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Astronautinews

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Schede bisettimanali a cura dell’ESA e ritradotte e selezionate appositamente per questa missione.
Andiamo alla scoperta dello spazio e della vita degli astronauti in una missione spaziale. Tante informazioni da leggere, domande su cui riflettere, ma anche attività pratiche, a volte giocando con carta, colori e forbici, fino alla costruzione di un razzo da lanciare in tutta sicurezza in casa!
Le attività sono adatte a due fasce di età: ai giovanissimi studenti delle scuole primarie, e ai loro “fratelloni” e alle loro “sorellone” della secondaria di primo grado.
https://www.astronautinews.it/category/missione-casa/

Gruppo Astronomico Tradatese

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Conferenze in Diretta Streaming sul Sito del GAT, inizio ore 21:00. Le conferenze registrate saranno poi disponibili sulla pagina youtube dell’associazione.

11.05: “L’origine cosmica di tutti gli elementi chimici” di Cesare GUAITA
25.05: “L’utilizzo dei Raggi Cosmici nello studio di pianeti e asteroidi” di Marco ARCANI (https://www.astroparticelle.it)
08.06: “Anno 2024, ritorno sulla Luna” di Piermario ARDIZIO
22.06: “Verso Marte alla ricerca della vita” di Cesare GUAITA.
Info:
http://www.gruppoastronomicotradatese.it/

La Luna di Maggio 2020 e l’osservazione dal settore sudovest verso nord (II parte)

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Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Per le librazioni fare riferimento ai suggerimenti all'interno della rubrica sulla rivista.

Il mese si è aperto con una Luna gibbosa, appena uscita dal Primo Quarto, arrivando quindi al capolinea della fase crescente, e quindi al Plenilunio, alle ore 12:45 del 7 maggio in fase di 14 giorni, e dovremo attendere solo poche ore per vederla sorgere alle 20:43 contestualmente al tramonto del Sole.

Come sempre, il graduale avanzamento della Fase Calante ne limiterà inevitabilmente l’osservazione alle ore notturne, entrando in Ultimo Quarto alle ore 16:03 del 14 maggio in fase di 21 giorni I pochi coraggiosi che desidereranno osservare la Luna in Ultimo Quarto, non dovranno fare altro che programmare una piacevolissima sveglia nel pieno della notte in quanto alle ore 03:07 del 15 maggio sorgerà, preceduta dal pianeta Marte a poco più di 3°, una bella fase lunare in età di 22 giorni frequentemente snobbata per i motivi che conosciamo bene.

Il tempo a disposizione non sarà molto ma sufficiente per andare a individuare una innumerevole quantità di dettagli, con la non indifferente peculiarità che, in questo caso, prevalgono nettamente le vastissime e scure distese basaltiche dell’oceanus Procellarum con gli adiacenti mari Imbrium, Vaporum, Nubium e Humorum rispetto alla più elevata albedo delle rocce anortositiche riscontrabile nelle porzioni visibili degli altipiani nord e sud, oltre che in prossimità dell’estremo bordo ovest, senza trascurare le tre isole luminose a elevata albedo di Copernicus, Kepler e Aristarchus.

Continua, con maggiori dettagli, le librazioni più interessanti e altri consigli osservativi in la Luna di maggio su Coelum Astronomia 244 (digitale e gratuito)

A maggio osserviamo

26 e 27 maggio Dal settore sudest verso nord (Parte 2)

Come principale proposta osservativa, proseguiamo nell’osservazione delle strutture geologiche allontanandoci dal bordo lunare sud orientale per salire progressivamente verso nord (per la prima parte clicca sul bannerino qui a destra) avendo come target, tra l’altro, un complesso di grandi crateri tra cui le spettacolari coppie Vlacq-Rosenberger e Hommel-Pitiscus.

Nel mese in corso le osservazioni di questa interessante regione del nostro satellite vengono programmate a partire dal 26 maggio con la Luna in fase di 4 giorni a un’altezza iniziale che intorno alle ore 22:00 sarà di +23° rendendosi visibile per il resto della serata quando andrà a tramontare poco dopo la mezzanotte.

Tale proposta osservativa verrà estesa anche alla successiva serata del 27 maggio con una fase in età di 5 giorni e a un’altezza iniziale che alle ore 22:00 sarà di +31°, quindi leggermente più favorevole rispetto alla sera precedente, visibile fino alle primissime ore della notte seguente. Anche in queste serate, come per l’osservazione di aprile, basterà orientare il telescopio nel settore sudorientale della Luna scendendo a sud rispetto al grande cratere Janssen

➜ Leggi la guida dell’osservazione dal settore sudest verso nord (Parte 2)

Falci di Luna

Proseguono i consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci lunari di maggio sul numero 244. Si dovranno attendere per le falci mattutine il 19 e 20 maggio, mentre per le falci serali, dopo il plenilunio, dal 23 al 25 maggio.

E ci raccomandiamo… osserviamo sempre dal balcone di casa!

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

Consultate sempre le passate puntate della rubrica, perché molte formazioni sono già state già trattate anche in dettaglio.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2020 su coelum.com


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 244

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Luna, Giove, Saturno e Marte in corteo nel cielo del mattino… ma a distanza!

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Tre giorni di congiunzioni sui tetti. Enrico Serafini ci racconta la sua immagine su Coelum Astronomia di maggio. Clicca sull'immagine per la lettura gratuita.

Come dicevamo, l’orario non è proprio dei più comodi: le 3:30 circa. A dire il vero questa configurazione celeste si potrà ammirare altrettanto bene anche a orari leggermente più accettabili, nelle ore a ridosso dell’alba ma, ovviamente, gli astri coinvolti saranno più alti sull’orizzonte. Se vorrete scattare delle fotografie con una maggior possibilità di comporre inquadrature originali, che coinvolgano quindi elementi del paesaggio naturale o architettonico, inevitabilmente dovrete rassegnarvi a impostare la sveglia alle ore piccole.

Si inizia il giorno 12 maggio, ore 3:30: guardando verso sudest, tra le stelle del Sagittario potremo riconoscere facilmente la Luna (fase del 75%) a circa 5° 20’ da una brillante “stella” color giallo paglierino, il pianeta Giove (mag. –2,4). 4° 40’ più verso est, una seconda “stella” brillante segna la posizione di Saturno (mag. +0,5).

Questo trio, alto circa 18° sull’orizzonte, è il protagonista indiscusso di questa congiunzione, ma, guardando più verso est e più in basso, noteremo anche la presenza di un più debole astro, dallo spiccato color arancione: è Marte, che completa il quadro.

Tre giorni di congiunzioni sui tetti. Enrico Serafini ci racconta la sua immagine, ripresa durante la congiunzione tra il 18 e il 20 marzo, su Coelum Astronomia 245. Clicca sull'immagine per la lettura in formato digitale gratuito.

Nei giorni a seguire potremo osservare il lento moto dei pianeti maggiori, di Marte ma soprattutto della Luna, che cambierà posizione in modo netto (così come la sua fase, in continua diminuzione) da un giorno all’altro.

Il 13 maggio la Luna (fase del 65%) si sarà spostata più vicina a Saturno (separazione di poco più di 5°).Sarà questo il maggior cambiamento nei giorni fino al 15 maggio, quando il nostro satellite naturale, in fase di Ultimo Quarto, sarà in congiunzione con Marte, a poco più di 3° di distanza. I grandi pianeti, Giove e Saturno, appariranno praticamente immobili, con Saturno che ha invertito il suo moto (da diretto a retrogrado) il giorno 11 e Giove che sarà stazionario proprio il 14 maggio.

Complessivamente sarà una bella congiunzione da seguire, nonostante l’orario non proprio comodo, e un’ottima occasione di realizzare scatti fotografici su più giorni, come fatto da Enrico Serafini nella sua immagine “Tre giorni di congiunzioni sui tetti” presentata a pagina 104 del nuovo  numero di Coelum Astronomia di maggio.

Per qualche consiglio in più per una composizione di questo tipo, leggi anche:

➜ La Danza dei Pianeti Riprendiamo il movimento dei pianeti nel cielo con Giorgia Hofer.

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Il buco nero (in)visibile a occhio nudo!

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Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto bianrio. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. Il buco nero è invisibile, ma manifesta la propria presenza attraverso l'attrazione gravitazionale che causa il moto orbitale della stella, luminosa, a questo punto più "interna". Gli oggetti che formano questa coppia interna hanno all'incirca la stessa massa e orbite circolari. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada
Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto binario. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada

Si trova a soli 1000 anni luce dalla Terra, ed è il terzo componente invisibile di una stella finora creduta binaria. La stella, HR 6819, o meglio il sistema triplo si trova nella costellazione del Telescopio, una delle costellazioni dell’emisfero australe. È di magnitudine +5,35, quindi da un cielo buio e pulito, e con una buona vista, è visibile anche a occhio nudo, ma con un telescopio può essere risolta nelle sue due componenti visibili.

«Siamo rimasti veramente sorpresi quando ci siamo resi conto che questo è il primo sistema stellare con un buco nero che si può vedere a occhio nudo», ammette Petr Hadrava, scienziato emerito dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca a Praga e coautore della ricerca. Mentre Rivinius aggiunge: «Questo sistema contiene il buco nero più vicino alla Terra di cui siamo a conoscenza».

La panoramica mostra la regione di cielo, nella costellazione del Telescopio, in cui si trova HR 6819 (la brillante stella azzurra al centro). La veduta è stata prodotta a partire dalle immagini della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Anche se il buco nero è invisibile, le due stelle in HR 6819 possono essere viste, dall'emisfero meridionale, in una notte scura e serena anche senza l'ausilio di un binocolo o di un telescopio. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Fino a questo momento HR 6819 era una “semplice” stella binaria, ma grazie alle osservazioni con il telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO che si trova all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, un team impegnato in uno studio su sistemi stellari binari si è accorto che, oltre ad orbitare una attorno all’altra a grande distanza, una delle due componenti stava anche ruotando attorno a qualcosa a distanza più ravvicinata, con un periodo di 40 giorni.

Dietrich Baade, astronomo emerito all’ESO di Garching e coautore dello studio, spiega: «Le osservazioni necessarie per determinare il periodo di 40 giorni dovevano essere distribuite su diversi mesi. Ciò è stato possibile solo grazie al sistema pionieristico di osservazione fornito dall’ESO, in base al quale le osservazioni sono eseguite dal personale dell’ESO per conto degli scienziati che le richiedono».

L’oggetto non era però visibile allo spettrografo FEROS montato sul telescopio. Studiando allora nel dettaglio l’orbita “interna” hanno potuto calcolare la massa di questa componente invisibile, che è risultata pari ad almeno quattro volte la massa solare e simile a quella della compagna attorno a cui orbita, avrebbe quindi dovuto essere visibile alla pari delle altre due compagne. A questo punto «un oggetto invisibile con una massa almeno 4 volte quella del Sole non può che essere un buco nero», spiega Thomas Rivinius, astronomo dell’ESO, a capo dello studio pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Il terzo componente si è quindi rivelato essere un buco nero di massa stellare che, a differenza di quella che veniva considerata la norma, non interagisce violentemente con le sue compagne. I pochi (due dozzine) buchi neri scovati finora nella nostra galassia, infatti, sono sempre stati individuati grazie alla potente emissione di raggi X che emettono come risultato dell’interazione con l’ambiente che li circonda. La materia che interagisce con loro, forma un disco di accrescimento attorno all’orizzonte degli eventi del buco nero e, nel momento in cui viene inghiottita, emette energia in questa lunghezza d’onda. Tutto questo non è stato osservato in questo caso, ma questo significa anche che potrebbero essercene molti in giro, ben nascosti e… silenti in tutte le lunghezze d’onda. E già un secondo candidato è nel paniere del team.

«Ci siamo resi conto che anche un altro sistema, chiamato LB-1, potrebbe essere un sistema triplo, anche se avremmo bisogno di ulteriori osservazioni per stabilirlo con certezza», spiega Marianne Heida, che lavora con una borsa post-dottorato presso l’ESO e co-autrice dell’articolo. «LB-1 è un po’ più lontano dalla Terra ma ancora decisamente vicino in termini astronomici, quindi ciò significa che probabilmente esiste un numero molto maggiore di questi sistemi. Trovandoli e studiandoli possiamo imparare molto sulla formazione e l’evoluzione di quelle rare stelle che iniziano la loro vita con una massa pari a oltre 8 volte la massa del Sole e la terminano in un’esplosione di supernova che lascia come residuo un buco nero».

