Home Blog Pagina 30

ICRANet – Isfahan Astronomy Meeting

0

Domani 3 novembre prende il via il primo incontro organizzato congiuntamente da ICRANet e IUT dal titolo “ICRANet – Isfahan Astronomy Meeting. Dall’antica astronomia persiana ai recenti sviluppi della fisica teorica e sperimentale, dell’astrofisica e della relatività generale”.

L’incontro sarà ospitato in maniera ufficiale nella meravigliosa città di ISFAHAN, situata nel centro dell’Iran, presso la Isfahan University of Technology (IUT) ma sarà disponibile anche in maniera virtuale sul canale ufficiale Youtube dell’ICRANet

L’evento della durata di 3 giorni, dal 3 al 5 novembre 2021 fornirà una grande opportunità per discutere di argomenti che vanno dall’antica astronomia persiana ai recenti sviluppi dell’astronomia osservativa, ai fenomeni astrofisici ad alta energia come i Gamma-Ray Bursts (GRB) e i nuclei galattici attivi ( AGN), teorie della gravità, relatività generale e suoi fondamenti matematici, buchi neri, materia oscura e cosmologia dell’universo primordiale. Inoltre durante l’incontro si terrà anche un workshop sulla Data Science in Astrofisica.

A darne comunicazione lo stesso direttore dell’ICRANet, Remo Ruffini, titolare della cattedra in fisica teorica presso il dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma e presidente dell’International Centre for Relativistic Astrophysics e molti saranno i ricercatori italiani coinvolti.

ICRANet, International Center for Relativistic Astrophysics Network, è un’organizzazione internazionale il cui scopo è promuove l’attività di ricerca nel campo dell’Astrofisica Relativistica e di aree affini. Membri dell’ICRANet sono quattro stati e tre università e centri di ricerca: la Repubblica dell’Armenia, la Repubblica Federale del Brasile, la Repubblica Italiana, lo Stato Vaticano, l’Università di Arizona (USA), l’Università Stanford (USA) e l’ICRA. Attualmente la sede del coordinamento centrale è sita a Pescara, presso la storica stazione centrale.

Il discorso di apertura sarà presentato da S.E. Mohammad Ali Zolfigol, Ministro della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia (MSRT) della Repubblica Islamica dell’Iran.

Per ulteriori informazioni sull’incontro, consultare il sito Web ufficiale: https://indico.icranet.org/event/2/overview

Occhi al cielo: il ritorno della cometa di Rosetta

0

Oggi, 2 novembre, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67 P) raggiungerà il perielio e, tra soli dieci giorni, il punto più vicino al nostro pianeta: occasioni imperdibili per osservarla e immortalarla.

La cometa, di circa 4 km di diametro, completa un giro attorno al Sole ogni sei anni e mezzo e, come ci ricorda Albino Carbogani, astronomo INAF di Bologna: «Il prossimo flyby della 67P con la Terra ci sarà solo il 29 novembre 2034, fra ben 13 anni: meglio quindi approfittare di questo momento, per parecchio tempo non la vedremo più così bene».

La 67 P venne scoperta nel 1969 da Klim Ivanovich Churyumov dell’Osservatorio Astronomico dell’Università di Kiev. L’oggetto celeste divenne celebre nel 2014, quando la sonda dell’ESA Rosetta si è inserita in orbita intorno alla cometa stessa dopo un viaggio durato dieci anni. Un’appassionante missione – all’avventura di Rosetta e Philae l’ESA dedicò anche video e animazioni didattiche – durante la quale sono stati raccolti una grandissima quantità di dati che i ricercatori continuano ancora ad analizzare.

Osservare e fotografare la cometa di Rosetta non è complicato, l’importante è avere la possibilità di trovare un luogo particolarmente buio: la magnitudine massima di 67P sarà +8.5 e quindi le luci delle città possono creare un notevole disturbo. In questi giorni, la cometa sorgerà in tarda serata in prossimità della costellazione dei Gemelli, verso nord-est, e resterà visibile fino a notte inoltrata.

«I neofiti dotati di un buon binocolo o un piccolo telescopio, confrontando la 67P con le stelle del campo di vista si renderanno conto dell’aspetto nebuloso della cometa, mentre le stelle restano puntiformi», spiega Carbognani «Se il cielo è sufficientemente buio si potrà apprezzare anche la coda che, partendo dalla chioma, si troverà approssimativamente in direzione opposta al Sole. Con un po’ di pazienza, facendo attenzione alle stelle di sfondo, nel campo di un’ora ci si renderà conto che la cometa si sta spostando in cielo sia per effetto del suo moto di rivoluzione attorno al Sole, sia per lo spostamento della Terra lunga la propria orbita».

Per i più esperti e per chi è alle prime armi, ricordiamo che è possibileinviare le proprie foto a coelumastro@coelum.com oppure caricarle direttamente sulla sezione Photo Coelum del nostro sito www.coelum.com

Condivideremo con piacere i vostri lavori anche sui nostri canali social.
Cieli sereni a tutti!

Fonte: https://edu.inaf.it

Milano si aggiudica lo IAC 2024

0

Durante la diretta da Dubai, trasmessa sui nostri canali, dove da poco si è chiusa l’edizione 2021 dello IAC, grazie alle riprese e la racconto di Antonino Salmeri avevamo intravisto fra i numerosi stand della fiera proprio quello della candidatura di Milano per opistare una delle future tappe di questo congresso mondiale. In quel momento l’assegnazione non era stata ancora ufficializzata ma proprio in concomitanza con la chiusura, il 29 ottobre scorso dell’evento a Dubai, il Comitato promotore della candidatura del capoluogo lombardo, costituito dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), dall’Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica (A.I.D.A.A.) quale rappresentante del mondo accademico e da Leonardo in qualità di campione dell’industria aerospaziale italiana hanno comunicato l’importante notizia.

Ricordiamo che lo IAC è promosso dalla Federazione Astronautica Internazionale IAF a cui aderiscono oggi ben 73 paesi e che si tratta di un’occasione importante di visibilità per la Space Economomy italiana.

Queste le parole di soddisfazione del presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Giorgio Saccoccia “Il percorso di vari mesi che ci ha portato a questa prestigiosa vittoria è stato un bellissimo esempio di come il sistema Italia funzioni con grande efficacia nel settore spaziale. Il Comitato di selezione ha premiato la rigorosità ed accuratezza della nostra candidatura, riconoscendo indirettamente la leadership italiana nell’attuale scenario spaziale internazionale. L’Agenzia Spaziale Italiana ha deciso con entusiasmo di supportare e contribuire alla candidatura del “Team Italia” con la proposta di Milano, mettendo a frutto l’importante rete di relazioni internazionali e la propria visione sul futuro delle attività spaziali, per attrarre consenso. Non possiamo essere più soddisfatti del risultato ottenuto per l’Italia!”. Un coro di soddisfazioni a cui si uniscono le voci di Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, e Erasmo Carrera presidente AIDAA.

Il tema dell’edizione per IAC75, la 75esima edizione del congresso, sarà “Responsible Space for Sustainability” espandendo l’attualissimo tema della sostenibilità ambientale anche allo spazio che circonda il pianeta Terra.

fonte: ASI Agenzia Spaziale Italiana

La Missione Juno

0

In attesa che vengano pubblicati i primi risultati delle nuove indagini condotte dalla sonda Juno su Giove, vi invitiamo alla lettura di questo arretrato di Coelum Astronomia, n° 202 del 2016, ben 50 pagine di Speciale Juno in cui sono state raccolte tutte le informazioni relative alla missione. Lancio, strumenti, orbita, obiettivi e curiosità. Sarà divertente fare il confronto con i dati che in questi mesi verranno ulteriormente rilasciati dalla NASA.

A proposito restate collegati. I nostri collaboratori sono già all’opera per gli approfondimenti accurati che pubblicheremo a breve!



Speciale Juno da pag. 54 a pag. 99.

NOTA BENE: al momento della pubblicazione dell’articolo la missione non era stata ancora estesa fino al 2025 come invece comunicato dall’ASI Agenzia Spaziale Italiana il 13 gennaio 2021.

JUNO IN PILLOLE

Di cosa si tratta?
Juno è una sonda spaziale robotizzata della NASA, concepita come parte del progetto di esplorazione spaziale New Frontiers. La sua destinazione è il re dei pianeti del Sistema Solare, Giove.

Perché Juno?
Nella mitologia gerco-romana Juno è il nome in latino della dea Giunone, moglie di Giove, che grazie ai suoi poteri fu in grado di scoprire i segreti del marito riuscendo a dissipare la fitta coltre di nubi in cui il dio era solito celarsi.
Allo stesso modo, la speranza degli scienziati è che la sonda Juno sia in grado di penetrare le nubi del pianeta per carpirne i segreti.
Juno è anche l’acronimo di JUpiter Near-polar Orbiter, ossia “Sonda orbitale della zona polare di Giove”.

Quanto durerà la missione?
La sonda è stata lanciata il 5 agosto 2011 a bordo di un razzo Atlas V dalla Cape Canaveral Air Force Station, in Florida e la notte tra il 4 e il 5 luglio 2016 raggiungerà la sua destinazione, dopo un viaggio di ben 5 anni nello spazio interplanetario.
La missione scientifica della sonda si articola in 37 orbite a distanza sempre più ravvicinata al pianeta.

Qual è lo scopo?
Lo scopo della missione è quello di studiare Giove raccogliendo il maggior numero di informazioni relativamente al suo campo magnetico, la sua struttura interna e la composizione dell’atmosfera. Queste informazioni permetteranno di far finalmente luce sul pianeta e sulle sue caratteristiche ma saranno cruciali anche per chiarire i meccanismi di formazione del Sistema Solare stesso.

Qual è il ruolo dell’Italia?
Il nostro paese è protagonista con due degli strumenti a bordo: JIRAM (Jupiter InfraRed Auroral Mapper) per le studio delle aurore e dell’atmosfera e lo strumento di radioscienza KaT, un transponder in banda Ka per studi gravitazionali. JIRAM è stato fornito dall’Agenzia spaziale Italiana e sviluppato con il supporto scientifico dell’INAF.

Energia Solare
Particolarità della sonda è che è alimentata da pannelli solari fotovoltaici che generano l’energia necessaria al suo funzionamento: Juno è l’esploratore a energia solare che si è spinto più lontano nel Sistema Solare, togliendo il primato alla sonda Rosetta, che lo ha detenuto fino al gennaio 2016. (Vedi le infografiche all’interno del numero 202 di Coelum).

Curiosità: Passeggeri… speciali!
Oltre al carico di strumenti scientifici e sistemi di bordo, Juno trasporta con sé un carico particolare: una placca in alluminio fornita da ASI in ricordo di Galileo Galilei, che per primo compì numerose osservazioni di Giove, e tre piccole figure LEGO che rappresentano Galileo, Giove e Giunone.

Lo speciale storico della Missione Juno è pubblicato su Coelum n°202 LEGGI ONLINE

Il numero completo è disponibile per il download in formato pdf.

Il rumore di fondo delle galassie: sempre più vicini a comprendere il funzionamento dell’Universo

0
Illustrazione della fusione di due buchi neri (Science Photo Library/AGF)

Una nuova ricerca dell’European Pulsar Timing Array (EPTA), che include scienziati Institute of Gravitational Wave Astronomy dell’Università di Birmingham, riporta un’analisi dettagliata di un segnale che si classifica come ottimo candidato nella ricerca delle onde gravitazionali a bassa frequenza (GWB). I risultati dello studio sono stati resi pubblici due giorni fa, il 27 ottobre, nel Monthly Notices della Royal Astronomical Society.

Le onde gravitazionali possono essere generate a frequenze molto basse, dette GBW (gravitational wave background), dell’ordine di un miliardesimo di Hertz, da raggruppamenti cosmici di giganteschi buchi neri binari al centro della maggior parte delle galassie. Questo sottofondo/rumore in nanohertz dell’universo è stato ricercato dagli scienziati per diversi decenni.

Illustrazione della fusione di due buchi neri (Science Photo Library/AGF)

Il segnale candidato, rilevato da reti di pulsar rotanti molto stabili (Pulsar Timing Arrays – PTA), è emerso da un’analisi dettagliata senza precedenti e i risultati sono stati ottenuti grazie ai dati raccolti in 24 anni con cinque radiotelescopi europei a grande apertura.

«Possiamo misurare piccole fluttuazioni nei tempi di arrivo del segnale radio delle pulsar sulla Terra, causate dalla deformazione dello spazio-tempo dovuta al passaggio delle onde gravitazionali. In pratica queste deformazioni si manifestano come sorgenti di irregolarità a bassissima frequenza nella serie dei tempi di arrivo degli impulsi, irregolarità che sono condivise da tutte le pulsar di una PTA» spiega Alberto Vecchio dell’Università di Birmingham.

Tuttavia, la dimensione di queste fluttuazioni è incredibilmente piccola (stimata da decine a un paio di centinaia di miliardesimo di secondo) e non semplice da definire e rilevare.

Il Dr. Siyuan Chen, ricercatore presso il CNRS di Orleans, co-autore principale dello studio, osserva: «Al momento, le incertezze statistiche nelle nostre misurazioni non ci consentono ancora di identificare la presenza di correlazione spaziale prevista per segnali di onde gravitazionali di fondo. Per ulteriori conferme dobbiamo includere più dati di pulsar nell’analisi, tuttavia i risultati attuali sono molto incoraggianti».

Le proprietà spettrali del segnale candidato (cioè come l’ampiezza del rumore osservato e come varia con la sua frequenza) rimangono all’interno delle aspettative teoriche per le fluttuazioni attribuibili alle onde gravitazionali.

Il dott. Nicolas Caballero, ricercatore presso il Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics di Pechino e co-autore principale, spiega: «L’EPTA ha trovato per la prima volta indicazioni di questo segnale nel set di dati precedentemente pubblicato nel 2015, ma, poiché i risultati avevano maggiori incertezze statistiche, sono stati discussi rigorosamente solo come limiti superiori. I nostri nuovi dati ora confermano chiaramente la presenza di questo segnale, rendendolo un candidato per un GWB».

L’EPTA è un membro fondatore dell’International Pulsar Timing Array (IPTA). Poiché anche le analisi dei dati indipendenti eseguite dagli altri partner IPTA (cioè gli esperimenti NANOGrav e PPTA) hanno indicato segnali comuni simili, è diventato fondamentale applicare più algoritmi di analisi per aumentare la possibilità di rilevare GWB. I membri dell’IPTA stanno lavorando insieme, traendo conclusioni dal confronto dei loro dati e analisi per prepararsi meglio per i prossimi passi.

Alberto Vecchio afferma: «Il rilevamento di onde gravitazionali da una popolazione di sistemi binari di buchi neri supermassicci o da un’altra fonte cosmica ci darà informazioni senza precedenti su come si formano e crescono le galassie, o sui processi cosmologici che si verificano nell’universo primordiale. I prossimi anni potrebbero essere un periodo d’oro per questo tipo di misurazioni e stiamo intensificando i nostri sforzi utilizzando set di dati migliori, più lunghi e più ricchi».

Fonte:

www.birmingham.ac.uk/research/gravitational-wave/index.aspx

Scoperto un possibile nuovo pianeta in un’altra galassia

0
Illustrazione di una possibile binaria a raggi X con pianeta in transito (Fonte: ESA)

Individuare un pianeta in un’altra galassia non è un’impresa facile. Poiché la luce di un’altra galassia è racchiusa in una piccola area del cielo, è molto difficile per i telescopi distinguere una stella da un’altra, perciò finora nessun sistema planetario al di fuori della Via Lattea è stato confermato.

La questione cambia quando, per ricercare esopianeti, vengono impiegati i raggi X, invece che la luce visibile. Infatti, un telescopio a raggi X come l’XMM dell’ESA può distinguere più facilmente gli oggetti quando si osserva una galassia. Questi oggetti sono quindi più facili da identificare e studiare e potrebbe essere possibile trovare un pianeta intorno a loro.

Illustrazione di una possibile binaria a raggi X con pianeta in transito (Fonte: ESA)

Alcuni degli oggetti più luminosi che vengono studiati nelle galassie esterne sono le cosiddette binarie a raggi X. Questi corpi celesti sono costituiti da una struttura molto compatta – una stella di neutroni o un buco nero – che sta mangiando materiale da una stella compagna – o donatrice – che gli orbita attorno. Il materiale in caduta viene accelerato dall’intenso campo gravitazionale della stella di neutroni o buco nero e riscaldato a milioni di gradi, producendo molti raggi X luminosi. Gli astronomi sfruttano questi oggetti per intercettare pianeti in transito, che passano in prossimità a tale sorgente di luce.

«Le binarie a raggi X possono essere luoghi ideali per cercare pianeti perché, sebbene siano un milione di volte più luminosi del nostro Sole, i raggi X provengono da una regione molto piccola. In effetti, la sorgente che abbiamo studiato è più piccola di Giove, quindi un pianeta in transito potrebbe bloccare completamente la luce dalla binaria di raggi X» spiega Rosanne Di Stefano del Center for Astrophysics, Harvard & Smithsonian negli Stati Uniti, e prima autrice di un nuovo studio pubblicato oggi su Nature Astronomy.

Rosanne e colleghi hanno cercato nei dati di Chandra e XMM-Newton di tre galassie tali transiti di raggi X e cali di luce, che potrebbero essere spiegati dai pianeti. Hanno allora individuato un segnale molto speciale nella Galassia Whirlpool (M51). Il calo si è verificato nel binario a raggi X M51-ULS-1 e ha bloccato completamente il segnale per alcune ore, prima che tornasse di nuovo.

Qui il video che mostra un ipotetico pianeta in transito di passaggio in prossimità di una binaria a raggi X: https://www.esa.int/Science_Exploration/Space_Science/Could_this_be_a_planet_in_another_galaxy

«In un primo momento, ci siamo assicurati che il segnale non fosse causato da nient’altro» afferma Rosanne, il cui team si oppone a una serie di possibilità nella loro nuova pubblicazione «Lo abbiamo fatto con un’analisi approfondita del calo dei raggi X nei dati di Chandra analizzando altri cali e segnali nei dati XMM e anche modellando i cali causati da altri possibili eventi, incluso un pianeta».

Gli autori del paper spiegano che il calo potrebbe essere spiegato da variazioni di luminosità della sorgente stessa. Infatti, la luce dalla sorgente è completamente scomparsa per alcune ore prima di tornare, mentre la temperatura e i colori della luce sono rimasti gli stessi. Un pianeta in transito potrebbe essere quindi la causa dell’interruzione di emissioni luminose.

«Abbiamo fatto delle simulazioni al computer per vedere se il tuffo ha le caratteristiche di un pianeta in transito e abbiamo scoperto che si adatta perfettamente. Siamo abbastanza fiduciosi che abbiamo trovato il nostro primo pianeta candidato al di fuori della Via Lattea» aggiunge Rosanne.

Il team specula anche sulle caratteristiche del pianeta in base alle loro osservazioni: sarebbe delle dimensioni di Saturno, in orbita attorno al sistema stellare binario da decine di volte la distanza Terra-Sole. Farebbe un’orbita completa all’incirca ogni 70 anni e sarebbe bombardato da quantità estreme di radiazioni, rendendola inabitabile per la vita, come la conosciamo sulla Terra.

Questa lunga orbita del pianeta candidato è però un limite agli studi intrapresi, poiché il suo passaggio in prossimità della fonte luminosa non può ripetersi in tempi brevi. Ecco perché il team è titubante nell’affermare con certezza che sia un nuovo pianeta esterno alla nostra galassia, per evitare di conseguenza immediate smentite da parte di altri laboratori di ricerca.
«Possiamo solo affermare che il fenomeno osservato trova una spiegazione nella presenza di un pianeta in transito» chiarisce Rosanne.

Tuttavia, questo è un entusiasmante passo avanti per la ricerca di pianeti al di fuori della Via Lattea. Quanto è stato osservato dal XMM-Newton per l’ESA potrebbe essere il primo pianeta che orbiterebbe attorno a un sistema ospite noto con una binaria a raggi X. Inoltre, lo studio dei raggi X permetterà di ampliare le ricerche e favorire la scoperta di altri pianeti al di là della Via Lattea.

Per approfondimenti:

https://www.esa.int/Science_Exploration/Space_Science/Could_this_be_a_planet_in_another_galaxy

“A possible planet candidate in an external galaxy detected through X-ray transit”, by Rosanne Di Stefano et al. is planned for publication in Nature Astronomy on 25 October 2021.

Biocarburanti: il futuro dei viaggi spaziali più ecologici

0
L'anno scorso la startup missilistica britannica Skyrora ha testato il suo razzo suborbitale Skylark Micro. In futuro, i razzi dell'azienda saranno alimentati da un carburante rinnovabile ottenuto da plastica non riciclabile. (Fonte: Skyrora)

I viaggi spaziali hanno un impatto significativo sull’ambiente: a seconda del tipo di carburante, a ogni lancio si iniettano quantità variabili di fuliggine negli strati più alti dell’atmosfera terrestre, contribuendo al cambiamento climatico.

Due startup inglesi (Skyrora e Orbex) puntano a una svolta green, utilizzando per i propri razzi dei carburanti derivanti da plastica non riciclabile e del bio-propano, un gas naturale ottenuto come sottoprodotto durante la produzione di biodiesel.

L'anno scorso la startup missilistica britannica Skyrora ha testato il suo razzo suborbitale Skylark Micro. In futuro, i razzi dell'azienda saranno alimentati da un carburante rinnovabile ottenuto da plastica non riciclabile. (Fonte: Skyrora)

Una settimana fa, Orbex ha pubblicato i risultati di uno studio sul razzo Prime (un micro-lanciatore alimentato a bio-propano) che sembra produrre l’86% in meno di emissioni rispetto a un lanciatore a combustile fossile di dimensioni simili.

Solitamente come carburante si utilizza il Rocket Propellant 1 (RP-1), una forma raffinata di cherosene per aerei. Questo tipo di propellente, durante il lancio di missili, crea molta fuliggine, con importanti conseguenze sugli equilibri atmosferici. I razzi ne iniettano enormi quantità negli strati superiori dell’atmosfera, dove possono innescare cambiamenti di ampia portata.
È qui che la tecnologia del razzo Prime può fare la differenza. L’Università di Exeter, la quale si è occupata di testare il missile, afferma che questo nuovo veicolo emetterà molta meno fuliggine, eliminandola quasi completamente.

Orbex prevede di far volare per la prima volta Prime il prossimo anno dallo Space Hub Sutherland, sulla costa settentrionale della Scozia.

La sua controparte, Skyrora, non ha ancora lanciato il suo razzo orbitale ecologico, ma ha eseguito con successo diversi voli di prova del suo missile suborbitale Skylark Micro. Nel 2020 l’azienda ha testato un piccolo prototipo del suo motore, che funziona con carburante ricavato da plastica non riciclabile. Secondo il loro sito web, il nuovo carburante (Ecosene), ha mostrato un profilo energetico migliore dell’1-3 % rispetto a RP-1.

Derek Harris, CEO della divisione Ecosene di Skyrora, ha affermato: «La plastica che utilizziamo in realtà proviene dallo smaltimento dei rifiuti. La produzione di biocarburanti potrebbe essere un modo per ridurre la produzione della plastica sulla Terra».

Skyrora spera di concludere i suoi studi sui biofuels entro la fine del 2022, per poi lanciare il proprio prototipo di razzo orbitale dallo spazioporto delle isole Shetland.

Orbex e Skyrora non sono le uniche startup a lavorare sui biocarburanti. Nel febbraio di quest’anno l’americana BluShift Aerospace ha lanciato il suo prototipo di razzo (Stardust 1.0) con biocarburante ottenuto dai rifiuti agricoli.

Ben venga una spinta sempre più ecologica!

Per approfondimenti:

www.skyrora.com/blog/our-news

orbex.space/news

Il dibattito sulla Leadership della NASA nell’orbita bassa terrestre

0
Illustrazione della Stazione Spaziale Axiom. Credit: Axiom Space

Si è tenuto oggi al Senato americano un dibattito sul futuro della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), coinvolti la NASA e i rappresentanti delle aziende private.

Avviata dal presidente Ronald Reagan nel 1984 e oggi considerata una testimonianza della cooperazione internazionale, la Stazione Spaziale Internazionale è ampiamente considerata una meraviglia dell’ingegneria aerospaziale, anche se alcuni si chiedono se sia stata una spesa utile.

Illustrazione della Stazione Spaziale Axiom. Credit: Axiom Space

Il più recente atto di autorizzazione della NASA, emanato nel 2017, impegna gli Stati Uniti a sostenere la stazione spaziale “almeno fino al 2024” e c’è aspettativa diffusa che il sostegno degli USA sia esteso fino al 2030, ma l’amministratore Jim Bridenstine ha escluso questa idea: «Vorrei anche dirvi che non c’è alcuna garanzia che arriveremo al 2030».

Di tutt’altra opinione è Mike Gold, rappresentante degli interessi commerciali privati, che ha detto: «Estendere la presenza degli Stati Uniti per legge al 2030 invierebbe un messaggio chiaro ed inequivocabile ai nostri partner rivali».

Dello stesso avviso è Mary Lynne Dittmar, vice presidente per i rapporti con le istituzioni della Axiom Space. La Axiom Space sta lavorando ad un progetto per un modulo, ora agganciato alla ISS, ma che nel 2028 dovrebbe staccarsi per diventare una base commerciale autonoma, quindi ben oltre il 2024 prospettato dalla NASA. È naturale che la Dittman si stia preoccupando per il futuro della ISS, ma la stessa è intervenuta ribadendo come gli Stati Uniti dovrebbero mantenere il controllo dell’orbita bassa terrestre, di fatto il naturale passaggio per tutta l’esplorazione spaziale del futuro.

Al centro del dibattito c’è proprio l’aspettativa di vita della Stazione Spaziale Internazionale. Mentre da un lato la NASA sostiene di non voler mantenere due stazioni spaziali in orbita a spese del governo (l’altra sarebbe il pioneristico progetto Artemis), dall’altra il Congresso risponde con la richiesta di argomentazioni valide, mal celando la preoccupazione non del tutto infondata di dover cedere la leadership dell’orbita bassa proprio alla Cina che ha appena inviato un secondo equipaggio alla sua nuova stazione spaziale.

Il tutto inevitabilmente verte intorno ad interessi economici e finanziari. La NASA spende 3-4 miliardi di dollari del suo budget annuale per far funzionale la ISS, un drenaggio significativo alle sue risorse che verrebbe parzialmente contenuto dal passaggio a partnership più strutturate fra pubblico e privato. Se sarà la NASA a dover mantenere operativa la ISS fino al 2030, da dove otterrà i fondi per sostenere altri progetti come Artemis Moon/Mars?

