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Il bagliore della notte di Europa, la luna di Giove.

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Nell’illustrazione, vediamo come il lato opposto al Sole di Europa possa risplendere comunque, anche se non illuminato da luce diretta. La variazione di brillantezza e colore del bagliore “notturno” della luna può svelare importanti informazioni sulla composizione dei suoi ghiacci. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Nell’illustrazione, vediamo come il lato opposto al Sole di Europa possa risplendere comunque, anche se non illuminato da luce diretta. La variazione di brillantezza e colore del bagliore “notturno” della luna può svelare importanti informazioni sulla composizione dei suoi ghiacci. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La luna ghiacciata di Giove, Europa, continua a incuriosire i ricercatori, soprattutto per il grande oceano sommerso che nasconde la sua superficie ghiacciata, e che potrebbe celare condizioni favorevoli alla vita. Un nuovo studio del Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California, mette l’accento su un qualcosa che ancora non era mai stato osservato, ma che potrebbe essere importante per comprendere meglio la composizione dei ghiacci della luna. Con esperimenti di laboratorio, infatti, i ricercatori hanno ricreato l’ambiente superficiale di Europa, notando che la sua superficie può emettere un bagliore rilevabile anche quando non è illuminata dal Sole, durante la sua notte.

Una luna visibile in un cielo scuro potrebbe non sembrare insolita, capita anche a noi di vedere, anche se molto debole, il lato in ombra della nostra Luna (la cosiddetta luce cinerea della Luna) perché illuminata dalla luce solare rifratta dalla nostra atmosfera. Ma il bagliore di Europa, di cui si parla in questo studio, è causato da un meccanismo completamente diverso. Giove infatti colpisce i suoi satelliti con un implacabile flusso di radiazioni ad alta energia. Che una superficie irradiata possa emettere a sua volta radiazione non è certo una novità, sappiamo che la lucentezza è causata da elettroni energetici che penetrano nella superficie, energizzano le molecole sottostanti, che poi rilasciano parte di quella energia sotto forma di luce visibile.

«Se Europa non fosse sotto l’effetto di questa radiazione, avrebbe l’aspetto della nostra Luna, scura sul lato in ombra», spiega Murthy Gudipati del JPL, autore principale del lavoro pubblicato il 9 novembre su Nature Astronomy. «Ma poiché viene bombardata dalla radiazione di Giove, brilla nell’oscurità».

In realtà lo scopo principale della ricerca era di osservare come il materiale organico sotto i ghiacci di Europa avrebbe reagito al bombardamento di radiazioni. Avendo identificato in precedenza, con i dati di altre missioni e studi, alcuni dei sali che compongono i ghiacci della luna, i ricercatori hanno voluto provare a riprodurre un modello della superficie di Europa, usando quella che è stata chiamata Ice Chamber for Europa’s High-Energy Electron and Radiation Environment Testing (ICE-HEART). Hanno così preso la Ice-Heart, e l’hanno portata in una struttura a Gaithersburg, nel Maryland, dove è stato possibile sottoporla a irradiazione di fasci di elettroni ad alta energia, ed è a questo punto che è entrato in campo un meccanismo noto come serendipità, cioè la scoperta di qualcosa di nuovo e sorprendente, diverso da quello che si cercava!
(Anche se nel suo blog, Gudipati ci tiene a sottolineare, giustamente, che “la serendipità non è altro che essere coscientemente attenti e ricettivi, al momento giusto, nell’interazione con l’’Universo”).

«Vedere la salamoia di cloruro di sodio brillare di un livello significativamente più basso è stato il momento “aha!” che ha cambiato il corso della ricerca», racconta Fred Bateman, coautore dello studio.

«Non avremmo mai immaginato che avremmo visto quello che abbiamo visto», racconta Bryana Henderson sempre del JPL e coautrice della ricerca. «Quando abbiamo provato nuove composizioni di ghiaccio, il bagliore sembrava diverso. E ci siamo limitati a fissarlo per un po’ e poi ci siamo detti: “Questo è nuovo, vero? Questo è decisamente un bagliore diverso?!”. Quindi abbiamo puntato uno spettrometro su di esso e ogni tipo di ghiaccio aveva uno spettro diverso».

I diversi composti reagiscono infatti diversamente a questo bombardamento di particelle, e il ghiaccio superficiale della luna, contenente vari composti salini, reagirebbe emettendo un bagliore, visibile a occhio nudo, con vari gradi di luminosità e varie tonalità di colore tra il blu, il bianco e il verde, a seconda della composizione.

Gli astronomi utilizzano la spettroscopia per separare la luce in lunghezze d’onda e collegare le distinte “firme”, o spettri, ai diversi elementi. Per indagare la composizione del ghiaccio di Europa, però, è stata praticamente sempre stata usata sulla luce emessa dal lato illuminato dal Sole.
Ora invece, con questa scoperta, potrebbe avere senso studiarne invece il lato notturno: «Siamo stati in grado di prevedere che questo bagliore notturno del ghiaccio potrebbe fornire ulteriori informazioni sulla composizione della superficie di Europa. Il modo in cui questa composizione varia potrebbe darci indizi sul fatto che Europa porti condizioni adatte alla vita», spiega ancora Gudipati.

Illustrazione della missione Europa Clipper, in una configurazione che potrebbe ancora variare, proposta nel 2016, quando la missione è stata approvata. Per maggiori informazioni sulla missione: www.nasa.gov/europa.

La prossima missione ammiraglia della NASA Europa Clipper, prevista per il lancio a metà degli anni ‘20, osserverà la superficie della luna in più passaggi ravvicinati, orbitando attorno a Giove. Gli scienziati della missione stanno quindi ora esaminando il nuovo studio per valutare se si tratti di un bagliore rilevabile dagli strumenti scientifici della sonda. È possibile infatti che le informazioni raccolte dalla nuova missione possano servire proprio con lo scopo di identificare e misurare i vari sali che compongono la superficie della luna.
Sebbene Europa Clipper non sia una missione per cercare vita nel Sistema Solare, indagherà a fondo la luna Europa anche per capire se il suo oceano sotterraneo ha la capacità di supportare la vita, anche per meglio comprendere come la vista si sia sviluppata sulla nostra Terra, e quale sia la possibilità di trovare vita al di fuori.

«Non capita spesso di trovarsi in un laboratorio e dire: “questo è ciò che potremmo trovare quando arriviamo lì'”» conclude Gudipati. «Di solito accade il contrario: vai lì e trovi qualcosa che poi cerchi di spiegare in laboratorio. Ma la nostra previsione risale a una semplice osservazione, e questo è quello che fa la scienza».


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Arriva Hayabusa 2 con i campioni da Ryugu!

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La traiettoria e i dati cruciali della sonda, aggiornati in tempo reale sul sito della missione. Nell'inserto, l'asteroide fotografato con un telescopio di 50 cm 4 giorni faCrediys: JAXA - Bisei Spaceguard Center
La traiettoria e i dati cruciali della sonda, aggiornati in tempo reale sul sito della missione. Nell’inserto, l’asteroide fotografato con un telescopio di 50 cm 4 giorni faCrediys: JAXA – Bisei Spaceguard Center

L’asteroide 162173 Ryugu si sta avvicinando alla Terra, tanto che il 4 novembre è stato nuovamente avvistato per la prima volta in 4 anni, apparendo come una stellina di magnitudine 16,7. Il 29 Dicembre giungerà a una distanza minima di 9,055 milioni di km, una distanza decisamente ampia che scongiura il suo arrivo sul nostro pianeta… anzi no! Una parte di questo PHA, anche se minuscola, arriverà realmente sulla Terra; chiusa e protetta in una capsula di rientro atmosferico scenderà sull’Australia centrale, nella Woomera Prohibited Area, un’importante struttura aerospaziale militare e civile. L’operazione ricalcherà quanto già fatto dalla prima capsula rilasciata della sorella Hayabusa che, 10 anni fa, riportò campioni di polvere dall’asteroide Itokawa. Per riuscire nell’impresa, il team di navigazione ha programmato una serie di progressive correzioni di rotta, ben cinque dopo le quali la capsula verrà rilasciata e proseguirà per inerzia, mentre la sonda madre farà una ulteriore manovra diversiva onde evitare di bruciare in atmosfera e viaggiare verso il suo prossimo obiettivo.

Distanza e velocità di Hayabusa-2 rispetto alla terra nell’ultimo periodo, riportata sul sito della missione e sulle effemeridi JPL/Horizons – Processing/plot: Marco Di Lorenzo

Dopo una manovra preliminare denominata (TMC-0), la prima vera correzione di rotta TMC-1 è avvenuta la mattina del 22 ottobre, a 17 milioni di km di distanza; durante l’operazione, la sonda ha ruotato ed ha acceso i motori per cambiare la propria velocità di 15 cm/s, imboccando una traiettoria che passa a 330 km dalla Terra. A breve dovrebbe avvenire la TMC-2 e, a distanza di circa 10 giorni una dall’altra, le successive due manovre correttive serviranno ad aggiustare il tiro.

In base alle effemeridi basate JPL/Horizons, seguendo la rotta attuale la sonda dovrebbe penetrare nell’atmosfera terrestre poco dopo le 17:23 UT del 5 dicembre. Tuttavia, questa è una stima basata sulle osservazioni raccolte fino al 21 ottobre ed estrapolata utilizzando la successiva traiettoria nominale. Jaxa non ha ufficialmente comunicato il momento esatto, che dipenderà anche dall’effettiva sequenza di manovre effettuate nei prossimi giorni, ma l’ingresso reale dovrebbe avvenire 24/48 ore più tardi

La capsula, larga 40 cm, atterrerà con un paracadute dopo essere entrata nell’atmosfera a 43000 km/h ed aver rallentato tramite lo scudo termico. Il primo novembre, il primo gruppo di ricercatori giapponesi è partito per l’Australia dove, in collaborazione con le autorità locali, sta organizzando la campagna di raccolta del campione. Cinque giorni dopo, i loro colleghi in Giappone hanno effettuato una simulazione della manovra più critica, quella che prevede lo sgancio della capsula e la successiva “Earth departure manoeuvre” (TCM-5). Il “rehearsal” ha avuto successo, anche se durante la simulazione si sono registrate un paio di anomalie poi risolte.

Modello di elevazione digitale (DEM) del cratere CRS e zona circostante, i colori codificano la variazione di altezza del terreno prima e dopo l’impatto – Credits: Kobe University – Improvement: Marco Di Lorenzo

Nell’attesa di questo cruciale momento, una pubblicazione della Kobe University firmata da A.Masahiko e altri membri della missione presenta i risultati dell’analisi delle immagini ad alta risoluzione attorno al cratere artificiale CRS, scavato dall’omonimo impattatore il 5 aprile dell’anno scorso. Hayabusa-2 ha peraltro raccolto i suoi campioni proprio in vicinanza a nord di questo cratere, che ha un diametro di 20 metri. Gli autori hanno identificato oltre 200 massi di dimensioni comprese tra 0,3 e 6 metri, apparsi o spostati dall’urto dello “Small Carry-on Impactor”; alcuni di essi si trovano anche a 40 metri dal luogo d’impatto, e ci sono segni di movimenti sismici propagatisi fino a 30 metri dall’epicentro.