Buchi neri quindi davvero neri e basta, assolutamente invisibili se non per l’azione gravitazionale sulle compagne, e che probabilmente si sono formati dalla fusione di stelle all’interno di sistemi stellari multipli come questi.

L'astronomia multimessaggero nasce dall'associazione dell'astronomia tradizionale, che osserva le emissioni elettromagnetiche degli astri e dei fenomeni celesti, con l'astronomia gravitazionale, nata solo pochi anni fa. Ne abbiamo parlato in occasione della prima volta in cui una fonte di onde gravitazionali è stata "vista" anche attraverso la sua emissione nello spettro elettromagnetico. Cliccare per la lettura in formato digitale e gratuito.

Stiamo già studiando, inoltre, la fusione di sistemi binari attraverso l’astronomia gravitazionale, ma per studiare questo tipo di sistemi servono fusioni potenti, in grado di rilasciare enormi quantità di energia che diano vita a onde gravitazionali abbastanza ampie da essere rilevate dai nostri strumenti, quindi formati da buchi neri o stelle molto compatte e massicce, come le stelle di neutroni, spesso troppo remoti per essere studiati con altri metodi. In questo modo potremmo invece aver trovato un modo per studiare le interazioni e le fusioni di stelle  e buchi neri (o della nascita degli stessi) all’interno di sistemi multipli, con oggetti meno massivi, ma abbastanza vicini da poter essere studiati in quantità attraverso i nostri Osservatori a terra. Gli studiosi calcolano infatti che all’interno della Via Lattea potrebbero essere numerosi e addirittura più comuni di quanto si pensasse.

Il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO che si trova all'Osservatorio dell'ESO di La Silla in Cile sovrastato dalla Via Lattea. Crediti: ESO/José Francisco Salgado (josefrancisco.org).

«Devono esserci centinaia di milioni di buchi neri là fuori, ma ne conosciamo solo pochissimi. Sapere cosa cercare dovrebbe metterci in una posizione avvantaggiata per trovarli», afferma Rivinius. E Baade conclude affermando che trovare un buco nero in un sistema triplo così vicino indica che stiamo vedendo solo «la punta di un emozionante iceberg».

Ulteriori Informazioni

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “A naked-eye triple system with a nonaccreting black hole in the inner binary”, pubblicato il 6 maggio scorso dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

L’equipe è composta da Th. Rivinius (European Southern Observatory, Santiago, Cile), D. Baade (European Southern Observatory, Garching, Germania [ESO Germania]), P. Hadrava (Astronomical Institute, Academy of Science of the Czech Republic, Prague, Repubblica Ceca), M. Heida (ESO Germania), e R. Klement (The CHARA Array of Georgia State University, Mount Wilson Observatory, Mount Wilson, USA).



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Galassie da viverci

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Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso
Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso

Negli ultimi decenni il campo dell’astrobiologia ha compiuto enormi passi in avanti, soprattutto nella comprensione delle zone abitabili stellari: regioni attorno a stelle simili alla nostra nelle quali la vita potrebbe iniziare, essere sostenuta ed evolversi in forme complesse. Alcuni studi hanno recentemente ampliato questa idea di abitabilità, cercando zone simili ma su scala galattica: le cosiddette zone galattiche abitabili. La prima domanda alla quale gli astronomi che lavorano a questo filone di ricerca cercano risposta è: quali galassie sono le più idonee a ospitare forme di vita?

In uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters nel 2015, un team di astronomi guidati da Pratika Dayal aveva cercato di rispondere utilizzando dei modelli matematici che tenevano conto del numero di stelle, del tasso di formazione stellare, della metallicità e dei tassi di esplosione di supernove di numerose galassie nell’universo locale. La conclusione alla quale giunsero era che le più probabili “culle della vita” nell’universo fossero le enormi galassie ellittiche. Il motivo è che queste, rispetto alle galassie come la nostra, ospitano potenzialmente fino a diecimila volte il numero di pianeti abitabili simili alla Terra, possiedono molte più stelle e hanno bassi tassi di esplosioni di supernove potenzialmente letali.

Un nuovo studio mette ora in dubbio quei risultati. In particolare, secondo Daniel Whitmire dell’Università dell’Arkansas, negli Stati Uniti, unico firmatario dell’articolo pubblicato di recente su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, la conclusione di Dayal et al. costituirebbe una violazione al principio di mediocrità.

Su Coelum Astronomia di maggio 2020. La ZONA ABITABILE dei pianeti e la ricerca della vita. Ovvero come il concetto di zona di abitabilità non sia affatto scontato e si stia evolvendo nel tempo, alla luce di nuove scoperte. In formato digitale e gratuito (cliccare sull'immagine per la lettura).

Secondo questo principio (un’estensione del principio copernicano che spodestò la Terra dalla sua posizione privilegiata al centro dell’universo), in assenza di prove contrarie, un oggetto o un fenomeno dovrebbe essere considerato tipico della sua classe, piuttosto che atipico. In altre parole, l’idea è quella di assumere la tipicità come regola alla base di tutto, piuttosto che partire dal presupposto che un fenomeno sia speciale o eccezionale. Su scala cosmologica questo equivale a dire che la Terra e le forme di vita che vi risiedono dovrebbero essere presenti anche altrove nell’universo. E dovrebbe essere tipica anche la posizione in cui si trovano pianeti simili al nostro: il disco di una galassia a spirale.

«L’articolo del 2015 ha un serio problema con il principio di mediocrità», dice Whitmire. «In altre parole, perché non ci troviamo a vivere in una grande galassia ellittica? Ogni volta che ci si trova davanti a un’eccezione, vale a dire a qualcosa a di atipico, abbiamo un problema con il principio di mediocrità».

A sostegno della sua tesi, Whitmire, usando gli stessi risultati del modello di Dayal et al., descrive due ipotesi che limitano significativamente l’abitabilità delle grandi galassie ellittiche.

La prima prende in considerazione gli eventi associati alla fase quasar o di nucleo galattico attivo di queste grandi galassie ellittiche, come pure l’elevato numero di esplosioni di supernove che si verificavano in questi oggetti. Secondo questa ipotesi, le intense radiazioni Uv e X presenti in questo stadio della loro formazione non solo avrebbero ucciso qualsiasi forma di vita, ma avrebbero anche reso i pianeti  inabitabili a causa della perdita delle loro atmosfere.

La seconda ipotesi, invece, riguarda la probabilità di formazione di pianeti abitabili. Una probabilità piccola, secondo Whitmire, poiché, a causa della loro metallicità più elevata, si stima che in queste galassie vi sia la formazione di un numero maggiore di pianeti gassosi rispetto a quelli terrestri. Questi  pianeti, probabilmente formatisi oltre il raggio di condensazione dell’acqua – circa 5 unità astronomiche per le stelle simili al Sole – sono migrati verso l’interno, costringendo i planetesimi nelle zone abitabili a spostarsi più vicino alla stella, impedendo così la formazione di futuri pianeti terrestri abitabili.

«L’evoluzione delle galassie ellittiche è totalmente diversa da quella della Via Lattea», spiega a questo proposito Whitmire. «Queste galassie hanno attraversato una fase iniziale in cui vi era così tanta radiazione che avrebbe completamente distrutto tutti i pianeti abitabili presenti, e successivamente alterato il tasso di formazione stellare. Quindi qualsiasi nuovo pianeta è andato sostanzialmente perso. Non ci sono state nuove stelle in  formazione e tutte quelle vecchie sono state irradiate e sterilizzate».

Se i pianeti abitabili che ospitano la vita sono improbabili nelle grandi galassie ellittiche, dove risiedono la maggior parte delle stelle e dei pianeti, per default, conclude lo scienziato, le galassie come la Via Lattea saranno i siti primari nei quali può originarsi la vita, come previsto dal principio di mediocrità.

Per saperne di più:



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Il “Caos” di Europa, luna di Giove, nei minimi dettagli

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Nell'immagine le zone di Europa riprese nelle tre immagini riprese dalla sonda Galileo alla fine degli anni novanta e rielaborate con nuove e sofisticate tecniche, che mostrano con un dettaglio incredibile le diverse formazioni caratteristiche della superficie di Europa, luna di Giove. Credits: NASA/JPL-Caltech
Nell'immagine le zone di Europa riprese nelle tre immagini ad alta risoluzione riprese dalla sonda Galileo alla fine degli anni novanta e rielaborate con nuove e sofisticate tecniche, che mostrano con un dettaglio ancor più nitido le diverse formazioni caratteristiche della superficie di Europa, luna di Giove. Credits: NASA/JPL-Caltech

Europa è una delle lune di Giove che più intrigano e solleticano l’immaginazione di ricercatori e appassionati, e non solo per l’immenso oceano nascosto dalla crosta ghiacciata della Luna, che è considerato uno dei luoghi con la più alta probabilità di ospitare forme di vita in tutto il Sistema Solare, ma anche per le peculiari caratteristiche della sua superficie.

Questa zona è chiamata "Chaos transition" e mostra una regione di transizione tra zone caotiche, blocchi di superficie che si sono spostati e rimescolati (sulla sinistra, le ombre mostrano anche come alcuni di questi blocchi siano anche stati inclinati) e pianure rigate da creste, formatesi sulle fratture dovute all'azione mareale di Giove. Sulla parte più a destra dell'immagine vediamo invece delle lenticulae, piccole formazioni circolari che sembrano essere delle piccole cupole. L'immagine ha una risoluzione di 226 per pixel ed è ampia 300 chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

Europa mostra un paesaggio tanto omogeneo nel suo insieme quanto vario nel dettaglio. Creste, fasce, piccole cupole arrotondate e lunghe linee rette che sembrano la cartina delle strade di una grande metropoli. E ancora, regioni fortemente irregolari che i geologi hanno chiamato “Chaos terrain”, in italiano “zona caotica”, un termine che in esogeologia indica proprio regioni geologicamente disordinate, con sconnessioni, superfici frantumate e contorni irregolari, individuate per il momento sulla superficie di Marte e di Europa.

Alla fine degli anni novanta, la sonda Galileo della NASA ha ripreso “da vicino” queste regioni sulla luna gioviana, e tre di queste immagini sono state recentemente rielaborate grazie a tecniche di elaborazione delle immagini sempre più sofisticate, mostrandoci dettagli di una nitidezza estrema.

Le tre immagini sono state riprese lungo la stessa longitudine, sopra cui la sonda Galileo è passata il 26 settembre 1998, l’ottavo degli 11 voli dedicati alla luna dalla missione.

Le immagini di partenza sono in bianco e nero (toni di grigio), ad alta risoluzione, e ci mostrano caratteristiche di dimensioni fino a 460 metri. Utilizzando poi immagini a colori a bassa risoluzione della stessa regione (ottenute in un diverso passaggio della sonda), i tecnici hanno potuto, in un minuzioso e rigoroso processo, aggiungere il colore. Con tecniche sofisticate il dettaglio raggiunto è quello di una risoluzione attorno ai 220 metri per pixel.

Qui vediamo invece la Chaos Near Agenor Linea, un nome che in realtà è come sempre una descrizione di quel che vediamo: piccoli blocchi di superficie che si sono spostati, ruotati, inclinati e ricongelati in nuove posizioni, come pezzi scombinati di un puzzle che i ricercatori sono chiamati a ricostruire, per comprendere meglio come le forze mareali di Giove agiscono sulla luna. Una zona caotica posta vicina a una grande banda bianca che la attraversa, caratteristica chiamata appunto Agenor Linea, una delle bande più lunghe individuate sulla superficie, riconoscibile per i due colori ben distinti, con una parte più chiara in alto e più scura in basso. Nella parte alta dell'immagine si vede anche un'altra di queste rare e brillanti bande chiamata Katreus Linea. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

In questo modo, enfatizzando i colori e rendendo più nitidi i contrasti, è possibile evidenziare diverse caratteristiche e mostrarci Europa con colori che, anche se non sono quelli che vedremmo a occhio nudo, permettono di individuare “a vista” le diverse composizioni chimiche della superficie. Le aree che appaiono blu chiaro o bianche sono composte per lo più di ghiaccio d’acqua relativamente pura, mentre le aree rossastre contengono una maggior quantità di materiali diversi, come sali minerali.