Alla fine il Senato ha approvato una nuova legge che autorizzerebbe la Nasa ad operare con la ISS fino al 2030.

Il Congresso e l’amministrazione dovranno decidere per quanto tempo la NASA potrà fare affidamento sulla stazione spaziale cinese per i suoi progetti essenziali. Bridenstine, ex amministratore della NASA, ha concluso il comitato dicendo senza mezzi termini: «Il tempo è scaduto. Bisogna decidere ora».

Fonti:

Senate Committee Told U.S. Space Leadership Requires Continued Presence in Low Earth Orbit

La sonda Lucy e i fossili cosmici: a caccia dell’origine del Sistema Solare

0

Il 16 ottobre alle 11:34 (ora italiana) da Cape Canaveral è partita la prima sonda NASA diretta verso gli asteroidi troiani di Giove. Una missione che andrà ad approfondire le origini del nostro sistema planetario.
Lucy impiegherà 12 anni a incontrare gli asteroidi della fascia principale dei Troiani di Giove. Una missione lunga e non priva di difficoltà, la prima delle quali subito dopo il lancio con il malfunzionamento di uno dei pannelli solari.

LA MISSIONE

«Lucy incarna lo spirito della NASA volto a spingersi nel cosmo per il puro amore dell’esplorazione e della scienza, per comprendere meglio l’universo e ruolo dell’uomo», ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson «Non vedo l’ora di vedere quali misteri svelerà la missione!»

Gli asteroidi Troiani di Giove orbitano attorno al Sole sulla stessa traiettoria del gigante gassoso e si ipotizza siano gli “avanzi” della formazione planetaria. Se fosse vero, studiandoli otterremmo importanti indizi sulla nascita del Sistema Solare, insomma dei veri e propri “fossili cosmici”.
La missione ha i suoi esordi nel 2014 e la sonda impiegherà ancora diversi anni per raggiungere il primo asteroide troiano, incrociando le dita e problemi tecnici permettendo! Dopo il successo del lancio infatti, la NASA ha comunicato che uno dei due pannelli solari non è riuscito a bloccarsi nella giusta posizione dopo il dispiegamento; la fortuna assiste la sonda ed entrambi stanno producendo energia caricando la batteria.
Un viaggio lungo e difficoltoso, è vero, ma il responsabile scientifico della missione Hal Levison assicura che questi oggetti, per il loro immenso valore scientifico, valgono l’attesa e lo sforzo richiesto e sono come diamanti nel cielo.
Non sfugge la citazione della famosa canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds che dà il nome al fossile della più celebre antenata dell’uomo, Lucy, a cui è stata dedicata la sonda NASA.

Nel team di ricerca anche un italiano, Simone Marchi, deputy project scientist della missione e ideatore del logo che ricorda proprio un diamante nella forma, fondamentale il contributo del figlio di sette anni.

PICCOLA CURIOSITA’ STORICA

da Coelum n. 9-10, Volume XXIII
Settembre-Ottobre 1955

Gli asteroidi sono da sempre oggetti di grande interesse scientifico e questa della NASA è una missione senza precedenti.
Oggi si apre un incredibile nuovo capitolo che approfondirà la nostra conoscenza del Sistema Solare, mentre, in questo stesso periodo esattamente 66 anni fa, nel n. di Settembre-Ottobre 1955 della rivista Coelum si metteva in luce il metodo di ricerca sui “minuscoli pianetini” che circolano tra le orbite di Marte e Giove. Uno studio complesso guidato da G.P. Kuiper (1905-1973), astronomo olandese autore di un accurato lavoro di osservazione sugli asteroidi, un pioniere nello studio di questi oggetti così interessanti.
Partendo da “Un eccellente astrografo di Ross-Fecker” (cit.) per fotografare questi minuscoli pianetini fino ad arrivare ai sofisticati sistemi di bordo di Lucy: cambiano i metodi e gli strumenti, ma il fascino degli asteroidi rimane immutato.

clicca sull'immagine per ingrandire
clicca sull'immagine per ingrandire

credit @NASA

“Eruzioni vulcaniche” dai buchi neri a spasso nello spazio intergalattico

0
"Eruzioni vulcaniche" da buco nero nello spazio intergalattico

I risultati provengono dagli studi di Nest200047, un gruppo di galassie altrimenti innocuo a circa 200 milioni di anni luce di distanza che ospita uno spettacolare buco nero nella galassia al suo centro. Il buco nero sta attivamente accrescendo qualsiasi materia circostante e di conseguenza rilascia potenti flussi di particelle. Queste particelle hanno formato coppie di bolle e filamenti di gas caldo che si sono gradualmente allontanati dal buco nero, raggiungendo distanze di centinaia di migliaia di anni luce e impattando su tutto ciò che si trova sulla loro strada. Queste strutture ora osservabili ricordano fortemente i flussi di fumo prodotti nell’atmosfera terrestre dalle eruzioni vulcaniche.

"Eruzioni vulcaniche" da buco nero nello spazio intergalattico

I buchi neri assorbono materia dall’ambiente circostante a causa della loro potente attrazione gravitazionale, materia che successivamente fuoriesce sotto forma di getti di particelle cariche che lanciate alla velocità della luce.

Questo recentissimo studio mostra in dettaglio come si diffonde tutta la materia così espulsa nello spazio intergalattico e da quel che appare il processo è simile al modo in cui le nuvole di cenere vulcaniche vengono propagate in atmosfera sul pianeta Terra.

“La nostra indagine mostra come le bolle di gas accelerate dal buco nero si espandano e si trasformino nel tempo. In effetti, creano spettacolari strutture a forma di fungo, anelli e filamenti simili a quelli originati da una potente eruzione vulcanica sul pianeta Terra” sostiene Marisa Brienza, ricercatrice presso il dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Bologna ha affermato e direttrice dell’indagine.

Timothy Shimwell (Netherlands Institute for Radio Astronomy, ASTRON), coautore dello studio, è entusiasta del risultato. “Per molti anni i ricercatori hanno cercato di capire quanta parte dell’area circostante può influenzare un buco nero. Le immagini che abbiamo creato di questo incredibile sistema mostrano che la risposta è sorprendentemente ampia. Il buco nero non influenza solo la galassia ospite, ma ha un impatto su un vasto ambiente intergalattico che può contenere centinaia di altre galassie e influenzerà aspetti come la velocità con cui le stelle si formano in quelle galassie”.

Le osservazioni che hanno reso possibile questa ricerca sono state condotte dal Low Frequency Array (LOFAR) e dall’esteso Roentgen Survey with an Imaging Telescope Array (eROSITA). LOFAR, che ha sede nei Paesi Bassi, è il più grande radiotelescopio a bassa frequenza del mondo, ed eROSITA, è un telescopio spaziale all’avanguardia.

LOFAR si sta dimostrando tra i radiotelescopi più prolifici al mondo. “Questa è un’altra fantastica scoperta scientifica che LOFAR ha facilitato e ha aperto una nuova strada di ricerca che sarà attivamente perseguita”, afferma Huub Rottgering (Università di Leiden). Ciò avviene dopo sforzi di sviluppo sostanziali e sostenuti, con Reinout van Weeren (Università di Leiden) che osserva che “le tecniche necessarie per sfruttare appieno un telescopio pionieristico come LOFAR richiedono anni per essere sviluppate e fanno affidamento su alcune delle più grandi strutture di calcolo della nazione per funzionare, quindi ottenere questo tipo di risultato è uno sforzo mastodontico, ma è molto gratificante farne parte.

Qui il video ottenuto dalle immagini dei getti in espansione https://www.astron.nl/volcanic-activity-in-black-holes-blows-monumental-bubbles-spanning-hundreds-of-thousands-of-light-years

Fonte ufficiale Nature Astronomy:

Nature Astronomy“A snapshot of the oldest active galactic nuclei feedback phases” M. Brienza, T. W. Shimwell, F. de Gasperin, I. Bikmaev, A. Bonafede, A. Botteon, M. Brüggen, G. Brunetti, R. Burenin, A. Capetti, E. Churazov, M. J. Hardcastle, I. Khabibullin, N. Lyskova, H. J. A. Röttgering , R. Sunyaev, R. J. van Weeren, F. Gastaldello, S. Mandal, S. J. D. Purser, A. Simionescu and C. Tasse.

“Ad Sidera. C’era una volta celeste”, nostalgia del cielo stellato

0

Fotografie, videoproiezioni e sale multisensoriali danno vita a un viaggio contemplativo nel tempo, nella notte e oltre il visibile nel percorso espositivo ideato da Alessia Scarso, regista di formazione e con la passione per la fotografia astronomica. Dal 2019 è membro del gruppo di astrofotografi Pictores Caeli con cui condivide il piacere di restituire il senso di meraviglia che si prova al momento dell’osservazione e dello scatto.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

“Ad Sidera. C’era una volta celeste” è un viaggio che conduce fino al sé più intimo, allontanandosi dalla quotidianità rumorosa, caotica e luminosamente inquinata ed inquinante per trovare luoghi di silenzio e calma. La mostra-evento, inaugurata ad agosto e accompagnata dalle musiche originali del compositore Marco Cascone, è promossa dalla Fondazione Teatro Garibaldi presso l’ex Convento del Carmine di Modica ed è stata prorogata fino al 14 novembre 2021.

«Tutto è iniziato dal disagio di guardare ad altezza uomo. Ciò che percepivo non mi nutriva, e ho sentito il bisogno di alzare lo sguardo alla ricerca di qualcosa di più pulito. Potrei chiuderla qui, perché a un visitatore non servirebbe altro: la relazione tra spettatore e opera è un momento intimo» così racconta Alessia Scarso «Non è uno sguardo inedito per me quello verso l’alto. Ne ho avuto esperienza già da curiosa adolescente durante le veglie alle stelle e i fuochi di Bivacco e durante le notti di pesca in spiaggia. Non passò molto tempo che accanto alla canna da pesca ci fu una fotocamera che mi aiutasse a esplorare oltre ciò che l’occhio umano è in grado di percepire».

Da notti passate a fotografare il cielo e realizzare opere fotografiche nasce “Ad Sidera”, con video e anche un’installazione multimediale che dà il titolo al percorso espositivo: in una sala si gioca con l’invisibile e l’impercettibile scoperchiando la volta di una chiesa per rivelare la vera Volta Celeste. Il termine “C’era una volta” rievoca proprio l’inizio di una fiaba, una storia passata che attraverso il racconto ritorna presente.

Durante il percorso, inoltre, è disponibile uno spettacolare timelapse con protagonista il vulcano Etna. Il video è il vincitore del PNA di Parigi (Photo Nightscape Awards); una collaborazione a più mani tra la regista, Dario Giannobile e Marcella Giulia Pace, anche loro membri di Pictores Caeli.

Per maggiori informazioni sulla mostra: www.alessiascarso.it/adsidera

Eccoci qui, pronti, si ri-parte!

0

Coelum Astronomia non molla mai. Cerca strade, si rinnova, inventa soluzioni, guarda a quanto è possibile, pesa ogni opzione, valuta ogni strada, e rimane fedele alla missione principale: raccontare l’Astronomia a tutti gli appassionati.

Oggi Coelum, una rivista a cui noi tutti siamo profondamente affezionati, affronta un’altra sfida, una risposta reattiva ai cambiamenti imposti dalle regole della comunicazione, che mai come ora introduce costantemente nuovi strumenti e nuove tecniche. Cambia ed evolve anche il pubblico che sviluppa ed alimenta nuove abitudini nella fruizione delle notizie. Un pubblico interessato, mai come ora, ad un’informazione assolutamente attenta ed accurata, vuoi anche complice il periodo difficile e funesto attraversato (tutti con le dita incrociate!) che ha alzato l’asticella della qualità.

A noi dello staff della Visione Futuro, l’onore di condurre la rivista attraverso questo passaggio cruciale. Saremo responsabili di un prestigioso bagaglio storico da conservare e valorizzare, mentre con lungimiranza dovremo saper guardare a nuovi servizi e, ove necessario, valutare nuove collaborazioni anche e soprattutto fra i tantissimi giovani che oggi contribuiscono alla diffusione della cultura scientifica nei modi più originali.

Sarà questa la vera sfida, fare da collante fra tradizione e novità, ma è una sfida che vogliamo cogliere con entusiasmo. Un impegno per un lavoro sereno, costante e duraturo negli anni.

Il nostro più grande grazie a chi nel tempo ha contribuito a rendere Coelum Astronomia un gioiello fra i progetti di diffusione delle Scienze. Un ringraziamento speciale va al precedente editore e alla sua redazione per la fiducia riposta nelle nostre potenzialità e nei nostri progetti.

Dal 1997 Coelum accompagna la nostra passione per l’Astronomia.. e continuerà a farlo ancora per molto tempo!

Molisella Lattanzi
Direttrice

Tempeste solari e aurore boreali sopra New York

0
Immagine di un'aurora boreale da satellite in orbita

Nella serata dell’11 Ottobre spettacolari aurore boreali sono apparse nel cielo di New York e in altre aree a sud della costa orientale degli Stati Uniti. Uno spettacolo insolito a così alte latitudini.

Immagine di un’aurora boreale dalla Stazione Spaziale Internazionale

Il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha registrato quasi contemporaneamente una tempesta solare di categoria G2, causata da un’intesa attività del Sole. Un tale brillamento solare, classificato dal NOAA come moderatamente forte, è in grado di distorcere il campo magnetico terrestre disturbando la magnetosfera per un breve periodo.

Tempeste magnetiche di simili caratteristiche in passato hanno provato una serie di complicazioni a strumentazioni e altri sistemi:

– le reti elettriche possono presentare allarmi di tensioni, che vanno ad arrecare danni ai trasformatori

– si verifica una perdita del controllo di satelliti in orbita,

– si hanno delle interruzioni della propagazione delle emissioni radio

Per altro tuttavia questi fenomeni sono eventi meteorologici spaziali abbastanza comuni, poiché il Sole rilascia con regolarità i CME. I CME (Coronal Mass Ejection) o espulsione di massa coronale, sono un’emissione di materiale proveniente dalla corona solare, costituito da plasma caricato elettricamente, che quando raggiunge la magnetosfera terrestre tende a comprimerla nell’emisfero illuminato per espanderla in quello non illuminato. A questo punto nella zona notturna della Terra le particelle del plasma migrano verso i poli, rilasciando energia sotto forma di luce colorata: è così che si verificano aurore intese come quelle avvistate nei cieli di Manhattan.

Il NOAA ha pubblicato un orologio geomagnetico per registrare la durata del fenomeno e l’impatto della tempesta sui sistemi elettrici e satellitari. Una tecnologia questa in grado di controllare la quantità di energia che viene rilasciata dalle tempeste nelle 22 ore successive al manifestarsi del fenomeno, e quindi permettere previsioni sempre più precise ed istantanee.

Gli studi sulla meteorologia spaziale sono importanti poiché hanno già ed avranno sempre più in futuro un notevole impatto sulle missioni umane fuori dall’orbita terrestre, oltre che permetterci di  essere avvisati in tempo per assistere a questi spettacolari eventi luminosi.

A partire dalla serata di martedì 12 Ottobre, l’energia della tempesta solare è andata diminuendo. Tuttavia il centro di climatologia americano ha dichiarato che alcune aurore boreali saranno visibili anche nei prossimi giorni nei cieli del Canada e dell’Alaska.

Immagine della categoria G2 (Moderata) Tempesta Geomagnetica NOAA
 

Chiunque desideri recarsi negli Stati Uniti d’America, sia che si tratti di un viaggio a New York o un’altra destinazione negli USA, deve richiedere un visto o un ESTA USA. I viaggiatori italiani possono richiedere l’ESTA USA online. L’ESTA è più facile, veloce e economico da richiedere rispetto al visto USA e la richiesta può essere presentata comodamente da casa.

Supernovae Ottobre 2021 – Restiamo aggiornati …

0
Immagine della SN2021vaz in NGC1961 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.

ABSTRACT

Con l’inizio della nuova Rubrica Supernovae dall’anno 2012 abbiamo raccontato tutte le supernovae (compreso le Novae Extragalattiche) scoperte da astrofili italiani, oltre alle supernovae più importanti cioè quelle più luminose scoperte nelle più belle e fotogeniche galassie, come per esempio quelle del catalogo di Messier. Abbiamo inoltre stilato la Top Ten mondiale dei 10 maggiori scopritori amatoriali al mondo di supernovae ed uno ad uno li abbiamo intervistati tutti. Nel numero 249 di novembre 2020 abbiamo iniziato a raccontare anche le 10 supernovae scoperte da italiani nelle galassie Messier partendo dalla prima cioè la SN1957B scoperta dal professor Giuliano Romano nella galassia M84 ed in ordine cronologico analizzeremo tutte le altre. A causa della spietata concorrenza dei programmi professionali di ricerca supernovae, il numero delle scoperte amatoriali, comprese quelle italiane, è andato progressivamente a diminuire e pertanto dal gennaio di quest’anno la Rubrica Supernovae ha preso in esame tutte le scoperte amatoriali a livello mondiale. Abbiamo infine dato spazio anche ad un nuovo campo di ricerca, emerso in questi ultimi anni, rappresentato dalla spettroscopia amatoriale di supernovae che vede l’Italia leader assoluto grazie principalmente all’astrofilo bellunese Claudio Balcon.

UNA GARA ALL’ULTIMO RESPIRO

Continua l’entusiasmante testa a testa tra il giapponese Koichi Itagaki e il neozelandese Stuart Parker, che si contendono, a suon di scoperte, il terzo gradino della Top Ten mondiale amatoriale di scopritori di supernovae. Il 3 luglio Stuart Parker, con la scoperta della AT2021skl nella galassia a spirale barrata ESO 297-G16 (PGC6044), aveva riconquistato in solitario la terza posizione della Top Ten a quota 165 scoperte. Koichi Itagaki risponde però prontamente mettendo a segno la sua sesta scoperta del 2021 e raggiungendo a sua volta il neozelandese a quota 165 scoperte. Nella notte del 5 agosto individua infatti una debole stellina di mag.+17,5 nella galassia a spirale NGC1961 posta nella costellazione della Giraffa a circa 170 milioni di anni luce di distanza. La notte seguente la scoperta, dal Heleakala Observatory nelle Isole Hawaii, con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro, viene ripreso lo spettro di conferma. La SN2021vaz, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 15.000 km/s. Intorno al 12 di agosto la supernova dovrebbe aver raggiunto il suo massimo a mag.+16,5.

Immagine della SN2021vaz in NGC1961 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.

Koichi Itagaki nella sala controllo del suo osservatorio.

UN ITALIANO IN CLASSIFICA

Proseguiamo adesso con un’altra supernova amatoriale scoperta da astrofili cinesi, che interrompe l’egemonia nipponico-neozelandese e che ci riguarda molto da vicino. Nella notte dell’11 agosto Mi Zhang e Xing Gao del Xingming Observatory, che portano avanti il programma amatoriale di ricerca supernovae denominato XOSS, individuano la loro prima supernova del 2021. Per Xing Gao si tratta della scoperta numero 52 che gli permette di occupare la decima posizione nella Top Ten mondiale amatoriale (Coelum Astronomia 246). Il nuovo oggetto è stato individuato a mag.+17,3 nella galassia lenticolare NGC940 posta nella costellazione del Triangolo a circa 230 milioni di anni luce di distanza. Il primo a riprendere lo spettro di questa supernova, nella notte del 13 agosto, è stato il nostro Claudio Balcon, giunto alla sua classificazione n. 36 con ben 17 supernovae classificate per primo nel TNS in questo per lui stupendo 2021. Grazie allo spettro del bellunese, a questa supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2021vtl. Si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità, che si è verificato intorno al 21-22 agosto a mag.+15,5.

Immagine della SN2021vtl in NGC940 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 50 immagini da 15 secondi.

Xing Gao all’interno dell’Osservatorio Xingming.

NUOVE SCOPERTE

Concludiamo la rubrica con una interessante e luminosa supernova scoperta la notte del 23 agosto dal programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System, nella galassia a spirale NGC6500 posta nella costellazione di Ercole a circa 140 milioni di anni luce di distanza. NGC6500 è accompagnata in cielo dalla compagna NGC6501, situata alla medesima distanza, di forma circolare e classificata in alcuni cataloghi come lenticolare ed in altri come spirale. La supernova che al momento della scoperta brillava di mag.+16,9 è situata proprio a metà strada fra le due galassie, ma leggermente più vicina ad NGC6500 che pertanto ha ottenuto il titolo di galassia ospite, ma non è da escludere che possa appartenere alla vicina NGC6501. Nella notte del 25 agosto dall’osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii, con il UH88 Telescope da 2,2 metri è stato ripreso lo spettro di conferma. La SN2021wuf, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Nei giorni seguenti la luminosità della supernova è andata sempre più ad aumentare fino a raggiungere l’interessante mag.+14 intorno al 7 settembre. Abbiamo perciò la possibilità di riprendere una luminosa supernova situata nel bel mezzo di una fotogenica coppia di galassie, visibile già in prima serata.

Immagine della SN2021wuf in NGC6500 nei giorni del massimo di luminosità, vicina alla mag.+14, ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.

Luna di Ottobre – “International Observe the Moon Night”

0
Immagine delle Librazioni Regione Sudovest dal 01 - 04 al 26 -31 Ottobre

ABSTRACT

Come ogni anno dal 2010, tra Settembre e Ottobre “International Observe the Moon Night” viene a costituire una imperdibile occasione per ritrovarsi davanti ad un telescopio o un binocolo ad osservare il satellite della Terra: la Luna. Questo per la serata del 16 Ottobre 2021, si tratta di un evento pubblico sponsorizzato dalla “Missione Lunar Reconnaisance Orbiter“, dalla Divisione di esplorazione del Sistema Solare presso il “Goddard Space Center” della NASA, oltre ad altre organizzazioni impegnate ad incoraggiare l’osservazione e la comprensione di tutto quanto riguarda la nostra Luna. In Italia tale iniziativa viene promossa da INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica oltre che dall’UAI – Unione Astrofili Italiani, divenuta partner ufficiale di questo evento.

L’invito è rivolto praticamente a tutti gli appassionati a livello planetario, celebrando questo importante evento con la propria partecipazione come osservatori lunari, oppure impegnandosi nell’organizzazione della serata del 16 Ottobre. Nel caso specifico il nostro satellite si troverà in una delle migliori condizioni osservative in fase di 10,3 giorni e, dopo essere sorto alle ore 17:19, si renderà perfettamente visibile culminando in meridiano alle ore 22:31 ad un’altezza di +31° per poi andare a tramontare a notte inoltrata. Anche in questa fase lunare, tre giorni dopo il Primo Quarto, sarà possibile ammirare un’infinita quantità di dettagli e panorami mozzafiato, antichissime testimonianze della tumultuosa storia geologica del nostro satellite.

Ma “guardare la Luna” dovrà avere anche un significato ben oltre la semplice “osservazione al telescopio“. Infatti tra gli obiettivi dell'”International Observe the Moon Night” vi è anche quello di unire le persone di tutto il mondo nella consapevolezza in merito ai programmi della NASA riguardo l’esplorazione lunare e dello spazio in generale.

Fasi della Luna

A chiunque osservi il nostro satellite naturale, anche senza l’ausilio degli appositi strumenti ottici, non sarà certamente sfuggito un fenomeno dovuto alla differente collocazione che il nostro pianeta e la Luna acquisiscono rispetto al Sole durante i loro moti: sono le Fasi Lunari . Quando il nostro satellite viene a trovarsi in una posizione fra il Sole e la Terra rivolge verso il nostro pianeta il suo lato buio risultando quindi invisibile. In questa fase, detta appunto Luna Nuova, la nostra stella e la Luna sorgono e tramontano praticamente insieme. Quando invece siamo in presenza di un allineamento in cui il nostro pianeta viene a trovarsi tra il Sole ed il nostro satellite naturale siamo in Luna Piena. In questo caso l’emisfero lunare rivolto verso di noi ci appare completamente illuminato.

Quando la Luna è a metà del suo percorso e l’angolo formato da Sole – Terra – Luna risulta essere di 90° il nostro satellite ci consente di osservare metà del suo emisfero illuminato dalla luce del Sole: ci troviamo in questo caso al Primo o all’Ultimo Quarto. La Luna per compiere un giro completo di 360° intorno al nostro pianeta nel corso del mese siderale impiega 27 giorni – 7 ore – 43′ – 11″. Per mese sinodico (o lunare) si intende l’arco di tempo intercorso tra una LUNA NUOVA e l’altra, mediamente 29 giorni – 12 ore – 44′, durata variabile a causa delle irregolarità del moto lunare. La rotazione del nostro satellite intorno alla Terra ed il contestuale spostamento a causa del suo moto di rivoluzione intorno al Sole sono all’origine delle differenze tra mese siderale e mese sinodico.

Osservazioni  Luna di Ottobre

Alle ore 00:00 dei primi giorni di ottobre il nostro satellite si è trovato pochi gradi sotto l’orizzonte, mentre un’ora più tardi, alle 01:01, è sorto in età di 24 giorni, già pronto a farsi ammirare nella sua fase calante. In genere, basta attendere circa due ore per poi orientare il proprio telescopio sulle innumerevoli strutture situate lungo la linea del terminatore, tra cui le regioni del Sinus Iridum, Aristarchus Plateau, Kepler, Mare Humorum, fino alle rispettive cuspidi nord e sud, tenendo presente che in luna calante è possibile scandagliare in dettaglio, tra l’altro, anche l’enorme e scura distesa basaltica dell’Oceanus Procellarum.

Alle ore 13:05 del 6 Ottobre è stato possibile osservare la Luna Nuova con la rituale ripartenza di un nuovo ciclo lunare, e con la fase crescente che di sera in sera porterà progressivamente il nostro satellite nelle migliori condizioni osservative delle ore serali.

Luna Nuova: Siamo all’inizio del nuovo ciclo lunare col Sole e la Luna in congiunzione. In questo caso il lato della Luna rivolto verso la Terra ci appare completamente buio, mentre l’altro emisfero lunare è completamente illuminato. Luna fra Terra e Sole, sorge al mattino e tramonta la sera.

Mentre dal 13 Ottobre, la fase di Primo Quarto si avrà alle ore 05:25, ma con la Luna a -60° sotto all’orizzonte, mentre per osservare al telescopio questa spettacolare fase lunare sarà sufficiente attendere le ore 19:30 circa della medesima serata, con transito in meridiano alle ore 19:56 a +19°. Nel caso specifico avremo tutta la serata per scorrere col telescopio in lungo e in largo sulla superficie lunare, andando alla ricerca di una infinita quantità di strutture geologiche delle più svariate dimensioni, situate in prossimità del terminatore, oltre alle vaste e scure aree basaltiche dei mari Frigoris (lato est), Serenitatis, Tranquillitatis, Fecounditatis, Crisium, Nectaris, senza dimenticare che anche lungo l’estremo bordo lunare è possibile effettuare dettagliate osservazioni.