Direzione ed entità dello spostamento dei massi sulla superficie (a sinistra e a destra, rispettivamente) – Credits: Kobe University – Improvement: Marco Di Lorenzo

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UAI Unione Astrofili Italiani

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socio-uaiIscriviti alla UAI
Una grande opportunità per tutti gli appassionati di astronomia

L’Unione Astrofili Italiani (UAI), l’associazione nazionale che riunisce gli appassionati di astronomia in Italia, lancia la nuova campagna iscrizioni e riserva a tutti gli iscritti tanti vantaggi – in primis opportunità di crescita culturale – e agevolazioni economiche per l’acquisto di beni e servizi di grande interesse per gli astrofili.
Tutte le informazioni su: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/

Meeting Profondo Cielo – 14 novembre
Organizzato dal nuovo Programma Nazionale Profondo Cielo UAI, presso Oria (BR). Il meeting si terrà in modalità online, sulla piattaforma GoToMeeting. Al termine del meeting è prevista una conferenza divulgativa a cura dell’Astrofisica Marica Branchesi, in diretta sui profili social UAI (facebook e YouTube).
www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

Corso Asteroidi – 28-29 novembre
Organizzato dal Programma Nazionale Asteroidi UAI, un incontro di approfondimento dei programmi e delle tecniche di studio degli Asteroidi, presso l’Osservatorio Astronomico Beppe Forti, Montelupo Fiorentino (FI)
www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

La stella morta che spiega i lampi radio veloci

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Rappresentazione artistica di una magnetar, caratterizzata da un complesso campo magnetico e due fasci di radiazione, durante un evento di intensa emissione energetica (in inglese outburst), in questo caso immaginato come conseguenza di una spaccatura della crosta della stella. Crediti: McGill University Graphic Design Team

Durano solo qualche millesimo di secondo ma stanno crucciando gli astronomi da oltre un decennio: sono i lampi radio veloci (in inglese fast radio bursts, o Frb), intensi e brevissimi bagliori osservati in banda radio e provenienti da galassie lontanissime. Ed è proprio la lontananza a rendere difficile la ricerca dell’origine di questi fenomeni, poiché di nessun lampo era stato possibile identificare la sorgente – fino allo scorso 28 aprile.

Quel giorno, l’osservatorio canadese Chime (Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment) e quello statunitense Stare2 (Survey for Transient Astronomical Radio Emission 2) hanno rivelato un lampo radio veloce diverso dal solito: 30 volte meno brillante del Frb extra-galattico più noto, questo lampo proveniva dalla nostra galassia, la Via Lattea. Allo stesso tempo, diversi telescopi spaziali alle alte energie – tra cui l’europeo Integral, il cinese Hxmt e l’italiano Agile – avevano osservato un lampo all’estremo opposto dello spettro elettromagnetico, permettendo di localizzarne la sorgente d’origine: una magnetar, ovvero una stella di neutroni dal campo magnetico estremamente intenso, scoperta alcuni anni prima.

Lampi radio veloci su Coelum astronomia 244 di maggio 2020, sempre a lettura digitale e gratuita. Clicca  sull’immagine e leggi.

La connessione tra questo lampo, battezzato Frb 200428, e la magnetar Sgr 1935+2154, già annunciata qualche mese fa sulla base dell’analisi dei dati alle alte energie (si veda anche un’intervista sull’argomento a Marco Tavani, presidente dell’Inaf e principal investigator di Agile), viene ora confermata dall’analisi delle osservazioni radio, presentata in una serie di articoli pubblicati oggi su Nature. Uno degli articoli descrive le osservazioni effettuate con Chime, un altro quelle di Stare2, un terzo articolo analizza le osservazioni effettuate con il radio telescopio cinese Fast (Five-hundred-meter Aperture Spherical radio Telescope), che precedono la manifestazione di questo lampo, e infine un articolo di review discute le implicazioni della scoperta.

«Le magnetar erano uno dei principali sospetti per l’emissione di Frb e quindi questa scoperta è stata anche una conferma delle nostre teorie», racconta a Media Inaf Daniele Michilli, ricercatore al McGill Space Institute di Montreal, in Canada, membro della Chime/Frb Collaboration e co-autore di uno degli articoli.

Cercare qualcosa vicino casa ha i suoi vantaggi, ma anche le sue difficoltà. Ogni giorno, migliaia di lampi radio veloci avvengono nel cielo, ma considerando l’enorme numero di galassie nell’universo, la probabilità che ne avvenga uno in una singola galassia non è alta. E così, anche a causa delle molte incertezze sul numero esatto, i ricercatori non erano sicuri di poterne osservare in breve tempo uno nella nostra galassia.

Il radio telescopio Chime. Crediti: Andre Renard / Chime Collaboration

«Noi vediamo una piccolissima parte di tutti i Frb perché i radio telescopi normalmente guardano una piccolissima porzione del cielo in un dato istante», prosegue Michilli. «Per questo motivo abbiamo costruito telescopi come Chime che, grazie a un campo di vista molto più grande del normale, riescono a vedere una porzione di cielo più ampia e a osservare un numero maggiore di Frb. Stare2, che ha osservato lo stesso Frb, è stato costruito con la specifica idea di cercare Frb dalla nostra galassia: guardare una grande porzione di cielo cercando Frb incredibilmente brillanti, che quindi devono essere stati emessi relativamente vicino a noi».

I dati in banda radio confermano che il lampo è risultato essere migliaia di volte più luminoso dei più potenti outburst mai osservati provenire da una magnetar nella nostra galassia. Se la sua sorgente si fosse trovata in un’altra galassia, sarebbe apparso come uno dei tanti Frb osservati finora, rinvigorendo l’ipotesi che le magnetar possano spiegare l’origine almeno di alcuni lampi radio veloci – se non di tutti.

«Tuttavia, dati i grandi divari energetici e di attività tra le sorgenti di Frb più luminose e più attive e ciò che si osserva per le magnetar, forse sono necessarie magnetar più giovani, più energiche e attive per spiegare tutte le osservazioni di Frb», spiega Paul Scholz del Dunlap Institute of Astronomy and Astrophysics all’Università di Toronto, tra i co-autori dell’articolo basato sui dati della collaborazione Chime/Frb.

Il radiotelescopio Fast, in Cina. Crediti: Foto di Bojun Wang, Jinchen Jiang, elaborazione di Qisheng Cui.

Per una prova schiacciante del legame tra Frb e magnetar bisognerà aspettare la scoperta simultanea di un lampo radio e ai raggi X di provenienza extra-galattica. «Questo richiede una precisa localizzazione di Frb in galassie vicine», aggiunge Michilli, «e stiamo migliorando i nostri radio telescopi per localizzare un numero di Frb sempre maggiore. Nel frattempo, stiamo già studiando i dati ottici di Frb vicini che sono già stati localizzati e sono sicuro che otterremo i primi risultati già nelle prossime settimane».

E anche nel caso dell’ipotesi magnetar, occorreranno ulteriori studi sul fronte della modellistica per comprendere il meccanismo fisico che genera questi lampi. In futuro, un confronto tra lavori teorici e osservazioni potrà aiutare i ricercatori a distinguere fra le due classi di modelli sviluppate finora, secondo cui un Frb potrebbe originarsi direttamente nell’ambiente magnetico immediatamente prossimo alla stella (la magnetosfera), o alternativamente in una regione di plasma a maggiore distanza dalla sua superficie.

Guarda il servizio video di MediaInaf Tv:


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa
(Roma)

13.11, ore 20:15 e 21:30: Il Guinness dell’Astronomia
20.11, ore 20:15 e 21:30: Stelle in famiglia
27.11, ore 22:00 e 23:15: Pianeti a confronto: Marte e Venere

Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Accademia delle StelleCorsi di Astronomia
Dal vivo e su piattaforma telematica
Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Da Ottobre a Dicembre:
Corso di Astronomia Pratica
Vedremo tutto quello che c’è da sapere su come si osserva il cielo: telescopi, binocoli, fotografia astronomica, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomi; nonchè fondamenti di geografia astronomica, stelle e costellazioni, come orientarsi nel cielo, consigli e tecniche di osservazione..

Info:
https://accademiadellestelle.org/
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle

Astronomiamo

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AstronomiamoI prossimi appuntamenti:
12 novembre, ore 21:30: Conferenza con Roberto De Carli

Corsi di Astronomia:

Ottobre – Novembre: Galassie e AGN. Docente: Ivan Delvecchio (INAF)

Gennaio – Febbraio: Onde Gravitazionali. Docente: Pia Astone (La Sapienza)

Marzo – Aprile: Atmosfere Planetarie. Docente: Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy)

Aprile – Maggio: Accelerazione dell’Universo. Docente: Enrico Trincherini (SNS Pisa)

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it/

EARTH – CITTADINI E SCIENZIATI “ALLA RICERCA” DELLA RESILIENZA

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Una scienza accessibile e divertente, in grado di generare consapevolezza su quanto sta accadendo al nostro pianeta e gli strumenti che abbiamo per combattere, o meglio, resiliere al cambiamento climatico e all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.

È EnHance Resilience Through Humanity il tema della Notte Europea dei Ricercatori e delle Ricercatrici organizzata da Frascati Scienza, sotto l’acronimo EARTH, Terra. “All’inizio dell’anno, quando abbiamo sottomesso la proposal di progetto, mai ci saremmo immaginati che da lì a qualche settimana una pandemia avrebbe investito il mondo intero – dice Matteo Martini, presidente dell’associazione – Eppure il Covid 19 ci fornisce l’esempio perfetto di ciò che ci attende con il cambiamento climatico, dei sacrifici che saremo chiamati ad affrontare se non accetteremo che il cambiamento ormai è in atto, ma che molto è possibile fare per far fronte all’emergenza”.

Solo la scienza può fornire risposte e soluzioni. Smart cities, salute e benessere, energia e ambiente, arte e studi umanistici sono i principali 4 domini di applicazione per comprendere perché e come il lavoro dei ricercatori contribuisce al benessere della società. Ma senza il contributo dei cittadini la ricerca scientifica non può evolvere, né trovare gli spunti necessari per migliorare.

Il progetto EARTH è associato alla Notte Europea dei Ricercatori promossa dalla Commissione Europea nell’ambito delle azioni Marie Curie. A causa dell’emergenza sanitaria, l’appuntamento è stato spostato a venerdì 27 novembre, e la modalità di partecipazione a questa edizione, eccetto qualche caso nel pieno rispetto del DPCM del 24 ottobre, è esclusivamente online. La partecipazione, come sempre, è ad accesso libero e gratuito.

Frascati Scienza per la prima volta in 14 anni non ha ottenuto il finanziamento della Commissione Europea per la realizzazione del progetto. E nonostante ciò la “Notte” si farà.

“Mai come in questo anno così nefasto, i cittadini hanno più bisogno di comprendere e credere nella ricerca e nei suoi protagonisti” continua Martini, “così abbiamo deciso di fare uno sforzo, di mettere a disposizione i fondi della cassa associativa, e di mantenere fede all’impegno preso con i nostri partner”.

L’immagine scelta per questa edizione ricorda il nostro pianeta, ma anche una sfera armillare, strumento di conoscenza alla base dello studio del mondo così come oggi lo conosciamo e di progresso scientifico.