Questo da la possibilità ai ricercatori di studiare non solo la composizione ma anche la storia e l’evoluzione della superficie di Europa. La superficie che vediamo oggi è infatti molto più giovane di Europa stessa, e se la luna si è formata assieme al Sistema Solare, circa 4,6 miliardi di anni fa, la sua superficie mostra un’età compresa tra i 40 e i 90 milioni di anni! È una delle superfici più giovani del Sistema Solare, fatto che rende Europa ancora più intrigante…

Quello che è stato teorizzato finora, è che Europa sia soggetta all’azione gravitazionale di Giove, che induce un calore interno alla luna che le permette di avere un oceano liquido sotterraneo che modella poi la superficie, sottoposta a tensioni, fratture e compressioni.

Questa zona è invece chiamata "Crisscrossing Bands" e sempre come dice il nome mostra una serie di creste e di bande sovrapposte. L'elaborazione evidenzia fortemente le frastagliature delle creste sovrapposte alle bande relativamente piatte. Cicatrici e smagliature incrociate sulla superficie della luna. La risoluzione è di 223 metri per pixel e la larghezza di 285 chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

Le lunghe creste e le fasce lineari che la attraversano sarebbero legate proprio alla risposta che la crosta ghiacciata ha a seguito di queste sollecitazioni: le creste si formerebbero quando una crepa della crosta ghiacciata si apre e si chiude ricongelandosi ripetutamente. Si formano così creste simili a una cicatrice, alte tipicamente qualche centinaio di metri, larghe qualche chilometro e che si possono estendere per migliaia di chilometri lungo la superficie. Le bande, fasce lineari che sembrano delle sorte di “smagliature”, sono regioni in cui le crepe si sono allargate, senza richiudersi nuovamente, e nelle quali il ghiaccio si è “stirato” e riformato in modo relativamente pianeggiante. Le zone caotiche invece sarebbero blocchi di superficie che, nel processo, si sarebbero spostati, ruotati o addirittura inclinati prima di essere ricongelati nelle loro nuove posizioni, rendendo la superficie della luna come un puzzle dai pezzi rimescolati.

Ma le nuove immagini rielaborate non servono solo per questo tipo di considerazioni, che bene o male erano ipotesi già note per le quali si cercano sempre maggiori evidenze, ma sono passaggi necessari anche in preparazione per la nuova missione dedicata alla luna Europa Clipper.

La nuova sonda effettuerà numerosi flyby su Europa per indagare specificatamente l’oceano sotto la spessa crosta ghiacciata della luna e le sue interazioni con la superficie.

La missione, pianificata per il momento per il lancio nel 2025, sarà il primo ritorno su Europa dopo la visita della Galileo. Spiega infatti la geologa planetaria Cynthia Phillips del Jet Propulsion Laboratory della NASA, una divisione del Caltech di Pasadena, che sta supervisionando il progetto di ricerca a lungo termine per rianalizzare le immagini della luna: «Abbiamo potuto vedere, a questa risoluzione, solo una piccolissima parte della superficie di Europa. Europa Clipper ce ne mostrerà molta di più».



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Luna e Spica nel cielo della sera

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La sera del 5 maggio, alle ore 21:15 circa, volgendo il nostro sguardo verso sudest, potremo notare, ad un’altezza di circa 25°, la Luna (fase del 96%) in congiunzione, piuttosto ampia, con Spica, la stella Alfa della costellazione delle Vergine (mag. +1). La separazione sarà di 6° 20’ con la Luna a nord-nordovest della stella.

Con una Luna così luminosa potremo però comunque approfittare di due utili spunti:

➜ La Guida all’osservazione della Luna Piena

Riscoprire il Primo Telescopio. Tiriamo fuori dalla soffitta quel telescopio dimenticato e scopriamo il cielo dal balcone!

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Un Sole mite per la nostra Terra

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Nell’immagine il Sole ripreso nell’estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA Credits: NASA/SDO
Nell’immagine il Sole ripreso nell’estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA Credits: NASA/SDO

Sono i risultati di un nuovo studio presentato dai ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS), Germania, in via di pubblicazione su Science. Per la prima volta gli scienziati hanno confrontato il comportamento del Sole con quello di centinaia di altre stelle con analogo periodo di rotazione e proprietà fondamentali simili. Gran parte delle stelle prese in esame sfoggiano un’attività molto più potente. Non è chiaro se questa pacatezza del Sole sia un tratto caratteristico della nostra stella o se riveli un fase quieta cui è andato soggetto il Sole soltanto degli ultimi millenni.

La variabilità dell’attività solare, e di conseguenza il numero di macchie solari e la luminosità solare, può essere ricostruita utilizzando vari metodi, almeno lungo un certo periodo temporale. Disponiamo, ad esempio, di registrazioni storiche delle macchie solari fin dai primi anni del XVII secolo; inoltre la distribuzione di elementi radioattivi negli anelli degli alberi e nei carotaggi del ghiaccio ci consente di trarre conclusioni sul livello di attività solare negli ultimi 9.000 anni. Per quanto riguarda questo periodo di tempo, gli scienziati hanno individuato fluttuazioni che ricorrono regolarmente di forza comparabile, come durante gli ultimi decenni. «Tuttavia, paragonati all’intera durata di vita del Sole, 9.000 anni valgono quanto un battito di ciglia» afferma Timo Reinhold, primo autore dello studio. «È plausibile che il Sole sia andato incontro a una fase quieta per migliaia di anni e che pertanto abbiamo una visione distorta della nostra stella».

Dal momento che non c’è modo di scoprire quanto fosse attivo il Sole nei precedenti milioni di anni, gli scienziati hanno bisogno di rivolgere la loro attenzione ad altre stelle simili, per verificare se il comportamento del Sole sia più o meno “normale”. Gli astronomi hanno selezionato stelle candidate che assomigliano al Sole per quanto riguarda alcune proprietà significative, come la temperatura superficiale, l’età, la proporzione di elementi più pesanti di elio e idrogeno, il periodo di rotazione. «La velocità a cui una stella ruota attorno al proprio asse è una variabile fondamentale», spiega Sami Solanki, coautore dello studio. La rotazione di una stella contribuisce alla creazione del suo campo magnetico grazie ai processi che si vengono a creare nel suo interno. «Il campo magnetico è la forza motrice responsabile di tutte le fluttuazioni nell’attività», continua Solanki. Lo stato del campo magnetico determina quanto spesso il Sole emetta radiazione energetica e spedisca particelle ad alta velocità nello spazio durante violente eruzioni, quanto siano numerose le macchie solari e le regioni luminose sulla superficie solare.

Nei due grafici le variazioni della luminosità del Sole (in alto) a confronto con quelle tipiche di una delle stelle di tipo solare, presa dal campione sotto studio. Crediti MPS / hormesdesign.de

Dal 2009 al 2013 il telescopio Kepler della NASA ha registrato le fluttuazioni in luminosità di circa 15.000 stelle di sequenza principale. I ricercatori hanno analizzato questo vasto campione, selezionando quelle stelle il cui anno dura tra 20 e 30 giorni. Utilizzando dati del telescopio Gaia dell’ESA, il campione è stato ulteriormente ridotto, fino ad arrivare a un totale di 369 stelle che assomigliano al Sole anche per quanto riguarda altre proprietà fondamentali. L’analisi precisa delle variazioni in luminosità di queste stelle dal 2009 al 2013 rivela un quadro piuttosto chiaro. Mentre l’irraggiamento solare tra fasi attive e inattive oscilla in media di appena lo 0,07 percento, le altre stelle presentano variazioni molto più ampie, tipicamente 5 volte più incisive. «Siamo rimasti molto sorpresi del fatto che gran parte delle stelle simili al Sole siano così tanto più attive rispetto alla nostra stella», spiega Alexander Shapiro, tra gli autori dello studio.

Se anche il Sole fosse in una temporanea fase di tranquillità non c'è comunque da preoccuparsi che possa improvvisamente diventare iperattivo quanto le stelle campione dello studio. Nell'ultima decina di anni si è mostrato in un periodo di minimo addirittura più tranquillo del suo stesso standard. Solo da poco sta mostrando segni di ripresa di una qualche attività che segna l'ingresso in un nuovo ciclo, ma per il momento tutte le previsioni indicano che questo suo carattere mite non cambierà... Nel riquadro, il gruppo di macchie solari spie di un progressivo risveglio del Sole. Fonte: Mauro Messerotti (Inaf e Università di Trieste)

Tuttavia, non è possibile determinare il periodo di rotazione per tutte le stelle osservate dal telescopio Kepler. Per ottenere questo risultato, gli scienziati devono scoprire certi cali di luminosità periodici nella curva di luce stellare, che possono essere ricondotti al passaggio periodico di macchie stellari dal punto di vista del telescopio. «Per molte stelle simili cali di luminosità periodici non possono essere rilevati; vengono perduti nel rumore dei dati e in fluttuazioni di luce sovrastante», spiega Reinhold. I ricercatori, pertanto, hanno anche studiato oltre 2.500 stelle simili al Sole con periodi di rotazione ignoti, le cui fluttuazioni in luminosità sono risultate molto inferiori rispetto a quelle dell’altro gruppo. È possibile che esista una differenza ancora inspiegabile tra i due gruppi di stelle presi in esame. Oppure può essere che la nostra stella sia rimasta insolitamente tranquilla negli ultimi 9.000 anni e che, su scale temporali molto più vaste, sia andata soggetta a fluttuazioni di luminosità ben più ampie.



FRB Lampi Radio Veloci

13 anni di ricerca tra enigmi irrisolti e ultime scoperte. Ma anche #ilcieloacasa: le vostre immagini più belle dal balcone di casa invadono il nuovo

Coelum Astronomia di Maggio 2020
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Astronomiamo

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Locandina Astronomiamo maggio

Locandina Astronomiamo maggioElenco delle dirette:
7.05: Starlink: tra detriti e astronomia. Diretta dal CNR
21.05: La Luna nelle missioni recenti

Informazioni:

www.astronomiamo.it


Accademia delle Stelle

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2020-05 Coelum AdS

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Tutti i giovedì: Archeoastronomia e Astronomia culturale
Per scoprire le conoscenze astronomiche degli Antichi e l’importanza che l’astronomia ha avuto nella cultura umana di tutte le epoche

Informazioni:
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MarSEC Marana Space Explorer Center

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Astronomia dal balcone. Video tutorial di cosa osservare in queste sere dal balcone di casa.
Seguite la pagina per i prossimi appuntamenti. Tutti gli streaming sono disponibili nella sezione video della pagina FB dell’associazione:
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Frascati Scienza: Scienza Contagiosa

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Lezioni multidisciplinari e interattive (della durata circa di 45/60 minuti) accessibili a studenti e studentesse di ogni ordine e grado che spazieranno dalla fisica delle particelle, alla rivoluzione industriale 4.0 e momenti di approfondimento dedicati al virus insieme ai partner dell’Istituto Superiore di Sanità e alla Dr.ssa Caterina Rizzo, medico epidemiologo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Le lezioni restano sempre disponibili su:
La pagina Facebook www.facebook.com/pg/associazionefrascatiscienza e il canale Youtube https://www.youtube.com/user/FrascatiScienza oltre a poter seguire le repliche su IG TV dal profilo Instagram: https://www.instagram.com/frascatiscienza/

Gruppo Astrofili Palidoro

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Disponibili sulla pagina del gruppo una sezione video con le osservazioni del cielo e le conferenze effettuate e una nuova sezione dedicata ai bambini:
THE BIG [GAP] THEORY KIDS: Una raccolta di video interattivi per i più piccoli: un cartone animato, una parte interattiva in cui si fanno delle creazioni e dei lavoretti e un piccolo esperimento. Realizzati da Chiara Tronci e Amedeo lulli del Gruppo Astrofili Palidoro. L’Astronomia sin dalla tenera età!
https://www.facebook.com/astrofilipalidoro/

Il Cielo di Maggio 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 01:00; 15 Mag > 00:00; 31 Mag > 23:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 01:00; 15 Mag > 00:00; 31 Mag > 23:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

A occidente, dunque, sarà facile riconoscere ancora le lucenti stelle che ci hanno tenuto compagnia nei mesi passati: le teste dei Gemelli, Castore e Polluce, il Cane Minore, con Procione, e l’Auriga, con la brillante Capella, decisamente declinanti e prossime al tramonto. Anche il Leone ha ormai già superato il suo periodo di massimo splendore annuale e lo vediamo dominare la parte occidentale del cielo.

