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Un APOD per annunciare l’eclissi totale di una Superluna

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Cos'è una Superluna? E una miniluna? Tutti i numeri con un pizzico di ironia assieme ad Aldo Vitagliano. Clicca e leggi.

L’Apod di oggi, 25 maggio, (il celebre sito della NASA, Astronomy Picture of the Day, che propone ogni giorno una diversa immagine astronomica) ha pubblicato un timelapse che mostra come cambia la luminosità della Luna durante un’eclissi lunare totale. Il video è di Wang Letian e Zhang Jiajie, ed è stato ripreso durante l’eclissi di 5 ore del 31 gennaio 2018.

Non perché sia qualcosa di mai visto, ma perché domani, 26 maggio, avverrà una di queste eclissi che oltre ad essere del tipo più “spettacolare” da osservare a occhio nudo (ricordate la magnifica eclissi di Luna in congiunzione con Marte in opposizione del 27 luglio 2018?), avverrà anche con la Luna vicina al perigeo (ovvero alla sua distanza minima dalla Terra): una super eclissi totale di Luna… o una eclissi totale di superluna?

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Quella di domani, per i fortunati che potranno osservarla, quindi sarà non solo una “Luna di sangue” (dal colore rossastro che prende durante il massimo, grazie alla luce riflessa da “tutti i tramonti” terrestri), ma anche una “superluna”, come ormai viene mediaticamente chiamata la Luna Piena vicina al perigeo (quindi al massimo della sua grandezza angolare e luminosità).

➜ Leggi Guarda che Luna Super! di Aldo Vitagliano

Purtroppo dall’Italia ci dovremo accontentare solo di quest’ultima, perché l’eclissi sarà visibile solo dal sud-est asiatico al sud-ovest delle Americhe, come mostra la grafica qui sotto.

Crediti NASA's Scientific Visualization Studio

Il fenomeno infatti inizia alle 10:47 (ora italiana), del 26 maggio e vede la Luna transitare nell’ombra della Terra dalle 11:45 alle 14:52, e si conclude alle 15:49. Il tutto quindi si svolgerà sotto ai nostri piedi…
Possiamo però consolarci con l’osservazione e la ripresa della Luna Piena, meteo permettendo, sempre bella e suggestiva, soprattutto sapendo che sarà “così vicina”.
La Luna Piena sorgerà alle ore 21:13 della medesima serata e dominerà praticamente incontrastata il cielo fino all’alba, e si troverà a una distanza di circa 363283 km.

➜ Leggi la Guida all’osservazione della Luna Piena

PhotoCoelum. SuperLuna vs. MiniLuna di Nunzio Micale. Clicca sull'immagine per tutti i dettagli di ripresa.

In realtà, per quanto “ci giureremmo”, a occhio nudo non è così facile apprezzare la differenza tra una Superluna e una Luna Piena qualsiasi (serve un confronto fotografico), ma la suggestione fa il suo e, osservandola al suo sorgere, ci sembrerà ancora più grande, grazie a un effetto ottico dovuto alla vicinanza con il panorama che fa credere al nostro cervello di vederla più grande che se fosse alta in cielo. L’illusione, perché si tratta più di un’illusione che di un effetto ottico, è nota come “illusione lunare“.
Se poi il meteo non fosse dalla nostra parte, possiamo sempre rivivere le emozioni della Notte in Rosso dell’estate 2018 attraverso le più belle immagini dei nostri lettori!

Aspettiamo dunque le vostre immagini come sempre su PhotoCoelum!

La Full Flower Moonrise di Tiziano Boldrini, una Luna Piena che sorge riflessa sullo specchio d'acqua anche questa rilanciata dal sito Apod della NASA. Cliccando sull'immagine tutti i dettagli di ripresa.


Vapori di metalli pesanti trovati inaspettatamente nelle comete, in tutto il Sistema Solare e oltre

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Ferro e Nichel nella rarefatta atmosfera di una cometa. Nell'immagine vediamo lo spettro di luce della cometa C/2016 R2 (PANSTARRS), che vediamo sullo sfondo di questa grafica, con una sua immagine ripresa dal telescopio Speculum, dell'Osservatorio ESO di Paranal. Ogni picco chiaro nello spettro rappresenta un diverso elemento chimico, il ferro e il nichel sono evidenziati rispettivamente con una scintilla blu e arancione. Gli elementi sono stati individuati solo oggi grazie alla sensibilità dello strumento UVES, che arriva sotto ai 300nm. Le principali linee di questi due elementi si esprimono attorno ai 350nm, rendendosi visibili, anche se debolmente, proprio grazie a UVES, che può così "intitolarsi a pieno merito" la scoperta. Crediti: ESO/L. Calçada, SPECULOOS Team/E. Jehin, Manfroid et al.
Ferro e Nichel nella rarefatta atmosfera di una cometa. Nell'immagine vediamo lo spettro di luce della cometa C/2016 R2 (PANSTARRS), che vediamo sullo sfondo di questa grafica, con una sua immagine ripresa dal telescopio Speculum, dell'Osservatorio ESO di Paranal. Ogni picco chiaro nello spettro rappresenta un diverso elemento chimico, il ferro e il nichel sono evidenziati rispettivamente con una scintilla blu e arancione. Gli elementi sono stati individuati solo oggi grazie alla sensibilità dello strumento UVES, che arriva sotto ai 300nm. Le principali linee di questi due elementi si esprimono attorno ai 350nm, rendendosi visibili, anche se debolmente, proprio grazie a UVES, che può così "intitolarsi a pieno merito" la scoperta. Crediti: ESO/L. Calçada, SPECULOOS Team/E. Jehin, Manfroid et al.

«È stata una grande sorpresa rilevare gli atomi di ferro e nichel nell’atmosfera di tutte le comete che abbiamo osservato negli ultimi due decenni, circa 20, e anche in quelle lontane dal Sole in un ambiente spaziale freddo», afferma Jean Manfroid dell’Università di Liegi, Belgio, che ha condotto il nuovo studio sulle comete del Sistema Solare pubblicato il 19 maggio su Nature.

Gli astronomi sanno che i metalli pesanti esistono nell’interno polveroso e roccioso delle comete. Ma, poiché i metalli solidi di solito non “sublimano” (diventano gassosi) a basse temperature, non ci si aspettava di trovarli nell’atmosfera delle comete fredde che viaggiano lontano dal Sole. I vapori di nichel e ferro sono stati ora rilevati persino nelle comete osservate a più di 480 milioni di chilometri dal Sole, più di tre volte la distanza Terra-Sole.

L’equipe belga ha trovato ferro e nichel nell’atmosfera delle comete in quantità approssimativamente uguali. Il materiale nel nostro Sistema Solare, per esempio quello che si trova nel Sole e nei meteoriti, di solito contiene circa dieci volte più ferro che nichel. Questo nuovo risultato ha quindi implicazioni per la comprensione del Sistema Solare primitivo, ma l’equipe sta ancora decodificando quali siano.

«Le comete si sono formate circa 4,6 miliardi di anni fa, nel Sistema Solare giovanissimo, e da allora non sono cambiate. In questo senso, sono come fossili per gli astronomi», aggiunge il coautore dello studio Emmanuel Jehin, anch’egli dell’Università di Liegi.

Sebbene l’equipe belga stia studiando questi oggetti “fossili” con il VLT dell’ESO da quasi 20 anni, finora non aveva individuato la presenza di nichel e ferro nell’atmosfera. «Questa evidenza è passata inosservata per molti anni», spiega Jehin.

Qui l'immagine pulita della cometa, situata nella parte esterna del sistema solare C / 2016 R2 (PANSTARRS). Questa nuova immagine è stata catturata da un progetto basato presso l’osservatorio Paranal dell'ESO in Cile, chiamato “la ricerca di pianeti abitabili che transitano attorno a stelle ultra fredde (in inglese the Search for habitable Planets EClipsing ULtra-cOOl Stars), o SPECULOOS in breve. Le osservazioni di SPECULOOS mostrano che la coda di questa cometa cambia radicalmente in una sola notte, creando una serie dinamica di immagini. L'immagine, mostrata qui, e i fotogrammi di accompagnamento nel film time-lapse, includono osservazioni prese il 18 gennaio 2018 durante la fase di test del telescopio Callisto di SPECULOOS, sono state scattate quando la cometa era a 2,85 UA dal Sole (1 UA è la distanza Terra-Sole) e mentre viaggiava verso l'interno del Sistema Solare. Questa cometa è di particolare interesse per via dei rari composti e molecole che gli scienziati hanno rilevato nella sua chioma, monossido di carbonio e ioni azoto, che avendo righe distintive blu in emissione le hanno fatto avere l'appellativo di "cometa blu". Una cometa timida che orbita attorno al Sole solo una volta ogni 20.000 anni, il suo passaggio più recente è stato nel maggio 2018. L'immagine è stata scattata mentre il telescopio seguiva il movimento della cometa; le strisce luminose di luce sullo sfondo sono stelle lontane, ma la cometa e la sua chioma gassosa sono a fuoco, una testimonianza del potere di inseguimento di SPECULOOS. Crediti: ESO/SPECULOOS Team/E. Jehin

L’equipe ha utilizzato i dati dello strumento Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph (UVES) installato sul VLT dell’ESO, che utilizza una tecnica chiamata spettroscopia per analizzare le atmosfere delle comete a diverse distanze dal Sole. Questa tecnica consente agli astronomi di rivelare la composizione chimica degli oggetti cosmici: ogni elemento chimico lascia un’impronta unica – un insieme di linee – nello spettro della luce degli oggetti.

L’equipe belga aveva individuato linee spettrali deboli e non identificate nei dati UVES e, a un esame più attento, ha notato che indicavano la presenza di atomi neutri di ferro e nichel. Un motivo per cui gli elementi pesanti sono stati difficili da identificare è che sono presenti in quantità molto piccole: l’equipe stima che per ogni 100 kg di acqua nell’atmosfera delle comete ci sia solo 1 g di ferro e circa la stessa quantità di nichel.

«Di solito si trova 10 volte più ferro che nichel, mentre nelle atmosfere cometarie abbiamo trovato circa la stessa quantità di entrambi gli elementi. Siamo giunti alla conclusione che potrebbero provenire da un tipo speciale di materiale sulla superficie del nucleo della cometa, che sublima a una temperatura piuttosto bassa e rilascia ferro e nichel all’incirca nelle stesse proporzioni», spiega Damien Hutsemékers, un altro membro dell’equipe belga dell’Università di Liegi.

Sebbene il team non sia ancora sicuro di quale materiale si tratti, i progressi nel campo dell’astronomia – come l’imager e lo spettrografo ELT per il medio infrarosso (METIS) che verranno installati sull’Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO ora in costruzione – consentiranno ai ricercatori di confermare la fonte degli atomi di ferro e nichel trovati nell’atmosfere di queste comete.

L’equipe belga spera che il loro studio spianerà la strada a future ricerche. «Ora si cercheranno quelle righe nei dati d’archivio da altri telescopi», conclude Jehin. «Riteniamo che questo innescherà anche nuovi lavori sull’argomento».

Metalli pesanti interstellari

Un altro notevole studio pubblicato sempre il 19 maggio su Nature mostra che i metalli pesanti sono presenti anche nell’atmosfera della cometa interstellare 2I/Borisov. Un’equipe in Polonia ha osservato questo oggetto, la prima cometa aliena a visitare il nostro Sistema Solare, utilizzando lo spettrografo X-shooter sul VLT dell’ESO quando la cometa ci è passata vicino circa un anno e mezzo fa. Hanno scoperto che la fredda atmosfera di 2I/Borisov contiene nichel gassoso.

Nell'immagine viene illustrata la scoperta di nickel nell'atmosfera della cometa interstellare 2I/Borisov. Nello spettro, analogamente all'immagine precedente, sono indicate in arancione le righe dell'elemento. Sullo sfondo un'immagine reale della cometa ripresa dal Very Large Telescope (VLT) dell'ESO a fine 2019. Lo spettro è stato ripreso in questo caso dallo strumento X-shooter del Unit Telescope 2 (UT2, Kueyen) del VLT dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada/O. Hainaut, P. Guzik and M. Drahus

«All’inizio abbiamo avuto difficoltà a credere che il nichel atomico potesse davvero essere presente in 2I/Borisov così lontano dal Sole. Ci sono voluti numerosi test e controlli prima che potessimo finalmente convincerci», afferma l’autore dello studio Piotr Guzik dell’Università Jagellonica in Polonia.

Lo speciale dedicato in occasione del passaggio della cometa. Clicca e leggi.

La scoperta è sorprendente perché, prima dei due studi pubblicati oggi, i gas con atomi di metalli pesanti erano stati osservati solo in ambienti caldi, come nell’atmosfera di esopianeti ultra caldi o in comete in evaporazione che passavano troppo vicino al Sole. 2I/Borisov è stata invece osservata quando si trovava a circa 300 milioni di chilometri dal Sole, circa il doppio della distanza Terra-Sole.

Studiare i corpi interstellari in dettaglio è fondamentale per la scienza perché trasportano informazioni inestimabili sui sistemi planetari alieni da cui provengono. «All’improvviso abbiamo capito che il nichel gassoso è presente nell’atmosfera delle comete in altri luoghi della galassia», afferma il coautore Michał Drahus, anche lui dell’Università Jagellonica.

Lo studio polacco e quello belga mostrano che 2I/Borisov e le comete del Sistema Solare hanno ancora più cose in comune di quanto si pensasse in precedenza. «Provate a immaginare che le comete del Sistema Solare abbiano i loro veri analoghi in altri sistemi planetari – ma quanto è bello?», conclude Drahus.

Ulteriori Informazioni

Questo studio è stato presentato in due articoli che verranno pubblicati dalla rivista Nature.

L’equipe che ha svolto lo studio “Iron and nickel atoms in cometary atmospheres even far from the Sun è composta da J. Manfroid, D. Hutsemékers & E. Jehin (STAR Institute, University of Liège, Belgio).

L’equipe che ha svolto lo studio “Gaseous atomic nickel in the coma of interstellar comet 2I/Borisov” è composta da Piotr Guzik e Michał Drahus (Astronomical Observatory, Jagiellonian University, Kraków, Polonia).


Guida all’osservazione: “Dal settore sudest verso nord” – Parte 12

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Nel caso specifico la scelta è caduta sulla serata del 18 maggio col nostro satellite in fase di 7 giorni (la serata successiva la Luna sarà in Primo Quarto) che intorno alle ore 21:30 si troverà ad un’altezza di +49° con frazione illuminata del 39,7%, visibile pertanto per tutta la serata fino a circa le 02:30 della notte seguente quando scenderà sotto l’orizzonte.

Per individuare la regione lunare oggetto delle nostre osservazioni basterà orientare il telescopio in prossimità del bordo occidentale della vastissima e scura area basaltica del mare Tranqullitatis.

Questo mese ci troviamo sul margine occidentale della vastissima e scura area basaltica del mare Tranqullitatis

Il cratere Julius Caesar

Per quanto concerne il già citato Julius Caesar, si tratta di un vasto e antichissimo cratere di 94 km di diametro la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Nectariano collocato da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa.
Le pareti intorno al cratere, che raggiungono l’altezza di 3400 metri, si presentano notevolmente degradate in modo particolare sul lato est, con la netta sovrapposizione di alcuni crateri secondari fra cui J.Caesar-G di 20 km, mentre a sud e sudest le pareti si riducono a semplici e bassi rilievi collinari. I segmenti maggiormente elevati dei bastioni montuosi intorno a Julius Caesar li potremo individuare sui lati ovest e nordovest dove si segnalano i crateri J.Caesar-A di 13 km e J.Caesar-B di 7 km di diametro oltre a J.Caesar-J e J.Caesar-H entrambi di soli 3 km.

Nella platea di Julius Caesar, quasi completamente pianeggiante ad eccezione del settore sudest, gli innumerevoli craterini e alcuni sottili solchi costituiranno un ottimo target per testare le ottiche del telescopio.

Nell’area esterna di questa antichissima struttura lunare, tralasciando la già vista rima Ariadaeus, sarà molto interessante visitare Julius Caesar-1 un notevole rilievo montuoso di origine vulcanica le cui dimensioni sono di 28 x 14 km, con forma allungata, ripide pareti e un piccolo cratere sommitale. A pochi km di distanza un altro scudo vulcanico noto come Ariadaeus-1 di 6 x 6 km. Entrambe le formazioni sono situate a sud, dove si segnalano anche J.Caesar-C e J.Caesar-D di 5 km di diametro.

A occidente l’irregolare Boscovich-E di 21 km con gli adiacenti Boscovich-A di 6 km e Boscovich-D di 5 km unitamente allo scudo vulcanico Boscovich-E1 di 15 x 15 km, situato proprio sulla parete sud di Boscovich-E.

Ritengo molto interessante e meritevole di approfondite osservazioni l’area a nord di J.Caesar fino in prossimità del Lacus Lenitatis. Si tratta di crateri estremamente irregolari e ricoperti di scure rocce basaltiche fra cui J.Caesar-P di 37 km di diametro di forma vagamente triangolare con l’adiacente J.Caesar-F di 19 km di forma ovale e con pareti quasi inesistenti per terminare con J.Caesar-Q di 32 km di diametro. Quest’ultimo cratere si differenzia dagli altri per le sue pareti presenti solo sui lati est e ovest risultando pertanto inesistenti a nord e sud. Infine a est, dopo una zona dominata da basse colline, si trova l’antichissimo Sinus Honoris in diretta comunicazione con l’adiacente settore nordovest del mare Tranquillitatis.

Il cratere Sosigenes e le sue rimae

Immediatamente all’esterno di Julius Caesar, esattamente a sudest, puntiamo ora il telescopio sul cratere Sosigenes di 19 km di diametro, affacciato sul bordo occidentale di Tranquillitatis, giunto fino ai nostri giorni dal Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa.

La cerchia delle pareti intorno al cratere, alta circa 1700 metri, presenta un discreto stato di conservazione con lunghe linee di cresta sommitali, mentre nella platea vi si potranno individuare solo minuscoli craterini.

Nell’area esterna citiamo Sosigenes-B di 4 km a sudovest, ma non si potrà perdere l’occasione per osservare in dettaglio il vicino Sosigenes-A di 12 km di diametro situato pochi km più a sudest. Anche questo è in discrete condizioni di conservazione con pareti regolari e una platea almeno apparentemente priva di dettagli particolarmente interessanti, mentre la peculiarità di questa struttura è costituita dalle Rimae Sosigenes, un sistema di solchi estesi per circa 160 km in direzione nord/sud ma con alcune differenziazioni.

Infatti vari segmenti paralleli da Sosigenes-A si estendono verso nord fino al cratere Maclear mentre un singolo segmento delle medesime Rimae si estende verso sud fino in prossimità del cratere Ariadaeus-E intersecando perpendicolarmente un’altra sottile fessurazione del suolo. Da notare infine come il segmento più orientale di queste rimae sia intersecato da una breve quanto evidente catena costituita da piccoli crateri e sprofondamenti.

Per individuare le Rimae Sosigenes come strumento ottico viene indicato un riflettore di almeno 300mm di diametro, ma vale quanto già scritto più volte in questi casi: provare anche con telescopi di diametro inferiore senza alcuna preclusione.

Il cratere Maclear

Per quanto riguarda Maclear, si tratta di un cratere di 20 km di diametro la cui formazione viene fatta risalire al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. La modesta cerchia montuosa intorno al cratere non supera l’altezza di 600 metri sulla quale non si evidenzia un particolare stato di degrado mentre la platea risulta relativamente piatta e di colore scuro.

Nell’area immediatamente esterna non potrà mancare una visita alle Rimae Maclear, costituite da solchi paralleli e distanziati orientati in direzione nord/sud estesi per circa 110 km verso il cratere Al-Bakri situato a sud del promontorio di Cape Acherusia. L’origine di questi solchi viene presumibilmente ricondotta al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa.

Per l’osservazione delle Rimae Maclear viene indicato un riflettore di almeno 300mm anche se l’ultima parola, come nella maggior parte dei casi, spetterà ad un giudice dispotico quanto inappellabile: il seeing della serata.

Il cratere Ross

Proseguendo lungo il settore nordoccidentale del mare Tranquillitatis, vediamo ora il cratere Ross di 27 km di diametro la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Le pareti intorno al cratere, alte 1800 metri, non sono particolarmente degradate ad eccezione della sovrapposizione di qualche piccolo cratere e alcuni evidenti sprofondamenti.

La platea si presenta relativamente piatta nella quale si potranno individuare numerosi rilievi collinari che dai versanti interni delle pareti si estendono verso il centro del cratere. Notare infine un rilievo in posizione quasi centrale decentrato verso ovest.

Nell’area esterna intorno al cratere si segnalano Ross-B di 6 km ad ovest, Ross-H di 5 km a sud, Ross-D di 9 km a nordest, mentre a sudest segnalo i crateri Ross-E-F-G di 4/5 km di diametro.

Il cratere Plinius

Proprio nell’angolo più nordoccidentale del mare Tranquillitatis, e a breve distanza dal margine meridionale del mare Serenitatis, vediamo ora il cratere Plinius di 44 km di diametro giunto fino ai nostri giorni dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa.

Si tratta di una notevole struttura lunare circondata da una ripida cerchia montuosa che raggiunge l’altezza di 2300 metri su cui sarà semplice individuare, oltre a vari piccoli crateri, anche lunghi terrazzamenti ad eccezione di vari collassamenti sulla parte settentrionale.

Sul fondo di Plinius l’osservazione potrà rivelarsi alquanto interessante. Infatti si potrà notare subito come l’area pianeggiante sia limitata solo a una porzione del settore orientale mentre il resto della platea è letteralmente occupato da innumerevoli rilievi sia collinari che montuosi distribuiti dal centro del cratere fino alla base delle pareti nord, ovest e sud. Si segnalano inoltre un sistema montuoso in posizione centrale e numerosi piccoli crateri.

Nell’area esterna, siamo ormai nella piana di Tranquillitatis, si segnalano Plinius-A di 4 km di diametro a sud, Tacquet-C di 6 km e Al-Bakri di 12 km a sudest, mentre a nord l’interessante sistema di solchi grossolanamente paralleli delle Rimae Plinius (Periodo Geologico Imbriano da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa) estesi per circa 130 km lungo l’estremità meridionale del mare Serenitatis fra l’antichissimo promontorio di Cape Acherusia di 41 km di lunghezza e 1500 metri di altezza (Periodo Geologico Pre Imbriano da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa) e il monte Argaeus la cui origine risale al Periodo Geologico Nectariano collocato a 3,9 miliardi di anni fa, esteso per 51 km di lunghezza e 2500 metri di altezza.

Per l’osservazione telescopica delle Rimae Plinius è richiesto uno strumento a riflessione di almeno 200mm di diametro, ma invito i possessori di telescopi di diametro inferiore a non rinunciare in partenza a questo target, naturalmente seeing permettendo.

Il cratere Dawes

A questo punto ci ritroviamo in corrispondenza dell’estremità settentrionale del mare Tranquillitatis e visitiamo Dawes, un cratere di 19 km la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Copernicano collocato a non oltre 1 miliardo di anni fa.

Si tratta di una formazione circolare in posizione isolata nella vastissima distesa basaltica fra Serenitatis a nord e Tranquillitatis a sud. La cerchia delle sue ripide pareti alte circa 2300 metri si presenta in buone condizioni di conservazione e con lunghe linee di creste sommitali, mentre nella sua platea sarà possibile individuare numerosi ed estesi rilievi collinari e lunghi avvallamenti anche curvilinei fino a rendere il fondo del cratere molto tormentato. È possibile notare anche un monte in posizione centrale.

All’esterno del cratere, immediatamente a est, si segnala la breve Rima Dawes di 15 km di lunghezza orientata in direzione nord/sud, praticamente un largo e curvilineo avvallamento.

Il settore settentrionale del mare Tranquillitatis

Proseguiamo con l’osservazione delle principali strutture del settore settentrionale del mare Tranquillitatis e, orientando il telescopio immediatamente a sud del monte Argaeus (già visto), centriamo nell’oculare il cratere Fabbroni di 12 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Copernicano collocato a non oltre di 1 miliardo di anni fa. La relativamente giovane età geologica di questa struttura lunare viene evidenziata dal buono stato di conservazione delle sue ripide pareti che si innalzano fino a 2100 metri, mentre sul fondo del cratere non si notano dettagli degni di nota.

Nell’area esterna al cratere, ad eccezione del già citato monte Argaeus a nord, col telescopio si potrà spaziare in lungo e in largo su una moltitudine di piccolissimi craterini, anonimi e sottili solchi oltre a qualche gruppo di basse colline.

E proprio dopo queste basse colline sul margine nordorientale di Tranquillitatis si consiglia una visita all’interessante cratere Vitruvius di 31 km di diametro. Questa struttura lunare vide la propria formazione nel Periodo Geologico Imbriano Superiore collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa.

Sulla cerchia delle pareti intorno al cratere, non ancora degradate ed alte 1600 metri, si potranno individuare lunghe linee di creste sommitali oltre a vari sprofondamenti e numerosi piccoli crateri.

L’osservazione al telescopio della platea di Vitruvius consentirà di percepire la notevole presenza di innumerevoli rilievi collinari e lunghi avvallamenti estesi su gran parte del fondo del cratere. Ad eccezione della vasta regione lunare dei monti Taurus situata a nord/nordest di Vitruvius (che vedremo in un prossimo articolo), nell’area intorno al cratere si segnalano Vitruvius-M di 5 km di diametro a sud, Vitruvius-B di 18 km a sudest, Vitruvius-T di 15 km di diametro ad est e Vitruvius-L di 6 km a nord a breve distanza dall’omonimo monte Vitruvius.

Infine dal cratere Vitruvius si estende la vastissima distesa di Tranquillitatis da dove ripartiremo nella prossima puntata di giugno 2021.

Cenni storici

Cratere Julius Caesar: Nome dedicato al generale e uomo politico romano Caio Giulio Cesare (100-44 a.C.), descrisse le sue imprese nei “Commentari” (De bello gallico e De bello civili).

