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Accademia delle Stelle

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2020-10 Coelum AdS Corsi di Astronomia

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

26 settembre. La Notte della Luna dall’Italia, dalla Svizzera e dalla Namibia

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La Notte della Luna (InOMN – International Observe the Moon Night) – sponsorizzato dalla missione Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA e dalla Solar System Exploration Division presso il Goddard Space Flight Center della NASA) – del prossimo 26 settembre, ospiterà un evento internazionale promosso dalla NASA che ha lo scopo di far conoscere il nostro satellite al grande pubblico.

L’edizione del 2019, quindi in epoca pre-COVID, ha coinvolto quasi 2000 luoghi e punti di osservazione in tutto il mondo. La pandemia che ha investito il mondo, ha indotto gruppi e associazioni, a proporre i loro eventi sul web, e questo è pure il nostro caso, con una diretta che avrà il titolo di: La notte della Luna dall’Italia, dalla Svizzera e dalla Namibia, con collegamenti ad alcuni luoghi straordinari. Ecco i quattro collegamenti della serata:

HAKOS FARM – Namibia,
OSSERVATORIO CALINA, Svizzera,
VIRTUAL TELESCOPE,
SOCIETA’ ASTRONOMICA LUNAE,

Da queste località, esperti di astronomia racconteranno la Luna in diretta, attraverso potenti telescopi. Del nostro satellite si parlerà dal punto di vista scientifico, storico, mitologico.

Per seguire la diretta:

via Youtube →  bit.ly/LaNottedellaLuna

via Facebook →  bit.ly/lanottedellaluna_2020

Così, dalla Namibia, il collegamento sarà con la Hakos Farm (la Hakos, localizzata nei pressi dell’incredibile altopiano Gamsberg, accoglie numerosi telescopi sotto un cielo splendido), ed essendo nei pressi del Tropico del Capricorno, in questo periodo la Luna sarà in prossimità dello zenit mentre alle latitudini europee la sua altezza sull’orizzonte non andrà oltre i 20°.

L’Associazione Astronomica Lunae ha sede in Lunigiana, nei pressi dell’antica città romana di Luni, la “Città della Luna”. La storia di questa città sarà raccontata da Roberto Zambelli e dal personale della sovrintendenza archeologica che gestisce il sito archeologico di Luni, attraverso un video appositamente realizzato.

Il Virtual Telescope Project è un set molto potente di telescopi robotici reali, accessibili da remoto online, tramite Internet. È gestito dall’astrofisico e divulgatore Gianluca Masi, che opera via web ormai da oltre un decennio, con risultati di assoluta rilevanza divulgativa e scientifica.

L’Osservatorio Calina è stato inaugurato nel 1960 grazie all’impegno della signora Lina Senn, originaria del Canton S.Gallo. Dal 1960 in Osservatorio si sono avvicendati per più di vent’anni tantissimi appassionati dalla Svizzera interna, dalla Germania, e dall’Europa Alla fine degli anni 70, alla morte della signora Senn il municipio di Carona acquistò dagli eredi l’Osservatorio e si appoggiò alla Società Astronomica Ticinese per aprire la struttura alla popolazione ticinese. Oggi è una struttura pubblica gestita dall’Associazione che può contare, tra gli altri, sull’attività divulgativa di Fausto Delucchi e Francesco Fumagalli.

In conclusione della serata commenti e discussione da parte di personalità del mondo della scienza e della cultura in tavola rotonda.

ORGANIZZATORI E PARTECIPANTI ALL’EVENTO:
Rodolfo Calanca,  www.eanweb.com
Paolo Conte,  www.progettotheia.comwww.radio3scienza.rai.it
Gianluca Alo’,  https://www.facebook.com/EventiAstronomia
Petter Johannesen, console della Namibia in Italia,  info@lanamibia.it
Paolo Bassi, corrispondente dalla Namibia
Hakos Farm – Namibia,  https://www.hakos-astrofarm.com/en/
Gianluca Masi, Virtual Telescope,  https://www.virtualtelescope.eu/
Francesco Fumagalli, Osservatorio Calina, Svizzera,  https://www.astrocalina.ch/
Roberto Zambelli, Associazione Astronomica Lunae,  http://www.astrolunae.it/
Valeria Tienghi, Air Namibia Consultant

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Luna, Giove e Saturno, nuovo atto!

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Nei giorni 24 e 25 settembre si verificherà una classica congiunzione tra Luna e pianeti: nello specifico i protagonisti sono i due maggiori pianeti del Sistema Solare, ossia Giove (mag. –2,4) e Saturno (mag. +0,4).

Iniziamo la sera del 24 settembre, alle ore 23:00 circa: nella regione del cielo del Sagittario, osservabile verso sudovest, a una altezza di circa 14°, sarà facile riconoscere Giove, che ci apparirà come una stella molto brillante, seguita, a poca distanza più in direzione sud, da Saturno. La Luna (fase del 58%) si troverà a 6° e mezzo a sudest di Giove, ponendosi ad appena 1,7° a ovest della stella Nunki (Sigma Sagittarii, mag. +2,1), una delle brillanti stelle del Sagittario che compongono la celebre forma a “teiera”, che ci apparirà decisamente declinante verso l’orizzonte.

Il giorno seguente, il 25 settembre sempre alle ore 23:00, potremo notare lo spostamento della Luna (fase del 69%), che si sarà portata più in prossimità di Saturno, sorpassando Giove. La separazione sarà di circa 3° con il nostro satellite naturale che si troverà a sudest del pianeta con l’anello. Si tratta di una congiunzione piacevole da osservare a occhio nudo e interessante da fotografare, inevitabilmente ad ampio campo, avendo l’accortezza di impreziosire l’inquadratura con elementi del paesaggio che sappiano arricchire l’immagine e fare da giusto contorno ai soggetti celesti.

Considerando che avremo a che fare con astri molto luminosi, ci sarà anche l’occasione di giocare un po’ con i soggetti inventandosi magari qualche interessante allineamento prospettico con gli oggetti paesaggistici.

Per concludere, aggiungiamo che, in realtà, c’è un altro protagonista nella congiunzione, un altro attore primario ma che passa decisamente inosservato: Plutone. Situato a due terzi circa di distanza sulla congiungente Giove-Saturno (più vicino a quest’ultimo), il piccolo pianeta nano sarà lì, assolutamente invisibile a occhio nudo (e molto difficile da scorgere anche al telescopio), ma pur sempre presente! Anche se non apparirà nei nostri scatti fotografici, sappiamo che il remoto corpo celeste sarà in qualche modo incluso nelle nostre immagini!

Il 23 settembre, è anche una delle serate (assieme al giorno 22) consigliate per l’osservazione delle formazioni lunari per questo mese.

Cliccando qui a destra tutti i consigli su Coelum astronomia di settembre, in formato digitale e sempre gratuito!



Tutti i consigli per l’osservazione del Cielo di Settembre su Coelum Astronomia 247

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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Origine vulcanica per le antiche rocce di Venere

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Una vista simulata dall’alto di Tellus Tessera, una delle regioni su Venere dove Byrne et al. hanno identificato la presenza di stratificazioni. L’immagine è generata a partire dai dati della missione Magellano della Nasa. Crediti: Nasa, Byrne et al.
Una vista simulata dall’alto di Tellus Tessera, una delle regioni su Venere dove Byrne et al. hanno identificato la presenza di stratificazioni. L’immagine è generata a partire dai dati della missione Magellano della Nasa. Crediti: Nasa, Byrne et al.

Un team internazionale di ricercatori ha scoperto che alcuni dei terreni più antichi di Venere, noti come tesserae – o tessere, dal termine latino che indica il tassello di un mosaico – hanno una stratificazione che sembra coerente con l’attività vulcanica. La scoperta potrebbe fornire approfondimenti sulla storia geologica dell’enigmatico pianeta.

Le tessere sono regioni tettonicamente deformate sulla superficie di Venere che sono spesso più elevate del paesaggio circostante. Costituiscono circa il 7 per cento della superficie del pianeta e sono sempre la caratteristica più antica nelle loro immediate vicinanze, risalenti a circa 750 milioni di anni fa. In un nuovo studio apparso su Geology, i ricercatori mostrano che una porzione significativa delle tessere presenta striature coerenti con una stratificazione.

«Ci sono generalmente due spiegazioni per le tessere: o sono fatte di rocce vulcaniche, oppure sono controparti della crosta continentale terrestre», afferma Paul Byrne, professore associato di scienze planetarie presso la North Carolina State University e primo autore dello studio. «Ma la stratificazione che troviamo su alcune tessere non è coerente con la spiegazione della crosta continentale».

Il team ha analizzato le immagini della superficie di Venere dalla missione Magellano della Nasa del 1989, che ha utilizzato il radar per fotografare il 98 per cento del pianeta attraverso la sua densa atmosfera. Mentre i ricercatori hanno studiato le tessere per decenni, prima di questo lavoro la stratificazione delle tessere non era stata riconosciuta come diffusa. E, secondo Byrne, quella stratificazione non sarebbe possibile se le tessere fossero porzioni di crosta continentale. «La crosta continentale è composta principalmente da granito, una roccia ignea che si forma quando le placche tettoniche si muovono e l’acqua viene subdotta dalla superficie», spiega Byrne. «Ma il granito non forma strati. Se c’è una crosta continentale su Venere, allora è sotto le rocce stratificate che vediamo».

«A parte l’attività vulcanica, l’altro modo per creare roccia stratificata è attraverso depositi sedimentari, come arenariacalcare. Non c’è un solo posto oggi su Venere in cui questo tipo di rocce potrebbe formarsi. La superficie di Venere è calda come un forno autopulente e la pressione è equivalente a quella che si trova a 900 metri sott’acqua. Quindi le prove in questo momento indicano che alcune parti delle tessere sono costituite da roccia vulcanica stratificata, simile a quella trovata sulla Terra».

Byrne spera che lo studio aiuterà a far luce sulla complicata storia geologica di Venere. «Sebbene i dati che abbiamo ora indicano che le tessere hanno origini vulcaniche, se un giorno fossimo in grado di campionarle e scoprissimo che sono rocce sedimentarie, allora si sarebbero dovute formare quando il clima era molto diverso – forse simile a quello sulla Terra» conclude Byrne. «Venere oggi è infernale, ma non sappiamo se è sempre stato così. Forse una volta era come la Terra, ma ha subito catastrofiche eruzioni vulcaniche che hanno rovinato il pianeta. Al momento non possiamo dirlo con certezza, ma il fatto della stratificazione nelle tessere restringe le potenziali origini di questa roccia».

Per saperne di più:


Meraviglie del cielo!

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La notte della Luna

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InOMN

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Notte della Luna 2020, tutte le iniziative delle Delegazioni dell’UAI

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La Luna non avrà più segreti. Torna l’International Observe the Moon Night, l’attesa iniziativa mondiale dedicata alla scoperta e all’osservazione del nostro meraviglioso satellite naturale, in programma – quest’anno – sabato 26 settembre. Tantissimi gli eventi organizzati per l’occasione lungo tutta la penisola dall’Unione Astrofili Italiani, promotrice dell’iniziativa in Italia insieme all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Occasioni uniche per ammirare al telescopio la nostra “vicina di casa” e per scoprire i suoi aspetti meno conosciuti e più affascinanti.

L’International Observe the Moon Night, ribattezzata in Italia con il nome “Notte della Luna”, è organizzata dalla NASA e da altre importanti istituzioni scientifiche. Come ormai consuetudine, lo star party internazionale sarà un’occasione per proporre osservazioni al telescopio dedicate alla Luna e per approfondire temi quali la genesi e le caratteristiche fisiche, le missioni spaziali passate e in programmazione, la mitologia, la poesia, la musica e le diverse espressioni artistiche ispirate al nostro satellite naturale.

Dal nord al sud Italia si susseguono gli appuntamenti con la “Notte della Luna” a cura delle Delegazioni dell’UAI. Il Gruppo Astrofili di Cinisello Balsamo offre al pubblico osservazioni guidate della Luna e di tutti gli oggetti celesti visibili presso l’Osservatorio astronomico Presolana, Castione della Presolana (Bergamo), nella serata del 26 settembre. Telescopi puntati sul nostro satellite naturale, nella notte del 26 settembre, anche presso l’Osservatorio di Odalengo Piccolo (Alessandria), gestito dal Gruppo Astrofili “Cielo del Monferrato”. Venerdì 25 settembre è invece in programma uno speciale moonwatch party all’Osservatorio astronomico di Punta Falcone, Piombino (Livorno) a cura dell’Associazione Astrofili Piombino. Aperto al pubblico, nella stessa serata e il 26 settembre, anche l’Osservatorio astronomico di Montarrenti, Sovicille (Siena) per ammirare la Luna e tutti gli oggetti celesti visibili con gli esperti dell’Unione Astrofili Senesi.