Indice dei contenuti

Tanti sono i partner, nuovi e storici, che contribuiscono con attività e supporto a questa celebrazione della scienza:
ESA – Agenzia Spaziale Europea, Associazione Bioscienza Responsabile, AGET Italia, AIGU – Associazione Italiana Giovani per l’UNESCO, Associazione G.Eco,  AICO – Associazione Infermieri di area chirurgica e di Camera Operatoria, Alumni – ALACLAM Associazione Laureati Ateneo Cassino e Lazio Meridionale, Associazione Parimpari, Associazione Scienza Divertente Roma, Associazione Speak Science, Banca d’Italia, BIOVOICES, Club per l’UNESCO di Latina, Consorzio Nettuno – Digital Education Industry 4.0, CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Explora Il Museo dei Bambini di Roma, Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, Fondazione EBRI Rita Levi – Montalcini, Fondazione Umberto Veronesi, FVA New Media Research, Giornalisti Nell’Erba, Gruppo Astrofili Monti Lepini, IFO – Istituti fisioterapici Ospitalieri – Istituto Tumori Regina Elena e Istituto Dermatologico San Gallicano, IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, IRCCS – INMI Lazzaro Spallanzani, Istituto Centrale per il Restauro, ISS – Istituto Superiore di Sanità, Ludis, Mindsharing.tech, Multiversi Divulgazione Scientifica, Museo della Terra Pontina, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Osservatorio Astronomico di Campo Catino – Guarcino, Raffa Fa Cose, Rhea Group, Sapienza Università di Roma – Green Sapiens, Sotacarbo, Tecnoscienza, Unitelma Sapienza, Università Campus Bio-Medico di Roma, Università di Roma LUMSA, Umbria Green Festival, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” centro PA.TER laboratorio Geo-Cartografico, Università degli studi di Roma “Tor Vergata” – Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi Roma Tre

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Black Beauty e l’origine dell’acqua

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Black Beauty. Il meteorite marziano Nwa 7533 vale più del suo peso in oro. Crediti: Nasa / Luc Labenne
Black Beauty. Il meteorite marziano Nwa 7533 vale più del suo peso in oro. Crediti: Nasa / Luc Labenne

Tra le tante domande che si pone la planetologia, ce n’è una che riguarda l’origine dell’acqua sulla Terra, su Marte e su altri grandi corpi del Sistema solare, come la Luna. Esiste un’ipotesi secondo la quale l’acqua proviene da asteroidicomete. Ma alcuni ricercatori non la pensano così: secondo loro, l’acqua potrebbe essere solo una delle tante sostanze che si sono venute a trovare sui pianeti, naturalmente, durante la loro formazione. E una nuova analisi di un antico meteorite marziano supporta questa seconda ipotesi.

Black Beauty è in realtà il nome associato al meteoroide da cui i due frammenti, NWA 7034 e 7533, provengono, qui sopra le dimensioni dell’altro Black Beauty, NWA 7034, che pesa all’incirca 320 grammi. Crediti: NASA

Diversi anni fa, nel deserto del Sahara furono scoperti un paio di meteoriti molto scuri. Vennero soprannominati Nwa 7034Nwa 7533, dove Nwa sta per “Africa nord-occidentale” e il numero è l’ordine in cui i meteoriti sono stati ufficialmente approvati dalla Meteoritical Society, un’organizzazione internazionale di scienza planetaria. Una recente analisi – pubblicata su Science Advances la scorsa settimana – ha mostrato che questi meteoriti sono nuovi tipi di meteoriti marziani, costituiti da miscele di diversi frammenti di roccia.

I primi frammenti si sono formati su Marte 4,4 miliardi di anni fa, rendendoli i meteoriti marziani più antichi a oggi conosciuti. Rocce come questa sono rare e possono valere fino a 8500 euro al grammo. Recentemente, sono stati acquistati 50 grammi di Nwa 7533 dal team internazionale con cui stava lavorando Takashi Mikouchi dell’Università di Tokyo, coautore dello studio.

«Studio i minerali nei meteoriti marziani per capire come si è formato Marte e come si sono evoluti la sua crosta e il suo mantello. È la prima volta che indago su questo particolare meteorite, soprannominato Black Beauty per il suo colore scuro», riferisce Mikouchi. «I nostri campioni di Nwa 7533 sono stati sottoposti a quattro diversi tipi di analisi spettroscopiche, metodi per rilevare le impronte chimiche. I risultati hanno portato il nostro team a trarre alcune conclusioni entusiasmanti».

È ben noto agli scienziati planetari che su Marte l’acqua sia stata presente per almeno 3,7 miliardi di anni. Ma dalla composizione minerale del meteorite, Mikouchi e il suo team hanno dedotto che è probabile che l’acqua fosse presente molto prima, circa 4,4 miliardi di anni fa.

«Le rocce ignee, o roccia frammentata, nel meteorite sono formate dal magma e sono comunemente generate da impatti e ossidazione», spiega Mikouchi. «Questa ossidazione potrebbe essersi verificata nel caso in cui fosse stata presente acqua sulla crosta marziana – o all’interno di essa – 4,4 miliardi di anni fa, durante un impatto che ha sciolto parte della crosta. La nostra analisi suggerisce anche che un tale impatto avrebbe rilasciato molto idrogeno, che avrebbe contribuito al riscaldamento planetario in un momento in cui Marte aveva già una spessa atmosfera isolante di anidride carbonica».

Se l’acqua su Marte era presente prima di quanto si sia sempre pensato, allora forse potrebbe essere un sottoprodotto naturale di qualche processo avvenuto all’inizio della formazione del pianeta. Questa scoperta potrebbe aiutare i ricercatori a rispondere alla domanda da cui siamo partiti, sulla provenienza dell’acqua, che a sua volta potrebbe influire sulle teorie sulle origini della vita e sull’esplorazione della vita oltre la Terra.

Per saperne di più:

  • Leggi su Science Advances l’articolo “Early oxidation of the martian crust triggered by impacts” di Zhengbin Deng, Frédéric Moynier, Johan Villeneuve, Ninna K. Jensen, Deze Liu, Pierre Cartigny, Takashi Mikouchi, Julien Siebert, Arnaud Agranier, Marc Chaussidon e Martin Bizzarro

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CYBORN a Trieste

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cyborn

cybornNell’era dell’intelligenza artificiale e della robotica, è ancora possibile determinare dove finisce la natura e dove inizia la tecnologia? Possiamo tracciare una linea quando si tratta del nostro corpo, l’oggetto naturale che la tecnologia imita di più? Queste sono solo alcune delle domande che vengono esplorate in “CYBORN L’alba di un mondo artificiale”, la mostra ospitata dal Salone degli Incanti di Trieste durante il Science in the City Festival di ESOF2020.

La mostra è a cura dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT).

Per maggiori informazioni: https://events.scienceinthecity2020.eu/it/cyborn-lalba-di-un-mondo-artificiale

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Il Cielo di Novembre 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Nov > 23:00; 15 Novt > 22:00; 30 Nov > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato dal Toro, con la bella Aldebaran e le Pleiadi, Gemelli e Cane Maggiore con la lucente Sirio. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Cigno e Pegaso si staranno dirigendo verso il tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il grande Leone, con Regolo.

➜ continua sul Cielo di Novembre 2020

e approfondisci su il Cielo di Novembre con la UAI: Nel complesso molecolare del Cefeo
e con stefano Schirinzi che ci accompagna nella prima parte della costellazione dei Pesci.

COSA OFFRE IL CIELO

Questo mese tutti i pianeti saranno visibili in cielo: continueremo a seguire Giove e Saturno verso il loro massimo avvicinamento (ovviamente prosepttico) di fine anno, Marte ancora osservabile ottimamente per tutta la notte, Venere sempre brillante assieme a Mercurio, finalmente in un periodo di ottima visibilità, al mattino prima dell’alba. anche i pianeti più lontani, sebbene serva uno strumento per osservarli, sono tranquillamente osservabili per tutta la notte. Come sempre la Luna passerà a trovarli, e potremo riprenderli in congiunzione a partire con la bella congiunzione del 13 novembre.

Anche per questo la rubrica di fotografia “Uno scatto al mese” di Giorgia Hofer è proprio dedicata, con un pizzico di folclore e storia, alla ripresa di questo tipo di eventi celesti:

Questo mese anche l’opposizione di (8) Flora, uno degli asteroidi più luminosi del nostro cielo (ma sempre per chi è dotato di uno strumento per l’osservazione), al meglio da 13 anni a questa parte e… per i prossimi 13 anni. Amanti di questi “inutili puntini lumonosi” non mancate all’appello!

La Luna

Come ogni mese Francesco Badalotti ci guida attraverso le formazioni più interessanti da osservare in ogni fase del nostro satellite, ci indica tutte le librazioni con quelle zone del bordo tra lato visibile e lato nascosto della Luna che via via si rendono accessibili da Terra grazie al “dondolio” apparente della Luna nella sua orbita attorno alla Terra. Prosegue poi il viaggio tra le principali formazioni della nostra Luna dal settore sudest verso nord (parte 7), questo mese consigliato nei giorni 5 e 6 novembre e in particolare la sera del 22 novembre.

Per quanto riguarda invece luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 12 al 14 novembre e, dopo il Novilunio, le sere del 16 e 17 novembre.

Le Leonidi

Questo sciame meteorico risulta attivo dal 6 novembre al 30 novembre, con il picco che di solito si manifesta tra il 17 e il 18 novembre. Le Leonidi sono probabilmente ricordate più per le tempeste di meteore degli anni 1833, 1866, 1966 e più recentemente nel 1999 e 2001. Tali tempeste sono provocate dai passaggi al perielio della cometa progenitrice, la 55P/Tempel-Tuttle, nonostante non siano le polveri “nuove” a generare queste “stelle cadenti” ma, piuttosto, i detriti dei passaggi precedenti.

Sfortunatamente le previsioni a lungo termine non indicano alcun incontro con le sacche più dense di detriti fino al 2099, nonostante i passaggi al perielio della 55P previsti per il 2031 e il 2064.

Il massimo delle Leonidi quest’anno si verificherà il 17 novembre poco dopo la luna nuova, quindi con un disturbo lunare estremamente ridotto. Secondo i calcoli, nel 2020 potrebbero essere incontrati alcuni filamenti di polvere. Il 17 ci si attende comunque una ridotta e debole attività ma alla fine della notte astronomica. Altra attività è prevista per il giorno 18 alle ore 2:00 circa e poi il 20 novembre. Purtroppo non c’è da esaltarsi troppo: le attese sono modeste, con uno ZHR sempre compreso tra 10 e 20, e con la dimensione media delle meteore al limite delle possibilità di rilevamento e quindi molto difficili da osservare.

Ma non si sa mai: in queste occasioni conviene sempre spendere qualche ora con gli occhi puntati al cielo!

Chi vorrà tentare di coglierle e avrà la fortuna di osservarle sotto un cielo particolarmente scuro e trasparente, dovrà dirigere il proprio sguardo verso il radiante (il punto del cielo da cui le meteore sembrano provenire) situato nella costellazione del Leone (da cui il nome dello sciame), e più precisamente in prossimità della stella Zeta Leonis.

E ancora su Coelum astronomia 249

➜ Comete. C/2020 M3 ATLAS, una cometa da seguire

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ Supernovae. Inizia un serie di articoli dedicati alle supernovae storiche, esplose in galassie Messier e scoperte da italiani:  La supernova SN1967B in M 84

e il Calendario di tutti gli eventi di Novembre 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata a una classe speciale di regione di formazione stellare chiamata, in breve, frEGGs (Free-floating Evaporating Gaseous Globules, e il cui nome ridotto richiama la parola uova in inglese, eggs), formalmente nota come J025157.5 + 600606. Per saperne di più leggete la didascalia all’immagine al link! (Crediti ESA / Hubble e NASA, R. Sahai; CC BY 4.0).