Transitano in meridiano, come dicevamo, le costellazioni tipicamente primaverili, come la Vergine, con l’azzurra Spica, accompagnata dal Corvo e dal Boote con la brillante Arturo, mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent). Più a est, possiamo riconoscere l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il luccichio rossastro di Antares che già annuncia l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco e Aquila) che cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo. Verso nordest sarà osservabile anche la Lira, con la fulgida Vega, seguita dal grande Cigno celeste con Deneb.

➜ Il Cielo di maggio con la UAI: Supernovae e comete nel cielo di primavera

COSA OFFRE IL CIELO

Mercurio raggiunge Venere nel cielo della sera, dopo la prima decade del mese, interrompendo il monopolio del pianeta che dopo averci accompagnato come unico e brillante astro della sera comincia ora la sua fase discendente. Ma nessuna paura… per il mese di maggio sarà ancora ottimamente osservabile. Marte invece continua a migliorare le sue condizioni di osservabilità, assieme a Giove e Saturno, che da tempo ormai lo accompagnano nelle sorti. Tutti i pianeti visibili a occhio nudo ci regaleranno serate particolari, in cui osservarli in congiunzione tra loro o accompagnati dalla Luna.

Le serate principali in cui osservarli e maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate come sempre sul

➜  Cielo di Maggio all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito! L’abbonamento serve solo per avvisarvi dei prossimi numeri, ma è gratuito anche quello).


Piccola falce di Luna in fase 2,6% di Andrea Rapposelli. PhotoCoelum

Per quanto riguarda le sottili falci di Luna e la ripresa della luce cinerea della Luna, l’appuntamento è prima dell’alba il 19 e 20 maggio e, dopo il Novilunio, alla sera, accompagnata da Venere e Mercurio,  il 23 e 24 maggio.

Per maggiori dettagli su orari e formazioni lunari da osservare al terminatore sulle falci di Luna, anche con l’aiuto di uno strumento, potete consultare la sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua poi l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con


Purtroppo la cometa visibile a occhio nudo che attendavamo si è disgregata… ma ne è stata scoperta un’altra che, anche se con più difficoltà, potrebbe mostrarsi bassa nel cielo da metà maggio in poi. Di sicuro per gli astrofotografi più esperti sarà un obiettivo da non mancare in ogni caso.

➜ Comete. La triste fine della ATLAS ma attesa per la Swan

Questo mese poi ci congratuliamo con il gruppo di cacciatori di Supernovae dell’Osservatorio di Monte Baldo e targata ISSP. In un periodo sempre più avaro di scoperte amatoriali, hanno messo nel loro canestro la prima supernova scoperta in Italia del 2020.

➜ Supernovae Finalmente! La prima scoperta in Italia nel 2020

E ancora su Coelum astronomia 244

➜ Venere a spasso per il cielo incontra le Pleiadi gli scatti di Giorgia Hofer e a seguire la gallery dedicata a Venere e Pleiadi con le più belle immagini dei nostri lettori!

➜ La Luna di Maggio 2020
e una guida per l’osservazione del settore sud verso nord (II parte).

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS con una serie di transiti serali a metà mese da non perdere!

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata al 30esimo compleanno del Telescopio Spaziale Hubble!

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

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UAI – Unione Astrofili Italiani

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Festival del cielo @ Home
Ricca rassegna di eventi virtuali dedicati alla scoperta e all’osservazione del cielo di primavera, a cura delle Delegazioni della UAI. L’iniziativa di astronomia online si chiude con una diretta in programma sabato 2 maggio (con possibile slittamento a domenica 3 maggio in caso di maltempo). L’evento sarà trasmesso in diretta streaming, a partire dalle ore 19:00 di sabato, sul canale YouTube e sulla pagina Facebook dell’UAI.

Pillole di Astronomia
Continua inoltre la rassegna “Pillole di Astronomia”, il programma di incontri virtuali proposti dagli astrofili. Inizio ore 21:00.

L’asteroide (52768) 1998 OR2 a portata di telescopio

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La mappa mostra in un sistema di riferimento equatoriale la regione del cielo in cui si muoverà l'asteroide (52768) 1998 OR2. L'oggetto sarà individuabile tra le costellazioni dell'Idra (Hydra) e della Macchina Pneumatica (Antlia) già dalla prima serata, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro. Potremo osservarlo guardando verso sud alle 21 circa. Non avremo molto tempo per seguirlo visto che l'asteroide tramonterà alle 2 circa il 28 aprile, anticipando alle 0:46 il 3 maggio.
La mappa mostra in un sistema di riferimento equatoriale la regione del cielo in cui si muoverà l'asteroide (52768) 1998 OR2. L'oggetto sarà individuabile tra le costellazioni dell'Idra (Hydra) e della Macchina Pneumatica (Antlia) già dalla prima serata, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro. Potremo osservarlo guardando verso sud alle 21 circa. Non avremo molto tempo per seguirlo visto che l'asteroide tramonterà alle 2 circa il 28 aprile, anticipando ogni notte l'ora del tramonto fino alle 0:46 del 3 maggio.

Gli amanti di osservazione asteroidale non possono perdersi le ultime fasi del passaggio dell'”asteroide del mese”. Ogni volta che si parla di asteroidi vicini alla Terra, che ormai vengono scoperti sempre più frequentemente, non mancano mai i titoloni di giornali (solitamente non del settore astronomico però!) che mettono in guardia dal passaggio di un asteroide potenzialmente pericoloso… come se potenzialmente significasse ogni volta “sicuramente”. Si tratta senza dubbio di rocce spaziali che viaggiano più vicine alla Terra di quelli che solitamente abitano le fasce asteroidali del nostro Sistema Solare, ma “più vicine”, quando si parla di astronomia, è sempre un termine relativo, e quasi mai significa “troppo vicine” (anche se il rischio di un impatto asteroidale è un argomento importante e ne abbiamo parlato più volte sulla nostra rivista). Generalmente però, quando se ne scopre uno, la sua traiettoria viene monitorata e la sua orbita calcolata con un buon margine di sicurezza. Sono dati che vengono sempre forniti assieme a tutti i parametri della scoperta, ma su cui i giornali generalisti generalmente “sorvolano”.

E ogni tanto esce la notizia di un nuovo asteroide che potrebbe impattare sulla Terra. In questo caso ne parliamo anche noi, ma non tanto perché il rischio sia reale… anzi, ma perché il 29 aprile si troverà nel punto più vicino alla Terra della sua traiettoria, e il 1 maggio sarà in opposizione. Ultime occasioni per osservarlo, ovviamente sempre seguendo le precauzioni imposte dalle misure di contenimento del coronavirus…

Stiamo parlando di (52768) 1998 OR2, un corpo appartenente alla famiglia Amor, classificato come NEA (Near-Earth Asteroid) e come asteroide potenzialmente pericoloso per la Terra (PHA, Potentially Hazardous Asteroid). Questo asteroide è stato scoperto il 24 luglio 1998 dal programma di osservazione NEAT (Near-Earth Asteroid Tracking), quindi è ben noto già da tempo. È stato a lungo studiato e osservato (sono disponibili anche osservazioni radio compiute da Arecibo, di cui vediamo un’animazione qui a destra, cliccare sull’immagine se non parte) tanto da poter determinare con sicurezza la sua orbita, escludendo un possibile impatto con il nostro pianeta entro un arco temporale di alcuni secoli.

È un corpo di diametro compreso tra i 1.200 e i 3.700 metri e piuttosto luminoso. Come dicevamo il 29 aprile si troverà alla minima distanza dalla Terra – a circa 0,042 UA ovvero poco più di 16 volte la distanza tra la Terra e la Luna – mentre il 1 maggio si troverà in opposizione, raggiungendo la magnitudine  di +10,8. Lo troveremo nella costellazione dell’Idra, a una distanza dalla Terra di appena 0,044 UA. Non sarà facile osservarlo, tuttavia, in quanto si troverà molto basso sull’orizzonte dalle 20:00 a mezzanotte. Inoltre, pur essendo luminoso per un asteroide non è però sufficientemente luminoso da essere visto a occhio nudo, servirà almeno un piccolo telescopio o un buon binocolo e un po’ di esperienza. Quindi attrezziamoci!

Il Virtual Telescope mostrerà in diretta, online nella sua webTV, il passaggio dell”asteroide potenzialmente pericoloso (52768) 1998 OR2 questa sera 28 aprile, a partire dalle ore 20:00.

Qui sotto invece alcune immagini dell’asteroide 1998 OR2 riprese in 3 sessioni, rispettivamente nei giorni 15 e 16 aprile, nelle quali Carlo Dellarole e Andrea Demarchi hanno fissato sullo stesso campo il transito a distanza di 24 ore e il giorno 18 aprile lo hanno seguito nel suo passaggio accanto a m44 (cliccare sulle immagini per ingrandire).


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Coelum Astronomia di Aprile 2020
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Per i 30 anni di Hubble una barriera corallina cosmica

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CREDITS: NASA, ESA and STScI
CREDITS: NASA, ESA and STScI

Il 24 aprile scorso, è stata rilasciata l’immagine scelta per commemorare i 30 anni di osservazione delle meraviglie dello spazio da parte del telescopio spaziale Hubble. Un’immagine colorata che ci accompagna in una versione cosmica di un mondo sottomarino brulicante di stelle: la gigantesca nebulosa rossa NGC 2014 e la sua più piccola vicina blu NGC 2020. Le due nebulose fanno parte di una vasta regione di formazione stellare nella Grande Nube di Magellano, situata a 163.000 anni luce di distanza.

All’immagine è stato dato il nome di “barriera corallina cosmica”, per come NGC 2014 sembra quasi parte di una barriera corallina galleggiante in un vasto mare di stelle. Il fulcro scintillante di questa nebulosa è un gruppo di stelle luminose e massicce, ognuna delle quali ha da 10 a 20 volte la massa del nostro Sole. NGC 2020 invece, la nebulosa blu apparentemente isolata in basso a sinistra, è stata creata da una singola enorme stella: 20.000 volte più luminosa del nostro Sole! Il gas blu è stato espulso dalla stella attraverso una serie di eventi eruttivi durante i quali ha perso parte del suo involucro esterno di materiale.

In questa immagine però, al di là del ricordo di mari tropicali, che in questo periodo purtroppo possiamo solo immaginare, è ritratta una tempesta di fuoco dovuta alla nascita di stelle in una galassia vicina. Il nuovo ritratto spaziale è infatti uno degli esempi più fotogenici dei molti e turbolenti vivai stellari che Hubble ha osservato durante i suoi 30 anni di vita. Queste regioni sono dominate dal bagliore di stelle si almeno 10 volte più massiccie del nostro Sole, ma da una vita molto più breve: pochi milioni di anni rispetto ai 10 miliardi di anni di vita della nostra stella. La radiazione ultravioletta di queste stelle riscalda il denso gas circostante e scatenano venti feroci di particelle cariche che fanno esplodere il gas a bassa densità, formando le strutture a bolla che si vedono sulla destra. Verso il lato più sinistro invece vediamo come i potenti venti stellari delle stelle spingono i gas e le polveri nel lato più denso della nebulosa, facendosi si che si accumulino creando una serie di creste scure bagnate dalla luce stellare.

Le aree blu della NGC 2014 rivelano invece il bagliore dell’ossigeno, riscaldato a quasi 11.000 gradi Celsius dall’esplosione della luce ultravioletta. Il gas rosso, più freddo, indica invece la presenza di idrogeno e azoto.

Testa di Cavallo
La straordinaria immagine della famosa nebulosa Testa di Cavallo nell’infrarosso realizzata da Hubble. Grazie all'inusuale lunghezza d’onda con cui venne ripresa, che ci mostrò la Testa di Cavallo come un oggetto molto diverso da come eravamo abituati a vederlo nelle foto “normali”, la struttura della Testa che s’innalza per tre anni luce al di sopra del suo “orizzonte” resta comunque perfettamente riconoscibile.

Hubble, con le sue immagini ma soprattutto con l’enorme quantità di dati raccolta, sta rivoluzionando l’astronomia moderna, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche accompagnando il pubblico in un meraviglioso viaggio di esplorazione e scoperta. A differenza di qualsiasi telescopio spaziale precedente, Hubble ha reso l’astronomia rilevante, coinvolgente e accessibile a persone di tutte le età. Le immagini, che via via celebrano con una istantanea i principali risultati raggiunti dal telescopio spaziale, hanno ridefinito la nostra visione dell’universo e del nostro posto nel tempo e nello spazio.