Cratere Sosigenes: Nome assegnato nel 1651 da Riccioli dedicato all’astronomo egiziano Sosigene (L° secolo a.C.), riformò il calendario su incarico di Giulio Cesare.

Cratere Maclear: Nome dedicato all’astronomo irlandese Thomas Maclear (1794-1879). Successe nel 1883 a Thomas Henderson nel ruolo di astronomo di Sua Maestà Britannica al Capo di Buona Speranza ed effettuò studi riguardo nebulose e comete.

Cratere Ross: Nel 1837 Madler dedicò il nome di questo cratere a due personaggi: James Clark Ross (1800-1862) esploratore scozzese che partecipò a varie spedizioni nell’artico tra il 1819 e il 1829 localizzando il polo magnetico settentrionale, mentre nel 1839/1842 durante una spedizione antartica esplorò il mare che porta il suo nome; Frank E. Ross (1874-1966) astronomo americano che eseguì studi in merito alla radiazione ultravioletta.

Cratere Plinius: Nome assegnato nel 1651 da Riccioli dedicato allo scienziato e storico Secondo Gaio Plinio detto “il Vecchio” (23-79 d.C.), autore dell’enciclopedia scientifica in 37 libri Storia Naturale, di cui il secondo volume dedicato all’astronomia classica. Morì in seguito all’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei.

Cratere Dawes: Nome assegnato da Birt/Lee nel 1865 dedicato al teologo e astronomo inglese Padre William Rutter Dawes, scopritore del “limite di Dawes”.

Cratere Fabbroni: Nome dedicato al chimico e uomo politico italiano Giovanni Valentino Mattia Fabbroni (1752-1822).

Cratere Vitruvius: Nome dedicato all’architetto romano Marco Vitruvio Pollione (I° secolo a.C.).


Starship SN15 regala a SpaceX il primo atterraggio di successo

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Starship SN15 pochi istanti dopo l'atterraggio - Credits: SpaceX
Starship SN15 pochi istanti dopo l'atterraggio - Credits: SpaceX
DI MARCO ZAMBIANCHI · astronautinews.it

Con un balzo alla quota di 10 km avvenuto attorno alle 00:25 di oggi 6 maggio 2021 il quindicesimo prototipo della serie Starship ha finalmente eseguito correttamente la manovra di atterraggio. Non solo SN15 si è posato dolcemente a terra senza schiacciare le gambe di supporto, ma è anche sopravvissuto ad un principio di incendio senza esplodere.

Ecco il video per rivivere le emozioni della diretta.

Starship SN15 durante il volo orizzontale – Credits: SpaceX

Il profilo di volo è rimasto quasi lo stesso dei suoi predecessori.

Dopo una salita alla quota di 10 km compiuta nel giro di 4 minuti circa, accompagnata dallo spegnimento progressivo e controllato dei propulsori Raptor, il gigantesco prototipo ha svolto la manovra belly flop che lo ha portato in volo orizzontale.

I due Raptor accesi pochi istanti prima dell’atterraggio – Credits: SpaceX

Nonostante le immagini intermittenti è stato poi possibile seguire alcuni istanti della traiettoria di discesa controllata, dove la principale differenza tra questo e i balzi precedenti è apparsa chiara: a raddrizzare e far atterrare SN15 sono stati due motori Raptor contemporaneamente, tenuti accesi fino al momento di contatto col suolo.

SN15 a terra, leggermente discosta dal centro della piazzola, con le prime fiamme dell’incendio – Credits: SpaceX

Immediatamente dopo l’atterraggio, alla base di SN15 si è sviluppato un piccolo incendio che ha riportato alla mente le circostanze della distruzione di SN10, avvenuta proprio a causa di un incendio nella zona dei motori vari minuti dopo il suo rientro. Al momento in cui scriviamo l’incendio appare domato e dal razzo vengono liberati, tramite apposite valvole di sfogo, i fumi dei propellenti ancora presenti nei suoi serbatoi.

È stato Elon Musk stesso a dichiarare il successo della missione con uno dei suoi tweet.

È dunque il caso di scomodare l’aggettivo “storico” per definire questo volo, che oltre all’obiettivo più ovvio, cioè un atterraggio riuscito, segna anche l’esordio di un nuovo design per le Starship, non evidente all’esterno ma presente in vari dettagli dei sottosistemi di bordo. Possiamo solo sperare che Elon Musk decida di fornire qualche dettaglio extra nel corso dei prossimi giorni.

Copyright Associazione ISAA 2006-2021 – Vedi qui i dettagli della licenza.

La Croce del Nord entra nell’era Frb

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La stazione di Medicina, con i due rami perpendicolari della Croce del Nord al centro, e l'antenna parabolica da 32 m sulla sinistra. Crediti: G. Bianchi
La stazione di Medicina, con i due rami perpendicolari della Croce del Nord al centro, e l'antenna parabolica da 32 m sulla sinistra. Crediti: G. Bianchi

Un pezzo di questa storia inizia il 3 marzo 2021 alla Stazione radioastronomica di Medicina dell’Istituto nazionale di astrofisica. Siamo nella “bassa” bolognese, 30 chilometri a est del capoluogo emiliano, verso Ravenna e l’Adriatico. D’inverno non è rara la neve, d’estate non mancano le zanzare, e la leggenda vuole che mezzo secolo fa, proprio in questo angolo della Pianura Padana, ci fosse un ristorante che serviva dei tortelloni favolosi. È qui che, alle 16:17:29 ora locale, un segnale dalle profondità del cosmo raggiunge sei dei 64 cilindri di metallo che costituiscono uno dei due rami del primo radiotelescopio d’Italia, la Croce del Nord.

Pur nelle restrizioni imposte dalla terza ondata della pandemia da Covid-19, un piccolo gruppo di radioastronomi si trova a Medicina. Lavorano a diversi progetti e continuano a lavorare anche quando lo strumento, diligente e silenzioso, capta il rapidissimo segnale. Otto millesimi di secondo. Dieci, quindici volte più rapido del proverbiale batter d’occhio. Una tempistica che intuitivamente fa quasi a pugni con la dinamica non poi così movimentata della Croce del Nord che, invece, è proprio ciò che ha permesso allo storico radiotelescopio di intercettare questo breve lampo nelle onde radio a basse frequenze.

«Possiamo puntarlo solo in declinazione», spiega Germano Bianchi, ricercatore Inaf e responsabile della Croce del Nord, «e può osservare tutti gli oggetti che, durante il loro moto apparente da est a ovest, passano sul meridiano locale». Gli astronomi parlano di uno strumento “di transito”. Sta lì e guarda il cielo che gli passa sopra, come quando ci si sdraia a pancia in su in una notte d’estate, lasciando che la rotazione terrestre faccia il suo corso, srotolando un flusso continuo di sorgenti astronomiche sulla volta celeste. Solo che la Croce del Nord, essendo un radiotelescopio, può scrutare il cielo anche durante il giorno. Bianchi chiama in causa il paraocchi di un cavallo che, sul ciglio di una strada, guarda avanti e ogni tanto vede passare una macchina: «le macchine sono le radiosorgenti e il paraocchi è il campo di vista della Croce».

Tecnologie di ieri (e di oggi)

Radiotelescopi di transito come questo, un’avanguardia tecnologica ai tempi della sua costruzione, erano molto in voga fino agli anni ‘70-‘80 del secolo scorso perché relativamente semplici da costruire, senza costose parti meccaniche che hanno spesso bisogno di manutenzione. Inaugurato nel 1964, la Croce del Nord è ancora uno dei più grandi strumenti di questo tipo al mondo, con un’area di raccolta di circa 30mila metri quadrati – l’equivalente di sei campi da calcio – che garantisce una sensibilità elevata nelle osservazioni.

Dettaglio sulle antenne della Croce del Nord in una foto scattata a metà marzo 2021; in lontananza si riconosce la parabola da 32 metri. Crediti: G. Bianchi

Poi sono arrivate le grandi antenne orientabili, come quella di 32 metri di diametro che dal 1983 affianca la Croce del Nord a Medicina, oppure il Sardinia Radio Telescope (Srt), che con la sua potente parabola da 64 metri è da diversi anni il nuovo fiore all’occhiello della radioastronomia italiana. I grandi strumenti di transito sono passati in secondo piano per molti anni, per poi ritornare a sorpresa sulla scena dell’astronomia internazionale solo di recente. Il Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment (Chime), operativo dal 2017 in British Columbia, la provincia canadese che si affaccia sull’Oceano Pacifico, altro non è che una versione iper-moderna della Croce del Nord.

Uno dei motivi del grande revival di questi radiotelescopi ha molto a che vedere con il segnale ricevuto il 3 marzo scorso a Medicina, e si riassume in tre parole: fast radio burst (Frb), o lampi radio veloci. Come dice il nome, si tratta di brevissimi segnali ricevuti in banda radio, quasi esclusivamente da sorgenti al di là della nostra galassia, scoperti per la prima volta nel 2007. Ad oggi si conoscono un centinaio di sorgenti di Frb, ma la loro natura resta misteriosa, con decine e decine di modelli proposti per cercare di spiegare il meccanismo alla base di queste emissioni che fanno capolino, impreviste, nel firmamento radio. Un anno fa, la scoperta del primo Frb nella Via Lattea, peraltro in associazione con una magnetar, sembra indicare che queste stelle di neutroni altamente magnetizzate potrebbero celarsi (almeno) dietro alcuni dei lampi osservati finora, ma manca ancora una comprensione generale del fenomeno. Nel frattempo, intorno a questo enigma si è sviluppata una vivace attività di ricerca su tutti i fronti, dalle osservazioni in banda radio alla ricerca delle loro controparti nelle alte energie, fino alla modellizzazione teorica.

Secondo Gianni Bernardi, ricercatore Inaf a Bologna e coordinatore del programma di ricerca degli Frb con la Croce del Nord, sono tanti i casi scientifici oggi, «rilevanti soprattutto per la cosmologia ma nel nostro caso anche per i transienti, dove non hai necessariamente una sorgente preferita dove guardare, ma l’evento può capitare ovunque». Se non è importante la direzione verso cui si osserva, non c’è bisogno di spostare il telescopio da un punto all’altro del cielo, come si fa con le grandi antenne orientabili per studiare in dettaglio sorgenti radio specifiche, e vengono in aiuto i radiotelescopi di transito. Nel caso degli Frb, che durano pochi millisecondi e possono manifestarsi senza preavviso in qualsiasi parte del cielo, «non hai una grande necessità di sapere dove puntare, hai semplicemente bisogno di stare lì in cielo e aspettare che ne arrivi uno. Chiaramente, più cielo copri, meglio è».

A volte ritornano: lampi ripetuti

Impressione artistica di un Fast Radio Burst in viaggio verso la Terra. I colori rappresentano il fascio di luce che arriva a diverse lunghezze d’onda nella banda radio. In blu le lunghezze d’onda più corte, che arrivano svariati secondi prima di quelle in rosso, che corrispondono invece a lunghezze d’onda maggiori. Questo effetto si chiama dispersione ed è dovuto al fatto che il segnale radio passa attraverso a del plasma. Crediti: Jingchuan Yu, Planetario di Pechino

Ci vuole tempo per inquadrare un fenomeno relativamente nuovo e decisamente incostante come gli Frb. «In generale non sono periodici», sottolinea Maura Pilia, ricercatrice all’Inaf di Cagliari che si occupa di elaborare i dati ricevuti dai radiotelescopi, a caccia degli elusivi lampi. Eppure, nei quasi 14 anni dalla prima rilevazione, qualche linea tra i tanti puntini si inizia a intravedere. In particolare, è del 2016 la scoperta che alcuni Frb si ripetono. «Su un centinaio che si conoscono adesso, solo 20 si ripetono, cioè sono stati visti più di una volta». Anche quando si ripresentano, non sembra però esserci alcuna regolarità per questi imprevedibili fulmini nel cielo della radioastronomia.

O almeno, questa era la situazione prima di gennaio 2020, quando la collaborazione Chime annuncia per la prima volta di aver trovato un fast radio burst che si ripresenta regolarmente. Si chiama Frb 180916.J10158+65, ma agli esperti basta la sigla 180916, che identifica la sua prima osservazione, nel settembre 2018. Da allora, come spiegano gli autori in un articolo apparso su Nature lo scorso giugno, il radiotelescopio canadese ha osservato il lampo ripresentarsi per ben 38 volte nel corso di un anno e mezzo, puntuale ogni due settimane – 16,35 giorni per l’esattezza – con una fase di attività di circa cinque giorni per ciascun ciclo. «Non è la periodicità che ci si aspettava, come quella delle pulsar per esempio», commenta Pilia. «Il fatto che sia giorni, decine di giorni, fa pensare che si tratti di un sistema binario».

La regolarità non è solo un indicatore prezioso per cercare di afferrare la natura di queste impenetrabili sorgenti. Da un punto di vista pratico, significa poter ottimizzare le osservazioni e l’analisi dati. Per il programma di ricerca degli Frb con la Croce del Nord, allora iniziato da poco e ancora in forma sperimentale, il periodico ripresentarsi di 180916 è un vero pozzo di informazioni. Non appena il team ne viene a conoscenza, racconta Pilia, decide subito di cominciare a osservarla.

In primo piano, alcune antenne del ramo nord-sud della Croce del Nord; in lontananza, le antenne del ramo est-ovest. Crediti: G. Bianchi

Così da oltre un anno, due volte al mese, per sei giorni di seguito, un’ora ogni giorno, l’osservatorio di Medicina volge i suoi radio-occhi verso la costellazione di Cassiopea, dove si trova la sorgente di questo Frb dalla rassicurante regolarità, sincronizzando le osservazioni nell’intervallo di tempo in cui è molto probabile che questa sia attiva, in attesa di captare un segnale. «Riusciamo a inseguire la sorgente durante il transito all’interno del campo di vista dell’antenna», spiega Giovanni Naldi, ricercatore Inaf che lavora a Medicina e che, insieme al collega Giuseppe Pupillo, si occupa del back-end del radiotelescopio, inclusa la pianificazione delle osservazioni, l’acquisizione dei dati e l’elaborazione preliminare usando software di pre-processing. «Abbiamo questo sistema automatico che sintetizza un beam elettronico che si sposta nel tempo, inseguendo di fatto la sorgente che si muove nel campo di vista. Questo Frb lo stiamo inseguendo per circa un’ora al giorno».

Chi cerca trova…

La campagna osservativa iniziata lo scorso anno non comprende solo la Croce del Nord ma anche Srt, che riesce a catturare ben tre lampi da questa sorgente già tra il 22 e il 24 febbraio 2020. Oltre ai radiotelescopi, partecipano anche osservatori in banda ottica, tra cui il Telescopio nazionale Galileo a La Palma e il Telescopio Copernico ad Asiago, entrambi dell’Inaf, e satelliti che scrutano il cielo nelle alte energie, tra cui l’italiano Agile, che sta contribuendo al più ampio monitoraggio mai realizzato nei raggi X per una sorgente di Frb. «È stata una copertura importante», aggiunge Pilia. «Fra l’altro, in alcuni frangenti, la Croce è stato l’unico radiotelescopio italiano in grado di osservare. Le osservazioni siamo riuscite a farle, l’analisi è ancora in corso».

Già, perché il progetto del gruppo guidato da Bianchi e Bernardi è nato senza fondi dedicati – un piccolo stanziamento è arrivato solo di recente – e viene portato avanti, con passione e tenacia, da un piccolo gruppo impegnato in diverse altre attività. «Il personale dedicato è veramente poco, con Fte [full-time equivalent, una misura che quantifica il tempo del personale effettivamente dedicato a un particolare progetto – ndr] prese in prestito da altri progetti», fa notare Bianchi. Un programma di osservazione condotto finora tra un progetto e l’altro, ma con una visione chiara: riqualificare uno strumento per acchiappare segnali scoperti per la prima volta più di quarant’anni dopo la sua costruzione.

Il primo fast radio burst captato dalla Croce del Nord. Il pannello in alto mostra il profilo del segnale ricevuto. Nel secondo pannello, il segnale è stato corretto tenendo conto della dispersione nel mezzo interstellare; il terzo indica la significatività della misura di dispersione, e il quarto mostra la misura di dispersione, identificata dalle linee diagonali. Crediti: G. Bernardi et al (2021)

Tutto cambia lo scorso 12 marzo. «Per la prima volta son saltata sulla sedia», ricorda Pilia che, da Cagliari, elabora i dati con software di rivelazione dei burst ed è quindi l’incaricata del gruppo a dire se effettivamente l’antenna di Medicina ha visto un Frb oppure no. «Fino ad ora avevamo avuto delle speranze di detection sia con questa sorgente che con altre, però erano a un livello di significatività che poteva essere dubbio. Invece questa volta era senza ombra di dubbio la nostra sorgente, abbiamo beccato un bel burst».

La firma inequivocabile del primo Frb captato dalla Croce del Nord è il profilo del segnale che si staglia sul rumore, molto più netto rispetto a quello di possibili burst registrati in precedenza. A conferma della detection c’è anche quello che gli astronomi chiamano ‘misura di dispersione’, un ritardo causato dall’interazione del segnale con il mezzo interstellare che pervade la Via Lattea. Quando un segnale arriva da molto lontano, come nel caso di un Frb, subisce un ritardo più alto nelle frequenze più basse rispetto a quelle più alte. «Noi diciamo che viene disperso», spiega Pilia. E in questo caso, «si vede che il picco è proprio intorno alla misura di dispersione in cui ce lo aspettiamo».

Una nuova vita per la Croce del Nord

Il piano è quello di trasformare il radiotelescopio di Medicina in uno strumento dedicato alla ricerca di questi enigmatici e fulminei echi radio, un obiettivo ambizioso per il quale sono stati necessari numerosi interventi di ammodernamento. Lavorando a frequenze basse, questo radiotelescopio non ha una superficie riflettente formata da pannelli, come nelle antenne paraboliche, ma è costituita da una moltitudine di fili di acciaio. «Se arriva a Medicina una giornata particolarmente ventosa, i fili di acciaio iniziano a vibrare», ricorda Bianchi. «Così come accade per uno strumento a corda, l’antenna si mette a suonare come fosse una grande arpa: fa un sibilo che io trovo molto piacevole da ascoltare». Un suono che potrebbe richiamare alla mente degli appassionati di cinema quel “rumore delle stelle” che incuriosiva la protagonista del film “Il deserto rosso” di Michelangelo Antonioni, interpretata da Monica Vitti, in una scena girata proprio sotto il ramo est-ovest dell’iconico radiotelescopio, la cui costruzione era allora quasi terminata.

Le antenne del ramo est-ovest della Croce del Nord e, in basso, alcuni dei “cilindri” del ramo nord-sud. Crediti: G. Bianchi

Il ramo della Croce del Nord immortalato nella pellicola Leone d’Oro al Festival di Venezia del 1964 comprende 25 strutture che insieme formano un’unica grande antenna cilindrico-parabolica, lunga 564 metri. L’upgrade tecnologico in corso coinvolge invece l’altro ramo, quello orientato in direzione nord-sud, costituito da 64 singole antenne, anch’esse di forma cilindrico-parabolica, che si susseguono per 625 metri a cadenza regolare, una ogni 10 metri. Questi “cilindri” raccolgono le onde radio provenienti dal cosmo e le riflettono, convogliando i segnali sulla linea focale, dove vengono poi trasformati in impulsi elettrici da analizzare.

«Attualmente un cilindro ha una unica linea focale», chiarisce Bianchi. «Noi l’abbiamo divisa in 4 e così abbiamo ampliato il campo di vista di 4 volte». Questo permette di osservare una porzione un po’ più grande di cielo, nella speranza di captare qualche burst in più, ma anche satelliti e space debris. «La prima parte di upgrade dei primi 8 cilindri è iniziata grazie a Stelio Montebugnoli», aggiunge Naldi, ricordando il precedente responsabile della stazione radioastronomica di Medicina come «la persona che ha visto questa potenzialità grande e ha avuto la lungimiranza di ridare questa nuova vita alla Croce del Nord». Un altro pezzo di questa storia inizia proprio in quegli anni, dal 2006 in poi, quando il radiotelescopio viene proposto al consorzio Ska, che allora stava nascendo, come lo strumento su cui mettere alla prova gli algoritmi che sarebbero poi stati applicati per lo Ska Observatory, la più grande facility al mondo per la radioastronomia, attualmente in costruzione tra Australia e Sud Africa.

In alto, veduta aerea della Stazione di Medicina, con i due rami perpendicolari della Croce del Nord. In basso, schema dei “cilindri” che formano il ramo nord-sud. Fonte: N. Locatelli et al. Mnras, 2020

Da allora, la trasformazione della Croce del Nord procede per passi successivi. Dopo i primi 8 cilindri si è passati a 16, quest’anno si è raggiunta quota 32, ed entro il 2023 dovrebbe essere completato l’aggiornamento dell’intero ramo. L’ammodernamento della struttura prevede anche l’installazione della fibra ottica per il trasporto del segnale, che ha sostituito i vecchi cavi coassiali, e di nuove macchine più potenti ed efficienti all’interno della sala controllo. Le innovazioni tecnologiche iniziano a dare i loro frutti l’anno scorso, quando sei cilindri del ramo nord-sud riescono a catturare impulsi radio provenienti dalla pulsar B0329+54, una stella di neutroni che compie una rotazione in meno di un secondo. Un rapido segnale, dunque, non troppo dissimile da quello di un Frb. Questa osservazione dà fiducia al piccolo team, che in un anno continua ad accumulare dati inseguendo diverse sorgenti di Frb, grazie anche al supporto tecnico di diversi colleghi impegnati presso la stazione di Medicina e di collaboratori alle università di Oxford e Malta.

Fino a quel fatidico 12 marzo, quando il software di analisi di Pilia conferma la prima detection. «Io ero a Srt in realtà, stavo facendo altre osservazioni, nel frattempo stavo guardando i dati della Croce», racconta la ricercatrice. Nel frattempo, a Bologna, Bernardi sta partecipando a un meeting in modalità remota. Con la coda dell’occhio intravede una email inviata dalla collega di Cagliari, che immagina contenga in allegato una figura da includere in un documento in preparazione, proprio sul programma di osservazioni della Croce del Nord. Ma non ha il tempo di aprirla. Poi un messaggio su Whatsapp: “Ma non hai visto l’email?”

«Quando ho aperto l’email ho subito chiamato Maura e nella chiamata Skype abbiamo aggiunto Germano, Giovanni e Giuseppe», ricorda Bernardi. Magicamente, era pronto anche lo spumante. «Ho preso questa bottiglia che avevo conservato in frigo da qualche tempo e abbiamo fatto un grande brindisi».

A sinistra: Germano Bianchi apprende da Maura Pilia della prima detection di un fast radio burst da parte della Croce del Nord. A destra: Bianchi, Pilia e Gianni Bernardi festeggiano il risultato su Skype.

L’analisi dei dati continua. Probabilmente il telescopio ha captato qualche altro burst anche prima dello scorso marzo, ma le tracce sono ancora nascoste nella mole di dati da elaborare. Un lavoro che non può sovrapporsi a quello osservativo, poiché la macchina che acquisisce i dati è la stessa usata dal team per analizzarli. Gli Frb non sono infrequenti: Chime, che guarda ogni giorno tutto il cielo – dieci minuti per porzione di cielo – ne ha registrati un migliaio in circa due anni di osservazioni, molti dei quali sono burst ripetuti provenienti dalle stesse sorgenti. Certo, si tratta un telescopio un po’ diverso da quello di Medicina, che coinvolge personale più numeroso e finanziamenti più consistenti. Adesso, con il primo riscontro osservativo alle spalle, i ricercatori sperano di poter creare un gruppo dedicato proprio allo studio degli Frb con la Croce del Nord.

La storia più grande

A volte, anche qui sulla Terra, certe storie si mettono in moto ben prima di catapultarsi nella vita di alcuni dei loro protagonisti. Questo è ancor più vero nel cosmo, dove i segnali luminosi viaggiano per milioni, miliardi di anni a 300mila chilometri al secondo prima di raggiungere i telescopi e gli astronomi che, interpretando quei segnali, tentano di decifrarne l’origine. È proprio il caso di questa storia, che non inizia nel marzo 2021 con l’arrivo del segnale a Medicina, né nel gennaio 2020 con l’annuncio della periodicità di questo Frb, né tantomeno nel 2006 con il rilancio della Croce del Nord o addirittura nel 1964 con la sua inaugurazione. Questa storia inizia circa 485 milioni di anni fa, quando sulla Terra si era agli albori del periodo geologico Ordoviciano, era paleozoica. Non erano ancora apparsi i mammiferi, né uccelli o rettili, e nemmeno molte delle piante che conosciamo oggi. La vita sul nostro pianeta era principalmente acquatica, e nelle profondità sottomarine stavano comparendo i primi organismi vertebrati. Allo stesso tempo, nella periferia della galassia a spirale Sdss J015800.28+654253.0, un corpo celeste non meglio identificato, forse parte di un sistema binario, emetteva un rapido lampo, uno di tanti, in uno dei suoi cicli regolari, scanditi ogni 16,35 rotazioni di un lontano, insignificante pianeta roccioso, il terzo in orbita intorno a una stella che molto più avanti sarebbe stata chiamata Sole.