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 249

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

UAI Unione Astrofili Italiani

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socio-uaiIscriviti alla UAI
Una grande opportunità per tutti gli appassionati di astronomia

L’Unione Astrofili Italiani (UAI), l’associazione nazionale che riunisce gli appassionati di astronomia in Italia, lancia la nuova campagna iscrizioni e riserva a tutti gli iscritti tanti vantaggi – in primis opportunità di crescita culturale – e agevolazioni economiche per l’acquisto di beni e servizi di grande interesse per gli astrofili.
Tutte le informazioni su: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/

ICARA – Congresso Italiano di Radioastronomia Amatoriale –
31 ottobre

Organizzato in modalità online dal Programma Nazionale Radioastronomia UAI e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy.
www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

Meeting Profondo Cielo – 14 novembre
Organizzato dal nuovo Programma Nazionale Profondo Cielo UAI, presso Oria (BR). Il meeting si terrà in modalità online, sulla piattaforma GoToMeeting. Al termine del meeting è prevista una conferenza divulgativa a cura dell’Astrofisica Marica Branchesi, in diretta sui profili social UAI (facebook e YouTube).
www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

Corso Asteroidi – 28-29 novembre
Organizzato dal Programma Nazionale Asteroidi UAI, un incontro di approfondimento dei programmi e delle tecniche di studio degli Asteroidi, presso l’Osservatorio Astronomico Beppe Forti, Montelupo Fiorentino (FI)
www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

Astronomiamo

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Astronomiamo

AstronomiamoI prossimi appuntamenti:
29 ottobre, ore 21:30: Astronomia e Intelligenza Artificiale. Come le macchine imparano a conoscere le stelle. Con Dario Colombo

12 novembre, ore 21:30: Conferenza con Roberto De Carli

Corsi di Astronomia:

Ottobre – Novembre: Galassie e AGN. Docente: Ivan Delvecchio (INAF)

Gennaio – Febbraio: Onde Gravitazionali. Docente: Pia Astone (La Sapienza)

Marzo – Aprile: Atmosfere Planetarie. Docente: Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy)

Aprile – Maggio: Accelerazione dell’Universo. Docente: Enrico Trincherini (SNS Pisa)

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it/

Associazione Tuscolana di Astronomia

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Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa
(Roma)
30.10, ore 20:15 e 21:30: Stelle in famiglia
06.11, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
13.11, ore 20:15 e 21:30: Il Guinness dell’Astronomia
20.11, ore 20:15 e 21:30: Stelle in famiglia
27.11, ore 22:00 e 23:15: Pianeti a confronto: Marte e Venere
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

ENGAGE

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engageL’iniziativa condivisa di VIS srl, SNS, INAF si rivolge a tutti coloro che si confrontano – o che intendono farlo – con la comunicazione e divulgazione della scienza. Il workshop fornisce valore aggiunto e competenze volti alla crescita professionale in un settore di fondamentale importanza.

ENGAGE è Online!

A causa del peggioramento della situazione relativa alla pandemia di Covid19, ENGAGE passa alla modalità online per garantire la sicurezza e l’accessibilità a tutti i partecipanti. La qualità dei contenuti e l’interattività saranno garantite. Per ottimizzare la fruizione digitale il workshop si terrà nell’arco di cinque mezze giornate nelle date 19-20 novembre, 26-27 novembre e 4 dicembre.
Per maggiori informazioni: https://engage.vis-sns.com/

Alla ricerca della Materia Oscura

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Dark Matter Day

Dark Matter DayFesteggia il Dark Matter Day, la giornata della Materia Oscura, con l’INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Segui la diretta su Facebook e YouTube. Che cos’è la Materia Oscura?
Tanti esperimenti stanno cercando di rispondere a questo enigma! Durante questa diretta, ne scopriremo alcuni con l’aiuto di 6 ricercatori e di un astronauta, Luca Parmitano.
Per maggiori informazioni: https://home.infn.it/it/comunicazione/eventi/4135-darkmatter-day-2020-alla-ricerca-della-materia-oscura

18° Festival della Scienza di Genova

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festival-scienza-genova-2020Saranno 240 i protagonisti di questa edizione 2020 del Festival della Scienza di Genova, che segna da un lato il raggiungimento della maggiore età, dall’altro un momento di profonda riflessione e cambiamento per una delle più grandi manifestazioni al mondo di diffusione della cultura scientifica. Si parte giovedì 22 ottobre, e fino al 1° novembre Genova sarà un punto di incontro per visitatori e ‘fruitori’ di ogni età e livello di conoscenza, per raccontare la scienza in modo innovativo e coinvolgente.

Per maggiori informazioni: http://www.festivalscienza.it/site/home.html

UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

SOFIA conferma la presenza di acqua sulle superfici soleggiate della Luna

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Nell'illustrazione viene mostrato nel dettaglio il cratere Clavius, dove SOFIA ha trovato molecole di acqua sulla superficie illuminata dal Sole. In basso un'immagine dell'Osservatorio stratosferico per l'astronomia a infrarossi della NASA (SOFIA). Crediti: NASA / Daniel Rutter

Grazie alle osservazioni di SOFIA, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy della NASA, si è potuto confermare, per la prima volta, la persenza di acqua sulle superfici della Luna illuminate dal Sole. Fin’ora infatti si pensava si trovasse solo in quelle che vengono chiamate “trappole per il ghiaccio”, zone all’interno di crateri perennemente in ombra, dove le molecoe d’acqua non riescono a sfuggire per le basse e costanti temperature. Questa scoperta indica quindi che l’acqua può essere distribuita sulla superficie lunare e non limitata a pochi e freddi e ombreggiati luoghi. risultati sono stati pubblicati nell’ultimo numero di Nature Astronomy.

Il cratere Calvius, tratto da una elaborazione di immagini del Lunar Reconnaissance Orbiter, NASA.

SOFIA è l’Osservatorio volante della NASA. Viaggia a bordo di un Boeing 747SP modificato dal 2010, osservando il cielo da un punto di vista diverso sia degli Osservatori a Terra che dei Telescopi Spaziali. SOFIA ha potuto così rilevare molecole d’acqua (H2O) nel Cratere Clavius, uno dei più grandi crateri visibili dalla Terra, situato nell’emisfero meridionale della Luna, in prossimità del polo sud.

➜  Leggi anche Guida all’osservazione del Cratere Clavius

In precedenza era stata rilevata una qualche forma di idrogeno, ma non era stato possibile distinguere tra l’acqua e un suo parente chimico stretto, l’idrossile (OH).
«Avevamo indizi sul fatto che la molecola H2O – la familiare formula dell’acqua che conosciamo – potesse essere presente sulle zone soleggiate della Luna», spiega Paul Hertz, direttore della Divisione Astrofisica della Direzione della Missione Scientifica presso la sede della NASA a Washington. «Ora sappiamo che c’è. Questa scoperta mette alla prova la nostra comprensione della superficie lunare e solleva interrogativi intriganti su risorse rilevanti per l’esplorazione dello spazio profondo».

I dati provenienti da questo cratere rivelano una presenza di acqua in concentrazioni comprese tra 100 e 412 parti per milione – più o meno equivalenti a una bottiglia d’acqua da 35 cl –intrappolata in un metro cubo di terreno sparso sulla superficie lunare. A confronto, il deserto del Sahara ha una quantità d’acqua 100 volte superiore a quella rilevata da SOFIA nel suolo lunare, ma nonostante questo ci si chiede come venga creata e come possa persistere sull’arida superficie lunare, priva di un’atmosfera.

La patch della prima fase del programma Artemis.

Resta però da determinare se quest’acqua sia facilmente accessibile per essere utilizzata come risorsa. dato di fondamentale importanza per tutti i programmi di colonozizzazione della Luna, e ovviamente in particolare per il programma Artemis della NASA.

Le osservazioni di SOFIA, e i suoi risultati, poggiano su anni di ricerche che hanno esaminato la presenza di acqua sulla Luna.

Quando gli astronauti dell’Apollo tornarono per la prima volta dalla Luna nel 1969, si pensava che fosse completamente asciutta. Le missioni orbitali e di impatto negli ultimi 20 anni, hanno confermato la presenza di ghiaccio nei crateri in ombra perenne attorno ai poli della Luna. Nel frattempo, diverse sonde – tra cui le missioni Cassini e Deep Impact, nonché la missione Chandrayaan-1 dell’Indian Space Research Organisation e la struttura di telescopi a infrarossi della NASA a terra – hanno esaminato ampiamente la superficie lunare trovando prove di idratazione nelle regioni più soleggiate. Eppure quelle missioni non erano in grado di distinguere, in forma definitiva, la molecola in cui l’idrogeno era presente, se H2O o OH. Come dice Casey Honniball, l’autrice principale dello studio, la sua tesi di laurea presso l’Università delle Hawaii a Mānoa a Honolulu: «Non sapevamo quante, se ce ne fossero, se fossero effettivamente molecole d’acqua – come quella che beviamo ogni giorno – o se fossero qualcosa di più simile a un prodotto sturalavandini».

SOFIA, con questa scoperta,  ha fornito agli scienziati un nuovo modo per studiare la Luna. Volando ad altitudini fino a quasi 14 chilometri, il telescopio di 106 pollici di diametro si trova oltre al 99% del vapore acqueo dell’atmosfera terrestre, potendo così avere visione più chiara dell’universo a infrarossi.

Utilizzando la sua camera a infrarossi per oggetti deboli (FORCAST), SOFIA è stata in grado di rilevare la lunghezza d’onda specifica delle molecole d’acqua, a 6,1 micron, scoprendo così una concentrazione relativamente sorprendente nel soleggiato cratere di Clavius.

«Senza un’atmosfera densa, l’acqua sulla superficie lunare illuminata dal Sole dovrebbe andare persa nello spazio», spiega Honniball, borsista post-dottorato presso il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. «Eppure in qualche modo lo stiamo vedendo accadere. Qualcosa sta producendo acqua e qualcosa la sta intrappolando lì».

Le diverse forze in gioco in questo ruisultato potrebbero essere le micrometeoriti che piovono sulla superficie lunare, che trasportano e potrebbero depositare l’acqua sulla superficie lunare al momento dell’impatto, o un processo in due fasi in cui il vento solare fornisce idrogeno alla superficie lunare e provoca una reazione chimica con i minerali portatori di ossigeno nel suolo per creare idrossile. Nel frattempo, le radiazioni del bombardamento di micrometeoriti potrebbero trasformare quell’idrossile in acqua.

Ma come verrebbe poi immagazzinata quest’acqua, impedendole di evaporare?  L’acqua potrebbe essere intrappolata in minuscole strutture, a forma di piccole sfere, nel terreno,  formate dal calore elevato creato dagli impatti delle micrometeoriti. Un’altra possibilità è che l’acqua possa essere nascosta tra i granelli di terreno lunare e riparata dalla luce solare. questa seconda ipotesi potrebbe renderla potenzialmente più accessibile dell’acqua intrappolata in piccole sfere.

SOFIA generalmente non viene usata per osservare oggetti vicini come la Luna, ma è progettato per studiare oggetti lontani e deboli come buchi neri, ammassi stellari e galassie. La Luna è infatti così vicina e luminosa che riempirebbe l’intero campo visivo della fotocamera guida, con cui il telescopio individua l’oggetto da osservare tramite le stelle vicine. Senza questa guidanon era sicura che riuscisse a “mettere a fuoco” la superficie lunare. Nell’agosto 2018 hanno così deciso di fare una prova che non solo ha funzionato, ma ha anche generato il risultato che conosciamo oggi.

Naseem Rangwala, project scientist di SOFIA

«In effetti, era la prima volta che SOFIA guardava la Luna e non eravamo nemmeno completamente sicuri di ottenere dati affidabili, ma le domande sulla presenza di acqua sulla Luna ci hanno costretti a provarci», rivela Naseem Rangwala, project scientist di SOFIA presso l’Ames Research Center della NASA (in California). «È incredibile come questa scoperta sia nata da quello che era essenzialmente un test, e ora che sappiamo di poterlo fare, stiamo pianificando più voli per fare più osservazioni».