Primo QUARTO: Siamo al punto in cui la Luna è a 1/4 della sua orbita e dal nostro emisfero vediamo metà del disco lunare illuminato, precisamente quello a destra. Al contrario, nell’emisfero australe in questa fase la metà illuminata sarà quella di sinistra.

Pochi minuti dopo la mezzanotte il nostro satellite scenderà sotto l’orizzonte. Al culmine della fase crescente, alle ore 16:57 del 20 Ottobre si avrà il Plenilunio con la Luna a -17° sotto l’orizzonte ma pronta a sorgere alle ore 18:39 per mostrarsi in tutto il suo controverso splendore a partire dalle 19:30 circa fino all’alba del mattino seguente. Segnalo che il punto di massima librazione corrisponderà alla regione intorno al mare Humboldtianum, in prossimità del bordo nordest. Nel caso specifico la Luna sarà a 401300 km dalla Terra e con un diametro apparente di 29.78′.

Luna PIENA: In questo caso Sole e Luna vengono a trovarsi in opposizione. In determinate occasioni, in presenza di un corretto allineamento fra Luna Piena, Sole e Terra, la Luna entrerà nell’ombra del nostro pianeta ed avremo un’eclissi lunare. Terra fra Luna e Sole, sorge la sera e tramonta al mattino.

A metà strada del percorso discendente fra Plenilunio e Novilunio, alle ore 22:05 del 28 Ottobre il nostro satellite sarà in Ultimo Quarto a -13° sotto l’orizzonte ma pronto a sorgere qualche ora più tardi, alle ore 23:50, quando si renderà visibile per tutta la notte fino ad avvicinarsi al meridiano alle prime luci dell’alba. Nelle ultime notti del mese la Luna ritarderà sempre più il suo sorgere limitando la sua osservabilità alle più profonde ore della notte, in attesa del successivo Novilunio che vedremo nel prossimo mese di Novembre.

Ultimo Quarto: Giunta ormai a 3/4 della sua orbita alla Luna manca infatti proprio l’ultimo quarto per completare il suo moto di rivoluzione. Nel caso specifico vediamo illuminata la metà opposta del disco lunare rispetto al primo quarto, cioè il lato alla nostra sinistra, al contrario di quanto accade nell’emisfero australe dove la metà illuminata è quella a destra.

Le Falci lunari di Ottobre

Per chi segue le falci di Luna si inizia subito una bella falce di 26 giorni che è sorta alle ore 03:18 del 3 Ottobre fa le stelle del Leone. Tipica fase questa con la Luna letteralmente “tagliata in due”, in cui si nota la parte nord con la scura distesa basaltica del settore più occidentale di Procellarum in netto contrasto con la parte sud in cui vi è una netta prevalenza delle più chiare rocce anortositiche degli altipiani, ma con l’immancabile “isola nera” del cratere Grimaldi.

La notte successiva, il 4 Ottobre, alle ore 04:31 invece è sorta una più sottile falce di 27 giorni, ma con meno tempo a disposizione per eventuali osservazioni col telescopio. La notte del 5 Ottobre solitamente si ha la solita e immancabile “falce problematica” (età di 28.1 giorni) in quanto sorge intorno alle ore 05:47. In questo caso, al fine di operare in condizioni di sicurezza evitando di intercettare la luce solare, è opportuno effettuare eventuali foto con la Luna sulla linea dell’orizzonte. Passando ora alle falci in Luna Crescente, l’8 Ottobre è stato possibile osservare una falce (anche questa “problematica”) di 2,3 giorni, tramontata poi alle 20:04. In caso di eventuali riprese fotografiche, è stato importante operare in condizioni di sicurezza per non intercettare la luce del Sole.

La sera successiva, il 9 Ottobre, è stato visibile per circa un’ora una comoda e larga “falce” di 3,3 giorni, che alle 20:36 è scesa sotto l’orizzonte. Nel caso specifico si renderanno visibili l’area del mare Crisium e gran parte del mare Fecounditatis, oltre alle rispettive cuspidi nord e sud. Infatti, per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, è determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

Librazioni di Ottobre: (In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Sudovest:

– 01 Ottobre: Fase 24 giorni, sorge 01:01 – tramonta 17:01

– 02 Ottobre: Fase 25 giorni, sorge 02:07 – tramonta 17:34

– 03 Ottobre: Fase 26 giorni, sorge 03:18 – tramonta 18:02

– 04 Ottobre: Fase 27 giorni, sorge 04:31 – tramonta 18:26

Librazioni Regione Nordest-Est:

– 11 Ottobre: Fase 05.4 giorni, sorge 13:39 – tramonta 22:08

– 12 Ottobre: Fase 06.4 giorni, sorge 14:44 – tramonta 23:09

– 13 Ottobre: Fase 07.4 giorni, sorge 15:38 – tramonta ——

– 14 Ottobre: Fase 08 giorni, sorge 16:19 – tramonta 00:18

– 15 Ottobre: Fase 09 giorni, sorge 16:52 – tramonta 01:31

– 16 Ottobre: Fase 10 giorni, sorge 17:19 – tramonta 02:43

– 17 Ottobre: Fase 10.6 giorni, sorge 17:41 – tramonta 03:54

– 18 Ottobre: Fase 11.6 giorni, sorge 18:01 – tramonta 05:03

– 19 Ottobre: Fase 12.6 giorni, sorge 18:20 – tramonta 06:09

– 20 Ottobre: Fase 14.4 giorni, sorge 18:39 – tramonta 07:15

Librazioni Regione Sudovest:

– 26 Ottobre: Fase 19,5 giorni, sorge 21:51 – tramonta 13:30

– 27 Ottobre: Fase 20,4 giorni, sorge 22:47 – tramonta 14:18

– 28 Ottobre: Fase 21,4 giorni, sorge 23:50 – tramonta 14:59

– 29 Ottobre: Fase 22,4 giorni, sorge ——  – tramonta 15:43

– 30 Ottobre: Fase 23,5 giorni, sorge 00:57 – tramonta 16:02

– 31 Ottobre: Fase 24,5 giorni, sorge 02:08 – tramonta 16:27

Immagine delle Librazioni Regione Sudovest dal 01 - 04 al 26 -31 Ottobre

e delle Librazioni Regione Nord-Est dal 11 – 20 Ottobre

Il prossimo futuro di Coelum Astronomia

5

Cari amici, ci siamo!

Come sapete abbiamo sospeso la pubblicazione della rivista (ma non le attività su sito e social, anche se a marce ridotte) ormai qualche mese fa. Questa primavera ci siamo trovati infatti ad un punto in cui l’assetto che avevamo non poteva continuare a garantire la cura e la qualità d’informazione che Coelum Astronomia ha sempre offerto, e soprattutto quella sua crescita al passo coi tempi che abbiamo sempre cercato di garantire.

Abbiamo raccolto tutti i vostri preziosi suggerimenti ma anche i vostri appelli (a molti abbiamo risposto, ad altri non siamo proprio riusciti, perdonateci, ma li abbiamo letti tutti: un grande grazie!) perché Coelum tornasse a occupare il suo posto nella divulgazione di queste grandi passioni che ci accomunano: l’astronomia amatoriale, tra osservazione del cielo e astrofotografia, ma anche l’approfondimento professionale delle notizie e delle scoperte che riguardano il Cosmo e l’esplorazione dello Spazio.

Abbiamo quindi cercato nuove soluzioni e abbiamo trovato nuove forze fidate a cui passare il testimone sia per la redazione dei contenuti, sia per la gestione dell’intero e impegnativo processo che porta alla pubblicazione di una rivista (anche solo in formato digitale) di alta qualità alla quale Coelum Astronomia vi ha abituati.

Siamo quindi lieti di annunciare che la redazione verrà presa in mano dal team di Visione Futuro, un appassionato gruppo che ha già esperienza nella divulgazione e nella gestione di eventi legati all’astronomia, ma non solo… In particolare la presidente ha già lavorato in passato nella squadra di Coelum Astronomia, occupandosi sia di contenuti che del dietro le quinte della redazione, e può garantire quindi quella continuità che volevamo in primo luogo mantenere! E molte delle firme che siete abituati a leggere continuerete a leggerle anche in futuro.

Ci saranno certo dei cambiamenti, da subito ma anche più sostanziali nei prossimi mesi, che porteranno la rivista ad adattarsi allo spirito e al carattere della nuova squadra, come sempre accade nei passaggi di consegne, ma sappiamo per certo che non verranno a mancare le due caratteristiche più importanti di Coelum: la qualità e l’approfondimento. Auguriamo fin da subito buon lavoro alla nuova squadra!

Consegnamo quindi Coelum Astronomia nella mani di Visione Futuro e, dalla vecchia Redazione, non vogliamo dirvi addio, ma un arrivederci a presto, magari saltuariamente proprio tra le pagine del prossimo Coelum!

Buon lavoro e un caro saluto a tutti.
Cieli sereni!

Bagliori su Giove. Un nuovo impatto asteroidale?

0
Sorvolando Giove. E niente... solo una nuova straordinaria immagine dell'atmosfera gioviana elaborate da Kevin M. Gill. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill

Non è la prima volta, ma è sempre suggestivo osservare qualche evento improvviso in quello che, solo in apparenza, sembra essere un ambiente quieto in cui qualsiasi movimento appare lento e continuo.

Così, attorno alle 22:39 TU, della sera del 13 settembre (le 00:39 del 14 per noi italiani), è stato osservato un bagliore su Giove, della durata di pochissimi istanti, forse un paio di secondi (per quanto da Terra si possa vedere). Il bagliore potrebbe essere stato causato da un impatto di un asteroide nell’atmosfera del pianeta.

La prima segnalazione viene dal brasiliano José Luis Pereira, che da anni monitora il pianeta con il suo newtoniano da 275mm (f/5.3), proprio nella speranza di cogliere questo tipo di eventi. Dopo aver notato qualcosa in un suo video, nonostante le condizioni metereologiche non fossero delle migliori, ha ottenuto una conferma della presenza di un transiente grazie al software DeTeCt – un utile strumento open source a disposizione degli astrofili, ideato da Marc Delcroix per un progetto di ricerca di transienti di questo tipo nelle riprese video di Giove e Saturno.

In un secondo momento è arrivata anche voce della segnalazione di Harald Paleske, astrofilo tedesco che ha ripreso una sequenza di immagini con il suo telescopio da 41 cm.

Resta il dubbio che possa trattarsi di qualcosa di esterno, ma sovrapposto visualmente, all’atmosfera del pianeta (o addirittura interno all’atmosfera terrestre) ma, se confermato, si tratterebbe dell’ottavo impatto individuato da quando, nel 1994, venne osservata la sequenza di impatti della cometa Shoemaker-Levey 9. In quel caso l’impatto in realtà non fu direttamente visibile, essendo avvenuto nel lato in quel momento nascosto del volto di Giove, ma venne preannunciato dagli scopritori stessi e i frammenti che impattarono l’atmosfera di Giove la segnarono per diversi mesi, prima che le tracce venissero assorbite dalle nubi stesse.

Al momento quindi la comunità di astronomi amatoriali è impegnata non solo a visionare immagini e video di quei momenti per trovare traccia del bagliore, ma è anche invitata alla ricerca di segni lasciati dal presunto impatto, che potrebbero essere apparsi, o apparire in queste notti, per confermare la natura del bagliore.

Giove è infatti a meno di un mese dalla sua opposizione al Sole, e l’impatto è avvenuto nel momento di un passaggio della luna Io sul disco di Giove, che normalmente attira gli astrofotografi sempre pronti a riprendere questo tipo di eventi nel periodo di miglior osservabilità del pianeta. Tutti particolari che aumentano la probabilità di avere immagini proprio di quell’istante. State già cercando?!

Sorvolando Giove. E niente... solo una nuova straordinaria immagine dell'atmosfera gioviana elaborate da Kevin M. Gill. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill

Non è però facile indicare l’esatto punto in cui cercare. Poiché l’atmosfera gioviana non è, ovviamente, un corpo rigido, nella rotazione del pianeta (più del doppio di quella terrestre, il giorno gioviano dura circa 10 ore) le nubi vengono “trascinate” a velocità diverse in base alla latitudine. Le regioni equatoriali infatti ruotano più velocemente di quelle polari, tanto che per le longitudini gioviane si utilizzano ben tre diversi sistemi di coordinate: il primo (Sistema I) per punti all’interno di una fascia di 10° sopra e sotto l’equatore, il secondo per latitudini maggiori e il terzo basato sulla rotazione del pianeta e della sua magnetosfera. Generalmente però vengono indicate tutte e tre le longitudini.

Nel caso dell’impatto ripreso da Pereira le indicazioni sono per la latitudine –5,5° mentre per le longitudini, rispettivamente L1, L2 e L3: 105,7° nel Sistema I; 83,3° nel Sistema II; e 273,4° nel Sistema III. Per rintracciare il punto di impatto a giorni di distanza (il “segno” potrebbe rendersi visibile anche qualche giorno dopo) si dovrà valutare un margine di errore nella posizione.

Se un segno sarà presente non dovrebbe comunque essere difficile individuarlo, si tratta infatti di osservare uno spot scuro in una fascia fortunatamente di colore chiaro nei pressi dell’equatore del pianeta.

Leggi anche

Le notizie relative a precedenti impatti:


Il senso di Maura Tombelli per gli asteroidi

0

Maura Tombelli durante l'inaugurazione dell'Osservatorio Beppe Forti Mpc Code K83

Maura Tombelli ha lavorato per 33 anni alla Cassa di Risparmio di Firenze, ma la sua passione per il cielo l’ha portata a essere la scopritrice di asteroidi più prolifica in Italia e al primo posto al mondo tra le astronome donne amatoriali. Come ogni esploratrice che si rispetti, a lei l’onore di battezzare alcuni degli oggetti scoperti. Due tra gli ultimi sono quelli che portano il nome di Albino CarbognaniOberto Citterio, ricercatore Inaf il primo e chief science officer di Media Lario, nonché fra i massimi esperti a livello internazionale di tecnologie per l’astronomia, il secondo. Abbiamo chiesto a Tombelli qual è stato il motivo che l’ha spinta a sceglierli, ed è stata questa anche l’occasione per farci raccontare qualcosa di sé.

«Una sera stavo preparando il programma osservativo e volevo trovare alcuni asteroidi di amici, cercai quello di Albino e non lo trovai. Mi meravigliai che non lo avesse e lo chiamai al telefono per domandargli il numero del suo asteroide e, giustamente, lui mi rispose che non lo aveva… Subito gli annunciai che lo avrebbe avuto, perché l’indomani avrei proposto il suo nome per uno dei miei. Per Oberto Citterio, che ancora non ho conosciuto, il suo nome mi è stato suggerito da Giovanni Pareschi (dirigente di ricerca Inaf), che conobbi al Parco delle Madonie quando mi fu assegnato il premio Gal Hassin. Leggendo il curriculum di Oberto, mi convinsi che era un nome ben assegnato, e così mandai la proposta anche per lui».

Quanti asteroidi ha scoperto e quanti ne ha battezzati?

«Ho scoperto centinaia di asteroidi, molti li ho persi perché non seguiti e sono stati poi identificati da altri. Ho comunque al mio attivo la scoperta di 198 asteroidi che hanno il mio nome fra gli scopritori, molti altri sono in collaborazione con Cineos, scoperti con il telescopio di Campo Imperatore. Tutti i 198 sono stati assegnati e di quasi 150 sono già state approvate le nomination».

Come sceglie i nomi dei suoi asteroidi?

«Il primo asteroide fu dedicato a Giuseppe Forti e a seguire a tutti i personaggi che mi hanno dato la possibilità di crescere nello studio dell’astronomia: i miei figli, Sandro e Duccio, Piero Angela – che è diventato poi il padrino della costruzione dell’osservatorio qui nel mio paese di Montelupo Fiorentino – i luoghi a me cari e anche grandi nomi suggeriti da amici».

Osservatorio Beppe Forti (Montelupo Fiorentino). Crediti: gruppoastrofilimontelupo.it

Com’è nata la passione per l’astronomia?

«Il primo ricordo che ho di me che guardo il cielo risale alla primissima infanzia, complice mio padre. Il dieci agosto era il giorno delle lacrime di San Lorenzo ed era usanza nella nostra famiglia andare sul prato vicino a casa per cercare di vedere le stelle cadenti. Ricordo che ero affascinata da questo ma non riuscivo mai a vedere qualcosa. Dissi allora una cosa che fece ridere tutti: “quella stella tentenna, fra poco casca!”. Ignara del perché gli altri stessero ridendo, con i lucciconi agli occhi, promisi a me stessa che da grande avrei fatto di tutto per capire. Un altro evento simile successe nella primavera del 1957, quando mia madre, indicandomi il cielo per farmi vedere una cometa, mi disse che da grande me ne sarei ricordata. Ma non riuscivo a capire cosa dovevo vedere, e alla fine le dissi di averla vista. Il ricordo di quella cometa persa mi tornava spesso in mente. Nel 1988 incontrai per la prima volta l’astronomo Giuseppe Forti ad Arcetri e quando mi disse che si occupava di comete, mi feci coraggio e gli raccontai quell’episodio. Lui subito rispose: “la Arend-Roland!!!” – rimasi di stucco quando seppi che quella cometa era stata scoperta il giorno del mio compleanno, l’8 novembre 1956. La passione per l’astronomia forse è nel mio Dna».

E poi?

«Leggevo tutto quello che potevo trovare sull’astronomia, e finalmente a 37 anni ho potuto comprare il mio primo telescopio, un Celestron C8. Sentivo che volevo fare di più e la mia amica Antonella Bartolini mi spinse a prendere un appuntamento con Franco Pacini, il direttore dell’Osservatorio astronomico di Arcetri. Fu lui a portarmi nello studio di Beppe Forti, che mi introdusse nel mondo dell’astronomia, un mondo che credevo a me precluso. La fortuna ha voluto che incontrassi anche uno studente di astronomia, Andrea Boattini. Mi misi subito a disposizione di tutti e due e, facendo da manovale, piano piano ho imparato anch’io».

Come hanno reagito i colleghi bancari e la sua famiglia alle prime scoperte? È riuscita a trasmettere loro un po’ della sua passione?

«Durante le ore di lavoro cercavo di non parlare troppo di quello che facevo nel tempo libero. I miei colleghi erano curiosi di venire da me per osservare il cielo dal telescopio, ma non capivano la mia passione per quei puntini che si muovevano sullo sfondo delle stelle fisse. Ho avuto invece un grande aiuto dai miei figli, che erano già grandi e mi supportavano per la parte informatica e meccanica della strumentazione. Più volte mi hanno detto che a loro andava bene anche una mamma così diversa dalle altre. Sono riuscita a creare il Gruppo Astrofili Montelupo, grazie al quale abbiamo iniziato la costruzione di un osservatorio pubblico. Eravamo solo sette all’inizio, di cui quattro erano componenti della mia famiglia. Ora il gruppo è composto da 105 soci, molti dei quali sono giovani studenti di materie scientifiche. Mi piace dire che del nostro gruppo si sono laureati in astronomia sette giovani. Quindi sì, sono riuscita a trasmettere il mio entusiasmo e mi sento realizzata».

C’è un asteroide al quale è particolarmente affezionata?

«Oltre al primo scoperto, Mp6876 Beppeforti, c’è un asteroide a me molto caro: (14659) Gregoriana (o 1992 Of8, o 1999 Af24), scoperto a Montelupo il 15 gennaio 1999, in collaborazione con Forti. Il nome fu suggerito da un astronomo gesuita del Vaticano, Guy Consolmagno, in occasione dell’incontro della Meteoritical Society a Roma nel 2001. Questa nomination mi ha permesso di incontrare Papa Giovanni Paolo II».

LICENZA PER IL RIUTILIZZO DEL TESTO

Leggi anche

La “Signora degli asteroidi”. Intervista a Maura Tombelli su Coelum Astronomia 212


Supernovae Agosto 2021. Testa a testa tra Itagaki e Parker, nuovi record per Claudio Balcon e una curiosità.

0
Immagine di scoperta della AT2021skl in PGC6044 realizzata da Stuart Parker.

Nel mese di giugno Itagaki aveva ottenuto la sua quinta scoperta del 2021 raggiungendo Parker a quota 164 sul terzo gradino del podio della Top Ten mondiale amatoriale. Il neozelandese però risponde prontamente ottenendo la sua terza scoperta del 2021 e riprendendosi in solitario la terza posizione della Top Ten a quota 165 scoperte.

Immagine di scoperta della AT2021skl in PGC6044 realizzata da Stuart Parker.

Nella notte del 3 luglio, Stuart Parker individua infatti una stella nuova di mag. +16,7 nella galassia a spirale barrata ESO 297-G16 (PGC6044) posta nella costellazione meridionale della Fenice al confine con quella dello Scultore, a circa 270 milioni di anni luce di distanza. Nei giorni seguenti la scoperta, la luminosità del nuovo transiente era diminuita oltre la mag. +17, a dimostrazione che era stato individuato dopo il massimo di luminosità. Purtroppo nessun Osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma, pertanto al nuovo oggetto è stata per adesso assegnata la sigla provvisoria AT2021skl.

Immagine del telescopio Newton da 200mm F.5 di Claudio Balcon dentro la cupola del suo osservatorio privato con lo spettrografo auto-costruito e la camera CCD.

Sul lato italiano evidenziamo lo stupendo lavoro di spettroscopia portato avanti dal bellunese Claudio Balcon, che continua imperterrito a classificare per primo nel Transient Name Server (TNS) numerose supernovae.
Sono 13 le classificazioni nel 2021 per un totale di ben 32 supernovae, che gli permettono di consolidare il primato dell’astrofilo con più classificazioni al mondo. Non contento di tutto ciò, Claudio è riuscito a migliorare il record (da lui stesso detenuto) della supernova più lontana classificata da un astrofilo.

Nella notte del 3 luglio, con la classificazione della SN2021sfh, posta in una galassia anonima nella costellazione dell’Orsa Minore, ha infatti spostato l’asticella a 720 milioni di anni luce, demolendo il suo precedente record ottenuto il 7 maggio con la SN2021ljv a 630 milioni di anni luce di distanza. La SN2021sfh aveva raggiunto il massimo di luminosità a mag.+17,7 mentre Claudio ha ripreso lo spettro circa una settimana prima massimo quando era di mag. +18,0.

Immagine della SN2021sfh con la galassia anonima quasi invisibile, il relativo spettro e il confronto dello spettro con il programma GELATO realizzate da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 200mm F.5

Questa classificazione ha davvero dell’incredibile se si pensa che è stata ottenuta con un semplice telescopio Newton da 200mm F.5 e uno spettrografo auto-costruito. Un caso più unico che raro, reso possibile da tutta una serie di fattori positivi: il tipo di supernova (tipo Ia le più luminose), le condizioni meteo favorevoli, la mancanza della Luna e il target alto sull’orizzonte. Tutto questo ha permesso a Claudio di ottenere lo spettro da record con solo due pose da 30 minuti.

Analizziamo adesso una luminosissima supernova, ad oggi la supernova più luminosa del 2021.

È stata individuata nella notte del 1° luglio dal programma professionale americano di ricerca supernova denominato Zwicky Transient Facility (ZTF), nella galassia a spirale NGC7814 posta nella costellazione di Pegaso a circa 47 milioni di anni luce di distanza. Questa galassia è vista di taglio e assomiglia alla famosa galassia Sombrero M104, tanto da essere indicata a volte come “la piccola sombrero”.

Immagine della SN2021rhu in NGC7814 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 15 immagini da 15 secondi.

Il nuovo oggetto è apparso subito molto luminoso a mag. +15,7 ma situato molto vicino al nucleo, che in questa galassia è diviso in due da una scura striscia di polveri. Per la precisione la supernova è posta nella parte nordest del nucleo. Appena 13 ore dopo la scoperta, con il telescopio da 2,5 metri del Caucasus Mountain Observatory in Russia, è stato ottenuto lo spettro di conferma. La SN2021rhu, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 16.000 km/s. Il massimo di luminosità è stato infatti raggiunto intorno al 16 luglio con la supernova che ha raggiunto la notevole mag.+12,1.

Chiudiamo la rubrica con una curiosità.

Nella notte del 11 luglio, il team dell’Osservatorio di Montarrenti (SI) individua un nuovo oggetto di mag. +16,3 nei pressi della galassia a spirale barrata IC1339 posta nella costellazione del Capricorno. L’oggetto era ben visibile in due distinte immagini e pertanto viene inserito nel TNS il report di scoperta, naturalmente dopo aver controllato che non erano presenti supernovae già scoperte in questa galassia, né pianetini in transito e nemmeno stelle variabili conosciute.

Immagine del satellite di Saturno Phoebe in transito vicino alla galassia IC1339 ripresa dal team dell’Osservatorio di Montarrenti con un telescopio Ritchey-Chretién da 530mm F.8,7

La notte seguente la galassia viene ripresa nuovamente, ma con grande disappunto il nuovo oggetto non era presente. Vengono intensificati i controlli e arriva così l’inattesa sorpresa. Il pianeta Saturno si trovava a soli 20’ dalla galassia e l’oggetto in questione non era altro che il suo satellite Phoebe, transitato vicino alla galassia nel momento della ripresa.

Spesso i numerosi pianetini transitano sopra o vicino alle galassie riprese nel programma di ricerca supernova, ma sinceramente crediamo che questa sia la prima volta che a trarre in inganno sia stato un satellite di un pianeta del nostro sistema solare. Un evento molto raro e sicuramente degno di nota.


Secondo incontro con Venere per Solar Orbiter

0
Rappresentazione artistica di Solar Orbiter in avvicinamento verso Venere per il secondo flyby. Crediti: Esa/Atg medialab

Mancano pochi giorni al secondo incontro tra Solar OrbiterVenere. Dopo aver rilasciato le prime immagini ravvicinate del Sole e in seguito al primo rendez-vous attorno al pianeta avvenuto a dicembre dello scorso anno, la sonda – frutto di una partnership tra Agenzia spaziale europea (Esa) e Nasa – sorvolerà nuovamente Venere il prossimo 9 agosto per poi proseguire il viaggio di avvicinamento al Sole.