«Hubble ci ha dato una visione sbalorditiva dell’universo, dai pianeti vicini alle galassie più lontane che abbiamo visto finora», spiega Thomas Zurbuchen, amministratore associato per la scienza presso il quartier generale della NASA a Washington D.C. «È stato rivoluzionario lanciare nello spazio un telescopio così grande 30 anni fa, e questa potenza astronomica fornisce ancora oggi una scienza rivoluzionaria. Le sue immagini spettacolari hanno catturato l’immaginazione per decenni e continueranno a ispirare l’umanità per gli anni a venire».

Trent’anni fa, il 24 aprile 1990, Hubble è stato portato in orbita, dal Kennedy Space Center, a bordo dello shuttle Discovery, insieme a un equipaggio di cinque astronauti. Inserito in orbita terrestre bassa un giorno dopo, il telescopio ha aperto un nuovo occhio sul cosmo che ha trasformato il nostro modo di guardare l’Universo. Libero dall’offuscamento dell’atmosfera terrestre, l’Osservatorio spaziale ci svela il comso con una nitidezza cristallina che non era mai stata raggiunta prima, su un’ampia gamma di lunghezze d’onda, dagli ultravioletti alla luce del vicino infrarosso.

Tra i principali risultati di Hubble troviamo la misurazione dell’espansione e del tasso di accelerazione dell’universo, la scoperta che i buchi neri sono comuni tra le galassie, la caratterizzazione delle atmosfere dei pianeti intorno ad altre stelle, il monitoraggio dei cambiamenti meteorologici sui pianeti in tutto il nostro Sistema Solare e lo sguardo indietro nel tempo attraverso il 97% dell’universo osservabile, per raccontare la nascita e l’evoluzione delle stelle e delle galassie.

Gli astronauti NASA Michael Good e Michael Massimino mentre durante uno dei cinque interventi affettuati sul telescopio spaziale. Credit: NASA

In 30 anni ha prodotto 1,4 milioni di osservazioni e ha fornito dati agli astronomi di tutto il mondo utilizzati per scrivere più di 17.000 pubblicazioni scientifiche peer-reviewed, rendendolo il più prolifico Osservatorio spaziale della storia. I suoi dati d’archivio da soli alimenteranno le future ricerche astronomiche per le generazioni a venire.

La sua longevità è stata assicurata da cinque missioni di servizio dello space shuttle, dal 1993 al 2009, in cui gli astronauti hanno aggiornato il telescopio con strumenti avanzati, nuova elettronica e riparazioni in orbita. Hubble dovrebbe rimanere operativo almeno per tutto il 2020, in sinergia e in attesa del prossimo James Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto, salvo ulteriori slittamenti, per marzo 2021.


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La notte delle comete e degli asteroidi

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SUL CANALE YOUTUBE DI EMPIRICAMENTE

Per onorare la memoria del grande divulgatore Corrado Lamberti seguiteci il 28 aprile, dalle ore 21, in diretta:

“LA NOTTE DELLE COMETE E DEGLI ASTEROIDI”

La trasmissione è condotta da Luigi Bignami ed Enrico Bonfante e vedrà la partecipazione di Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio INAF di Asiago e di Ettore Perozzi dell’ESA. Presenteremo le immagini dell’asteroide 6206 Corradolamberti, quelle di comete e dell’asteroide che proprio in quelle ore si avvicinerà alla Terra: 1998 OR2.

Numerosi collegamenti con alcuni dei migliori astrofotografi italiani!


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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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Una TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

IASF Milano, 29/04/2020 @ 14:00
Marco Malaspina & Marco Galliani
(Inaf), “Media Inaf e Ufficio stampa Inaf: a chi servono, come funzionano”
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

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2020-04 Coelum AdS

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Da lunedì 20 aprile: Corso avanzato di Astronomia e Astrofisica
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Da giovedì 30 aprile: Archeoastronomia e Astronomia culturale
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Cheops entra in azione e trova il suo primo esopianeta!

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Un’impressione artistica della subgigante gialla HD 93396, grande tre volte il nostro Sole anche se leggermente più fredda, e del suo pianeta caldo gioviano KELT-11b, il primo esopianeta a cui Cheops ha “preso le misure” in modo estremamente accurato. Crediti ESA
Un’impressione artistica della subgigante gialla HD 93396, grande tre volte il nostro Sole anche se leggermente più fredda, e del suo pianeta caldo gioviano KELT-11b, il primo esopianeta a cui Cheops ha “preso le misure” in modo estremamente accurato. Crediti ESA

Cheops, la nuova missione dell’ESA per lo studio degli esopianeti, ha completato con successo i suoi quasi tre mesi di messa in servizio in orbita, superando le aspettative delle sue prestazioni. Il satellite, che comincerà le operazioni scientifiche di routine entro fine aprile, ha già ottenuto promettenti osservazioni di stelle note per ospitare esopianeti, con molte entusiasmanti scoperte in arrivo.

«La fase di messa in servizio in orbita è stato un periodo entusiasmante, e siamo lieti di essere riusciti a soddisfare tutte le richieste», commenta Nicola Rando, responsabile di progetto di Cheops all’ESA. «La piattaforma del satellite e gli strumenti si sono comportati egregiamente, e sia il centro missione che il centro operazioni scientifiche hanno supportato impeccabilmente le operazioni».

L’immagine di Hd 70843, prima luce di Cheops, copre circa 1000 x 1000 pixel, e il lato di ogni pixel corrisponde e un angolo di cielo di circa 0.0003 gradi, equivalente a meno di un millesimo del diametro della Luna piena. Un dettaglio incredibile, mentre la messa “fuori fuoco” della stella aiuta Cheops a raccoglierne ancora più informazione per la curva di luce da esaminare. Crediti: Esa/Airbus/Cheops Mission Consortium.

Lanciato a dicembre 2019, Cheops – Characterising Exoplanet Satellite (satellite per la caratterizzazione degli esopianeti) – ha aperto gli occhi sull’universo alla fine di gennaio e poco dopo ha scattato le prime immagini di stelle, volutamente sfocate. La deliberata non messa a fuoco è il cuore della strategia di osservazione della missione, che migliora la precisione delle misurazioni diffondendo su molti pixel del suo rilevatore la luce proveniente da stelle lontane. E la precisione è l’elemento chiave nella ricerca di esopianeti oggi. Più di 4.000 pianeti – e in aumento – sono noti per orbitare stelle che non sono il Sole. Un proseguimento chiave è di cominciare a caratterizzare questi pianeti, fornendo informazioni sulla loro struttura, formazione ed evoluzione.

Adottare le misure necessarie per caratterizzare gli esopianeti attraverso la precisa misurazione delle loro dimensioni – in particolare quelle dei pianeti più piccoli – è esattamente la missione di Cheops. Prima di essere dichiarato pronto per questo compito, tuttavia, il piccolo satellite di 1,5 metri ha dovuto superare numerosi test. Con la prima serie dei test in volo, eseguiti tra gennaio e febbraio, gli esperti della missione hanno iniziato ad analizzare la risposta del satellite, in particolare del telescopio e del rilevatore, nell’ambiente spaziale vero e proprio. Procedendo verso marzo, Cheops si è concentrato sulle stelle già studiate. «Per misurare quanto le prestazioni di Cheops siano corrette, dovevamo prima osservare stelle le cui proprietà sono ben note, stelle che si comportano bene – scelte attentamente per essere molto stabili, senza segni di attività», commenta Kate Isaak, scienziato di progetto di Cheops all’ESA. Questo approccio ha permesso ai team all’ESA, al consorzio di missione e ad Airbus Spain – il contraente principale – di verificare che il satellite fosse preciso e stabile quanto necessario per raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi. «Il puntamento è estremamente stabile: questo significa che mentre il telescopio osserva una stella per ore mentre il satellite si muove lungo la sua orbita, l’immagine della stessa rimane sempre all’interno dello stesso gruppo di pixel del rilevatore», spiega Carlos Corral van Damme, Primo Ingegnere di Sistema dell’ESA per Cheops. «Una così grande stabilità è una combinazione delle eccellenti prestazioni dell’attrezzatura e degli algoritmi di puntamento su misura, e sarà di particolare importanza per raggiungere gli obiettivi scientifici della missione. La stabilità termica del telescopio e del rilevatore si è rivelata inoltre persino migliore di quanto necessario», aggiunge. Il periodo di messa in servizio ha dimostrato che Cheops raggiunge la precisione fotometrica richiesta e, soprattutto, ha anche dimostrato che il satellite può essere comandato dalle squadre del segmento di terra come è necessario per eseguire le sue osservazioni scientifiche. «Siamo rimasti elettrizzati quando abbiamo realizzato che tutti i sistemi funzionavano come previsto o addirittura meglio del previsto», dice lo Scienziato dello Strumento di Cheops Andrea Fortier, che ha guidato il gruppo di messa in servizio del consorzio per l’Università di Berna, Svizzera.

Tempo di esopianeti

Nelle ultime due settimane della messa in servizio in orbita, Cheops ha osservato due stelle che ospitano esopianeti mentre i pianeti “transitavano” davanti alla loro stella ospite bloccando una frazione della sua luce. Osservare i transiti di esopianeti conosciuti è ciò per cui la missione è stata costruita – per misurare le dimensioni del pianeta con una precisione e un’esattezza senza precedenti, e per determinare la loro densità combinando questa con misurazioni indipendenti della loro massa.

Uno degli obiettivi era HD 93396, una stella gialla subgigante situata a 320 anni luce di distanza, leggermente più fredda e tre volte più grande del Sole. L’obiettivo principale delle osservazioni era KELT-11b, un gonfio pianeta gassoso circa il 30% più grande di Giove, in un’orbita che è molto più vicina alla stella di quanto Mercurio lo sia al Sole. La curva della luce di questa stella ha mostrato un chiaro calo causato dal transito di otto ore di KELT-11b. Da questi dati, gli scienziati hanno determinato con precisione il diametro del pianeta: 181,600km – con un’incertezza appena inferiore a 4.300 km!

La curva di luce di HD 93396 mostra il netto calo di luminosità causato dal transito, durato otto ore, di KELT-11b, che ha permesso agli scienziati di determinare con estrema precisione il diametro del pianeta: 181.600 km. L'incertezza sulla misura è di poco inferiore a 4300 km! In questo grafico, il Sole viene mostrato come confronto, insieme al diametro della Terra e di Giove (raggio volumetrico medio). Crediti ESA/Airbus/CHEOPS Mission Consortium

Le misurazioni effettuate da Cheops sono infatti cinque volte più accurate di quelle da Terra. «Questo ci dà un assaggio di ciò che possiamo ottenere con Cheops nei mesi e negli anni a venire», spiega Willy Benz, Ricercatore Principale del consorzio della missione Cheops e professore di astrofisica all’Università di Berna.

Una revisione formale delle prestazioni del satellite e delle operazioni del segmento di terra si è tenuta il 25 marzo, e Cheops l’ha superata brillantemente. Con questo, ESA ha affidato la responsabilità della gestione della missione al consorzio guidato da Willy Benz. Fortunatamente, le attività di messa in servizio non sono state troppo influenzate dalla conseguente emergenza causata dalla pandemia di Coronavirus, che ha avuto come risultato misure di distanziamento sociale e restrizioni agli spostamenti in Europa per prevenire la diffusione del virus.

«Il segmento di terra ha lavorato fluidamente sin dall’inizio, cosa che ci ha permesso di automatizzare completamente la maggior parte delle operazioni per comandare il satellite e per trasmettere a terra i dati già nelle prime settimane dopo il lancio», spiega Carlos Corral van Damme. «Quando la crisi si è manifestata, a marzo, con le nuove norme e regolamenti che ne sono derivati, i sistemi automatizzati hanno significato che l’impatto sulla missione fosse minimo».

Attualmente Cheops è in fase di transizione verso le operazioni scientifiche di routine, che sono previste cominciare entro la fine di aprile. Gli scienziati hanno cominciato a osservare alcuni degli obiettivi scientifici iniziali – una selezione di stelle e sistemi planetari scelti per mostrare esempi di ciò che la missione può raggiungere: questi includono un pianeta “super-Terra caldo” noto come 55 Cancri e, che è ricoperto da un oceano di lava; nonché il “caldo Nettuno” GJ 436b, che sta perdendo la sua atmosfera a causa del bagliore accecante proveniente dalla sua stella ospite. Un’altra stella nella lista delle prossime osservazioni di Cheops è una nana bianca, il primo obiettivo del Programma Guest Observers dell’ESA, che offre agli scienziati del consorzio di missione l’opportunità di utilizzare e sfruttare le sue capacità di osservazione.