I voli di follow-up di SOFIA cercheranno l’acqua in ulteriori luoghi illuminati dal Sole e durante le diverse fasi lunari, per trovaer maggiori informazioni su come l’acqua viene prodotta, immagazzinata e spostata sulla superficie lunare. I dati si aggiungeranno al lavoro delle future missioni lunari, come il Volatiles Investigating Polar Exploration Rover (VIPER) della NASA , per creare le prime mappe delle risorse idriche della Luna per la futura esplorazione spaziale umana.

Nello stesso numero di Nature Astronomy, gli scienziati hanno pubblicato uno studio su modelli teorici e dati del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ,  ipotizzando come l’acqua invece intrappolata in piccole ombre, dove le temperature rimangono sempre sotto lo zero, potrebbe trovarsi in più luoghi di quanto attualmente previsto.

«L’acqua è una risorsa preziosa, sia per motivi scientifici che per l’utilizzo da parte dei nostri esploratori», ha affermato Jacob Bleacher, chief explorist scientist per lo Human Exploration and Operations Mission Directorate della NASA. «Se possiamo usare risorse sulla Luna, allora possiamo trasportare meno acqua e più attrezzature per consentire nuove scoperte scientifiche».


OSIRIS-REx. Svolta con successo la manovra di touch-and-go

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Alle 19:50 ora italiana, la sonda ha acceso i suoi propulsori per uscire dall’orbita attorno a Bennu e avvicinarsi alla superficie. Dopo aver esteso il suo braccio robotico, TAGSAM (Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism), lungo 3,35 metri, ha iniziato una discesa di oltre 4 ore. Si è avvicinata a tal punto da lambire l’insidioso masso grande come un edificio, chiamato Mount Doom, per raggiungere il sito prescelto nell’emisfero settentrionale dell’asteroide, Nightingale. Intorno alle 00:12 ora italiana, TAGSAM è rimasto diversi secondi in contatto con la superficie dell’asteroide, smuovendone la superficie con un flusso di azoto per immagazzinare polvere e piccoli sassi prima che la sonda si allontanasse di nuovo. Dalle prime informazioni filtrate stamattina, il touchdown sarebbe avvenuto a soli 74 cm dal punto nominale previsto.

Se la raccolta dei campioni, nota come manovra Touch-and-Go (TAG) ha fornito materiale sufficiente, il team della missione ordinerà a OSIRIS-REx di stivare il prezioso carico per iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra, dove arriverà nel 2023. L’obiettivo è di avere almeno 60 grammi di asteroide. Altrimenti, sarà programmato un secondo tentativo per il 12 gennaio 2021, nel sito di backup vicino all’equatore chiamato Osprey.

«Dopo oltre un decennio di pianificazione, il team è felicissimo del successo del tentativo di campionamento di oggi», ha detto Dante Lauretta, ricercatore principale di OSIRIS-REx presso l’Università dell’Arizona a Tucson. «Anche se abbiamo del lavoro da fare per determinare l’esito dell’evento, il successo del contatto, l’accensione del gas TAGSAM e l’allontanamento da Bennu, questi sono risultati importanti per noi. Non vedo l’ora di analizzare i dati per determinare la massa del campione raccolto».

 

La telemetria ricevuta indica che il TAGSAM è entrato correttamente in contatto con Nightingale. Il meccanismo ha quindi sparato gas di azoto per sollevare polvere e ciottoli dalla superficie, alcuni dei quali dovrebbero essere stati aspirati dal dispositivo di raccolta.
«È difficile esprimere a parole quanto sia stato emozionante ricevere la conferma che il veicolo spaziale ha toccato con successo la superficie e ha sparato gas», ha detto Michael Moreau, vice project manager di OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center della NASA nel Maryland . «Il team non vede l’ora di ricevere le immagini dell’evento TAG questa sera tardi e vedere come la superficie di Bennu ha risposto all’evento TAG».

Il filmato della manovra che arriverà nelle prossime ore, sarà la prima testimonianza di quanto materiale è stato raccolto. «Se TAG ha prodotto un disturbo significativo della superficie, probabilmente abbiamo raccolto molto materiale», ha detto Moreau.
Successivamente, il team cercherà di determinare la quantità del campione. Lo farà scattando foto della testa TAGSAM con la fotocamera SamCam, dedicata a documentare il processo di raccolta dei campioni. Un’indicazione indiretta sarà la quantità di polvere intorno alla testa del collettore. Gli ingegneri di OSIRIS-REx tenteranno anche di riprendere l’interno del raccoglitore, se le condizioni di illuminazione lo permetteranno, in modo da ottenere riscontro chiaro del materiale al suo interno.
Come ulteriore prova, si tenterà di determinare anche il cambiamento nel “momento di inerzia” della sonda per cercare di determinare se è presente una massa in più, seppur piccola.  Questa manovra viene eseguita estendendo il TAGSAM e facendo ruotare lentamente il veicolo spaziale attorno a un asse perpendicolare al braccio. Come una persona che gira con un braccio steso mentre tiene una corda con una palla attaccata all’estremità: la persona può percepire la massa della palla dalla tensione nella corda.

Se tutto sarà andato per il verso giusto, gli ingegneri ordineranno alla sonda di immagazzinare il campione. Quindi, il braccio robotico porterà la testa del raccoglitore nella Sample Return Capsule (SRC), situata nel corpo della navicella. Il SRC si chiuderà ed il veicolo spaziale si preparerà per la partenza da Bennu nel marzo 2021: questa sarà la prima occasione in cui Bennu sarà allineato correttamente con la Terra per un volo di ritorno più efficiente in termini di consumo di carburante.

Bennu si trova ora a 321 milioni di chilometri dalla Terra. Il team aveva comunicato alla sonda tutti i comandi necessari nella giornata di ieri e la manovra si è svolta in completa autonomia.

© Copyright Alive Universe


Riflettori (e telescopi) puntati su Venere e Marte

Coelum Astronomia di Ottobre 2020 è online
come sempre in formato multimediale digitale e totalmente gratuito.

 

 

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Osiris-Rex. A mezzanotte circa, toccata e fuga sull’asteroide

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Il sito primario di campionamento Nightingale sulla superficie dell’asteroide Bennu con l’illustrazione in scala del veicolo spaziale OSIRIS-REx. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.
Il sito primario di campionamento Nightingale sulla superficie dell’asteroide Bennu con l’illustrazione in scala del veicolo spaziale OSIRIS-REx. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.

Ci siamo. Nella notte fra martedì 20 e mercoledì 21 ottobre assisteremo al touch-and-go della missione Nasa Osiris-Rex. La sonda spaziale scenderà sulla superficie dell’asteroide Bennu a raccogliere un campione di materiale per poi riportarlo a Terra – un’impresa tentata (con successo) solo dalla sonda giapponese Hayabusa 2 con il prelievo di materiale dall’asteroide 162173 Ryugu nel 2019.

L’obiettivo della missione è recuperare un campione incontaminato di regolite carbonacea dalla superficie dell’asteroide, per rispondere a diverse domande sulla composizione e sulla formazione del Sistema solare.

Già dalle prime immagini ravvicinate della superficie di Bennu erano emersi dettagli sorprendenti: non una spiaggia sabbiosa come ci si aspettava in un primo momento ma una superficie rocciosa disseminata di massi delle dimensioni di una casa. Tutt’altro che una passeggiata, quindi.

Fin dal suo arrivo nei pressi dell’asteroide, il 3 dicembre 2018, Osiris-Rex ha fotografato e scansionato in lungo e in largo la sua superficie. Grazie a Ola, un altimetro laser, e la camera 3D PolyCam, sono state ottenute mappe della superficie con un livello di dettaglio mai raggiunto per qualsiasi altro corpo planetario visitato da una sonda spaziale. È grazie a queste mappe che è stato possibile individuare Nightingale (“usignolo”), il sito da cui verrà prelevato il campione del materiale.

Ecco cosa succederà

Poco prima delle ore 20 (ora italiana) si accenderanno i propulsori del veicolo spaziale per portare Osiris-Rex fuori dalla sua orbita attorno a Bennu e condurlo con grande precisione verso la superficie. Queste manovre daranno inizio a una sequenza di eventi meticolosamente pianificate dal team della missione.

Una volta iniziata la discesa verso il suo obiettivo, a guidare la navicella sarà la cosiddetta “mappa dei rischi”: una rappresentazione dettagliata del sito di campionamento con le aree che possono presentare un rischio per il veicolo spaziale, a causa della presenza di grandi rocce o terreno irregolare.

La mappa dei rischi del sito Nightingale sulla superficie di Bennu. Le aree verdi sono le zone ottimali per il touchdown, le aree rosse invece sono le più pericolose. Le zone più promettenti per la raccolta del materiale sono invece evidenziate in viola. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.

Poco prima del contatto con la superficie, il veicolo confronterà le immagini ottenute da una delle sue camere con la mappa archiviata nella sua memoria. Se il percorso di discesa portasse il veicolo spaziale ad atterrare in un punto potenzialmente pericoloso, il sistema si attiverebbe in automatico innescando un dietrofront. In base alla simulazioni questo scenario ha una probabilità di verificarsi inferiore al 6 per cento.

Se tutto andrà come previsto, la sonda estrarra il suo meccanismo di acquisizione dei campioni Tagsam (Touch-And-Go-Sample Acquisition Mechanism), agganciato all’estremità di un braccio lungo oltre tre metri. Tagsam – che ricorda vagamente il filtro dell’aria di una vecchia auto – è progettato per raccogliere materiale a grana fine ma è anche in grado di prelevare sassolini di quasi due centimetri. È inoltre capace di raccogliere una quantità di materiale di circa 150 grammi, e in condizioni ottimali potrebbe arrivare addirittura a 1,8 kg.

Il momento clou è previsto poco dopo la mezzanotte, alle 00:12 (ora italiana) del 21 ottobre. Il campione verrà raccolto nel corso di una manovra – chiamata, appunto, di touch-and-go – durante la quale il contatto con la superficie di Bennu durerà circa dieci secondi. Non appena la sonda rileverà l’avvenuto contatto con la superficie, si attiverà una delle tre bombole di azoto a bordo e, proprio come un grande aspirapolvere, il materiale – regolite – verrà sollevato dalla superficie  e aspirato al suo interno prima che la navicella arretri nuovamente. Lo strumento è dotato alla sua estremità anche di una sorta di “pastiglie appiccicose”: una serie di piccoli dischi progettati per raccogliere la polvere qualora non bastasse il potere aspirante dello strumento alimentato dal gas.

Il team monitorerà passo passo tutte le manovre di contatto con la superficie attraverso la camera dedicata proprio alle operazioni di campionamento, SamCam, una delle tre telecamere a bordo del veicolo spaziale. Grazie all’articolazione snodabile con cui SamCam è agganciata al braccio principale, i ricercatori potranno prendere in esame l’ambiente circostante da angolazioni diverse, riuscendo a osservare anche polvere o materiale su un’area del Tagsam diversa dall’estremità, per esempio sul braccio meccanico o sul rivestimento delle bombole del gas.

Dispiegamento del braccio di Tagsam, il “Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism” di Osiris-Rex. Còiccare sull

«Avremo un’ottima indicazione della posizione esatta del contatto con la superficie nel sito Nightingale e potremo confrontarla con la nostra mappa di campionamento, per valutare se siamo atterrati in un’area in cui è presente abbondante materiale campionabile o in una delle posizioni più rocciose», spiega il principal investigator della missione, Dan Lauretta, del Lunar and Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona.

Dopo aver valutato eventuali danni al veicolo e agli strumenti di raccolta a seguito del touch-and-go, il team di ricercatori trascorrerà circa una settimana a valutare la quantità di campione raccolto, utilizzando diversi metodi a partire da un’ispezione visiva. Con il braccio di campionamento esteso, il veicolo spaziale effettuerà una manovra di rotazione attorno a un asse perpendicolare a Tagsam per poter misurare la variazione di massa prima e dopo la raccolta.