Rappresentazione artistica di Solar Orbiter in avvicinamento verso Venere per il secondo flyby. Crediti: Esa/Atg medialab

Lanciata il 10 febbraio 2020, Solar Orbiter viaggia con una suite di dieci strumenti di cui tre realizzati con il contributo italiano: Metis, lo strumento coronografico ottimizzato per l’osservazione della regione più esterna dell’atmosfera solare, la corona solare, è finanziato e gestito dall’Agenzia spaziale italiana e ideato e realizzato e operato da un team scientifico composto dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), dalle università di Firenze e di Padova e dal Cnr-Ifn, con la collaborazione del consorzio industriale italiano, formato da Ohb Italia, Thales Alenia Space e Altec, dell’istituto Mps di Gottinga (Germania) e dell’Accademia delle Scienze di Praga.

Solar Orbiter volerà vicino al pianeta fino a raggiungere una distanza di 7995 chilometri. I flyby rappresentano tappe cruciali che permettono alla sonda di aggiustare la sua orbita per ottenere una migliore visione dei poli solari nel suo prossimo incontro con la nostra stella. Durante la fase di crociera Metis ha effettuato osservazioni ad alta risoluzione della corona solare nella banda spettrale del visibile e dell’ultravioletto (Uv). È la prima volta che uno strumento di questo tipo acquisisce simultaneamente immagini della corona solare estesa in queste due bande, consentendo di effettuare una mappatura della velocità della materia coronale, utile agli scienziati per studiare i meccanismi di accelerazione del vento solare.

Lo speciale dedicato alla sonda e alla nuova fisica solare, pubblicato in occasione del lancio della Solar Orbiter. Clicca e leggi!

Le immagini di Metis costituiscono anche un naturale rivelatore di particelle energetiche di origine galattica e solare. Per la prima volta un coronografo è stato anche utilizzato come monitor dell’attività solare attraverso la misura delle variazioni a lungo termine del flusso di protoni nei raggi cosmici. Questi importanti risultati sono ora pubblicati su un numero speciale della rivista Astronomy & Astrophysics dedicata a Solar Orbiter.

Co-autore delle pubblicazioni anche Marco Stangalini, Asi project scientist dello strumento Metis. «I primissimi risultati ottenuti da Metis dimostrano le grandi capacità diagnostiche dello strumento che, ottenendo una mappatura ad alta risoluzione della velocità di espansione del gas coronale su un campo di vista così ampio, apre nuove opportunità per lo studio dei meccanismi fisici attraverso i quali il Sole governa l’eliosfera. Tali risultati sono stati conseguiti grazie all’intenso lavoro svolto dal team scientifico nella messa a punto dello strumento durante la fase di commissioning. Lavoro che è stato reso ancora più difficile dalla situazione pandemica degli ultimi mesi».

«Il primo dei due articoli scientifici ottenuti con i dati del coronografo Metis a bordo della missione Solar Orbiter, “First light observations of the solar wind in the outer corona with the Metis coronagraph”», dice Marco Romoli, il principal investigator di Metis e prima firma dello studio, «analizza le immagini della corona solare estesa ottenute per la prima volta simultaneamente nella luce visibile polarizzata e nell’ultravioletto dal coronografo Metis il 15 maggio 2020. Grazie a queste osservazioni è stato possibile identificare le regioni della corona solare dove ha origine il vento solare cosiddetto “lento”, cioè con velocità misurate in prossimità della Terra comprese tra i ~300-400 km/s. Il secondo articolo, “Cosmic-ray flux predictions and observations for and with Metis on board Solar Orbiter”, presenta uno studio delle tracce dei raggi cosmici di origine galattica rivelate nelle prime immagini in luce visibile (580-640 nm) ottenute da Metis durante la fase di commissioning della missione Solar Orbiter».

«Alla fine di quest’anno Solar Orbiter completerà la sua fase di crociera e di messa a punto (commissioning) degli strumenti a bordo. All’inizio del 2022, la missione entrerà nella fase nominale vera e propria di osservazioni scientifiche. «È veramente straordinario che, ancora durante la fase di commissioning, Metis abbia già ottenuto dei risultati scientifici originali», osserva Silvano Fineschi, responsabile scientifico Inaf per Solar Orbiter e co-autore degli articoli di Metis. «Lo strumento Metis è il primo telescopio nel suo genere, e ancor prima di essere completamente messo a punto, sta già dimostrando le sue capacità di ottenere nuove informazioni sulla velocità del vento solare».

L’Italia inoltre ha contribuito alla sonda con la fornitura del software di Stix (Spectrometer/Telescope for Imaging X-rays), rilevatore di raggi X, e della Dpu (Data Processing Unit) di Swa (Solar Wind Analyser), che durante la fase di crociera ha fornito misure utili alla caratterizzazione del vento solare intorno alla sonda. I suoi risultati sono anch’essi pubblicati su riviste internazionali. I dati acquisiti finora dalla missione consentiranno agli scienziati di ottenere informazioni sul comportamento del Sole anche in relazione ai cambiamenti climatici che stanno avvenendo sul nostro pianeta.

A fine 2021, dopo un sorvolo ravvicinato a soli 460 km dal nostro pianeta, previsto il 27 novembre, la sonda avvierà la fase scientifica avvicinandosi gradualmente al Sole e arrivando più vicino del pianeta Mercurio a inizio 2022. Con il procedere della fase scientifica, il team della missione continuerà a effettuare flyby di Venere per inclinare gradualmente la sua orbita per ottenere per la prima volta immagini dei poli solari, il cui studio aiuterà gli scienziati a comprendere meglio il comportamento del campo magnetico solare su grande scala e i cicli di attività del Sole.

Ci sarà grande traffico intorno a Venere a inizio agosto. Dopo solo 33 ore dal passaggio ravvicinato di Solar Orbiter, per il pianeta è previsto anche “l’avvicinamento”, il 10 agosto, della sonda Bepi Colombo, frutto della collaborazione tra l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa) realizzata anche con il forte contributo dell’Italia. Il doppio flyby offrirà un’opportunità senza precedenti per studiare l’ambiente del pianeta Venere.

Guarda il video dell’Esa:


Un grande balzo per Blue Origin

1
Nell'immagine la felicità di Wally Funk dopo l'atterraggio e l'abbraccio di Jeff Bezos ai familiari. Crediti: Blue Origin

Nell'immagine la felicità di Wally Funk dopo l'atterraggio e l'abbraccio di Jeff Bezos ai familiari. Crediti: Blue Origin

Oggi Blue Origin ha completato con successo il primo volo abitato del veicolo spaziale New Shepard con quattro privati cittadini a bordo.

Nella foto i quattro passeggeri di New Shepard nelle tute di volo: da sinistra Mark Bezos, Jeff Bezos, Oliver Daemen e Wally Funk. Crediti: Blue Origin

L’equipaggio comprendeva Jeff BezosMark BezosWally FunkOliver Daemen, che sono diventati tutti ufficialmente astronauti quando hanno superato la linea di Kármán, il confine dello spazio riconosciuto a livello internazionale posto a 100 km di quota. All’atterraggio, gli astronauti sono stati accolti dalle loro famiglie e dal team operativo di terra di Blue Origin per una celebrazione nel deserto del Texas occidentale.

Il New Shepard è decollato dal sito di lancio uno di Blue Origin, nel Texas occidentale, alle 9:12 a.m. EDT (le 15:12 italiane) per la missione NS-16. L’unico motore a razzo, il BE-3, alimentato a ossigeno e idrogeno liquidi, ha spinto il razzo verso il cielo terso del Texas. La capsula dell’equipaggio, chiamata RSS First Step, si è separata dal suo booster (numero di matricola 4, al suo terzo volo) dopo lo spegnimento del motore e ha raggiunto un’altitudine massima di 107 chilometri prima di scendere sotto i paracadute per un atterraggio 10 minuti e 10 secondi dopo il decollo. A bordo della capsula, dallo spegnimento del motore del razzo, i quattro passeggeri hanno potuto sperimentare l’assenza di peso per circa tre minuti, prima che la forza di gravità richiamasse il veicolo verso Terra. Il booster ha effettuato un atterraggio propulso quasi sette minuti e mezzo dopo il decollo, sull’apposita piazzola circolare posta a circa un km dalla rampa di lancio.

Nella foto i quattro passeggeri di New Shepard si divertono durante l'esperienza a Zero-G nel corso del volo. Crediti: Blue Origin

Questo volo suborbitale ha fissato diversi record:

Coronare un sogno rubato a 60 anni di distanza. Nell'immagine la pilota Wally Funk negli anni '50. Il viaggio di Wally verso lo spazio era iniziato negli anni '60, quando era la più giovane laureata del programma Woman in Space, un progetto finanziato da privati per testare se le donne pilota possedessero i requisiti fisici per fare gli astronauti. Più tardi sarà noto come "Mercury 13". Continua la lettura su aliveuniverse.today cliccando sull'immagine!

Wally Funk, 82 anni, è diventata la persona più anziana a volare nello spazio superando John Glenn che ne aveva 77 quando volo nello spazio per la seconda volta a bordo dello Shuttle STS-65 nel 1998.

Oliver Daemen, 18 anni, è stato il primo astronauta commerciale ad acquistare un biglietto e volare nello spazio su un veicolo spaziale finanziato da privati e autorizzato da un sito di lancio privato. Oliver diventa anche la persona più giovane ad aver volato nello spazio battendo il russo Gherman Titov, che nel 1961 raggiunse lo Spazio un mese prima di compiere 26 anni.

Il New Shepard è diventato il primo veicolo commerciale con una licenza di veicolo di lancio riutilizzabile suborbitale per far volare i clienti paganti, sia carichi utili che astronauti, nello spazio e ritorno.

Nell'immagine il booster atterrato sulle zue zampe e la capsula con i paracadute. Crediti: Blue Origin

Jeff e Mark Bezos sono diventati i primi fratelli a volare insieme nello spazio.

Nell'immagine il New Shepard nelle prime fasi del lancio. Crediti: Blue Origin

«Oggi è stata una giornata monumentale per Blue Origin e il volo spaziale umano», ha affermato Bob Smith, CEO, Blue Origin. «Sono così incredibilmente orgoglioso del Team Blue, della loro professionalità e competenza nell’eseguire il volo di oggi. Questo è stato un grande passo avanti per noi ed è solo l’inizio».

Blue Origin prevede di effettuare altri due voli con equipaggio quest’anno, con molti più voli con equipaggio previsti per il 2022. La capsula del New Shepard può ospitare fino a sei passeggeri ma, per questo volo inaugurale, ne sono volati solo quattro. Il razzo ha raggiunto una velocità di 3 volte quella del suono. Il volo del New Shepard precedente, senza persone a bordo come tutti i precedenti, era avvenuto lo scorso 14 aprile, il NS-15.

La scorsa settimana, la Virgin Galactic aveva eseguito un volo suborbitale con il proprio spazioplano SpaceShipTwo con un equipaggio di due piloti e quattro passeggeri, dipendenti della compagnia fra i quali il fondatore Richard Branson. In quell’occasione la quota toccata era stata inferiore, ma sufficiente, per i regolamenti USA a dichiarare i passeggeri ‘astronauti’.

Rivediamo il video del primo volo con passeggeri a bordo della Blue Origin

Leggi anche:

Mercury 13… la recensione di Luigi Morielli


Fuochi d’artificio galattici

0
Dall'alto, e da sinistra, cinque spettacolari immagini di galassie del nostro "vicinato": NGC 1300, NGC 1087, NGC 3627, NGC 4254 e NGC 4303. Ogni immagine è stata ottenuta combinando riprese a diverse lunghezze d'onda, i bagliori dorati corrispondono per lo più a nubi di idrogeno ionizzato, ossigeno e zolfo, segnalando la presenza di giovani stelle appena nate, mentre le regioni più azzurre rivelano la distribuzione delle stelle un po' meno giovani. Crediti: ESO/PHANGS

Dall'alto, e da sinistra, cinque spettacolari immagini di galassie del nostro "vicinato": NGC 1300, NGC 1087, NGC 3627, NGC 4254 e NGC 4303. Ogni immagine è stata ottenuta combinando riprese a diverse lunghezze d'onda, i bagliori dorati corrispondono per lo più a nubi di idrogeno ionizzato, ossigeno e zolfo, segnalando la presenza di giovani stelle appena nate, mentre le regioni più azzurre rivelano la distribuzione delle stelle un po' meno giovani. Crediti: ESO/PHANGS

Gli astronomi sanno che le stelle nascono all’interno di nubi di gas, ma cosa dia il via alla formazione stellare, e quale ruolo giochino le galassie nel loro insieme, rimane un mistero. Per comprendere questo processo, un’equipe di ricercatori ha osservato varie galassie vicine con potenti telescopi da terra e nello spazio, scansionando le diverse regioni galattiche coinvolte nella nascita delle stelle.

«Per la prima volta riusciamo a risolvere le singole unità di formazione stellare su un ampio intervallo di posizioni e ambienti con un campione di galassie che ne rappresenta bene la varietà», afferma Eric Emsellem, astronomo dell’ESO in Germania e a capo delle osservazione effettuate con il  VLT, condotte nell’ambito del progetto Physics at High Angular resolution in Nearby GalaxieS (PHANGS). «Possiamo osservare direttamente il gas che dà vita alle stelle, vediamo le stesse giovani stelle e assistiamo alla loro evoluzione attraverso varie fasi».

Emsellem, che è anche affiliato con l’Università di Lione, in Francia, e il suo gruppo hanno ora pubblicato l’ultima serie di scansioni galattiche, scattate con lo strumento Multi-Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) installato sul VLT dell’ESO, nel deserto di Atacama in Cile. Hanno usato MUSE per tracciare le stelle neonate e il gas caldo intorno a loro, illuminato e riscaldato dalle stelle stelle, che funge da cartina al tornasole della formazione stellare in corso.

Le nuove immagini di MUSE vengono ora combinate con le osservazioni delle stesse galassie prese con ALMA e pubblicate all’inizio di quest’anno. ALMA, che pure si trova in Cile, è particolarmente adatto per mappare le nubi di gas freddo, cioè le zone della galassia che forniscono la materia prima da cui si formano le stelle.

In alto due versioni di NGC 1330, a sinistra ripresa solo dallo strumento MUSE del VLT dell’ESO, a destra combinata con le osservazioni di ALMA (di cui ESO è partner). Le osservazioni di ALMA sono rappresentate in toni arancio beige, ed evidenziano le nubi di freddo gas molecolare che fornisce materiale grezzo per la formazione stellare. I dati di MUSE sono per lo più in oro e blu, come indicato nell’immagine di apertura.

Combinando le immagini di MUSE e ALMA gli astronomi possono esaminare le regioni galattiche in cui sta avvenendo la formazione stellare, e confrontarle con quelle in cui si prevede che ciò avvenga, in modo da capire meglio cosa innesca, potenzia o frena la nascita di nuove stelle. Le immagini risultanti sono sbalorditive e offrono una visione vivace e spettacolare delle incubatrici stellari nelle galassie vicine a noi.
«Sono molti i misteri che vorremmo svelare», afferma Kathryn Kreckel dell’Università di Heidelberg in Germania e membro del gruppo PHANGS. «Le stelle nascono più spesso in regioni specifiche delle loro galassie ospiti – e, se sì, perché? E dopo la nascita delle stelle in che modo la loro evoluzione influenza la formazione di nuove generazioni di stelle?».

NGC 4303 vista da MUSE integrando anche i dati di ALMA, che contribuisce con la rilevazione delle nubi di gas più fredde (in colori arancio/marrone). Crediti: ESO/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/PHANGS
Gli astronomi saranno ora in grado di rispondere a queste domande grazie alla ricchezza dei dati ottenuti con MUSE e ALMA dall’equipe di PHANGS. MUSE raccoglie gli spettri – i “codici a barre” che gli astronomi scansionano per svelare le proprietà e la natura degli oggetti cosmici – in ogni singola posizione all’interno del suo campo di vista, fornendo così informazioni molto più ricche rispetto agli strumenti tradizionali. Per il progetto PHANGS, MUSE ha osservato 30.000 nebulose di gas caldo e ha raccolto circa 15 milioni di spettri di diverse regioni galattiche. Le osservazioni di ALMA, d’altra parte, hanno permesso agli astronomi di mappare circa 100.000 regioni di gas freddo in 90 galassie vicine, producendo un atlante di incubatrici stellari nell’Universo vicino con una risoluzione senza precedenti.

Oltre ad ALMA e MUSE, il progetto PHANGS include anche osservazioni del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. I vari Osservatori sono stati selezionati per consentire all’equipe di scansionare i nostri vicini galattici a diverse lunghezze d’onda (visibile, vicino infrarosso e radio), di modo che ciascuna banda di lunghezze d’onda riveli parti distinte delle galassie osservate. «La loro combinazione ci consente di sondare le varie fasi della nascita stellare – dalla formazione delle incubatrici stellari all’inizio della formazione stellare stessa e alla distruzione finale dei vivai da parte delle stelle appena nate – in modo più dettagliato di quanto sia possibile con osservazioni individuali», aggiunge Francesco Belfiore, dell’INAF-Arcetri di Firenze, Italia, e membro dell’equipe PHANGS. «PHANGS rappresenta la prima volta in cui siamo stati in grado di mettere insieme una veduta così completa, scattando immagini sufficientemente nitide da vedere le singole nubi di gas, stelle e nebulose che contribuiscono alla formazione stellare».

Il lavoro svolto dal progetto PHANGS sarà ulteriormente affinato dai prossimi telescopi e strumenti, come il James Webb Space Telescope della NASA. I dati ottenuti in questo modo getteranno ulteriori basi per le osservazioni con il futuro Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO, che entrerà in funzione verso la fine di questo decennio e consentirà uno sguardo ancora più dettagliato sulle strutture dei vivai stellari.

«Per quanto sorprendente sia PHANGS, la risoluzione delle mappe che produciamo è appena sufficiente per identificare e separare le singole nubi di formazione stellare, ma non abbastanza per vedere in dettaglio cosa sta succedendo al loro interno», ha sottolineato Eva Schinnerer, a capo di un gruppo di ricerca presso il Max Planck Institute for Astronomy in Germania e investigatore principale del progetto PHANGS, nell’ambito del quale sono state condotte le nuove osservazioni. «Nuovi sforzi osservativi da parte del nostro e di altri gruppi stanno spingendo il confine in questa direzione: abbiamo decenni di scoperte entusiasmanti davanti a noi».

Magnifico panorama di un tramonto sopra i telescopi ESO, parte del Very Large Telescope (VLT) presso Cerro Paranal, che segnano l'inizio della frenetica attivita' degli astronomi che osservono il cielo notturno. Crediti: ESO/Y. Beletsky

Ulteriori Informazioni

Potete vedere un esempio delle immagini PHANGS nell’archivio pubblico dell’ESO.


La goccia che fa traboccare la supernova

0
Rappresentazione artistica del sistema Hd265435 come apparirà fra circa 30 milioni di anni, con la nana bianca più piccola che distorce la nana bianca calda in una distinta forma a “goccia”. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

Rappresentazione artistica del sistema Hd265435 come apparirà fra circa 30 milioni di anni, con la nana bianca più piccola che distorce la nana bianca calda in una distinta forma a “goccia”. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

Quando si dice “la goccia che fa traboccare il vaso”. È proprio così che possiamo immaginare il processo mediante cui una nana bianca attira massa da una stella compagna e, superato un limite preciso – la massa di Chandrasekar, pari a 1.4 volte la massa del Sole – esplode come supernova. Ed è proprio grazie alle sembianze di una goccia assunte dalla malcapitata compagna di una nana bianca a 1500 anni luce dalla Terra che gli astronomi hanno capito di essere testimoni di un simile spettacolo. I risultati sono pubblicati su Nature Astronomy.

Volendo essere un po’ più precisi, la tragica forma della stella osservata nel sistema Hd 265435 è tipica della distorsione gravitazionale causata dalla massiccia nana bianca vicina. In gergo, gli astronomi dicono che un sistema simile è il progenitore di una supernova di tipo Ia, una classe di oggetti stellari che, come vedremo, è importante anche in cosmologia. In particolare, il sistema osservato è uno dei pochissimi finora scoperti, e in assoluto il più vicino a noi. Quanto impiegherà la goccia a far traboccare il vaso? Non meno di 70 milioni di anni, secondo i ricercatori, e l’esplosione sarà preannunciata dalla produzione di onde gravitazionali nelle ultime fasi della fusione.

Ci sono due possibili canali attraverso cui un sistema di due stelle, la più massiccia delle quali è una nana bianca, raggiunge la massa critica. Il primo, chiamato “degenerazione doppia”, prevede che la compagna della nana bianca sia un’altra stella compatta, e il meccanismo di detonazione è innescato dalla fusione dei due oggetti. Nel caso di “degenerazione singola” invece, la nana bianca accresce massa da una stella compagna fino al limite di innesco dell’esplosione termonucleare, che investe poi entrambe le stelle. Gli astronomi continuano a cercare questi sistemi per comprendere meglio come, dai progenitori si arrivi all’esplosione della supernova e alla sua caratteristica curva di luce.

Hd 265435 è un sistema formato da una stella subnana calda e una nana bianca che orbitano l’una intorno all’altra ogni 100 minuti circa. La massa totale del sistema calcolata dai ricercatori è 1.65 volte la massa del Sole, superiore al limite di stabilità di Chandrasekar. Significa che, non appena la nana bianca avrà inghiottito sufficiente massa dalla compagna, non potrà fuggire al suo destino esplosivo.

«Non sappiamo esattamente come queste supernove esplodano, ma sappiamo che deve accadere perché lo vediamo accadere altrove nell’universo», spiega Ingrid Pelisoli, ricercatrice del Dipartimento di Fisica dell’Università di Warwick e prima autrice dello studio. «Può accadere perché la nana bianca accresce abbastanza massa dalla subnana calda, e quindi mentre le due orbitano l’una intorno all’altra e si avvicinano, la materia comincia a sfuggire alla stella più piccola e cade sulla nana bianca. Oppure, poiché il sistema perde energia sotto forma di onde gravitazionali, le due finiranno per fondersi. E non appena la nana bianca guadagnerà abbastanza massa – dal primo o dal secondo metodo – esploderà in supernova».

Il team ha osservato la subnana calda utilizzando il Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess) della Nasa, mentre la nana bianca non risulta visibile perché molto meno luminosa. Tuttavia, a causa della distorsione gravitazionale generata da quest’ultima, la luminosità della subnana varia nel tempo. Combinando i dati di Tess con le misure di velocità radiale e orbitale ottenute dall’Osservatorio di Monte Palomar e dall’Osservatorio W.M. Keck, gli astronomi hanno potuto calcolare che la nana bianca nascosta è pesante circa quanto il Sole, ma appena più piccola del raggio della Terra, mentre la subnana pesa poco più di 0.6 volte la massa del Sole. Dato che le due stelle sono già abbastanza vicine da iniziare a spiraleggiare insieme, la nana bianca diventerà inevitabilmente una supernova tra circa 70 milioni di anni. I modelli teorici prodotti appositamente per questo studio, inoltre, prevedono che la subnana calda si contrarrà fino a diventare anch’essa una nana bianca prima di fondersi con la sua compagna.

L’importanza delle supernove e dei loro progenitori non si ferma alla comprensione dell’evoluzione stellare. Le supernove di tipo Ia sono importanti anche in cosmologia come “candele standard”: la loro luminosità è costante in una specifica posizione della curva di luce, ed è quindi possibile confrontare questa luminosità “intrinseca” con quella che osserviamo sulla Terra, affievolita dalla distanza, e risalire così in modo preciso alla loro distanza. Osservando le supernove in galassie lontane, poi, e combinando la loro distanza con la velocità con cui si allontana la galassia per effetto dell’espansione dell’universo, i cosmologi riescono anche a calcolare come vari il tasso di espansione stesso al variare delle epoche cosmiche.

«Più capiamo come funzionano le supernove, meglio possiamo calibrare le nostre candele standard», continua Pelisoli. «Questo è molto importante al momento perché c’è una discrepanza tra ciò che otteniamo da questo tipo di candele standard e ciò che otteniamo attraverso altri metodi. Più cose capiamo su come si formano le supernove, meglio possiamo capire se questa discrepanza che stiamo vedendo è dovuta a una nuova fisica di cui non siamo consapevoli e di cui non teniamo conto, o più semplicemente stiamo sottovalutando le incertezze nelle misure di distanza».

C’è un’altra discrepanza, infine, tra il tasso di supernove galattiche stimato e osservato, e il numero di progenitori che vediamo. La stima teorica del numero di supernove che dovrebbe esplodere nella Via Lattea proviene dall’osservazione di molte galassie, o dai modelli di evoluzione stellare, e il confronto fra i due numeri è coerente. Osservativamente però, gli oggetti che possono diventare supernove non sono sufficienti.

«Questa scoperta è stata molto utile per fare una stima di come possano contribuire binarie formate da una subnana calda e da una nana bianca», conclude Pelisoli. «Però non sembra ancora un contributo significativo, nessuno dei canali che abbiamo osservato sembra essere sufficiente».

Per saperne di più:

Leggi anche:

Supernovae, aggiornamento luglio 2021 di Fabio Briganti e Riccardo Mancini


Osserviamo il Mare Tranquillitatis – parte 2

0
Panoramica dell'area del mare Tranquillitatis presa in considerazione questo mese

La Luna il 14 luglio sera.

Leggi la prima parte

In Luna crescente, per quanto riguarda il mese di luglio, vengono indicate le serate del 14 e del 15 con la Luna in fase di 4,8 e 5,8 giorni rispettivamente, visibile dalle ore 22:00 circa fino al suo tramonto previsto intorno alla mezzanotte. Per il mese di agosto invece le serate del 13 e del 14 con la Luna in fase di 5,2 e 6,2 giorni rispettivamente, visibile dalle ore 21:00 circa fino alle 23/23:30 quando scenderà sotto l’orizzonte.

Come utile e interessante alternativa, si consiglia inoltre di effettuare osservazioni della medesima regione lunare anche in Luna calante, precisamente nelle tarde serate del 27 e 28 luglio (sorge 23/23:30) e del 25 e 26 agosto (sorge 21:52/22:12 rispettivamente).

Come sempre i suggerimenti che seguono valgono ogni volta che la Luna si trova in condizioni simili di illuminazione.
Per individuare il mare Tranquillitatis basterà orientare il telescopio sulla scura e vasta area basaltica situata fa i mari Serenitatis a nordovest, Fecounditatis a sudest e Crisium a est.

Panoramica dell'area del mare Tranquillitatis presa in considerazione questo mese

Rima, rupes e domi del cratere Cauchy

Dopo le strutture visitate nei precedenti numeri, puntiamo ora il telescopio sull’angolo sudest di questo grande bacino lunare da impatto focalizzando l’attenzione su Cauchy, un interessante e brillante cratere di 14 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Copernicano collocato a non oltre 1 miliardo di anni fa.

