio. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Cigno e Pegaso si staranno dirigendo verso il tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il grande Leone, con Regolo.

➜ per approfondire, dai uno sguardo a

COSA OFFRE IL CIELO

Venere si trova nel suo miglior periodo di visibilità. Domina la nostra prima serata tramontando quasi tre ore dopo il Sole nelle vesti di Vespero stella della sera.

Leggi anche – Venere Vespero vs Lucifero

Giove popola il cielo della prima serata, inseguendo Venere, accompagnato da Saturno. Li vedremo bassi sull’orizzonte sudovest, fino alle 22 circa, quando tramonteranno.

Mercurio inosservabile in congiunzione con il Sole il 29 novembre lo ritroveremo nel cielo di Dicembre. Allo stesso modo Marte ancora inosservabile dopo la congiunzione eliaca dello scorso ottobre (rinchiuso nella botte dei Giganti Aloadi) tornerà visibile solo a dicembre inoltrato, poco prima delle luci dell’alba sull’orizzonte sudest.

Per quanto riguarda invece i lontani giganti ghiacciati Urano e Nettuno, in questa seconda metà del mese di Novembre attraversano il cielo della notte dopo aver superato l’opposizione a Sole. Un periodo favorevole per l’osservazione e le riprese in alta risoluzione (sempre tenendo conto della presenza ingombrante della Luna, in particolare per Urano), ma come sempre per osservare questi lontanissimi abitanti del nostro Sistema Solare è necessario l’uso di uno strumento.

EFFEMERIDI da AstronomiAmo

LunaSolePianeti

LUNA

Dalla sezione Photo Coelum. Scatto di Roberto Ortu

La notte del 19 Novembre, la Luna si troverà nella cornice della Costellazione del Toro, proprio a metà strada tra Aldebaran e le Pleiadi. Purtroppo la sua luminosità, in fase di Luna Piena, renderà difficile l’osservazione ma soprattutto la ripresa dei più deboli astri… ma tentar non nuoce! Potreste comunque rubare qualche scatto davvero suggestivo, se non altro del nostro satellite nel “pieno” della sua bellezza.

➜ per approfondire:

Luna di Novembre articolo di Francesco Badalotti

Tuffiamoci con le Pleiadi nelle onde della Luna di Aldo Vitagliano

Il giorno 19 Novembre, inoltre, avremo un’eclissi parziale di Luna, purtroppo non sarà molto visibile dall’Italia, in particolare potrà essere osservata solamente nelle nostre regioni più settentrionali.

Per altri importanti eventi astronomici rimandiamo al Cielo del 2021

Per quanto riguarda invece luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 12 al 14 Novembre e, dopo il Novilunio, le sere del 16 e 17 Novembre.

LA COMETA DI ROSETTA

Sicuramente degno di nota è il passaggio della 67P/ Churyumov-Gerasimenko ovvero la famosa cometa della sonda Rosetta. Ne abbiamo già parlato questo mese, ricordiamo che il 2 Novembre ha raggiunto il perielio e oggi, 12 Novembre, il punto più vicino al nostro pianeta.


Scienziati come Sherlock Holmes sulle tracce di buchi neri

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This artist’s impression shows a compact black hole 11 times as massive as the Sun and the five-solar-mass star orbiting it. The two objects are located in NGC 1850, a cluster of thousands of stars roughly 160 000 light-years away in the Large Magellanic Cloud, a Milky Way neighbour. The distortion of the star’s shape is due to the strong gravitational force exerted by the black hole.  Not only does the black hole’s gravitational force distort the shape of the star, but it also influences its orbit. By looking at these subtle orbital effects, a team of astronomers were able to infer the presence of the black hole, making it the first small black hole outside of our galaxy to be found this way. For this discovery, the team used the Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) instrument at ESO’s Very Large Telescope in Chile.

Un nuovo metodo per scovare la presenza di buchi neri all’interno e fuori della nostra galassia: grazie al VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, i ricercatori ne hanno infatti rilevato uno osservandone l’influenza sul moto di una stella nelle sue immediate vicinanze.
Stiamo parlando di un buco nero nascosto all’interno di NGC 1850, un ammasso di migliaia di stelle collocato nella famosa Grande Nube di Magellano, una galassia vicina alla Via Lattea.

This artist’s impression shows a compact black hole 11 times as massive as the Sun and the five-solar-mass star orbiting it. The two objects are located in NGC 1850, a cluster of thousands of stars roughly 160 000 light-years away in the Large Magellanic Cloud, a Milky Way neighbour. The distortion of the star’s shape is due to the strong gravitational force exerted by the black hole.  Not only does the black hole’s gravitational force distort the shape of the star, but it also influences its orbit. By looking at these subtle orbital effects, a team of astronomers were able to infer the presence of the black hole, making it the first small black hole outside of our galaxy to be found this way. For this discovery, the team used the Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) instrument at ESO’s Very Large Telescope in Chile.

«Come Sherlock Holmes che rintraccia una banda criminale sfruttandone i passi falsi, esaminiamo ogni singola stella di questo ammasso con una lente d’ingrandimento in mano, cercando di trovare qualche prova della presenza di buchi neri senza vederli direttamente», spiega Sara Saracino, astronoma dell’Astrophysics Research Institute della Liverpool John Moores University nel Regno Unito «Il risultato mostrato qui è solo uno dei criminali ricercati, ma quando ne hai trovato uno sai di essere sulla buona strada per scoprirne molti altri, in diversi ammassi».

Questo nuovo metodo potrebbe essere la chiave per svelare buchi neri nascosti nella Via Lattea e nelle galassie vicine e per aiutare a far luce su come questi misteriosi oggetti si formano ed evolvono.
Il primo “criminale” rintracciato dall’equipe si è rivelato essere un oggetto circa 11 volte più massiccio del nostro Sole. La prova schiacciante che ha fatto intuire la sua presenza è stata la sua influenza gravitazionale sulla stella di cinque masse solari che gli orbita intorno.