«L’obiettivo è raccogliere almeno sessanta grammi effettivi di materiale», dice Lauretta. «Nel caso il quantitativo fosse inferiore, valuteremo con la Nasa lo stato del veicolo e la possibilità di effettuare un secondo touch and go».

In caso di risultato non soddisfacente, la navicella spaziale potrebbe infatti effettuare più tentativi di campionamento, poiché è dotata di tre bombole di azoto gassoso. Se per esempio dovesse atterrare in un luogo sicuro ma senza riuscire a raccogliere un campione sufficiente di materiale, si potrebbe ricorrere ad alcune misure di emergenza sviluppate dai ricercatori per garantire l’obiettivo scientifico primario della missione: raccogliere, appunto, almeno sessanta grammi di materiale dalla superficie di Bennu e portarlo a Terra. In questo caso, il veicolo spaziale sarebbe riportato in orbita e verrebbero effettuate una serie di manovre per rimetterlo in posizione adatta a un nuovo touch and go.

Se invece il campione raccolto dovesse andare bene, la capsula con il prezioso materiale verrà sigillata e preparata per il ritorno sulla Terra, previsto nel 2023.

Sarà possibile seguire l’evento in diretta a partire dalle 23 ora italiana di martedì 20 ottobre.

Tutte le news su Osiris-Rex e Bennu


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Tre giorni con Luna, Giove e Saturno

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Se avremo la pazienza di dedicare qualche minuto all’osservazione del cielo nelle serate dal 21 al 23 ottobre, in orario serale e molto comodo (le 20:30), guardando verso sud potremo godere di una magnifica visione celeste. Sarà molto facile riconoscere gli attori di questo spettacolo, in replica ormai da un paio di mesi: Luna, Giove e Saturno, impegnati nel loro balletto sul palcoscenico offerto dal teatro stellare del Sagittario.

Iniziamo la sera del 21 ottobre, quando una falce di Luna (fase del 21%) alta circa 11° sull’orizzonte di sudovest, sarà in compagnia delle brillanti stelle del Sagittario e in procinto di occultare (dal lembo oscuro) la stella Kaus Borealis (Lambda Sagittarii, mag. +2,8). L’occultazione inizierà alcuni minuti più tardi, alle 20:42 (consigliamo di trovare l’orario esatto per la propria località utilizzando un planetario software e appostarsi per l’osservazione almeno 10 minuti prima) e terminerà, con la riemersione della stella, alle 21:5, con la Luna e la stella prossime al tramonto, bassissime sull’orizzonte. Per fotografare l’occultazione si consiglia di spingere molto con gli ingrandimenti e servirà facilmente l’uso di un telescopio. Per l’osservazione visuale invece, oltre a poter apprezzare a occhio nudo il fenomeno, il consiglio è quello di sfruttare l’ingrandimento offerto da un buon binocolo.

Passiamo ora alla sera del 22 ottobre, sempre alle 20:30: la Luna (ora in fase del 41%) avrà compiuto un balzo in direzione di Giove (mag. – 2,2), abbandonando le brillanti stelle che compongono la “teiera” del Sagittario e portandosi a 2,8° a sudest del gigante gassoso. Si troverà inoltre a circa 7° a nordest di Nunki (Sigma Sagittarii; mag. +2,1). A questo incontro partecipa anche Saturno (mag. +0,1), situato a 2,8° a nordest della Luna e, in modo decisamente meno appariscente, anche il piccolo Plutone (mag. +14,4), che si troverà a 3° a nord della Luna.
Se Giove e Saturno, per non parlare della Luna ovviamente, cattureranno immediatamente la nostra attenzione, a occhio nudo, grazie alla loro brillantezza, non esiste speranza al mondo di poter scorgere Plutone, la cui magnitudine richiederà un telescopio di diametro generoso per poter essere rintracciato. Ci piace però sottolineare la sua presenza per sapere che, in realtà, stiamo osservando anche questo piccolo ma estremamente affascinante corpo celeste.

La sera del 23 ottobre, infine, la Luna (fase del 52%) si sarà portata oltre Saturno, a una distanza di 7,6° dal pianeta, posizionandosi a sudest di esso. Il meglio della congiunzione è passato ma quest’ultimo passaggio permette di completare il quadro che potrà essere ripreso fotograficamente sui tre giorni, componendo uno scatto unico in grado di mettere in evidenza il moto degli astri coinvolti.

Ovviamente, per l’ampiezza della porzione di cielo considerata, sarà necessario utilizzare obiettivi fotografici grandangolari, avendo cura di rendere originale il proprio scatto includendo elementi architettonici o naturali del paesaggio che ci circonda e, perché no, magari creare dei giochi con la composizione sfruttando geometrie o allineamenti particolari con gli oggetti paesaggistici.


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BepiColombo ha sorvolato Venere

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Selfie di BepiColombo con Venere alle spalle, scattato durante il flyby. Crediti: Esa/BepiColombo/Mtm

BepiColombo ha completato il primo flyby di Venere alle 5.58 di questa mattina, sorvolando il pianeta a una distanza di circa 10 720 km dalla superficie. Si tratta del primo dei due sorvoli del pianeta che saranno necessari per inserire la sonda nella corretta traiettoria verso Mercurio, obiettivo della sua missione.

Partito il 20 ottobre 2018, il programma è frutto della collaborazione tra l’Esa e l’agenzia giapponese Jaxa, ed è composto da due sonde: l’europea Mercury Planetary Orbiter (Mpo) e la giapponese Mercury Magnetospheric Orbiter (Mmo). Entrambe viaggiano a bordo di un modulo trasportatore, il Mercury Transfer Module (Mtm), che utilizzerà una combinazione di propulsione ionica e chimica in aggiunta a numerose spinte gravitazionali durante il lungo percorso. La missione ha visto il forte contributo dell’Italia che, grazie al supporto dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e al contributo scientifico dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ha realizzato 4 dei 16 tra strumenti ed esperimenti a bordo, oltre a una collaborazione internazionale. La sonda giungerà a destinazione a dicembre 2025, dopo sette anni di viaggio.

«Lo scorso 10 aprile BepiColombo ha effettuato il suo primo flyby intorno alla Terra per valutare le prestazioni e il funzionamento di tutta la sua strumentazione a bordo», ricorda Marilena Amoroso, responsabile Asi delle attività scientifiche degli strumenti italiani della sonda. «Il primo flyby intorno a Venere ci ha permesso di utilizzare alcuni degli strumenti a scopo scientifico in ambiente planetario. BepiColombo ha approcciato Venere dal lato illuminato del pianeta e per via della rotazione retrograda di Venere, la sonda si è trovata al momento del closest approach nel pomeriggio venusiano in tempo per attraversare il bow shock, ovvero il confine nel quale il vento solare cade bruscamente a contatto con la magnetopausa planetaria. Al momento del closest approach la sonda era distante 1.16 unità astronomiche dalla Terra e 0.71 dal Sole».

«Venere è un ambiente assai diverso da Mercurio, per il quale sono stati sviluppati gli strumenti a bordo, ma durante il sorvolo di oggi siamo riusciti a prendere misure con ben 12 strumenti», aggiunge Valeria Mangano dell’Inaf, coordinatrice del gruppo di lavoro Esa sui flyby di Venere della missione BepiColombo. «La traiettoria del flyby era perfetta per misurare tutte le regioni dell’ambiente magnetico di Venere, indotte dall’interazione tra Sole e pianeta. Inoltre, abbiamo effettuato misure dell’atmosfera, dalla composizione chimica alla dinamica e temperatura, insieme ad osservazioni coordinate delle sonde giapponesi Akatsuki, in orbita intorno a Venere, e Hisaki, in orbita intorno alla Terra, e di numerosi telescopi professionali e amatoriali da Terra».

I team dei vari strumenti sono ora al lavoro per elaborare i dati ottenuti dal sorvolo, mentre il gruppo operativo valuterà le prestazioni della sonda in attesa della correzione di routine della traiettoria, prevista per il prossimo 22 ottobre. Spingendosi fino ai limiti strumentali di Mertis, uno degli strumenti di bordo, i ricercatori cercheranno anche di rilevare la possibile presenza di fosfina, molecola avvistata recentemente nell’atmosfera di Venere e potenziale indizio di forme di vita microbica sospesa tra le nubi del pianeta.

«La configurazione del primo flyby è ottimale per le indagini dell’atmosfera, della ionosfera e della magnetosfera dell’ambiente vicino di Venere», continua Amoroso. «Gli strumenti a bordo come il magnetometro di Mmo, lo spettrometro Mertis e Phebus (strumento francese a partecipazione italiana), Mipa e Picam di Serena a pi-ship italiana, l’accelerometro italiano Isa e lo strumento More, anch’esso italiano, sono stati attivati durante tutta la cruise intorno a Venere per collezionare dati utili all’analisi scientifica in modo sinergico».

Il secondo sorvolo di Venere è in programma per il 10 agosto 2021, e questa volta la sonda effettuerà il passaggio intorno al pianeta con una configurazione diversa, avvicinandosi a Venere dal lato notturno e volando molto vicino alla superficie, a soli 552 chilometri di altezza. Una distanza così ravvicinata permetterà di rilevare altre informazioni con il supporto di tutta la strumentazione che andrà ad incrementare le conoscenze sul pianeta.

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

Leggi anche

Lo speciale sull’ultima scoperta di fosfina tra le nubi di Venere, corredato con un’inchiesta tra gli esperti del settore, sul numero online di Coelum Astronomia.

 


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento.
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma).

Speciale spettacolo al Planetario alle ore 17:30 e 18:30 nei giorni 2, 3, 9, 16, 17, 18, 23 e 24 ottobre
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Luna e Venere al mattino

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La mattina del 14 ottobre, alle ore 4:15 – un orario ancora una volta non proprio compatibile con i nostri cicli del sonno – guardando verso oriente, potremo notare due brillanti luci nel cielo del Leone sfiorare letteralmente l’orizzonte: sono la Luna (fase dell’11%) e il pianeta Venere (mag. –4,0).

La falce lunare si collocherà a 3° 16’ a ovest di Venere. L’orario indicato in cartina, le 5:00, oltre a lasciarci qualche minuto in più di riposo, consentirà di osservare con maggior comodità i due soggetti che, a circa 45 minuti di distanza dalla loro levata, avranno guadagnato un po’ di altezza sull’orizzonte, raggiungendo i 10° circa.

Complessivamente, si tratta di un bel quadretto astrale impreziosito dalla Luna in luce cinerea, dalla brillantezza di Venere e dalle stelle del Leone, tra le quali spicca per luminosità Regolo (Alfa Leonis, mag. +1,4).

Per riprendere fotograficamente questo incontro celeste avremo due opzioni: concentrarci su Luna e Venere, forzando quindi l’ingrandimento e centrando l’inquadratura sui due astri (ma ricordandoci di includere sempre qualche oggetto del paesaggio circostante) oppure riprendere più ad ampio campo la congiunzione. In quest’ultimo caso dovremo prediligere l’uso di focali corte, obiettivi grandangolari dunque, nel tentativo magari di riprendere anche le stelle del grande Leone che, ancora vicino all’orizzonte, ci apparirà “rampante” e ancora più grande e maestoso del solito.


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Venere: tracce di fosfina nei dati Pioneer 13

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Un gruppo di ricercatori, coordinato da Rakesh Mogul, biochimico della California State Polytechnic University, ha riesaminato i vecchi dati di archivio, rilevati dallo spettrometro di massa Large Probe Neutral Mass Spectrometer (LNMS) che era a bordo della sonda della NASA Pioneer Venus Multiprobe (PVM). Quest’ultima, nota anche come Pioneer Venus 2Pioneer 13, lanciò quattro sonde nell’atmosfera venusiana il 9 dicembre del 1978, raccogliendo campioni durante la discesa.