Il nome a questo cratere venne assegnato da Neison nel 1876 e dedicato al matematico francese Augustin Louis Cauchy (1789-1857).

La cerchia delle sue pareti, alta 2600 mt, presenta un discreto stato di conservazione mentre nella platea non vi si individuano dettagli degni di nota.

Nell’area esterna, per quanto riguarda i crateri, segnalo Cauchy-D e Cauchy-W a est di 9 e 4 km di diametro rispettivamente, Cauchy-V e Cauchy-U di 5 km di diametro a sudest, Cauchy-E e Cauchy-C entrambi di 4 km a sud, Cauchy-M di 5 km a sudovest e Cauchy-F e Cauchy-B di 4 e 6 km a ovest. Ma la vera peculiarità di questa regione lunare consiste in alcune caratteristiche geologiche che ne rendono interessantissime le osservazioni al telescopio, partendo dal fatto che il cratere Cauchy è situato proprio fra due eccezionali strutture: Rima Cauchy a est e Rupes Cauchy a ovest.

Iniziando da Rima Cauchy, giunta ai nostri giorni dal Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa, si tratta di un largo solco che con andamento moderatamente sinuoso si estende per circa 220 km in direzione sudest-nordovest da Cauchy-V (5 km) fino in prossimità del cratere Maraldi-W (4 km) transitando poco a est del cratere Cauchy.

All’osservazione telescopica mediante piccoli strumenti, intorno a 80/100mm di diametro, a circa 150 ingrandimenti non sarà difficile individuarne la tipica morfologia di una fratturazione della superficie lunare, nota come “graben“, formatasi in seguito allo sprofondamento di una sorta di trincea in cui, in epoche remote, scorrevano grandi flussi di materiale lavico.

Per quanto riguarda Rupes Cauchy, anche questa proveniente dal Periodo Geologico Imbriano (da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa), si tratta di una faglia che, orientata in senso sudest-nordovest e profonda alcune centinaia di metri, con andamento prevalentemente rettilineo, si estende per circa 130 km dai rilievi montuosi a nord del cratere Zahringer (12 km) fino in prossimità della coppia di crateri Sinas-J e Sinas-H di 6 km di diametro.

In questo caso, l’osservazione al telescopio ne rivelerà una differente morfologia rispetto alla già vista Rima Cauchy, trattandosi di un notevole esempio di faglia lunare costituita in realtà da una imponente e ripida scarpata in cui si potrà individuare la presenza di alcune ramificazioni secondarie. Imperdibile occasione per osservazioni fotovisuali in alta risoluzione, meglio ancora se in prossimità del terminatore e con un seeing almeno decente.
All’origine di queste eccezionali strutture vi sarebbe il progressivo raffreddamento degli strati di magma che in epoche remote ricoprivano determinate regioni del nostro satellite.

Un'immagine ripresa dall'Apollo 8 in cui si vedono la Rupes e la Rima Cauchy. Subito sotto la Rupes, Omega e Tau Cauchy. Crediti NASA
A ovest-sudovest di Rupes Cauchy segnalo altre due eccezionali testimonianze dell’antica attività vulcanica della Luna, due rilievi a cupola con la sommità arrotondata e generalmente noti come “domi“: Cauchy-Tau privo di cratere sommitale ma con vari craterini sparsi sulle sue pareti e Cauchy-Omega su cui si potrà tentare di individuare il minuscolo craterino sommitale. Entrambi hanno un diametro di 12 km e provengono dal Periodo Geologico Imbriano (da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa).

Inoltre segnalo due interessanti strutture originate da vulcanismo estrusivo, Cauchy-4 immediatamente a nord di Cauchy-Tau e Cauchy W 1 situato nell’area di Cauchy-Omega di 8 e 9 km di diametro rispettivamente, quest’ultimo con una caldera sulla sommità.

Il mare Tranquillitatis: un libro della storia geologica della Luna

Ma, come avremo modo di osservare, il mare Tranquillitatis offre interessantissimi spunti per andare alla ricerca delle innumerevoli testimonianze dell’antichissima storia geologica del nostro satellite che nei primi miliardi di anni contribuì in modo così determinante a modellare la superficie lunare così come la possiamo osservare oggi con i telescopi.

È infatti veramente notevole la presenza di innumerevoli coni vulcanici anche di piccole dimensioni situati non solo nella regione del cratere Cauchy ma anche, ad esempio, nelle vaste aree intorno ai crateri Maskelyne, Sinas, Maraldi, Vitruvius, Jansen e Arago, andando a interessare praticamente gran parte della superficie del mare Tranquillitatis.

Notare che purtroppo la maggior parte di questi rilievi ha dimensioni tali al punto da renderne difficoltosa l’individuazione con gli strumenti generalmente utilizzati dagli astrofili. Generalmente l’osservazione telescopica fotovisuale dei domi lunari viene inevitabilmente condizionata, e anche seriamente limitata, in seguito alla loro conformazione a cupola arrotondata con la base estesa per circa 10/20 km, alta non oltre alcune centinaia di metri sulla cui sommità sarà possibile individuare vari dettagli fra cui una eventuale minuscola bocca eruttiva ed altre irregolarità.

Per andare alla ricerca dei domi lunari col proprio telescopio appare indispensabile lavorare in condizioni di luce solare radente (ma non eccessiva!), cioè con le strutture che intendiamo osservare situate in prossimità della linea del terminatore tenendo sempre presente che in tali condizioni le lunghe ombre proiettate da determinati rilievi potrebbero alterarne una corretta percezione.

Per quanto riguarda Arago Alpha e Arago Beta, si tratta di strutture a domo di origine vulcanica entrambe di 20 km di diametro e almeno apparentemente prive di bocche eruttive sommitali, formatesi nel Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa e situate a nord e ovest dell’omonimo cratere Arago.
Il nome è stato assegnato da Madler nel 1837, dedicato all’astronomo e fisico francese Dominique Francois Arago (1786-1853), che fu direttore dell’Osservatorio di Parigi e autore nel 1862 di L’Astronomia Popolare.

Anche con strumenti di diametro intorno ai 100/110mm e con ingrandimenti di 120/150x, non sarà difficile notare per entrambi questi domi una base dalla forma irregolare e lievemente ellittica con orientamento nord/sud nonostante la modesta altezza di circa 200 metri rispetto al suolo circostante.

Puntando il telescopio poco a nord di Arago Alpha, si segnalano 5 minuscoli rilievi a domo con diametri di 5/6 km per la cui dettagliata osservazione si rende indispensabile lavorare in luce solare radente in prossimità del terminatore lunare anche in considerazione della modesta inclinazione delle rispettive pareti.

Immediatamente a sud dello stesso Arago Alpha merita almeno una visita Arago A1, un rilievo vulcanico di 15 km di diametro e con una caldera sommitale, mentre immediatamente a sud di Arago Beta si segnala Arago B1 un domo dalla struttura relativamente complessa sulla cui sommità si potranno individuare alcune caldere multiple.

Spostandoci ora in prossimità dell’angolo nordest del mare Tranquillitatis puntiamo il telescopio sul cratere Gardner – dedicato al fisico americano Irvine Clifton Gardner (1889-1972) – di 19 km di diametro giunto ai nostri giorni dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,3 a non meno di 1 miliardo di anni fa.
Le pareti intorno al cratere, alte 3000 metri, si presentano ben conservate mentre nella relativamente appiattita platea non si notano dettagli degni di nota. Nell’area esterna non può mancare una dettagliata osservazione del cosiddetto “Gardner Megadome” (noto anche come Vitruvius T1) situato poco a sud dell’omonimo cratere Gardner. Si tratta di un notevole complesso vulcanico estremamente interessante avente una forma emisferica  con strutture a domo anche multiple e con la presenza inoltre di varie bocche eruttive sulle rispettive sommità.
Le dimensioni del Gardner Megadome sono di 61 km di diametro con un’altezza di 975 mt. Sulla parte più alta di questa eccezionale struttura è presente il cratere Vitruvius-H di 22 km di diametro che, almeno teoricamente, potrebbe essere quanto oggi rimane dell’antica caldera o bocca eruttiva principale ormai ricolma di materiali.

Sul versante occidentale del Gardner Megadome notiamo i crateri con una forma decisamente irregolare Vitruvius-B e Vitruvius-C di 18 e 15 km di diametro rispettivamente, mentre il versante rivolto a est appare più levigato probabilmente a causa dei flussi di lava ormai solidificati.

Per completare questa proposta osservativa concentriamo l’attenzione su Maraldi, un cratere di 41 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Nectariano collocato a 3,8 miliardi di anni fa. Il nome è stato dedicato all’astronomo italiano Giacomo Filippo Maraldi (1665-1729) nipote di Gian Domenico Cassini autore di numerose ricerche in campo astronomico.

Contornato da basse pareti alte circa 1300 mt, Maraldi si presenta irregolare e degradato mentre la platea è appiattita e quasi priva di dettagli ad eccezione di minuscoli craterini e di un basso rilievo collinare.

Nell’area esterna, a sud segnalo Maraldi-E di 31 km ed il più vasto Maraldi-D di 67 km di diametro entrambi parzialmente delimitati da basse pareti notevolmente degradate e in diretta comunicazione fra loro.
Immediatamente a nord invece l’arrotondato rilievo del monte Maraldi esteso per 15 km e alto 1300 mt.

A delimitare l’estremo margine orientale del mare Tranquillitatis, i crateri Lyell di 32 km e Franz di 27 km di diametro, oltre i quali vi è l’antichissima area collinare nota come Palus Somni (Periodo Geologico Pre Imbriano da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa) estesa per circa 210 km in direzione del mare Crisium.
I nomi sono stati dedicati rispettivamente al geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) e all’astronomo e selenografo tedesco Julius H. Franz (1847-1913), che assegnò a sua volta la rispettiva denominazione ai mari lunari Anguis e Marginis.

Ancora più a nord la regione pianeggiante del Sinus Amoris estesa per 260 km oltre la quale si apre la zona degli antichissimi monti Taurus la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa, estesi alcune centinaia di chilometri e con vette alte circa 3000 mt.

In questa regione lunare così tormentata in cui prevalgono innumerevoli e antichissimi crateri in rovina, segnalo Newcomb di 41 km di diametro con pareti di 2200 mt (Periodo Geologico Eratosteniano da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa) e il meno antico Romer (Periodo Geologico Copernicano, a non oltre 1 miliardo di anni fa), anche questo di 41 km ma con pareti alte 3400.

Buone osservazioni a tutti!

Guida all’osservazione di Statio Tranquillitatis, dove atterrò l’Apollo 11.

Tutte le guide di Francesco Badalotti all’osservazione delle formazioni lunari


Supernovae, aggiornamento a luglio 2021

0
Immagine di scoperta della SN2021pfu in UGC557 realizzata da Koichi Itagaki.

Immagine di scoperta della SN2021pfu in UGC557 realizzata da Koichi Itagaki.

Chi poteva essere l’astrofilo in grado di ottenere una nuova scoperta, se non il solito incredibile giapponese che porta il nome di Koichi Itagaki? E infatti nella notte del 9 giugno, poco prima dell’alba, mette a segno la sua quinta scoperta del 2021, per un totale di 164 scoperte, che gli permette di raggiungere il neozelandese Stuart Parker sul terzo gradino della Top Ten mondiale amatoriale.

Il nuovo oggetto è stato individuato a mag. +16,9 nella galassia a spirale barrata UGC 557 posta nella costellazione dei Pesci a circa 220 milioni di anni luce di distanza e situata a circa 10’ a sud della più appariscente galassia a spirale barrata NGC 295.

Nella notte del 12 giugno, dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope Nord da 2 metri, viene ripreso lo spettro di conferma. La SN2021pfu, questa la sigla definitiva assegnata al nuovo transiente, è una vecchia supernova di tipo II, con i gas iettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 8.000 km/s.

L’esplosione risale infatti all’inizio del mese di maggio o forse addirittura ad aprile, quando la galassia che era immersa nel chiarore del crepuscolo mattutino. La galassia si sta pertanto allontanando dal Sole migliorando la sua visibilità, ma purtroppo anche la luminosità della supernova tende lentamente a diminuire.

◊◊◊

Immagine della SN2021pfs in NGC5427 realizzata da Rolando Ligustri in remoto dal New Messico con un telescopio da 250mm F.3,4 somma di 11 immagini da 120 secondi.

Da prima dell’alba, passiamo a subito dopo il tramonto per osservare una luminosa supernova situata in una stupenda e fotogenica coppia di galassie interagenti, inserite nel catalogo ARP al numero 271. Si tratta delle due galassie a spirale denominate NGC 5426 e NGC 5427, poste nella costellazione della Vergine a circa 120 milioni di anni luce di distanza.

Immagine della SN2021pfs in NGC5427 realizzata da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 20 immagini da 75 secondi.

Nella stessa notte in cui Itagaki metteva a segno la sua nuova scoperta (9 giugno) il programma professionale americano di ricerca supernova denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) individuava una debole stellina di mag. +19,4 nel braccio Ovest della galassia NGC 5427.

La notte seguente la scoperta, i primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del MMT Observatory posto sul Monte Hopkins in Arizona. Utilizzando il Multi Mirror Telescope da 6,5 metri, hanno classificato il nuovo transiente come una giovane supernova di tipo Ia scoperta due settimane prima del massimo di luminosità, a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2021pfs.

Non essendo presente nessun assorbimento da polveri né della galassia ospite, né della nostra galassia, la supernova è andata progressivamente aumentando di luminosità fino a raggiungere intorno al 25-26 giugno la discreta mag. +14. Si tratta pertanto di un facile oggetto da osservare però subito dopo il tramonto per evitare che la galassia scenda troppo bassa sull’orizzonte ovest.

NGC 5427 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta, la SN1976D sempre di tipo Ia, scoperta il 24 agosto 1976 dall’astronomo americano Wade.

Vedi tutti gli articoli dedicati alle Supernovae


Ai confini della Via Lattea di Albino Carbognani

0

In riga edizioni, maggio 2021
Formato e rilegatura: ebook/copertina flessibile/copertina rigida; pp. 344
Illustrato a colori
Prezzo: 15,00 € (kindle); 19,00 € (copertina flessibile, BN); 55,00 € (copertina rigida, colori)
In vendita nelle librerie e negli store online.
Indice (Download)

È con molto piacere che in riga edizioni annuncia l’uscita della guida di astronomia scritta da Albino Carbognani: Ai confini della Via Lattea – Una guida per spiegarvi tutto quello che avreste voluto sapere sull’astronomia, ma non avete mai osato chiedere.

Come scrive nella prefazione all’opera Marco Malaspina, Direttore di Media INAF: «Ho conosciuto Albino Carbognani nel settembre del 2019. A farci incontrare è stata una cometa. La prima cometa interstellare mai scoperta nel Sistema solare, la 2I/Borisov. […] Un astronomo rinascimentale, perfettamente a suo agio davanti ai più complessi modelli al computer, quanto sotto la cupola del telescopio dell’Osservatorio di Loiano, dove Albino ancora oggi trascorre diverse notti. Solo uno scienziato come lui poteva prenderci per mano e aiutarci a costruire le basi indispensabili per comprendere l’universo con tanta naturalezza».

Albino è già autore di diversi libri per il grande pubblico, di oltre un centinaio di articoli sulle principali riviste divulgative italiane: “Coelum Astronomia”, “Nuovo Orione” e “Le Stelle” e di decine di pubblicazioni su riviste di settore internazionali. In Ai confini della Via Lattea ci accompagnerà in un viaggio unico, attraverso i vari tipi di stelle, i pianeti del sistema solare e i pianeti extrasolari, con un linguaggio di alta divulgazione, rivolto certamente agli astrofili ma anche ad altri lettori tra cui gli studenti degli ultimi anni del liceo scientifico.

Il libro nasce, come scrive l’autore nell’introduzione, perché “nel panorama librario italiano scarseggiano i libri di alta divulgazione ossia testi che non solo descrivano qualitativamente i fenomeni celesti, ma che cerchino anche di renderli quantitativi in modo tale da spiegarli al lettore per mezzo della fisica e della matematica, anche se elementare.” L’autore precisa ciononostante che il libro può comunque essere apprezzato anche “saltando le formule”.

Il libro è dicotomo: i primi 9 capitoli – dalla sfera celeste ai buchi neri passando per i pianeti extrasolari – danno l’indispensabile introduzione teorica agli elementi di base dell’astronomia; mentre nei successivi 3 vedremo come si possa iniziare a praticare la scienza del cielo “sul campo” seguendo un approccio di tipo graduale che, partendo dall’osservazione a occhio nudo, porta verso la scelta ponderata di un telescopio utilizzabile sia per osservazioni visuali, sia per la ripresa di immagini di Sole, Luna e pianeti.

Perché le eclissi di Sole e Luna si ripetono dopo poco più di 18 anni? Che orbita deve seguire un razzo per arrivare su Marte? Da dove provengono gli elementi chimici che formano i nostri corpi, come evolvono le stelle e come si formano i buchi neri? Come si scoprono i pianeti extrasolari e quanti sono quelli più simili alla Terra? Sarà possibile, in un lontano futuro, vivere sul pianeta in orbita attorno alla stella più vicina a noi ossia Proxima Centauri?

A queste e a molte altre domande risponde il libro, ma non si limita solo alla “teoria”. Negli ultimi capitoli il lettore viene incoraggiato e consigliato su come osservare per proprio conto il cielo, seguendone tutte le tappe per difficoltà crescenti: prima a occhio nudo o con un piccolo binocolo, poi con reflex e telescopio così da imparare anche a fotografare i corpi celesti con semplici strumenti. In questo modo ci si renderà conto che l’astronomia è alla portata di tutti e che siamo davvero… ai confini della Via Lattea.

Puoi leggere di più e acquistare il libro QUI

In riga edizioni

Leggi gli articoli di Albino Carbognani su Coelum Astronomia


La Luna di Luglio 2021

0

Chi intendesse dedicarsi all’osservazione di questa fase lunare dovrà attendere almeno le ore 01:27 quando sorgerà in età di 22,4 giorni avendo in tale caso alcune ore a disposizione per effettuare interessanti e dettagliate osservazioni. È ormai noto come l’Ultimo Quarto ci presenti le immense e scure distese basaltiche dell’oceanus Procellarum così come dei mari Imbrium, Nubium e Humorum relegando le più chiare rocce anortositiche degli altipiani nei settori nord, sud e sudovest della Luna. Innumerevoli saranno le strutture crateriformi che si potranno osservare con soddisfazione anche attraverso strumenti di piccolo diametro, circa 80/100mm, ma sarà necessario però un seeing almeno decente per potere effettuare dettagliate osservazioni.

Al culmine della fase calante il nostro satellite alle ore 03:17 del 10 luglio sarà in Luna Nuova con la contestuale ripartenza di un nuovo ciclo lunare fino a portare progressivamente l’antichissima compagna della nostra Terra nelle migliori condizioni osservative.

La Luna di 8,3 giorni di Vincenzo Mirabella. Cliccare sull'immagine per i dettagli di ripresa.

Ripartita pertanto la fase crescente alle ore 12:11 del 17 luglio avremo il Primo Quarto, perfettamente a nostra disposizione già a partire dalle ore 22:00 circa, anche se l’altezza iniziale sarà intorno ai +26° e visibile fino alla notte seguente, quando alle ore 01:00 scenderà sotto l’orizzonte.

Anche se già visti in dettaglio in un precedente articolo, gli Appennini lunari mantengono in ogni caso la loro elevata spettacolarità e imponenza. Infatti potrà rivelarsi decisamente interessante andare alla ricerca delle principali vette, fra cui Mons Wolff (36 km, 3500 mt), Mons Ampere (31 km, 3000 mt), Mons Huygens (41 km, 5400 mt), Mons Bradley (31 km, 4200 mt), Mons Hadley (26 km, 4800 mt), fino al Mons Hadley-Delta con dimensioni di 20 km situato poco a sud del sito di Apollo 15. Per effettuare tali osservazioni non sono indispensabili grandi e impegnativi strumenti, anche un piccolo telescopio intorno ai 100mm di diametro può dare grosse soddisfazioni purché le condizioni osservative rispettino certi parametri (seeing, collimazione, ecc).

➜ Guida all’osservazione dei Monti Appennini

Al capolinea della fase crescente la Luna sarà in Plenilunio, precisamente alle ore 04:37 del 24 luglio a una distanza dalla Terra di 368232 km, poco prima del suo tramonto previsto per le ore 05:49 contestualmente al sorgere del Sole.

Per i cosiddetti “amanti della Luna Piena” (veramente siamo in pochi….) ci sarà tutto il tempo a disposizione già dalle ore 22:00 circa della precedente serata per godersi tutto quanto può offrire all’Astrofilo il disco del nostro satellite completamente illuminato dal Sole.

➜ Osserviamo la Luna Piena

Nel caso specifico segnalo che alle ore 04:36 il punto di massima Librazione interesserà la regione poco a nord del mare Humboldtianum.

LIBRAZIONI nel mese di Luglio

Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si allontanano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Nordest

22 luglio Librazione est mare Humboldtianum.
Fase 12,7 giorni, sorge 20:05.

23 luglio Librazione est mare Humboldtianum.
Fase 13,7 giorni, sorge 21:01

Riprenderà, quindi, la fase calante che porterà il nostro satellite per la seconda volta nel mese di luglio in Ultimo Quarto, precisamente alle ore 15:16 del 31 luglio ma a -12° sotto l’orizzonte.
Il nostro satellite potrà essere osservato per l’ultima volta in questo mese di luglio, la notte del 31 quando sorgerà pochi minuti dopo la mezzanotte e sarà visibile pertanto fino all’alba del mattino seguente.

➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!


Il Cielo di Luglio 2021

0
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Lug > 02:00; 15 Lug > 01:00; 31 Lug > 00:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

 
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Lug > 02:00; 15 Lug > 01:00; 31 Lug > 00:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Quasi allo zenit, si staglieranno invece le sagome inconfondibili dell’Ercole, della Lira, con la bella Vega, e del Cigno, mentre nei pressi dell’orizzonte il meridiano sarà dominato dall’inconfondibile figura del Sagittario, e più in alto dall’Aquila. Verso est, intanto, staranno sorgendo Pegaso, con il suo “grande quadrato” stellare e Andromeda. Dall’orizzonte est-sudest appariranno solo in tarda serata, dopo la mezzanotte a metà mese, Giove e Saturno, i due pianeti delle notti estive, che viaggeranno assieme alle basse costellazioni dell’Acquario e del Capricorno, rispettivamente.

Continua l’esplorazione del cielo riscoprendo articoli pubblicati nelle estati passate, ad esempio con:

➜ Il Cielo di luglio e agosto con la UAI che ci porta tra stelle e nebulose della Via Lattea

➜ Il Quadrato del Pegaso di Stefano Schirinzi un viaggio tra le stelle tra mitologia e deep sky

➜ Riprendiamo la Via Lattea con Giorgia Hofer, con tanti spunti anche da rubriche passate.

Ricordiamo poi la rubrica di Giorgia Hofer, su Coelum astronomia 214, dedicata alla ripresa del Triangolo estivo e della Via Lattea.


Luna Sole Pianeti

SOLE

Dopo aver raggiunto, il 21 giugno scorso, il suo punto più alto nel cielo, la nostra principale fonte di luce tornerà a ridurre sempre più la sua declinazione, stupisce chi non lo sa, ma nei giorni più caldi dell’anno in realtà le giornate si stanno già accorciando. Il giorno 20, il nostro astro passerà dalla costellazione dei Gemelli alla costellazione del Cancro.

Nell’arco del mese la notte astronomica passerà dalle 4 ore e mezza circa del 1 luglio, alle . Alle 22:11 TMEC del 3 luglio, inoltre, la Terra arriverà all’afelio della propria orbita, ovvero alla massima distanza dal Sole (l’orario vale però soltanto per un riferimento geocentrico).

PIANETI

Saturno di Luigi Morrone ripreso il 22 giugno scorso. Per tutti i dettagli cliccare sull'immagine.

Comincia la “bella stagione” per Giove e Saturno si rendono visibili in orari sempre più comodi, prima della mezzanotte, con Saturno che sorgerà in anticipo di un’ora rispetto al fratello più grande.

Raggiungeranno infatti l’opposizione al Sole in agosto, li vedremo quindi sorgere sempre prima fino a rendersi visibili per tutta la notte, al loro meglio, già dalla fine del mese.

Giove di Raimondo Sedrani ripreso il 27 giugno scorso. Per i dettagli della ripresa cliccare sull'immagine.

Resteranno però sempre confinati nelle costellazioni dell’Acquario e del Capricorno, quindi non molto alti sull’orizzonte.

Venere, invece, comincia a riprendere il suo posto di Vespero, stella della sera,  sempre più brillante nel crepuscolo serale.

Leggi anche Vespero vs. Lucifero di Giorgia Hofer, un articolo del 2020 ma con tanti spunti e riferimenti utili per la ripresa del pianeta più luminoso del nostro cielo.

Sarà raggiunto e superato da Marte in una bella e stretta congiunzione nel tardo pomeriggio/sera del 13 luglio.

13 luglio La congiunzione Marte Venere
I due pianeti saranno a solo mezzo grado di distanza, sull’orizzonte ovest-nordovest, nella costellazione del Leone. Venere apparirà splendente già subito dopo il tramonto, Marte sarà un po’ più difficile da osservare, non proprio al suo meglio (più di 4 magnitudini lo separano dal compagno) nel cielo chiaro del crepuscolo e basso sull’orizzonte. Ma guardate bene, via via che il cielo si farà più scuro, quel puntino che apparirà sotto a Venere è lui!

Una bellissima immagine, quasi un quadro, della congiunzione di Marte e Luna del 13 giugno scorso. Si tratta di una immagine composita a ben 14 mani (5 camere) degli amici del Gruppo Astrofili Palidoro. Cliccando sull'immagine tutti i dettagli delle riprese.

I due pianeti li potremo osservare anche nei giorni prima, mentre si avvicinano con una bella falce di Luna a far loro compagnia il 12 luglio, e nei giorni seguenti mentre si staranno allontanando sempre di più! Da questo momento, però, se Venere sarà sempre più facilmente visibile, Marte proseguirà nel suo declino, rendendosi praticamente inosservabile già verso la fine del mese.

Mercurio, sempre molto elusivo, potrà essere osservato nella prima parte del mese, basso nel cielo del mattino. La massima elongazione la raggiungerà il giorno 4, mentre il giorno 10 sarà al suo meglio di visibilità, sorgendo quasi un’ora e mezza prima del Sole. Poi ricomincerà a tuffarsi nel suo chiarore.