Un tipo d’indagine davvero innovativa, dato che, finora, buchi neri così piccoli (parliamo sempre in relazione ai grandi numeri dell’Universo!) erano stati individuati  in altre galassie solamente per mezzo del bagliore di raggi X emesso mentre “ingoiano materia“, oppure mediante onde gravitazionali generate dai loro scontri. Questo tipo di rilevazione è però incompleta, in quanto la maggior parte dei buchi neri di massa stellare (ovvero non molto grandi) non rivela la propria presenza attraverso i raggi X o le onde gravitazionali.

Il nuovo metodo dinamico adottato dal team di Sara Saracino potrebbe quindi consentire agli astronomi di trovare molti altri buchi neri e aiutare a svelarne i misteri.
«Ogni singolo rilevamento sarà importante per la nostra futura comprensione degli ammassi stellari e dei buchi neri al loro interno», afferma il coautore dello studio Mark Gieles dell’Università di Barcellona.

La scoperta in NGC 1850 rappresenta infatti la prima volta in cui un buco nero è stato trovato in un giovane ammasso stellare (l’ammasso ha circa 100 milioni di anni, un battito di ciglia su scale astronomiche!). Confrontare questi “giovani” buchi neri con altri più grandi e maturi presenti in ammassi stellari più vecchi, aiuterà gli astronomi a capire come crescono questi oggetti: si nutrono di stelle oppure si fondono con altri buchi neri?

Lo studio è stato presentato in un articolo pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Per approfondire:

European Southern Observatory

Come la pandemia ha ridotto le emissioni di C02

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Uno studio pubblicato su Science Advances e presentato in occasione della COP26 (la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) di Glasgow, e guidato da Brad Weir, ricercatore presso il Goddard Space Flight Center della NASA e l’Universities Space Research Association, mostra come la riduzione dell’attività antropica a causa della pandemia da Covid-19 abbia comportato diminuzioni senza precedenti delle emissioni di anidride carbonica (CO2).

Il team di scienziati ha utilizzato un nuovo modello di analisi statistica, sfruttando i dati dei satelliti Goddard Earth Observing System (GEOS) della NASA e Orbiting Carbon Observatory-2 (OCO-2), altro satellite americano. OCO-2 fornisce dati ad alta risoluzione: lanciato nel 2014, con lo scopo appunto di misurare i livelli di CO2 nell’atmosfera con una precisione temporale di 24 volte al secondo, permette di vedere quale sia la fonte di emissione dei gas e dove poi questi vengono rimossi nella biosfera (ufficialmente sono conosciute le “sorgenti” e i “pozzi”).

«Questo nuova strategia di campionamento ha migliorato la copertura, l’accuratezza e la precisione rispetto alle tecniche già esistenti.», afferma Brad Weir assieme ai suoi colleghi, «I dati tengono conto della variabilità dell’anidride carbonica di anno in anno, che deriva dai cambiamenti nella circolazione atmosferica, e produce aggiornamenti regolari quasi in tempo reale».

Simili passi in avanti non sono mai stati raggiunti prima. È noto, infatti, che misurare i livelli dei gas serra in atmosfera è molto difficile, ma monitorare accuratamente il loro trend sarà la chiave per calibrare la riposta umana al riscaldamento globale.

I lockdown e i blocchi temporanei delle emissioni durante la pandemia, hanno permesso un vero e proprio collaudo di questa nuova tecnologia satellitare. Sono stati osservati cambiamenti regionali a breve termine nelle emissioni di combustibili, soprattutto nell’area dell’Oceano Indiano tra il febbraio e maggio 2020 (si stimano cali da 0,14 a 0,62 parti per milione di CO2, rispetto ad uno scenario senza la pandemia). Numeri davvero incoraggianti, ma non dimentichiamo che sono – per così dire – viziati, in quanto dovuti a un evento straordinario quale la pandemia da Covid-19.

I risultati della ricerca sono stati ben accolti durante la United Nations Climate Change Conference, che si concluderà domani, 12 Novembre. È chiaro oramai come un accurato sistema satellitare rappresenti uno strumento fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici, fornendo un quadro chiaro e ampio della situazione. In ogni caso, però, per supportare lo sviluppo e il perfezionamento di una simile tecnica, nonché auspicare dei cambi di rotta importanti nelle emissioni degli inquinanti, serve ulteriore supporto e collaborazione da parte di tutte le nazioni coinvolte negli accordi internazionali sul clima.

Per approfondimenti:

Science Advances (2021): “Regional impacts of COVID-19 on carbon dioxide detected worldwide from space”. Brad Wier, David Crisp, Christopher W. O’Dell, Sourish Basu, Abhishek Chatterjee, Jana Kolassa, Tomohiro Oda, Steven Pawson, Benjamin Poulter, Zhen Zhang, Philippe Ciais, Steven J. Davis, Zhu Liu, and Lesley E. Ott.

L’Istituto Nazionale di Astrofisica sbarca a Camerino

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Grandi novità per la cittadina di Camerino e per il suo prestigio. Oggi infatti è stato approvato e così ufficializzato l’accordo fra l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Università degli Studi di Camerino (UNICAM) per l’apertura di una nuova sede. Il nuovo dipartimento sarà situato presso la Sezione di Geologia della Scuola di Scienze e Tecnologie.

«La nuova collaborazione è una grande opportunità per il nostro Ateneo», ha espresso con soddisfazione il Rettore di UNICAM, prof. Claudio Pettinari, «Abbiamo previsto programmi di ricerca e di supporto didattico co-finanziati dai due Enti con lo scopo di promuovere un’offerta didattica su tematiche comuni, con un occhio di riguardo al dottorato di ricerca, per formare figure professionali altamente qualificate».