Crediti: Mogul et al, 2020

Gli scienziati hanno ora rielaborato i dati cercando quei composti che, semplicemente, erano stati ignorati nelle prime analisi pubblicate negli anni ’70 ed ’80 perché non si pensava potessero esistere su Venere.

Il team ha prima appurato il potere di risoluzione dello strumento, confrontando gli spettri di massa ottenuti per sostanze note con i rispettivi valori di riferimento. Successivamente, ha confermato la presenza di molecole nell’atmosfera venusiana aventi le stesse unità di massa atomica (amu) attese per la fosfina o il suo parente più stretto PH2.

«Troviamo che i dati LMNS supportano la presenza di fosfina. Anche se le origini del gas rimangono sconosciute», hanno scritto gli autori.

«Questa rivalutazione degli spettri di massa di Venere mostra la presenza del fosforo atomico come prodotto di frammentazione da un gas neutro. Inoltre, gli spettri indicano una possibilità allettante per la presenza di PH3, insieme ai suoi frammenti associati. … Sebbene le intensità dei picchi siano basse, sono forse coerenti con le abbondanze di ~20 ppb riportate da Greaves et al.».

I ricercatori ha anche identificato altri elementi che non dovrebbero esistere, secondo le nostri attuali conoscenze, nell’ossidato ambiente venusiano. Alcuni di essi potrebbero essere importanti biofirme, proprio come la fosfina: ossigeno biatomico, metano, ciclopropene, monossido di azoto, idrogeno biatomico, perossido di idrogeno.
«Riteniamo che questa sia un’indicazione di sostanze chimiche non ancora scoperte e / o potenzialmente favorevoli alla vita», conclude lo studio.

Leggi anche

Fosfina nell’atmosfera di Venere. Possibile indicatore della presenza di vita?

L’inchiesta con il parere degli esperti


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Osservatorio Astronomico Fondazione Clément Fillietroz

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Le visite guidate diurne e notturne per il pubblico all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta si terranno con le nuove modalità, nel rispetto delle indicazioni degli organi competenti per il contenimento della pandemia COVID-19. La prenotazione è obbligatoria sul sito scegliendo la visita guidata di interesse tra quelle disponibili. Le iniziative si svolgono all’aperto: i partecipanti devono rispettare le norme su distanziamento fisico e mascherine, inoltre si ricorda di indossare un abbigliamento adeguato all’altitudine (1.675 m)

13,14, 15.10: Evento speciale per l’opposizione di Marte e la Settimana del Pianeta Terra
Tutte le info qui: https://www.oavda.it
https://www.facebook.com/osservatorioastronomicovalledaosta

AstronomiAmo

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LocCoelum-Ottobre2020

LocCoelum-Ottobre2020Appuntamenti di Ottobre:
15 ottobre, ore 21:30: Una notte sotto il cielo di Atacama. Con Anita Zanella (INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica)

Corsi di Astronomia:

Ottobre – Novembre: Galassie e AGN. Docente: Ivan Delvecchio (INAF)

Gennaio – Febbraio: Onde Gravitazionali. Docente: Pia Astone (La Sapienza)

Marzo – Aprile: Atmosfere Planetarie. Docente: Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy)

Aprile – Maggio: Accelerazione dell’Universo. Docente: Enrico Trincherini (SNS Pisa)

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it/

UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

Nobel per la Fisica ai segreti più oscuri dell’universo

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Si chiamano Roger PenroseReinhard GenzelAndrea Ghez i due scienziati e la scienziata che oggi hanno ricevuto dall’Accademia svedese per le scienze il Premio Nobel per la Fisica 2020. Metà del premio va a Roger Penrose, che ha  sviluppato ingegnosi metodi matematici per esplorare la teoria della relatività generale di Albert Einstein e ha dimostrato che la teoria porta alla formazione dei buchi neri. L’altra metà va a Reinhard Genzel e Andrea Ghez, alla guida dei due team di ricerca che hanno scoperto il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, utilizzando molti anni di osservazioni astronomiche di questa regione. È la quarta volta nella storia che il riconoscimento va a una donna.

Il 2020 è stato un anno unico nella storia del Premio Nobel. A causa della pandemia da coronavirus, la cerimonia di premiazione, tradizionalmente tenuta a Stoccolma, è stata sostituita da un evento online. Ricordiamo che l’ultima volta in cui la cerimonia di premiazione fu annullata è stato nel 1944 a causa della seconda guerra mondiale. Normalmente alla cerimonia di premiazione partecipano circa 90 persone, ma oggi erano meno di 30. Molti rappresentanti dei media l’hanno seguita da remoto.


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Accademia delle Stelle

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2020-10 Coelum AdS

2020-10 Coelum AdS Corsi di Astronomia

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

CICAP FEST EXTRA 2020

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Anche quest’anno torna il CICAP Fest, il Festival della scienza e della curiosità, in un’edizione – la terza – un po’ particolare, che ha dovuto fare i conti con il cambiamento, l’imprevisto e l’improbabile e rivedere i propri temi e le proprie modalità: la terza edizione del CICAP Fest si svolgerà quindi interamente online in un arco di 3 settimane e 4 weekend a partire da venerdì 25 settembre fino a domenica 18 ottobre: sul sito del CICAP Fest e sui canali social sarà possibile seguire un ricchissimo programma di eventi, molti dei quali in live streaming e alcuni con la partecipazione diretta del pubblico.
Oltre al tema classico caro al CICAP, ovvero l’analisi e la verifica di pseudoscienze e fake news, in un’ottica di dialogo con la società e di comprensione della complessità del fenomeno, il Festival ospiterà molti incontri con autori, scienziati, intellettuali (tra gli ospiti di quest’anno Piero Angela, Naomi Oreskes, Jim Al-Khalili, Alessandro Barbero, Stephan Lewandowsky, Paolo Nespoli, Antonella Viola, Carlo Cottarelli, Silvio Garattini, Pif, Luca Perri, Fabio Pagan, Adrian Fartade e tantissimi altri) nell’ambito della ricostruzione: che cosa questa epidemia ci ha insegnato sulla scienza e sulla società, quali problemi ha messo in luce e come possiamo porvi rimedio (per esempio in tema di sostenibilità ambientale, diseguaglianze e gender gap).
Come ogni anno, ci sarà spazio per stimolare la curiosità scientifica: divulgazione fatta con divertimento, perché la scienza è divertente.

Per saperne di più:
Video di presentazione dell’evento youtu.be/lhCszJxYZnU
www.cicapfest.itfacebook.com/CICAPfestinstagram.com/cicap_festwww.cicap.org

Due appuntamenti al mattino con Venere e Regolo, in congiunzione stretta, e Luna e Marte.

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Ottobre inizia con una congiunzione davvero spettacolare, soprattutto per la distanza davvero ravvicinata alla quale i due soggetti si troveranno reciprocamente. Alle 5:00 del mattino del 3 ottobre, il brillante pianeta Venere (mag. – 4,1) si troverà ad appena 12’ dalla stella Regolo (mag. +1,4), la stella Alfa della costellazione del Leone.

Un orario non proprio comodissimo, ma i due astri saranno sorti da appena un’ora e si troveranno alti circa 12° sull’orizzonte est: la distanza tra i due oggetti sarà così esigua da far quasi pensare che, per qualche strana ragione, Regolo abbia aumentato notevolmente la sua luminosità, donando all’imponente figura del Leone che sorge dall’orizzonte uno nuovo aspetto e vigore.

Questa congiunzione potrà essere apprezzata a occhio nudo oppure al binocolo o, ancora meglio, al telescopio, ovviamente a ingrandimenti non spinti. Sarà molto piacevole apprezzare la differenza di colore tra i due astri, cosa che risulterà facilitata dalla loro vicinanza reciproca. In fotografia, si consiglia di stringere l’inquadratura, verso le porzioni più elevate delle focali consentite dai nostri teleobiettivi. Per le riprese più ampie invece, senza esagerare, potrebbe essere un bel risultato riuscire a immortalare il grande Leone celeste con Venere “al posto” della sua stella principale.

Sempre la mattina del 3 ottobre, alle ore 6:00, la nostra “levataccia” (forse ci saremo rassegnati ad alzarci presto dal letto per ammirare anche la stretta congiunzione tra Venere e Regolo) sarà ripagata dalla visione di una seconda congiunzione piuttosto stretta, quasi dalla parte opposto dell’orizzonte. Verso ovest-sudovest, vedremo infatti la Luna, che ha appena sorpassato la fase di Piena (fase del 99%), e il Pianeta Rosso, arancione e splendente (mag. –2,5) fieramente diretto verso l’opposizione di metà mese.

La magnitudine di Marte sarà tale da riuscire a farsi spazio nel chiarore lunare, considerando che i due astri saranno separati di appena 1,4°. All’orario indicato, Marte e la Luna, abbracciati tra le flebili stelle dei Pesci, saranno alti circa 25° sull’orizzonte, diretti verso il loro tramonto, che però avverrà solo diverse ore più tardi, quando il cielo sarà già chiaro.

Potremo quindi attendere un po’, soprattutto se vogliamo registrare fotograficamente questo incontro, magari includendo elementi del paesaggio circostante nella nostra inquadratura, ma senza attardarci troppo: il Sole incombe e il cielo diviene rapidamente chiaro, se la Luna non teme troppo la luce, Marte sparirà ben più rapidamente tra le intense luci dell’alba.


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In trappola nella ragnatela del buco nero supermassiccio

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La rappresentazione artistica mostra il buco nero centrale e le galassie intrappolate dalla ragnatela di gas. Il buco nero, che insieme al disco che lo circonda viene chiamato: quasar SDSS J103027.09+052455.0, brilla luminoso mentre si ingozza della materia che lo circonda. Crediti: ESO/L. Calçada
La rappresentazione artistica mostra il buco nero centrale e le galassie intrappolate dalla ragnatela di gas. Il buco nero, che insieme al disco che lo circonda viene chiamato: quasar SDSS J103027.09+052455.0, brilla luminoso mentre si ingozza della materia che lo circonda. Crediti: ESO/L. Calçada

Con l’aiuto del VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, alcuni astronomi hanno trovato sei galassie intorno a un buco nero supermassiccio osservato quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Questa è la prima volta in cui un raggruppamento così compatto è stato visto così in un tempo così lontano, dopo il Big Bang, e la scoperta ci aiuta a capire meglio come i buchi neri supermassicci, uno dei quali si trova al centro della nostra galassia, la Via Lattea, si siano formati e siano cresciuti fino alle odierne enormi dimensioni così velocemente. La scoperta viene infatti a suupporto della teoria secondo cui i buchi neri possono crescere rapidamente all’interno di grandi strutture, simili a ragnatele, che contengono gas in quantità sufficiente per alimentarli.

«La ricerca è stata guidata principalmente dal desiderio di comprendere alcuni degli oggetti astronomici più impegnativi: i buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale. Questi sono sistemi estremi e fino a oggi non abbiamo trovato una spiegazione convincente della loro esistenza», afferma Marco Mignoli, astronomo presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Bologna, Italia, e autore principale della nuova ricerca pubblicata oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics Letters.

Le nuove osservazioni effettuate con il VLT dell’ESO hanno rivelato diverse galassie che circondano un buco nero supermassiccio, tutte contenute da una “ragnatela” cosmica di gas che si estende fino a 300 volte le dimensioni della Via Lattea. «I filamenti della ragnatela cosmica sono proprio come i fili di una ragnatela», spiega Mignoli. «Le galassie si formano e crescono dove i filamenti si incrociano e i flussi di gas – che vanno ad alimentare sia le galassie che il buco nero supermassiccio centrale – possono scorrere lungo i filamenti».