Per quanto riguarda invece i grandi pianeti ghiacciati, Urano e Nettuno, per i quali ricordiamo serve uno strumento per l’osservazione, la visibilità è buona. Urano continua ad anticipare la sua levata viaggiando tra le stelle dell’Ariete, sempre nella seconda parte della notte, mentre Nettuno, nel cielo dell’Acquario, sarà visibile per buona parte della notte fino al mattino, quando culminerà al meridiano sud.

LUNA

Per le informazioni sulle fasi, le librazioni e le formazioni da osservare rimandiamo alla rubrica dedicata la Luna di Luglio 2021.

vdB 142 Nebulosa Proboscide di Elefante di Arcangelo Di Palo, ripresa il 14 giugno scorso. I giorni di Luna Nuova sono i migliori per realizzare immagini del profondo cielo, oggetti per i quali serve uno strumento importante e una camera che fissi quei colori che il nostro occhio non riesce a percepire. Non mancate di sfogliare la nostra galleria di immagini Photocoelum (e inviarci le vostre) e di lasciare un commento agli autori! Per tutti i dettagli, cliccare sulll'immagine.

Per chi invece segue le elusive e sottilissime falci lunari, vicine alla Luna Nuova, appuntamento alle ore 02:28 del 6 luglio in fase di 25,5 giorni fra le stelle del Toro.
La superficie illuminata dal Sole apparirà praticamente come suddivisa in due parti: l’elevata albedo delle rocce anortositiche degli altipiani a ovest-sudovest in contrasto con le scure distese basaltiche dell’oceanus Procellarum a ovest-nordovest, unitamente alle rispettive cuspidi nord e sud.

La notte seguente, il 7 luglio, alle ore 03:24 sorgerà una stretta falce in fase di 26,6 giorni su cui apparirà notevole il contrasto fra aree a differenti livelli di albedo, in modo particolare la “macchia nera” del cratere Grimaldi inserita fra le chiare rocce anortositiche degli altipiani circostanti.

Risulterà senz’altro problematica la falce che sorgerà alle ore 04:01 dell’8 luglio in fase di 27,6 giorni per la vicinanza al sorgere del Sole. Attuate le indispensabili precauzioni, eventuali osservazioni fotovisuali andranno effettuate con la Luna in corrispondenza della linea dell’orizzonte.

Con la Luna in fase calante, appuntamento per la serata dell’11 luglio con una falce di 1,8 giorni che tramonterà alle ore 22:32. Anche in questo caso si consiglia di adottare le dovute precauzioni in caso di eventuali riprese fotovisuali.

Luna e luce cinerea in HDR di Andrea Rapposelli, ripresa del 15 giugno scorso. Cliccare sull'immagine per i dettagli della ripresa.

La serata successiva, il 12 luglio, una più comoda falce di 2,8 giorni tramonterà alle ore 23:04, pertanto con la concreta possibilità di effettuare osservazioni al telescopio delle numerose strutture già individuabili sulla sua ristretta superficie già illuminata dal Sole, situate fra il terminatore a ovest e il bordo lunare a est.
Infatti, oltre alle rispettive cuspidi nord e sud, attireranno l’attenzione le aree dei mari Crisium e Undarum, i grandi crateri sul lato est del mare Fecounditatis e tanti altri dettagli.

Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli e sperare nella clemenza delle condizioni meteorologiche, anche perché la stagione estiva può sempre riservare brutte sorprese.

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207

Per i passaggi principali del mese della Stazione Spaziale Internazionale vedi la rubrica di Giuseppe Petricca sul suo sito Astronomia Pratica


Tripletta di mondi per il telescopio spaziale Cheops

0
Infografica del sistema planetario studiato da Cheops – Crediti Esa, dati: L. Delrez et al (2021)

Infografica del sistema planetario studiato da Cheops – Crediti Esa, dati: L. Delrez et al (2021)

Per la prima volta un esopianeta con un periodo di oltre cento giorni è stato individuato in transito su una stella abbastanza luminosa da essere visibile a occhio nudo.

La scoperta è stata realizzata grazie ai dati raccolti da Cheops, il satellite dell’Agenzia spaziale europea (Esa) dedicato alla caratterizzazione degli esopianeti con una importante partecipazione italiana, che vede coinvolti l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e l’Università di Padova. L’articolo che descrive la scoperta, guidata da Laetitia Delrez dell’Università di Liegi, in Belgio, è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

La stella si chiama ν2 Lupi (in italiano si pronuncia “ni due Lupi”, gli anglosassoni userebbero invece “nu” per la translitterazione della lettera greca), è simile al Sole e si trova a poco meno di 50 anni luce dalla Terra in direzione della costellazione del Lupo. Si conoscono tre esopianeti intorno a questa stella, scoperti nel 2019 con lo strumento Harps (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) montato sul telescopio da 3,6 metri dell’Eso in Cile. Questi pianeti, denominati ‘b’, ‘c’ e ‘d’, hanno masse comprese tra quelle della Terra e di Nettuno e orbite rispettivamente di 11,6, 27,6 e 107,6 giorni. I due pianeti più interni – ovvero il ‘b’ e il ‘c’ – sono stati poi individuati anche dal satellite Tess della Nasa mentre transitavano sul disco della stella. Si conoscono solo tre stelle visibili a occhio nudo che ospitano più di un esopianeta e ν2 Lupi è tra queste.

I transiti planetari offrono una preziosa opportunità per studiare l’atmosfera, l’orbita, le dimensioni e l’interno di un pianeta. Inoltre, sistemi multiplanetari di cui si possono osservare i transiti, come quello di ν2 Lupi, permettono di confrontare in dettaglio diversi pianeti intorno alla stessa stella e dunque indagare i processi di formazione ed evoluzione dei pianeti.

In questo caso, il team di ricercatori e ricercatrici stava osservando ν2 Lupi con Cheops per studiare i transiti dei pianeti ‘b’ e ‘c’ e approfondire la comprensione di questo sistema. Durante un transito del pianeta ‘c’ hanno registrato anche un transito inaspettato del pianeta ‘d’, che si trova molto più lontano dalla stella rispetto agli altri due. Poiché gli esopianeti con lungo periodo orbitano così lontano dalle loro stelle, le possibilità di catturarne uno durante un transito sono molto basse, rendendo la scoperta di Cheops una vera sorpresa.

Infografica del sistema planetario studiato da Cheops – Crediti Esa, dati: L. Delrez et al (2021)

Le accurate osservazioni di Cheops hanno permesso di stimare il raggio del pianeta “d”, circa 2,5 volte quello della Terra, e il suo periodo: impiega poco più di 107 giorni per compiere un’orbita intorno alla sua stella, tra le orbite di Mercurio e Venere, per fare un paragone con il Sistema solare. Utilizzando poi osservazioni d’archivio da telescopi a terra, il team ha ricavato la sua massa, pari a 8,8 volte quella della Terra.

«Date le sue proprietà generali e la sua orbita, questo rende il pianeta ‘d’ un obiettivo unicamente favorevole per lo studio di un esopianeta con un’atmosfera a temperatura moderata intorno a una stella simile al Sole», commenta la prima autrice dell’articolo, Laetitia Delrez.

La combinazione di una stella ospite molto luminosa, un periodo orbitale lungo e la possibilità di effettuare osservazioni di follow-up rendono questo pianeta molto particolare. In futuro, con Cheops, si potranno addirittura cercare anelli o lune intorno a questo pianeta.

«Proprio perché questi esopianeti sono così rari da scoprire con questa tecnica, quelli conosciuti fino ad oggi sono spesso intorno a stelle così deboli da impedirne di studiarne ulteriormente la loro natura, e quindi sono ancora poco conosciuti. ν2 Lupi, invece, è abbastanza brillante per continuare ad osservarla sempre con Cheops e addirittura cercare anelli o lune intorno a questo pianeta. È quindi un ottimo obiettivo per altri telescopi, da terra o dallo spazio, attuali o futuribili, come l’Extremely Large Telescope o il James Webb Space Telescope», dice Roberto Ragazzoni, dell’Università di Padova e dell’Inaf di Padova.

«Ancora una volta l’estrema precisione fotometrica del piccolo telescopio di Cheops, insieme a un pizzico di fortuna, permette di studiare oggetti molto interessanti» commenta Elisabetta Tommasi, responsabile per l’Asi dell’accordo con l’Inaf per le attività scientifiche di Cheops, «arricchendo il vasto campione di mondi extrasolari, la cui conoscenza sarà approfondita nel prossimo futuro anche grazie alle missioni in preparazione Plato e Ariel».

Combinando i nuovi dati di Cheops con i dati d’archivio di altri osservatori, i ricercatori sono stati in grado di determinare con precisione le densità medie di tutti i pianeti conosciuti del sistema di ν2 Lupi, e porre vincoli stringenti sulle loro possibili composizioni. Hanno scoperto che il pianeta ‘b’ è principalmente roccioso, mentre i pianeti ‘c’ e ‘d’ sembrano contenere grandi quantità di acqua avvolta da atmosfere di idrogeno ed elio. In effetti, i pianeti ‘c’ e ‘d’ contengono molta più acqua rispetto al nostro pianeta: un quarto della massa di ciascun pianeta è costituito da acqua, rispetto a meno dello 0,1 per cento della Terra. Quest’acqua, tuttavia, non è liquida, ma assume la forma di ghiaccio ad alta pressione o di vapore ad alta temperatura.

Indice dei contenuti

Per saperne di più:

Leggi anche:

Quel diamante sfocato è la prima stella di Cheops

Cheops entra in azione e trova il suo primo esopianeta!


Risolto il mistero del calo di luminosità di Betelgeuse

0
L'immagine, presa con lo strumento SPHERE del Very Large Telescope dell'ESO, mostra la superficie della supergigante rossa Betelgeuse durante il calo di luminosità tra la fine del 2019 e inizio 2020. La prima immagine del gennaio 2019, mostra la stella con la sua normale brillantezza. mentre le successive mostrano il calo di luminosità superiore a qualsiasi variabilità precedente, localizzato in particolar modo nelle sue regioni meridionali. La sua luminosità è rientrata in valori normali nell'aprile 2020. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

L'immagine, presa con lo strumento SPHERE del Very Large Telescope dell'ESO, mostra la superficie della supergigante rossa Betelgeuse durante il calo di luminosità tra la fine del 2019 e inizio 2020. La prima immagine del gennaio 2019, mostra la stella con la sua normale brillantezza. Le immagini successive mostrano il calo di luminosità superiore a qualsiasi variabilità precedente, che aveva portato alcuni a pensare che la stella fosse vicina a trasformarsi in supernova, che vediamo ora localizzato in particolar modo nelle sue regioni meridionali. La sua luminosità è rientrata in valori normali nell'aprile 2020. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

Il calo di luminosità di Betelgeuse – un cambiamento evidente anche a occhio nudo – ha portato Miguel Montargès e la sua equipe a puntare il VLT dell’ESO verso la stella, alla fine del 2019. Un’immagine presa nel dicembre 2019, confrontata con un’immagine precedente scattata nel gennaio dello stesso anno, ha mostrato che la superficie stellare era significativamente più scura, specialmente nella regione meridionale. Ma gli astronomi non erano sicuri del perché.

L’equipe ha continuato a osservare la stella durante il periodo della “Grande Attenuazione“, catturando altre due immagini mai viste prima in gennaio e in marzo 2020. Nell’aprile 2020 la stella era tornata alla sua luminosità normale.

«Una volta tanto, abbiamo visto l’aspetto di una stella cambiare in tempo reale su una scala di settimane», afferma Montargès, dell’Observatoire de Paris, Francia, e KU Leuven, Belgio. Le immagini ora pubblicate sono le uniche che mostrano la superficie di Betelgeuse cambiare di luminosità nel tempo.

Nel loro nuovo studio, pubblicato oggi dalla rivista Nature, l’equipe ha rivelato che il misterioso oscuramento è stato causato da un velo polveroso che copriva la stella. A sua volta il velo era il risultato di un calo della temperatura sulla superficie stellare di Betelgeuse.

L'immagine mostra la posizione di Betelgeuse nella costellazione di Orione. È facilmente visibile anche ad occhio nudo essendo una stella non solo supergigante ma anche "vicina". Crediti: ESO/N. Risinger (skysurvey.org)

La superficie di Betelgeuse cambia regolarmente, mentre bolle giganti di gas si muovono, si restringono e si gonfiano all’interno della stella. L’equipe ha concluso che, qualche tempo prima della “Grande Attenuazione”, la stella aveva espulso una grande bolla di gas che si è quindi allontanata. Quando una zona della superficie si è raffreddata appena dopo, quella diminuzione di temperatura è stata sufficiente per far condensare il gas in polvere solida.

Betelgeuse ripresa a gennaio 2020, quando si avviava verso la minima luminosità raggiunta all'incirca a metà del febbraio seguente. Si vede chiaramente la aprte oscurata nel suo emisfero meridionale, assieme a un diffuso oscuramento di tutta la superficie. Ora sappiamo che la causa è stato uno spesso velo di polvere, emessa dalla stella stessa. Una nube di gas espulsi e solidificati, che ce l'ha nascosta solo temporaneamente. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

«Abbiamo assistito direttamente alla formazione della cosiddetta polvere di stelle», aggiunge Montargès, il cui studio fornisce la prova che la formazione di polvere può avvenire molto rapidamente e molto vicino alla superficie di una stella. «La polvere espulsa dalle stelle fredde evolute, come l’espulsione a cui abbiamo appena assistito, potrebbe continuare fino a diventare uno dei mattoni costitutivi dei pianeti terrestri e della vita», dice Emily Cannon, di KU Leuven, anch’essa coinvolta nello studio.

Invece che il semplice risultato di un’esplosione polverosa, sono state proposte online alcune speculazioni sul fatto che che il calo di luminosità di Betelgeuse potesse segnalare la sua imminente morte in una spettacolare esplosione di supernova. Non si sono osservate supernove nella nostra galassia fin dal XVII secolo, quindi gli astronomi odierni non sanno esattamente cosa aspettarsi da una stella che si prepari a un simile evento. Tuttavia, questa nuova ricerca conferma che la “Grande Attenuazione” di Betelgeuse non è stata un segnale precursore del drammatico destino finale della stella.

La rossa Betelgeuse ripresa da Giorgia Hofer, nell'insieme della magnificenza della costellazione di cui fa parte, Orione. Nel numero di marzo 2020 di Coelum Astronomia, trovate qualche consiglio per riprendere e seguire la stella, con un pizzico di speranza di vederla, prima o poi, splendere come una supernova galattica. Cliccare sull'immagine per leggere l'articolo. Crediti Giorgia Hofer.

Assistere all’calo di luminosità di una stella così nota è stato emozionante sia per gli astronomi professionisti che per quelli dilettanti, come ben riassume Cannon: «Guardando le stelle di notte, questi minuscoli punti di luce scintillanti sembrano perpetui. Il calo di luminosità di Betelgeuse rompe questa illusione».

L’equipe ha utilizzato lo strumento Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch (SPHERE) installato sul VLT dell’ESO per visualizzare direttamente la superficie di Betelgeuse, insieme con i dati dello strumento GRAVITY installato sull’Interferometro del VLT (VLTI) dell’ESO, per monitorare la stella durante l’oscuramento. I telescopi, situati presso l’Osservatorio dell’ESO al Paranal nel deserto di Atacama in Cile, sono stati uno «strumento diagnostico vitale per scoprire la causa di questo evento di attenuazione», afferma Cannon. «Abbiamo potuto osservare la stella non come un singolo punto di luce, abbiamo potuto risolvere i dettagli della sua superficie e monitorarla durante l’evento», aggiunge Montargès.

Montargès e Cannon sono impazienti di sapere cosa porterà il futuro dell’astronomia, in particolare cosa porterà nel loro studio su Betelgeuse, una stella supergigante rossa, l’Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO. «Con la capacità di raggiungere risoluzioni spaziali senza precedenti, l’ELT ci consentirà di visualizzare direttamente Betelgeuse con dettagli notevoli», conclude Cannon. «Espanderà anche in modo significativo il campione di supergiganti rosse per le quali possiamo ottenere immagini dirette della superficie con buona risoluzione, aiutandoci ulteriormente a svelare i misteri della produzione dei venti in queste stelle massicce».

Ulteriori Informazioni

Questo studio è stato presentato nell’articolo “A dusty veil shading Betelgeuse during its Great Dimming” pubblicato dalla rivista Nature.

Leggi anche

Betelgeuse riprende lentamente a brillare

Supernovae vicine. Quale grande stella esploderà per prima? Sono un pericolo per la Terra?


Luglio 2021 Galassica – Festival dell’Astronomia

0

9-10-11 LUGLIO 2021

IV edizione. Destinazioni

Da venerdì 9 a domenica 11 luglio al Castello Malcavalca di Esanatoglia (MC) è in programma la quarta edizione di Galassica – Festival di Astronomia, un progetto a cura di Associazione Nemesis Planetarium in collaborazione con l’Università di Camerino.

L’edizione di quest’anno, Galassica 2021, dal titolo Destinazioni, si pone l’obiettivo di combinare un’offerta culturale di qualità e la connessione con la natura, come la socializzazione aspetti vitali per l’evoluzione e il benessere di una comunità.

Il luogo è di grande pregio architettonico e valore paesaggistico. Il castello, di epoca medievale, recentemente e sapientemente ristrutturato, è immerso nella Unione Montana Potenza Esino Musone, sotto un magnifico cielo libero da inquinamento luminoso, lungo il Cammino Francescano. Il titolo di quest’anno, Destinazioni, sintetizza il senso di questa edizione nelle sue declinazioni: natura, poesia, arte. Destinazioni come vette, mete di cammini, sentieri e missioni spaziali, come intenti della poesia, come obiettivi della ricerca scientifica, come prospettive della contaminazione artistica, come rimandi al destino dell’umanità, particolarmente incerto in questo passaggio epocale.

L’ispirazione poetica è Dante Alighieri, di cui quest’anno ricorrono settecento anni dalla nascita, mentre l’ispirazione artistica e grafica è Ivo Pannaggi, grande pittore e designer futurista, ospite del leggendario Bauhaus di Berlino, che ad Esanatoglia visse e lavorò. A lui è dedicato un percorso ad hoc, lo Spazio Pannaggi, aperto al pubblico nei giorni del festival, ideato nell’ambito di PalazzoLab, progetto di Epicentro11 per la rinascita culturale e turistica del territorio colpito dal sisma 2016.

Il cuore del Festival è l’astronomia, intesa sia come ricerca e innovazione che come sensibilizzazione ambientale e valorizzazione del cielo stellato.

Ricco e variegato il calendario delle proposte, con iniziative sia per l’infanzia che per il pubblico adulto. In programma ci saranno dei laboratori per docenti a cura di INAF e INFN, un avvincente science show sulla robotica per bambine e bambini, e per i più piccini un divertente laboratorio manuale per confezionare la propria tuta da astronauta. Come da tradizione, il pomeriggio è dedicato al pubblico di esperti e appassionati, con conferenze di approfondimento sui temi più attuali di astrofisica e fisica nucleare. Spazio anche alla tecnologia con CosmoExperience, emozionante missione spaziale in realtà virtuale adatta a tutta la famiglia.

E per godere del meraviglioso contesto naturalistico, in serata percorso esperienziale ed escursione per i boschi circostanti il castello, con osservazione delle stelle sul prato, a cura dell’associazione locale Esatrail, nella magia della quiete notturna.

Nel rispetto delle norme antiCovid e grazie al supporto di attività e associazioni locali, ci sarà spazio anche per momenti di relax e socializzazione, finalmente in presenza, con selezione musicale a tema e punti ristoro dove gustare le eccellenze enogastronomiche del territorio, importante area di produzione vinicola.

Ampissimo spazio all’inclusione in questa edizione grazie alla collaborazione con l’Associazione Lulù e il paese del Sorriso. Un’attenzione riposta sin dalla progettazione all’accesso a tutti anche chi non favorito nella mobilità. Una cura che l’associazione Nemesis Planetarium si impegna a perseguire in maniera costante e crescente per tutte le attività organizzate anche in futuro.

Tutti gli eventi del festival sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria, ad eccezione dell’Escursione notturna, su prenotazione con quota di iscrizione a copertura assicurativa.

Programma completo, info e contatti su galassica.it

Galassica – Festival dell’astronomia è promosso da Nemesis Planetarium, UNICAM e Comune Esanatoglia.
Con il Patrocinio di Comune di Esanatoglia, INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, INFN – Istituto Nazionale Fisica Nucleare, Università degli Studi G. D’Annunzio – Dipartimento di Scienze Psicologiche della salute e del territorio, Palazzo Lab – Borgo delle Idee, IAU – International Astronomical Union.
In collaborazione con MVA – Moon Village Association, Cooperativa Ossigeno, Osservatorio astronomico di Esanatoglia, associazione Lulù e il Paese del Sorriso, Epicentro11, Visione Futuro, Cicap Marche, Sistema Museale d’Ateneo – Unicam, Esatrail, Cantina di Esanatoglia, Libreria Kindustria di Matelica.
Galassica – Festival dell’Astronomia è gemellato con il Festival della Scienza di Genova.

Obiettivo Venere

0
Le sonde VERITAS e DAVINCI+. Credit NASA

Annunciate due nuove missioni NASA verso Venere

di Simone Montrasio · astronautinews.it

Dopo tre decenni torna a farsi vivo l’interesse di NASA verso Venere, non con una ma addirittura con due missioni robotiche che verranno lanciate nel biennio 2028–2030.

Le sonde VERITAS e DAVINCI+. Credit NASA

L’annuncio è arrivato inaspettato lo scorso 2 giugno direttamente dal neoeletto amministratore Bill Nelson, durante la conferenza stampa sullo stato dell’agenzia. Le due missioni: DAVINCI+ e VERITAS, sono state scelte tra quattro contendenti nell’ambito del programma Discovery, che promuove e finanzia progetti di esplorazione robotica a costo relativamente basso.
L’ultima missione statunitense dedicata al nostro pianeta gemello risale al 1990 con la sonda Magellano, che rimase operativa fino al 1994. Attualmente intorno a Venere, anche se in un’orbita molto differente da quella prevista, opera solo la sonda giapponese Akatsuki lanciata nel 2010.

Il pianeta Venere comunque non è stato completamente dimenticato, spesso viene infatti sfiorato da alcune sonde impegnate in missioni differenti (Parker Solar ProbeBepiColomboSolar Orbiter), che ne sfruttano il campo gravitazionale per modificare la propria traiettoria.

Continua la lettura su astronautinews.it, con una breve descrizione delle due missioni.


ENVISION: OBIETTIVO VENERE

di ufficio stampa ASI

Con la missione EnVision l’Europa vola alla scoperta del pianeta gemello della Terra. A bordo della sonda uno strumento italiano che vede il coinvolgimento dell’ASI e la responsabilità dell’Università di Trento.

La missione EnVision, per comprendere come mai il pianeta a noi più vicino è così diverso da noi. Crediti: ESA

È ancora una volta Venere l’obiettivo della ricerca spaziale. Dopo pochi giorni dall’annuncio della NASA di realizzare due missioni per esplorare il “pianeta gemello della Terra” ora anche l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha messo nel suo mirino Venere con la missione EnVision.

Venere, il "gemello cattivo" della Terra. Un'immagine ripresa dalla missione ESA Venus Express nel luglio del 2007. Crediti: ESA/MPS/DLR-PF/IDA

E ci sarà anche l’Italia che, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), avrà la responsabilità di realizzare il radar sounder per lo studio dei primi strati della superficie del pianeta a profondità dell’ordine di alcune centinaia di metri. Principal Investigator di questo strumento è Lorenzo Bruzzone del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione e responsabile del Laboratorio di Telerilevamento (Remote Sensing Laboratory) dell’Università di Trento. L’obiettivo scientifico è quello di caratterizzare i diversi pattern stratigrafici e strutturali del sottosuolo; realizzare la mappatura della struttura delle unità geologiche esplorando le proprietà di elementi quali tesserae, pianure, colate laviche e detriti da impatto oltreché effettuare la rilevazione di strutture del sottosuolo non direttamente legate alla superficie.

«La partecipazione alla missione EnVision di ESA, insieme a quella prevista nella missione Veritas della NASA», ha dichiarato Barbara Negri, responsabile dell’unità Volo Umano e Sperimentazione Scientifica dell’Agenzia Spaziale Italiana, «permetterà all’Italia di ricoprire una posizione di leader per il programma di esplorazione del pianeta Venere, alla stregua di quanto è stato fatto per Marte. Per EnVision, l’ASI realizzerà il radar sounder, sulla base dell’importante heritage scientifico e industriale presente nel nostro Paese».

«EnVision affiancherà alla capacità di effettuare misure inedite su larga parte del pianeta, l’obiettivo di studiare in maniera dettagliata le regioni di maggiore interesse di Venere con l’insieme unico di strumenti che avrà a bordo» dichiara Lorenzo Bruzzone, dell’Università di Trentom, P.I. dello strumento. «Sarà la prima volta in assoluto che un radar sounder opererà sul nostro pianeta gemello. Le sue misure sotto-superficiali saranno fondamentali per la ricostruzione della storia geologica di Venere e contribuiranno alla comprensione dell’interazione tra superficie, sotto-superficie e atmosfera venusiana».

Questa missione offrirà una visione senza precedenti del pianeta più simile alla Terra in termini di massa, dimensioni e raggio orbitale. L’uso della tecnologia radar insieme alla spettroscopia ad alta risoluzione e alla radio scienza consentirà lo studio del pianeta in un’ampia scala spaziale, dall’alta atmosfera fino all’interno del pianeta. Attraverso il suo approccio globale, EnVision affronterà questioni fondamentali sull’atmosfera, il clima, la geologia passata e presente di Venere e la loro potenziale interazione. Ciò fornirà preziose informazioni sull’evoluzione e l’attività attuale del pianeta, fornendo importanti indizi sui motivi per cui Venere si sia evoluto in maniera così diversa dalla Terra.

Un approfondimento dedicato alla ricerca di pianeti extrasolari e alla missione Cheops, a cura di Roberto Ragazzoni.

Oltre alla scienza di Venere, i risultati attesi da questa missione che partirà alla volta di Venere nei primi anni del 2030, sono rilevanti anche per la comprensione dell’abitabilità e dell’evoluzione dei pianeti terrestri nel Sistema Solare e altrove (inclusa la Terra e degli esopianeti simili a Venere), fornendo così ulteriori informazioni sul Sistema Solare a missioni come PLATO, ARIEL CHEOPS.