Immagine della galassia ospite di Frb 180916 (al centro) acquisita con il telescopio Gemini-Nord di 8 metri alle Hawaii. La posizione del lampo radio veloce nel braccio a spirale della galassia è contrassegnata da un cerchio verde. Crediti: Osservatorio Gemini / Nsf OiarLab / Aura

«Questa sorgente è molto interessante, è molto vicina», nota Pilia. Vicina in senso astronomico, chiaramente. Rispetto ad altre distanti miliardi di anni-luce, la galassia che ospita la sorgente di Frb 180916 non è terribilmente lontana: “solo” 485 milioni di anni-luce. «È stata localizzata velocemente e poi è molto attiva, quindi possiamo studiarla con grande dettaglio, almeno si spera». Il team continua a tenerla d’occhio con la Croce del Nord, insieme ad altre sorgenti di Frb, anche in vista della possibilità di osservare questi oggetti sul fronte opposto dello spettro elettromagnetico, nei raggi X e gamma. Tra queste sorgenti c’è pure l’unica nota nella nostra galassia, quella che tanto ha fatto parlare di una possibile correlazione tra lampi radio veloci e magnetar nel corso dell’ultimo anno. E mentre i meccanismi fisici alla base di questo fenomeno restano sconosciuti, l’ingresso di un nuovo telescopio in un filone di ricerca così avvincente non può essere che benvenuto.

«Abbiamo capito che avevamo fatto un pezzo di storia, che avevamo raggiunto una milestone importante», commenta Bernardi. Poco dopo la chiamata Skype di gruppo, il ricercatore invia la figura che mostra la detection a uno dei collaboratori del progetto, Giancarlo Setti, professore emerito dell’Università di Bologna, coinvolto nella realizzazione della Croce del Nord sin dai primi sviluppi. «Mi ha detto: “Bellissimo, da incorniciare”. Dopo mi ha anche detto: “In realtà noi lo sapevamo fin dall’inizio che fosse possibile”. Io ho risposto: “Diciamo che adesso che l’abbiamo visto sono più convinto”».

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La Luna di Maggio 2021

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Regalino di Pasqua di Lamberto Sassoli. La Luna, ripresa il 4 aprile scorso, si frappone alle stelle Nunki e Namalsadirah I del Sagittario. Per i dettagli della ripresa cliccare sull'immagine.

Volendo approfittarne per qualche osservazione col telescopio, lungo la linea del terminatore, si potrà partire dal settore nordest con l’estremità orientale del mare Frigoris da cui si potrà scendere verso sud in direzione della Palus Somniorum per poi scandagliare il lato est del mare Serenitatis dominato dal grande cratere Posidonius di 99 km di diametro con alle spalle i monti Taurus. Successivamente si potrà orientare il telescopio sulla vasta e scura distesa basaltica del mare Tranquillitatis in cui sarà molto interessante andare alla ricerca degli innumerevoli dettagli individuabili sulla sua variegata superficie anche con piccoli strumenti intorno ai 100mm di diametro così come riguardo la regione del mare Nectaris, meno estesa ma altrettanto ricca di spettacolari strutture geologiche, tra cui la famosa triade Theophilus, Cyrillus, Catharina con l’imponente scarpata dei monti Altai e i crateri Fracastorius e Piccolomini.

Ancora più a sud il settore sudest del vastissimo e altrettanto spettacolare altipiano meridionale costituirà un’inesauribile fonte di entusiasmanti osservazioni anche con un seeing almeno decente.

"Regalino di Pasqua" di Lamberto Sassoli. La Luna, ripresa il 4 aprile scorso in fase di Ultimo Quarto, si frappone alle stelle Nunki e Namalsadirah I del Sagittario. Per i dettagli della ripresa cliccare sull'immagine.

Trattandosi di una fase di Luna Calante, alle ore 21:50 del 3 maggio il nostro satellite si troverà in Ultimo Quarto ma a -55° al di sotto dell’orizzonte, pertanto chi intendesse effettuare qualche osservazione col telescopio dovrà attendere fino a notte inoltrata quando la Luna sorgerà in fase di 22 giorni, ricordando come in Ultimo Quarto vi sia la netta prevalenza delle scure e immense distese basaltiche dell’oceanus Procellarum e del bacino di Imbrium.

Alle ore 21:00 dell’11 maggio questo ciclo lunare giungerà al suo capolinea col Novilunio con la contestuale immediata ripartenza della fase di Luna Crescente che porterà progressivamente il nostro satellite nelle migliori condizioni osservative in modo particolare per quanto concerne la comodità di programmare osservazioni nelle ore serali.

Dopo il transito in meridiano delle 19:38, alle ore 21:13 del 19 maggio la Luna sarà in Primo Quarto in fase di 8 giorni e osservabile fino alle prime ore della notte seguente quando intorno alle 03:00 circa scenderà sotto l’orizzonte.
Riguardo al primo Quarto di Luna si è già detto e scritto di tutto ma rimane impagabile, almeno personalmente, la soddisfazione di aprire il telescopio e dirigerlo verso una delle sue numerosissime strutture geologiche situate in prossimità del terminatore e su questa alternare tutti gli oculari disponibili per cercare di individuare ogni minimo dettaglio anche se parzialmente nascosto dalle ombre proiettate dal Sole in corrispondenza di determinati rilievi.
Naturalmente tutto questo a prescindere di chi considera ancora l’osservazione lunare come una materia per “principianti”. Appare inoltre innegabile come nella fase di Primo Quarto prevalgano nettamente i vastissimi altipiani con la più elevata albedo delle loro rocce anortositiche, a prescindere dalle meno estese distese basaltiche dei mari Frigoris, Serenitatis, Tranquillitatis, Crisium, Fecounditatis, Nectaris.

Il capolinea della fase di Luna Crescente si avrà alle ore 13:14 del 26 maggio col nostro satellite in Plenilunio alla distanza di 363283 km dalla Terra e in età di 14,7 giorni.
Pertanto per chi intendesse programmare qualche osservazione del globo lunare completamente illuminato dal Sole segnaliamo che dovrà attendere almeno fino alle ore 21:13 della medesima serata quando dall’orizzonte sorgerà quel bel pallone più o meno giallastro con tonalità aranciate che dominerà praticamente incontrastato nell’ormai (forse….) mite cielo di maggio fino all’alba, quando cederà il posto al sorgere del Sole.

Quanto può offrire la Luna Piena all’Astrofilo appassionato di osservazioni lunari è già stato ampiamente trattato in un precedente articolo e forse basterebbe concederle almeno qualche occhiata col telescopio per rendersi conto della reale situazione sfatando certi comodi luoghi comuni, anche se poi la libera scelta è sempre soggettiva e in ogni caso più che legittima (per la serie: “guarda pure dove vuoi, nessuno ti dice niente…!”).

➜ Leggi la Guida all’osservazione della Luna Piena

Questa Luna Piena sarà anche una delle lune più grandi dell’anno, visto che cadrà con la Luna Piena in prossimità del perigeo, raggiunto nelle primissime ore del mattino, alle ore 03:53, con una distanza Terra-Luna di 357.309 km.

➜ Guarda che Luna Super! Tutti i numeri di Lune, Super Lune e Micro Lune

A partire dal Plenilunio in avanti la Fase Calante riporterà progressivamente il nostro satellite a rendersi osservabile sempre più dalla tarda serata fino alle ore della notte, concludendo questo mese quando alle ore 01:20 del 31 maggio sorgerà in fase di 19,7 giorni e perfettamente visibile fino verso l’alba.
Nel caso specifico, sulla sua superficie sarà possibile osservare vaste porzioni dei mari Frigoris, Serenitatis e Tranquillitatis in prossimità del terminatore, oltre agli immensi Imbrium e Procellarum estesi su gran parte del settore occidentale della Luna, in netto contrasto con la maggiore albedo degli altipiani.

LIBRAZIONI nel mese di MAGGIO

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si allontanano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Nordest: solo diurne.

27 maggio: Librazione est mare Crisium (Goddard/Plutarch). Fase 15 giorni, sorge 21:13. (In Luna Piena alle 13:14).

E ancora…

➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

➜ La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’immaginazione!


Addio a Michael Collins, l’uomo che non camminò sulla Luna

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L'immagine dedicata dal sito NASA Apod a Michael Collins: si tratta dell'ultima immagine, restaurata digitalmente, del crescente di Terra ripresa da un essere umano dallo spazio. Scattata dall'equipaggio dell'Apollo 17, il 17 dicembre del 1972, mostra la Terra da un punto di vista esclusivo, dal quale l'hanno potuta osservare solo 24 esseri umani nella storia, Michael Collins è stato uno di loro. Crediti: Apollo 17, NASA; Restoration - Toby Ord

Scompare all’età di 90 anni Michael Collins, il terzo uomo della missione Apollo, colui che attese nel modulo di comando, in orbita lunare, Armstrong e Aldrin, che facevano la storia come primi uomini a mettere piede sul nostro satellite, e che si assicurò di riportarli a terra sani e salvi.

La sua famiglia ne ha dato comunicazione nel pomeriggio (italiano) del 28 aprile, con un bel messaggio su twitter:

«Ci spiace comunicare che il nostro amato padre e nonno ci ha lasciati oggi, dopo una coraggiosa battaglia contro il cancro. Ha passato i suoi ultimi giorni in pace, con la sua famiglia al fianco. Mike ha sempre affrontato le sfide della vita con eleganza e umiltà, e ha affrontato questa sua sfida finale allo stesso modo. Ci mancherà terribilmente. Ma sappiamo anche quanto fortunato Mike si sentiva per aver vissuto la vita che ha avuto. Onoreremo il suo desiderio per noi di celebrare, e non piangere, quella vita. Unitevi a noi nel ricordare con gioia e affetto il suo acume, la sua sobria determinazione e la sua saggia prospettiva, guadagnate entrambe dal poter osservare la Terra dallo spazio e guardarla attraverso le calmi acque dal ponte della sua barca da pesca».


Il 16 luglio 2019, per il 50° anniversario del lancio dell'Apollo 11 sulla Luna, vediamo Michael Collins mentre parla ai membri del team di lancio dell'Apollo 11 e all'attuale team di lancio di Artemis 1, nella Firing Room 1 del Centro Controllo di Lancio del Kennedy Space Center della NASA in Florida. Una sorta di passaggio di consegne che ha emozionato tutti, chi era lì per parlare avendo fatto la storia dell'esplorazione umana dello spazio, e chi è lì ora a raccogliere questa eredità e a riprenderne il cammino. Credito immagine: NASA

Quello che forse non tutti sanno è che Collins è nato a Roma, figlio di un generale dell’esercito americano, che il 31 ottobre del 1930, giorno della nascita di Collins, era di istanza nel nostro paese.

Per ricordarlo vi invitiamo a rileggere la storia della sua straordinaria vita, che abbiamo pubblicato in occasione dei 50 anni della missione Apollo 11, raccontata da Luigi Pizzimenti che ha avuto l’occasione di conoscerlo.


Anatomia del superflare di Proxima Centauri

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Rappresentazione artistica di un brillamento stellare visto dal pianeta Proxima b, un mondo potenzialmente simile alla Terra. Crediti: Nrao / S. Dagnello
Rappresentazione artistica di un brillamento stellare visto dal pianeta Proxima b, un mondo potenzialmente simile alla Terra. Crediti: Nrao / S. Dagnello

È durato sette secondi. Sulla Terra è stato visto circa due anni fa, il primo maggio 2019. Ma avendo avuto origine a oltre 40mila miliardi di km da noi (dunque a poco più di quattro anni luce di distanza), quando è avvenuto, qui dalle nostre parti, era ancora il 2015. Parliamo di un flare, o brillamento. Dunque di un’eruzione d’energia e materia di potenza spaventosa – l’energia di miliardi di bombe. Un brillamento avvenuto, in questo caso, non sul Sole ma sulla stella a esso più vicina: Proxima Centauri. È stato il più grande brillamento mai registrato sulla nostra dirimpettaia galattica – cento volte più potente di quelli prodotti dal Sole – e uno fra i più violenti mai visti in tutta la nostra galassia.

Proxima centauri è una nana rossa. La sua massa è circa un ottavo di quella del Sole, del quale è coetanea. E le orbitano attorno almeno due pianeti, forse abitabili. Un motivo in più, oltre al fatto di essere la nostra vicina di casa, per renderla un’osservata speciale. E infatti erano ben nove i telescopi – da terra e dallo spazio – che in quel giorno d’inizio maggio avevano gli occhi puntati su di lei, nell’ambito di una campagna osservativa che si è svolta nel corso di diversi mesi nel 2019 per un totale di 40 ore. Nove telescopi, cinque dei quali hanno registrato in diretta il superbrillamento

«Nell’arco di pochi secondi, vista alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto la luminosità della stella è aumentata di 14mila volte», ricorda Meredith MacGregor della University of Colorado a Boulder, prima autrice dello studio sul fenomeno pubblicato questa settimana su The Astrophysical Journal Letters.

Un evento che certo non depone a favore della presenza, da quelle parti, di eventuali forme di vita – anche se è durato solo sette secondi. Inoltre è stato il più potente, ma non l’unico, nell’arco delle 40 ore di campagna osservativa. La stima degli scienziati è che i superflare siano fenomeni pressoché quotidiani, per una stella come Proxima Centauri. Occorre poi moltiplicarli per miliardi di anni, per farsi un’idea della raffica di radiazioni subita dai pianeti che la circondano.

Rappresentazione artistica di un brillamento di Proxima Centauri. In primo piano è raffigurato l’esopianeta Proxima b. Crediti: Roberto Molar Candanosa / Carnegie Institution for Science, Nasa/Sdo, Nasa/Jpl

«Se mai ci fosse qualche forma di vita sul pianeta più vicino a Proxima Centauri, dovrebbe essere molto diversa da qualsiasi altra presente qui sulla Terra. Un essere umano, su quel pianeta, avrebbe passato un brutto momento», osserva MacGregor a proposito dell’evento del 2019.

I brillamenti stellari avvengono quando – a seguito di una riconnessione magnetica – la stella accelera gli elettroni a velocità che si avvicinano a quella della luce. Gli elettroni accelerati interagiscono con il plasma altamente carico che costituisce la maggior parte della stella, provocando un’eruzione che produce emissioni lungo tutto lo spettro elettromagnetico.

Spettro elettromagnetico che l’impiego di più telescopi sensibili a diverse lunghezze d’onda – fra i quali Hubble, Tess e Alma – ha consentito di tenere sott’occhio come raramente avviene. L’approccio multibanda ha così portato a una fra le analisi più approfondite mai condotte sui brillamenti di una stella della nostra galassia. Con risultati per alcuni aspetti sorprendenti. Debole in luce visibile, il flare ha generato un’enorme ondata di radiazioni non solo ultraviolette ma anche radio – in particolare in banda millimetrica, mai osservata prima per un flare stellare.

Per saperne di più:

Con i contributi di Marco Malaspina, Isabella Pagano, Giusi Micela, Mario Damasso, Raffaele Gratton, Sabrina Masiero, John Robert Brucato, Amedeo Balbi, Claudio Elidoro, Gianpietro Marchiori e Massimiliano Tordi e l’intervista esclusiva con Giovanni Bignami.


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Le dimensioni delle strutture lunari: Sinus Iridium, Appennini e cratere Clavius

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La Maniglia d’Oro di Lamberto Sassoli. Un arco brillante si staglia sul terminatore della Luna: questo interessante fenomeno accade quando sui Montes Jura il Sole è appena sorto ma il Sinus Iridum alla loro base si trova ancora in ombra. Cliccando sull'immagine tutti i dettagli della ripresa su PhotoCoelum. Crediti: Coelum Astronomia / Lamberto Sassoli

II Parte

Nella rubrica che curo di mese in mese ci siamo concentrati nell’osservazione della Luna, anche senza l’ausilio di strumenti ottici, ammirandone i molteplici aspetti nei più svariati contesti paesaggistici, oppure utilizzando un semplice binocolo o un piccolo telescopio. Tante sono le strutture superficiali che la Luna ci offre e ci invita a osservare: siamo forse abituati ad ammirare i grandi crateri, le ripide catene montuose, ricche di alti bastioni, e i mari. Ma, di fronte a tanta bellezza, l’osservatore potrebbe chiedersi quanto realmente grandi siano quei dettagli che, all’oculare del telescopio, in fin dei conti, appaiono così minuti.

Leggi la prima parte su Coelum Astronomia 253. È gratis: clicca sull'immagine e leggi!

Di certo, se potessimo librarci in volo sulla superficie selenica, potremmo avere una migliore percezione delle dimensioni di tutte quelle magnifiche strutture…

Questa serie di articoletti si propone di evidenziare una differente e probabilmente più realistica percezione, certamente in alcuni casi un po’ estremizzata, dei dettagli delle strutture superficiali del nostro satellite naturale, se osservate in stretta relazione a elementi naturali o artificiali di analoghe dimensioni esistenti sul nostro pianeta. In tal modo potremo riuscire ad avere immediatamente la giusta percezione delle dimensioni, grazie al paragone con qualcosa che a noi è sicuramente più familiare e vicino.

Dopo aver dato un’idea delle dimensioni dei mari della Luna e del trio di crateri Theophilus, Cyrillus e Catharina, passiamo ora a una delle più spettacolari strutture del nostro satellite, il Sinus Iridum situato sul margine settentrionale del mare Imbrium, come se si trattasse di un enorme golfo con uno sviluppo costiero di circa 500 km lineari.

Considerata la sua conformazione, ho ritenuto plausibile la sovrapposizione alla costa ligure, centrandone l’immagine sulla città di Genova. In questo modo si può constatare la sua estensione verso occidente fino alla località costiera di Frejus, tra Nizza e Tolone, mentre l’estremità orientale si estende fino alla città di Piombino, in Toscana!

Conoscendo abbastanza bene il Sinus Iridum, dopo svariati anni di osservazioni al telescopio, devo ammettere che vedere questa struttura sovrapposta alla costa ligure (pur con gli inevitabili limiti) ha talmente attirato la mia attenzione al punto da osservarla come se mi trovassi all’oculare del telescopio!

A questo punto, potevano mancare gli Appennini lunari?

Assolutamente no, meglio ancora se posti a confronto con gli Appennini terrestri, cioè quelli di casa nostra che costituiscono la spina dorsale della penisola italiana.

Le medesime dimensioni in lunghezza di questa catena montuosa lunare, 650 km, (vedi immagine telescopica a lato) vengono indicate dalla linea retta gialla (estesa all’incirca da Firenze a Crotone) presente sul corrispondente tratto di Appennini terrestri, la cui lunghezza totale raggiunge però di 1200 km.

Per una guida all’osservazione degli Appennini lunari (e alle migliori condizioni di illuminazione del nostro satellite per osservarli) leggi anche la mia:

➜ Guida all’osservazione dei Monti Appennini

Completiamo il terzetto di questa puntata con un’altra eccezionale struttura del nostro satellite: il grande cratere Clavius situato sull’altipiano meridionale della Luna, con un diametro di 231 km.

Per un paragone plausibile di questa struttura geologica lunare rispetto a un ambiente terrestre ho pensato a una virtuale sovrapposizione sul settore più meridionale del mare Tirreno, centrandone l’immagine in corrispondenza del Marsili, il più grande vulcano sottomarino europeo (70 x 30 km, altezza di 3000 metri dal fondo marino ma con la sommità posta a 450 metri sotto il livello del mare).

Pertanto il cratere Clavius andrebbe a occupare un’area (considerate sempre la circonferenza di colore giallo!) a breve distanza dalle zone costiere di Sicilia, Calabria e Campania meridionale.

Immaginare di trovarsi in prossimità di una struttura con le dimensioni del cratere Clavius, 231 km di diametro e pareti alte 4600 metri dalla base del cratere, deve costituire indubbiamente uno spettacolo grandioso, anche ipotizzando questa grande struttura lunare adagiata sul fondo del mare Tirreno: le sue pareti emergerebbero per oltre mille metri sopra al livello del mare!

Forse alcuni ne avrebbero percepita una minore o maggiore estensione una volta sovrapposto sulla corrispondente area del globo terrestre, in questo caso sul mare Tirreno meridionale?

Nella terza parte, saremo alle prese con il più grande cratere esistente sull’emisfero lunare rivolto verso il nostro pianeta, Bailly, e l’eccezionale e spettacolare faglia della Rupes Recta (o Straight Wall). Con quali formazioni terrestri le mettereste a confronto? Provate a indovinare quali sceglieremo su queste pagine…


Il sogno di “Ingenuity” è realtà. Un elicottero vola su Marte

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L'ombra di Ingenuity in volo, ripresa dallo stesso elicottero drone. - Credit: NASA
DI MARCO CARRARA – Astronautinews.it
L'ombra di Ingenuity in volo, ripresa dallo stesso elicottero drone. - Credit: NASA

Il 19 aprile 2021 verrà ricordato perché per la prima volta un mezzo progettato dall’uomo è decollato e atterrato su un pianeta che non sia la Terra. Si tratta senza alcun dubbio di una nuova pietra miliare nella storia dell’esplorazione dello spazio. Il drone-elicottero Ingenuity della NASA è diventato così il primo veicolo a compiere un volo controllato e motorizzato su un altro pianeta. Dopo aver ricevuto i primi dati dall’elicottero tramite il rover Perseverance Mars della NASA, il team di specialsti del Jet Propulsion Laboratory, ha confermato che il volo è stato un successo.

«Così come l’X-15 è stato un precursore dello Space Shuttle, Mars Pathfinder e il suo rover Sojourner hanno fatto lo stesso per tre generazioni di rover su Marte. Non sappiamo esattamente dove ci porterà Ingenuity, ma i risultati di oggi indicano che il cielo, almeno su Marte, potrebbe non essere il limite.» Questa la dichiarazione di Steve Jurczyk, amministratore (facente funzioni) della NASA.

Altimetria del volo dell’elicottero – Credit: NASA

L’elicottero, alimentato da energia solare, è decollato alle 9:34 ora italiana, le 12:33 local mean solar time (ora di Marte), nel momento in cui il team di Ingenuity ha stabilito che avrebbe avuto energia sufficiente e trovato condizioni di volo ottimali. I dati dell’altimetro hanno indicato che Ingenuity è salito a un’altitudine di 10 piedi (3 metri) e ha mantenuto un volo stazionario stabile per 30 secondi per poi discendere, toccando nuovamente la superficie di Marte e concludendo un volo durato 39,1 secondi. Nelle prossime ore i tecnici della NASA analizzeranno i dati per approfondire altri dettagli del volo.

Poiché l’invio e la ricezione di qualsiasi comunicazione da e per Marte impiega circa 3 ore per l’andata e altrettante per il ritorno a Terra, Ingenuity non può essere pilotato da remoto con un joystick, e per questo stesso motivo il suo volo non è stato osservabile in tempo reale dalla Terra. L’elicottero ha volato in totale autonomia, governato dai sistemi di guida, navigazione e controllo di bordo che eseguivano algoritmi sviluppati dal team del JPL.

Thomas Zurbuchen, amministratore associato della NASA per la scienza, ha annunciato il nome dell’aeroporto marziano su cui è avvenuto il volo. «Ora, 117 anni dopo che i fratelli Wright sono riusciti a fare il primo volo sul nostro pianeta, l’elicottero Ingenuity della NASA è riuscito a compiere questa straordinaria impresa su un altro mondo. Sebbene questi due momenti iconici nella storia dell’aviazione possano essere separati dal tempo e da centinaia di milioni di chilometri, ora saranno collegati per sempre. In omaggio ai due innovativi produttori di biciclette di Dayton, questo primo di molti aeroporti su altri mondi sarà ora conosciuto come Wright Brothers Field, in riconoscimento dell’ingegnosità e dell’innovazione che continuano a spingere l’esplorazione».

Il capo pilota di Ingenuity, Håvard Grip, ha annunciato che l’International Civil Aviation Organization (ICAO), l’agenzia internazionale per l’aviazione civile, ha presentato alla NASA e alla Federal Aviation Administration la designazione “IGY” quale nominativo di chiamata ICAO di Ingenuity, proprio come se si trassasse di un volo civile terrestre. Questi dettagli saranno inclusi ufficialmente nella prossima edizione della pubblicazione ICAO, la Designators for Aircraft Operating Agencies, Aeronautical Authorities and Services che includerà anche la designazione “JZRO” per il cratere Jezero, quale luogo di atterraggio.

Mars Helicopter – Credit: NASA

Occorre ricordare che Ingenuity è un dimostratore tecnologico, poiché il suo scopo è quello di verificare se la futura esplorazione del Pianeta Rosso possa includere anche una prospettiva aerea. Infatti l’elicottero-drone, lungo 49 cm e pesante 1,8 kg, non contiene strumenti scientifici all’interno della sua fusoliera. Questo primo volo era pieno di incognite. Il Pianeta Rosso ha una gravità significativamente inferiore a quella della Terra, circa un terzo, e un’atmosfera estremamente rarefatta con una pressione al suolo che è circa l’1% di quella del nostro pianeta. Ciò significa che ci sono relativamente poche molecole d’aria con cui le pale del rotore di Ingenuity – lunghe 1,2 m – possono interagire per raggiungere un assetto di volo. L’elicottero contiene componenti unici, oltre a parti commerciali standard, molte provenienti dall’industria degli smartphone, che sono state collaudate nello spazio profondo per la prima volta con questa missione.

Il progetto Mars Helicopter è passato in poco più di sei anni dallo studio di fattibilità a un concetto ingegneristico e, infine, alla realizzazione del veicolo. Parcheggiato a circa 65 m di distanza, da Van Zyl Overlook, il rover Perseverance non solo ha agito da ponte radio per le comunicazioni tra l’elicottero e la Terra, ma ha anche documentato le operazioni di volo con le proprie telecamere. Le immagini delle Mastcam-Z e Navcam del rover forniranno dettagli aggiuntivi sul volo dell’elicottero.

Luogo da cui il rover Perseverance ha osservato il volo – Credit: NASA

L'aaprofondimento sulla missione a cura di Elisabetta Bonora di aliveuniverse.today su Coelum Astronomia 246. Clicca e leggi!
Perseverance è atterrato con Ingenuity attaccato al ventre lo scorso 18 febbraio. Il 3 aprile l’elicottero è stato rilasciato sulla superficie del cratere Jezero. Ingenuity ha effettuato il suo volo al 16° sol (giorno marziano) della finestra di 30 sol precedentemente stabilita. Nel corso dei prossimi tre sol, gli specialsti a Terra riceveranno e analizzeranno tutti i dati e le immagini del volo e formuleranno un piano per il secondo volo di collaudo, previsto non prima del 22 aprile. Se l’elicottero sopravvivrà al secondo volo, il team a Terra valuterà il modo migliore per espandere il profilo di volo di Ingenuity.