Questo grafico mostra l’ubicazione di SDSS J103027.09+052455.0, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio circondato da almeno sei galassie, nella costellazione del Sestante. La mappa indica la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in buone condizioni osservative: la posizione della struttura è indicata da un cerchio rosso. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

La luce proveniente da questa grande struttura simile a una ragnatela, con il suo buco nero da un miliardo di masse solari, ha viaggiato fino a noi da un tempo in cui l’Universo aveva solo 0,9 miliardi di anni. «Il nostro lavoro colloca un pezzo importante nel puzzle in gran parte incompleto della formazione e crescita di oggetti così estremi, ma relativamente abbondanti, tanto rapidamente dopo il Big Bang», aggiunge il coautore Roberto Gilli, anch’egli astronomo dell’INAF di Bologna, riferendosi ai buchi neri supermassicci

I primissimi buchi neri, che si pensa si siano formati dal collasso delle prime stelle, devono essere cresciuti molto velocemente per raggiungere masse di un miliardo di soli entro i primi 0,9 miliardi di anni di vita dell’Universo. Ma gli astronomi non riuscivano a spiegare come quantità sufficientemente grandi di “combustibile per buchi neri” avrebbero potuto essere disponibili per consentire a questi oggetti di crescere fino a dimensioni così grandi in così poco tempo. La nuova struttura offre una spiegazione ragionevole: la “ragnatela” e le galassie al suo interno contengono abbastanza gas per fornire il carburante di cui il buco nero centrale ha bisogno per diventare rapidamente un gigante supermassiccio.

Ma, in primo luogo, ci chiediamo come si sono formate strutture simili a una rete così grandi. Gli astronomi pensano che siano fondamentali gli aloni giganti della misteriosa materia oscura. Si ritiene che queste ampie regioni di materia invisibile attraggano enormi quantità di gas nell’Universo primordiale; insieme, il gas e la materia oscura invisibile formano le strutture simili a reti in cui le galassie e i buchi neri possono evolversi.

«La nostra scoperta dà sostegno all’idea che i buchi neri più distanti e massicci si formino e crescano all’interno di aloni massicci di materia oscura in strutture a larga scala e che l’assenza di precedenti rilevamenti di tali strutture fosse probabilmente dovuta a limitazioni delle osservazioni», suggerisce Colin Norman della Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti d’America e coautore dello studio.

L’immagine, costruita utilizzando i dati della DSS2 (Digitized Sky Survey 2), mostra il cielo intorno a SDSS J103027.09+052455.0, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio circondato da almeno sei galassie. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Le galassie che ora vengono rilevate sono tra le più deboli che gli attuali telescopi possano osservare. Questa scoperta ha richiesto osservazioni di diverse ore con i più grandi telescopi ottici disponibili, tra cui il VLT dell’ESO. Utilizzando gli strumenti MUSEFORS2 installati sul VLT all’Osservatorio dell’ESO al Paranal, nel deserto cileno di Atacama, l’equipe ha confermato il collegamento tra quattro delle sei galassie e il buco nero. «Crediamo di aver visto solo la punta dell’iceberg e che le poche galassie scoperte finora intorno a questo buco nero supermassiccio siano solo le più luminose», conclude la coautrice Barbara Balmaverde, astronoma dell’INAF di Torino, Italia.

Questi risultati contribuiscono alla nostra comprensione di come si sono formati ed evoluti i buchi neri supermassicci e le grandi strutture cosmiche. L’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, attualmente in costruzione in Cile, sarà in grado di migliorare questa ricerca osservando molte altre galassie più deboli intorno a buchi neri massicci nell’Universo primordiale utilizzando i suoi potenti strumenti.

Ulteriori Informazioni

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “Web of the giant: Spectroscopic confirmation of a large-scale structure around the z = 6.31 quasar SDSS J1030+0524” pubblicato da Astronomy & Astrophysics (doi: 10.1051/0004-6361/202039045).


Riflettori (e telescopi) puntati su Venere e Marte

Coelum Astronomia di Ottobre 2020
è online, come sempre in formato multimediale digitale e totalmente gratuito.

 

Torna Space Apps a Napoli

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Space Apps

Space AppsSarà un weekend dedicato alla tecnologia spaziale e alle sue applicazioni terrestri, e i partecipanti lavoreranno in gruppo a diverse sfide, proponendo soluzioni innovative per vincere il titolo di Galactic Problem-Solver.
Ci sono due grandi novità: Space Apps sarà completamente virtuale. Tutti gli eventi locali, incluso quello di Napoli, si svolgeranno esclusivamente online per garantire la salute e la sicurezza della comunità globale. L’altra novità è la partecipazione dell’INAF – Osservatorio di Capodimonte: la più antica istituzione scientifica partenopea si aggiunge alla famiglia dei partner locali, che anche quest’anno confermano la propria attività nell’organizzazione assieme al Consolato degli Stati Uniti a Napoli, il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli Federico II (DII), l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (IREA-CNR), e il Center for Near Space (CNS) dell’Italian Institute for the Future.

Tutti i dettagli sull’evento e il link per l’iscrizione sono disponibili sul sito: https://2020.spaceappschallenge.org/locations/naples

Science in the City Festival – Trieste

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Trieste. Science and City Festival ha accompagnato ESOF 2020 prima, durante e dopo la manifestazione (è iniziato a luglio ed è in programma fino ad autunno inoltrato).  Gli eventi, sia online che in presenza richiedono la registrazione.
Tra i prossimi appuntamenti segnaliamo il 2 ottobre la conferenza “Meteoriti antartiche: un tesoro per le scienze planetarie” e fino all’11 ottobre la mostra a cura di magazzinodelleidee.it “XTREME: Vivere in ambienti estremi”: Speleologia, Astrobiologia, Antartide. Tre mondi apparentemente distanti legati dalla straordinaria capacità della vita di sopravvivere in condizioni estreme. Una mostra speciale sulle peculiarità di questi ambienti, su come la nostra specie si possa adattare per esplorarli, e su come la vita possa prosperare anche in scenari ostili.
Nei siti di riferimento il programma completo: scienceinthecity2020.eu

Il Cielo di Ottobre 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Ott > 23:00; 15 Ott > 22:00; 30 Ott > 20:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

All’inizio della notte astronomica l’asterismo del “Triangolo Estivo” sarà ancora alto nel cielo, anche se in procinto di cedere la regione zenitale al grande quadrato di Pegaso. Il Boote si starà dirigendo pigramente verso il tramonto mentre l’Ercole lo segue, lasciandoci ancora la possibilità di osservare il suo magnifico ammasso globulare, M 13. A nordest si potrà seguire l’ascesa della coppia Perseo-Cassiopea, con la sua inconfondibile forma a “W”, e il sorgere della brillantissima Capella, con le “tre caprette”, segna la levata dell’Auriga. Faranno poi capolino sull’orizzonte le stelle del Toro, con l’arancione Aldebaran, che assieme alle Pleiadi rappresentano le avanguardie del cielo invernale

➜ continua sul Cielo di Ottobre 2020

e approfondisci con il Cielo di ottobre con la UAI: Viaggio verso M 31

Ora Solare

È da ricordare, per il corretto uso delle effemeridi, che alle ore 3:00 di domenica 25 ottobre finirà il periodo dell’ora legale estiva (TU+2) ed entrerà in vigore l’ora solare (TU+1). Bisognerà pertanto portare indietro le lancette degli orologi alle ore 2:00.

COSA OFFRE IL CIELO

Marte è finalmente nel mese della sua opposizione, l’istante esatto sarà nella notte tra il 13 e il 14 ottobre, poco dopo la mezzanotte (per la precisione alle 1:20 del giorno 14, ora locale) ma non è tanto quello che conta, quanto che in queste settimane sarà alto in cielo e al suo meglio. In questo nuovo numero di Coelum Astronomia trovate dunque uno Speciale dedicato al pianeta, con tante curiosità sulle domande ancora aperte che lo riguardano, un viaggio nella geologia di quelle sue caratteristiche e particolari che vediamo nelle riprese e nelle osservazioni da Terra e tutti i consigli per l’osservazione e la ripresa su…

➜  L’opposizione di Marte del 14 ottobre 2020 in collaborazione con la UAI

E come sempre non dimenticate i consigli dati nelle precedenti opposizioni!

Venere invece lo potremo ancora ammirare alto e brillantissimo nel cielo del mattino. Forse le nuove attenzioni dovute alla scoperta di fosfina (che potrebbe essere indizio di vita microbica) nella sua atmosfera ci faranno guardare con ancora maggior ammirazione questo bellissimo pianeta.

Giove e Saturno continuano il loro viaggio nel cielo della sera tramontando sempre prima, quindi visibili nella prima parte della notte, ma sempre brillanti e diretti verso la loro minima distanza.

Per Mercurio, che questo mese non è decisamente al meglio, e i pianeti più lontani, Urano e Nettuno (ricordiamo che per osservarli è necessario uno strumento), i pianeti nani e gli asteroidi trovate tutti i dettagli come sempre su:

➜  il Cielo di Ottobre all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito).


La Luna

Mese dopo mese siamo arrivati anche a ottobre caratterizzato da due pleniluni, precisamente nelle serate di apertura e di chiusura del mese, al secondo dei quali la tradizione assegna la definizione di “Luna Blu”, anche se ben lungi dall’eccessivo clamore mediatico sempre presente in tutte le variegate modalità in cui la nostra sempre bellissima Luna Piena si mostra all’appuntamento serale. Tanto più che stavolta non si potrà nemmeno parlare di “Super” Luna in quanto i due pleniluni di ottobre si verificheranno col nostro satellite alla distanza di 401.454 km e 407.872 km rispettivamente, quindi si tratterà di una quas “Mini Luna Blu” (leggi anche “Guarda che Luna Super!” su Coelum Astronomia 218).

Vediamo dunque con Francesco Badalotti quali formazioni ammirare per ogni fase, quali le zone solitamente nascoste sono interessate dalle principali librazioni e prosegue il viaggio tra le principali formazioni della nostra Luna dal settore sudest verso nord, nei giorni 5 e 6 ottobre oppure la sera del 23 ottobre.

Per quanto riguardainvece l’altro aspetto della Luna, con la sua luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 14 (accompagnata da Venere) al 16 ottobre e, dopo il Novilunio, la sera dal 17 al 19 ottobre.

E ancora su Coelum astronomia 248

➜ Comete. Howell e Atlas nel cielo di ottobre

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS (N.B. Attenzione! Dopo la stesura dell’articolo è stata fatta una correzione dell’orbita della Stazione Spaziale, le date indicate non sono quindi più valide, si consiglia di controllare sul sito Heavens-Above, inserendo la propria località).

➜ Supernovae: Le tre supernovae nella galassia NGC 819

e il Calendario di tutti gli eventi di ottobre 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata alla nuova ripresa, del telescopio spaziale Hubble, delle colorate stelle dell’ammasso NGC 1805, con la loro luce intensificata dalle riprese nella banda di spettro dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!


Tutti i consigli per l’osservazione del Cielo di Ottobre su Coelum Astronomia 248

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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento.
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma).

01.10, ore 18:45: “Radiazione cosmica di fondo: l’Universo di precisione” di Paolo De Bernardis
Speciale spettacolo al Planetario alle ore 17:30 e 18:30 nei giorni 2, 3, 9, 16, 17, 18, 23 e 24 ottobre
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAI

UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

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