Al Parco astronomico di Rocca di Papa (Roma) si va alla scoperta del nostro meraviglioso satellite naturale sabato 26 settembre con l’Associazione Tuscolana di Astronomia, che offre al pubblico spettacoli sulla Luna nel planetario – formidabile strumento di simulazione del cielo – proiezioni in sala conferenze, osservazioni ai telescopi e visite guidate alla cupola astronomica. L’Associazione Astronomica del Rubicone (AAR) ha invece in serbo per il pubblico, sabato 26 settembre, uno speciale evento presso il Castello Malatestiano di Longiano (Forlì Cesena), con conferenze, osservazioni ai telescopi e visite alla mostra sulla Luna, con strumenti scientifici, foto astronomiche e disegni della Luna a cura dell’AAR e alla mostra fotografica delle missioni Apollo a cura degli Astrofili Soglianesi “Vega”.

Anche il sud Italia pullula di appuntamenti che vedono protagonista la fascinosa Luna. L’Unione Astrofili Napoletani “si fa in tre” per la Notte della Luna organizzando ben 3 eventi divulgativi e osservativi, patrocinati dall’INAF, a Napoli: venerdì 25 settembre presso il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa (S. Giorgio a Cremano) e il Centro “Pertini” (Pomigliano d’Arco) e domenica 27 settembre presso il Tempio di Apollo al Lago d’Averno (Pozzuoli). Gli astrofili dell’ORSA (Organizzazione Ricerche e Studi d’Astronomia), delegazione palermitana dell’Unione Astrofili Italiani (UAI), organizzano nella serata del 27 settembre una serata osservativa gratuita, aperta al pubblico di tutte le età, presso il Belvedere di Monte Pellegrino (Palermo). Telescopi puntati sulla Luna, nella notte del 26 settembre, anche all’Osservatorio e Planetario di Anzi (Potenza), gestito dell’Associazione Teerum Valgemon Aesai, e a Salerno grazie agli esperti del Centro Astronomico Neil Armstrong.

⇒ Maggiori dettagli sugli eventi  a cura delle Delegazioni UAI sono disponibili sul sito UAI nella sezione AstroIniziative, in home page: www.uai.it


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La giornata nazionale dei planetari

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planetarium-3586121_1920Dopo la ridotta partecipazione all’iniziativa nella data ufficiale di marzo per motivi legati all’emergenza sanitaria da COVID-19, il direttivo di PLANit (Associazione dei Planetari italiani) la ripropone in modalità online nella giornata di martedì 22 settembre. Saranno coinvolti nell’iniziativa i planetari e gli osservatori astronomici che li gestiscono.
Tutte le informazioni

Fosfina nell’atmosfera di Venere: possibile indicatore della presenza di vita?

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La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e dell'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, di cui l'ESO è partner. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada
La rappresentazione artistica mostra il pianeta Venere, nostro vicino nel Sistema Solare, dove gli scienziati hanno confermato il rilevamento di molecole di fosfina, la cui forma è mostrata graficamente nel riquadro. Le molecole nelle nubi venusiane ad alta quota sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e dell'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, di cui l'ESO è partner. Gli astronomi hanno ipotizzato per decenni che potesse esistere vita nelle alte nubi di Venere e la rilevazione della fosfina potrebbe essere una buona indicazione della presenza di una tale vita “aerea” extraterrestre. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada & NASA/JPL/Caltech

Un’equipe internazionale di astronomi ha annunciato oggi la scoperta di una molecola rara, la fosfina, nelle nubi di Venere. Sulla Terra, questo gas è prodotto solo industrialmente o da microbi che prosperano in ambienti privi di ossigeno. Gli astronomi hanno ipotizzato per decenni che le nubi ad alta quota intorno a Venere potessero offrire ospitalità ai microbi, lasciandoli fluttuare lontani dalla superficie rovente, ma in un ambiente di acidità molto elevata. La rilevazione della fosfina potrebbe indicare la presenza di una vita “aerea” extraterrestre.

Della possibilità di vita tra le nubi di Venere, e delle missioni in corso di progettazione, ne abbiamo parlato nel numero 225, in un articolo firmato da Michele Diodati. Clicca e leggi, ovviamente sempre in formato digitale e gratuito.

«È stato un vero colpo, vedere i primi segnali della presenza di fosfina nello spettro di Venere!», afferma Jane Greaves dell’Università di Cardiff nel Regno Unito, a capo dell’equipe che per prima ha individuato l’impronta della fosfina (detta anche fosfuro di idrogeno) nelle osservazioni del James Clerk Maxwell Telescope (JCMT), gestito dall’Osservatorio dell’Asia orientale, alle Hawaii.

La conferma della scoperta ha richiesto l’utilizzo di 45 antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in Cile, un telescopio più sensibile di cui l’ESO (European Southern Observatory) è partner. Entrambi gli strumenti hanno osservato Venere a una lunghezza d’onda di circa 1 millimetro, molto più lunga di quanto l’occhio umano possa vedere – solo i telescopi ad altitudini elevate possono rilevarla efficacemente. L’equipe internazionale, che comprende ricercatori del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e del Giappone, grazie a queste osservazioni, stima che la fosfina si trovi nelle nubi di Venere a bassa concentrazione, solo una ventina di molecole per ogni miliardo.

Questa rappresentazione artistica mostra un'immagine vera di Venere, ottenuta con ALMA, di cui ESO è un partner, a cui sono sovrapposti due spettri, uno ottenuto con ALMA (in bianco) e l'altro con il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT; in grigio). L'abbassamento nello spettro di Venere preso con il JCMT ha fornito il primo indizio della presenza di fosfina sul pianeta, mentre lo spettro più dettagliato di ALMA ha confermato che questo possibile indicatore della presenza di vita è davvero presente nell'atmosfera venusiana. Fluttuando nelle nubi ad alta quota di Venere, le molecole di fosfina assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Osservando il pianeta nella banda di lunghezze d'onda millimetriche, gli astronomi colgono questa impronta dell'assorbimento di fosfina nei dati come una diminuzione della luce proveniente dal pianeta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Greaves et al. & JCMT (East Asian Observatory)

A seguito delle osservazioni, gli astronomi hanno verificato se queste quantità potessero derivare da processi naturali non biologici sul pianeta. Tra le idee controllate: luce solare, minerali sospinti verso l’alto dalla superficie, vulcani o fulmini, ma nessuno di questi fenomeni può produrne abbastanza. Si è calcolato che queste sorgenti non biologiche producono al massimo un decimillesimo della quantità di fosfina vista dai telescopi.

Secondo l’equipe, per creare la quantità di fosfina (formata da idrogeno e fosforo) osservata su Venere, ad organismi terrestri basterebbe “lavorare” soltanto al circa il 10% della loro produttività massima. È noto infatti che i batteri terrestri producono fosfina in quantità: assorbono fosfato da minerali o materiale biologico, aggiungono l’idrogeno e infine espellono la fosfina.

Qualsiasi organismo dovesse riuscire a sopravvivere su Venere sarà probabilmente molto diverso dai cugini terrestri, ma sarebbe molto probabilmente anch’esso sorgente di fosfina nell’atmosfera.

La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada

Ma quanto solide sono queste rilevazioni? «Con nostro grande sollievo, c’erano buone condizioni per le osservazioni di follow-up con ALMA, nel momento in cui Venere si trovava a un angolo adatto rispetto alla Terra. L’elaborazione dei dati è stata complicata, tuttavia, poiché ALMA di solito non cerca effetti così fini in sorgenti così luminose come Venere», commenta Anita Richards, dell’ALMA Regional Center del Regno Unito e dell’Università di Manchester e membro dell’equipe. «Alla fine, abbiamo scoperto che entrambi gli Osservatori avevano visto la stessa cosa: un debole assorbimento alla giusta lunghezza d’onda per la fosfina gassosa, prodotta dalle molecole retroilluminate dalle nubi sottostanti più calde», aggiunge Greaves, che ha guidato il lavoro pubblicato oggi su Nature Astronomy.

Un altro membro dell’equipe, Clara Sousa Silva del Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti d’America, ha studiato la fosfina come una “firma biologica” della presenza di vita anaerobica (cioè che non utilizza ossigeno) sui pianeti intorno ad altre stelle, perché i normali processi chimici ne producono così poco. Commenta: “Trovare la fosfina su Venere è stato un regalo inaspettato! La scoperta solleva molte domande, come il modo in cui un qualsiasi organismo potrebbe sopravvivere. Sulla Terra, alcuni microbi possono sopportare fino a circa il 5% di acido nell’ambiente, ma le nubi di Venere sono quasi interamente fatte di acido“.

Una slide, mostrata durante la conferenza stampa della Royal Society, mostra altezze, temperature e pressioni nell'atmosfera di Venere, e la zona temperata in cui è stata trovata la fosfina. Un eventuale forma microbica potrebbe sopravvivere solo in quella stratta fascia, ma le nubi di Venere, come sappiamo, sono permanenti e costanti nelle loro caratteristiche, da milioni di anni, il tempo di sviluppare la vita potrebbe esserci stato.

L’equipe ritiene che la scoperta sia significativa, perché, al momento, è stato possibile escludere tutti i meccanismi di produzione della molecola non biologici noti (che esistono ad esempio nei pianeti gassosi, nelle cui atmosfere tracce di fosfina sono state trovate, ma in condizioni di temperature e pressioni molto diverse, come dichiarato durante la conferenza stampa, n.d.r.), ma allo stesso tempo è evidente che una conferma della presenza di “vita” richiede ulteriori approfondimenti e osservazioni. Infatti, nonostante le nubi in quota di Venere raggiungano una piacevole temperatura di 30 gradi Celsius, sono incredibilmente acide – circa il 90% è acido solforico – ponendo grossi problemi a tutti i microbi che cercano di sopravvivere al loro interno.

Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e Direttore Operativo europeo di ALMA, (non ha partecipato al nuovo studio), spiega: «La produzione non biologica di fosfina su Venere è esclusa dalla nostra attuale conoscenza della chimica della fosfina nelle atmosfere dei pianeti rocciosi. Poter confermare l’esistenza di vita nell’atmosfera di Venere sarebbe un importante passo avanti per l’astrobiologia; quindi, è essenziale far seguire a questo risultato entusiasmante studi teorici e osservativi per escludere la possibilità che la fosfina sui pianeti rocciosi possa anche avere un’origine chimica diversa da quella che ha sulla Terra».

Ulteriori osservazioni di Venere e di pianeti rocciosi al di fuori del Sistema Solare, incluso il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, potrebbero aiutare a raccogliere indizi su come si può produrre fosfina su di essi e contribuire alla ricerca di segni di vita oltre la Terra.

Ulteriori Informazioni

Questo studio è stato presentato nell’articolo “Phosphine Gas in the Cloud Decks of Venus” pubblicato dalla rivista Nature Astronomy.
Un articolo collegato, di alcuni membri dell’equipe, intitolato “The Venusian Lower Atmosphere Haze as a Depot for Desiccated Microbial Life: A Proposed Life Cycle for Persistence of the Venusian Aerial Biosphere”, è stato pubblicato dalla rivista Astrobiology nell’agosto 2020, mentre un altro studio di alcuni degli stessi autori su un argomento simile, “Phosphine as a Biosignature Gas in Exoplanet Atmospheres“, è stato pubblicato da Astrobiology nel gennaio 2020.

Per approfondire ulteriormente: vedi anche i vari articoli su biomarcatori e ricerca della vita negli esopianeti a cura di Marco Sergio Erculiani

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Gruppo Astronomia Digitale

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Tutti gli eventi si terranno alle ore 21:15
16.09: Al di là della Luna. Osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso Località Zorza – Riomaggiore

Per maggiori informazioni consultare il sito web www.astronomiadigitale.com

Luna, Venere e l’ammasso del Presepe

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La mattina del 13 settembre, alle ore 5:00, dirigendo la nostra attenzione verso est, potremo notare la presenza del brillante pianeta Venere (mag. –4,2) a una altezza di circa 21° sull’orizzonte. Osservando con attenzione sarà possibile distinguere il tenue ammasso stellare aperto noto come Ammasso del Presepe (Beehive Cluster, mag. +3,1), o M 44 del catalogo di Messier, a poca distanza di Venere che si troverà a 2,3’ a sudovest dell’ammasso.

Il teatro in cui si verificherà la congiunzione è quello della costellazione del Cancro, le cui stelle più brillanti faranno da “comparse”, nemmeno troppo secondarie, come vedremo.

Il giorno seguente, il 14 settembre alla stessa ora, a questo già interessante duetto astrale si aggiungerà anche una sottile falce lunare (fase del 15%): la Luna si troverà a 1,7° a nordest dell’ammasso aperto, mentre Venere si sarà spostato percepibilmente, portandosi a poco più di 1° da Asellus Australis (Delta Cancri, mag. +3,9).