Il Rettore e il Presidente INAF prof. Marco Tavani hanno lavorato duramente per il rafforzamento e l’ufficialità della collaborazione tra i due Enti, per favorire attività di ricerca nei settori dell’astrofisica, dell’astronomia e delle scienze dello spazio, dove sono coinvolti numerosi docenti e ricercatori della Scuola di Scienze e Tecnologie.

Nella nuova sezione, di cui il Responsabile sarà il prof. Gabriele Giuli, è prevista l’apertura e la condivisione di laboratori e strumentazioni scientifiche e tecniche, per raggiungere gli obiettivi di ricerca prefissati nel piano triennale della sezione e garantire nuovi sbocchi lavorativi.

La nuova sede si aggiungerà all’elenco di quelle già esistenti distribuite in tutta Italia. Si colma così un vuoto che vedeva nella regione Marche l’assenza di un punto di riferimento per l’INAF che ricordiamo di pone oggi ai massimi livelli mondiali nella ricerca Astrofisica con un importante contributo apportato alle principali missioni di indagini operative nel Sistema Solare.

Anche da Coelum Astronomia i complimenti all’ateneo e all’INAF per l’ottimo traguardo raggiunto.

Parker Solar Probe, la sonda dei record minacciata da pulviscolo spaziale

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La sonda Parker Solar Probe è in pericolo!
Immaginate un veicolo che viaggia così veloce che anche l’impatto con i più fini granelli di polvere possono danneggiarlo: è questo che sta accadendo alla sonda NASA.

Gli scienziati del Laboratory for Atmspheric and Space Physics (LASP) dell’Università del Colorado, e del Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) stanno esaminando queste collisioni per stimarne l’entità dei danni.

Parker Solar Probe è il progetto di punta della NASA per lo studio del Sole, il più veloce manufatto che l’uomo abbia mai creato e quello che più si è avvicinato alla nostra stella, ma è proprio l’elevata velocità il fattore che rischia di compromettere tutta la missione. Un nuovo studio guidato da David Malaspina, ricercatore del LASP e assistant professor presso il Dipartimento di Scienze Astrofisiche e Planetarie dell’Università del Colorado, ha analizzato le osservazioni ottiche ed elettromagnetiche della navicella per avere una visione completa dell’ambiente circostante la sonda e prevedere come eventuali impatti con granelli iperveloci, in grado di danneggiare il veicolo spaziale, possano disturbarne le operazioni.

Nei pressi del Sole infatti la Parker Solar Probe solca una regione permeata da una spessa nube a forma di pancake, detta nube zodiacale, che si estende in tutto il Sistema Solare composta principalmente da minuscoli granelli di polvere rilasciati da asteroidi e comete. Attraversando questa zona la polvere  (con grani da circa 2 a 20 micron di diametro, meno di un quarto della larghezza di un capello umano) impatta sullo scafo del velivolo all’ipervelocità di circa 6.700 miglia all’ora. L’urto è così violento che i granelli vaporizzano e poi ionizzano.

Il fenomeno in esame, chiamato ionizzazione, è un processo in cui gli atomi del materiale vaporizzato vengono separati nei loro costituenti (ioni ed elettroni), producendo uno stato della materia chiamato plasma. Un processo così rapido – la vaporizzazione e poi la successiva ionizzazione – da generare persino delle esplosioni di plasma!

L’idea di Malaspina e colleghi è stata usare le antenne e i sensori di campo magnetico per misurare il livello di disturbo generato nell’ambiente elettromagnetico attorno alla sonda proprio da queste ultime esplosioni, per valutarne le conseguenze. I risultati ottenuti conducono anche a nuove intuizioni sulla meteorologia spaziale del Sole, oltre che contribuire alla sicurezza dei futuri veicoli spaziali.

«Studiare il processo di ionizzazione su piccola scala, può aiutare a comprendere il comportamento di nubi di plasma più gradi, come quelle presenti nelle atmosfere superiori di Venere e Marte, ove il materiale ionizzato viene spazzato via dal vento solare» afferma Malaspina.

Oltre al plasma il team ha rilevato scaglie metalliche e trucioli di vernice staccati dallo scafo durante l’impatto con i detriti più grandi. Residui che hanno compromesso anche alcune immagini scattate delle telecamere scientifiche a bordo, marcandole con delle strisce radiali che sembrano provenire dallo scudo termico. Altri residui hanno invece comportato un malfunzionamento per le telecamere di navigazione, impedendo temporaneamente alla sonda di determinare come era orientata nello spazio. Questa può essere una prospettiva pericolosa per un veicolo spaziale che si affida al puntamento preciso del suo scudo termico per sopravvivere.

Parker Solar Probe è stata lanciato nel 2018, e fino ad oggi ha completato nove orbite complete intorno al Sole. La sua missione finirà nel 2025: chissà per allora quante sorprese potrà ancora regalarci!
Il suo viaggio di esplorazione nel cuore del Sistema Solare continua.

Per approfondimenti:

https://lasp.colorado.edu/home/

https://www.nasa.gov/content/goddard/parker-solar-probe

5th Global Moon Village Workshop & Symposium

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Torna il Global Moon Village Workshop & Symposium, quinta edizione ospitata dal 6 all’8 dicembre presso Cipro e coordinata online da Nicosia (EN).

La Moon Village Association (MVA) è nata nel 2017 come organizzazione non governativa (ONG) con sede a Vienna, in Austria, con lo scopo di promuove la cooperazione tra enti pubblici o privati impegnati nello sviluppo dei programmi di esplorazione globale della luna. Comprende più di 600 partecipanti e 33 membri istituzionali provenienti da più di 50 paesi che rappresentano una vasta gamma di settori tecnici, scientifici, culturali e interdisciplinari.