  • Guarda il video dedicato alla missione nel sito dell’ESA

  • Per approfondire: Alla scoperta degli esopianeti vicini di Roberto Ragazzoni Su Coelum Astronomia 236


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    Venere e il colpo di fortuna di Messenger

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    Venere catturata dalla sonda Messenger della Nasa, il 5 giugno 2007. Lo stesso giorno, lo spettrometro a neutroni di Messenger ha raccolto i dati che gli scienziati hanno successivamente scoperto rivelare dettagli sulle concentrazioni di azoto nell’atmosfera. Crediti: Nasa / Johns Hopkins Apl / Carnegie Institution of Washington
    Venere catturata dalla sonda Messenger della Nasa, il 5 giugno 2007. Lo stesso giorno, lo spettrometro a neutroni di Messenger ha raccolto i dati che gli scienziati hanno successivamente scoperto rivelare dettagli sulle concentrazioni di azoto nell’atmosfera. Crediti: Nasa / Johns Hopkins Apl / Carnegie Institution of Washington

    Il filosofo della scienza Nicholas Rescher una volta scrisse: «Le scoperte scientifiche vengono spesso fatte non sulla base di un piano ben concepito, ma grazie a un puro colpo di fortuna». Questo fenomeno è così comune che gli è stato addirittura attribuito un nome: serendipità, dal termine inglese serendipity. Per un team di ricercatori del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (Apl) di Laurel, nel Maryland, l’affermazione del filosofo tedesco non potrebbe essere più vera. Quella che è iniziata come un’esercitazione per provare gli strumenti della sonda spaziale Messenger (Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry and Ranging) della Nasa, si è trasformata in una saga durata più di 10 anni che ha portato a una scoperta del tutto fortuita e che non c’entra nulla con il pianeta obiettivo della missione, Mercurio. La scoperta riguarda Venere e la sua atmosfera, e ve la racconteremo in questo articolo.

    La storia iniziò nel giugno 2007, quando Messenger fece il suo secondo sorvolo di Venere, prima di virare verso Mercurio. All’epoca, il team strumentale colse la palla al balzo per testare gli strumenti e raccogliere dati prima del vero spettacolo, che sarebbe iniziato circa sei mesi dopo. Tra i membri del team c’era David Lawrence, un fisico nucleare dell’Apl. Era l’instrument scientist dello spettrometro a neutroni di Messenger, il sui scopo era quello di rivelare i neutroni liberati nello spazio dai raggi cosmici che si scontrano con le molecole dell’atmosfera o sulla superficie del pianeta. Lawrence cercava di trovare tracce dei neutroni provenienti dagli atomi di idrogeno delle molecole d’acqua che si sospettava essere congelata all’interno dei crateri ai poli di Mercurio. Su Venere, Lawrence voleva solo raccogliere alcuni dati per verificare che lo strumento funzionasse correttamente e questo fu ciò che fece: il controllo andò a buon fine e i dati che lo confermavano vennero presentati come tali.

    Ma nel 2010 Lawrence riguardò quelle misure, questa volta insieme a Patrick Peplowski, un altro fisico nucleare dell’Apl. Nonostante 50 anni di invio di missioni robotiche su Venere, tra cui 13 sonde atmosferiche e lander, le incertezze sulla concentrazione di azoto nell’atmosfera di Venere erano ancora molte, in particolare nella fascia tra 50 e 100 chilometri sopra la sua superficie. Questo fatto dava molto da pensare a Peplowski e Lawrence, visto che l’azoto è la seconda molecola più abbondante nell’atmosfera di Venere, dopo l’anidride carbonica.

    Lawrence sapeva di un articolo del 1962 che suggeriva come la spettroscopia di neutroni potesse aiutare a determinare la concentrazione di azoto nell’atmosfera di Venere. L’azoto è piuttosto bravo a eliminare neutroni liberi, a differenza del carbonio e dell’ossigeno, che sono tra i peggiori elementi a farlo. Quindi, su Venere, il numero di neutroni rilevati doveva dipendere dalla quantità di azoto presente in atmosfera. E guarda caso Messenger aveva raccolto proprio le informazioni che sarebbero potute servire per fare questo tipo di controllo.

    La coppia di scienziati eseguì allora una simulazione al computer, suddividendo la spessa atmosfera del pianeta (circa 100 chilometri) in bande all’interno delle quali definì la concentrazione di azoto, e modellando realisticamente il numero di neutroni che sarebbero stati rivelati dalla sonda Messenger. Poi confrontò il risultato della simulazione con i dati veri, ottenuti dalla sonda, scoprendo che la corrispondenza migliore la si aveva quando l’azoto atmosferico costituiva il 5 per cento del volume, circa una volta e mezzo quello misurato nella parte bassa dell’atmosfera. Tutti i neutroni sembravano provenire da una regione tra circa 56 e 100 chilometri sopra la superficie – esattamente dove si era riscontrata l’incertezza più grande nella misura. «È stato davvero un colpo di fortuna», ammette Peplowski. Perché sussista tale aumento di azoto ad alta quota rimane un mistero.

    Concentrazione di azoto nell’atmosfera di Venere. La nuova analisi dei dati di Messenger mostra un aumento nella concentrazione di azoto al di sopra delle nubi di Venere, a circa 50 chilometri di altezza, sovvertendo l’idea di lunga data che l’azoto sia distribuito uniformemente in tutta l’atmosfera. La linea rossa è una linea di tendenza adattata ai dati di più missioni, inclusi quelli di Messenger, che sono stati raccolti tra 60 e 100 km di altezza. Crediti: Johns Hopkins Apl

    La loro scoperta ha sollevato più di un paio di sopracciglia, racconta Peplowski. Non perché la gente non se lo aspettava, bensì perché non si era nemmeno posta il problema di andare a verificarlo. «Molti scienziati sembravano sorpresi che fosse qualcosa che valeva la pena indagare», spiega Peplowski. «L’idea che ci sia una maggiore concentrazione di azoto nell’atmosfera superiore rispetto a quella inferiore non era stata nemmeno presa in considerazione».

    Gli autori si sono trovati in quell’impasse mentre cercavano di ottenere finanziamenti per completare lo studio. Al progetto è stato negato il denaro ben tre volte, perché lo studio era considerato dai più un vicolo cieco. I dati di cui avevano bisogno per riuscire a essere più sicuri dei loro risultati arrivarono da Jack Wilson, uno scienziato dell’Apl che aveva appena analizzato gli stessi dati Messenger, nell’ambito di un altro progetto.

    Dopo che il team ebbe presentato i risultati preliminari durante una conferenza nel 2016, l’Agenzia spaziale federale russa citò il loro lavoro nella missione Venera-D, dedicata allo studio dell’atmosfera e della superficie di Venere. Attualmente, sono due le proposte di missione in esame per il Discovery Program della Nasa – Davinci+Veritas – che includono entrambe i due scienziati Apl nel loro team, e che si propongono di studiare l’atmosfera di Venere in modo più dettagliato.

    Tutto è bene quel che finisce bene, si potrebbe dire. Il 20 aprile di quest’anno il team ha infatti pubblicato su Nature Astronomy la notizia che i dati raccolti casualmente da Messenger hanno rivelato un aumento delle concentrazioni di azoto a circa 50 chilometri sopra la superficie di Venere, dimostrando che l’atmosfera del pianeta non è uniforme, come si è sempre ritenuto.

    Peplowski e Lawrence sostengono che questa scoperta, che stravolge la comprensione dell’atmosfera di Venere che ha prevalso per decenni, evidenzia la cautela che i ricercatori dovrebbero avere nel trarre conclusioni sui dati atmosferici dei pianeti. Questo soprattutto adesso, visto il crescente interesse per le atmosfere planetarie in altri sistemi solari. «Stiamo ancora imparando cose fondamentali su Venere e la sua atmosfera… ed è il nostro vicino di casa», fa notare Peplowski. «Vale la pena mettere in discussione il fatto che gli scienziati parlino con fiducia delle atmosfere degli esopianeti che si trovano a centinaia o migliaia di anni luce di distanza».

    Trarre conclusioni rigorose e convincenti richiede una vasta mole di dati. E questa vicenda ci ha insegnato che arrivare a quelle conclusioni a volte può richiedere un po’ di fortuna o, con una parola, serendipità.

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    Falce di Luna, Venere e Aldebaran a campo largo

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    La sera del 26 aprile, alle ore 21 circa, guardando verso ovest-nordovest potremo notare la presenza di una sottile falce di Luna (fase del 12%) formare un ampio triangolo con il lucente pianeta Venere (mag. –4,7) e la stella Aldebaran (Alfa Tauri, mag. +0,9), “l’occhio infuocato” del Toro celeste che attribuisce il nome alla costellazione in cui ci troviamo.

    Di questo trio celeste, di sicuro catturerà maggiormente la nostra attenzione la bella falce di Luna, per non parlare della sfavillante lucentezza che caratterizza Venere: il pianeta, che si troverà a circa 6° 20’ dalla Luna, raggiunge proprio nel periodo a cavallo tra la fine di aprile e l’inizio di maggio la maggiore luminosità. Impossibile da ignorare!

    La luce di Aldebaran, al contrario, sarà ben più flebile, ma sarà una bella occasione per notare il suo colore marcatamente arancione.

    Il giorno precedente, il 25 aprile, segnaliamo per i più temerari, la minima distanza della sottilissima falce di Luna da Aldebaran per questo mese (comunque non particolarmente stretta, di 5,5°), con le Pleiadi orma lasciate indietro oltre gli 8° più a nordovest.

    In fotografia si potrà optare per stringere l’inquadratura sulla Luna e Venere, oppure includere, in un campo più ampio, anche Aldebaran, facendone risaltare il colore, come ci racconta Giorgia Hofer nella sua rubrica

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    Il Sole in ultra Hd

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    A sinistra, un’immagine ottenuta dal Solar Dynamics Observatory della Nasa. Nel riquadro a destra, l’immagine scattata durante il volo suborbitale compiuto nel 2018 dallo High-Resolution Coronal Imager, sempre della Nasa. Crediti: University of Central Lancashire
    A sinistra, un’immagine ottenuta dal Solar Dynamics Observatory della Nasa. Nel riquadro a destra, l’immagine scattata durante il volo suborbitale compiuto nel 2018 dallo High-Resolution Coronal Imager, sempre della Nasa. Crediti: University of Central Lancashire

    Fino a poco tempo fa di alcune regioni della corona solare – lo strato più esterno esterno dell’atmosfera della nostra stella – non se ne conoscevano le caratteristiche. Nuove immagini ad altissima risoluzione, rese pubbliche dai ricercatori della University of Central Lancashire (UcLan) di Preston, nel Regno Unito, e del Marshall Space Flight Center (Msfc) della Nasa, a Redstone, negli Stati Uniti, hanno ora svelato i segreti della loro struttura.

    Le straordinarie immagini, descritte in uno studio su The Astrophysical Journal, sono state ottenute con lo High-Resolution Coronal Imager (Hi-C) della Nasa, un telescopio astronomico su razzo, progettato per acquisire immagini molto definite della corona solare. Immagini come quella che vedete qui sopra: uno degli scatti della regione attiva Ar 12712 del nostra stella, realizzati durante i 329 secondi di dati ottenuti dallo strumento durante il suo terzo volo suborbitale, effettuato il 29 maggio del 2018. Si tratta dell’immagine dell’atmosfera del Sole con la più alta risoluzione mai ottenuta.

    «Fino a ora gli astronomi solari hanno osservato la nostra stella con una definizione standard, mentre l’eccezionale qualità dei dati forniti dal telescopio Hi-C ci permette per la prima volta di studiare una zona del Sole ad altissima risoluzione», dice Robert Walsh di UcLan, responsabile del team scientifico dello strumento. «Vedetela così: se state guardando una partita di calcio in un televisore con una definizione standard, il campo di calcio vi sembrerà verde e uniforme. Guardandola in un televisore ultra Hd, ecco che saltano fuori i singoli fili d’erba».