La Luna sicuramente completa il quadro, formando un trio di sicuro fascino, considerando anche che in questo giorno sarà possibile osservare la luce cinerea della Luna, che in fotografia apparirà decisamente marcata, soprattutto se allungheremo i tempi di posa, cosa necessaria anche a far risaltare maggiormente le deboli stelle che compongono l’ammasso.

Attendendo ulteriormente per alcuni minuti, fino alle 5:25 circa, potremo osservare la Luna che, con il suo incedere, occulterà la stella Asellus Borealis (Gamma Cancri, mag. +4,7). l’occultazione terminerà alle ore 6:22 circa.

Complessivamente, questo fenomeno che si articola in due giorni di osservazione, risulterà particolare per i soggetti coinvolti: un facile oggetto deep sky qual è M 44, il brillante pianeta Venere e la Luna con una fase compatibile con l’osservazione e la ripresa fotografica, soprattutto dell’ammasso. La concomitanza dei giorni in cui il nostro satellite si presenta in luce cinerea, inoltre, non farà altro che aggiungere magia e fascino alla ripresa.

Consigliamo di osservare la congiunzione a occhio nudo o con l’aiuto di un binocolo, mentre per la fotografia sarà sicuramente interessante tentare di stringere l’inquadratura sull’area di cielo in cui dimora l’ammasso aperto. Sarà altresì possibile immortalare questo incontro celeste anche in fotografie più a largo campo, in cui sarà indispensabile costruire un’inquadratura considerando gli elementi del paesaggio circostante, includendo elementi naturali o architettonici per incorniciare adeguatamente i soggetti celesti. Sconsigliamo l’uso di obiettivi eccessivamente grandangolari che non sarebbero in grado di rendere evidenti i dettagli lunari o di rendere adeguatamente le stelle dell’ammasso.



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Materia oscura: la ricetta va perfezionata

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Questa immagine del telescopio spaziale Hubble mostra l’enorme ammasso galattico MACJ 1206. All’interno dell’ammasso sono visibili le immagini distorte di galassie lontane, sotto forma di archi e figure deformate. Queste distorsioni sono causate dalla quantità di materia oscura nell’ammasso, la cui forza di gravità deflette e amplifica la luce da galassie lontane, un effetto chiamato lensing gravitazionale. Oltre alla materia oscura distribuita uniformemente all’interno dell’ammasso, gli astronomi hanno scoperto che una gran parte di essa è concentrata nelle galassie dell’ammasso. Infatti, molte di queste galassie sono sufficientemente massicce e dense da distorcere e ingrandire anche le sorgenti lontane. Le galassie nei tre riquadri rappresentano esempi di tali effetti. Crediti: Nasa, Esa, G. Caminha (University of Groningen), M. Meneghetti (Inaf-Observatory of Astrophysics and Space Science of Bologna), P. Natarajan (Yale University), and the Clash team
Questa immagine del telescopio spaziale Hubble mostra l’enorme ammasso galattico MACJ 1206. All’interno dell’ammasso sono visibili le immagini distorte di galassie lontane, sotto forma di archi e figure deformate. Queste distorsioni sono causate dalla quantità di materia oscura nell’ammasso, la cui forza di gravità deflette e amplifica la luce da galassie lontane, un effetto chiamato lensing gravitazionale. Oltre alla materia oscura distribuita uniformemente all’interno dell’ammasso, gli astronomi hanno scoperto che una gran parte di essa è concentrata nelle galassie dell’ammasso. Infatti, molte di queste galassie sono sufficientemente massicce e dense da distorcere e ingrandire anche le sorgenti lontane. Le galassie nei tre riquadri rappresentano esempi di tali effetti. Crediti: Nasa, Esa, G. Caminha (University of Groningen), M. Meneghetti (Inaf-Observatory of Astrophysics and Space Science of Bologna), P. Natarajan (Yale University), and the Clash team

Un po’ come uno chef assaggiando una pietanza sconosciuta cerca di individuarne gli ingredienti e le loro proporzioni, così gli astronomi stanno cercando di scoprire la natura e le proprietà della materia oscura, studiandola indirettamente grazie agli effetti che essa produce. Uno di questi effetti, predetto dalla teoria delle Relatività Generale, è la deflessione della luce, particolarmente forte ad opera di oggetti molto massicci come gli ammassi di galassie. Questo fenomeno, noto come “lensing gravitazionale” può causare grandi distorsioni della forma osservata delle sorgenti che emettono la luce, o addirittura far sì che queste sorgenti vengano viste più di una volta.

Un team internazionale di ricercatori, guidato da Massimo Meneghetti dell’Istituto nazionale di astrofisica, ritiene che nelle attuali “ricette” che descrivono la materia oscura potrebbe mancare qualche ingrediente: nello studio pubblicato nell’ultimo numero di Science gli scienziati hanno scoperto un’inaspettata e notevole discrepanza tra le osservazioni e i modelli teorici che predicono come la materia oscura dovrebbe essere distribuita negli ammassi di galassie. I risultati dell’indagine mostrano che le concentrazioni di materia su piccole scale sono così grandi che gli effetti di lente gravitazionale che producono sono dieci volte più intensi del previsto. Il lavoro si basa su osservazioni di alcuni enormi ammassi di galassie effettuate dal telescopio spaziale Hubble della Nasa e dal Very large telescope (Vlt) dell’Eso, in Cile.

La materia oscura è il collante invisibile che tiene unite le stelle all’interno di una galassia e ne rappresenta la frazione dominante della sua massa. Su scala molto più vasta, è l’impalcatura invisibile del nostro universo che lega le galassie tra loro in lunghe strutture filamentose. La materia oscura non emette, assorbe o riflette la luce: sembra essere totalmente inerte. La presenza della materia oscura è nota solo attraverso l’attrazione gravitazionale che essa esercita sulla materia visibile, oltre che, come detto, sulla luce. L’ipotesi comunemente accettata sulla base di varie evidenze osservative dell’universo su grande scala è che la materia oscura sia costituita da particelle massive, non-collisionali e “fredde”.

Gli ammassi di galassie, le strutture più massicce presenti nell’universo, sono anche i più grandi serbatoi di materia oscura. Gli ammassi sono composti da singole galassie che sono tenute insieme dalla potente attrazione gravitazionale esercitata dalla materia oscura. Ma anche singole galassie negli ammassi contengono a loro volta grandi quantità di materia oscura. La materia oscura negli ammassi è quindi distribuita su varie scale spaziali.

«Gli ammassi di galassie sono laboratori ideali per studiare la materia oscura e la sua interazione con la materia luminosa», dice Meneghetti, ricercatore all’Inaf di Bologna, primo autore dell’articolo pubblicato su Science. «Abbiamo condotto numerosi e accurati test per confrontare i dati osservativi con simulazioni numeriche che descrivono come la materia dovrebbe essere distribuita negli ammassi di galassie in base al modello di materia oscura fredda. Abbiamo trovato una notevole discrepanza sulla scala delle galassie d’ammasso, che indica che c’è qualche caratteristica dell’Universo reale che non stiamo riproducendo col nostro attuale modello teorico. Potrebbe mancare qualche elemento fisico chiave nelle simulazioni che abbiamo utilizzato o potremmo non aver compreso la vera natura della materia oscura».

La distribuzione dettagliata della materia oscura negli ammassi di galassie viene tracciata grazie agli effetti di lente gravitazionale che essi producono, amplificando e deflettendo la luce proveniente da oggetti celesti situati dietro di essi rispetto alla nostra linea di vista. Più è elevata la concentrazione di materia oscura in un ammasso, maggiore è la distorsione delle immagini delle galassie di sfondo. La presenza di agglomerati di materia oscura su scala ridotta associati alle singole galassie che compongono gli ammassi aumenta il livello di distorsione. In un certo senso, l’ammasso di galassie agisce come una lente su larga scala che ha molte lenti più piccole incorporate al suo interno.

L'immagine di apertura con le indicazioni di nomi e distanze.

Le osservazioni di Hubble hanno permesso di individuare decine di galassie lontane che subiscono gli effetti di lensing da parte della materia distribuita su più grande scala negli ammassi in esame. Con grande sorpresa del team, diverse di queste sorgenti sono fortemente deformate o sdoppiate in immagini multiple anche intorno a singole galassie d’ammasso. I ricercatori ritengono che questi effetti di lensing su piccola scala siano dovuti alla presenza di forti concentrazioni di matteria oscura associate a queste galassie.

Per confermare questa ipotesi, il team del quale fanno parte, tra gli altri, anche ricercatori Inaf di Bologna, Napoli e Trieste, ha utilizzato una nuova tecnica per ottenere la mappatura della distribuzione di materia negli ammassi. I ricercatori hanno usato lo spettrografo Muse del Vlt per misurare la velocità con la quale le stelle si muovono in alcune delle galassie d’ammasso e l’hanno utilizzata per misurare la loro massa. Hanno quindi combinato queste misure con gli effetti di lensing osservati nelle immagini di Hst. «Grazie alle nostre indagini spettroscopiche, siamo riusciti a identificare la presenza di centinaia di galassie negli ammassi e delle sorgenti distanti che subiscono l’effetto di lensing» dice Piero Rosati, dell’Università di Ferrara. «La misura delle velocità stellari ci ha permesso di ricavare una stima della massa di diverse galassie, compreso il contributo della materia oscura» aggiunge Pietro Bergamini, dell’Inaf di Bologna.

Le ricostruzioni così ottenute mostrano la presenza di aloni diffusi di materia oscura, simili a massicci montuosi, con sovrapposti aguzzi pinnacoli, che rappresentano la materia concentrata nelle galassie. La qualità dei dati dello studio ha permesso al team di verificare se questi paesaggi nell’universo osservato corrispondono a ciò che la teoria prevede nel caso di ammassi simili per dimensioni e distanze. Per questo confronto sono state utilizzate avanzate simulazioni cosmologiche ad alta risoluzione. Gli ammassi in queste simulazioni non mostrano lo stesso livello di concentrazione di materia sulle scale più piccole e non sono in grado di spiegare il numero di effetti di lensing scoperti intorno alle galassie osservate.

«Questo lavoro costituisce un salto nella conoscenza della formazione delle strutture nell’Universo e presenta una sfida ai modelli cosmologici» conclude Elena Rasia, dell’Inaf di Trieste. «Uno dei grandi problemi che recentemente affliggeva la cosmologia numerica era la mancata riproduzione del numero delle galassie satelliti attorno alla nostra galassia, poiché risultavano più numerose nelle simulazioni rispetto alle osservazioni. Risolta quella complicazione con l’aggiunta di una sofisticata descrizione della fisica barionica, stiamo ora scoprendo un’inconsistenza opposta nelle regioni centrali degli ammassi. L’enigma che ora dobbiamo affrontare è come riconciliare due andamenti contrastanti attorno alla nostra galassia e al centro degli ammassi di galassie».

Per saperne di più:

Guarda su MediaInaf Tv l’intervista a Massimo Meneghetti :


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La meteorite di capodanno si chiamerà «Cavezzo»

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Nell'immagine vediamo una sezione sottile di un frammento della meteorite Cavezzo, illuminata con luce polarizzata. In questo modo si evidenziano in colori dovuti a diverse zone con proprietà riflettenti diverse, come ad esempio le condrule. Si tratta di piccole inclusioni di forma sferica, goccioline fuse o parzialmente fuse nello spazio prima di essere inglobate nell'asteroide di origine, che danno il nome alla tipologia di meteoriti dette, appunto, condriti. Crediti: Vanni Moggi Cecchi
Nell'immagine vediamo una sezione sottile di un frammento della meteorite Cavezzo, illuminata con luce polarizzata. In questo modo si evidenziano i vari colori dovuti a zone con diverse proprietà riflettenti, come ad esempio le condrule. Queste sono piccole inclusioni di forma sferica, goccioline fuse o parzialmente fuse nello spazio prima di essere inglobate nell'asteroide di origine, che danno il nome alla tipologia di meteoriti dette, appunto, condriti. Crediti: Vanni Moggi Cecchi

Il 5 settembre scorso la Commissione per la Nomenclatura della Meteoritical Society ha ufficializzato nome e tipologia della meteorite ritrovata il giorno di Capodanno 2020 grazie ai calcoli della rete PRISMA (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e dell’Atmosfera), una collaborazione promossa e coordinata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Il più grande dei due frammenti ritrovati a inizio anno. Crediti INAF/Prisma

Il nome: “CAVEZZO” fa riferimento al luogo dove sono stati ritrovati i frammenti, in provincia di Modena.

La classificazione: si tratta di una Condrite L5, cioè con basso contenuto di ferro, che presenta però delle caratteristiche peculiari tali da essere considerata anomala. È finora unica nel suo genere tra le oltre 64.000 meteoriti catalogate.

«La particolarità di questa meteorite è dovuta a vari fattori tra cui la forte dicotomia fra la composizione dei silicati e la esigua quantità di metallo nonché la rilevante presenza di clinopirosseni. Ma la caratteristica più sorprendente è la marcata differenza minero-petrografica che si riscontra nei due frammenti rinvenuti» sottolinea Giovanni Pratesi, geologo dell’Università di Firenze, responsabile delle analisi di laboratorio effettuate sui campioni di “Cavezzo”.