Ecco, infine, il video della conferenza stampa trasmessa in streaming la sera del 19 aprile, con molte immagini e dettagli tecnici aggiuntivi.

Fonte: NASA/JPL
Questo articolo è © 2006-2021 dell’Associazione ISAA – Alcuni diritti riservati.

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Supernovae. Inarrestabile Itagaki.

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Immagine della SN2021hpr in NGC 3147 ripresa dall’astrofilo lituano Simas Satkauskas con un telescopio RASA11 munito di camera ASI183MC – somma di 35 immagini da 120 secondi.
Immagine della SN2021hpr in NGC 3147 ripresa dall’astrofilo lituano Simas Satkauskas con un telescopio RASA11 munito di camera ASI183MC – somma di 35 immagini da 120 secondi.

L’astrofilo giapponese Koichi Itagaki stupisce ancora e realizza la sua terza scoperta del 2021.

Koichi Itagaki.

Nella notte del 2 aprile, Itagaki si accorge di una debole stellina di mag. +17,7 nella galassia a spirale NGC 3147 posta nella costellazione del Drago a circa 130 milioni di anni luce di distanza e situata a soli 7° dal Polo Nord celeste.

La notte seguente la scoperta, dall’Osservatorio di Asiago con il telescopio Copernico da 1,82 metri, viene ripreso lo spettro di conferma. La classificazione della SN2021hpr, questa la sigla definitiva assegnata, non è però facile. Per gli astronomi di Asiago siamo di fronte a una supernova di tipo I, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano all’impressionante velocità di circa 21.000 km/s, ma in queste prime fasi dell’esplosione rimane un’incertezza sulla possibilità di essere davanti a una supernova di tipo Ic oppure a una di tipo Ia.

Immagine della SN2021hpr in NGC 3147 ripresa da Paolo Campaner il 16 aprile con la supernova al massimo di luminosità. Riflettore da 400mm F.5,5 – somma di 20 immagini da 75 secondi.

Sempre dall’Osservatorio di Asiago, nella notte fra il 6 e il 7 aprile, viene ripreso un ulteriore spettro e questa volta non ci sono più dubbi: la SN2021hpr è una supernova di tipo Ia scoperta due settimane prima del massimo di luminosità, che infatti si è verificato intorno al 16 aprile, con una magnitudine apparente che ha sfiorato la mag. +14.

Con questa scoperta Itagaki eguaglia il record, da lui stesso detenuto, di scoprire tre supernovae nella stessa galassia. L’incredibile giapponese aveva realizzato la precedente tripletta nella stupenda galassia a spirale M 61.

Da notare che in NGC 3147 non si è ancora spenta l’esplosione della SN2021do scoperta il 2 gennaio dal programma professionale Zwicky Transient Facility (ZTF) e attualmente ancora visibile anche se molto debole, oltre la mag. +19.

Con questa sesta supernova nota, NGC 3147 diventa una delle galassie più prolifiche in fatto di eventi di supernova. Le cinque precedenti sono state come detto la SN2021do (di tipo Ic), le altre due scoperte di Itagaki, la SN2008fv di tipo Ia e la SN2006gi di tipo Ib, e andando più indietro nel tempo la SN1997bq scoperta dall’astronomo britannico Stephen Laurie e da quello americano Ronald Zissel (di tipo Ia), infine la SN1972H scoperta dall’astronomo russo Vitaly Goranskijdi della quale non fu possibile ottenere la classificazione.

Un elogio al giapponese va fatto anche per la rapidità con cui ha comunicato celermente la scoperta nel TNS, battendo nell’ordine il programma professionale americano ATLAS, che aveva un’immagine ripresa sempre il 2 aprile un minuto e 21 secondi prima di Itagaki, quello americano dello ZTF, che aveva un’immagine del 1° aprile, e i russi del Caucasian Mountain Observatory, che avevano un’immagine del 31 marzo con la supernova molto debole a mag. +19,30.

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Concludiamo la rubrica con un’altra interessante supernova , ancor più luminosa della precedente.

Stupenda immagine a largo campo della SN2021hiz in IC 3322A ripresa dall’astrofilo lituano Simas Satkauskas con un telescopio RASA11 munito di camera ASI183MC – somma di 54 immagini da 120 secondi. Nel campo è visibile anche la galassia NGC 4365 e numerose altre galassie minori.

È stata scoperta nella notte del 30 marzo, dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF), nella galassia a spirale barrata vista di taglio IC 3322A, posta nella costellazione della Vergine e distante circa 85 milioni di anni luce.

Immagine della SN2021hiz in IC 3322A ripresa da Paolo Campaner il 15 aprile con la supernova al massimo di luminosità. Riflettore da 400mm F.5,5 – somma di 23 immagini da 75 secondi.

IC 3322A si trova all’interno dell’ammasso di galassie della Vergine a circa 1,5° a sudovest della galassia ellittica M 49 e a circa 3° a nordest della galassia a spirale M 61. La galassia ospite è accompagnata in cielo dalla galassia ellittica NGC 4365, ma nel campo sono visibili molte altre galassie più piccole.

Al momento della scoperta il transiente brillava di mag. +17,7 ma già la notte seguente era salita alla mag. +16,5. Nella notte del 31 marzo, a meno di 24 ore dalla scoperta, dal Cerro Tololo Observatory con il SOAR Souther Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile viene ottenuto lo spettro di conferma.

La SN2021hiz è una giovane supernova di tipo Ia scoperta 15 giorni prima del massimo di luminosità. Pertanto anche questa seconda supernova ha raggiunto il massimo di luminosità intorno alla metà di aprile con una magnitudine apparente che ha sfiorato la notevole mag. +13, permettendoci di ottenere delle belle immagini di una supernova molto luminosa immersa in campo galattico ricco di galassie.

Due immagini della SN2021hiz in IC 3322A riprese da Paolo Campaner il 4 e il 15 aprile che mostrano l’incremento di luminosità della supernova. Riflettore da 400mm F.5,5.

Guida all’osservazione: “Dal settore sudest verso nord” – Parte 11

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La regione lunare oggetto della proposta osservativa di questo mese verrà facilmente individuata puntando il telescopio sull’altipiano situato fra le scure aree basaltiche dei mari Vaporum e Tranquilitatis. Per l’occasione le date prescelte sono quelle del 18 e del 19 aprile, seguendo l’avanzare del terminatore (ma come sempre sono consigli validi ogni volta che la Luna si trova in condizioni simili di illuminazione).

18 aprile. Lungo le Rimae Hypatia

Iniziamo dunque dalla sera del 18 aprile con la Luna in fase di 6,7 giorni, illuminazione al 35,3%, che alle ore 21:00 si troverà a un’altezza di +52° e perfettamente visibile fino alle prime ore della notte successiva quando intorno alle ore 02:30 circa scenderà sotto l’orizzonte.

Le immagini in questo articolo sono ottenute dal globo lunare di "Atlante Lunare Virtuale"

Superato il piccolo cratere Moltke di 7 km di diametro, noto per lo sbarco sulla Luna di Apollo 11 e già visto in dettaglio in un precedente articolo, iniziamo con le Rimae Hypatia il cui solco principale si estende per circa 190 km in direzione sudest-nordovest, scorrendo quasi parallelo in prossimità del margine sudovest di Tranquillitatis.

L’origine di questa interessante formazione lunare viene fatta risalire al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Come estremità orientale delle Rimae Hypatia può essere indicato un piccolo craterino alla base meridionale di un lungo rilievo collinare situato fra i crateri Torricelli-G di 4 km e Moltke-B di 5 km di diametro. Superato quest’ultimo, il solco si allarga notevolmente e prosegue in direzione nordovest andando a terminare in prossimità dei crateri Sabine e Schmidt.

Da segnalare anche il segmento parallelo di circa 60 km da Sabine verso sudest, la biforcazione presente all’altezza di Moltke-B e infine il curioso craterino Moltke-AC di soli 4 km di diametro collocato proprio all’interno del solco. Per l’individuazione di questi solchi viene indicato un telescopio riflettore di almeno 200mm ma, come sempre, sarà importante tentare anche con strumenti di diametro inferiore senza alcuna preclusione, un buon seeing può consentire grosse soddisfazioni. Ad esempio con un’attenta osservazione si potrà notare che il segmento principale non è un’unica struttura ma è composto da almeno due, forse tre, ulteriori segmenti consecutivi, oltre agli innumerevoli minuscoli craterini sparsi sul fondo.

Tornando all’estremità più occidentale delle Rimae Hypatia passiamo ora al cratere Schmidt di 12 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Considerata la relativamente giovane età geologica, il cratere presenta un buono stato di conservazione, con una cerchia di ripide pareti alte 2300 mt abbastanza uniformi e non degradate.

Procedendo verso nordovest lungo il bordo di Tranquillitatis si incontra Dionysius, un cratere di 19 km di diametro relativamente giovane, la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Copernicano collocato a non oltre 1 miliardo di anni fa. La cerchia delle ripide pareti intorno al cratere, alta 2700 metri, si presenta decisamente regolare e ben conservata. Nella platea non si notano strutture di rilievo ma solo minuscole colline molto utili per mettere alla prova le ottiche del telescopio.

Peculiarità di tale struttura può essere considerata la luminosa raggiera che si sviluppa radialmente intorno al cratere, anche se non molto estesa ma con un raggio di oltre 130 km di lunghezza e con la curiosa presenza di raggi di colore più scuro.
Per quanto riguarda l’area esterna citiamo Dionysius-A di 3 km a sud e Dionysius-B di 4 km ad ovest.

De Morgan, Caley e Whewell

Con una breve deviazione e allontanandoci un poco da Tranquillitatis andremo a osservare alcuni interessanti crateri che vengono a costituire un notevole e fotogenico terzetto di cui il primo che vediamo è De Morgan, formazione lunare di 10 km di diametro proveniente dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. La cerchia delle pareti intorno al cratere, alta circa 2000 mt, presenta un discreto stato di conservazione anche se in prossimità della linea di cresta sommitale probabilmente sarà possibile individuare almeno alcuni dei vari minuscoli craterini che vi si trovano. Nell’area esterna, immediatamente ad ovest, si potrà tentare di percepire una struttura appartenente alla tipologia dei cosiddetti “crateri fantasma”, purtroppo privo di denominazione ufficiale, le cui pareti degradate emergono per circa un centinaio di metri dagli strati di materiale lavico ormai solidificato che ne riempì il fondo.

Poco a nord di De Morgan abbiamo il più ampio Cayley, un cratere di 15 km di diametro la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una struttura lunare che esibisce un discreto stato di conservazione con le sue ripide pareti alte 3100 metri disseminate solo da microscopici craterini, ben difficilmente individuabili con gli strumenti solitamente utilizzati dagli astrofili, anche se tentare non costa nulla… Infine nella platea non vi sono dettagli degni di nota ad eccezione di vari craterini.

Veniamo ora all’ultimo componente di questo bel terzetto, il cratere Whewell, di 15 km di diametro anche questo proveniente dal Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. Leggermente più degradato rispetto ai suoi due vicini appena visti, sul lato ovest delle pareti di Whewell alte 2300 metri, andò letteralmente a sovrapporsi un cratere di circa 3 km di diametro purtroppo privo di denominazione ufficiale.
Nella platea, in assenza di dettagli rilevanti, potrebbe rivelarsi abbastanza interessante scandagliare a fondo il versante interno delle pareti insistendo sulle innumerevoli minuscole strutture a basso contrasto che dalla sommità della cerchia montuosa sono tutte orientate verso il fondo del cratere. Nell’area esterna si segnalano i crateri Whewell-A e Whewell-B rispettivamente di 4 e 3 km di diametro.

Il Cratere Ariadeus e la sua Rima

Tornando sul margine di Tranquillitatis è venuto il momento di orientare il telescopio sul cratere Ariadaeus di 12 km di diametro la cui origine risale al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa.
I bastioni montuosi intorno a questo cratere, alti 1800 metri e non eccessivamente ripidi, non sono degradati ad eccezione del lato orientale sul quale andò parzialmente a sovrapporsi Ariadaeus-A di 8 km.
Tralasciando la platea, priva di dettagli, nell’area esterna citiamo Ariadaeus-F di 3 km ad est e Ariadaeus-D di 4 km a nordovest, mentre poco più a nord merita una visita Ariadaeus-E di 24 km di diametro. Si tratta di una struttura con pareti decisamente danneggiate e completamente assenti verso oriente dove entra in diretta comunicazione con la distesa basaltica del mare Tranquillitatis.

La notevole peculiarità di questa regione lunare consiste nel cratere Ariadaeus quale punto di partenza di una eccezionale formazione lunare, la Rima Ariadaeus. Si tratta di un largo solco che con andamento più o meno rettilineo si sviluppa in senso est-ovest per una lunghezza di circa 230 km ed una profondità mediamente intorno ai 500 metri proveniente dal Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa.

Osservando attentamente non sfuggirà che tale struttura è composta da almeno 2/3 segmenti consecutivi mentre a circa metà della sua lunghezza, proprio in prossimità del cratere Silberschlag (diametro 14 km) interseca una sorta di promontorio o rilievo montuoso esteso fino a Silberschlag-S, cratere di 34 km dalla curiosa forma decisamente irregolare.

La Rima Ariadaeus con la sua estremità più occidentale va a terminare in prossimità del cratere Hyginus-Z di 28 km di diametro situato al confine fra Sinus Medii e mare Vaporum. Da segnalare inoltre due ramificazioni, una ad est con un segmento che devia verso sud in direzione del cratere Dionysius e l’altra ad ovest con un ulteriore segmento che viene a creare una vera e propria interconnessione con la non lontana Rima Hyginus.

Sul fondo di questo eccezionale solco sarà possibile andare a individuare una innumerevole quantità di piccoli craterini in un continuo alternarsi con numerosi rilievi collinari, linee di creste e depressioni e se il seeing sarà favorevole ci sarà da divertirsi.

Nell’area lungo la Rima Ariadaeus merita un’osservazione “Julius Caesar 1” situato fra i crateri Ariadaeus-E e Julius Caesar. Si tratta di una formazione lunare molto interessante essendo un rilievo di origine vulcanica da vulcanismo estrusivo con dimensioni di 28×14 km con pareti ripide e un craterino sommitale.
Da segnalare inoltre Silberschlag-A di 7 km e Silberschlag-D di 4 km, oltre a Silberschlag-P di 25 km di diametro letteralmente attraversato dal largo solco della Rima Ariadaeus per la cui osservazione viene indicato uno strumento rifrattore di almeno 100mm di diametro.

19 aprile. Lungo la Rima Hyginus fino al monte Schneckenberg

Visto che siamo già qui vogliamo lasciar perdere la Rima Hyginus? Nessun problema! Bisogna solo attendere la serata successiva, il 19 aprile, in quanto la linea del terminatore non la possiamo spostare a nostro piacimento ma dobbiamo aspettare che scorra lentamente sulla superficie della Luna da est verso ovest consentendo al Sole di illuminare le strutture che intendiamo osservare. Nel caso specifico il nostro satellite sarà in fase di 7,7 giorni con illuminazione al 45% che alle ore 21:00 si troverà ad un’altezza di +60°.

Per quanto riguarda la Rima Hyginus si tratta di una eccezionale struttura la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa, presumibilmente un antichissimo tubo di lava con andamento sinuoso parzialmente collassato in seguito ad attività sismica o impatti di meteoriti. La lunghezza di questo spettacolare solco lunare raggiunge i 230 km orientato in senso sudest-nordovest a delimitare indicativamente il Sinus Medii dal mare Vaporum, con la sua estremità più orientale collocata fra i crateri Agrippa-B di 4 km e Silberschlag di 14 km – in corrispondenza di un minuscolo craterino contornato da un evidente alone scuro – estendendosi verso nordovest fino a raggiungere il settore meridionale del mare Vaporum, terminando in prossimità di un’area montuosa isolata a sud del piccolo cratere Hyginus-D di 5 km di diametro. Mediamente la larghezza del solco è di circa 3 km.

Anche con un piccolo strumento di circa 100mm non dovrebbe essere difficile individuare l’infinita serie di dettagli presenti sul fondo di questa spettacolare formazione lunare, infatti basterà un seeing discreto anche se non eccezionale per togliersi grosse soddisfazioni col proprio telescopio.

Partendo dall’estremità sudest apparirà subito evidente come non si tratti di un semplice solco come ce ne sono tanti altri sulla Luna, ma ne percepiremo la notevole irregolarità e il continuo alternarsi di craterini e avvallamenti.

Dall’interconnessione col segmento proveniente dalla Rima Ariadaeus, il solco di Hyginus si fa decisamente più profondo e tra vari sprofondamenti e altri piccoli crateri andiamo a osservare il cratere Hyginus di 10 km di diametro la cui origine risale al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Questa formazione lunare, contornata da basse pareti alte non più di 800 metri, ha la peculiarità di trovarsi proprio a metà del percorso della Rima Hyginus dalla quale viene letteralmente attraversata.

All’osservazione telescopica sarà piuttosto semplice notare come, proseguendo da qui in direzione nordovest, il fondo della Rima Hyginus si presenterà come una serie di allineamenti di piccoli craterini alcuni alla portata anche di telescopi amatoriali, intervallati da tratti meno tormentati. Si consiglia di visitare le interessanti ramificazioni esistenti in corrispondenza dell’estremità nordoccidentale di questa Rima altamente spettacolare (sud mare Vaporum).

Infine dal cratere Hyginus alcuni sottili solchi si estendono in direzione sudovest per andare a confluire nell’altrettanto spettacolare sistema delle Rimae Triesnecker situate in prossimità dell’omonimo cratere nel Sinus Medii. Per l’osservazione di questa eccezionale struttura lunare viene richiesto un riflettore di almeno 200mm di diametro anche se, come sempre, conviene tentare in ogni caso col proprio telescopio a prescindere dal diametro “teoricamente indicato” in quanto non esistono dogmi assoluti da rispettare perché la vera soddisfazione consisterà nell’essere riusciti anche solamente a individuare determinati dettagli con la propria ricerca personale, e poi provare non costa nulla….

Nell’area circostante della Rima Hyginus, oltre al cratere Hyginus-S di 29 km di diametro con la sua platea basaltica di colore scuro e quasi privo di pareti, potrebbe rivelarsi molto interessante individuare il monte Schneckenberg (precedentemente noto come “Hyginus Beta”) la cui peculiarità consiste nella sua inusuale forma a spirale.

Alla fine del 1800 il selenografo JN Krieger ne assegnò tale denominazione che fu poi inclusa nel 1935 nell’elenco ufficiale dell’Unione Astronomica Internazionale, anche se nel 1961 tale nome venne cancellato dalla IAU in quanto non rispondeva ai requisiti richiesti. Osservando l’area immediatamente a nord di tale struttura si potrà percepire la presenza di ristrette e delicate striature disposte radialmente rispetto al grande bacino del mare Imbrium, derivando probabilmente la propria origine dal consistente strato di ejecta di notevole spessore accumulati in seguito alla formazione di Imbrium andando in tal modo a ricoprire gran parte delle preesistenti strutture. Gli eventi sopra descritti potrebbero essere stati all’origine della inusuale forma a spirale del monte Schneckenberg. Comunque anche questo è un ottimo target da non sottovalutare.

Il mare Vaporum

Spostandoci un poco verso nord completiamo questa puntata con l’osservazione del mare Vaporum, una vasta e antichissima regione relativamente pianeggiante ricoperta da scure rocce basaltiche con una superficie di 55000 kmq e un diametro di circa 240 km, la cui origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa.

L’area di Vaporum è delimitata a nord dalla imponente e spettacolare catena montuosa degli Appennini lunari (già vista in un precedente articolo), a ovest da una vasta regione collinare che la separa dall’adiacente Sinus Aestuum mentre ad est, oltre la regione dei “Grandi Laghi” (anche questa già analizzata), si estende il grande mare Serenitatis.

A prescindere dalle strutture già viste in precedenti articoli, sul fondo di Vaporum citiamo Hyginus-W di 22 km, l’irregolare cratere Boscovich di 48 km con pareti di 1800 mt con la sua scura platea attraversata dagli stretti solchi delle Rimae Boscovich estese per 41 km e Boscovich-P di 67 km con la sua inusuale forma allungata probabile fusione di più crateri contornato da pareti notevolmente degradate. Si segnala Manilius-C di 7 km sulla parete nordest.

Per ora fermiamoci qui, nel prossimo articolo si ritorna sul margine ovest del mare Tranquillitatis e si ripartirà dal vasto cratere Julius Caesar di 94 km di diametro.

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Cenni storici

Rimae Hypatia: Nome assegnato nel 1651 da Riccioli dedicato a Ipazia (IV-V secolo), studiosa di matematica e filosofa neoplatonica di Alessandria dove visse e dove venne linciata da fanatici cristiani.

Cratere Dionysius: Nome probabilmente assegnato da Van Langren e dedicato a San Dionisio o Dionigi l’Areopagita (I° secolo d.C.).

Cratere Schmidt: Nome assegnato da Birt/Lee nel 1865 dedicato all’astronomo tedesco Johann Friedrich Julius Schmidt (1825-1884), fu direttore dell’Osservatorio di Atene e realizzò una mappa dei crateri lunari, dedicò tale nome inoltre all’ottico tedesco di origine estone Bernard Schmidt (1879-1935). Operò presso l’Osservatorio di Amburgo-Bergedorf. Come costruttore di ottiche astronomiche ideò il sistema ottico noto come “telescopio di Schmidt”, dedicato al naturalista sovietico Otto J. Schmidt.

Cratere De Morgan: Nome assegnato da Birt/Lee nel 1865 dedicato al matematico inglese nato in India Augustus De Morgan (1806-1871).

Cratere Cayley: Nome assegnato da Birt/Lee nel 1865 dedicato al matematico inglese Arthur Cayley (1821-1895).

Cratere Whewell: Nome assegnato da Birt/Lee nel 1865 dedicato al filosofo della storia e naturalista inglese William Whewell (1794-1866).

Cratere Ariadaeus: Nome dedicato ad Ariadaeus oppure Arrhidaeus (morto 317 a.C.), fratellastro di Alessandro Magno, dopo il quale regnò col nome di Filippo III°.

Cratere Hyginus: Nome assegnato nel 1651 da Riccioli dedicato a Caio Giulio Igino (I° secolo a.C.)

Mare Vaporum: Denominazione apparsa per la prima volta nella mappa lunare di Grimaldi nel 1651, mentre era denominato Propontis nella carta lunare di Johannes Hevelius realizzata nel 1647.

Cratere Boscovich: Denominazione assegnata da Schroter nel 1802 dedicata all’astronomo, fisico e matematico oltre che gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787). Fu promotore della fondazione dell’Osservatorio di Milano Brera e fu tra i primi ad accertare la legge di Newton.

Mare Tranquillitatis: Denominazione che comparve nel 1651 sulla mappa lunare di Riccioli con riferimento alla “calma”, come mare Serenitatis, Palus Smnii, Lacus Somniorum.


La prima cometa interstellare potrebbe essere la più incontaminata

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Un'immagine di 2I/Borisov scattata con lo strumento FORS2 installato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO alla fine del 2019, quando la cometa è passata vicina al Sole. Poiché la cometa viaggiava a una velocità vertiginosa, circa 175.000 chilometri all'ora, le stelle sullo sfondo appaiono come strisce di luce dovute al moto del telescopio che seguiva la traiettoria della cometa. I colori in queste strisce conferiscono all'immagine un tocco psichedelico e sono il risultato della combinazione di osservazioni in diverse bande di lunghezza d'onda, evidenziate dai diversi colori mostrati in questa immagine composita. Crediti: ESO/O. Hainaut

2I/Borisov è stata scoperta dall’astronomo dilettante Gennady Borisov nell’agosto 2019.

È stato confermato poche settimane dopo che l’oggetto proveniva dall’esterno del Sistema Solare. «2I/Borisov potrebbe rappresentare la prima cometa veramente incontaminata mai osservata», afferma Stefano Bagnulo dell’Osservatorio e Planetario di Armagh, Irlanda del Nord, Regno Unito, che ha guidato il nuovo studio pubblicato oggi su Nature Communications. L’equipe ritiene che la cometa non fosse mai passata vicino a nessuna stella prima di passare vicino al Sole nel 2019.

Bagnulo e colleghi hanno utilizzato lo strumento FORS2 installato sul VLT dell’ESO, situato nel nord del Cile, per studiare la cometa in dettaglio utilizzando una tecnica chiamata polarimetria.

La polarimetria è una tecnica che serve per misurare la polarizzazione della luce. La luce diventa polarizzata, per esempio, quando passa attraverso determinati filtri, come le lenti degli occhiali da sole polarizzati, ma anche il materiale di cui sono composte le comete. Studiando le proprietà della luce solare polarizzata dalla polvere di una cometa, i ricercatori possono ottenere informazioni sulla fisica e la chimica delle comete.

Poiché questa tecnica viene regolarmente utilizzata per studiare le comete e altri piccoli corpi del nostro Sistema Solare, questo ha permesso all’equipe di confrontare il visitatore interstellare con le nostre comete locali.

L’equipe ha scoperto che 2I/Borisov ha proprietà polarimetriche distinte da quelle delle comete del Sistema Solare, con l’eccezione della cometa Hale-Bopp.

La cometa Hale-Bopp ha ricevuto molto interesse da parte del pubblico alla fine degli anni ’90 poiché era facilmente visibile a occhio nudo e anche perché era una delle comete più incontaminate che gli astronomi avessero mai visto. Prima del suo passaggio più recente, si pensa che Hale-Bopp sia passata vicino al Sole solo una volta e quindi sia stata a malapena influenzata dal vento e dalle radiazioni solari. Ciò significa che era rimasta incontaminata, con una composizione molto simile a quella della nuvola di gas e polvere che l’aveva formata – insieme con il resto del Sistema Solare – circa 4,5 miliardi di anni fa.