    Un ingrandimento dell’immagine precedente che mostra ancora più in dettaglio i filamenti magnetici di plasma caldo elettrificato osservati per la prima volta nello studio. Crediti: University of Central Lancashire

    Fili d’erba che nell’immagine in ultra Hd ottenuta sono filamenti magnetici di circa 500 km di diametro mai osservati prima d’ora, all’interno dei quali fluisce gas elettrificato con temperature di milioni di gradi. Cosa crei queste strutture messe a nudo da Hi-C rimane tuttavia al momento poco chiaro. Nel futuro prossimo bisognerà dunque capire come si formino queste strutture, l’esatto meccanismo fisico che ne è alla base, e come la loro presenza possa aiutare a comprendere meglio brillamenti tempeste solari.

    L'approfondimento pubblicato in occasione del lancio di SolO, il Solar Orbiter della NASA

    A questo proposito, il team di ricercatori sta già pianificando nuovi lanci di Hi-C, questa volta sovrapponendo le osservazioni con quelle dei due veicoli spaziali che osserveranno il Sole: Parker Solar Probe della Nasa e Solar Orbiter dell’Esa.

    «Queste nuove immagini di Hi-C ci offrono una visione straordinaria dell’atmosfera del Sole», sottolinea la scienziata del Marshall Space Flight Center della Nasa Amy Winebargerprincipal investigator di Hi-C. «Insieme alle missioni in corso come Parker Solar Probe e Solar Orbiter, questa flotta di strumenti spaziali nel prossimo futuro svelerà la dinamica dello strato esterno Sole in una luce completamente nuova».

    «Questa è una scoperta affascinante che potrebbe migliorare la nostra comprensione del flusso di energia che attraversa gli strati del Sole e che può eventualmente giungere fino alla Terra», conclude Tom Williamspostdoc a UcLan e primo autore dell’articolo. «Una comprensione che è molto importante se vogliamo modellare e prevedere il comportamento della stella che ci dà la vita».

    Guarda l’animazione dell’University of Central Lancashire

    Per saperne di più

    • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Is the High-Resolution Coronal Imager Resolving Coronal Strands? Results from AR 12712”, di Thomas Williams, Robert W. Walsh, Amy R. Winebarger, David H. Brooks, Jonathan W. Cirtain, Bart De Pontieu, Leon Golub, Ken Kobayashi, David E. McKenzie, Richard J. Morton, Hardi Peter, Laurel A. Rachmeler, Sabrina L. Savage, Paola Testa, Sanjiv K. Tiwari, Harry P. Warren e Benjamin J. Watkinson

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    La danza delle stelle intorno al buco nero supermassiccio

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    Nell'immagine una rappresentazione artistica illustra la precessione dell'orbita. L'effetto, noto come precessione di Schwarzschild, è esagerato per rendere più comprensibile la visualizzazione ed è stato per la prima volta misurato per una stella attorno a un buco nero massiccio. Crediti: ESO/L. Calçada
    Nell'immagine una rappresentazione artistica illustra la precessione "a rosetta" dell'orbita. L'effetto, noto come precessione di Schwarzschild, qui esagerato per rendere più comprensibile la visualizzazione, non era mai stato misurato prima per una stella attorno a un buco nero massiccio. Il risultato si è ottenuto grazie a misurazioni sempre più precise rilevate nell'arco di 3 decenni. Crediti: ESO/L. Calçada

    Osservazioni effettuate con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno rivelato per la prima volta che una stella in orbita intorno al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea si muove proprio come previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein. L’orbita ha la forma di una rosetta e non di un’ellisse come previsto dalla teoria della gravità di Newton. Questo risultato tanto atteso è stato reso possibile da misure sempre più precise durate quasi 30 anni, che hanno permesso agli scienziati di svelare i misteri del colosso in agguato nel cuore della nostra galassia.

    La maggior parte delle stelle e dei pianeti hanno un’orbita non circolare, e quindi si avvicinano e si allontanano dall’oggetto intorno al quale ruotano. L’orbita di S2 “precede”, nel senso che la posizione del punto più vicino al buco nero supermassiccio cambia a ogni giro, in modo tale che l’orbita successiva risulti ruotata rispetto a quella precedente, creando una forma a rosetta. La relatività generale prevede con esattezza di quanto cambi l’orbita e le ultime misure di questa ricerca corrispondono esattamente alla teoria. Questo effetto, noto come precessione di Schwarzschild, non era mai stato misurato prima per una stella intorno a un buco nero supermassiccio.

    «La relatività generale di Einstein prevede che l’orbita di un oggetto legato gravitazionalmente a un altro non sia chiusa, come nella gravità newtoniana, ma preceda rispetto al piano del moto. Questo famoso effetto – osservato per la prima volta nell’orbita del pianeta Mercurio intorno al Sole – fu la prima prova a favore della Relatività Generale. Cento anni dopo abbiamo rilevato lo stesso effetto nel moto di una stella in orbita intorno alla sorgente radio compatta Sagittario A* al centro della Via Lattea. Questa svolta osservativa corrobora l’evidenza che Sagittario A* sia un buco nero supermassiccio di massa pari a 4 milioni di volte la massa del Sole», spiega Reinhard Genzel, direttore del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (MPE) di Garching, Germania e architetto del programma trentennale che ha portato a questo risultato.

    Questa simulazione mostra le orbite di stelle molto vicine al buco nero supermassiccio nel cuore della Via Lattea. Una di queste stelle, denominata S2, orbita ogni 16 anni ed è passata molto vicino al buco nero nel maggio 2018. Si tratta di un laboratorio perfetto per testare la fisica gravitazionale in ambienti estremi e in particolare la teoria della relatività generale di Einstein. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org

    A 26.000 anni luce dal Sole, Sagittarius A* e il denso ammasso di stelle che lo circonda costituiscono un laboratorio unico per verificare la fisica in un regime di gravità estremo, altrimenti inesplorato. Una di queste stelle, S2, si avvicina al buco nero supermassiccio a una distanza minima di meno di 20 miliardi di chilometri (centoventi volte la distanza tra il Sole e la Terra), rendendola una delle stelle più vicine mai trovate in orbita intorno al massiccio gigante. Al suo passaggio più ravvicinato al buco nero, S2 sfreccia nello spazio a una velocità pari a quasi il tre percento della velocità della luce, completando un’orbita ogni 16 anni.

    «Dopo aver seguito la stella nella sua orbita per quasi tre decenni, le nostre misure molto precise rilevano in modo efficace la precessione di Schwarzschild di S2 nel suo percorso intorno a Sagittarius A*», afferma Stefan Gillessen dell’MPE, che ha guidato l’analisi delle misure pubblicate oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

    Un timelapse dell'”avvicinamento” di S2 a Sgrt* A nel maggio 2018, ripresa dallo strumento GRAVITY. Crediti: ESO/GRAVITY Collaboration

    Lo studio effettuato con il VLT dell’ESO aiuta gli scienziati anche a comprendere meglio i dintorni del buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia.

    «Poiché le misure di S2 seguono così bene la relatività generale, possiamo fissare limiti rigorosi su quanto materiale non visibile, come della materia oscura diffusa oppure buchi neri più piccoli, sia presente intorno a Sagittarius A*. Tutto ciò è di grande interesse per capire la formazione e l’evoluzione dei buchi neri supermassicci», spiegano Guy Perrin e Karine Perraut, scienziati francesi convolti nel progetto.

    Questo risultato è il culmine di 27 anni di osservazioni della stella S2 utilizzando, per la maggior parte di questo tempo, una compagine di strumenti installati sul VLT dell’ESO, situato nel deserto di Atacama in Cile. Il numero di dati che individuano la posizione e la velocità della stella attesta la completezza e l’accuratezza della nuova ricerca: l’equipe ha effettuato oltre 330 misure in totale, utilizzando gli strumenti GRAVITYSINFONINACO. Poiché S2 impiega alcuni anni per compiere la propria orbita intorno al buco nero supermassiccio, è stato fondamentale seguire la stella per quasi tre decenni, al fine di svelare le complessità del moto orbitale.

    Una panoramica in luce visibile mostra la vasta quantità di stelle nella costellazione del Sagittario, in direzione del centro della Via Lattea. Un enorme numero di stelle che riempiono l'immagine, ma molte di più sono quelle nascoste dietro alle nubi di polvere e vengono rivelate solo da immagini in luce infrarossa. L'immagine è stata prodotta a partire da fotografie ottenute con luce blu e rossa che fanno parte della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Il campo di vista è di circa 3,5 gradi x 3,6 gradi. Crediti: ESO and Digitized Sky Survey 2. Acknowledgment: Davide De Martin and S. Guisard (www.eso.org/~sguisard)

    La ricerca è stata condotta da un’equipe internazionale guidata da Frank Eisenhauer dell’MPE con collaboratori provenienti da Francia, Portogallo, Germania ed ESO. L’equipe forma la collaborazione GRAVITY, che prende il nome dallo strumento sviluppato per l’interferometro del VLT, che combina la luce di tutti e quattro i telescopi da 8 metri del VLT in un super-telescopio (con una risoluzione equivalente a quella di un telescopio di 130 metri di diametro).

    La stessa squadra ha pubblicato nel 2018 un altro effetto previsto dalla relatività generale: hanno osservato che la lunghezza d’onda della luce di S2 veniva allungata a lunghezze d’onda più lunghe quando la stella passava vicino a Sagittarius A*. «Il nostro risultato precedente ha dimostrato che la luce emessa dalla stella obbedisce alla relatività generale. Ora abbiamo dimostrato che la stella stessa è soggetta agli effetti della relatività generale», afferma Paulo Garcia, ricercatore presso il Centro portoghese di astrofisica e gravitazione e uno dei principali scienziati del progetto GRAVITY.

    Con il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, l’equipe ritiene di essere in grado di vedere stelle molto più deboli in orbite ancora più vicine al buco nero supermassiccio. «Se siamo fortunati, potremmo catturare stelle abbastanza vicine da risentire addirittura della rotazione, lo spin, del buco nero», commenta Andreas Eckart dell’Università di Colonia, un altro dei principali scienziati del progetto. Ciò significherebbe che gli astronomi sarebbero in grado di misurare le due quantità, spin e massa, che caratterizzano il buco nero di Sagittarius A* e definire lo spazio e il tempo intorno a esso. «Sarebbe nuovamente una verifica della relatività a un livello completamente diverso», conclude.

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    Oh oh, abbiamo rotto la cometa aliena

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    Il nucleo della cometa 2I/Borisov ripreso da Hst il 23, 28 e 30 marzo 2020: si nota chiaramente un aspetto progressivamente più allungato passando dal 23 al 30 marzo 2020. Crediti: Hubble Space Telescope

    I lettori probabilmente ricorderanno la storica scoperta della prima cometa interstellare, avvenuta il 30 agosto 2019 grazie al lavoro dell’astrofilo Gennady Borisov e che da lui prende il nome: la 2I/Borisov.

    Lo speciale pubblicato in occasione della scoperta su Coelum Astronomia 237. In formato digitale e gratuito: clicca sull'immagine e leggi!

    Si tratta del secondo oggetto interstellare noto che si sta muovendo nel Sistema solare, il primo a essere stato individuato fu l’asteroide 1I/’Oumuamua il 18 ottobre 2017. Attualmente la cometa Borisov, dopo avere fatto il passaggio al perielio a circa 2 unità astronomiche (Ua) dal Sole l’8 dicembre 2019, è in rapida fase di allontanamento sia dal Sole sia dalla Terra. Dal Sole dista già 500 milioni di km, mentre dal nostro pianeta la separa una distanza di 400 milioni di km. In effetti la cometa si trova già abbondantemente al di sotto del piano dell’Eclittica (circa 2 Ua), ossia ha lasciato la zona di spazio dove si muovono i pianeti e si sta apprestando a rituffarsi nello spazio interstellare con una velocità residua che sarà di ben 32 km/s – quasi il doppio della velocità della sonda Voyager 2, che sta lasciando il Sistema aolare alla velocità di circa 17 km/s.

    Il nucleo della cometa 2I/Borisov ripreso da Hst il 23, 28 e 30 marzo 2020: si nota chiaramente un aspetto progressivamente più allungato passando dal 23 al 30 marzo 2020. Crediti: Hubble Space Telescope

    In questi mesi gli astronomi hanno seguito la cometa per studiarla e confrontarla con le comete del Sistema solare e ci sono degli sviluppi interessanti, per ora pubblicati sotto forma di telegrammi astronomici ma a cui seguirà l’articolo scientifico vero e proprio. La vicenda inizia con il telegramma ATel #13611, pubblicato il 2 aprile 2020 da David Jewitt (Ucla) e colleghi, dove si fa un confronto fra alcune immagini della Borisov riprese con il telescopio spaziale Hubble (Hst) alla fine di marzo.