L’associazione si impegna a coinvolgere e stabilire relazioni con coloro che sono protagonisti attivi nell’esplorazione e nello sviluppo del prossimo insediamento sulla Luna, incluse le principali agenzie spaziali che lavorano in cooperazione sui vari programmi specifici per l’esplorazione lunare (es. ISECG, ISEF, ILEWG), nonché società private che investono nella tecnologia lunare.

Il Symposium si svolgerà in tre giornate e si concentrerà sulla diffusione degli obiettivi di MVA, mirando ad espandere la comunità internazionale e nazionale per discussione future. Inoltre, sarà predisposto un focus sul coinvolgimento e lo sviluppo dell’industria spaziale nei paesi africani e mediorientali.

Più nel dettaglio il tema preciso affrontato per singolo giorno:

  • 6 dicembre, Ritorno sulla Luna: la grande visione. Illustrazione del programma di un nuovo allunaggio;
  • 7 dicembre, Implementazione del Villaggio lunare. Descrizione della costruzione del primo insediamento umano sulla Luna;
  • 8 dicembre, Discussioni e scambio di opinioni sul congresso appena conclusi e gli obiettivi futuri del progetto.

Ulteriori informazioni e le modalità di iscrizioni sono disponibili qui:

Segnaliamo che l’Associazione Nemesis Planetarium è coordinatore nazionale per l’Italia della Moon Village Association. Per informazioni su come partecipare alle attività promosse sul territorio italiano ed entrare nel gruppo MVA Italia potete scrivere all’indirizzo info@nemesisplanetarium.org.

Il Sole si è svegliato. Brillamenti e tempeste geomagnetiche.

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Tra il 2 e il 4 novembre sono state registrate dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) una serie di esplosioni solari, che hanno scatenato una potente tempesta geomagnetica che ha colpito la Terra negli ultimi sette giorni.

«Negli ultimi anni abbiamo avuto una bassissima attività solare. Ma ora questa sta aumentando e accelerando abbastanza velocemente, dando inizio ad nuovo ciclo solare, che raggiungerà il suo massimo per il 2025», afferma Bill Murtagh, coordinatore del programma presso lo Space Weather Prediction Center (SWPC) del NOAA.

Le esplosioni sono legate alle macchie solari, tempeste magnetiche sulla superficie del Sole, che si generano e rimangono attive per un periodo che si ripete all’incirca ogni 11 anni.

Murtagh dice: «E’ come se il Sole si stesse risvegliando dopo un lungo periodo di letargo».

Questa intensa attività, quando raggiunge il nostro pianeta, causa una serie di fenomeni chiamati “meteo spaziale”.

credit Andrea Cuozzo

La tempesta geomagnetica di questa settimana ha avuto origine da una serie di espulsioni di massa coronale, Coronal Mass Ejection (CME), ovvero bolle di materiale solare che delle volte il sole erutta. «Un CME è essenzialmente una nuvola di miliardi di tonnellate di gas plasma polarizzato magneticamente», spiega Murtagh, «Quindi il Sole ha lanciato delle nubi di particelle di cariche magnetiche nello spazio, che hanno raggiunto la Terra».

Ma anche il nostro pianeta ha un campo magnetico, e quando quest’ultimo s’incontra con le particelle solari, si generano delle intese tempeste geomagnetiche. La potenza di simili tempeste dipende sia dalle dimensioni della CME che dall’allineamento dei due campi magnetici. Nell’ultima settimana la Terra è stata colpita da CME di medie dimensioni: un grado di forza difficile da prevedere.

«A meno che una bolla di particelle non colpisce direttamente la nostra navicella spaziale, Deep Space Climate Observatory (DSCOVR), non possiamo affermare se una tempesta geomagnetica è o meno imminente», conclude Murtagh.

La previsione di tali fenomeni è di estrema importanza. Se la potenza delle CME fosse ancora più grande di quella attualmente emessa dal Sole, sulla Terra potremmo avere ingenti danni alle reti elettriche, ai satelliti e agli strumenti di comunicazioni radio per i trasporti. Monitorare il “meteo spaziale” sta diventando sempre più rilevante e allo stesso tempo apre opportunità di ricerca per comprendere meglio i meccanismi della nostra stella.

credit Andrea Cuozzo

Per ulteriori approfondimenti:

Press release: https://www.noaa.gov/media-advisory/noaa-forecasts-strong-solar-storm-space-weather-experts-available-for-interviews

L’acqua ha fretta di formarsi: rilevata in una galassia antichissima

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In una galassia distante da noi circa 12,88 miliardi di anni luce (non proprio dietro l’angolo!), denominata SPT0311-58, gli scienziati hanno trovato molecole d’acqua in abbondanza, insieme al monossido di carbonio.
La nuova ricerca comprende lo studio più dettagliato del contenuto di gas molecolare di una galassia nell’Universo primordiale e il rilevamento più distante di molecole di acqua. Inoltre, ci dà un’informazione importante: queste molecole, importanti per la vita sulla Terra, si formano non appena possono!

«Questa galassia è la galassia più massiccia attualmente conosciuta ad alto redshift, ovvero il tempo in cui l’Universo era ancora molto giovane» racconta Sreevani Jarugula, astronoma dell’Università dell’Illinois e prima autrice dell’articolo, pubblicato su The Astrophysical Journal “Molecular Line Observations in Two Dusty Star-Forming Galaxies at z = 6.9”. «Questa ha più gas e polvere rispetto ad altre galassie nell’Universo primordiale, il che ci offre molte potenziali opportunità per osservare molecole abbondanti e per capire meglio come questi elementi che hanno creato la vita hanno influenzato lo sviluppo dell’Universo primordiale».

SPT0311-58 è in realtà costituita da due galassie ed è stata osservata per la prima volta dagli scienziati di ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile) nel 2017.
SPT0311-58 si colloca nell’Epoca della Reionizzazione, ovvero in un momento in cui l’Universo aveva solo 780 milioni di anni – circa il 5% della sua età attuale – e stavano nascendo le prime stelle e galassie.