Analizzando la polarizzazione insieme al colore della cometa per raccogliere indizi sulla sua composizione, l’equipe ha concluso che 2I/Borisov è in realtà ancora più incontaminato di Hale-Bopp. Ciò significa che trasporta le tracce intonse della nuvola di gas e polvere da cui si è formata.

«Il fatto che le due comete siano notevolmente simili suggerisce che l’ambiente in cui ha avuto origine 2I/Borisov non è così diverso per composizione dall’ambiente originario del Sistema Solare», dice Alberto Cellino, coautore dello studio, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino, Italia.

Olivier Hainaut, un astronomo dell’ESO in Germania che studia le comete e altri oggetti vicini alla Terra, ma non è coinvolto in questo nuovo studio, concorda: «Il risultato principale – che 2I/Borisov è diversa da qualsiasi altra cometa eccetto Hale-Bopp – è molto forte», dice, aggiungendo che «è molto plausibile che si siano formati in condizioni molto simili».

«L‘arrivo di 2I/Borisov dallo spazio interstellare ha rappresentato la prima opportunità per studiare la composizione di una cometa da un altro sistema planetario e verificare se il materiale che proviene da questa cometa è in qualche modo diverso dalla nostra varietà nativa», spiega Ludmilla Kolokolova, del Università del Maryland negli Stati Uniti, che è stata coinvolta nella ricerca pubblicata da Nature Communications.

Bagnulo spera che gli astronomi abbiano un’altra opportunità, ancora migliore, per studiare in dettaglio una cometa errante prima della fine del decennio. «L’ESA ha in programma di lanciare Comet Interceptor nel 2029, che avrà la capacità di raggiungere un altro oggetto interstellare in visita, se ne viene scoperto uno su una traiettoria adeguata», dice, riferendosi a una imminente missione dell’Agenzia spaziale europea.

Una storia delle origini nascosta nella polvere

Una rappresentazione artistica di come potrebbe apparire la superficie della cometa 2I/Borisov. Nonostante i telescopi, sia dalla terra che dallo spazio, abbiano catturato immagini di questa cometa, non abbiamo osservazioni ravvicinate della sua forma o superficie, non resta quindi che agli artisti immaginare come la superficie della cometa potrebbe apparire, sulla base delle informazioni scientifiche raccolte. Crediti: ESO/M. Kormesser

Anche senza una missione spaziale, gli astronomi possono utilizzare i numerosi telescopi della Terra per ottenere informazioni sulle diverse proprietà delle comete erranti come 2I/Borisov. «Immagina quanto siamo stati fortunati che una cometa proveniente da un sistema distante anni luce abbia semplicemente fatto un viaggio alla nostra porta per caso», dice Bin Yang, astronomo dell’ESO in Cile, che ha anche approfittato del passaggio di 2I/Borisov attraverso il nostro Sistema per studiare questa misteriosa cometa. I risultati del suo gruppo sono pubblicati su Nature Astronomy.

Yang e il suo team hanno utilizzato i dati di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), di cui l’ESO è un partner, nonché del VLT dell’ESO, per studiare i granelli di polvere di 2I/Borisov per raccogliere indizi sulla nascita e le condizioni della cometa nel suo sistema originario.

Hanno scoperto che la chioma della cometa – un involucro di polvere che circonda il suo corpo principale – contiene ciottoli compatti, granelli di circa un millimetro o più grandi. Inoltre, hanno scoperto che la quantità relativa di monossido di carbonio e acqua nella cometa cambiava drasticamente man mano che si avvicinava al Sole.

L’equipe, che comprende anche Olivier Hainaut, afferma che questo indica che la cometa è composta da materiali che si sono formati in punti diversi del suo sistema planetario.

Le osservazioni di Yang e del suo gruppo suggeriscono che la materia nella casa planetaria di 2I/Borisov è stata mescolata da zone vicine alla sua stella a zone più lontane, forse a causa dell’esistenza di pianeti giganti, la cui forte gravità agita il materiale nel sistema. Gli astronomi ritengono che si tratti di un processo simile a quello che si è verificato all’inizio della vita del nostro Sistema Solare.
Anche se 2I/Borisov è stata la prima cometa solitaria a passare vicino al Sole, non è però stato il primo visitatore interstellare.

Il primo oggetto interstellare che è stato osservato passare dal nostro Sistema Solare è ʻOumuamua, un altro oggetto studiato con il VLT dell’ESO nel 2017. Originariamente classificato come una cometa, ‘Oumuamua è stato successivamente riclassificato come asteroide in quanto mancava di chioma.


Nane brune, scoperto un trio da record

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Rappresentazione artistica di una nana bruna. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech
Rappresentazione artistica di una nana bruna. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Le nane brunebrown dwarfs in inglese, sono tra gli oggetti celesti più strani e affascinanti del cosmo. Sono corpi troppo grandi per essere considerati pianeti e troppo piccoli per essere vere e proprie stelle. La loro massa è infatti insufficiente a innescare la fusione nucleare, motivo per cui vengono spesso chiamate “stelle fallite”.

Ma c’è anche un’altra caratteristica unica che contraddistingue questi corpi. È la rapida rotazione intorno al proprio asse: non c’è pianeta o stella, pulsar escluse, la cui velocità di rotazione sia paragonabile a quella di queste “trottole” spaziali, che possono arrivare a compiere una rotazione anche in meno di due ore. Come termine di paragone basti pensare che la Terra ruota attorno al proprio asse una volta ogni 24 ore, mentre Giove e Saturno impiegano circa 10 ore. Il Sole lo fa invece in media ogni 27 giorni, con leggere variazioni tra i poli e l’equatore.

Una delle domande che si pongono gli astronomi è se vi sia un limite alla velocità di rotazione delle nane brune. Secondo quanto riporta uno studio accettato per la pubblicazione su The Astronomical Journal, condotto da un team di ricercatori guidati dalla canadese Western University, un limite c’è, ed è vicino ai periodi di rotazione delle tre nane brune più veloci che siano mai state scoperte finora.

Le tre nane brune in questione sono 2Mass J0348−6022, 2Mass J1219+3128 e 2Mass J0407+1546. Hanno tutte un diametro più o meno simile a quello di Giove ma sono tra le 40 e le 70 volte più massicce. E – qui viene il bello – hanno periodi di rotazione di 1.08 ore, 1.14 ore e 1.23 ore rispettivamente, corrispondenti a velocità di 103.5, 79 e 82.6 chilometri al secondo. Valori dunque inferiori al periodo di rotazione di 1.4 ore di 2Mass J22282889−4310262, la nana bruna detentrice del vecchio record di velocità di rotazione.

A dire il vero nel 2016, in un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, due ricercatori hanno riportato un periodo di rotazione di 0.288 ore (pari a un giro ogni 17 minuti) per la nana bruna Wisepc J112254.73 255021.5, ma in uno studio pubblicato l’anno successivo, utilizzando il Very Large Array, è stato trovato un periodo più lungo: 1.93 ore. Dunque, i corpi oggetto dell’articolo ora in uscita su The Astronomical Journal sarebbero le nane brune che ruotano più velocemente di qualsiasi altra mai scoperta fino a oggi.

Megan Tannock – dottoranda presso la University of Western Ontario, in Canada, nonché autrice principale della pubblicazione che riporta la scoperta – e i suoi colleghi hanno determinato i rapidi tassi di rotazione dei tre corpi celesti utilizzando i dati d’archivio di Spitzer, il telescopio spaziale della Nasa da gennaio del 2020 a riposo. I ricercatori hanno quindi condotto osservazioni di follow-up con il telescopio Gemini North di Maunakea, alle Hawaii, e il telescopi Magellano del Carnegie Institution for Science, in Cile. I risultati ottenuti da queste indagini hanno sostanzialmente confermato le misure di Spitzer: le tre nane brune completano una rotazione attorno al proprio asse all’incirca una volta ogni ora. Si tratta di periodi orbitali così brevi da essere prossimi – dicono i ricercatori – a un limite di rotazione valido per tutte le nane brune.

«Nonostante le estese ricerche condotte dal nostro e da altri team, non è stata trovata alcuna nana bruna che ruoti più velocemente», osserva Tannock. «Una velocità di rotazione maggiore potrebbe portare una nana bruna ad autodistruggersi».

Ciò che ha spinto gli astronomi a trarre questa conclusione è il fatto che le tre nane brune hanno quasi la stessa identica velocità di rotazione, nonostante le loro età stimate siano molto diverse: 3.5 miliardi di anni per 2Mass J0348-6022, 900 milioni per 2Mass J1219+3128 e 800 milioni per 2Mass J0407+1546. Un fatto strano, se si considera che questi corpi con l’avanzare dell’età si raffreddano, si contraggono e tendono a girare sempre più velocemente.

Immagine che mostra le velocità di rotazione della nana bruna 2Mass J0348-6022, di Giove e Saturno. Le forme sferoidali di questi tre corpi vengono confrontate con cerchi perfetti, disegnati in bianco nell’immagine. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Secondo i ricercatori, le velocità di rotazione dei tre corpi non sarebbero dunque paragonabili per pura coincidenza, ma sono piuttosto il risultato del raggiungimento di un limite di velocità.

Ma davvero questi oggetti potrebbero andare incontro a distruzione se ruotassero a velocità maggiori? Tutti gli oggetti rotanti generano una forza centrifuga perpendicolare all’asse di rotazione, che aumenta quanto più velocemente ruota l’oggetto e che è controbilanciata, fino a un certo punto, dalla forza di gravità. Il risultato di queste forze contrapposte è che il corpo diventa uno sferoide “panciuto” all’equatore e schiacciato ai poli. Gli scienziati chiamano questa “schiacciatura” oblazione. Saturno, che come Giove ruota una volta ogni 10 ore, ha un’oblazione significativa. Secondo gli autori dell’articolo, le tre nane brune hanno probabilmente gradi di oblazione simili. Ciò non significa che le nane brune siano in procinto di disintegrarsi. In altri oggetti cosmici rotanti ci sono meccanismi di frenata naturali che impediscono loro di autodistruggersi. Non è ancora chiaro tuttavia se meccanismi simili esistano nelle nane brune, aggiungono i ricercatori.

«Trovare una nana bruna che ruota così velocemente da perdere la sua atmosfera nello spazio sarebbe spettacolare, ma finora non abbiamo osservato nulla di simile», sottolinea Tannock. «Ciò significa o che qualcosa sta rallentando le nane brune prima che raggiungano quell’estremo o che non possono arrivare arrivare a quelle velocità. I nostri risultati supportano una sorta di limite alla velocità di rotazione, ma non ne conosciamo il meccanismo alla base».

Ma come spiegare allora i modelli secondo cui la velocità di rotazione massima di una nana bruna dovrebbe essere dal 50 all’80 per cento più veloce rispetto al periodo di rotazione di un’ora descritto in questo studio?

«È possibile che queste teorie non abbiano ancora il quadro completo», dice Stanimir Metchev dellaUniversity of Western Ontario, co-autore dell’articolo. «Potrebbe entrare in gioco qualche fattore sconosciuto che non permette alla nana bruna di ruotare più velocemente. Ulteriori osservazioni e studi teorici potrebbero ancora svelare se esiste un meccanismo di frenata che impedisce alle nane brune di autodistruggersi e se ci sono nane brune che ruotano ancora più velocemente nell’oscurità».

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Le sottili falci di Luna in Aprile 2021

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Atmosfere mattutine di Lamberto Sassoli. "La falce di Luna calante preannuncia la venuta di un nuovo giorno". La sottile falce di Luna del 9 marzo mattina, tutti i dettagli di ripresa cliccando sull'immagine.

La caccia alle falci lunari si apre nelle prime ore dell’8 aprile quando alle ore 05:46 sorgerà una falce di 25,7 giorni fra le stelle dell’Acquario.

Si tratterà di un’osservazione problematica in quanto il tempo a disposizione sarà veramente ridotto (circa 25 minuti al massimo) prima che le luci dell’alba cancellino lo spettacolo. Pertanto eventuali osservazioni e foto dovranno essere effettuate con la Luna ancora in prossimità dell’orizzonte adottando le opportune e indispensabili precauzioni per non intercettare la luce solare.

Altra falce veramente problematica sorgerà il mattino seguente, 9 aprile, alle ore 06:09 ma con un tempo ancora più limitato: intendo precisare che queste due falci vengono citate solo per il cosiddetto “dovere di cronaca” consigliandone l’individuazione solo ad astrofili con una certa esperienza.

Per quanto riguarda le falci lunari in Luna crescente, appuntamento per il tardo pomeriggio del 13 aprile con una sottile falce di 1,7 giorni che alle ore 21:30 scenderà sotto l’orizzonte. Anche in questo caso si ritiene importante attendere che la Luna si trovi il più possibile in prossimità dell’orizzonte.

La sera seguente, il 14 aprile, tramonterà alle ore 22:33 una più comoda falce di 2,7 giorni.
Già visibile poco prima delle ore 21:00 circa, sulla cui porzione illuminata dalla luce solare sarà possibile individuare innumerevoli strutture tra cui il mare Humboldtianum, il settore orientale del mare Crisium con i piccoli mari adiacenti oltre agli spettacolari crateri lungo il lato est del mare Fecunditatis (Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius), il tutto in una invidiabile condizione osservativa in quanto letteralmente “stretti” fra il bordo lunare e la linea del terminatore.

Imperdibile occasione per scandagliare queste formazioni geologiche in alta risoluzione sperando in un seeing all’altezza della situazione anche se la modesta declinazione (max +18°) potrebbe risultare deleteria accentuando gli effetti della turbolenza. Attendiamo veramente i vostri lavori in PhotoCoelum.

Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli e sperare nella clemenza delle condizioni meteorologiche, anche se la stagione invernale ormai terminata può sempre riservare brutte sorprese.

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207


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Ingenuity sopravvive da solo alla prima gelida notte marziana

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Mars Perseverance sol 43 (dettaglio) Rear Right HazcamCrediti: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today
Ingenuity ripreso da Perseverance durante il sol 43 (dettaglio) dalla Rear Right Hazcam. Crediti: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Le temperature notturne nel cratere Jezero possono raggiungere i meno 90 gradi Celsius mettendo a dura prova l’elettronica e i componenti a bordo. Ingenuity si è separato da Parseverance il 3 aprile scorso, dopo una procedura che ha richiesto 6 sol di attività.

L'aaprofondimento sulla missione a cura di Elisabetta Bonora di aliveuniverse.today su Coelum Astronomia 246. Clicca e leggi!
Nel primo giorno marziano, il team ha attivato un dispositivo per la rottura dei bulloni, aprendo il meccanismo di blocco che ha tenuto Ingenuity saldamente ancorato alla pancia del rover durante il lancio e l’atterraggio su Marte. Il sol seguente, un dispositivo pirotecnico ha tagliato i cavi, consentendo al braccio robotico che tratteneva Ingenuity di iniziare a ruotare l’elicottero fuori dalla sua posizione orizzontale. Nel frattempo, Ingenuity ha esteso due dei suoi quattro piedi. Durante il terzo sol, un piccolo motore elettrico ha finito di ruotare il drone portandolo completamente in verticale. Durante il quarto sol sono state estese le altre due gambe. Nella posizione finale, l’elicottero è rimasto sospeso a circa 13 centimetri sulla superficie marziana. A questo punto Ingenuity era penzolante, collegato a Perserverance solo da bullone e un paio di dozzine di minuscoli contatti elettrici. Durante il quinto sol, il team ha sfruttato l’ultima opportunità di utilizzare Perseverance per caricare le sei batterie di Ingenuity. Il sesto sol ogni collegamento è stato rimosso, il done si è posato sul suolo e Perseverance si è velocemente allontanato per permettere al piccolo pannello solare in cima ai rotori di ricevere immediatamente la luce del Sole.

Il questo video abbiamo raccolto le varie fasi dell’intera operazione.

Questa immagine a bassa risoluzione è stata ripresa il 3 aprile dalla fotocamera a bordo di Ingenuity, quando il drone ha toccato il suolo ma era ancora sotto la pancia di Perseverance (in fondo si vedono in parte le ruote del rover). Crediti: NASA/JPL-Caltech

«Questa è la prima volta che Ingenuity è da solo sulla superficie di Marte», ha detto MiMi Aung, project manager di Ingenuity presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. «Ma ora abbiamo la conferma di avere il giusto isolamento, i giusti riscaldatori e abbastanza energia per sopravvivere alla notte fredda, che è una grande vittoria per la squadra. Siamo entusiasti di continuare a preparare Ingenuity per il suo primo test di volo».

Ideare un velivolo abbastanza piccolo da stare sul rover, abbastanza leggero da volare nella sottile atmosfera di Marte ma abbastanza resistente da sopravvivere alle temperature gelide, è stata una bella sfida per gli ingegneri.

Mars Perseverance sol 43 Ingenuity - Rear Hazcam Panorama. Il mosaico a piena risoluzione (4784 × 816 pixel) è disponibile sul nostro album di Flickr. Crediti: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Nei prossimi due giorni, Ingenuity raccoglierà informazioni sulle prestazioni dei sistemi di controllo termico e di alimentazione. Queste informazioni verranno utilizzate per mettere a punto i sistemi ed aiutare il drone a sopravvivere alle dure notti di Marte durante l’intero periodo dell’esperimento di volo. Poi, saranno testate pale e rotore. Inoltre, sarà controllata l’unità di misura inerziale ed il computer di bordo (alimentato da un Qualcomm Snapdragon 801 un processore ARM quad-core a 2.2Ghz) incaricati di pilotare autonomamente l’elicottero.

Se tutti i controlli preliminari andranno bene, il primo tentativo di Ingenuity di decollare dal suo “campo d’aviazione” di 10 x 10 metri, avverrà non prima della sera dell’11 aprile …. e sarà storia!

Fonte: mars.nasa.gov/technology/helicopter/

Aggiornamento supernovae aprile 2021

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Immagine della AT2021gfp in ESO 42-G14 ripresa da Stuart Parker in remoto dal Cile con un telescopio Richey-Chretien da un metro di diametro – somma di 4 immagini da 600 secondi.

In questi primi tre mesi del 2021, mentre tutti gli astrofili che portano avanti questo tipo di ricerca provano a contrastare lo strapotere dei programmi professionali, non poteva che essere il solito astrofilo giapponese Koichi Itagaki a mettere a segno il suo secondo centro nel 2021, raggiungendo la quota di 161 scoperte totali che gli permette di occupare la quarta posizione della Top Ten mondiale amatoriale.
Da notare che il veterano astrofilo del Sol Levante vanta al suo attivo, in questo inizio 2021, anche la scoperta una Nova nella galassia M31.

L’astrofilo giapponese Koichi Itagaki.

Nella notte del 17 marzo il bravo ed esperto astrofilo giapponese, che dispone di una considerevole schiera di telescopi (superiore a tutti quelli dell’ISSP messi insieme!), individua una nuova stella di mag. +16,9 nella galassia ellittica NGC 5018, posta nella parte meridionale della costellazione della Vergine, a circa 120 milioni di anni luce di distanza e situata a circa 8° a sud della stella Spica.
A tempo di record, appena nove ore dopo la scoperta, con il Southem African Large Telescope, un bestione di oltre 10 metri di diametro posto a circa 370 Km a nordest di Città del Capo in Sudafrica, viene ripreso lo spettro di conferma. La SN2021fxy, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 18.000 km/s.

Immagine della SN2021fxy in NGC5018 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton 250mm F.5 e 20 minuti di posa.

NGC 5018 ha un modulo di distanza di circa 33 e poiché come sappiamo tutte le supernovae di tipo Ia raggiungono la magnitudine assoluta di -19, la luminosità della SN2021fxy ha infatti raggiunto la magnitudine apparente di circa +14 (33-19=14) verso la fine del mese di marzo o nei primi giorni del mese di aprile, visto che è presente un assorbimento da polveri talmente leggero da togliere alla supernova solo 0,3 magnitudini. Si potranno perciò ottenere delle belle immagini sfruttando il fatto che NGC 5018 è affiancata in cielo dalla compagna NGC 5022, una galassia a spirale barrata vista di taglio.

Le due galassie sembrerebbero essere legate fra loro gravitazionalmente, trovandosi infatti alla stessa distanza. L’unico inconveniente è rappresentato dalla bassa declinazione dei due oggetti (-19,30°) che penalizzerà principalmente gli osservatori del Nord Italia. Chi dispone di strumenti a largo campo potrebbe includere nel quadretto anche NGC 5006, una galassia a spirale barrata vista di faccia e situata leggermente più a nordovest.

Stupenda immagine di NGC5018 con NGC5022 e NGC5006 ripresa nel 2018 da un team di ricercatori guidati dalla Dott.sa Marilena Spavone con il VLT Survey Telescope da 2,56 metri all’Osservatorio del Panaral dell’ESO in Cile.

NGC 5018 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta, la SN2002dj scoperta il 12 giugno 2002 dal programma LOTOSS e anche questa di tipo Ia.

Dall’emisfero meridionale

Stuart Parker accanto al suo Celestron 14 nel suo osservatorio privato in Nuova Zelanda.

Dall’emisfero meridionale, Stuart Parker, leader del programma amatoriale di ricerca supernovae denominato BOSS, risponde al giapponese Itagaki individuando la sua prima supernova del 2021 e consolidando la sua terza posizione nella Top Ten amatoriale che lo vede adesso a quota 163 scoperte.

Immagine della AT2021gfp in ESO 42-G14 ripresa da Stuart Parker in remoto dal Cile con un telescopio Richey-Chretien da un metro di diametro – somma di 4 immagini da 600 secondi.

Nella notte del 18 marzo il neozelandese si accorge di una nuova stellina di mag. +17,3 nella galassia ESO 42-G14 posta nella costellazione dell’Uccello del Paradiso, a circa 230 milioni di anni luce di distanza. La supernova non è visibile dal nostro emisfero, poichè si trova alle declinazione di -74° ma pubblichiamo l’immagine che lo stesso Parker ha ripreso in remoto dal Cile la stessa notte della scoperta. Al momento in cui scriviamo non è stato ancora ripreso lo spettro di conferma, pertanto al transiente è stata per adesso assegnata la sigla provvisoria AT2021gfp.

Dall’Italia

Claudio Balcon accanto al suo Newton 200mm F.5

Sul versante italiano, tutto tace a livello di scoperte, ma ci possiamo consolare con lo stupendo lavoro che Claudio Balcon sta portando avanti sul lato spettroscopia amatoriale.

In questi primi tre mesi del 2021, utilizzando un semplice telescopio Newton da 200mm F.5 e uno spettrografo auto-costruito, il bravo astrofilo bellunese è riuscito infatti a classificare per primo nel portale TNS ben 4 supernovae, 3 novae in M31 – in collaborazione con gli astronomi cinesi del Okayama Observatory – e una variabile cataclismica della nostra galassia.
A dimostrazione che anche con semplici strumenti, uniti però a una grande esperienza e costanza, si possono ottenere grandi risultati e dare un contributo importante alla ricerca scientifica.

L’entrata di Claudio nell’ISSP nell’ottobre 2018 ha apportato un valore aggiunto notevole: ISSP adesso è infatti l’unico gruppo amatoriale al mondo in grado di scoprire e classificare una supernova.

…e dal mondo professionale

Chiudiamo la rubrica segnalando una interessante supernova scoperta nella galassia NGC 3310 nella notte del 20 marzo dal programma professionale di ricerca supernovae denominato DTL40.

La galassia ospite è una spirale barrata peculiare posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore, a una distanza di circa 40 milioni di anni luce, ed è considerata una galassia starburst, cioè con una forte e rapida formazione stellare.

Immagine della SN2021gmj in NGC3310 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 – somma di 30 immagini da 30 secondi.

L’oggetto è stato scoperto quando brillava di mag. +16,0 e appena 13 ore più tardi – dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri – è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare la supernova di tipo II molto giovane.

Nella stessa notte, anche dall’Osservatorio di Asiago è stato ripreso lo spettro, confermando che la SN2021gmj, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II scoperta pochi giorni dopo l’esplosione, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13500 km/s. Purtroppo questo transiente non è molto luminoso, anzi siamo forse di fronte a una delle supernovae di tipo II più deboli, con una magnitudine assoluta di appena -15, e infatti difficilmente riuscirà a raggiungere la magnitudine apparente di +15. Sarà però possibile ottenere ugualmente delle belle immagini di una fotogenica galassia già alta in prima serata.
Rimane solo il rammarico che se fosse stata una supernova di tipo Ia avremmo potuto ammirare un oggetto che al massimo di luminosità avrebbe raggiunto la notevole mag. +11,5.

Stupenda immagine della SN2021gmj in NGC3310 ripresa dall’astrofilo lituano Simas Satkauskas con un telescopio RASA11 munito di camera ASI183MC – somma di 113 immagini da 120 secondi.

Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC 3310. Le due precedenti furono la SN1991N scoperta il 29 marzo 1991 da due astrofisici americani Saul Perlmutter e Carlton Pennypacker, che si rivelò essere una rara supernova di tipo Ic/b, e la SN1974C scoperta il 26 febbraio 1974 dall’astronomo olandese Piet van der Kruit e dall’astronomo americano Halton Arp, famoso per aver redatto il catalogo che porta il suo nome di galassie peculiari e interagenti.

Leggi anche

• La spettroscopia astronomica amatoriale di Fulvio Mete, in tre parti su Coelum Astronomia 223, 224 e 225

• Spettrografia Amatoriale di Alberto Villa e Vittorio Lovato su coelum.com


Comete di aprile 2021

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Cliccando sull'immagine potete vedere il grafico della magnitudine attesa e quella osservata del sito aerith.aerith.net di Seiichi Yoshida.

Aprile è il mese in cui la C/2020 R4 ATLAS dovrebbe raggiungere la massima luminosità.