Vedi il video EnVision studying Venus


Osserviamo il Mare Tranquillitatis – parte 1

0

Questa proposta osservativa è stata suddivisa nelle due serate del 15 e 16 giugno. Al fine di poter effettuare le suddette osservazioni con un differente angolo di illuminazione solare e in fase calante, sempre molto utile per lo studio di determinati dettagli della superficie della Luna, segnalo anche la nottata del 29 giugno quando poco dopo la mezzanotte sorgerà in fase di 18,4 giorni (e si tratta come sempre di indicazioni utili ogni volta che il nostro satellite si trova in condizioni simili di illuminazione). Ma veniamo alle due serate consecutive già indicate.

La Luna il 16 giugno sera.
Il 15 giugno la Luna sarà in fase di 5,3 giorni ad un’altezza iniziale (intorno alle ore 22:00) di +29°, con frazione illuminata del 26% e visibile fin verso le ore 01:00 della notte seguente quando scenderà sotto l’orizzonte. La successiva serata utile invece, il 16 giugno, sarà in fase di 6,3 giorni a un’altezza iniziale di +34°, con frazione illuminata del 36% e visibile fino a poco dopo le ore 01:00 della notte successiva.

Per individuare il mare Tranquillitatis basterà orientare il telescopio sulla scura area basaltica situata fa i mari Serenitatis a nordovest, Fecounditatis a sudest e Crisium ad est e buone osservazioni a tutti.

Il cratere Beketov

Nome dedicato al chimico russo N. N. Beketov (1827-1911)

Cominciamo allora con l’osservazione del 15 giugno partendo a sudovest di Vitruvius e precisamente dal cratere Beketov di 9 km di diametro la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,9 a 3,2 miliardi di anni fa. Si tratta di una formazione lunare isolata nella pianura contornata da una cerchia di pareti alte 1000 mt ancora ben conservate, mentre nella platea non si scorgono dettagli degni di nota.

Il cratere Jansen

Nome assegnato da Madler nel 1837 dedicato all’ottico olandese Zacharias Janszoon, fu uno dei primi costruttori di telescopi.

Più a sud visitiamo ora il cratere Jansen e la zona circostante densamente ricca di interessanti dettagli. Si tratta di una struttura di 24 km di diametro la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,9 a 3,2 miliardi di anni fa. Le pareti intorno al cratere, alte circa 600 mt, ne collocano l’appartenenza alla variegata categoria dei cosiddetti “crateri fantasma”, formazioni crateriformi quasi completamente sepolte sotto uno strato di materiali e antiche lave di cui ne emerge solamente la sommità delle pareti. Nella platea, appiattita, si scorgono vari minuscoli craterini di cui il più esteso ha un diametro di soli 3,6 km.

Un interessante dettaglio che merita almeno una visita è costituito da un allineamento di imponenti creste che dalla parete meridionale si estende verso sudest. Nell’area immediatamente esterna merita una citazione la Rima Jansen, uno stretto solco poco profondo proveniente dal Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,9 a 3,2 miliardi di anni fa ed esteso dalla Dorsa Barlow verso nordovest per circa 40 km fino al cratere Jansen-R.

Andiamo ora ad osservare la vicina Dorsa Barlow anch’essa risalente al medesimo Periodo Geologico e con età da 3,8 a 3,2 miliardi di anni. Si tratta di una dorsale ramificata e notevolmente variegata con andamento decisamente irregolare che si estende dal cono vulcanico “Jansen-2” fino in prossimità del cratere Vitruvius-M per 124 km.

Volendo ora passare in rassegna i crateri situati nell’area intorno a Jansen, a nord vediamo Jansen-D-E-L tutti con diametro di 7 km oltre al più vasto Jansen-R di 25 km di diametro, anche questo appartenente alla categoria dei crateri sepolti di cui ne osserviamo un altro a breve distanza ma di diametro inferiore. Un altro gruppo di tre crateri lo vediamo a sud costituito da Jansen-H-K-W con diametro rispettivamente di 7-6-3 km.

Il cratere Cajal

Nome dedicato al medico spagnolo Santiago Ramon y Cajal (1852-1934).

A sudest di Jansen il relativamente recente cratere Cajal di 9 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Copernicano collocato a non oltre 1 miliardo di anni fa. Si tratta di una struttura isolata nella pianura con pareti alte 1800 mt in buono stato di conservazione.

Il cratere Carrel

Nome dedicato al fisiologo e scrittore francese Alexis Carrel (1873-1944).

Orientiamo il telescopio su Carrel, un altro giovane cratere di 17 km di diametro risalente al Periodo Geologico Copernicano con età non superiore a i miliardo di anni fa. In questo caso le pareti intorno al cratere si presentano irregolari sul lato rivolto ad oriente, mentre sul fondo si potranno individuare numerosi rilievi montuosi estesi a gran parte della platea.

Nell’area esterna si segnala lo sviluppo di rilievi montuosi che dalla parete sud di Carrel si estendono a semicerchio fino al cratere Jansen-H quasi si trattasse di quanto oggi rimane di una antichissima struttura crateriforme di grande diametro. Poco a sud del cratere Carrel merita un’osservazione anche un solco rettilineo esteso per circa 50/55 km verso sudest.

Il cratere Sinas

Nome assegnato da Schmidt nel 1878 dedicato al mercante greco e mecenate dell’astronomia Simon Sinas (1810-1876), lasciò in eredità l’osservatorio di Atene.

Concentrando ora l’attenzione a sud-sudest di Carrel andiamo ad osservare il cratere Sinas di 14 km di diametro la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. La cerchia delle pareti intorno al cratere, alta 2300 mt, si presenta ben conservata e con lunghe linee di creste mentre nella platea non si notano dettagli degni di nota.

Nell’area esterna segnalo a nord-nordovest il cratere Sinas-E di 9 km di diametro con pareti di 1700 mt mentre a sud-sudest Sinas-A di 5,8 km e Sinas-K di 5 km di diametro.

Il cratere Aryabhata

Dedicato all’astronomo e matematico indiano Aryabhata (476-550), fu autore di un trattato di astronomia (Aryabhatyam) e fece studi sul meccanismo delle eclissi.

Proseguendo sempre nel mare Tranquillitatis in direzione sud, vediamo ora Aryabhata, antichissima struttura di 22 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa. Basta una veloce occhiata anche a basso ingrandimento per comprendere che si tratta del residuo di un cratere di cui oggi ne vediamo solamente le basse e degradate pareti est e sudest mentre la platea venne inglobata dalle lave nella piana di Tranquillitatis.

Il cratere Wallach

Dedicato al chimico tedesco Otto Wallach (1847-1931).

A sudovest, il piccolo cratere Wallach di 7 km di diametro formatosi nel periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Si tratta di una struttura a conca dalla forma regolare e con pareti alte 1200 mt. Per quanto riguarda l’area esterna vi si potranno individuare numerosi rilievi montuosi, basse colline e innumerevoli crateri di vario diametro con la peculiarità che alcuni di questi costituiscono interessanti coppie di craterini privi purtroppo di denominazione ufficiale.

Il cratere Maskelyne

Dedicato all’astronomo inglese direttore della specola di Greenwich Nevil Maskelyne (1732-1811).

Una regione lunare veramente interessante è quella del cratere Maskelyne, situata in prossimità del bordo meridionale del mare Tranquillitatis allo sbocco del Sinus Asperitatis. Si tratta di una struttura crateriforme di 26 km di diametro originata nel Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. I ripidi bastioni intorno al cratere, alti 2500 mt, si presentano ben conservati e con lunghi terrazzamenti mentre nella platea prevalgono nettamente vari gruppi di monti e colline.

Nell’area esterna segnalo ad ovest-sudovest Maskelyne-B di 9 km di diametro con pareti di 2000 mt oltre ai crateri Maskelyne-Y e Maskelyne-X entrambi di 4 km e Maskelyne-G di 6 km di diametro. A sud Maskelyne-W di soli 4 km e a nord Maskelyne-K di 5 km, entrambi isolati fra gli immensi e scuri basalti di Tranquillitatis.

Andando ora a osservare la zona a est del cratere principale merita una visita Maskelyne-D, quanto oggi rimane di una presumibile struttura crateriforme di 33 km di diametro ormai quasi completamente distrutta e di cui non è noto il periodo geologico originario. Delimitata a nord, est e sudest da irregolari rilievi collinari disposti grossolanamente ad anfiteatro, la platea appare completamente inglobata nelle lave e nei materiali di Tranquillitatis. Immediatamente a nordovest di tale struttura vediamo l’irregolare Maskelyne-R di 13 km oltre al minuscolo Maskelyne-J di 4 km diametro sull’angolo di nordest. Infine a sud-sudest i più lontani Maskelyne-C di 9 km e Maskelyne-A di 29 km di diametro, quest’ultimo con la sua forma decisamente irregolare.

I crateri Menzel e Zahringer

Il primo dedicato all’astrofisico americano Donald H. Menzel (1901-1976), mentre il secondo al fisico tedesco Joseph Zahringer (1929-1970).

Procedendo da Maskelyne verso est a breve distanza dal margine sudorientale di Tranquillitatis, quasi al confine col mare Fecounditatis, oltre a Maskelyne-F di 21 km, si segnalano il piccolo cratere Menzel di soli 3 km di diametro e Zahringer di 12 km formatisi entrambi nel Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa.

I crateri Lawrence, Watts e Da Vinci

Dedicati rispettivamente al fisico americano Ernest O. Lawrence (1901-1958), all’astronomo americano Chester B. Watts (1889-1971) e a Leonardo da Vinci (1452-1519), fra i più insigni rappresentanti del Rinascimento italiano. Il nome di quest’ultimo fu assegnato da Peucker nel 1935.

Ancora più a est-nordest abbiamo invece alcune antichissime strutture la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa, tra cui i crateri Lawrence di 26 km, Lawrence-Z di 17 km, Watts di 15 km e il più ampio ma decisamente irregolare Da Vinci di 39 km di diametro.

Immediatamente a nord di questi crateri la vasta e anche questa antichissima area pianeggiante del Sinus Concordiae di 165 km di diametro (praticamente un lembo di Tranquillitatis che si incunea verso est in direzione di Crisium) che vide la sua formazione nel Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa. Peculiare la colorazione scura delle sue rocce basaltiche in notevole contrasto con la più elevata albedo delle rocce anortositiche dell’area circostante.

Cambiamo ora decisamente versante e orientiamo il telescopio in prossimità del margine sudoccidentale del mare Tranquillitatis dopo avere atteso però la successiva serata, il 16 giugno. Concentriamo pertanto l’attenzione su una bella coppia di crateri costituita da Sabine e Ritter.


I crateri Sabine e Ritter

Per entrambi i nomi furono assegnati nel 1837 da Madler, Il primo dedicato al fisico e matematico irlandese Edward Sabine (1788-1833), che partecipò come astronomo alla spedizione polare di Ross e Parry. Il secondo, dedicato al geografo tedesco Karl Ritter (1779-1859) e all’astrofisico e ingegnere tedesco Georg Dietrich August Ritter (1826-1908).

Iniziando da Sabine, si tratta di una struttura di 31 km di diametro giunta ai nostri giorni dal Periodo Geologico Imbriano Inferiore collocato a 3,8 miliardi di anni fa. Le ripide pareti intorno al cratere, alte 1500 mt, presentano un buono stato di conservazione e sono percorse da lunghi terrazzamenti.

Nella platea si potranno osservare svariati rilievi collinari con avvallamenti e piccoli craterini. nell’area esterna segnalo il minuscolo Sabine-A di soli 4 km.

Passando ora all’adiacente Ritter, il secondo componente di questa bella coppia, si tratta di un cratere di 32 km di diametro che vide la sua formazione nel Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Sulle pareti intorno al cratere, alte 1300 mt, non sarà difficile individuare lunghe e ripide linee di creste. Anche sul fondo del cratere Ritter sono in netta prevalenza numerosi rilievi collinari percorsi da alcune basse linee di creste disposte ad arco.

Nell’area esterna merita una citazione il breve allineamento costituito dai crateri Ritter-C e Ritter-B entrambi di 14 km oltre a Ritter-D di 7 km di diametro. L’interessante peculiarità di questi tre crateri consiste nel fatto che sono situati lungo lo sviluppo delle Rimae Ritter, un sistema di quattro larghi solchi paralleli orientati in direzione sudest-nordovest estesi per circa 104 km dall’area del cratere Ritter andando a terminare in prossimità dei crateri Ariadaeus-A e Ariadaeus-E, ipotizzandone anche la presumibile prosecuzione della vicina Rima Ariadaeus (già vista in un precedente articolo). L’origine delle Rimae Ritter viene fatta risalire al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa.

Il cratere Manners

Dedicato all’ammiraglio e astronomo inglese Russel Henry Manners (1800-1870).

A breve distanza merita una osservazione Manners, un cratere di 15 km di diametro la cui formazione viene ricondotta al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Le pareti intorno al cratere, alte 1700 mt, sono regolari e presentano un buono stato di conservazione con lunghe linee di creste sommitali, mentre nella platea potranno essere individuati piccoli craterini e basse colline.

Nell’area esterna il minuscolo Manners-A di 3 km di diametro ad ovest.

Il cratere Arago

Nome assegnato da Madler nel 1837 dedicato all’astronomo e fisico francese Dominique Francois Arago (1876-1853), fu direttore dell’Osservatorio di Parigi e nel 1862 scrisse “L’Astronomia Popolare”.

A nordest di Manners una regione lunare veramente spettacolare è quella intorno al cratere Arago, una struttura crateriforme molto interessante di 27 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa.

Sulle ripide pareti intorno al cratere, alte 1800 mt, potranno essere individuati lunghi terrazzamenti mentre al telescopio la platea si rivelerà prevalentemente montuosa e percorsa da lunghi e profondi avvallamenti.

Nell’area esterna al cratere segnalo la linea di creste che dalla parete meridionale di Arago si estende in direzione sud smistandosi poi in un sistema di solchi (nessuna denominazione ufficiale) quasi paralleli che si incurvano verso sudest andando così a terminare in prossimità dei crateri Arago-B e Arago-C rispettivamente di 7 e 3 km di diametro.

Il cratere Lamont

Nome assegnato da Krieger nel 1912 e dedicato all’astronomo scozzese/tedesco John Lamont (1805-1879), individuò la relazione fra il ciclo delle macchie solari e quello delle variazioni del magnetismo terrestre.

Pochi chilometri a est di Arago è d’obbligo effettuare dettagliate osservazioni di una eccezionale struttura geologica del nostro satellite: l’antichissimo Lamont, la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa.

La notevole peculiarità di Lamont consiste nell’intricato sistema di dorsali concentriche e radiali che ne delimitano l’area interna di 60 km mentre il diametro più esterno raggiunge i 120 km, anche se ufficialmente le dimensioni sono di 75 km.

Molto probabilmente si tratta di un cratere inserito nella variegata categoria dei “crateri fantasma” quasi completamente sommerso dai notevoli strati di materiali e antichissime lave che ormai ricoprono la piana di Tranquillitatis. Praticamente è un sistema di basse creste e dorsali approssimativamente concentriche oltre a numerose linee di creste che si estendono radialmente dal centro del cratere in modo particolare in direzione nord e sud. Queste strutture, creste e dorsali, si innalzano solamente di poche centinaia di metri dal fondo di Tranquillitatis per cui si rendono meglio individuabili in condizioni di illuminazione solare radente, cioè quando l’area di Lamont viene a trovarsi in prossimità della linea del terminatore lunare. Quindi un’occasione da non perdere sperando nel seeing almeno decente.

Per questo mese ci fermiamo qui e in un prossimo articolo verrà il turno della regione del cratere Cauchy situata nell’angolo sudest di Tranquillitatis oltre agli innumerevoli rilievi vulcanici sparsi in questo vastissimo bacino da impatto fra cui i domi nei pressi dei crateri Arago, Vitruvius, Jansen, Sinas, Maraldi, ecc.


Zhurong dà spettacolo!

0
Uno spettacolare doppio selfie del lander e del rover, apparentemente ripresi da una fotocamera posata al livello del terreno

Uno spettacolare doppio selfie del lander e del rover, apparentemente ripresi da una fotocamera posata al livello del terreno

Dopo le emozionanti sequenze in bianco e nero pubblicate 20 giorni fa che testimoniavano la discesa di Zhurong dalla piattaforma lander, era calato un silenzio quasi totale sulla missione, rotto solo nei giorni scorsi dalla prima immagine del luogo di atterraggio, ripreso però dalla sonda-madre Tianwen-1 in orbita marziana. Erano circolate anche presunte indiscrezioni che spiegavano questo silenzio con difficoltà non meglio precisate nell’affrontare le ostili condizioni marziane, oppure nel comunicare i dati raccolti con l’orbiter. La mattina dell’11 giugno, però, le nuove attesissime immagini sono arrivate, prima trapelate su alcune pagine twitter specializzate e poi apparse anche sul sito ufficiale dell’agenzia spaziale nazionale CNSA.

Cominciamo dall’immagine in apertura, la più intrigante, definita da CNSA come “foto di gruppo itinerante”. Essa mostra il rover giunto circa 10 metri a sud rispetto alla piattaforma di atterraggio, visibile sullo sfondo. Zhurong ha rilasciato sul terreno una telecamera separata, precedentemente installata nella parte inferiore del veicolo; poi è indietreggiando per “mettersi in posa”. La telecamera a terra ha trasmesso l’immagine al rover tramite un collegamento wireless, poi è rimbalzata a terra ritrasmessa dal rover attraverso l’orbiter. Un simile selfie non si era mai visto in precedenza, abituati come siamo a quelli realizzati assemblando le immagini riprese dai rover americani che utilizzano a questo scopo la fotocamera montata sul braccio meccanico, sempre a una certa altezza da terra; mai si era vista una ripresa unica, scattata da un’angolazione al livello del suolo.

Immagine del lander ripresa da Zhurong, con dettaglio schiarito del foro scavato nel terreno da un retrorazzo - Credits: CNSA - Processing: Marco Di Lorenzo

Quella qui sopra è invece una splendida vista grandangolare della piattaforma di atterraggio, scattata da una fotocamera di navigazione del rover quando questo si trovava circa 6 metri più a sud, intorno al mezzogiorno locale. L’immagine mostra anche, immediatamente sotto la bandiera nazionale, il profondo foro scavato nel terreno da uno dei retrorazzi che hanno rallentato la discesa del lander nelle ultime fasi; la regione, evidenziata da una cornice azzurra, è stata ingrandita e rischiarata in alto a sinistra.

Credits: CNSA - Processing: Marco Di Lorenz

Qui a destra invece (cliccare sull’immagine per ingrandire), una vista con angolo più stretto e ad alta definizione della superficie in direzione SSE, qui in risoluzione leggermente ridotta rispetto all’originale; a parte le dune chiare in lontananza e il bordo di un cratere più vicino, la superficie appare relativamente piatta, con pietre sparse di diverse dimensioni e colori; in corrispondenza del bordo del cratere, le pietre sono più numerose, scure e angolose.

Ecco infine una bella panoramica a 360° ripresa dal rover quando era ancora sopra la piattaforma di atterraggio. Nell’inserto vediamo, ingrandito, il guscio superiore e il paracadute, posati a 350 metri di distanza e fotografati anche dagli orbiter Tianwen-1 e MRO. Il riquadro in azzurro evidenzia la regione inquadrata nella foto precedente, in modo indicativo dato che il punto di ripresa non è lo stesso.

Immagine del lander ripresa da Zhurong, con dettaglio schiarito del foro scavato nel terreno da un retrorazzo - Credits: CNSA - Processing: Marco Di Lorenzo

Zhang Kejian, direttore della National Space Administration, ha rilasciato una dichiarazione nel classico stile retorico e pomposo dove si sottolinea l’intenzione di implementare altre missioni di esplorazione spaziale, condividendo i dati scientifici di alta qualità e sostenendo la condivisione aperta, la cooperazione reciprocamente vantaggiosa e il rilascio tempestivo dei dati scientifici, “in modo che tutta l’umanità possa condividere i risultati dello sviluppo aerospaziale cinese”; sono intenti ammirevoli, anche se siamo ancora lontani dalla filosofia NASA (e in parte ESA) di pubblicare immagini e dati in maniera continuativa e quasi in tempo reale!

Un’ultima annotazione riguarda la qualità elevata delle prime due immagini, se confrontata con quelle inviate dai rover americani. In particolare, il cielo appare estremamente uniforme, non c’è alcun segno di “vignettatura” (oscuramento ai bordi) e l’orizzonte è assolutamente dritto, senza alcun accenno di distorsione. Probabilmente, non si tratta delle immagini originali ma di versioni già fortemente processate per rimuovere questi difetti dalle immagini “raw”.

  • © Copyright Alive Universe
  • Sitografia e bibliografia: http://www.cnsa.gov.cn/n6759533/c6812126/content.html

  • Aggiornamento Supernovae – giugno 2021

    0
    Immagine di scoperta della AT2021kni ripresa da Koichi Itagaki.

    Immagine di scoperta della AT2021kni ripresa da Koichi Itagaki.

    Non abbiamo più aggettivi idonei per celebrare Koichi Itagaki, che ancora una volta mette a segno una nuova scoperta, la quarta per lui in questo 2021, per un totale di 163 scoperte, che gli permettere di occupare la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale, raggiungendo il neozelandese Stuart Parker.

    Nella notte del 26 aprile individua una nuova stella di mag.+16,7 nella galassia a spirale NGC7767 posta nella costellazione di Pegaso a circa 430 milioni di anni luce di distanza. Le condizioni di scoperta erano davvero molto difficili con la galassia bassa sull’orizzonte est e con i primi chiarori dell’alba a disturbare la ripresa. A causa di questa vicinanza al Sole, non è stato ancora possibile ottenere uno spettro di conferma, pertanto al transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2021kni.

    Si tratta sicuramente di una supernova scoperta dopo il massimo di luminosità e infatti il 17 maggio il programma ATLAS ha ripreso l’oggetto, diminuito di luminosità a mag. +17,6. Avevamo già contattato e intervistato Koichi Itagaki in occasione della sua scoperta n. 100 (vedi articolo: ), ma visto questo numero incredibile di scoperte, abbiamo deciso di contattarlo nuovamente per chiedergli qual è il segreto dei suoi successi. Ci ha risposto, come immaginavamo, che per ottenere delle scoperte è necessaria una buona dose di fortuna, ma è fondamentale riprendere il maggior numero di galassie possibile ogni notte che è sereno e controllarle nel più breve tempo possibile.

    Koichi Itagaki accanto al suo strumento principale, un riflettore da 60cm F.5,7.

    Adesso Itagaki dispone di tre Osservatori: Yamagata, Okayama e Kochi, con sei telescopi dedicati alla ricerca di supernovae: tre riflettori da 35cm F.11, un riflettore da 50cm F.6, un riflettore da 50cm F.6,8 e un riflettore da 60cm F.5,7.

    Con questa imponente strumentazione, riprende in automatico principalmente le galassie del catalogo NGC e ogni telescopio ottiene circa 50 target all’ora.

    Panoramica dei tre osservatori utilizzati da Koichi Itagaki.

    Moltiplicando le ore disponibili a notte per i sei telescopi, anche se lo stesso Itagaki ci ha riferito che difficilmente riesce ad avere sereno contemporaneamente nei tre Osservatori, viene fuori un numero impressionante di galassie che supera le 1000 unità a notte. La cosa che però ci ha lasciato a bocca aperta è che Itagaki controlla tutte queste immagini da solo, senza l’ausilio di un programma automatico di controllo immagini. Non possiamo che inchinarci di fronte a tanta costanza ed esperienza.

    Stuart Parker accanto al suo Celestron 14 nel suo osservatorio privato in Nuova Zelanda.

    Per adesso, nel 2021, solo due astrofili sono riusciti a ottenere delle scoperte. Oltre all’incredibile giapponese, anche il neozelandese Stuart Parker ottiene una nuova scoperta, per difendersi dall’attacco dell’astrofilo del Sol Levante, la seconda del 2021 che gli permette di riprendersi in solitario la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale, raggiungendo quota 164.
    Nella notte del 6 maggio individua infatti una nuova stellina di mag.+17,4 nella galassia a spirale barrata IC4367, posta nella costellazione del Centauro a circa 190 milioni di anni luce di distanza. Nella notte dell’ 11 maggio dal Gemini Observatory con il telescopio Gemini South da 8,10 metri posto a 2700 metri sul Cerro Pachon in Cile viene ripreso un primo spettro di conferma. La SN2021ltk, questa la sigla definitiva assegnata, viene annoverata fra le supernovae di tipo I, ma non è ben chiara la sottoclasse. Pochi giorni più tardi, il 14 maggio, sempre dal Gemini Observatory, viene ripreso un nuovo spettro, con le caratteristiche questa volta più definite, che ribalta la classificazione iniziale e riclassifica la supernova di tipo II con i gas espulsi dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 10.200 km/s.

    Immagine di scoperta della SN2021ltk ripresa da Stuart Parker.

    Per IC4367 si tratta della seconda supernova conosciuta, la prima fu la SN2005bq di tipo Ic, scoperta il 17 aprile 2005 dal famoso astrofilo sudafricano Berto Monard.

    Anche questa supernova non è però un facile oggetto da riprendere dalle nostre latitudini. La galassia ospite si trova infatti alla declinazione di -39° e pertanto saranno avvantaggiati gli osservatori del Sud Italia. Per esempio da Catania IC4367 culmina in meridiano a 14° sopra l’orizzonte, mentre a Milano raggiunge solo 6° sopra l’orizzonte Sud.

    Claudio Balcon.

    Sul versante italiano, naturalmente non abbiamo nuove scoperte, ma ci possiamo consolare ancora una volta con lo splendido lavoro che Claudio Balcon sta portando avanti sul lato spettroscopia. Il bravo astrofilo bellunese, classificando per primo nel TNS nel 2021 già 10 supernovae, raggiunge quota 29 e diventa il primo astrofilo al mondo in fatto di classificazioni nel TNS superando l’astrofilo inglese Robin Leadbeater fermo a quota 28.

    Il nostro Claudio è riuscito, con un semplice telescopio Newton da 200mm F.5 e uno spettrografo auto-costruito, a ottenere un altro incredibile record, classificando la supernova più lontana mai classificata da un astrofilo. Stiamo parlando della SN2021ljv posta nella galassia PGC33963 distante ben 630 milioni di anni luce. Al momento della classificazione la supernova aveva una luminosità prossima alla mag.+17,5 e situata molto vicina al nucleo della galassia ospite. Sono state pertanto necessarie 6 pose da 30 minuti, per un totale di 3 ore. I complimenti sono d’obbligo anche per il nostro Claudio.