L’acqua è la terza molecola più abbondante nell’Universo dopo l’idrogeno molecolare e il monossido di carbonio. In studi passati di galassie, sia nell’Universo primordiale che in quello locale, era stata analizzata la correlazione tra la radiazione emessa dalle molecole di acqua e quella rilasciata dai grani di polvere sparsi nel gas interstellare.

«La polvere assorbe la radiazione ultravioletta proveniente dalle stelle della galassia e la riemette sotto forma di fotoni nel lontano infrarosso» spiega Jarugula «Questo processo eccita ulteriormente le molecole d’acqua, dando origine all’emissione d’acqua che gli scienziati sono in grado di osservare. In questo caso ci ha aiutato a rilevare l’emissione di acqua in questa enorme galassia». In futuro, sottolinea la ricercatrice, questa correlazione potrebbe essere usata per tracciare la formazione stellare sulla base della presenza di acqua nelle galassie su scala cosmologica.

Rappresentazione artistica della coppia di galassie Spt0311-58. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/S. Dagnello (NRAO)

Lo studio delle prime galassie che si sono formate nell’Universo aiuta gli scienziati a comprendere meglio la nascita, la crescita e l’evoluzione dell’Universo e di tutto ciò che contiene, inclusi il Sistema Solare e la Terra. Lo studio del contenuto di gas e polvere di queste prime galassie ci informa delle loro proprietà, come il numero di stelle che si stanno formando, la velocità con cui il gas viene convertito in stelle, come le galassie interagiscono tra loro e con il mezzo interstellare e molto altro ancora.

Da questa rilevazione è stata sollevata anche una grande domanda: come è stato possibile assemblare così tanto gas e polvere per formare stelle e galassie così presto nell’universo? La risposta richiede ulteriori studi su queste e altre galassie per ottenere una migliore comprensione della formazione strutturale e dell’evoluzione dell’Universo primordiale.

Fonte:
https://www.almaobservatory.org

Olimpiadi Internazionali di Astronomia 2021: al via la prima edizione online

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Sfuma la possibilità di svolgere in presenza le Olimpiadi Internazionali di Astronomia 2021, ma l’organizzazione e la gestione delle International Remote Astronomical Olympiad IRAO rimangono a carico dell’Italia. Viene scelta Milano come sede principale del comitato organizzatore, presso l’Osservatorio Astronomico di Brera dell’INAF, uno degli enti nazionali che patrocinano la competizione insieme alla SAiT (Società Astronomica Italiana).

Nei locali dell’Osservatorio di Brera si svolgeranno le prove della Squadra Italiana, che ricordiamo è formata dalla Categoria Alpha (equivalente alla categoria italiana Junior 2) e dalla Categoria Beta (equivalente alla categoria italiana Senior). Per l’edizione di quest’anno, in via eccezionale, viene istituita una nuova categoria denominata Gamma che permette la partecipazione di studenti con particolari requisiti che non hanno potuto partecipare all’edizione 2020, annullata causa emergenza covid-19.

La Squadra Italiana risulta così composta:

Categoria Alpha

  • Luppino Chiara – Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “L. da Vinci”, Reggio Calabria
  • Trunfio Ilenia – Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “L. da Vinci”, Reggio Calabria
  • Stoppa Raffaele – Liceo Scientifico Statale “F. Ribezzo”, Francavilla Fontana (BR)

Categoria Beta

  • Caggese Alessandra – Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” – Bari
  • Carbone Marco – Liceo Scientifico e delle S. A. Statale “L. da Vinci” – Reggio Calabria

Categoria Gamma

  • Altomonte Vittoria – Liceo Scientifico Statale “Euclide” – Bova Marina (RC)

La Cerimonia di Apertura è prevista sabato 6 novembre in modalità on-line e le 15 squadre partecipanti saranno collegate dai loro auditorium nazionali.

Sarà possibile seguire la cerimonia di apertura in diretta sul canale YouTube:
https://youtu.be/LK6ToTcPTXA

In bocca al lupo a tutti i partecipanti!

Fonti:
www.olimpiadiastronomia.it

TRUTHS: in missione per il clima

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Il 3 novembre scorso nell’ambito della Giornata dell’informazione della Terra, l’ESA ha lanciato la notizia del TRUTHS (Traceable Radiometry Underpinning Terrestrial and Helio-Studies), un sistema di riferimento per i satelliti che osservano la Terra, la Luna e il Sole. Il progetto è stato concepito dal National Physical Laboratory (NPL) del Regno Unito e sviluppato in collaborazione con altri partner europei, tra cui Grecia, Svizzera, Romania e Repubblica Ceca.

Beth Greenaway, responsabile dell’osservazione della Terra e del clima presso la UK Space Agency ha dichiarato: «La missione svolgerà un ruolo fondamentale nel migliorare il modo in cui monitoriamo i cambiamenti climatici utilizzando i dati satellitari e sosterrà l’azione decisiva per il clima che le nazioni globali stanno negoziando alla COP26». Lo scopo è quello di creare un “osservatorio spaziale” che ridurrà l’incertezza dei dati sul clima e la Terra.

Tutto ciò rientra nella tecnica del telerilevamento, un metodo di scienza applicata, già molto usato in passato, che permette di ricavare informazioni sull’ambiente a distanza, mediante misure di radiazioni elettromagnetica. TRUTHS permetterà di ottenere informazioni con una precisione radiometrica senza precedenti.

A causa, infatti, di dati sempre molto incerti, è difficile prendere decisioni sul trend del clima. Sono necessarie risoluzioni molto dettagliate e registrazioni a lungo termine per valutare la variabilità dei fenomeni naturali nel tempo e nello spazio. Il nuovo sistema di riferimento garantirà questa affidabilità e fornirà dettagli utili per comprendere l’impatti dei cambiamenti climatici sulla nostra società.