Dopo essere passata al perielio in marzo, si avvicinerà al nostro pianeta, transitando il giorno 23 a circa settanta milioni di chilometri dalla Terra brillando, secondo le previsioni, di una discreta nona magnitudine, valore che ne fa l’oggetto finora più luminoso del 2021.

Cliccando sull'immagine potete vedere il grafico della magnitudine attesa e quella osservata del sito aerith.net di Seiichi Yoshida.

Sarà anche facile da seguire per gran parte del periodo considerato per la favorevole posizione occupata in cielo. Nel corso del mese la cometa guadagnerà infatti decisamente in declinazione, alzandosi sempre più sull’orizzonte.

Partendo dalla porzione centrale dell’Aquila, dopo una breve capatina entro i confini dell’Ofiuco, attraverserà l’Ercole, la Corona Boreale e il Bovaro, terminando la sua corsa mensile (dopo ben novanta gradi) nei Cani da Caccia. Le osservazioni, se per la prima decade del mese la si doveva cercare a ridosso dell’alba, dalla seconda decade potranno cominciare in piena notte, e addirittura svolgersi in tarda serata nella terza decade.

Il 22 aprile transiterà nei pressi della nebulosa planetaria NGC 6210, di magnitudine +9,3. L’incontro è però piuttosto “largo”, considerati i circa tre gradi che separeranno i due oggetti.
Cartina e effemeridi riferite alla vostra località su Astronomiamo.it


La Luna di Aprile 2021

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I tenui colori della Luna di Valeriano Antonini. Per i dettagli di ripresa cliccare sull'immagine. Crediti Coelum Astronomia/Valeriano Antonini

Il mese di aprile si apre col nostro satellite che alle 00:00 sarà in fase di 18,5 giorni a un’altezza di +4°, essendo sorto da soli 30 minuti ma già pronto a farsi osservare dai nostri strumenti fino all’alba del mattino seguente, basterà attendere un’ora circa affinché migliori la propria declinazione.

Chi intendesse approfittare di questa anteprima del mese potrà disporre di una scelta veramente ampia, partendo dalle strutture situate lungo il terminatore che ormai si sarà già “mangiato”, tra l’altro, anche tutto il mare Crisium riservandoci però la possibilità di scandagliare l’estremità occidentale del mare Fecounditatis dove col Sole sempre più basso sull’orizzonte della Luna sarà un’ottima occasione per l’alta risoluzione in condizioni di illuminazione più o meno radente senza dimenticare di visitare anche lo spettacolare settore sudorientale col vasto cratere Janssen e la Vallis Rheita.
Procedendo verso ovest, ci si spalancheranno le immense aree basaltiche dei mari Serenitatis e Tranquillitatis oltre al meno vasto mare Nectaris, altra regione lunare ricchissima di spettacolari e imponenti strutture geologiche tra cui la lunga e profonda scarpata dei monti Altai con l’adiacente fotogenico terzetto dei crateri Theophilus, Cyrillus, Catharina.
Allontanandoci progressivamente dalla linea del terminatore in direzione ovest inevitabilmente diminuirà sempre più la visibilità dei dettagli superficiali sia nei mari che sugli altipiani ma con la contestuale possibilità di una migliorata percezione delle più tenui differenze di albedo quale diretta conseguenza del Sole che, in questo caso, sarà sempre più alto sull’orizzonte.

In considerazione della fase di Luna calante, nei giorni successivi la visibilità del nostro satellite sarà sempre più limitata alle ore notturne, entrando quindi in Ultimo Quarto alle ore 12:02 del 4 aprile. Come già specificato in precedenti articoli, questa fase lunare ha la peculiarità di consentire l’osservazione dell’intera area dell’immenso oceanus Procellarum oltre ai mari Frigoris, Imbrium, Nubium e Humorum i quali tutti insieme formano una enorme distesa di scure rocce basaltiche in netta prevalenza rispetto alla molto più limitata estensione degli altipiani con le loro rocce anortositiche a più elevata albedo.
Nel caso specifico sarà necessario attendere la notte seguente (il 5 aprile) quando alle ore 04:00 sorgerà in fase di 22,6 giorni.

Al capolinea della fase calante ormai giunta al termine, alle ore 04:31 del 12 aprile la Luna sarà in fase di Novilunio pronta a una immediata ripartenza questa volta in fase crescente per un nuovo ciclo lunare che la condurrà alla portata dei nostri strumenti in fasce orarie serali progressivamente sempre più comode.

Alle ore 08:59 del 20 aprile il nostro satellite sarà in Primo Quarto in fase di 8 giorni a -19° sotto l’orizzonte. Sorgerà pertanto alle ore 12:03 e dopo la culminazione in meridiano delle 20:03, dalle ore 21:00 circa si renderà perfettamente visibile fino a notte inoltrata quando andrà a tramontare poco prima delle ore 04:00.

Al termine della fase di Luna crescente, il nostro satellite sarà in Plenilunio alle ore 05:31 del 27 aprile a un’altezza di +9° alla distanza di 356.489 km dalla Terra e in attesa di tramontare un’ora più tardi.
Per chi intendesse rivolgere il proprio telescopio alla Luna Piena il consiglio è di approfittarne in tarda nottata (contestualmente al Plenilunio) mentre attendendo le ore serali, quando cioè la Luna sorgerà alle ore 21:00, l’avanzata della linea del terminatore renderà già evidente la progressione della fase di Luna calante. Tutto dipenderà dal target prescelto in stretta relazione con la differente altezza del Sole sull’orizzonte della Luna.

➜ Leggi la Guida all’osservazione della Luna Piena

Nelle successive serate il nostro satellite sorgerà progressivamente più tardi fino ad affacciarsi all’orizzonte orientale per l’ultima volta in questo mese alle ore 23:43 del 29 aprile in fase di 17.8 giorni.
Sarà l’occasione propizia per scandagliare a fondo il settore più occidentale del mare Crisium in prossimità del terminatore con gli spettacolari promontori di Cape Lavinium e Cape Olivium, ma saremo già in Maggio. Ne riparleremo.

LIBRAZIONI nel mese di APRILE

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si allontanano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Polare Sud:

26 aprile: Librazione sud cratere LE GENTIL. Fase 14 giorni, sorge 19:35.

Librazioni Regione Sudest:

27 aprile: Librazione sud cratere GILL. Fase 15.7 giorni, sorge 20:58.


Il Cielo di Aprile 2021

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Luna ⁄   SolePianeti

Solo l’Auriga, con la splendente Capella, e i Gemelli, con Castore e Polluce, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili.

Tra queste, l’imponente figura trapezoidale del Leone, con la brillante Regolo, dominerà il cielo al meridiano, seguito più a est dalla Vergine, di cui sarà facile individuare la bella Spica, e dal Boote, con la rossa Arturo. Vicine alla Vergine scorgiamo le piccole ma inconfondibili sagome del Corvo e della Coppa, seppur disegnate da stelle deboli.

Sull’orizzonte di est-nordest, comincerà invece ad alzarsi la figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno, le cui stelle principali, Vega e Deneb, tracciano (assieme ad Altair, nell’Aquila) il famoso “triangolo” che ci porta ad assaporare già, con la mente, il caldo periodo estivo.

Lo zenit sarà invece dominato dal Grande Carro dell’Orsa Maggiore.

Per arricchire l’osservazione, vediamo gli approfondimenti dedicati al ricco campo della costellazione del Toro nella rubrica di Stefano Schirinzi. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta dei tesori delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

IL SOLE

Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 20 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione, passando dai +53° ai +63° come massima altezza raggiunta sull’orizzonte al momento del transito al meridiano. Ciò si tradurrà in una durata della notte astronomica che supererà di poco le 7 ore (in media): se a inizio mese il crepuscolo astronomico (cioè con il Sole sotto l’orizzonte di circa 18°) finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi mediamente oltre le 5:00.

Da questo mese (come ormai saprete) Coelum Astronomia ha per il momento sospeso la pubblicazione in formato rivista. Ma molte delle informazioni che normalmente potevate leggere nel numero, verranno comunque pubblicate online in attesa di definire quale sarà il nuovo corso. Questa pagina del Cielo del Mese cambia quindi impostazione e si arricchisce di parte di quelle informazioni che erano riservate alle pagine della rivista.

I PIANETI

Vediamo allora la situazione di visibilità dei pianeti, uno per uno, tenendo sempre conto che gli orari sono espressi in TMEC, cioè l’ora locale indicata dai nostri orologi!

Mercurio

Mercurio con mappa di Raimondo Sedrani su PhotoCoelum. Clicca per maggiori informazioni sulle condizioni e gli strumenti di ripresa. Crediti Coelum Astronomia/Raimondo Sedrani

Osservabile al tramonto a fine mese. Per Mercurio aprile non sarà un mese molto favorevole: il giorno 19 raggiungerà infatti la congiunzione superiore con il Sole, risultando totalmente inosservabile. Non solo, il pianeta trascorrerà la prima parte del mese muovendosi verso questa condizione orbitale e, buona parte dei giorni successivi al 19, per riemergerne, lasciandoci quindi solo pochi giorni per osservarlo, proprio sul finire del mese.

In compenso, ci farà piacere sapere che il piccolo pianeta si sta preparando per quella che sarà la sua migliore apparizione serale dell’anno, nel corso del mese di maggio.

Il 27 aprile il pianeta sarà al perielio, cioè alla sua minima distanza dal Sole.

Venere

Inosservabile per tutto il mese. Dopo aver raggiunto la congiunzione superiore con il Sole lo scorso 26 marzo, Venere si trova prospetticamente ancora molto vicino al Sole, condizione per la quale risulta totalmente inosservabile per noi osservatori terrestri.

Dovremo quindi pazientare un po’, dato che lo ritroveremo nel cielo della sera solo più avanti, nella prima decade di maggio, quando però sarà ancora bassissimo sull’orizzonte, immerso nelle luci del tramonto.

Marte

Marte di giorno di Raimondo Sedrani. Un bellissimo Marte ripreso in diurna, per tutte le informazioni di ripresa clicca sull'immagine! Crediti: Coelum Astronomia Raimondo Sedrani

Osservabile nella prima parte della notte. Nonostante Marte si stia progressivamente allontanando dalla Terra, diminuendo così la sua luminosità e il suo diametro apparente, potremo ancora approfittare della sua presenza in cielo in buona posizione per osservarlo e fotografarlo.

Quando il cielo si sarà fatto sufficientemente buio, la sera già alle ore 21 circa, troveremo il Pianeta Rosso tra le stelle del Toro, non distante dalla stella Elnath (Beta Tauri, mag. +1,65), alto quasi 41° sull’orizzonte ovest-sudovest. Avremo a disposizione alcune ore per osservarlo prima che tramonti alle ore 1:12 a inizio mese, orario anticipato alle 0:37 a fine aprile.

Il giorno 24 Marte varca i confini della costellazione dei Gemelli.

Giove

Osservabile nella seconda parte della notte. Per Giove (ma anche per Saturno, come vedremo tra poco) sta per iniziare un buon periodo osservativo, concentrato nella seconda parte della notte.

In aprile, il grande pianeta sorge infatti alle ore 5:06 circa, orario che ci lascia un po’ di margine rispetto alla levata del Sole per puntare i nostri strumenti verso il gigante gassoso. Lo troveremo, brillante (mag. –2,1) anche a occhio nudo, tra le stelle Capricorno fino al 25 aprile, dopodiché entrerà nella costellazione dell’Acquario.

A fine mese la sua levata sull’orizzonte orientale sarà anticipata già alle ore 3:25 con un margine ben più ampio sul sorgere del Sole (ore 6:10), lasciandoci quindi un buon numero di ore per osservarlo, anticipando una sicuramente più comoda condizione osservativa di cui potremo godere nel mese di maggio.

Sfida Luna-Giove-Saturno di Lamberto Sassoli. Una stupenda ripresa, al limite della visibilità della congiunzione tra la sottile falce di Luna e le prime apparizioni all'alba di Giove e Saturno. Per tutti i dettagli della ripresa cliccare sull'immagine. Crediti Coelum Astronomia/Lamberto Sassoli

Saturno

Osservabile nella seconda parte della notte. Per Saturno il discorso è analogo a quello fatto per Giove: aprile sarà un mese in cui potremo sicuramente dedicarci all’osservazione del pianeta con l’anello, anche se ancora non potremo goderne al meglio, rimandando le osservazioni più comode e soddisfacenti al mese di maggio. Ciononostante, potremo sicuramente puntare i nostri strumenti verso Saturno anche in aprile: lo troveremo per tutto il mese tra le stelle del Capricorno, nei pressi di Theta Capricorni (mag. +4).

Sorgendo prima rispetto a Giove, sarà più facile trovarlo nel cielo, anche se la sua magnitudine più elevata (mag. +0,7) farà sì che il chiarore del cielo del crepuscolo mattutino lo “inghiotta” prima di Giove, rendendolo invisibile.

A inizio aprile sorge alle ore 4:33, mentre a fine mese sorge alle 2:44.

Uranus di Luigi Morrone. Tutti i dettagli e la ripresa originale cliccando sull'immagine. Crediti Coelum Astronomia/Luigi Morrone

Urano

Inosservabile – In congiunzione con il Sole. Lo sappiamo, Urano è uno di quei soggetti che anche in buone condizioni risultano ostici da osservare, serve sempre uno strumento, ma in aprile non potremo proprio tentare l’osservazione, con il pianeta che il 30 aprile sarà in congiunzione con il Sole. Risulterà pertanto completamente inosservabile. L’appuntamento con Urano è rimandato a giugno.

Nettuno

Praticamente inosservabile. Nettuno è il più remoto dei pianeti del Sistema Solare, osservabile solo con uno strumento. Pur avendo superato la sua congiunzione eliaca, in aprile le sue condizioni osservative saranno ancora così cattive da renderlo praticamente inosservabile. Il 30 aprile sorge alle ore 4:24 e, quando il pianeta si sarà fatto appena un po’ più alto sull’orizzonte, il cielo sarà già fortemente rischiarato dal Sole, in procinto di sorgere.
Niente da fare quindi, dobbiamo attendere ancora per dedicarci all’osservazione di questo gigante ghiacciato.

La Luna

Ogni mese Francesco Badalotti ci guida attraverso le formazioni più interessanti da osservare in ogni fase del nostro satellite, che troverete in un articolo apposito sempre nella sezione Cielo del Mese, assieme a tutte le librazioni, un secondo articolo vi introdurrà all’approfondimento, che questo mese conclude il lungo viaggio che ci ha consentito di attraversare una regione dominata dai vastissimi altipiani delle estreme regioni sudorientali spostandoci poi sempre più in direzione nord, il target di questo mese sarà il lato sudoccidentale del mare Tranquillitatis. Per l’occasione la data prescelta è la serata del 18 aprile, e andremo a “vedere da vicino” le Rimae Hypatia, Ariadaeus e Hyginus, i crateri Dionysius, De Morgan, Cayley, Whewell, Ariadaeus e Boscovich, il monte Schneckenberg e il mare Vaporum.

Tenete d’occhio queste pagine nei giorni precedenti il 18 aprile!

Per quanto riguarda invece la luce cinerea e le sottili falci di Luna l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba l’8 e 9 aprile e, dopo il Novilunio, le sere del 13 e 14 aprile. Anche in questo caso, per dettagli e formazioni da osserva… tenete d’occhio le nostre pagine in prossimità delle date!

Sciami meteorici

Ad aprile gli occhi potranno essere puntati – complice l’assenza del disturbo lunare – sulle alfa Virginidi, che raggiungeranno la massima frequenza oraria il 10 aprile, sulle gamma Virginidi, con massima attività il 13 aprile e sulle sigma Virginidi, con picco delle meteore il 17 aprile.

Ma lo sciame meteorico più attivo del mese è quello delle Liridi (picco il 22 aprile).

E ancora su Coelum astronomia 253

➜ Giorgia Hofer ci porta con le sue immagini attraverso le quattro stagioni del Grande Carro

Hai compiuto un’osservazione?
Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a
segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!


Un giorno da Curiosity

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Curiosity, sol 3048. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech. Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today
Curiosity, sol 3048. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech. Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Diciamocela tutta: con il lancio di Perseverance su Marte, le attività del suo predecessore Curiosity sono passate un po’ in sordina. Se ne parla meno un po’ ovunque, insomma. Ma non dappertutto. Sul sito Apod della Nasa, che ogni giorno pubblica una spettacolare immagine del nostro universo, il 25 marzo 2021 la scena è stata tutta sua.

Per la foto astronomica del giorno la scelta dell’agenzia spaziale statunitense è infatti caduta su un paesaggio realizzato a partire dalle immagini catturate proprio dal rover della missione Mars Science Laboratory (Msl).

L’immagine la vedete qui sopra: si tratta di un suggestivo panorama a 360 gradi prodotto a partire da oltre un centinaio di frame che la Mastcam left – l’occhio sinistro del rover – ha ottenuto il 4 marzo scorso, durante il suo 3048esimo giorno di missione.

In primo piano c’è una parte del rover (notate lo squarcio in una delle ruote che ne ha rallentato un po’ l’andatura). Spostando lo sguardo più avanti c’è poi lo splendido paesaggio marziano del cratere Gale. Al centro dell’immagine è visibile il Mont Mercou, la regione dove il rover si trova attualmente, mentre in fondo a sinistra si nota la vetta del Monte Sharp. A incorniciare il tutto, le gelide e sottili nubi che adornano il cielo color rosato del pianeta, formazioni simili ai nostri cirri prodotte – almeno in parte – da quello che viene chiamato “fumo meteorico“: polvere ghiacciata creata dalla pioggia di detriti meteorici che si schiantano contro l’atmosfera del pianeta – i “semi” per la formazione delle nuvole.

Elisabetta Bonora, uno dei due autori del panorama di Marte scelto ieri dalla Nasa come immagine astronomica del giorno

Per creare la composizione sono state utilizzate in particolare ben 146 di 187 immagini grezze realizzate, come detto, il 4 marzo 2021 da Curiosity. Uno dei due autori del post-processamento dei singoli scatti e dell’opera di cucitura ad arte – è il caso di dirlo – degli stessi per ottenere il mosaico è Elisabetta Bonora. Nata a Roma, ha frequentato il liceo artistico e poi architettura alla Sapienza, ma nel frattempo si appassionava anche all’informatica. Subito dopo gli studi ha iniziato a lavorare in ambito web, assistendo all’evoluzione del concetto di sito e portale e di un diverso modo di comunicare e condividere le informazioni. Da diversi anni si occupa di marketing e comunicazione, mentre nel tempo libero si dedica alla divulgazione scientifica, collaborando con alcune riviste del settore come Coelum Astronomia e Oggi Scienza. Ma non perde occasione per coltivare l’altra sua grande passione: lo space imaging processing, ovvero il processamento delle immagini di missioni robotiche condivise dalle agenzie spaziali. Com’è accaduto in questo caso.

Quali sono le caratteristiche di questo quadro di uno scorcio di Marte?

«È un mosaico 20000 × 5743 pixel composto da 149 frame: 126 formano il paesaggio, 23 il cielo. Le due sequenze sono state riprese in momenti diversi del sol 3048 (4 marzo 2021) e non sono consecutive. Qui sono state unite “artisticamente” insieme per dare un’idea complessiva del paesaggio».

Che tipo di attività di post-processing c’è dietro?

«C’è molto lavoro. Le immagini vengono fornite in formato raw nel catalogo ufficiale. Nel caso specifico, queste sono dei bayer, quindi hanno richiesto in processo di de-bayerizzazione per tirar fuori l’informazione colore, diversi passaggi per migliorare la qualità riducendo gli artefatti, l’allineamento per comporre il grande mosaico e ulteriori passaggi di equalizzazione, sia cromatica che di esposizione, cercando di non perdere definizione. Alcuni di questi interventi sono completamente manuali perché anche il miglior software fotografico non ha così tanta sensibilità».

C’è chi lo ha definito “il primo panorama marziano con le nuvole”. È davvero così?

«Sì, è vero è stato definito così da alcuni utenti della rete. Le nuvole di Marte sono state riprese molte volte dai lander e dai rover di superficie, fin dalle missioni Viking. Singoli frame o mosaici sono stati realizzati in bianco e nero, a colori o colorizzati ma in effetti, se la memoria non mi inganna, direi che questo è il primo panorama 360 a colori completo di nuvole».

Da dove nasce questa sua passione per la grafica e l’elaborazione delle immagini?

«Ho una formazione artistica ma anche informatica. Quindi passare dalla tavolozza all’image processing è stato piuttosto naturale. Mi sono avvicinata alle “foto spaziali” con le immagini della Cassini-Huygens, belle come opere d’arte».

Perché, con Perseverance in auge, lavorare su immagini di Curiosity?

«Questo è un hobby che in alcuni casi ha dato e dà le sue soddisfazioni, riceve riconoscimenti e porta a collaborazioni. Ovviamente ora Marte va molto di moda, ma passo volentieri del tempo anche sulle immagini di altre missioni robotiche, storiche o in corso. Sicuramente le immagini di Perseverance costituiscono una nuova sfida dal punto di vista dell’image processing – nuove fotocamere, nuovi formati, nuovi problemi da affrontare… – ma ritengo che Curiosity stia vivendo proprio ora, forse, la fase più bella e interessante della sua avventura marziana. E le immagini spettacolari che sta inviando lo testimoniano. Inoltre, le missioni non finiscono mai veramente: le foto rimangono nella memoria del pubblico, i dati rimangono un regalo inestimabile per gli scienziati (e tutti noi) per molti anni a venire».

Oltre ad occuparsi di post-produzione di immagini, è anche una divulgatrice scientifica. Ha scritto un libro, Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno, edito da Delfino & Enrile editori, e cura aliveuniverse.today. Come lo definirebbe: un sito web, un blog o cos’altro?

«Aliveuniverse.today è un sito web amatoriale gestito in collaborazione con amici appassionati di spazio, fisica e astronomia, a cui ciascuno dedica buona parte del proprio tempo libero e delle proprie energie. Cerchiamo di non essere un semplice blog di notizie ma di aggiungere sempre qualcosa in più quando le raccontiamo e di fornire contenuti unici, come le immagini che elaboriamo o le rubriche statistiche dedicate ai Neo e alle missioni robotiche».

Come è nata l’idea?

«L’dea è nata nel 2012 in occasione dell’arrivo di Curiosity su Marte. Io già mi occupavo di image processing e raccoglievo le immagini elaborate su Flickr insieme a Marco Faccin (con cui ho realizzato anche il mosaico pubblicato ieri dall’Apod), ma avevo il costante desiderio di raccontare le storie e le scoperte dietro quelle foto spettacolari».

Sui social scrive: “Amo le missioni robotiche inviate nel nostro Sistema solare per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima!”. Il messaggio è chiaro: è una fan di Star Trek. È da questa sci-fiction che è cominciata l’altra sua grande passione, l’astronomia e lo spazio?

«Molto prima, ma Star Trek ha contribuito tantissimo. La passione per l’astronomia e lo spazio è iniziata più o meno all’età di tre anni, non appena sono riuscita a impugnare il pesantissimo e vecchio binocolo di mio nonno e da allora non ho mai smesso di camminare con il naso all’insù. Poi, quando ero bambina, invece dei cartoni animati guardavo il capitano Kirk esplorare “nuovi mondi”».

LICENZA PER IL RIUTILIZZO DEL TESTO

Di Elisabetta Bonora, su Coelum Astronomia, tra gli altri:


Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

Coelum Astronomia di Marzo 2021
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Mars2020. In aprile il volo di Ingenuity

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Un'illustrazione che mostra in primo piano Ingenuity, l'elicottero drone della NASA che volerà per primo nella Storia su Marte. Credits: NASA/JPL-Caltech

La NASA sta prendendo di mira non prima dell’8 aprile l’elicottero Ingenuity Mars per effettuare il primo tentativo di volo a motore controllato di un aereo su un altro pianeta. Prima che il rotorcraft da 4 libbre (1,8 chilogrammi) possa tentare il suo primo volo, tuttavia, sia lui che il suo team devono raggiungere una serie di traguardi scoraggianti.

Perseverance, arrivato su suolo marziano il 18 febbraio scorso dopo i temuti 7 minuti di terrore della discesa (per la prima volta completamente documentati), si appresta ora a mettere le basi di un nuovo storico passaggio per quanto riguarda l’esplorazione marziana: la ricognizione aerea della superficie.

Su Marte la NASA ha già portato più di qualche rover, ma per quanto abbiano macinato chilometri la loro possibilità di spostamento è comunque ridotta. Basti pensare che il maratoneta, al momento, della flotta, Opportunity, è arrivato a percorrere in 14 anni di attività oltre 45 chilometri, mentre Curiosity sta per raggiungere il traguardo dei 25 km. Per aumentare il raggio di esplorazione serve un mezzo che possa superare più velocemente ostacoli e terreni poco conosciuti, e sulla terra sarebbe facile: tra elicotteri e droni possiamo raggiungere luoghi preclusi ai mezzi su strada, monitorare e sorvolare ampie zone di terreno impervio in poco tempo.

Marte però ha un’atmosfera molto più rarefatta, attorno all’1% di densità rispetto a quella terrestre, mentre la sua gravità è solo di un terzo inferiore alla nostra. anche se fin da subito si è capito che sarebbe stato necessario arrivare a questo passo, concretizzarlo non era altrettanto semplice. «Quando il rover Sojourner della NASA è atterrato su Marte nel 1997, ha dimostrato che viaggiare sul Pianeta Rosso era possibile e ha completamente ridefinito il nostro approccio al modo in cui esploriamo Marte. Allo stesso modo, vogliamo conoscere il potenziale che Ingenuity può offrire al futuro della ricerca scientifica», ha dichiarato Lori Glaze, direttore della Divisione di scienze planetarie presso la NASA. «Dal nome appropriato, Ingenuity è una dimostrazione tecnologica che mira ad essere il primo volo a motore su un altro mondo e, in caso di successo, potrebbe espandere ulteriormente i nostri orizzonti e ampliare la portata di ciò che è possibile con l’esplorazione di Marte».