In Italia, si ha notizia di una quarantina di ritrovamenti di meteoriti negli ultimi secoli, tutti casuali eccetto la meteorite “Cavezzo”, caduta il giorno di Capodanno del 2020 e ritrovata qualche giorno dopo proprio sulla base delle indicazioni fornite da PRISMA.

«Cavezzo è la prima meteorite italiana tra le appena venti al mondo recuperate grazie a precisi calcoli effettuati da un sistema di sorveglianza dedicato. Questo già di per sé rende il ritrovamento un evento di eccezionale importanza scientifica» dice Daniele Gardiol, dell’INAF di Torino e Coordinatore nazionale della rete PRISMA. «Sapere che si tratta inoltre di una meteorite molto rara ci riempie ancora di più di orgoglio e soddisfazione».

Sul numero di febbraio di Coelum Astronomia, l'articolo di Daniele Gardiol dedicato all'avvistamento del bolide e al ritrovamento della meteorite Cavezzo. Come sempre in formato digitale e gratuito: clicca sull'immagine e leggi!

Si tratta infatti del primo esempio italiano (e uno dei pochissimi a livello internazionale) nel quale si è potuto prevedere la zona di caduta del corpo celeste e il ritrovamento dopo breve tempo rendendo possibile l’esame scientifico di una “meteorite fresca”, cioè caduta da poche ore e quindi pressoché incontaminata dall’ambiente terrestre.

I calcoli per il ritrovamento della meteorite e i risultati delle analisi di laboratorio sono oggetto di due articoli in corso di pubblicazione su riviste scientifiche specializzate di rilevanza internazionale.

Il progetto PRISMA è basato su una rete di videocamere all-sky, installate in diverse località del territorio italiano, da dedicare all’osservazione di meteore brillanti – i cosiddetti “bolidi” – con il fine di determinare le orbite degli oggetti che le provocano e delimitare con un buon grado di approssimazione le aree dell’eventuale caduta di meteoriti, che può essere associata a questi eventi.

La cosiddetta “prima luce”, cioè il debutto operativo del progetto, è avvenuto all’inizio del mese di marzo 2017. Attualmente sono installate e in funzione oltre quaranta videocamere su tutto il territorio nazionale, acquistate da diversi enti (tra cui alcune grazie al sostegno della Fondazione CRT che supporta il progetto nel suo complesso), tutte con le stesse caratteristiche in modo da rendere scientificamente confrontabili i dati da esse acquisiti.

Fanno parte della rete oltre 60 enti e associazioni pubbliche e private di varia tipologia (osservatori astronomici professionali e amatoriali, dipartimenti universitari, istituti scolastici, associazioni culturali). L’obiettivo finale del progetto è quello di creare una rete di stazioni osservative, con maglie che non superino i 100 km di ampiezza, che si estenda su tutta l’Italia e che coinvolga soggetti pubblici e privati impegnati nella ricerca scientifica, nella divulgazione della scienza, nell’insegnamento. La rete, seppure ancora in fase di ulteriore sviluppo, già si interconnette con un analogo programma internazionale già in funzione in alcuni paesi europei, tra cui Francia, Germania e Olanda.

Gli studi, in corso presso l’Università di Firenze e il Laboratorio del Monte dei Cappuccini di Torino, condurranno in breve tempo alla pubblicazione di altri lavori scientifici oltre a quelli già inviati a riviste scientifiche internazionali.

La pagina della Meteoritical Society dedicata alla meteorite Cavezzo


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Il primo “Starlight Stellar Park” italiano

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Il cielo di Saint-Barthélemy. Crediti OAVdA
Il cielo di Saint-Barthélemy. Crediti OAVdA

Il vallone di Saint-Barthélemy, in Valle d’Aosta, è tra i migliori luoghi al mondo per vedere le stelle. Lignan, frazione montana del Comune di Nus, ha infatti ottenuto la certificazione Starlight Stellar Park, rilasciata dalla Fundación Starlight. È la prima località in Italia a ricevere il prestigioso riconoscimento, grazie all’impegno dell’amministrazione comunale di Nus e dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, rispettivamente Capofila e Soggetto attuatore del Progetto “EXO/ECO – Esopianeti – Ecosostenibilità – Il cielo e le stelle delle Alpi, patrimonio immateriale dell’Europa”, finanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia-Francia Alcotra 2014/20.

Come suggerisce il nome Starlight Stellar Park, si tratta di una qualifica analoga a quella di un parco naturale, che però riguarda la parte superiore del nostro orizzonte, la volta celeste. Grazie al Progetto “EXO/ECO” sono stati promossi interventi che, pur illuminando la frazione, mantengono buio il cielo di Lignan e permettono di godere di una meravigliosa visione a occhio nudo e al telescopio. Il marchio di qualità è riconosciuto dall’UNESCO, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura nota per individuare i siti patrimonio dell’umanità, nell’ambito dell’azione internazionale Starlight Initiative per la difesa del cielo notturno. Inoltre è riconosciuto dall’organizzazione mondiale del turismo UNWTO e dall’IAU, l’associazione che raccoglie circa 14.000 astronomi professionisti da 107 nazioni diverse.

La certificazione sarà simbolicamente consegnata alla comunità sabato 19 settembre 2020, in occasione della presentazione al pubblico del Planetario di Lignan, completamente rinnovato nel sistema di proiezione digitale a tutta cupola, grazie ancora al Progetto “EXO/ECO”. Jean Marc Christille, direttore della Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS, che gestisce l’Osservatorio Astronomico e il Planetario, la riceverà da Nicolò D’Amico, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il principale ente di ricerca del nostro Paese per lo studio dell’universo, e da Fabio Falchi, presidente di CieloBuio, associazione no-profit per la protezione dell’ambiente notturno, tra i maggiori esperti di inquinamento luminoso in campo internazionale.

Crediti: OAVdA

«Siamo orgogliosi che Lignan sia il primo Starlight Stellar Park in Italia», dichiara Christille. «È stato un percorso lungo e complesso, i cui passi iniziali risalgono addirittura al 2009, quando l’allora direttore, il prof. Enzo Bertolini, venne a conoscenza della Starlight Initiative. Anni dopo siamo riusciti a portarlo a compimento grazie al Progetto europeo “EXO/ECO”, che si conclude a fine settembre dopo oltre tre anni di lavoro e nonostante le recenti difficoltà dovute all’emergenza sanitaria».

«Avere accesso a un cielo ricco di stelle è importante per chi studia il cosmo, come fanno i ricercatori dell’INAF e di tutte le nazioni, e per ognuno di noi, perché cambia la prospettiva e gli orizzonti culturali con cui guardiamo il mondo», commenta D’Amico. «INAF è coinvolto nell’ottenimento di un analogo riconoscimento, Dark Sky Park, per l’altopiano di Asiago, dove si trova l’Osservatorio Astronomico di Padova. Sapremo avvalerci dell’esperienza valdostana, che ha già raggiunto il prezioso obiettivo».

«L’inquinamento luminoso, oltre a provocare un danno culturale incalcolabile impedendo la vista del cielo stellato che da sempre ha ispirato l’umanità, ha conseguenze negative, spesso letali, sulla fauna», aggiunge Falchi, che è anche ricercatore all’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso di Thiene. «Non dimentichiamo poi lo spreco energetico: servono 10 alberi per assorbire la CO2 prodotta per far funzionare un singolo lampione e in Italia ne abbiamo oltre 10 milioni! Assieme alla Corea del sud, siamo il paese del G20 con il maggiore inquinamento luminoso».

L'Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, in estate.

“EXO/ECO” è coordinato in qualità di Capofila dal Comune di Nus, in partenariato con la Communauté de communes Haute-Provence Pays de Banon. «Il Progetto “EXO/ECO” ha permesso di potenziare i due poli astronomici di Saint-Michel-l’Observatoire, in Haute-Provence, e di Saint-Barthélemy», spiega Paolo Calcidese, ricercatore e responsabile delle attività di didattica e divulgazione dell’istituto valdostano. «L’obiettivo è attrarre sul territorio il turismo culturale, dagli appassionati di astronomia ai semplici curiosi. Abbiamo stabilito sinergie con le realtà locali che si occupano di accoglienza e ringraziamo l’intera comunità per il sostegno ricevuto».

A Lignan, “EXO/ECO” ha consentito l’allestimento di laboratori per attività didattiche innovative indirizzate alle scolaresche in visita all’Osservatorio Astronomico, i cui contenuti sono stati elaborati grazie allo scambio di esperienze e buone pratiche con i colleghi francesi del Centre d’Astronomie a Saint-Michel-l’Observatoire. Sono stati inoltre portati a termine il rinnovamento del Planetario di Lignan dal punto di vista della classificazione energetica e del sistema di proiezione digitale, la riqualificazione dell’ampio spazio verde dell’Area Leyssé, infine la ristrutturazione dell’impianto di illuminazione pubblica, finalizzata all’ottenimento della certificazione Starlight Stellar Park.

I nuovi lampioni installati a Lignan e nelle frazioni vicine sono dotati di corpi illuminanti a stato solido che permettono un notevole risparmio energetico e contribuiscono all’ulteriore miglioramento del grado di oscurità del cielo, impedendo la dispersione della luce verso l’alto. Grazie a queste soluzioni, la località valdostana ha superato la dura selezione degli astronomi della Fundación Starlight dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, grandi esperti di qualità del cielo.

Conclude il direttore Christille: «Il nostro centro si sostiene grazie alla ricerca scientifica di base che svolgiamo in collaborazione con vari enti, a cominciare dall’INAF. La ricerca costituisce anche un volano fondamentale per lo sviluppo economico del territorio, perché genera le conoscenze originali capaci di attrarre migliaia di persone all’anno per visitare l’Osservatorio Astronomico e il Planetario. Essere il primo Starlight Stellar Park in Italia rappresenta un investimento per il presente e un impegno per il futuro: la certificazione andrà mantenuta nel tempo, con la collaborazione di residenti e turisti per il rispetto dell’ambiente unico di Saint-Barthélemy».

Dove siamo: Google Maps is.gd/OAVdA_Maps * Open Street Map is.gd/OAVdA_OSM


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

11.09, ore 20:15 e 21:30: 26 aprile 1920, il grande dibattito pubblico sulla Scala dell’Universo
18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Un disco planetario per tre stelle

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Le nuove osservazioni hanno rivelato che questo oggetto ha un disco di formazione planetaria deformato, con un anello disallineato. In particolare, l'immagine di SPHERE (pannello di destra) ha permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello proietta sul resto del disco. Questo li ha aiutati a capire la forma tridimensionale dell'anello e del disco in generale. Il pannello di sinistra mostra una rappresentazione artistica della regione interna del disco, compreso l'anello, basata sulla forma tridimensionale ricostruita dall'equipe. Crediti: ESO/L. Calçada, Exeter/Kraus et al.
Le nuove osservazioni hanno rivelato che questo oggetto ha un disco di formazione planetaria deformato, con un anello disallineato. In particolare, l'immagine di SPHERE (pannello di destra) ha permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello proietta sul resto del disco. Questo li ha aiutati a capire la forma tridimensionale dell'anello e del disco in generale. Il pannello di sinistra mostra una rappresentazione artistica della regione interna del disco, compreso l'anello, basata sulla forma tridimensionale ricostruita dall'equipe. Crediti: ESO/L. Calçada, Exeter/Kraus et al.

Un’equipe di astronomi ha identificato la prima prova diretta che gruppi di stelle possono lacerare il disco di formazione planetaria, lasciandolo deformato e con anelli inclinati. Questa nuova ricerca suggerisce che all’interno di anelli inclinati in dischi ripiegati intorno a stelle multiple possano formarsi pianeti esotici, non diversi da Tatooine di Star Wars. I risultati sono stati resi possibili grazie alle osservazioni effettuate con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (European Southern Observatory) e con ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array).

Il nostro Sistema Solare è sorprendentemente piatto, con i pianeti che orbitano tutti sullo stesso piano. Ma questo non succede sempre, soprattutto per i dischi planetari che circondano stelle multiple, come l’oggetto del nuovo studio: GW Orionis. Questo sistema, situato a poco più di 1300 anni luce di distanza da noi nella costellazione di Orione, ha tre stelle e un disco deformato e spezzato che le circonda.

«Le nostre immagini rivelano un caso estremo in cui il disco non è affatto piatto, ma è deformato e ha un anello disallineato che si è staccato dal disco», afferma Stefan Kraus, professore di astrofisica presso l’Università di Exeter nel Regno Unito e a capo della ricerca i cui risultati vengono pubblicati il 3 settembre dalla rivista Science. L’anello disallineato si trova nella parte interna del disco, vicino alle tre stelle.