Sempre in linea con gli obiettivi della COP26, TRUTHS ricaverà informazioni di particolare importanza per i Paesi in via di sviluppo; aree dove le infrastrutture non riescono a valutare l’impatto dei cambiamenti climatici, e quindi, il telerilevamento sarà una tecnica fondamentale per avere una risposta rapida ed efficiente. «TRUTHS soddisferà la richiesta della comunità globale sul clima. Serve una tecnologia ad alta precisione che possa affiancare le urgenti azioni politiche che bisogna intraprendere», afferma il prof. Nigel Fox, scienziato dell’Agenzia spaziale inglese.

Quindi, sebbene il nuovo sistema di rilevamento sia guidato dal Regno Unito, i suoi obiettivi hanno una natura globale. Inoltre, questa nuova tecnologia svilupperà nuove capacità industriali che potranno essere sfruttate dagli enti di ricerca per aprire nuovi mercati di lavoro. Così, anche la ricerca spaziale si affianca alla risoluzione dei cambiamenti climatici, i quali necessitano una chiara risposta in tempi molto brevi.

Per approfondimenti:

Press release: https://www.gov.uk/government/news/new-look-for-ground-breaking-uk-led-esa-mission-to-detect-climate-change

Un’officina del fluoro a 12 miliardi di anni da noi

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This artist’s impression shows NGP–190387, a star-forming, dusty galaxy that is so far away its light has taken over 12 billion years to reach us.  ALMA observations have revealed the presence of fluorine in the gas clouds of NGP–190387. To date, this is the most distant detection of the element in a star-forming galaxy, one that we see as it was only 1.4 billion years after the Big Bang — about 10% of the current age of the Universe. The discovery sheds a new light on how  stars forge fluorine, suggesting short-lived stars known as Wolf–Rayet are its most likely birthplace.

We are made of starstuff ovvero “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle” per citare l’astronomo Carl E. Sagan, ed effettivamente è così: come  la maggior parte degli elementi intorno a noi, anche il fluoro viene creato all’interno delle stelle, ma finora non sapevamo esattamente come fosse prodotto.
«Non sapevamo nemmeno quale tipo di stelle producesse la maggior parte del fluoro nell’Universo!» afferma Maximilien Franco dell’Università dell’Hertfordshire nel Regno Unito che ha guidato il nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy.

This artist’s impression shows NGP–190387, a star-forming, dusty galaxy that is so far away its light has taken over 12 billion years to reach us.  ALMA observations have revealed the presence of fluorine in the gas clouds of NGP–190387. To date, this is the most distant detection of the element in a star-forming galaxy, one that we see as it was only 1.4 billion years after the Big Bang — about 10% of the current age of the Universe. The discovery sheds a new light on how  stars forge fluorine, suggesting short-lived stars known as Wolf–Rayet are its most likely birthplace.

I ricercatori hanno individuato il fluoro (sotto forma di acido fluoridrico) nelle grandi nubi di gas della galassia NGP–190387. Una galassia così lontana che quanto possiamo osservare è lo stato in cui si trovava quando l’universo aveva solo 1,4 miliardi di anni, circa il 10% della sua età attuale. Questo fattore è importante perché implica che le stelle che hanno creato il fluoro devono essere vissute e morte rapidamente, poiché le stelle espellono gli elementi che si formano nel nucleo quando raggiungono la fine della loro vita.

La scoperta nella galassia NGP-190387 segna una delle prime rilevazioni di fluoro oltre la Via Lattea e le sue galassie vicine. In precedenza questo elemento era stato individuato in quasar lontani, oggetti luminosi alimentati da buchi neri supermassicci al centro di alcune galassie. Mai prima d’ora questo elemento era stato osservato in una galassia con formazione stellare così “giovane”.

Il team di ricerca ha indicato le stelle di tipo Wolf–Rayet come possibile officina di produzione del fluoro; queste stelle molto massicce vivono solo pochi milioni di anni: un battito di ciglia nella storia dell’Universo!
Le stelle di tipo Wolf-Rayet erano già state suggerite come possibili fonti di fluoro cosmico, ma gli astronomi finora non sapevano quanto fossero importanti nella produzione di questo elemento nell’Universo primordiale.

Oltre alle Wolf-Rayet, in passato sono stati proposti diversi scenari su come può essere prodotto ed espulso il fluoro. Per esempio si ipotizzava si generasse dalle pulsazioni di stelle giganti ed evolute, con masse fino a poche volte quella del nostro Sole (chiamate stelle del ramo asintotico delle giganti), ma l’equipe ritiene che questi scenari, alcuni dei quali richiedono miliardi di anni per realizzare il fluoro, non sarebbero in grado di spiegare appieno la quantità di fluoro in NGP–190387.

«Per questa galassia sono bastate alcune decine o centinaia di milioni di anni per avere livelli di fluoro paragonabili a quelli trovati nelle stelle della Via Lattea, che ha 13,5 miliardi di anni. Questo è stato un risultato completamente inaspettato», afferma Chiaki Kobayashi, professore all’Università dell’Hertfordshire «La nostra misurazione aggiunge un vincolo completamente nuovo all’origine del fluoro, che è stato studiato per due decenni».

Il rilevamento del fluoro da parte dell’equipe è stata una scoperta casuale resa possibile dall’uso di osservatori dallo spazio e da terra. NGP–190387,  straordinariamente luminosa per la sua distanza, originariamente scoperta dall’Herschel Space Observatory dell’Agenzia spaziale europea (ESA), è stata successivamente osservata con ALMA, il telescopio ubicato in Cile.