Per poter generare una portanza sufficiente per farlo volare in un’atmosfera così rarefatta, gli ingegneri gli hanno fornito due serie di enormi pale larghe 1,2 metri che ruotano circa 10 volte più velocemente di quelle degli elicotteri sulla Terra.

In questa immagine, scattata il 29 aprile 2020, è visibile la parte inferiore del rover, insieme all'elicottero Ingenuity (in basso al centro dell'immagine). Crediti NASA / JPL-Caltech

Ingenuity ha viaggiato protetto nella “pancia” di Perseverance fino al 21 marzo, quando il rover ha dispiegato lo scudo che lo proteggeva. In questi giorni Perseverance si sta spostando verso una zona relativamente pianeggiante e priva di grossi ostacoli che sarà il campo di prova per il piccolo drone elicottero. Una volta parcheggiato nel posto più adeguato, Ingenuity avrà a disposizione 30 giorni per fare il suo tentativo.

Ma gli ostacoli, l’aria rarefatta, la gravità, non sono i soli problemi che deve affrontare. L’energia solare che arriva su Marte è la metà di quella che arriva a Terra, e la notte è estremamente più gelida. Ingenuity doveva essere piccolo e leggero, per poter essere trasportato fin lì e per poter volare nell’atmosfera rarefatta, quindi la sfida è stata anche fornirgli strumentazione da poter garantire abbastanza energia per volare e calore per resistere alla notte marziana, una volta privo del suo scudo di protezione.

«Ogni passo che abbiamo fatto, da quando questo viaggio è iniziato sei anni fa, è stato territorio inesplorato nella storia dei veivoli», spiega Bob Balaram, ingegnere capo di Mars Helicopter al JPL. «E se essere  rilasciato sulla superficie sarà una grande sfida, sopravvivere a quella prima notte su Marte da solo, senza che il rover lo protegga e lo mantenga alimentato, sarà una sfida ancora più grande».

Il campo in cui verrà rilasciato ha una dimensione di 10 x 10 metri, e solo quando Perseverance si troverà esattamente al centro di quest’area inizierà l’elaborato processo per schierare l’elicottero sulla superficie di Marte.

«Come con tutto ciò che riguarda l’elicottero, questo tipo di schieramento non è mai stato fatto prima», racconta Farah Alibay, responsabile del Mars Helicopter per il rover Perseverance. «Una volta avviato non si può tornare indietro. Tutte le attività sono strettamente coordinate, irreversibili e dipendenti l’una dall’altra. Se c’è anche un accenno che qualcosa non sta andando come previsto, potremmo decidere di aspettare un sol o più fino a quando non capiremo meglio cosa sta succedendo».

Il processo richiederà circa sei sol (sei giorni e quattro ore sulla Terra). Al primo sol, il team a Terra attiverà un dispositivo di esplosione dei bulloni, rilasciando un meccanismo di blocco che ha aiutato a tenere saldamente l’elicottero contro la pancia del rover durante il lancio e l’atterraggio su Marte.

Il secondo sol, un dispositivo pirotecnico tagliacavi consentirà al braccio meccanizzato che trattiene Ingenuity di ruotare l’elicottero dalla sua posizione orizzontale permettendogli di estendere due delle sue quattro gambe di atterraggio.

Durante il terzo sol, un piccolo motore elettrico finirà di far ruotare Ingenuity finché non si bloccherà, portando l’elicottero completamente verticale.

Durante il quarto sol Ingenuity stenderà le ultime due gambe di atterraggio. Durante questi quattro gironi marziani l’imager WATSON (Wide Angle Topographic Sensor for Operations and eNgineering) acquisirà scatti di conferma per il controllo di tutte le varie fasi. Nella sua posizione finale, l’elicottero rimarrà sospeso a circa 13 centimetri sulla superficie marziana. A quel punto, solo un singolo bullone e un paio di dozzine di minuscoli contatti elettrici collegheranno l’elicottero a Perseverance.

Al quinto sol del dispiegamento, il team sfrutterà l’ultima opportunità di utilizzare Perseverance come fonte di energia e caricare le sei celle della batteria di Ingenuity.

Eccolo, sempre in una illustrazione, sulle sue quattro gambe dopo aver tagliato il cordone ombelicale che lo metaforicamente ma non solo lo teneva legato a Perseverance, che si allontana dal campo di volo. Crediti: NASA/JPL-Caltech.

«Una volta tagliato il cordone con Perseverance e lasciato cadere per gli ultimi 13 centimetri sulla superficie, vogliamo che il nostro amico si allontani il più rapidamente possibile in modo da poter cogliere i raggi del Sole sul nostro pannello solare e iniziare a ricaricare le nostre batterie», ha detto Balaram.

Nel sesto e ultimo sol il team dovrà confermare tre cose: che le quattro gambe di Ingenuity sono saldamente sulla superficie del cratere Jezero, che il rover si sia spostato a circa 5 metri di distanza e che stia comunicando con tramite le rispettive radio di bordo. Questa è la pietra miliare che avvia anche l’orologio di 30 sol durante i quali vanno effettuati tutti i controlli preliminari e conclusi i test di volo.

Il primo test di volo, infatti, non avverrà però molto presto. Prima di spiccare il volo, sperando che il piccolo Ingenuity riesca a superare la prima fredda notte e le successive, il team a terra dovrà essere certo che tutto funzioni a dovere: farà una serie di test facendo roteare le pale, verificando l’energia a disposizione, e controllando la situazione al contorno. Anche il meteo marziano ha infatti un ruolo importante nell’esperimento, in particolare Perseverance controllerà la situazione dei venti grazie alle misurazioni effettuate dal Mars Environmental Dynamics Analyzer (MEDA) che ha a bordo di Perseverance, che possiede numerosi sensori atmosferici. Fortunatamente le previsioni su Marte sono più semplici di quelle sulla Terra, l’assenza di oceani e l’aria rarefatta rendono l’andamento del meteo piuttosto prevedibile, secondo le stagioni e a distanza di pochi giorni.

Una volta che il team sarà pronto per il primo volo Perseverance riceverà e trasmetterà a Ingenuity le istruzioni dei controllori di missione, che farà funzionare i suoi rotori a 2.537 giri/min e, se tutti gli autocontrolli finali saranno buoni, decollerà.

Dopo essere salito a una velocità di circa 1 metro al secondo, l’elicottero rimarrà sospeso a 3 metri sopra la superficie per un massimo di 30 secondi. Quindi, il Mars Helicopter scenderà e atterrerà di nuovo sulla superficie marziana. Diverse ore dopo il primo volo, Perseverance effettuerà il downlink della prima serie di dati tecnici di Ingenuity e, possibilmente, di immagini e video dalle telecamere di navigazione del rover e dalla Mastcam-Z.

Ingenuity ha solo questo storico e importante compito, riuscire a volare su Marte. Non ha strumenti scientifici a bordo né camere per ottenere informazioni scientifiche, è solo un importante esperimento ingegneristico per aprire la strada a un nuovo modo di esplorazione marziana, e che tornerà utile anche durante le missioni umane su Marte. Fornirà un punto di vista unico, diverso da quello degli orbiter attuali, o dei rover a terra, ravvicinato e ad alta definizione per la ricognizione di robot o esseri umani, e potrebbe persino aiutare a trasportare carichi utili che siano leggeri ma vitali da un sito all’altro.

La strumentazione di bordo di Ingenuity è ridotta al minimo necessario per farlo volare, comunicare e avere l'energia necessaria per tutto questo e per farlo sopravvivere alla notte marziana. In questo primo tentativo non poteva esserci spazio per strumentazione scientifica o camere di ripresa. Ci penserà Perseverance a inviarci più dati possibili (immagini e video compresi!) sui tentativi di volo. Noi non vediamo l'ora! Crediti

Solo dopo l’analisi dei dati trasferiti la prima sera dopo il volo, il team di Mars Helicopter si aspetta di essere in grado di decretare il successo del primo volo su Marte e utilizzerà tutte le informazioni ricevute per determinare quando e come procedere con il prossimo test.

«Marte è difficile», spiega MiMi Aung, project manager di Ingenuity  al JPL. «Il nostro piano è quello di lavorare qualsiasi cosa il Pianeta Rosso ci getterà contro, nello stesso modo in cui abbiamo gestito ogni sfida che abbiamo affrontato negli ultimi sei anni: insieme, con tenacia, molto duro lavoro e un po’ di Ingegno».

Scarica il modello 3D di Mars Ingenuity Helicopter

Costruiamo un Ingenuity, molto stilizzato, in carta!


Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

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Astronomiamo

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LocCoelum_Marzo2021Corso online: Le atmosfere planetarie con la Dott.ssa Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy).

Webinar

18.03: Di chi è lo spazio? Con il dr. Luciano Anselmo

01.04: Esopianeti e Proxima. Con il dr. Mario Damasso

Per informazioni:

www.astronomiamo.it

UAI – Unione Astrofili Italiani

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22-28 marzo – Le Strade delle Costellazioni
L’Astronomia a Scuola, con le Delegazioni UAI: si propone una settimana dedicata all’osservazione delle costellazioni, ai moti apparenti delle stelle e al moto della Luna e di Marte fra le stelle.
Per informazioni: http://www.uai.it/didattica

Hayabusa-2, lo scrigno si apre…

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Tre porzioni di campioni, mezzo grammo ciascuna, prelevati dalla "camera C" e posti su piattini larghi 2 cm.Credits: JAXA - Processing: Marco Di Lorenzo
Tre porzioni di campioni, mezzo grammo ciascuna, prelevati dalla "camera C" e posti su piattini larghi 2 cm.Credits: JAXA - Processing: Marco Di Lorenzo

Sono passati 2,5 mesi dall’arrivo della capsula nel deserto di Woomera, in Australia, ma l’analisi dei campioni è ancora al principio. Qui sotto vediamo i vari pezzi della capsula: a sinistra lo scudo termico frontale, al centro la parte posteriore (apparentemente malandata) e a desta il modulo strumentale posto tra i due. Insieme al paracadute e all’elettronica di controllo, nei giorni scorsi, questi tre elementi sono stati esposti al pubblico, nel museo cittadino di Sagamihara; presto verranno spostati al National Science Museum.

Gli elementi esterni che costituiscono la capsula, atterrata lo scorso 6 dicembre in Australia - Credits: JAXA - Processing: Marco Di Lorenzo

La capsula era peraltro equipaggiata con due schede di memoria flash che sono state rimosse solo il 19 febbraio; su tali schede erano stivati anche i dati di telemetria, circa 1 MB di informazioni relative a velocità angolare, accelerazione e temperatura nei 7 minuti prima e dopo del rientro; la temperatura, registrata con una cadenza di 1 Hz in 9 punti in all’interno della capsula, è rimasta ampiamente entro i limiti previsti.

Schemi che mostrano la collocazione e le suddivisioni interne del cilindro porta-campioni - Credits: JAXA - Processing: Marco Di Lorenzo

Il componente più prezioso, però, è stato separato ed è gelosamente conservato in un luogo speciale, come vedremo tra poco. Stiamo parlando, naturalmente, del piccolo cilindro porta-campioni, il cosiddetto “Sample Catcher”, separato al suo interno in tre diverse camere A,B,C; la figura qui sotto ne mostra la collocazione al centro della capsula e la sua struttura interna.

Di seguito vediamo la “camera pulita” dedicata a tali delicate analisi. Si tratta praticamente di un laboratorio completamente isolato dall’esterno, con cinque differenti comparti dedicati alle varie fasi della lavorazione. Il contenitore cilindrico contenente i campioni è stato prima aperto in condizioni di vuoto nella camera CC3-1, rimuovendone il coperchio e rivelando il contenuto della “Chamber A”; i campioni in essa contenuti dovrebbero essere quelli raccolti nel primo touchdown. Una parte di questo materiale è stato rimosso e stivato sottovuoto, per poi spostare il cilindro nello scomparto CC3-3, aprendo progressivamente le tre camere in un ambiente saturo di azoto.

Per saperne di più sulla missione, cliccando sull'immagine lo speciale pubblicato in occasione dell'arrivo della sonda attorno a Ryugu.
La camera C contiene campioni prelevati nel secondo touchdown, in prossimità del cratere artificiale di 18 metri di diametro scavato da Hayabusa; vediamo alcune porzioni di questo materiale, dall’aspetto grigio-scuro, nell’immagine di apertura. La camera B, invece, dovrebbe contenere campioni di polvere molto fine, dato che è rimasta aperta tra i due touchdown. In totale, sono stati riportati a terra 5,4 grammi di materiale e adesso si sta procedendo a redigere un catalogo dei grani macroscopici, con dimensioni comprese tra 1mm e 1 cm. All’inizio dell’estate, si prevede di iniziare l’analisi chimica dei campioni, alla ricerca di acqua, materiali idrati e composti organici.

Le varie camere sottovuoto in cui vengono spostati e processati i campioni - Credits: JAXA - Processing: Marco Di Lorenzo

Un’altra informazione registrata nelle schede flash sulla capsula è una lista di 226800 nomi e messaggi raccolti prima della partenza di Hayabusa-2 e provenienti per la maggior parte dal territorio giapponese (75%) ma anche da altre nazioni. Questi nomi hanno viaggiato con la sonda e sono tornati a Terra, mentre altri 183174 nomi sono rimasti su Ryugu, incisi all’interno di un “target marker”; in questa pagina è possibile rintracciare il proprio nome eventualmente inciso nell’ambito dell’iniziativa “Little Prince Million Campaign”, in onore al personaggio di Saint-Euxpéry.

La sonda madre, intanto, ha ancora oltre il 50% del carburante a bordo e sta viaggiando verso un piccolo asteroide noto come 1998 KY26; attualmente, Hayabusa-2 si trova ad oltre 68 milioni di km dalla Terra.

© Copyright Alive Universe


Sitografia e bibliografia:


Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

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Aspettando il James Webb Telescope. Centaurus A

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In questa immagine, Centaurus A sfoggia il suo disco centrale deformato e i lunghi getti emessi dal suo nucleo, che svelano la presenza di un buco nero supermassiccio e la sua natura di galassia attiva. È la quinta galassia più luminosa del cielo e dista solo circa 13 milioni di anni luce dalla Terra, rendendola un obiettivo ideale per lo studio dei nuclei galattici attivi con il prossimo telescopio spaziale James Webb della NASA. Crediti: raggi X: NASA / CXC / SAO; ottica: Rolf Olsen; infrarossi: NASA / JPL-Caltech; radio: NRAO / AUI / NSF / Univ.Hertfordshire / M. Hardcastle

Il suo lancio per il momento è confermato nel 2021, e diventerà il principale Osservatorio spaziale al mondo per lo studio del nostro Sistema Solare e dei sistemi planetari di altre stelle, ma anche per studiare le misteriose strutture alle origini del nostro Universo. Il JWST (James Webb Space Telescope) sarà guidato dalla NASA in collaborazione con le agenzie spaziali europea e canadese, e uno dei suoi primi obiettivi sarà modellare il nucleo della nostra vicina, la galassia Centaurus A.

Centaurus A è una galassia gigante e vicina, facilmente osservabile e fotografabile con la nostra strumentazione amatoriale, ma le sue sembianze possono ingannare!
Quello che osserviamo sono fasce di scura polvere interstellare e ammassi di giovani stelle blu che attraversano la sua regione centrale, anche nel vicino infrarosso e ultravioletto la galassia appare tutto sommato quieta, ma spingendosi a lunghezze d’onda più estreme si rivela per quello che è davvero. P
assando ai raggi X e alla luce radio, ecco che dal nucleo di quella che è una galassia ellittica deforme, vediamo spettacolari getti di materiale espulsi, ben oltre i limiti della galassia, dal suo buco nero supermassiccio attivo — noto come
nucleo galattico attivo.

Ma cosa sta accadendo nel suo nucleo per provocare tutta questa attività? Saranno Nora Lützgendorf e Macarena García Marín dell’Agenzia spaziale europea che tenteranno per la prima volta a rispondere, e confermare le teorie, a queste domande utilizzando il telescopio spaziale James Webb, che consentirà ai ricercatori di scrutare attraverso il suo nucleo polveroso ottenendo immagini ad alta risoluzione.

«Ci sono così tante cose in ballo in Centaurus A», spiega Lützgendorf. «I gas, il disco e le stelle della galassia si muovono tutti sotto l’influenza del suo buco nero supermassiccio centrale. Poiché la galassia è così vicina a noi, saremo in grado di utilizzare Webb per creare mappe bidimensionali per vedere come il gas e le stelle si muovono nella sua regione centrale, come sono influenzate dai getti del suo nucleo galattico attivo, e potremo in definitiva caratterizzare meglio la massa del suo buco nero “.

I buchi neri supermassicci, al centro delle galassie attive, sono mostri voraci che periodicamente "attingono" dai dischi di gas e polvere che orbitano intorno a loro, il che può provocare massicci deflussi che influenzano, localmente ma non solo, la formazione stellare. Quando il telescopio spaziale James Webb della NASA inizierà a osservare nell'infrarosso i nuclei delle galassie attive, saremo in grado di "perforare" la cortina di gas e polveri, e ottenere immagini e dati ad altissima risoluzione. Questo permetterà ai ricercatori di comprendere con precisione come ogni processo scateni il successivo in un enorme circolo chiuso di processi all'interno dei quali si sviluppano anche quei lunghi getti perpendicolari che vediamo uscire dal nucleo galattico. Cliccare sull'immagine per ingrandire. Crediti: NASA, ESA e L. Hustak (STScI)

Cosa sappiamo di Centaurus A? Sicuramente è una galassia ben studiata finora, grazie proprio alla sua vicinanza: circa 13 milioni di anni luce. Risolta per la prima volta nella metà del 1800, proprio questa sua apparenza tranquilla, anche se deforme, l’ha tenuta fuori dagli interessi degli astronomi fino agli anni ’50, quando iniziò l’osservazione radio e i suoi getti vennero alla luce.

Nel 1954, si è così scoperto che Centaurus A deve essere il risultato della fusione di due galassie, che in seguito si è stimato potesse essere accaduto attorno ai 100 milioni di anni fa.

Nei primi anni 2000, è arrivata la stima della nascita dei due getti gemelli, che escono dal nucleo in direzioni opposte, datata circa 10 milioni di anni. Ma esaminandola nell’insieme dello spettro elettromagnetico è evidente che c’è molto altro da studiare e scoprire.

«Gli studi a lunghezze d’onda multiple di qualsiasi galassia sono come gli strati di una cipolla. Ogni lunghezza d’onda mostra qualcosa di diverso», spiega Marín. «Con gli strumenti del vicino e medio infrarosso di Webb, potremo vedere gas e polveri molto più freddi rispetto alle precedenti osservazioni e impareremo molto di più sull’ambiente al centro della galassia».

Il nucleo polveroso di Centaurus A è evidente alla luce visibile, ma i suoi getti si vedono meglio ai raggi X e in luce radio. Con le prossime osservazioni del telescopio spaziale James Webb della NASA luce infrarossa ad alta definizione, i ricercatori sperano di dare una migliore stima della massa del buco nero supermassiccio al centro della galassia, e di affinare dinamiche e origine di emissione dei getti. Crediti: raggi X: NASA / CXC / SAO; ottica: Rolf Olsen; infrarossi: NASA / JPL-Caltech; radio: NRAO / AUI / NSF / Univ.Hertfordshire / M. Hardcastle

Il team guidato da Lützgendorf e Marín osserverà Centaurus A non solo scattando immagini con il telescopio spaziale Webb, ma raccogliendo gli spettri elettromagnetici della luce emessa dalla galassia, che riveleranno informazioni ad alta risoluzione su temperature, velocità e composizioni del materiale al centro della galassia.

In particolare, lo spettrografo nel vicino infrarosso di Webb (NIRSpec and Mid-Infrared Instrument – MIRI) fornirà al team di ricerca una combinazione di dati: un’immagine più uno spettro all’interno di ciascun pixel di quell’immagine. Ciò consentirà ai ricercatori di costruire mappe in due dimensioni che li aiuteranno a identificare cosa sta succedendo dietro il velo di polvere al centro e ad analizzarlo da molte angolazioni in profondità.

Paragonando la galassia ad un giardino, in cui i botanici classificano le singole piante in base a specifiche caratteristiche, Marín spiega le differenze dalle precedenti osservazioni: «Se scatti un’istantanea di un giardino da una grande distanza, vedrai qualcosa di verde, ma con Webb saremo in grado di vedere le singole foglie e fiori, i loro steli e forse anche il terreno sottostante». Un paragone che rivela quanto il nuovo telescopio possa rivoluzionare la nostra conoscenza dell’Universo.

Centaurus A ripresa in luce visibile, ormai una decina di anni fa, da Alessandro Bares Cipolat: «La Galassia Centaurus A o NGC5128, nella costellazione australe del Centauro, distante circa 11 milioni di anni luce, in questa ripresa dal cielo del Khalahari, con un astrografo ASA da 30cm, sotto un cielo fantastico, unico!». Cliccando sull'immagine tutti i dettagli della ripresa su PhotoCoelum. Crediti Coelum Astronomia/Alessandro Bares Cipolat.
«Quando si tratta di analisi spettrale, conduciamo molti confronti», ha continuato Marín. «Se confronto due spettri di questa regione, forse scoprirò che ciò che è stato osservato contiene una popolazione prominente di giovani stelle. O confermerò quali aree sono sia polverose che riscaldate. O, magari, riusciremo a identificare l’emissione proveniente dal nucleo galattico attivo».

In altre parole, l’insieme degli spettri permette di osservare la galassia su molti livelli, che consentiranno al team di definire meglio, con precisione, cosa è presente e dove si trova. Il confronto con gli studi precedenti permetterà di confermare quanto già sappiamo, perfezionarlo o addirittura aprire nuovi orizzonti identificando nuove strutture.

Le mappe ad altissima risoluzione delle velocità del gas e delle stelle al centro del Centaurus A permetteranno ai ricercatori anche di modellare meglio le dinamiche e le caratteristiche del buco nero al centro della galassia: «Abbiamo in programma di utilizzare queste mappe per modellare come l’intero disco al centro della galassia si sposta per determinare con maggiore precisione la massa del buco nero», spiega Lützgendorf.

Sapendo come la gravità di un buco nero influenza la rotazione del gas vicino, in definitiva sarà possibile con i dati di Webb “pesare” il buco nero nel Centaurus A.

I ricercatori sperano anche di aprire nuovi orizzonti. «È possibile che troveremo cose che non abbiamo ancora considerato», spiega Lützgendorf, e Marin concorda: «L’aspetto più interessante di queste osservazioni è la potenzialità di fare nuove scoperte. Penso che potremmo trovare qualcosa che ci farà tornare sui vecchi dati raccolti e reinterpretare ciò che è stato visto in precedenza».


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Circolo Galileo Galilei

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Quest’anno abbiamo preferito non affrontare un tema unico, ma un mix di argomenti spaziando tra filosofia, sociologia, astronomia…Riprenderemo anche il tema della crisi climatica, lasciato in sospeso lo scorso anno. Anche noi, come tanti, abbiamo scelto gli strumenti che le tecnologie informatiche e telematiche mettono a disposizione. Per seguire gli appuntamenti basterà collegarsi:
– Al canale YouTube del Circolo Galilei https://www.youtube.com/channel/UClmcCdIqLo17JyI2ZNyECpg
– Sulla pagina Facebook di Officina 31021: https://www.facebook.com/Officina31021

26 marzoEmergenze planetarie: sostenibilità e strategie

Con Francesco Gonella, professore ordinario di Fisica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia – Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi

Per maggiori informazioni: http://circologalilei.somsmogliano.it/

Gruppo Astrofili di Piacenza

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Sarà possibile partecipare a tutti gli eventi collegandosi al servizio internet https://meet.jit.si/GruppoAstrofilidiPiacenza

25 marzo – La datazione degli ammassi stellari a cura di Michele Cifalinò
Per maggiori informazioni: http://www.astrofilipc.it/

Concorso fotografico invernale UAI

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Concorso_fotografico_Uai_cover

Concorso_fotografico_Uai_coverÈ stato posticipato al 28 febbraio il termine per partecipare al Concorso fotografico invernale indetto dal Gruppo giovani dell’Unione Astrofili Italiani (UAI), formato da Ilaria Calzia, Clara Odetti, Amir, Matteo Tivan e Samuele Martino. Il concorso è aperto a tutti i ragazzi (non ci sono limiti di età) affascinati dalla fotografia astronomica e desiderosi di condividere la propria visione del cielo invernale.

Per maggiori informazioni: https://www.uai.it/sito/news/uai-divulgazione/concorso-fotografico-invernale-ce-tempo-fino-al-28-febbraio-per-partecipare/

Scoperto il più distante quasar con potenti getti radio

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Questa rappresentazione artistica mostra come potrebbe apparire il quasar distante P172+18 con i suoi getti radio. Fino a oggi (inizio del 2021) è il quasar con getti radio più distante mai scoperto; è stato studiato con l'aiuto del VLT (Very Large Telescope) dell'ESO. È così distante che la sua luce ha viaggiato per circa 13 miliardi di anni per raggiungerci: lo vediamo com'era quando l'Universo aveva appena 780 milioni di anni. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Questa rappresentazione artistica mostra come potrebbe apparire il quasar distante P172+18 con i suoi getti radio. Fino a oggi (inizio del 2021) è il quasar con getti radio più distante mai scoperto; è stato studiato con l'aiuto del VLT (Very Large Telescope) dell'ESO. È così distante che la sua luce ha viaggiato per circa 13 miliardi di anni per raggiungerci: lo vediamo com'era quando l'Universo aveva appena 780 milioni di anni. Crediti: ESO/M. Kornmesser

I quasar sono oggetti molto luminosi che si trovano al centro di alcune galassie e sono alimentati da buchi neri supermassicci. Quando il buco nero consuma il gas circostante, viene rilasciata una grande quantità di energia, consentendo agli astronomi di individuarli anche quando sono molto lontani.