La nuova ricerca rivela anche che questo anello interno contiene polvere in quantità pari a 30 masse terrestri, che potrebbe essere sufficiente per formare nuovi pianeti. «Tutti i pianeti che si formeranno all’interno dell’anello disallineato percorreranno orbite molto oblique intorno alla stella e prevediamo di scoprire molti pianeti su orbite oblique e ampia separazione nelle future campagne di ricerche di pianeti per immagini, per esempio con l’ELT», dice il membro del gruppo Alexander Kreplin dell’Università di Exeter, riferendosi all’Extremely Large Telescope dell’ESO, che dovrebbe entrare in funzione prima della fine di questo decennio. Poiché più della metà delle stelle in cielo nascono con uno o più compagne, ciò solleva una prospettiva entusiasmante: potrebbe esserci una popolazione sconosciuta di esopianeti che orbitano intorno alle loro stelle su orbite molto inclinate e ampie.

Per arrivare a queste conclusioni, il gruppo ha osservato GW Orionis per oltre 11 anni. A partire dal 2008, hanno utilizzato gli strumenti AMBERGRAVITY, successivamente, installati sul VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO in Cile, che combina la luce di diversi telescopi VLT, per studiare la danza gravitazionale delle tre stelle nel sistema e mappare le loro orbite. «Abbiamo scoperto che le tre stelle non orbitano sullo stesso piano, ma le loro orbite sono disallineate l’una rispetto all’altra e rispetto al disco», conclude un altro membro del gruppo, Alison Young delle Università di Exeter e Leicester.

I ricercatori hanno osservato il sistema anche con lo strumento SPHERE sul VLT dell’ESO e con ALMA, di cui l’ESO è un partner, e sono stati in grado di visualizzare l’anello interno e confermare il suo disallineamento. SPHERE dell’ESO ha anche permesso loro di vedere, per la prima volta, l’ombra che questo anello proietta sul resto del disco, fatto che ha aiutato a capire la forma tridimensionale dell’anello e del disco in generale.

L'immagine di ALMA (a sinistra) mostra la struttura ad anelli del disco, con l'anello più interno separato dal resto del disco. Le osservazioni con SPHERE (a destra) hanno permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello interno proietta sul resto del disco. In questo modo è stato possibile ricostruire la forma distorta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), ESO/Exeter/Kraus et al.
L'immagine di ALMA mostra la struttura ad anelli del disco, con l'anello più interno (parte del quale visibile come un piccolo segmento proprio al centro dell'immagine) separato dal resto del disco. Crediti: ESO/Exeter/Kraus et al., ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Il gruppo internazionale, che comprende ricercatori provenienti da Regno Unito, Belgio, Cile, Francia e Stati Uniti d’America, ha quindi combinato le proprie esaustive osservazioni con simulazioni al computer per meglio comprendere cosa fosse accaduto al sistema. Per la prima volta, sono stati in grado di collegare chiaramente i disallineamenti osservati al teorico “effetto di lacerazione del disco”, il che suggerisce che l’attrazione gravitazionale conflittuale delle stelle in piani diversi può deformare e rompere i dischi.

Le simulazioni hanno mostrato che il disallineamento nelle orbite delle tre stelle potrebbe causare la rottura del disco circostante in anelli distinti, che è esattamente ciò che si vede nelle loro osservazioni. La forma osservata dell’anello interno corrisponde anche alle previsioni di simulazioni numeriche sul modo in cui il disco si potrebbe strappare.

È interessante notare che un altro gruppo che ha studiato lo stesso sistema utilizzando ALMA ritiene che sia necessario un altro ingrediente per comprendere il sistema. «Pensiamo che la presenza di un pianeta tra questi anelli sia necessaria per spiegare perché il disco si è lacerato», spiega Jiaqing Bi dell’Università di Victoria in Canada che ha condotto uno studio di GW Orionis pubblicato da The Astrophysical Journal Letters a maggio di quest’anno. Il suo gruppo ha identificato tre anelli di polvere nelle osservazioni di ALMA; l’anello più esterno è il più grande mai osservato nei dischi di formazione planetaria.

Future osservazioni con l’ELT dell’ESO e altri telescopi potrebbero aiutare gli astronomi a svelare completamente la natura di GW Orionis e rivelare giovani pianeti in formazione intorno alle sue tre stelle.

Ulteriori Informazioni

Questa ricerca è stata presentata nell’articolo “A triple star system with a misaligned and warped circumstellar disk shaped by disk tearing” pubblicato da Science (doi: 10.1126/science.aba4633).


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Congresso nazionale UAI

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Congresso Nazionale UAI

Congresso Nazionale UAISi svolgerà sabato 12 settembre 2020 in modalità online, sulla piattaforma di web conference GoToMeeting, il 53º Congresso dell’Unione Astrofili Italiani (UAI): il più importante appuntamento degli appassionati di astronomia in Italia, dedicato all’aggiornamento, al confronto culturale, allo scambio di idee ed esperienze e alla definizione delle principali attività su cui focalizzarsi nel 2021.
Programma dettagliato del Congresso e informazioni relative alla modalità di partecipazione: https://www.uai.it/sito/congresso-uai-2020-home/

Luna e Marte, dal tramonto all’alba, con occultazione diurna!

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5 settembre, ore 22:30

Volgendo il nostro sguardo verso oriente, la sera del 5 settembre, alle ore 22:30 circa, potremo ammirare facilmente una bella congiunzione tra la Luna (fase dell’88%) e il pianeta Marte (mag. –1,9). Quest’ultimo ci apparirà, a occhio nudo, come una stella piuttosto brillante e di colore spiccatamente arancione. Sarà molto bello osservare questa congiunzione, a una altezza di circa 10° sull’orizzonte est, con i due astri che saranno separati di circa 3° 40’. Si tratta di un’ottima occasione per immortalare la coppia in fotografie di paesaggio che comprendano anche elementi naturali, alberi, montagne o colline, o architettonici.
Non finisce qui però! La coppia, con il passare delle ore si stringerà in un abbraccio davvero appassionato!

6 settembre, ore 6:00

Dopo aver “viaggiato” l’intera notte lungo la volta celeste, la Luna e Marte, già in congiunzione dalla sera precedente, ora sono strettamente abbracciati, distanti tra loro appena 51’. Sarà una delizia osservare la coppia in cielo, così appaiati, alti circa 45° sull’orizzonte di sudovest. La luminosità del nostro satellite naturale sarà abbagliante (fase dell’86%) e tenderà a prevaricare quella del Pianeta Rosso. l’osservazione binoculare dell’evento sarà sicuramente appagante.

Per la verità, proseguendo nelle osservazioni, la Luna si avvicinerà ancora di più a Marte, raggiungendo appena i 31’ alle ore 6:50, quando però il cielo sarà troppo chiaro, illuminato dalla luce del Sole sorto da poco (6:42).

L’occultazione, ore 6:50

Spingendosi ancora oltre, per chi vorrà cimentarsi in un’osservazione in diurna, segnaliamo che la Luna, se osservata dalle regioni meridionali della penisola italiana, occulterà Marte.
Nella mappa le linee bianche mostrano il percorso apparente seguito da Marte durante l’occultazione da parte della Luna. Le linee sono riferite alle diverse località riportate nella grafica. Ricordiamo che per la grafica è stato utilizzato un sistema di riferimento equatoriale.


La tabella mostra gli orari di ingresso e uscita di Marte, occultato dalla Luna, per alcune delle principali località del sud Italia. Suggeriamo di utilizzare un planetario per il calcolo degli orari precisi per la propria località di osservazione. È sempre bene anticipare di qualche minuto le osservazioni rispetto agli orari indicati.



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Virgo e LIGO svelano nuove e inattese popolazioni di buchi neri

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Infografica dell’evento (cliccare per ingrandire). Crediti: Ego/Virgo
Interpretazione artistica della fusione della coppia di buchi neri che ha dato origine a GW190521. Lo spazio-tempo, rappresentato da un tessuto su cui è stampata un'immagine del cosmo, viene distorto dal segnale GW190521. Le mini-griglie in turchese ed arancione rappresentano gli effetti di trascinamento dovuti alla rotazione di ciascun buco nero. La stima degli assi di spin (la rotazione intorno al proprio asse) dei due buchi neri è indicata dalle frecce colorate corrispondenti. Lo sfondo suggerisce un ammasso stellare, uno dei possibili ambienti in cui GW190521 può avere avuto luogo. Crediti Raúl Rubio / Virgo Valencia Group / The Virgo Collaboration.

Si trova in una regione di massa entro cui non è mai stato osservato prima un buco nero, né con onde gravitazionali né con osservazioni elettromagnetiche, e potrebbe servire a spiegare la formazione dei buchi neri supermassicci. Inoltre, il componente più pesante del sistema binario iniziale si trova in un intervallo di massa proibito dalla teoria dell’evoluzione stellare e rappresenta una sfida per la nostra comprensione degli stadi finali della vita delle stelle massicce.
Gi scienziati delle collaborazioni internazionali che sviluppano e utilizzano i rivelatori Advanced Virgo presso lo European Gravitational Observatory (EGO) in Italia e i due Advanced LIGO negli Stati Uniti hanno annunciato l’osservazione di un buco nero di circa 142 masse solari, che è il risultato finale della fusione di due buchi neri di 66 e 85 masse solari.

Infografica dell’evento (cliccare per ingrandire). Crediti: Ego/Virgo
I componenti primari e il buco nero finale si trovano tutti in un intervallo di massa mai visto prima, né con onde gravitazionali né con osservazioni elettromagnetiche. Il buco nero finale è il più massiccio rivelato finora per mezzo di onde gravitazionali.

L’evento di onda gravitazionale è stato osservato dai tre interferometri della rete globale il 21 maggio 2019. Il segnale (chiamato GW190521) è stato analizzato dagli scienziati. I due articoli scientifici che riportano la scoperta e le sue implicazioni astrofisiche sono stati pubblicati il 2 settembre su Physical Review Letters e Astrophysical Journal Letters, rispettivamente.
«Il segnale osservato il 21 maggio dello scorso anno è molto complesso e, dal momento che il sistema è così massiccio, lo abbiamo osservato per un tempo molto breve, circa 0,1 s», dice Nelson Christensen, directeur de recherche CNRS presso ARTEMIS a Nizza in Francia e membro della Collaborazione Virgo. «Non assomiglia molto a un sibilo che cresce rapidamente in frequenza, che è il tipo di segnale che osserviamo di solito: assomiglia piuttosto a uno scoppio, e corrisponde alla massa più alta mai osservata da LIGO e Virgo».

Effettivamente, l’analisi del segnale – basata su una potente combinazione di modernissimi modelli fisici e di metodi di calcolo – ha rivelato una gran quantità di informazione su diversi stadi di questa fusione davvero unica.
Questa scoperta è senza precedenti non solo perché stabilisce il record di massa tra tutte le osservazioni fatte finora da Virgo e LIGO ma anche perché possiede altre caratteristiche speciali. Un aspetto cruciale, che ha attratto in particolare l’attenzione degli astrofisici, è che il residuo finale appartiene alla classe dei cosiddetti “buchi neri di massa intermedia” (da cento a centomila masse solari). L’interesse verso questa popolazione di buchi neri è collegato a uno degli enigmi più affascinanti e intriganti per astrofisici e cosmologi: l’origine dei buchi neri supermassicci. Questi mostri giganteschi, milioni di volte più pesanti del Sole e spesso al centro delle galassie, potrebbero essere il risultato della fusione di buchi neri di massa intermedia.
Fino ad oggi, pochissimi esempi di questa categoria sono stati identificati unicamente per mezzo di osservazioni elettromagnetiche, e il residuo finale di GW190521 è la prima osservazione di questo genere per mezzo di onde gravitazionali. Ed è di interesse ancora maggiore, visto che si trova nella regione tra 100 e 1000 masse solari, che ha rappresentato per molti anni una specie di “deserto dei buchi neri”, a causa della scarsità di osservazioni in questo intervallo di massa.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:


Meraviglie del cielo!

La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
Tutto il cielo da rivedere, osservare e scoprire!