Fonti

https://www.eso.org

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “The ramp-up of interstellar medium enrichment at z > 4” pubblicato dalla rivista Nature Astronomy

Curiosity trova nuove molecole della vita

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Un team internazionale di ricercatori spaziali che lavorano con il Goddard Space Flight Center della NASA ha trovato molecole organiche precedentemente sconosciute su Marte utilizzando un nuovo esperimento a bordo di Curiosity. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.

Il rover americano, mentre testava una nuova tecnica d’indagine, ha prelevato un campione di suolo dalle Dune di Bagnold. Il materiale è stato analizzato tramite un metodo basato sulla chimica umida. Le analisi sono state compiute tramite uno strumento chiamato Sam (Sample Analisys at Mars), il quale deve esaminare sostanze organiche ed elementi leggeri che potrebbero essere associati alla presenza di vita passata su Marte.

Sam è composto di 74 “tazze” che contengono i campioni, di cui 65 sono vuote e mantengono riscaldato il campione per studiarlo, e altre 9 includono solventi per analizzare i campioni in maniera differente. I ricercatori hanno così individuato nuovi amminoacidi mai scoperti prima sul suolo marziano. Si trattano di acido benzonico ed ammoniaca, nuove molecole organiche, che non confermano la presenza della vita su Marte, ma allungano l’inventario di sostanze prebiotiche già analizzate, e favoriscono l’uso di nuovi metodi per esaminare sostanze sconosciute sul Pianeta Rosso. E’ stata preferita questa tecnica rispetto ad altre, perché durante l’indagine Curiosity ha subito un leggero malfunzionamento, con la conseguente rottura di un trapano. Testare la chimica umida è stata una scelta necessaria.

«Questo esperimento è certamente un successo», spiega in un’intervista Maëva Millan, coordinatrice del progetto e ricercatrice della NASA, «anche se non abbiamo trovato quello che cercavamo, cioè le biofirme, abbiamo dimostrato che Sam e il metodo della chimica umida sono una tecnica davvero promettente».

Si apre così un nuovo importante capitolo nella ricerca alle firme biologiche sul suolo marziano. Il materiale prelevato sembra essere molto ricco dei componenti individuati, e forse la zona delle Dune di Bagnold potrebbe essere un nuovo punto di partenza per trovare finalmente la prova di vita extraterrestre.

Per ulteriori approfondimenti:

Nature Astronomy (2021), “Organici molecules revealed in Mars’s Bagnold Dunes by Curiosity’s derivatization experiment”, M. Millan, S. Teinturier, C.A. Malespin, J.Y. Bonnet, A. Buch, J.P. Dworkin, J.L. Eigenbrode, C. Freissinet, D.P. Glavin, R. Navarro-Gonzàlez, A. Srivastava, J.C. Stern, B. Sutter, C. Szopa, A.J. Williams, R.H. Williams, G.M. Wong, S.S. Johnson & P.R. Mahaffy

Luna di Novembre

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Alle ore 02:20 la Luna è sorta in fase di 25,6 giorni rendendosi visibile per alcune ore fino alle prime luci dell’alba. Sulla sua superficie si potrà individuare la netta distinzione fra la scura distesa basaltica dell’oceanus Procellarum di cui ne vediamo solo il settore occidentale in evidente contrasto con le più chiare rocce anortositiche degli altipiani sudoccidentali, mentre una volta giunto al capolinea della fase calante il nostro satellite sarà in Novilunio alle ore 22.15 del 4 Novembre venendosi a trovare fra la Terra e il Sole rivolgendo pertanto a noi il suo emisfero non illuminato dal Sole.

Da qui ripartirà la fase di Luna crescente che progressivamente di sera in sera si renderà sempre più visibile fino a raggiungere le migliori condizioni osservative nelle fasi prossime al Primo Quarto previsto per le ore 13:46 dell’11 Novembre. Per l’osservazione al telescopio basterà attendere le 17:30 circa della medesima serata col nostro satellite ad un’altezza di +23° e perfettamente visibile fino alle 23.30 circa quando scenderà sotto l’orizzonte. A prescindere da tutto quanto si è detto e scritto su questa fase lunare, ad una semplice osservazione non sfuggirà certamente che le aree scure ricoperte da rocce basaltiche e chiamate impropriamente “mari”, non sono altro che gigantesche strutture crateriformi che videro la loro formazione dai 4 ai 4,5 miliardi di anni fa nel Periodo Geologico Nectariano. Non solo attraverso il telescopio, ma anche in un binocolo sarà possibile percepire chiaramente la forma indicativamente circolare tipica dei bacini da impatto ormai ricolmi di materiali di frantumazione della crosta lunare originale, sia del corpo meteoritico impattante oltre alle rocce effusive di origine vulcanica note come basalti. Potrà risultare molto interessante ed anche stimolante andare a scandagliare le strutture situate in prossimità delle regioni polari settentrionale e meridionale, dove si consiglia di effettuare l’osservazione con differenti poteri di ingrandimento, al fine di percepirne i minimi dettagli compatibilmente con le condizioni osservative.

Nell’avanzare della fase crescente la Luna sarà in Plenilunio alle ore 09:58 del 19 Novembre mentre anche in questo caso, sorgendo alle 16:52, basterà attendere le ore 17:30 circa per intraprendere le osservazioni al telescopio. Nel caso specifico, dopo il transito in meridiano delle 00:33 ad un’altezza di +66°, avremo a nostra disposizione l’intero emisfero lunare rivolto verso la Terra fino alle prime luci dell’alba del mattino seguente. Questo Plenilunio si verificherà con la Luna alla distanza di 407.490 km dalla Terra e con un diametro apparente di 29,32′ in fase di 14,5 giorni.