Il quasar appena scoperto, chiamato P172+18, è così distante che la sua luce ha viaggiato per circa 13 miliardi di anni per raggiungerci: lo vediamo com’era quando l’Universo aveva appena 780 milioni di anni. Sebbene siano stati scoperti quasar più distanti, questa è la prima volta in cui gli astronomi riescono a identificare segni inequivocabili della presenza di getti radio in un quasar in un’epoca così vicina all’inizio della storia dell’Universo. Solo il 10% circa dei quasar – quelli che gli astronomi classificano come “radio-brillanti” – hanno getti, che brillano intensamente alle frequenze radio [1].

P172 + 18 è alimentato da un buco nero circa 300 milioni di volte più massiccio del Sole, che sta consumando gas a una velocità sbalorditiva. «Il buco nero sta divorando la materia molto rapidamente, crescendo in massa a uno dei tassi più alti mai osservati», spiega l’astronoma Chiara Mazzucchelli, borsista dell’ESO in Cile, che ha guidato la scoperta insieme con Eduardo Bañados del Max Planck Institute for Astronomy in Germania.

Gli astronomi pensano che ci sia un collegamento tra la rapida crescita dei buchi neri supermassicci e i potenti getti radio individuati in quasar come P172+18. Si pensa che i getti siano in grado di disturbare il gas intorno al buco nero, aumentando la velocità con cui il gas cade. Pertanto, lo studio dei quasar radio-brillanti può fornire importanti indicazioni sul modo in cui i buchi neri nell’Universo primordiale sono cresciuti fino alle loro dimensioni supermassicce così rapidamente subito dopo il Big Bang.

«Trovo esaltante scoprire ‘nuovi’ buchi neri per la prima volta e fornire un ulteriore elemento costitutivo per comprendere l’Universo primordiale, da dove veniamo e, in ultima analisi, per capire noi stessi», afferma Mazzucchelli.

P172 + 18 è stato inizialmente riconosciuto come quasar lontano, dopo essere stato precedentemente identificato come sorgente radio, al Telescopio Magellano dell’Osservatorio Las Campanas in Cile da Bañados e Mazzucchelli. «Non appena abbiamo ottenuto i dati, ci è bastata un’occhiata per capire subito di aver scoperto il quasar radio-brillante più distante conosciuto finora», dice Bañados.

Tuttavia, a causa del breve tempo di osservazione, l’equipe non disponeva di dati sufficienti per studiare in dettaglio l’oggetto. È seguita una raffica di osservazioni con altri telescopi, incluso lo strumento X-shooter sul VLT dell’ESO, che ha permesso loro di scavare più a fondo nelle caratteristiche di questo quasar, inclusa la determinazione delle proprietà chiave come la massa del buco nero e la velocità con cui sta mangiando materia da ciò che lo circonda. Altri telescopi che hanno contribuito allo studio includono il VLA (Very Large Array) del National Radio Astronomy Observatory e il Keck Telescope negli Stati Uniti.

Il gruppo di ricerca è entusiasta della propria scoperta, che apparirà sulla rivsita The Astrophysical Journal, ma è anche convinto che questo quasar radio-brillante sia il primo di una lunga serie, che forse potrebbe arrivare a distanze cosmologiche ancora maggiori. «Questa scoperta mi rende ottimista e credo — e spero — che il record di distanza sarà presto battuto”, dice Bañados.

Le osservazioni con strutture come ALMA, di cui l’ESO è un partner, e con il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO potrebbero aiutare a scoprire e studiare in dettaglio un grande numero di questi oggetti dell’Universo primordiale.

Ulteriori Informazioni

Questi risultati sono presentati nell’articolo “The discovery of a highly accreting, radio-loud quasar at z=6.82” pubblicato dalla rivista The Astrophysical Journal.


Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

Coelum Astronomia di Marzo 2021
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Luna e Marte nella costellazione del Toro

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La sera del 19 marzo, alle ore 19:40 circa, potremo ammirare una bella congiunzione tra la Luna (fase del 33%) e il pianeta Marte (mag. +1,1). I due soggetti, molto facili da individuare, saranno alti circa 47° sull’orizzonte ovest-sudovest: la separazione sarà di 2° 12’.

A rendere ancora più interessante questa congiunzione sarà il contesto stellare in cui avviene l’incontro, ossia quello della costellazione del Toro, con la bella Aldebaran (Alfa Tauri; mag. +0,9) a spiccare si tutte, l’ammasso delle Iadi a poca distanza dalla Luna e, un po’ più distante, anche l’ammasso delle Pleiadi.

La figura del Toro celeste sarà quasi verticale, pronta a tuffarsi sotto l’orizzonte occidentale che, tuttavia, all’orario indicato sarà ancora molto alto.

Per la ripresa fotografica di questo fenomeno, come sempre, consigliamo di attendere un orario più tardo, come ad esempio le ore 22:30, quando i soggetti principali saranno alti circa 20°
sull’orizzonte, consentendo di includere nello scatto fotografico anche elementi del paesaggio naturale circostante.


Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

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Mars Express svela i segreti di una nube marziana

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Profilo della nube orografica dell’Arsia Mons. Crediti: Esa
La sottile nube orografica che appare durante la primavera dell'emisfero meridionale marziano, circa 20 chilometri sopra il vulcano Arsia Mons, ripresa qui nel luglio 2020 dalla Visual Monitoring Camera (VMC), a bordo della sonda Mars Express dell'ESA. ESA/GCP/UPV/EHU Bilbao

Mentre tutti gli occhi sono puntati su Perseverance, che ha iniziato a scorrazzare sul terreno marziano, un nonnino che sa il fatto suo continua imperterrito a fare le riprese in alta quota. Si chiama Mars Express ed è una sonda dell’Agenzia spaziale europea lanciata nello spazio nel giugno 2003 per studiare Marte. Inizialmente composta da due moduli – l’orbiter Mars Express e il lander Beagle 2 – la missione sta continuando ora con il solo orbiter, dopo che si è persa ogni traccia del lander fino al 16 gennaio 2015, data in cui l’Esa ha comunicato il suo ritrovamento, inattivo.

Evoluzione della nube orografica dell’Arsia Mons. Crediti: Esa/Gcp/Upv/Ehu Bilbao

È proprio grazie a Mars Express se oggi possiamo studiare nel dettaglio un’imponente nube che si forma periodicamente vicino al vulcano Arsia Mons – alto circa 20 chilometri – a sud dell’equatore. Arsia Mons è l’unico luogo a bassa latitudine, su Marte, in cui in questo periodo dell’anno si vedono nubi, nonché l’unico di numerosi vulcani simili nella regione a possedere un tale velo di nubi. Mars Express ha visto questa copertura nubiforme crescere e svanire quotidianamente durante le stagioni primaverili ed estive, restituendo immagini sorprendenti. Tuttavia, la nube è difficile da osservare nella sua interezza a causa della rapidità con cui cambia l’atmosfera marziana e dei vincoli orbitali delle sonde che stanno osservando il pianeta. «Per eliminare questi ostacoli, abbiamo utilizzato uno degli strumenti “segreti” di Mars Express: la Visual Monitoring Camera, o Vmc», afferma Jorge Hernández Bernal dell’Università dei Paesi Baschi a Bilbao, in Spagna.

Soprannominata anche Mars Webcam, la Vmc ha una risoluzione simile a quella di una webcam standard del 2003 per computer. Venne installata per avere una conferma visiva che il lander Beagle 2 si fosse separato con successo da Mars Express, dopodiché venne spenta. Diversi anni dopo, è stata riattivata e utilizzata per raccogliere immagini di Marte per attività di outreach, senza essere mai utilizzata per la ricerca scientifica. «Tuttavia, di recente, la Vmc è stata riclassificata come fotocamera scientifica», aggiunge Jorge. «Sebbene abbia una bassa risoluzione spaziale, ha un ampio campo visivo – essenziale per osservare il quadro generale della situazione in diverse ore del giorno – ed è perfetta per monitorare l’evoluzione di certe caratteristiche, sia per un lungo periodo di tempo che in piccoli intervalli. Di conseguenza, abbiamo potuto studiare l’intera nube attraverso numerosi suoi cicli di vita».

Il gruppo di ricercatori ha combinato le osservazioni della Vmc con quelle di altri due strumenti di Mars Express – Omega e Hrsc – e di diversi altri veicoli spaziali: Mars Atmosphere and Volatile Evolution (Maven) della Nasa, Mars Reconnaissance Orbiter (Mro), Viking 2, e Mars Orbiter Mission (Mom) dell’Indian Space Research Organisation. «Eravamo particolarmente entusiasti quando abbiamo approfondito le osservazioni di Viking 2 degli anni ’70», afferma Jorge. «Abbiamo scoperto che questa enorme e affascinante nuvola era già stata parzialmente fotografata a quell’epoca e ora la stiamo esplorando nel dettaglio».

I risultati hanno rivelato che, nella sua massima estensione, la nube misura circa 1800 km di lunghezza e 150 km di diametro. È la più grande nube orografica mai vista su Marte, che si genera quando una massa d’aria incontra una catena montuosa e viene forzata a risalirla. In questo caso, Arsia Mons perturba l’atmosfera marziana per innescare la formazione della nuvola; l’aria umida viene quindi spinta sui fianchi del vulcano in correnti ascensionali, condensandosi successivamente ad altitudini più elevate e molto più fresche.

Profilo della nube orografica dell’Arsia Mons. Crediti: Esa

La nuvola presenta un rapido ciclo giornaliero, che si è ripetuto ogni mattina per diversi mesi. Inizia a crescere prima dell’alba sul versante occidentale di Arsia Mons prima di espandersi verso ovest per due ore e mezza, crescendo molto rapidamente – a oltre 600 chilometri orari – fino a un’altitudine di 45 chilometri. Quindi smette di espandersi, si sposta dalla sua posizione iniziale e viene spinta più a ovest dai venti di alta quota, prima di evaporare in tarda mattinata con l’aumento della temperatura dell’aria con il sorgere del Sole. «Molti orbiter di Marte non possono iniziare ad osservare questa parte della superficie fino al pomeriggio a causa delle proprietà delle loro orbite, quindi questa è stata davvero la prima esplorazione dettagliata di questa interessante caratteristica – ed è resa possibile non solo dalla variegata suite di strumenti di Mars Express, ma anche dalla sua orbita», spiega Agustin Sánchez-Lavega, dell’Università dei Paesi Baschi.

Il sistema climatico marziano è il più simile a quello terrestre, ma nonostante questo i due pianeti mostrano differenze ben distinte e intriganti. «Sebbene le nuvole orografiche si osservino comunemente sulla Terra, non raggiungono estensioni così enormi né mostrano dinamiche così vivide», afferma Agustin. «La comprensione di questa nube ci offre l’entusiasmante opportunità di provare a replicare la formazione della nuvola con modelli, che miglioreranno la nostra conoscenza dei sistemi climatici, sia su Marte che sulla Terra».

Le fotocamere ad alta risoluzione come Hrsc di Mars Express hanno campi visivi ristretti e le osservazioni vengono sempre pianificate in anticipo. Di conseguenza, i fenomeni meteorologici, generalmente imprevedibili, vengono solitamente colti per caso. Tuttavia, una volta che i ricercatori hanno iniziato a comprendere il ciclo di vita e gli schemi annuali di questa nube estesa, sono stati in grado di indirizzare il team di Hrsc nel posto giusto e nel momento giusto, per catturarla mentre si stava formando. «Il riutilizzo della Vmc ci ha permesso di studiare questa nube temporanea in un modo che altrimenti non sarebbe stato possibile. La fotocamera consente agli scienziati di seguire le nubi, monitorare le tempeste di polvere, sondare le strutture di nuvole e polvere nell’atmosfera marziana, esplorare i cambiamenti nelle calotte polari del pianeta e altro ancora. La sua rimessa in servizio non solo supporta gli altri strumenti di Mars Express per l’esplorazione di Marte, ma rappresenta un valore aggiunto alla missione di lunga data che è dal 2003 che sta rivelando nuove informazioni sul Pianeta rosso».

Per saperne di più:

  • Leggi su Journal of Geophysical Research l’articolo “An Extremely Elongated Cloud Over Arsia Mons Volcano on Mars: I. Life Cycle” di Hernández‐Bernal A. Sánchez‐Lavega T. del Río‐Gaztelurrutia  E. Ravanis  A. Cardesín‐Moinelo  K. Connour  D. Tirsch  I. Ordóñez‐Etxeberria  B. Gondet  S. Wood  D. Titov  N. M. Schneider  R. Hueso  R. Jaumann ed E. Hauber

Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

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UAI – Unione Astrofili Italiani

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20-21 marzo – Workshop di radioastronomia sullo studio delle PULSAR
Meeting nazionale organizzato dal Programma Nazionale di Ricerca Radioastronomia UAI e da IARA presso l’Osservatorio e Planetario di San Giovanni in Persiceto (BO).
Per informazioni: http://www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

22-28 marzo – Le Strade delle Costellazioni
L’Astronomia a Scuola, con le Delegazioni UAI: si propone una settimana dedicata all’osservazione delle costellazioni, ai moti apparenti delle stelle e al moto della Luna e di Marte fra le stelle.
Per informazioni: http://www.uai.it/didattica

Gruppo Astrofili di Piacenza

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Sarà possibile partecipare a tutti gli eventi collegandosi al servizio internet https://meet.jit.si/GruppoAstrofilidiPiacenza

18 marzo – Le stelle pulsar, a cura di Patrizia Bussatori
25 marzo – La datazione degli ammassi stellari a cura di Michele Cifalinò
Per maggiori informazioni: http://www.astrofilipc.it/

Astronomiamo

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LocCoelum_Marzo2021

LocCoelum_Marzo2021Corso online: Le atmosfere planetarie con la Dott.ssa Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy).

Webinar

18.03: Di chi è lo spazio? Con il dr. Luciano Anselmo

01.04: Esopianeti e Proxima. Con il dr. Mario Damasso

Per informazioni:

www.astronomiamo.it

Forse scoperto il primo pianeta in orbita attorno a Vega

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La ricerca guidata da Spencer Hurt, studente universitario presso il Dipartimento di Scienze Astrofisiche e Planetarie della Colorado Boulder, è stata pubblicata questo mese su The Astronomical Journal.

Vega fa parte della costellazione della Lira ed è la quinta stella più luminosa del cielo notturno e la seconda più luminosa nell’emisfero celeste boreale. È abbastanza vicino astronomicamente parlando e può essere osservata anche al crepuscolo quando le altre stelle sono ancora soffocate dal bagliore del Sole. Ha ispirato storie di fantascienza e vita extraterrestre eppure fino ad oggi non si conosce un solo pianeta nel suo sistema. Ma la scoperta di Hurt e Samuel Quinn, astronomo dell’Harvard and Smithsonian Center for Astrophysics (CfA), co-autore dello studio, potrebbe cambiare le carte in tavola.

Tra i set di dati raccolti in un decennio di osservazioni dal Fred Lawrence Whipple Observatory in Arizona, il team ha identificato un segnale curioso, una leggera oscillazione nella velocità della stella.
Se il candidato venisse confermato, il pianeta alieno orbiterebbe così vicino a Vega che i suoi anni durerebbero meno di due giorni e mezzo terrestri (per un confronto, Mercurio impiega 88 giorni per girare intorno al Sole). Questo esopianeta, un giovianonettuniano caldo, potrebbe classificarsi al secondo posto tra i mondi più hot conosciuti, con temperature superficiali in media di 3000 gradi Celsius. «Sarebbe almeno della dimensione di Nettuno, potenzialmente grande quanto Giove e sarebbe più vicino a Vega di quanto Mercurio sia al Sole», ha detto Hurt. «Così vicino a Vega», ha aggiunto, «che il mondo candidato potrebbe gonfiarsi come un pallone e persino il ferro si scioglierebbe in gas nella sua atmosfera».

Tuttavia, anche se il potenziale esopianeta non sarebbe un buon posto per la vita, questa scoperta potrebbe aiutare a restringere la zona in cui potrebbero trovarsi altri mondi attorno a Vega. «Questo è un sistema enorme, molto più grande del nostro Sistema Solare», ha detto Hurt. «Potrebbero esserci altri pianeti in tutto il sistema. È solo questione di sapere se possiamo rilevarli».

Ad oggi, gli scienziati hanno scoperto più di 4.000 esopianeti oltre il sistema solare terrestre. Pochi, però, orbitano attorno a stelle luminose o vicine alla Terra come Vega.
«Sarebbe davvero eccitante trovare un pianeta intorno a Vega perché offrirebbe una possibilità di caratterizzazione senza precdenti», ha detto Quinn. C’è solo un problema: Vega è una stella bianca di sequenza principale piuttosto giovane, ciò che gli scienziati chiamano stella di tipo A. Questa classificazione indica oggetti che tendono ad essere più grandi, più giovani e che ruotano molto più velocemente del nostro Sole. Vega, ad esempio, ruota attorno al proprio asse una volta ogni 16 ore, molto più velocemente del Sole che ha un periodo di rotazione di circa 27 giorni terrestri. «Un ritmo così fulmineo», ha detto Quinn, «che può rendere difficile raccogliere dati precisi sul movimento della stella e, per estensione, sui pianeti in orbita attorno ad essa».

Ora, il pianeta candidato dovrà essere confermato (o smentito).
Hurt fa notare che, il modo più semplice, potrebbe essere quello di scansionare direttamente il sistema stellare per cercare la luce emessa dal pianeta caldo e luminoso.

© Copyright Alive Universe

Una nuova flotta scientifica ha raggiunto MARTE. Hope, Tian Wen 1 e i sette minuti di terrore di Perseverance ad alta risoluzione e a colori. Le prime immagini inviate dal rover dal Pianeta Rosso.

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UAI – Unione Astrofili Italiani

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13 marzo – STAR PARTY INVERNALE – Maratona Messier
Il più classico e atteso appuntamento per gli astrofili amanti del deep sky: una maratona a caccia dei 110 oggetti del catalogo Messier. Una sfida osservativa a cui partecipano astrofili di tutto il mondo.
Per informazioni: http://www.uai.it/divulgazione/osservare/maratona-messier/

20-21 marzo – Workshop di radioastronomia sullo studio delle PULSAR
Meeting nazionale organizzato dal Programma Nazionale di Ricerca Radioastronomia UAI e da IARA presso l’Osservatorio e Planetario di San Giovanni in Persiceto (BO).
Per informazioni: http://www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

22-28 marzo – Le Strade delle Costellazioni
L’Astronomia a Scuola, con le Delegazioni UAI: si propone una settimana dedicata all’osservazione delle costellazioni, ai moti apparenti delle stelle e al moto della Luna e di Marte fra le stelle.
Per informazioni: http://www.uai.it/didattica

Circolo Galileo Galilei

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Quest’anno abbiamo preferito non affrontare un tema unico, ma un mix di argomenti spaziando tra filosofia, sociologia, astronomia…Riprenderemo anche il tema della crisi climatica, lasciato in sospeso lo scorso anno. Anche noi, come tanti, abbiamo scelto gli strumenti che le tecnologie informatiche e telematiche mettono a disposizione. Per seguire gli appuntamenti basterà collegarsi:
– Al canale YouTube del Circolo Galilei https://www.youtube.com/channel/UClmcCdIqLo17JyI2ZNyECpg
– Sulla pagina Facebook di Officina 31021: https://www.facebook.com/Officina31021

12 marzo – Followers and Doubters: come difenderci dal potere di influenza delle reti sociali

Con Paola Velardi, professoressa ordinaria di Informatica presso l’Università La Sapienza di Roma – Dipartimento di Informatica

26 marzo – Emergenze planetarie: sostenibilità e strategie
Con Francesco Gonella, professore ordinario di Fisica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia – Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi

Per maggiori informazioni: http://circologalilei.somsmogliano.it/

Il pericolo che viene dal Sole

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Un’espulsione di massa coronale avvenuta il 31 agosto 2012. Questa immagine è stata ottenuta combinando le lunghezze d’onda 171 e 304 angstrom prese dal Solar Dynamics Observatory. Crediti: Nasa/Gsfc/Sdo
Un’espulsione di massa coronale avvenuta il 31 agosto 2012. Questa immagine è stata ottenuta combinando le lunghezze d’onda 171 e 304 angstrom prese dal Solar Dynamics Observatory. Crediti: Nasa/Gsfc/Sdo

Per la prima volta – grazie a uno studio condotto da alcuni ricercatori della Ucl e della George Mason University, Virginia, Usa – è stata individuata una sorgente di particelle solari potenzialmente pericolose, rilasciate dal Sole ad alta velocità durante le tempeste solari, nella parte esterna della sua atmosfera.

Un approfondimento sulla fisica solare e sulle tempeste solari

Queste particelle altamente cariche se raggiungono l’atmosfera terrestre possono disturbare i satelliti e le infrastrutture elettroniche, oltre a rappresentare un rischio per gli astronauti e le persone negli aeroplani, in termini di esposizione alle radiazioni. Risale al 1859 la più grande tempesta geomagnetica mai osservata dagli astronomi – conosciuta come Evento di Carrington – che causò il black-out dei sistemi telegrafici in Europa e in America. Oggi, in un mondo estremamente dipendente dalle infrastrutture elettroniche, il danno potenziale sarebbe molto maggiore.

Per ridurre al minimo il pericolo che viene dal Sole, gli scienziati stanno cercando di capire come vengono prodotti questi flussi di particelle, in modo da riuscire a prevedere quando potrebbero influenzare la Terra.

Nel nuovo studio, pubblicato su Science Advances, i ricercatori hanno analizzato la composizione delle particelle energetiche solari dirette verso la Terra all’inizio del 2014, e hanno scoperto che avevano la stessa “impronta digitale” del plasma nella parte bassa della corona solare, vicino alla regione centrale della sua atmosfera, la cromosfera. «Nel nostro studio abbiamo osservato per la prima volta da dove provengono esattamente le particelle energetiche sul Sole», spiega Stephanie Yardley dell’Ucl Mullard Space Science Laboratory (Mssl). «L’evidenza riscontrata supporta le teorie che sostengono che queste particelle altamente cariche provengono da plasma che è stato confinato nella parte bassa dell’atmosfera solare da forti campi magnetici. Una volta rilasciate, queste particelle vengono accelerate da eruzioni che viaggiano a una velocità di alcune migliaia di chilometri al secondo».

«Le particelle energetiche possono arrivare sulla Terra molto rapidamente, da pochi minuti a poche ore, in questi eventi che durano per giorni. Al momento, possiamo solo fornire previsioni di questi eventi mentre si verificano, poiché è molto difficile prevederli. Comprendendo meglio i processi che avvengono sul Sole, possiamo migliorare le previsioni in modo che, quando colpisce una grande tempesta solare, abbiamo il tempo di agire per ridurre i rischi».

«Le nostre osservazioni forniscono un’allettante anteprima della provenienza del materiale che ha prodotto particelle energetiche solari in alcuni eventi dell’ultimo ciclo solare. Ora stiamo iniziando un nuovo ciclo e useremo le stesse tecniche per vedere se i nostri risultati sono veri in generale, o se questi eventi sono da considerarsi insoliti», dice David Brooks, della George Mason University, primo autore dello studio. «Possiamo ritenerci fortunati perché è probabile che la nostra comprensione dei meccanismi alla base delle tempeste solari e delle particelle energetiche solari progredisca rapidamente nei prossimi anni, grazie ai dati che saranno ottenuti da due veicoli spaziali – Solar Orbiter dell’Esa e Parker Solar Probe della Nasa – che si stanno dirigendo più vicino al Sole di quanto qualsiasi veicolo spaziale abbia mai fatto prima».

Nello studio, i ricercatori hanno utilizzato le misurazioni del satellite Wind della Nasa, che si trova tra il Sole e la Terra, per analizzare una serie di flussi di particelle energetiche solari, ciascuno della durata di almeno un giorno, registrati nel gennaio 2014. Hanno poi confrontato questi dati con i dati spettroscopici della sonda Hinode della Jaxa (lo spettrometro Euv a bordo della sonda spaziale è stato costruito da Ucl Mssl e Brooks è un membro del team della missione giapponese), scoprendo che le particelle energetiche solari misurate dal satellite Wind avevano la stessa firma chimica – un’abbondanza di silicio rispetto allo zolfo – del plasma confinato vicino alla parte superiore della cromosfera solare. Queste zone si trovavano ai “piedi” di anelli coronali caldi – cioè, alla base di anelli di campo magnetico e plasma che si estendono nell’atmosfera esterna del Sole e tornano indietro.

Usando una nuova tecnica, il team ha misurato l’intensità del campo magnetico in queste zone scoprendo che era molto alta – tra 245 e 550 gauss – confermando la teoria secondo la quale il plasma è trattenuto nell’atmosfera del Sole da forti campi magnetici, prima del suo rilascio nello spazio. Le particelle energetiche solari vengono rilasciate dal Sole e vengono accelerate dai brillamenti solari o dalle espulsioni di massa coronale. In ogni ciclo solare di 11 anni, si verificano circa 100 eventi di particelle energetiche solari, anche se in realtà questo numero varia da ciclo a ciclo.

Le particelle ad alta energia rilasciate nel gennaio 2014 provenivano da una regione instabile del Sole che aveva frequenti brillamenti solari, espulsioni di massa coronale e un campo magnetico estremamente forte. La regione – nota come 11944 – all’epoca era una delle più grandi regioni attive presenti sul Sole ed era visibile agli osservatori sulla Terra come una macchia solare. All’epoca, il Noaa / Nws Space Weather Prediction Center emise un allarme associato a una forte tempesta di radiazioni ma non risultarono disturbi all’interno dell’atmosfera terrestre dovuti a quell’evento, sebbene i sistemi informatici della sonda Hinode abbiano registrato diverse raffiche di particelle. In uno studio di qualche tempo dopo, è stata riportata una misurazione dell’intensità del campo magnetico all’interno della regione 11944 poco dopo l’evento: 8200 gauss, uno dei più alti mai registrati sul Sole.

Per saperne di più:


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