Coelum Astronomia di Settembre 2020
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Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci – Milano

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Il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci continua ad arricchire la sua offerta di visite digitali, pubblicando ogni mercoledì una nuova puntata della serie La scoperta del Cielo, il podcast, suddiviso in 16 puntate, dedicato alla scoperta dei segreti dello Spazio. Guidati dal curatore del Museo Luca Reduzzi, tutti gli appassionati potranno ascoltare alcune delle più belle storie di Astronomia e Spazio partendo dalle esposizioni del Museo per arrivare nelle profondità dell’Universo, passando da globi e telescopi, lanciatori e satelliti, dalle missioni Apollo sulla Luna e addirittura dai marziani. Le puntate podcast sono disponibili al seguente link https://www.museoscienza.org/it/ podcast/la-scoperta-del-cielo e sulle più comuni piattaforme digitali. Le pubblicazioni proseguiranno con cadenza regolare ogni mercoledì.
Fino al 6 settembre, sarà inoltre possibile accedere al Museo per visitare la sezione Spazio e Astronomia, che presenta affascinanti oggetti originali e inediti, esperienze interattive, approfondimenti e curiosità.
Il Museo è aperto con i seguenti orari: Giovedì: dalle ore 15 alle 21, Sabato e domenica: dalle ore 10 alle 19
Per prenotare il tuo ingresso, acquista on line il biglietto selezionando data e orario. Se sei in possesso di una membership card o sei titolare di un abbonamento contattaci al 02/48 555 330 (lunedì – venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00) o a accoglienza@museoscienza.it
Per evitare assembramenti, è importante presentarsi puntuali. L’ultima visita è possibile un’ora prima della chiusura del Museo e non è previsto un tempo massimo di permanenza.
www.museoscienza.org/it

GAL Hassin 2020

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GAL-Hassin_2020

GAL-Hassin_2020
LA PARTECIPAZIONE E’ SU INVITO PER MOTIVI DI EMERGENZA SANITARIA. CHI E’ INTERESSATO, PUO’ PARTECIPARE ALLA CONFERENZA PUBBLICA DEL PREMIO NOBEL MICHEL MAYOR CHE SI TIENE IL 7 SETTEMBRE A CASTELBUONO.

VENERDI’ 4 SETTEMBRE

ore 17:30
I due GRT: gemelli diversi alla ricerca di asteroidi, comete, pianeti extrasolari
Carmelo Falco, Alessandro Nastasi, Luciana Ziino, Dario Cricchio

Il grande campo del Mufara Telescope (WMT) per la scoperta e lo studio di asteroidi e comete come battistrada del Fly Eye NEOSTEL
Mario Di Martino, Roberto Battiston, Lorenzo Cibin, Roberto Ragazzoni, Giovanni ValsecchI

SABATO 5 SETTEMBRE

ore 10:00
Incontro con il Premio Nobel Michel Mayor: l’epoca straordinaria dei pianeti extrasolari
Michel Mayor, Roberto Battiston, Nicolò D’Amico, Giuseppina Micela, Isabella Pagano

ore 17:00
Plurality of worlds in the Cosmos: A dream of antiquity, a Modern reality of Astrophysics
Michel Mayor, Premio Nobel per la Fisica 2019
Interventi di Giuseppe Mogavero – Giovanni Valsecchi – Sabrina Masiero

Interventi al pianoforte di Alessandra Macellaro La Franca

Nel corso dell’evento verrà consegnato il PREMIO GAL HASSIN 2020

Roberto Battiston, già Presidente Agenzia Spaziale Italiana. Università di Trento
Lorenzo Cibin, Flyeye Project Manager, OHB Italia
Dario Cricchio, Fisico Fondazione GAL Hassin
Nicolò D’Amico, Presidente Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
Mario Di Martino, Astrofisico INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino
Carmelo Falco, Fisico
Sabrina Masiero, Astrofisica Fondazione GAL Hassin
Giuseppina Micela, Astrofisica INAF – Osservatorio Astronomico di Palermo
Giuseppe Mogavero, Presidente Fondazione GAL Hassin
Alessandro Nastasi, Astrofisico Fondazione GAL Hassin
Isabella Pagano, Direttore INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania
Roberto Ragazzoni, Direttore INAF – Osservatorio Astronomico di Padova
Andrea Santangelo, Astrofisico, Istituto di Astronomia e Astrofisica Università di Tübingen
Giovanni Valsecchi, Astrofisico, Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali IAPS – INAF, Roma
Luciana Ziino, Astrofisica Fondazione GAL Hassin.

Il Cielo di Settembre 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Set > 23:00; 15 Set > 22:00; 30 Set > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Le brillanti stelle Altair, (mag. +0,75), Deneb (mag. +1,25) e Vega (mag. 0) le lucide rispettivamente delle costellazioni di Aquila, Cigno e Lira, splendono luminose lungo l’argentea scia della Via Lattea estiva, anche se ormai le costellazioni di maggiore declinazione, tipiche della stagione più calda, cominceranno a cedere il passo a quelle che prenderanno la scena nel periodo autunnale, Andromeda e Pegaso per primi.

➜ continua sul Cielo di Settembre 2020

e approfondisci con il Cielo di settembre con la UAI: gli antichi soli rossi di Pegaso

COSA OFFRE IL CIELO

Marte si avvicina sempre più, e sempre lentamente, alla sua opposizione di ottobre, sorgendo già in prima serata  e restando visibile per tutta la notte, facendo compagnia, anche se in un altro settore di cielo, ai due giganti gassosi Giove e Saturno. Pur allontanandosi dai giorni della loro opposizione, sono infatti ancora ottimamente visibili nella prima parte della notte.

Venere resta ancora il protagonista del mattino, anche se sta velocemente abbandonando la sua posizione per avvicinarsi al Sole (e ce ne accorgeremo in ottobre).

Mercurio dovremo invece attenderlo al tramonto, ma con sempre minor difficoltà nel corso del mese, mentre si avvicina alla sua massima elongazione del primo ottobre.

Per i pianeti più lontani, Urano e Nettuno, ricordiamo che per osservarli è necessario uno strumento, ma saranno a nostra disposizione tutta la notte, con Nettuno che raggiunge la sua opposizione con il Sole (poco utile per noi osservatori, ma tant’è!).

Niente pianeti nani per questo mese, mentre tante opposizioni asteoroidali i cui dettagli trovate come sempre su

➜  il Cielo di Settembre all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito).


La Luna occulta Marte

Non per tutti, purtroppo, ma la mattina del 6 settembre, per chi abita nelle regioni meridionali della penisola italiana, sarà possibile osservare una bella occultazione di Marte (mag –1,9) da parte della Luna (fase dell’86%). Per il resto d’Italia sarà comunque una bella congiunzione, da seguire fin dalla sera prima, non perdete dunque nei prossimi giorni l’articolo dedicato, che potete come sempre leggere gratuitamente in anticipo nella rivista:

Una notte intera con Luna e Marte e gran finale con occultazione

Per quanto riguardainvece l’altro aspetto della Luna, con la sua luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 14 al 16 settembre e, dopo il Novilunio, la sera dal 18 al 20 settembre. Segnaliamo che la sera del 18 settembre sarà accompagnata da Mercurio, mentre trovate come sempre le principali formazioni da osservare nella sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con La Luna di Settembre.

E ancora su Coelum astronomia 247

Neowise, la Grande Cometa del 2020 lo speciale dedicato alla protagonista dell’estate, dai racconti alle immagini, fino alle indicazioni per un ultimo saluto.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS con una serie di transiti serali a metà mese da non perdere!

➜ Supernovae: una supernova in M 85

e il Calendario di tutti gli eventi di settembre 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata allla “Nebulosa farfalla in technicolor”.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!


Tutti i consigli per l’osservazione del Cielo di Settembre su Coelum Astronomia 247

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Astronomiamo

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Loc-CoelumSettembre2020

Loc-CoelumSettembre2020Corsi di Astronomia per i soci per la stagione 2020/2021

Guida alla conoscenza del cielo, Guida alla ripresa fotografica del cielo, Quattro corsi tenuti da professionisti dell’Astronomia:

Galassie e AGN: Ivan Del Vecchio

Analisi del Segnale per la detection di onde gravitazionali: Pia Astone

Atmosfere Planetarie: Arianna Piccialli

Espansione dell’Universo: Enrico Trincherini

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it

Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Accademia delle StelleCorsi online! Riprendono a settembre, dal vivo e su piattaforma telematica

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

04.09, ore 20:15 e 21:30: Guarda allo Spazio, pensa alla Terra
11.09, ore 20:15 e 21:30: 26 aprile 1920, il grande dibattito pubblico sulla Scala dell’Universo
18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

ESOF 2020

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ESOF e

ESOF e

ESOF2020 si svolgerà dal 2 al 6 settembre con diverse sessioni davvero interessanti, con ovviamente una grande attenzione al tema COVID.
Oltre al Forum, una conferenza interdisciplinare paneuropea che, con cadenza biennale, riunisce circa 5000 tra ricercatori, educatori, imprenditori, amministratori pubblici, attivisti e giornalisti provenienti da tutto il mondo, si svolge un festival sul territorio denominato Science and City Festival che accompagna ESOF prima, durante e dopo la manifestazione (iniziato a luglio e in programma fino ad autunno inoltrato). All’interno del Festival più di 150 eventi tra mostre, laboratori, concerti, science show e spettacoli teatrali, dedicati a persone di tutte le età curiose di scienza e tecnologia. Gli eventi, sia online che in presenza richiedono la registrazione.

In particolare, segnaliamo all’interno del Forum un panel organizzato dalla SISSA dal titolo Into the Era of Gravitational Wave Astrophysics: L’Institute for Fundamental Physics of the Universe di Trieste, insieme ai quattro partner fondatori SISSA, INAF, ICTP e INFN, propone un incontro per discutere le scoperte e le sfide di questa ricerca scientifica, con figure di spicco di questo emozionante panorama sperimentale. Sarà presente Marica Branchesi, inserita prima da Nature nella top ten dei personaggi scientifici mondiale del 2017 e poi tra le 100 persone più influenti al mondo da Time nel 2019.

Nei siti di riferimento i rispettivi programmi:
www.esof.eu
scienceinthecity2020.eu

Nella spirale della Neowise

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La rotazione di Neowise mostrata attraverso una sequenza ripetuta di otto immagini ottenute dal telescopio Gemini North. Le immagini risalgono al primo agosto 2020 e sono state acquisite con lo spettrografo multioggetto Gemini in un periodo di 1,5 ore. Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard
La rotazione di Neowise mostrata attraverso una sequenza ripetuta di otto immagini ottenute dal telescopio Gemini North. Le immagini risalgono al primo agosto 2020 e sono state acquisite con lo spettrografo multioggetto Gemini in un periodo di 1,5 ore. Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard

Nei nuclei delle comete l’attività di sublimazione degli elementi volatili – per lo più ghiaccio d’acqua – è all’origine della formazione della chioma e delle code che questi corpi celesti mostrano. L’attività cometaria però non avviene in modo uniforme: nel nucleo ci sono zone dove il processo di sublimazione è più intenso. Un esempio classico è quello della cometa di Halley: nel 1986 la sonda dell’Esa Giotto ha mostrato l’esistenza di zone ad alta attività sul nucleo, caratterizzate dall’emissione di imponenti getti di gas e polveri diretti verso il Sole. A causa della rotazione del nucleo i getti diventano inattivi – o riducono fortemente la propria attività – una volta che si vengono a trovare nell’emisfero notturno e riprendono a pieno regime quando ritornano nell’emisfero diurno. Anche la cometa Neowise (C/2020 F3), recentemente passata al perielio e rimasta visibile a occhio nudo per tutto il mese di luglio non sfugge a questa “regola”. Sappiamo che il nucleo di questa cometa ha un diametro di circa 5 km, ma per rilevare l’eventuale esistenza di zone ad alta attività sul nucleo – che resta invisibile anche ai più grandi telescopi – sono necessarie sequenze prolungate di immagini in alta risoluzione in grado di mettere in evidenza i getti di gas e polveri prima che si disperdano a formare la chioma della cometa.

L’impresa è riuscita – fra gli altri – a due astronomi polacchi, Michal DrahusPiotr Guzik dell’Università Jagellonica di Cracovia, che per le loro osservazioni hanno avuto accesso al telescopio Gemini North (del diametro di 8 metri), sito sul Maunakea, nelle Hawaii. Insieme ai colleghi del loro team, i due astronomi hanno ripreso immagini del nucleo della Neowise dal 28 luglio al 10 agosto. La sequenza di immagini della figura qui sotto mostra i getti di gas che, muovendosi secondo una traiettoria a spirale, stanno lasciando il nucleo. L’evoluzione temporale dei getti – di cui si può vedere una animazione nel video qui sopra – ha permesso di stimare il periodo di rotazione del nucleo, pari a 7,58 ore con un’incertezza di più o meno 2 minuti. Questo valore è coerente con quanto stimato in precedenza da altri osservatori. Il risultato sul periodo di rotazione del nucleo è stato comunicato alla comunità con l‘ATel #13945, cui seguirà l’articolo scientifico vero e proprio. Si tratta di un risultato molto interessante perché sono pochi i nuclei cometari di cui si conosce il periodo, ottenuto senza poter vedere direttamente il nucleo. Cerchiamo di capire come si forma la struttura a spirale che caratterizza la parte interna della chioma della Neowise.