    Immagine della SN2021ljv in PGC33963 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 – somma di 13 immagini da 75 secondi.


    inserire iframe

    La Via Lattea? Né unica né rara

    0
    La galassia Ugc 10738 vista di taglio dal Very Large Telescope dell’Eso, in Cile. Crediti: Jesse van de Sande/European Southern Observatory

    La galassia Ugc 10738 vista di taglio dal Very Large Telescope dell’Eso, in Cile. Crediti: Jesse van de Sande/European Southern Observatory

    Ebbene sì, la nostra galassia potrebbe non avere nulla di speciale, almeno dal punto di vista strutturale ed evolutivo. Ed essere dunque una galassia a spirale “simile” a tante altre sparse nel cosmo. A suggerirlo è il risultato di un nuova ricerca che ha permesso di rilevare una galassia strutturalmente molto simile alla Via Lattea, mettendo in dubbio l’unicità delle sue origini.

    La galassia sosia in questione è Ugc 10738, dista da noi 320 milioni di anni luce e secondo il nuovo studio, i cui risultati sono pubblicati su Astrophysical Journal Letters, risulta avere un disco galattico bipartito – costituito cioè di due componenti ben distinte – del tutto simile a quello della nostra galassia.

    Acquisite da un team internazionale di astronomi utilizzando il Very Large Telescope (Vlt) dello European Southern Observatory, in Cile, le dettagliate immagini del piano di Ugc 10738 mostrano infatti due strutture discali simili a quelle che si osservano nella Via Lattea: un “disco spesso”, o thick disc, e un “disco sottile”, o thin disk. Distinguere i due dischi è stato possibile grazie alla prospettiva di taglio – trasversale – offerta dalla galassia. «È un po’ come distinguere le persone basse da quelle alte», spiega Nicholas Scott, ricercatore all’Arc Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions (Astro 3D) e primo autore dello studio. «Se provi a farlo dall’alto è impossibile, ma se guardi di lato diventa relativamente facile».

    La somiglianza non è finita qui. I dati sui rapporti di metallicità stellare raccolti da Muse, uno spettrografo 3D sviluppato per il Vlt, rivelano infatti che ciascun disco presenta una distribuzione stellare analoga a quella dei dischi della Via Lattea, con le stelle più vecchie – identificate dalla loro bassa metallicità – contenute nel disco “spesso” e quelle più giovani – a più alta metallicità, come il Sole – contenute invece in quello “sottile”.

    Un numero speciale dedicato alla nostra galassia, in occasione del rilascio della DR2 di Gaia nel 2018. Clicca e leggi!

    Poiché una struttura simile suggerisce un processo di formazione simile, aver identificato una galassia strutturalmente uguale alla nostra fa pensare che il suo processo di formazione non sia certo unico, e forse nemmeno raro, bensì comune. Per questo motivo gli autori dello studio ritengono che la struttura della Via Lattea non sia il frutto di una rara e violenta collisione avvenuta molto tempo fa con una galassia più piccola, ma probabilmente il prodotto di un’evoluzione graduale, tipica della formazione di galassie a spirale con disco.

    «Le nostre osservazioni indicano che i dischi sottili e spessi della Via Lattea non si sono formati a causa di una gigantesca fusione, ma da una sorta di percorso predefinito di formazione ed evoluzione delle galassie», dice a questo proposito Scott. «Questi risultati ci inducono a pensare che le galassie con  strutture e proprietà simili alla Via Lattea potrebbero essere descritte come quelle “normali”».

    «Questa è una prova abbastanza forte del fatto che le due galassie possano essersi evolute nello stesso modo», aggiunge Jesse van de Sande, ricercatore presso la stessa struttura di ricerca e coautore dello studio, «ma stiamo esaminando altre galassie per esserne sicuri».

    Lo studio ha due profonde implicazioni, osservano i ricercatori. «Si pensava che i dischi sottili e spessi della Via Lattea si fossero formati dopo una rara e violenta fusione di galassie, e che quindi probabilmente non sarebbero stati trovati in altre galassie a spirale», sottolinea Scott. «La nostra ricerca mostra che questa visione probabilmente è sbagliata, e che la Via Lattea si è evoluta “naturalmente”, senza il coinvolgimento di eventi catastrofici. Ciò significa che le galassie simili alla Via Lattea sono probabilmente molto comuni». D’altra parte, continua il ricercatore, «questo significa anche che possiamo usare le osservazioni accurate che abbiamo della Via Lattea come strumento per analizzare meglio galassie molto più distanti che, per ovvie ragioni, non possiamo vedere in dettaglio».

    «Questo lavoro è un importante passo avanti nella comprensione di come le galassie con disco si siano formate molto tempo fa», conclude Ken Freeman, professore all’Australian National University e tra i firmatari dello studio. «Sappiamo molto su come si è formata  la Via Lattea, ma c’è sempre stato il dubbio sul fatto che potesse essere una galassia a spirale atipica. Ora sappiamo che la sua formazione è abbastanza tipica, simile a quella di altre altre galassie a disco».

    Per saperne di più:

    LICENZA PER IL RIUTILIZZO DEL TESTO

    Il Cielo di Giugno 2021 e l’eclissi anulare di Sole del 10 giugno

    0

    La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Giu > 00:00; 15 Giu > 23:00; 30 Giu > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

    A quell’ora il cielo apparirà attraversato nel basso meridiano dalla costellazione del Sagittario, individuabile facilmente grazie alla sua caratteristica figura a “teiera”, e dallo Scorpione, in cui brilla la rossa Antares.

    ➜ Approfondisci la mitologia e la scienza di questa rossa stella estiva con Stefano Schirinzi. La stella che segna il cuore dello scorpione, sia per luminosità che per il colore, la perfetta rivale del pianeta che rappresenta il dio della guerra, Ares, ovvero il pianeta Marte: Antares.

    Più in alto, sempre rivolti a sud, si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo situato quasi allo zenit. Il Leone, che ci ha accompagnati nei mesi passati, si starà invece avviando al tramonto, mentre verso est comincerà ad alzarsi l’asterismo del Triangolo estivo formato da VegaDeneb Altair (le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila), insieme ai ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea. Sull’orizzonte di nordest, più tardi durante la notte, farà capolino la grande Galassia di Andromeda (M 31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte già prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi (M 45) nel Toro.

    Continua l’esplorazione del cielo con la UAI, tra le rubriche passate dedicate al mese di giugno trovi anche:

    Vita e morte nella Lira e I soli azzurri dell’estate

    Ricordiamo poi la rubrica di Giorgia Hofer, su Coelum astronomia 214, dedicata alla ripresa del Triangolo estivo e della Via Lattea.

    Luna Sole Pianeti

    SOLE

    In giugno, continua l’apparente moto di risalita del Sole, che il giorno 21, alle ore 05:32 ora locale, raggiungerà il punto di massima declinazione nord dell’eclittica (pari a +23° 26′). In quel momento si verificherà il solstizio estivo, che nell’emisfero boreale sancirà l’inizio dell’estate astronomica.

    L’evento del mese che riguarda la nostra stella quest’anno però è l’Eclissi Anulare del 10 giugno, che in Italia sarà purtroppo visibile solo (molto) parzialmente e solo dalle regioni settentrionali.

    L’eclissi sarà infatti visibile a nord della latitudine 42.4° N sulla costa tirrenica e della 43.2° N su quella adriatica. Come si può vedere dall’animazione della NASA qui a sinistra, i paesi interessati dalla totalità (il pallino rosso al centro dell’ombra lunare) sono quelli del nord del mondo, dal Canada alla Groenlandia alle regioni più a nord est della Russia, mentre la fase parziale sarà visibile, tra gli altri, da buona parte dell’Europa, ma solo delle regioni della parte nord del nostro Paese.

    Credits: NASA's Scientific Visualization Studio/Ernie Wright

    L’eclisse, per chi potrà goderne nella sua totalità, sarà un’eclissi di Sole anulare, ovvero il disco lunare – trovandosi vicino all’apogeo, il punto della sua orbita più lontano dalla Terra – non riuscirà a coprire quello del Sole, lasciandone intravedere il contorno, un “anello di fuoco” sicuramente suggestivo, anche se non suggestivo quanto il “buio di giorno” di una eclissi totale.
    Qui sotto gli orari e una rappresentazione di quello che si potrà vedere per le principali località italiane (fonte UAI)


    Eclissi parziale di Sole. Simulazione relativa a Milano, ore 12:18

    Eclissi parziale di Sole. Simulazione relativa a
    Venezia, ore 12:25

    Eclissi parziale di Sole. Simulazione relativa a
    Firenze, ore 12:19

    L'eclissi anulare di Sole ripresa il 4 gennaio del 2011 dal satellite Hinode. Credit: NASA/Hinode/XRT

    A Milano sarà osservabile dalle 11:35 alle 13:04 con il Massimo alle 12:18 – (Mag. 0.097)
    A Venezia dalle 11:48 alle 13:05 con il Massimo alle 12:25 – (Mag. 0.070)
    A Firenze dalle 11:52 alle 12:49 con il Massimo alle 12:20 – (Mag. 0.037)

    Per saperne di più sulle Eclissi di Sole

    di Mario Rigutti:

    ➜ Come funzionano le Eclissi di Sole. «Ah, Signor Professore, la scienza esiste!»
    Geometria delle eclissi
    Eclissi storiche. I primi passi verso lo studio della parte esterna del Sole
    Le mie Eclissi di Sole. Diario di Viaggio di un Astronomo

    e ancora

    ➜ Eclissi di Sole: dalle suggestioni del passato alla scienza del futuro
    di Alessandro Bemporad, Luca Zangrilli, Silvano Fineschi (INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino)

    PIANETI

    Per quanto riguarda i pianeti, questo mese Giove e Saturno continuano a migliorare la loro visibilità, imperando nella seconda parte della notte, con il secondo che, sorgendo circa un’ora prima del fratello più grande, sarà visibile già prima della mezzanotte. Potremo poi osservarli verso sudest fino a vederli sbiadire nelle luci dell’alba.

    Venere invece domina il cielo della sera, e così sarà per tutto il periodo estivo. Lo potremo osservare nelle luci del crepuscolo serale per vederlo tramontare all’inizio della notte astronomica. Il 12 giugno sarà impegnato in una bella congiunzione con la sottile falce di Luna (vedi anche più sotto), accompagnato dalle luci di Castore e Polluce, la brillante coppia dei Gemelli con la quale “circonderà” la flebile luce del falcetto di Luna. Marte osserverà la scena da poco più in là.

    Congiunzione Venere-Mercurio di Paolo Bardelli. Una bella congiunzione tra Venere e Mercurio di fine maggio, ultimo saluto del piccolo pianeta roccioso che si prende una pausa nel cielo di giugno. Cliccare sull'immagine per i dettagli di ripresa... e per lasciare un commento all'autore!

    Difficoltà nell’osservazione di Marte e Mercurio, praticamente inosservabili anche se il primo potrà essere intravisto nella prima parte del mese, subito dopo il tramonto, basso all’orizzonte ovest-nordovest, pronto a raggiungere la botte degli Aloidi, il periodo di lungo riposo verso la congiunzione eliaca di questo autunno. Ci saluterà con una bella quanto tenue congiunzione con la falce di Luna del 13 giugno (attenzione però, a metà luglio sarà protagonista di una strettissima congiunzione con Venere, osservabile praticamente in diurna, una bella sfida per i più esperti). Il secondo, molto più veloce nell’apparire e nello sparire dal cielo del crepuscolo (serale o del mattino in base al periodo), sarà invece in congiunzione eliaca il giorno 11.

    I grandi pianeti ghiacciati, Urano e Nettuno, stanno sorgendo sempre prima nel crepuscolo dell’alba, in particolare Nettuno sorge un’ora dopo Giove, completando con Saturno un ideale terzetto di giganti nel cielo dell’alba. Idealmente perché, al contrario dei due giganti gassosi ben visibili a occhio nudo, per osservare Nettuno serve come sempre l’uso di uno strumento.

    LUNA

    Per la informazioni sulle fasi, le librazioni e le formazioni da osservare rimandiamo alla rubrica dedicata la Luna di Giugno 2021.

    Falce di Luna crescente di Roberto Ortu. Clicca per maggiori informazioni sulla ripresa.

    Per chi invece segue le falci lunari appuntamento per la nottata del 7 giugno quando alle ore 04:01 fra le stelle della Balena sorgerà una falce in fase di 26,3 giorni. L’esiguo margine di tempo a disposizione prima che prevalgano le luci dell’alba, non oltre i 30/40 minuti circa, sarà appena sufficiente per una rapida occhiata e per l’acquisizione di eventuali immagini. Con tutte le limitazioni del caso (accentuata turbolenza, cielo ormai non più buio) sarà comunque visibile l’estremo settore occidentale della Luna.

    Il mattino seguente, 8 giugno, sorgerà alle 04:24 una falce di 27,3 giorni ancora più problematica della precedente alla quale, con tutte le indispensabili precauzioni del caso, ci si potrà dedicare esclusivamente negli istanti in cui sorge dall’orizzonte.

    Per quanto riguarda la Luna Crescente, appuntamento per la serata dell’11 giugno con una falce di 1,4 giorni che tramonterà alle ore 22.21. Sull’esigua porzione di superficie illuminata non ci sarà proprio nulla da osservare pertanto lo scarso tempo a disposizione basterà probabilmente solo per alcune foto. La sera successiva, il 12 giugno, falce molto più comoda che tramonterà alle ore 23:12 in fase di 2,4 giorni fra le stelle dei Gemelli, preceduta da Venere e seguita da Marte.

    Qualche rapida osservazione potrà essere effettuata lungo il bordo orientale della Luna, in ogni caso sempre interessante in modo particolare per le innumerevoli strutture ristrette fra il bordo e il terminatore.

    Consideriamo come “falce lunare” anche quella che la sera del 13 giugno tramonterà alle ore 23:55 in fase di 3,4 giorni, affiancata da Marte che l’avrà raggiunta. Per le osservazioni al telescopio (ma anche ad occhio nudo) sulla sottile superficie visibile del nostro satellite sarà possibile ammirare l’intero mare Crisium oltre al lato est del mare Fecounditatis e le rispettive cuspidi nord e sud.

    Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli e sperare nella clemenza delle condizioni meteorologiche, anche se la stagione estiva ormai avanzata può sempre riservare brutte sorprese.


    Samantha Cristoforetti comanderà la ISS

    0
    Credits: ESA

    Credits: ESA

    DI MARCO CARRARA · astronautinews.it

    Si sapeva già che Samantha Cristoforetti sarebbe tornata sulla ISS, ma oggi ESA ha annunciato che l’astronauta italiana raggiungerà la Stazione Spaziale Internazionale nel 2022 a bordo di una capsula Crew Dragon di SpaceX. Come membro della missione Crew-4, Samantha avrà come compagni gli astronauti NASA, Kjell LindgrenBob Hines.

    Samantha, una volta in orbita, avrà l’onore e l’onere di assumere il ruolo di comandante della ISS durante la Expedition 68.

    L'approfondimento dedicato alla Missione Beyond con Luca Parmitano comandante della ISS nel 2019. Clicca e leggi!

    Samantha sarà il quinto comandante della Stazione Spaziale Internazionale dell’ESA e il quarto della classe del 2009, inoltre sarà la prima donna europea a ricoprire questo ruolo e il secondo cittadino italiano, dopo Luca Parmitano.

    Le decisioni sull’assegnazione dell’equipaggio e sul ruolo che ogni astronauta deve ricoprire sulla Stazione Spaziale vengono prese con il consenso del Multilateral Crew Operations Panel (MCOP), che comprende rappresentanti di tutti e cinque i partner internazionali: l’agenzia spaziale europea ESA, l’agenzia spaziale statunitense NASA, l’agenzia spaziale russa Roskosmos, la Japan Aerospace Exploration Agency JAXA e l’agenzia spaziale canadese CSA.

    L’astronauta dell’ESA Frank De Winne è stato il primo comandante europeo della Stazione Spaziale. Ora rappresenta l’ESA nel MCOP come capo dell’European Astronaut Centre e afferma che la nomina di Samantha dimostra il valore attribuito agli astronauti dell’ESA dai suoi partner internazionali.

    Sebbene il controllo generale della Stazione spetti ai direttori di volo a Terra, il comandante della Stazione Spaziale lavora per promuovere lo spirito di squadra tra gli astronauti e tra gli equipaggi a Terra e quelli nello spazio, garantendo che tutti i membri possano esprimersi al meglio.

    Non sono ancora stati definiti i dettagli della missione, come ad esempio quale Crew Dragon verrà utilizzata poiché potrebbe trattarsi di un veicolo nuovo oppure di uno di quelli che avrà già volato in missioni precedenti.

    Sono già noti i nomi dei membri che giungeranno sulla ISS con le Sojuz russe. Sergej Prokop’ev, Anna Kikina e Dimitrij Petelin faranno parte della Expedition 68 raggiungendo la ISS con la Sojuz MS-22, mentre Oleg Kononenko, Nikolaj Cub e Andrej Fedjaev faranno parte della Expedition 69 dopo aver raggiunto la ISS a bordo della Sojuz MS-23.

    Con questa nuova missione Samantha non potrà che migliorare il proprio e già ragguardevole record di giorni di presenza nello spazio che attualmente la vede a quota 199.

    Fonte: ESA

    Questo articolo è © 2006-2021 dell’Associazione ISAA – Alcuni diritti riservati.

    La Luna di Giugno 2021

    0

    Superluna su Palidoro. La Superluna del 26 maggio scorso, ripresa da Palidoro in una vista spettacolare nei momenti più suggestivi mentre sorge sopra l’orizzonte. Foto di Giuseppe Conzo del Gruppo Astrofili Palidoro. Per i dettagli di ripresa, cliccare sull'immagine.

    Già la prima notte di questo mese, 1 giugno, alle ore 01:54 la Luna sorgerà in fase di 20 giorni accompagnata dai pianeti Giove e Saturno mentre alle ore 09:24 del giorno successivo, il 2 giugno, sarà in Ultimo Quarto. Nel caso specifico sorgerà alle ore 02:20 in fase di 21,5 giorni alla distanza di 387499 km e visibile fino all’alba.

    Per gli appassionati di osservazioni lunari potrebbe essere una buona occasione per passare in rassegna l’enorme quantità di dettagli individuabili sulle immense distese basaltiche di Procellarum, Imbrium, Nubium, Humorum e altri, oltre allo spettacolare “triangolo” costituito dai crateri Aristarchus – Copernicus – Grimaldi.

    Alle ore 12:53 del 10 giugno avrà termine il corrente ciclo lunare con la fase di Luna Nuova e con la successiva ripartenza della fase crescente fino a raggiungere di sera in sera le migliori condizioni osservative.

    La fase di Primo Quarto si avrà alle ore 05:54 del 18 giugno ma con la Luna a -35° sotto l’orizzonte mentre per effettuare osservazioni col telescopio sarà necessario attendere le ore serali a partire dalle 22:00 circa, col nostro satellite in fase di 8 giorni a un’altezza iniziale di +39° e visibile fino alle prime ore della notte seguente quando scenderà sotto l’orizzonte.

    Anche se ormai gran parte delle strutture è stata ampiamente descritta nei precedenti articoli, volendo scorrere lungo la linea del terminatore potrà comunque rivelarsi interessante l’osservazione dei grandi crateri situati sul bordo orientale del mare Nubium, dal vastissimo Deslandres di 241 km di diametro per poi dedicarsi allo spettacolare allineamento dei grandi crateri da Walther (diametro 145 km) in direzione nord fino a Hipparchus (diametro 155 km) situato in prossimità dal Sinus Medii, con la concreta possibilità di individuare sempre nuovi dettagli oppure con una differente percezione degli stessi rispetto a precedenti osservazioni.

    Al culmine della fase di Luna Crescente, alle ore 20:40 del 24 giugno, il nostro satellite sarà in Plenilunio, circa 40 minuti prima di sorgere (ore 21:19) alla distanza di 362.201 km dalla Terra e con diametro apparente di 32,99′, pertanto perfettamente osservabile fin verso l’alba del mattino seguente.

    ➜ Guida all’osservazione della Luna Piena

    LIBRAZIONI
    nel mese di Giugno

    Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si allontanano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

    Librazioni Regione Nordest

    23 giugno
    Librazione est cratere Mercurius. Fase 13 giorni, sorge 20:04.

    24 giugno
    Librazione Mercurius/Humboldtianum. Fase 14 giorni, sorge 21:19.

    Nel caso specifico la massima Librazione interesserà l’area intorno al bordo lunare alla latitudine di Hercules-Atlas nel settore nordest della Luna, ma potrebbe rivelarsi interessante anche andare ad osservare il bordo sud-sudovest dal cratere Schickard fino alla regione polare meridionale passando per Bailly di 311 km che vedremo illuminato solo per metà della sua platea.

    Ripresa contestualmente la fase calante il nostro satellite di sera in sera abbandonerà progressivamente le comode ore serali per rintanarsi sempre più in orari notturni. Alle ore 00:46 del 30 giugno la Luna sorgerà per l’ultima volta nel corso di questo mese. Per l’occasione sarà in fase di 19,5 giorni con illuminazione al 69%. Con la lunga notte lunare ormai scesa sui mari Crisium, Fecounditatis e Nectaris potranno essere osservate in prossimità del terminatore vaste porzioni dei mari Frigoris, Serenitatis e Tranquillitatis ancora illuminate dal Sole sempre più basso sull’orizzonte della Luna.

    La fase di Ultimo Quarto è prevista per il giorno successivo, 1 luglio, alle ore 23:11 ma ne riparleremo nel prossimo articolo.

    ➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

    ➜ La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

    ➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!


    Marte. Prime foto da Zhurong

    0
    Credits: CNSA / Weixin

    Credits: CNSA / Weixin

    Dopo il fatidico atterraggio annunciato il 16 maggio scorso, c’è stata una crescente delusione mista a una punta di scetticismo di fronte alla totale assenza di immagini a conferma del risultato. Una attesa così prolungata è insolita, la NASA ci ha abituati a vedere le prime riprese da parte di un rover praticamente in tempo reale, appena arrivano al centro di controllo, tipicamente entro un’ora dall’atterraggio. In questo caso, però, il ritardo era in buona parte giustificato dal fatto che, nei primi giorni, non è stato possibile stabilire un collegamento diretto e a “banda larga” tra il rover e l’orbiter che lo ha rilasciato e che funge anche da “ponte radio” per inviare tali dati a Terra.

    In effetti, poco dopo il rilascio del complesso formato dal modulo di ingresso atmosferico, il lander e il rover, la sonda madre Tianwen-1 è stata impegnata in una serie di manovre per aggiustare la sua orbita e accorciarne il periodo. L’orbiter ha effettuato ben 4 accensioni in prossimità del peri-astro (il punto più vicino alla superficie marziana) e, nel giro di un paio di giorni, il periodo orbitale si è ridotto a 8,5 ore (circa un quarto della durata di un Sol); questo ha consentito di utilizzare l’orbiter come un ricevitore/ripetitore efficace dei dati provenienti dal rover.

    Due fotogrammi tratti dai video del distacco della capsula, ripresi da due telecamere di controllo sull'orbiter. - Credits: CNSA - Processing: Marco Di Lorenzo

    Così si è passati da una velocità di soli 2 bit al secondo dei dati di telemetria ricevuti a Terra, direttamente tramite il debole segnale del rover, a un collegamento UHF e banda X tramite l’orbiter con svariati kbit/s, per un volume totale che ora è stimato tra i 2,5 e i 6 Mbit al giorno. Le prime immagini dovrebbero essere giunte alle stazioni a Terra nelle prime ore di oggi e, a metà mattinata, hanno cominciato a circolare in rete. Sono apparse le prime due foto riprese al suolo e anche un paio di filmati sullo sganciamento del complesso dalla sonda madre, prima della discesa atmosferica (immagini qui sopra). Le ha rilasciate l’Amministrazione Spaziale Nazionale Cinese (CNSA) ma non sulla sua pagina ufficiale (che risulta di fatto inaccessibile al momento), bensì a questo link alternativo.

    Delle due foto in apertura, quella a colori è stata ripresa dalla “mastcam” del rover, prima disposta orizzontalmente e ora innalzata sopra il “deck”. Si tratta, per la precisione, della telecamera di navigazione che verrà usata per identificare il percorso del rover sulla superficie; si vede la parte posteriore del rover, con i pannelli solari dispiegati e l’antenna ad alto guadagno puntata verso lo Zenith. Sullo sfondo, la superficie di Utopia Planitia è chiaramente visibile con pochi sassi sparsi.

    Quella a destra, in bianco e nero, è invece una ripresa della telecamera “HazCam” anteriore; si tratta di una vista grandangolare e mostra, oltre al bordo della piattaforma di atterraggio (lander), anche la rampa già pronta con i due binari sui quali, sabato prossimo, il rover Zhu Rong dovrebbe discendere fino alla superficie, per poi scattare i primi selfie e iniziare le indagini sul terreno. Si notano in alto le due lunghe antenne del radar per l’analisi del sottosuolo e altri meccanismi, anch’essi dispiegati normalmente.

    Secondo la timeline pubblicata in questo sito, le indagini scientifiche vere e proprie inizieranno il 28 maggio (Sol 14) e dureranno fino al Sol 90, durata nominale della missione del rover. Quindi dopo ferragosto il rover dovrebbe interrompere le sue operazioni e l’orbiter tornerà nell’orbita di “mapping”, per poter esaminare la superficie dell’intero pianeta. Sulla base però delle esperienze precedenti dei due rover Yutu lunari, Zhurong potrebbe agevolmente sopravvivere oltre la sua durata nominale, magari comunicando meno spesso con la Terra e procedendo a velocità ridotta. Questo è prevedibile, tanto più che i suoi pannelli solari sono in grado di orientarsi e quindi scuotere almeno in parte la polvere che si dovesse depositare su di essi, una possibilità che invece non è stata prevista sui veicoli americani (i due rover Spirit/Opportunity e i lander Phoenix/Insight) decretandone la fine missione, comunque giunta molto oltre la durata nominale prevista.

    Credits: CNSA / Weibo

    Qui sopra, una mappa aggiornata del luogo di atterraggio ripreso dall’orbiter, le nuove coordinate di Zhurong sono 25,1° N, 109,9° E, circa 50 km più a nord della posizione inizialmente prevista. In pratica il rover si torva a circa 1700 km dal luogo in cui si è posato il lander Viking-2 nel 1976, sempre in Utopia Planitia ma decisamente più a Nord. Inoltre, il rover cinese si trova a oltre 2300 km da Curiosity e oltre 1800 km da Perseverance, gli altri due robot funzionanti su Marte; di conseguenza, non c’è alcuna speranza (o timore) che si possano mai incontrare!


    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    There was an error while trying to send your request. Please try again.

    Autorizzo Coelum Astronomia a contattarmi via e-mail utilizzando le informazioni che ho fornito in questo modulo sia per fini informativi (notizie e aggiornamenti) che per comunicarmi iniziative di marketing.