Al capolinea della fase crescente, il nostro satellite riprenderà la fase di segno opposto, cioè quella calante passando per la fase di Ultimo Quarto alle ore 13:28 del 27 Novembre, pochissimi minuti prima del suo tramonto. Mentre per chi fosse interessato ad osservazioni col telescopio la notte successiva, il 28 Novembre, sorgerà intorno alla mezzanotte e splenderà nel cielo ad est – sudest fino all’alba, quando alle ore 07:00 culminerà in meridiano ad un’altezza di +54°. La peculiarità di questa fase lunare consiste nella possibilità di ammirare il settore occidentale del nostro satellite con l’immensa distesa basaltica dell’oceanus Procellarum oltre a porzioni dei mari Frigoris, Imbrium e Nubium fino all’inconfondibile area circolare del mare Humorum. Non mi stancherò mai di segnalare il notevole contrasto dei crateri Aristarchus e Grimaldi in relazione ai materiali che ricoprono le rispettive aree. Infatti l’elevatissima albedo del cratere Aristarchus rispetto agli scuri basalti circostanti ne rende praticamente immediata l’individuazione, così come le scure rocce basaltiche che ricoprono il fondo del cratere Grimaldi ne fanno una vera e propria “isola nera” rispetto alle più chiare rocce anortositiche degli altipiani. Nelle ultime notti del mese la Luna si ridurrà ad una falce sempre più sottile relegata alle ore notturne in attesa di una nuova ripartenza.

Le FALCI lunari di NOVEMBRE:

Il 2 Novembre alle ore 03:35 è sorta una falce di 26,6 giorni fra le stelle della Vergine. Trattandosi di Luna calante la porzione illuminata riguarda il settore più occidentale dell’oceanus Procellarum e dell’altipiano sudoccidentale con le rispettive cuspidi nord e sud. E’ stato quindi possibile osservare, con un evidenza molto netta, la scura platea basaltica del cratere Grimaldi.

La notte successiva, il 3 Novembre, una falce ancora più sottile è apparsa alle ore 04:52 in fase di 27,7 giorni ma la breve finestra osservativa ha permesso solo una rapida occhiata e qualche foto prima che le luci dell’alba abbiano il sopravvento. Una osservazione decisamente problematica sarà quella del 4 Novembre con una falce di 28,7 giorni che sorgerà alle ore 06:12 e che segnalo unicamente per informazione.
Considerata la vicinanza al sorgere del Sole e la necessità di attuare ogni precauzione per non intercettare la luce solare, eventuali foto dovranno essere effettuate con la Luna in corrispondenza dell’orizzonte. Nel caso specifico sarà preceduta dal pianeta Mercurio (distanza 6°) mentre Marte la affiancherà a soli 2°.

Per quanto riguarda le falci in Luna crescente, alle ore 18:09 del 6 Novembre tramonterà una bella falce di 1,8 giorni sulla cui superficie sarà possibile individuare varie strutture crateriformi ristrette fra il bordo lunare orientale ed il vicino terminatore, tenendo ben presente la breve finestra osservativa. Una più comoda falce lunare sarà quella che tramonterà alle ore 18:57 del 7 Novembre.
Nel caso specifico sarà possibile l’osservazione di numerose strutture geologiche tra cui il mare Humboldtianum a nordest oltre al settore orientale dei mari Crisium e Fecounditatis unitamente ai quattro grandi crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius senza dimenticare le regioni polari nord e sud. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

LIBRAZIONI di NOVEMBRE:

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

– Librazioni Regione Sudovest: (a)

01 Novembre: Fase 26 giorni, sorge 02:20 – tramonta 15:51
02 Novembre: Fase 27 giorni, sorge 03:35 – tramonta 16:12
03 Novembre: Fase 28 giorni, sorge 04:52 – tramonta 16:35
04 Novembre: Fase 26 giorni, sorge 02:20 – tramonta 15:51

Librazioni Regione Nordest-Est:
06 Novembre: Fase 1,8 giorni, sorge 08:59 – tramonta 18:09
07 Novembre: Fase 2,8 giorni, sorge 10:20 – tramonta 18:57
08 Novembre: Fase 3,8 giorni, sorge 11:34 – tramonta 19:56
09 Novembre: Fase 4,8 giorni, sorge 12.33 – tramonta 21:05
10 Novembre: Fase 5,8 giorni, sorge 13:21 – tramonta 22:19
11 Novembre: Fase 6,8 giorni, sorge 13:56 – tramonta 23:34
12 Novembre: Fase 7,8 giorni, sorge 14:24 – tramonta ——
13 Novembre: Fase 8,8 giorni, sorge 14:47 – tramonta 00:45
14 Novembre: Fase 9,8 giorni, sorge 15:08 – tramonta 01:54
15 Novembre: Fase 10,8 giorni, sorge 15:27 – tramonta 03:01
16 Novembre: Fase 11,8 giorni, sorge 15:46 – tramonta 04:06
17 Novembre: Fase 12,8 giorni, sorge 16:05 – tramonta 05:11
18 Novembre: Fase 13,8 giorni, sorge 16:27 – tramonta 06:15

Librazioni Regione Sudovest:
22 Novembre: Fase 17,8 giorni, sorge 18:45 – tramonta 10:24
23 Novembre: Fase 18,8 giorni, sorge 19:38 – tramonta 11:15
24 Novembre: Fase 19,8 giorni, sorge 20:38 – tramonta 11:58
25 Novembre: Fase 20,8 giorni, sorge 21:43 – tramonta 12:34
26 Novembre: Fase 21,8 giorni, sorge 22:51 – tramonta 13:04
27 Novembre: Fase 22,8 giorni, sorge ——  – tramonta 13:30
28 Novembre: Fase 23,8 giorni, sorge 00:01 – tramonta 13:53
29 Novembre: Fase 24,8 giorni, sorge 01:12 – tramonta 14:14
30 Novembre: Fase 25,8 giorni, sorge 02:25 – tramonta 14:35

Immagine 2Librazione di Novembre”: Mappe di F. Badalotti su immagini dal globo di “Atlante Lunare Virtuale”

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