Immagini della cometa Neowise ottenute con il telescopio Gemini North, che si trova sul Maunakea (Hawaii), nella notte del 1 agosto 2020. Questa sequenza è stata ottenuta utilizzando il Gemini Multi-Object Spectrograph con un filtro a 468 nm e migliorata digitalmente utilizzando un algoritmo dedicato. Il campo di vista è di 2 minuti d’arco (cliccare per ingrandire). Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard

In generale, la maggior parte del materiale di un getto di gas e polveri si espande radialmente dalla superficie del nucleo e l’aspetto di queste strutture nella chioma dipende fortemente sia dalla geometria di vista dell’osservatore sia dallo stato di rotazione del nucleo. La sorgente di un getto che si trova a una data latitudine spazzerà un cono di rotazione, con asse coincidente con quello di rotazione del nucleo. Se la Terra si trova direttamente sull’asse di questo cono, le strutture che si osservano hanno l’aspetto di una spirale di Archimede, ossia una spirale in cui la distanza fra bracci successivi resta costante. L’effetto, per certi versi, è simile a quello che si ottiene quando si mette in funzione un irrigatore rotante da giardino.

La spirale attorno al nucleo sarà completa se la sorgente è sempre attiva, oppure consisterà di una serie di archi concentrici se la sorgente è resa inattiva dal passaggio nell’emisfero notturno. Se la Terra si trova al di fuori dell’asse del cono, allora il getto in uscita dal nucleo sembrerà oscillare avanti e indietro, oppure si potrà formare una struttura radiale a ventaglio. Delle strutture radiali nella chioma possono formarsi anche quando i getti si trovano su un nucleo in lenta rotazione su se stesso, o se la regione attiva è vicina al polo di rotazione. Come si vede, lo studio dei getti emessi dal nucleo permette di avere delle informazioni fisiche sul nucleo difficilmente ottenibili altrimenti.

Nel caso della Neowise la struttura a spirale fa pensare che l’asse di rotazione, nel periodo delle osservazioni, puntasse più o meno verso l’osservatore e che la sorgente sia sempre rimasta attiva, almeno per quanto riguarda l’emissione di gas che è la componente studiata al telescopio Gemini North. Una struttura dei getti molto simile fu mostrata anche dalla cometa Hale-Bopp, visibile nei nostri cieli nel biennio 1996-1997.

Guarda l’animazione sul canale YouTube del NoirLab:


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Fisica Fantastica e dove trovarla

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Fisica fantastica e dove trovarla

Fisica fantastica e dove trovarlaUn inedito viaggio alla scoperta della fisica fantastica: sull’account Instagram dell’INFN (@infn_insights) dal 3 al 30 agosto sveleremo i segreti della fisica che si celano dietro a 4 film fantastici. Lo faremo con un serie di storie interattive, ricche di immagini, contenuti multimediali ma soprattutto di video in cui i ricercatori dell’INFN raccontano quanto di vero o realizzabile c’è nei film di fantascienza. Parleremo di teletrasporto, viaggi alla velocità della luce, motori ad antimateria, prevedere il futuro, macchine del tempo, ma anche di tecniche per studiare il cervello e di fusione e fissione nucleare. Tutto questo a partire da due serie di film, Star Trek e Ritorno al Futuro, e due film, The Prestige e Arrival.
Per partire per questo viaggio, basta seguire giornalmente le storie dell’account Instagram INFN.
Fisica Fantastica è un progetto dell’Ufficio Comunicazione INFN, realizzato da Diego Tonini, studente del Master in Comunicazione delle Scienze dell’Università di Padova che ha svolto il tirocinio formativo all’INFN, in collaborazione con Francesca Mazzotta e Francesca Cuicchio e con la supervisione scientifica di di Marco Casolino (INFN Roma 2).
GUARDA IL TRAILERVedi il sito INFN

Gruppo Astronomia Digitale

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Tutti gli eventi si terranno alle ore 21:15
27.08: La notte della Luna. Conferenza divulgativa sulla Luna e osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso il Castello di Riomaggiore

16.09: Al di là della Luna. Osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso Località Zorza – Riomaggiore
Per maggiori informazioni consultare il sito web www.astronomiadigitale.com

Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario

Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Hubble riprende la cometa dell’estate

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Nel riquadro il primo piano della coma della cometa Neowise ripresa dal telescopio spaziale Hubble. È la prima volta che Hubble fotografa una cometa di questa luminosità e a tale risoluzione dopo il suo perielio. L'immagine di fondo è stata ripresa invece da Terra, il 16 luglio scorso, da Zoltan G. Levay, dall'emisfero nord. Credits: NASA, ESA, STScI, Q. Zhang (Caltech); immagine da terra copyright © 2020 by Zoltan G. Levay, used with permission
Nel riquadro il primo piano della coma della cometa Neowise ripresa dal telescopio spaziale Hubble. È la prima volta che Hubble fotografa una cometa di questa luminosità e a tale risoluzione dopo il suo perielio. L'immagine di fondo è stata ripresa invece da Terra, il 16 luglio scorso, da Zoltan G. Levay, dall'emisfero nord. Credits: NASA, ESA, STScI, Q. Zhang (Caltech); immagine da terra copyright © 2020 by Zoltan G. Levay, used with permission

Eccola nel riquadro, la bellissima chioma della cometa Neowise. Inutile dire che nel prossimo numero di Coelum Astronomia (in uscita tra un paio di giorni, il 26 agosto) troverete un corposo report e una selezione delle tantissime magnifiche immagini che ci avete inviato e caricato nella piattaforma PhotoCoelum. Erano davvero tante… non ce ne vogliano gli esclusi, questo mese è stata una difficile scelta (erano DAVVERO tante). Ma sono tutte lì, sulla piattaforma a disposizione di tutti!

Credits: NASA, ESA, A. Pagan (STScI), and Q. Zhang (Caltech)

Dicevamo… eccola, spogliata della lunga coda che attira l’attenzione, la coma, la chioma della cometa, l’involucro nebuloso fatto di polveri e gas che circonda il nucleo roccioso e ghiacciato di questi affascinanti oggetti.

L’immagine è la prima ripresa fatta dal telescopio spaziale a una cometa così brillante e così da vicino, dopo il suo passaggio al perielio, raggiunto il 3 luglio a una distanza di 43 milioni di chilometri dal Sole, nel pieno della sua attività. La chioma della Neowise è stata stimata essere attorno a 18 mila chilometri di ampiezza (mediamente), e i ricercatori utilizzeranno queste immagini per determinare la natura e la composizione delle polveri, anche per capire come il calore del Sole, nel suo recente passaggio (il prossimo tra 7 mila anni!), può averne cambiato le proprietà.

«Hubble ha una risoluzione di gran lunga migliore di quella che possiamo ottenere con qualsiasi altro telescopio di questa cometa», spiega il ricercatore capo Qicheng Zhang della Caltech di Pasadena, California. «Questa risoluzione è la chiave per vedere dettagli molto vicini al nucleo. Ci permette di vedere i cambiamenti nella polvere subito dopo che è stata strappata da quel nucleo a causa del calore solare, permettendoci di campionare la polvere il più vicino possibile alle proprietà originali della cometa».

Avere la possibilità di studiare una polvere di cometa così vicina alle sue proprietà originali aiuta anche gli astronomi a comprendere meglio le condizioni del Sistema Solare in cui si è formata.

Anche se in questa immagine non è possibile vederlo, il nucleo sembra aver superato l’avvicinamento al calore del Sole – che spesso invece a causa di sollecitazioni termiche e gravitazionali in incontri così ravvicinati, arrivando a spezzare o dissolvere i nuclei ghiacciati delle comete (basta pensare alle altre due promesse di quest’anno, la ATLAS e la SWAN) – e i ricercatori hanno stimato che le sue dimensioni dovrebbero essere attorno ai 4,8 chilometri di raggio.

Quelli che invece si vedono chiaramente sono due coni d’ombra, che sembrano disperdere la grande chioma. Si tratta in effetti di due getti di polvere e gas, espulsi in direzioni opposte, dovute alla sublimazione del ghiaccio in superficie che ha “liberato” delle sacche di gas, lanciandole ad alta velocità nello spazio. La rotazione del nucleo poi gli ha datto la forma a ventaglio che vediamo. Gas e polveri che poi andranno a formare la lunga coda. Nel video qui sotto la rotazione mette in evidenza queste due strutture.

La cometa, considerata la cometa visibile più luminosa dell’emisfero settentrionale dopo la Hale Bopp, del 1997, ora si sta allontanando a una velocità di 230 mila chilometri all’ora, e tornerà solo tra 7000 anni. Puntate le sveglie…



La Luna raggiunge di nuovo la coppia di giganti gassosi

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Agosto si conclude come era iniziato, con una bella congiunzione su due giorni che vede coinvolti la Luna, Giove e Saturno.

Valgono ovviamente gli stessi consigli dati per l’osservazione della congiunzione di inizio mese, anche se, inevitabilmente, variano le posizioni reciproche degli astri, così come la posizione rispetto all’orizzonte delle stelle di sfondo.

In particolare, guardando verso sud, la sera del 28 agosto alle ore 21:00, vedremo la Luna (fase dell’82%) posizionarsi a 3° 50’ a sudovest di Giove (mag. –2,6). I due astri saranno alti più di 22° sull’orizzonte.

Il giorno seguente, il 29 agosto alla medesima ora, la Luna (fase dell’88%) si sarà spostata per raggiungere e superare Saturno (mag. +0,3), ponendosi a circa 3° a sud del pianeta.

Si tratta di una classica congiunzione tra Luna e pianeti, sempre interessante da osservare. Se a inizio mese vi siete dedicati alla fotografia della prima congiunzione, riprendendo
quell’immagine potrete ora apprezzare la netta variazione di posizione dei due pianeti, ovviamente con riferimento alle stelle dello sfondo. Da notare che, in particolare, non sarà
ancora evidente l’appropinquarsi di Saturno a Giove, visto che dovremo attendere l’inversione del loro moto (in settembre) per vedere i due pianeti avvicinarsi reciprocamente, un
avvicinamento che si farà via via più marcato nei prossimi mesi e sfocerà nella “grande congiunzione” di fine anno, in dicembre.

➜ I pianeti arricchiscono la Via Lattea Giove e Saturno in opposizione ci permettono di rivisitare le nostre riprese della Via Lattea estiva, ecco gli spunti di Giorgia Hofer.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2020 su coelum.com


Meraviglie del cielo!

La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
Tutto il cielo da rivedere, osservare e scoprire!

Coelum Astronomia di Settembre 2020
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Va’ dove ti porta il rover

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Le distanze percorse dai rover extraterrestri al febbraio 2019. Quelli marziani sono indicati dalle linee rossicce. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech


I rover che negli anni si sono succeduti su Marte sono macchine straordinarie. Grazie alle cartoline a definizione sempre più elevata che ci hanno inviato – e continuano a inviarci – ogni giorno, ormai il Pianeta rosso ci sembra di conoscerlo come il nostro giardino. Ma non è così. I rover, anche i più recenti, hanno un problema: vanno molto piano, e fanno dunque pochissima strada. Risultato: di Marte, in realtà, conosciamo da vicino una porzione davvero minima.

Le distanze percorse dai rover extraterrestri al febbraio 2019. Quelli marziani sono indicati dalle linee rossicce. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

«La superficie di Marte ha un’area complessiva pari più o meno a quella delle terre emerse sul nostro pianeta», dice uno dei ricercatori che hanno sviluppato il software di Perseverance, Masahiro (Hiro) Ono, capo del Robotic Surface Mobility Group al Jet Propulsion Laboratory (Jpl), il laboratorio della Nasa che ha coordinato tutti le missioni dei rover su Marte. «Ora, immaginate di essere alieni che non sappiano quasi nulla del nostro pianeta, di atterrare in sette o otto punti della Terra e di guidare per qualche centinaio di chilometri. Vi sarete fatti a quel punto un’idea abbastanza precisa di che cosa sia la Terra? Ovviamente no. Allo stesso modo, se vogliamo rappresentare l’enorme diversità di Marte, avremo bisogno di effettuare molte più misure sulla sua superficie, e la chiave è anzitutto aumentare le distanze, arrivando a coprire auspicabilmente migliaia di chilometri».

Certo, guardando alle performance delle varie generazioni di rover della Nasa che si sono avvicendati sul Pianeta rosso (vedi immagine qui sopra), il miglioramento è evidente. Il primo, Sojourner, in 91 giorni marziani (sol) riuscì a percorrere appena 100 metri. Spirit ha coperto 7.7 km in circa cinque anni, mentre il suo gemello Opportuniy, in 15 anni, ha battuto ogni record, infrangendo il muro dei 45 km. In compenso Curiosity, atterrato nel 2012, ha già alle spalle oltre 21 km e ancora non si è fermato.

Insomma, il trend è senza dubbio positivo, ma non basta. Per un vero salto di qualità occorre un cambio di paradigma: un rover in grado di spostarsi in piena autonomia. Se vi state chiedendo se Perseverance – il rover Nasa attualmente in viaggio verso il Pianeta rosso – sarà in grado di farlo, la risposta è no. A frenarlo è anzitutto la potenza di calcolo. Per quanto allo stato dell’arte, Perseverance si affida infatti a computer di bordo Rad750, molto sicuri e collaudati ma tutt’altro che di ultima generazione.

La svolta richiederà innovazioni radicali, sia in temini di hardware che di software. Da una parte, serviranno computer come quelli al quale sta lavorando il progetto Hpsc della Nasa, con chip multi-core resistenti alle radiazioni ma anche in grado di garantire, a parità di consumi, prestazioni cento volte superiori a quelle delle attuali cpu impiegate in ambito spaziale. E dall’altra serviranno algoritmi d’intelligenza artificiale come quelli che stanno mettendo a punto, sempre alla Nasa, con il programma Maars, orientato a rendere i rover completamente autonomi.

Il team del Jpl della Nasa che sta sviluppando il codice per i futuri rover ha adattato alle missioni spaziali il software “Show and Tell” di Google – un generatore di didascalie per immagini neurale lanciato per la prima volta nel 2014. Crediti: Nasa / Jpl-Caltech

I vantaggi dovrebbero essere notevoli, anzitutto in termini di rapidità – e di conseguenza, appunto, di distanze percorse. Questo perché non ci sarà più bisogno, per ogni movimento, di trasmettere le immagini dell’ambiente al centro di controllo sulla Terra affinché gli scienziati possano valutarne le condizioni e inviare al rover i comandi: sarà il rover stesso, grazie al deep learning, a “interpretare” l’ambiente e a decidere, per esempio, quale tragitto seguire e a quale velocità.

Ma sarà molto più veloce anche l’analisi dei dati, e dunque la scienza che si potrà fare. Per spiegare in che senso, Ono e colleghi usano un’analogia con le ricerche su Google. Qui sulla Terra, quando vogliamo cercare qualcosa in rete, inviamo la nostra query ai server di Google e quelli più o meno istantaneamente rispondono (vedi la prima riga nello schema qui sopra). Per “interrogare Marte”, invece, l’istantaneità ci è preclusa. Se, per esempio, volessimo sapere “quanti sassi con diametro superiore a 20 cm ci sono nel raggio di 50 metri”, dovremmo prima chiedere al rover d’inviarci le immagini ad alta risoluzione della regione che lo circonda, e solo una volta che quella notevole mole di dati sarà stata scaricata nel server qui sulla Terra potremmo interrogare il database (seconda riga). A un rover “intelligente” – un rover in grado di catalogare i sassi in base alle loro dimensioni, per esempio, o magari in base al materiale di cui sono fatti – potremo invece inviare direttamente la nostra query (terza riga): l’elaborazione dei dati avverrebbe sul posto, con un database e con la cpu a bordo del rover stesso, consentendoci di abbattere i tempi d’interrogazione e di poter fare molte più domande. E dunque molta più scienza.

Per saperne di più:


E nel prossimo numero di Coelum Astronomia, in uscita mercoledì 26 agosto, parleremo proprio di Intelligenza Artificiale, Deep Learning e Astronomia, stay tuned!
Nel frattempo, se non l’avete già letto ↓↓↓

Un’estate ricca tutta da leggere e osservare!

Inquinamento luminoso e i Parchi delle Stelle, Astronautica e i viaggi verso Marte

Coelum Astronomia di Luglio e Agosto 2020
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Hayabusa-2 farà rientrare i suoi campioni in Australia

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Impressione artistica di Hayabusa 2 che lascia la Terra dopo aver rilasciato il suo prezioso carico, diretto verso la superficie (©JAXA).
Impressione artistica di Hayabusa 2 che lascia la Terra dopo aver rilasciato il suo prezioso carico, diretto verso la superficie (©JAXA).

Il prezioso carico con i campioni dell’asteroide Ryugu atterrerà nel sud dell’Australia il 6 dicembre 2020 (fuso orario del Giappone), nella Woomera Prohibited Area, un’importante struttura aerospaziale militare e civile.

Lo speciale permesso AROLSO (Authorization of Return of Overseas-Launched Space Object) è stato uno degli step fondamentali per la riuscita della missione.
Il presidente della JAXA, Hiroshi Yamakawa, ha affermato: «L’approvazione per eseguire le operazioni di rientro e recupero della capsula con i campioni restituiti da Hayabusa2 è una pietra miliare significativa. Vorremmo esprimere la nostra sincera gratitudine per il sostegno e la collaborazione al governo australiano e alle molteplici organizzazioni in Australia. Continueremo a prepararci per il successo della missione a dicembre 2020 in stretta collaborazione con il governo australiano».

Tutte le fasi del rilascio della capsula. A partire da metà settembre, quando la sonda si troverà a 37 milioni di chilometri dalla Terra, fino al 6 dicembre, quando si avvicinerà fino a 200 chilometri di altezza, per poi ripartire verso la sua missione secondaria. Crediti: JAXA

«Sono lieto di aver autorizzato l’atterraggio di Hayabusa2 nella Woomera Prohibited Area e sono entusiasta che la JAXA abbia scelto di collaborare con noi per il rientro della capsula», ha dichiarato Karen Andrews, ministro australiano dell’Industria, della Scienza e della Tecnologia.
«Questa missione è un’impresa scientifica e tecnica molto importante, poiché questo è il primo campione prelevato sotto la superficie di un asteroide restituito a Terra».

  • Lo speciale sulla missione Hayabusa 2 alla scoperta di Ryugu
  • Tutte le notizie sulla missione

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    Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
    Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

    07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
    21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
    28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario

    Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

    Così si oscurò Betelgeuse

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    Rappresentazione artistica di Betelgesue prodotta utilizzando un'immagine della fine del 2019 scattata con lo strumento Sphere sul Very Large Telescope dello European Southern Observatory. Crediti: Eso, Esa/Hubble, M. Kornmesser
    Rappresentazione artistica di Betelgesue prodotta utilizzando un'immagine della fine del 2019 scattata con lo strumento Sphere sul Very Large Telescope dello European Southern Observatory. Crediti: Eso, Esa/Hubble, M. Kornmesser

    A ritrovarsi per una selva oscura, negli anni a ridosso del 1300, non fu soltanto il Sommo Poeta: anche alla supergigante rossa Betelgeuse capitò una disavventura analoga. Trovandosi a poco più di 700 anni luce da noi, gli effetti li abbiamo potuti apprezzare solo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, quando la luminosità dell’imponente regina scarlatta della costellazione d’Orione è andata via via affievolendosi – fino a toccare il minimo attorno a metà febbraio, suscitando aspettative per una possibile esplosione – per poi ritornare ai livelli di sempre già nel mese di aprile. E, come per Dante, anche per Betelgeuse il buio che l’avvolse ebbe origine anzitutto dentro di sé.

    Per capire cosa le sia accaduto, il telescopio spaziale Hubble si è affidato a una guida spettrale – la riga del magnesio ionizzato – seguendone le tracce in ultravioletto. Ecco dunque una breve cronistoria dell’inverno di Betelgeuse. Da settembre a novembre 2019, un’enorme massa di plasma ultracaldo si è sollevata dalla superficie della stella per dirigersi verso la sua atmosfera esterna. Ivi giunta ha continuato a viaggiare, per milioni di chilometri. Allontanandosi, il plasma si è raffreddato, e raffreddandosi si è mutato in polvere. Ed è stata proprio quest’immensa nube di polvere a oscurare per mesi – fino a un terzo della sua luminosità normale – la supergigante rossa, rendendola quasi irriconoscibile. Questa, almeno, è la ricostruzione proposta da uno studio guidato da Andrea Dupree, astrofisica del Center for Astrophysics di Harvard e Smithsonian, in uscita su The Astrophysical Journal.

    «Con Hubble abbiamo osservato il materiale mentre abbandonava la superficie visibile della stella e si allontanava attraverso la sua atmosfera, prima che si formasse la polvere che l’ha oscurata», spiega Dupree. «Abbiamo così potuto vedere l’effetto di una regione densa e calda che dal lembo sudest della stella si sposta verso l’esterno. Era materiale da due a quattro volte più luminoso della normale luminosità della stella. Poi, circa un mese dopo, l’emisfero meridionale di Betelgeuse si è oscurato in modo evidente, man mano che la stella appariva più debole. Pensiamo sia possibile che l’emissione rilevata da Hubble abbia prodotto una nube scura. Solo Hubble ci fornisce una prova di ciò che ha portato all’oscuramento».

    Va ricordato che Dupree e colleghi tenevano sott’occhio Betelgeuse da ben prima che si verificasse il drammatico calo di luminosità: le prime osservazioni, compiute nell’ambito di uno studio triennale per monitorare le variazioni nell’atmosfera esterna della stella, risalgono a inizio 2019.

    Fondamentale è stata la sensibilità del telescopio alla luce ultravioletta, che ha permesso ai ricercatori di sondare gli strati al di sopra della superficie della stella, troppo caldi per essere rilevati in banda ottica. Strati riscaldati in parte dalle celle di convezione della stella che ribollono in superficie, e probabilmente all’origine dell’imponente emissione di plasma.

    «La risoluzione spaziale di una superficie stellare è possibile solo in casi favorevoli e solo con la migliore attrezzatura disponibile», sottolinea Klaus Strassmeier del Leibniz Institute for Astrophysics Potsdam, in Germania, riferendosi sia alla capacità di Hubble di ricostruire in dettaglio gli spostamenti del plasma sia al fatto che la supergigante rossa si è dimostrata un soggetto ideale per questo tipo di osservazioni. «Da questo punto di vista, Betelgeuse e Hubble sono fatti l’uno per l’altra».

    Nel frattempo, la campagna osservativa va avanti. O meglio: per ora è in pausa forzata, poiché Betelgeuse è ancora troppo vicina al Sole, ma riprenderà al più tardi a inizio settembre – quando Hubble tornerà a riveder la stella.

    Per saperne di più:

    Leggi anche

    Betelgeuse riprende lentamente a brillare

    Guarda la live di MediaInaf Tv dedicata all’oscuramento di Betelgeuse:


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    Luna e Venere nel cielo del mattino

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    La mattina del 15 agosto, senza dover affrontare una levataccia (parliamo delle 5:00 circa), potremo osservare, guardando a est, una classica ma sempre affascinante congiunzione tra una falce di Luna (fase del 18%) e il brillante pianeta Venere (mag. –4,4).

    La Luna si troverà a nord del pianeta, alto 30°, separato da esso di circa 5° 25’. Sarà una di quelle occasioni in cui il cielo ci apparirà decisamente tridimensionale. Sullo sfondo di un blu tenuemente rischiarato, potremo ammirare le stelle dei Gemelli, teatro dell’incontro, con le brillanti Castore (Alfa Geminorum, mag. +1,9) e Polluce (Beta Geminorum, mag. +1,2), più a est, sfondo su cui Venere ci apparirà decisamente staccato, per via della sua forte brillantezza.

    Anche la Luna contribuirà all’effetto, poiché, oltre alla sottile falce luminosa, ci apparirà delicatamente luminosa a causa della luce riflessa dalla Terra, un fenomeno detto “luce cinerea”. Sarà davvero un bel momento da immortalare in fotografia.

    Se preferite affrontare la sveglia presto la mattina, per vedere i due soggetti più bassi sull’orizzonte, considerate che Venere sorge poco prima delle ore 3:00.

    ➜ Leggi anche su Coelum Astronomia di gennaio: Da Vespero, stella della sera, a Lucifero, stella del mattino, di Giorgia Hofer.

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    Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Luglio e Agosto su Coelum Astronomia 246

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    Scoccare della mezzanotte con Luna e Marte

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    Alla mezzanotte dell’8 agosto, quindi nella notte tra i giorni 8 e 9, potremo seguire una bella congiunzione tra la Luna (fase del 74%) e il pianeta Marte (mag. –1,3).

    Si tratta di una congiunzione analoga, almeno per i soggetti coinvolti, a quella dello scorso 12 luglio. Se però nella scorsa occasione i due astri formavano un allineamento verticale, questa volta Luna e Marte si presentano allineati in orizzontale, con la Luna posta a circa 4° 50’ a sudovest del pianeta e alta circa 10° sull’orizzonte est.

    All’orario consigliato, quindi, i due soggetti saranno ancora non troppo alti sull’orizzonte, consentendo di realizzare immagini che comprendano anche gli elementi del paesaggio, come sempre consigliamo per arricchire i propri scatti fotografici.

    Se però vogliamo dedicarci all’osservazione della congiunzione nel momento di minimo avvicinamento, dovremo attendere le ore 4:00 dello stesso giorno, quando la Luna si troverà a poco meno di 3° a sudovest di Marte. In questo momento l’altezza dei due soggetti sarà di circa 50° sull’orizzonte sud e, volendo fotografarli in questa configurazione, per evitare di ottenere uno scatto in cui siano presenti solo i due astri, annegati in un “mare buio”, dovremo andare alla ricerca dei dettagli più alti di strutture architettoniche o le cime degli alberi per aggiungere dettaglio alla nostra fotografia.

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