    L’immagine del 23 marzo 2020 mostra, all’interno della chioma della cometa, un singolo nucleo luminoso simile a quello osservato in tutte le precedenti immagini di Hst. Al contrario, le immagini del 30 marzo 2020 mostrano un nucleo allungato di aspetto non stellare. Una morfologia di questo tipo è compatibile con la presenza di due componenti non risolte separate da 0,1 secondi d’arco (equivalenti a circa 180 km alla distanza della cometa) e allineate con l’asse principale della chioma.

    La cometa Borisov ripresa il 3 aprile 2020 da Hst mostra di nuovo un nucleo singolo e una tenue nebulosità (in alto in questa immagine) al posto del frammento secondario. Crediti: Hubble Space Telescope

    Va osservato che il nucleo visibile nelle immagini non è il vero nucleo della cometa (che ha un diametro stimato dell’ordine del 1 km), ma la parte più interna e luminosa della chioma che avvolge direttamente il nucleo vero e proprio. Questa duplicità è compatibile con l’espulsione di un frammento macroscopico da parte del nucleo, fatto confermato anche dalle immagini Hst del 28 marzo. Evidentemente il nucleo della cometa – già abbastanza fragile di suo – non ha resistito all’attività di sublimazione dopo il passaggio al perielio e si è frammentato.

    Venerdì 3 aprile 2020, un ulteriore telegramma di Bryce T. Bolin (Caltech/Ipac) e colleghi (ATel #13613) fa notare come il moto e la separazione angolare del frammento (che ha una dimensione stimata dell’ordine di 100 metri) sia compatibile con un’espulsione avvenuta il 7 marzo 2020, data in cui la cometa ebbe un improvviso aumento di luminosità di circa 0,7 magnitudini. In effetti, quando si stacca un frammento macroscopico da un nucleo cometario nuovo materiale volatile viene esposto in superficie e si può avere un improvviso aumento del tasso di sublimazione che porta a un outburst dell’attività nucleare. Se l’espulsione si è verificata attorno al 7 marzo, la velocità stimata di allontanamento del frammento è dell’ordine di 0,5 m/s. Velocità dello stesso ordine di grandezza si misurano anche nelle comete del Sistema solare che si frammentano quando passano al perielio, ed è paragonabile alla velocità di fuga del nucleo della Borisov

    Ma la vicenda non finisce qua. Un ulteriore telegramma risalente a ieri, lunedì 6 aprile 2020, a firma di Qicheng Zhang (Caltech) e colleghi (ATel #13618), riporta la scomparsa del frammento che non è più visibile in immagini riprese da Hst il 3 aprile 2020. Al suo posto è visibile una nebulosità diffusa, segno che questo pezzo del nucleo della Borisov si è disintegrato completamente. L’andamento della frammentazione del nucleo della Borisov viene continuamente monitorata dagli astronomi, non è esclusa l’espulsione di ulteriori frammenti.

    Leggi anche

    Gli astrofili italiani alla ricerca della prima cometa interstellare di Paolo Bacci su Coelum Astronomia 237


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    C/2019 Y4 ATLAS. Una cometa in frantumi

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    Ningbo Education Xinjiang Telescope (NEXT)
    Nelle immagini riprese il 2 e il 5 aprile, dal Ningbo Education Xinjiang Telescope (NEXT), si vede lo pseudo nucleo della cometa allungato nel verso della coda di polveri, si legge nel comunicato su The Astronomer's Telegram: una morfologia consistente con un calo o l'improvvisa interruzione di produzione di polveri, come ci si aspetterebbe da una distruzione del nucleo. Crediti: Quanzhi Ye (University of Maryland) and Qicheng Zhang (Caltech).

    Cari amici appassionati del cielo stellato e di comete in particolare, ancora una volta prepariamoci purtroppo a riporre i nostri sogni nel cassetto.

    Nel numero attualmente on line di Coelum, nella apposita rubrica, la protagonista principale è la C/2019 Y4 ATLAS, che descrivo come molto promettente. Le stime più prudenti degli esperti infatti, prima degli ultimi avvenimenti che stiamo per raccontarvi, prevedevano il raggiungimento a maggio della visibilità ad occhio nudo. Ma altre stime disegnavano scenari ancora più interessanti, con l’ oggetto a brillare di magnitudine negativa.

    Ebbene, né l’una né l’altra opzione si avvereranno, dato che la cometa si sta disgregando rapidamente.

    Dopo un calo a metà marzo, la ATLAS si era ripresa ma nei primi giorni di aprile la crescita si è nuovamente arrestata. Successivamente si è registrato dapprima un calo di attività e poi un allungamento del nucleo, segno che la cometa sta andando in frantumi, così come le nostre speranze di poter finalmente osservare dopo tanto tempo una oggetto luminoso.

    Per il momento la ATLAS è ancora osservabile con strumenti di modesto diametro, ma l’impressione, quasi una certezza, è che in breve svanirà.

    Molto interessante, nelle riprese del britannico Nick Haigh riportate nel twit qui a fianco, la rilevazione di un grosso frammento a ridosso del nucleo principale.

    Tornando indietro di un paio di mesi, possiamo ora sospettare che l’aumento improvviso e repentino di luminosità avvenuto a quel tempo fosse un inizio sulla sua fragilità. Probabilmente il nucleo, con l’avvicinamento al Sole, iniziava ad essere sollecitato in modo importante e lo è stato sempre di più con il passare del tempo e la diminuzione della distanza. Data l’orbita simile, l’ ”astro chiomato” è stato associato a una grande cometa del passato, la C/1844 Y1, di cui è probabilmente un frammento.
    Se è così già la madre doveva avere nel suo DNA problemi di fragilità ereditati dalla ATLAS.

    In attesa degli eventi che ci daranno un definitivo responso sul destino dell’oggetto, invito gli appassionati a monitorare la cometa approfittando anche della sua posizione favorevolissima in
    cielo. Qui trovate i dettagli e la cartina per l’osservazione.

    Chiudo con un report stilato nella serata del 10 aprile dopo averla osservata con un riflettore da 20 cm di diametro a 55x: “Deboluccia ma ancora piuttosto facile. Noto un involucro tenue e piuttosto esteso al cui interno, con sguardo distolto, si allunga una codina molto sottile”.


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    Astronomiamo

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    Loc-Coelum-Aprile2020

    Web astronomy, tutti in un abbraccio

    16.04: BepiColombo

    23.04: OSIRIS-REX

    Informazioni su

    https://www.astronomiamo.it

    Tre mattine con Luna, Giove, Saturno e Marte

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    Un balcone, un terrazzo, una finestra… Ogni sera il cielo attende il nostro sguardo e ci offre uno spettacolo impareggiabile. In queste tiepide sere di primavera riscopriamo la bellezza della volta stellata. AFFACCIATEVI!

    La mattina dei giorni che vanno dal 14 al 16 aprile, alle ore 5:30 circa, potremo osservare una bella congiunzione, in evoluzione nell’arco delle giornate segnalate, tra il Quarto di Luna e i pianeti Giove, Saturno e, infine, Marte. Il teatro di questa congiunzione su più giorni sarà costituito dalla regione di cielo tra il Sagittario e il Capricorno.

    Si inizia la mattina del 14 aprile, con la Luna (fase del 58%) che si mostra più a ridosso delle maggiori stelle del Sagittario, quelle che compongono la famosa “teiera”, in avvicinamento (largo) al brillante pianeta Giove (mag. –2,2), che possiamo vedere 10° più verso est, a un’altezza sull’orizzonte di circa 21°. Spostando il nostro sguardo ancor più verso est, in sequenza troviamo i pianeti Saturno (mag. +0,6) e Marte (mag. +0,6), molto più basso sull’orizzonte di sudest, a circa 16°.

    Nei giorni seguenti potremo notare facilmente (ma una sequenza fotografica opportunamente realizzata nei tre giorni lo metterà in evidenza) lo spostamento significativo della Luna e, in minor misura di Marte, mentre Giove e Saturno sembreranno praticamente non essersi mossi. Il giorno 15 il Quarto di Luna (fase del 48%) si sarà posizionata molto più vicina a Giove e Saturno, a formare quasi un triangolo, distanziandoli rispettivamente di circa 3° 50’ e 4° 25’.

    Il giorno 16, sempre alla stessa ora, vedremo la Luna assomigliare sempre più a una falce (fase del 38%) e, questa volta, entrata nel Capricorno, si troverà più vicina al pianeta Marte, che ci apparirà come una stellina di colore marcatamente arancione. Luna e Marte si troveranno a una distanza di circa 2° 50’.

    Consigli per l’osservazione delle formazioni lunari proprio in questi giorni li trovate anche nella Luna di Aprile, su Coelum Astronomia 243, come sempre in formato digitale e completamente gratuito.


    Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 243

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    La Luna di Aprile 2020 e l’osservazione dal settore sudovest verso nord (I parte)

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    La Superluna dell'8 aprile sul Borgo di Palidoro (RM). Una foto realizzata da Eleonora D'angelo e Giovanni Esposito ed elaborata da Giuseppe Conzo del Gruppo Astrofili Palidoro: "per dire che il nostro è un paese meraviglioso!". Anche dal balcone di casa... aggiungiamo noi! (per i dettagli di ripresa cliccare sull'immagine).)
    La Superluna dell'8 aprile sul Borgo di Palidoro (RM). Una foto realizzata da Eleonora D'angelo e Giovanni Esposito ed elaborata da Giuseppe Conzo del Gruppo Astrofili Palidoro: "per dire che il nostro è un paese meraviglioso!". Anche dal balcone di casa... aggiungiamo noi! #ilcieloacasa > bit.ly/ilcieloacasa (Per i dettagli di ripresa cliccare sull'immagine).

    Il mese si è aperto con la Luna che alle 12:21 del 1 aprile era in Primo Quarto perfettamente osservabile a un’altezza iniziale +66° per tutta la serata fino a notte inoltrata.  Al termine di questa fase crescente, dopo il transito in meridiano delle 01:22 a +41°, alle 04:35 dell’8 aprile il nostro satellite ha passato la fase di Plenilunio alla distanza di 354.192 km dalla Terra, che ha permesso di farla chiamare su tutti i media con l’appellativo ormai sdoganato di Superluna, e tantissime sono le immagini che ci sono arrivate.

    Ve ne mostriamo un assaggio in questa pagina, ma ricordate sempre di sfogliare le pagine sulla rivista con le vostre magnifiche foto!

    ➜ Gallery PhotoCoelum di aprile

    Passiamo quindi al giorno 15 quando alle 00:56 il nostro satellite sarà in fase di Ultimo Quarto a un’altezza di –23° sotto l’orizzonte. Chi intendesse osservare questa sempre interessante fase lunare, dovrà attendere soltanto poche ore quando, alle 03:23, sorgerà accompagnata dai pianeti Giove (a 3°30′) e Saturno (a 4°40′) seguita poi da Marte alla distanza di 12°, il tutto con lo sfondo delle stelle di Capricorno e Sagittario.

    Una magnifica elaborazione di Cristian Fattinanzi, una cosiddetta "mineral moon"ottenuta dalla di fusione tra la Superluna ripresa la notte del 7 aprile e il Primo Quarto (abbondante) ripreso 5 giorni prima. "Per eseguire questa fusione, ho dovuto correggere anche la rotazione dovuta alla librazione lunare con un comando di rendering sferico 3D che avevo in una vecchia versione di Photoshop e non più presente nelle recenti versioni. Questo passaggio è stato indispensabile per sovrapporre perfettamente i crateri delle due immagini. Il risultato ottenuto permette di apprezzare il terminatore, ricco di crateri in luce radente, ma anche la parte in ombra del disco lunare, con una forte effetto tridimensionale che fa apparire la Luna con la sua reale forma sferica".

    Per gli appassionati di osservazioni (notturne…) lunari, anche la fase di Ultimo Quarto può riservare notevoli soddisfazioni, con la possibilità di andare alla ricerca di un’infinita quantità di dettagli delle innumerevoli strutture superficiali e della variegata morfologia lunare, avendo a disposizione tutto il settore occidentale del nostro satellite fino all’estremo bordo ovest, al confine con l’altro emisfero.

    Dalle immense distese basaltiche di Procellarum, Imbrium, Nubium e Humorum fino ai vasti altipiani ricchi di strutture crateriformi apprezzando il netto contrasto dell’albedo determinato dalla natura dei differenti materiali che ricoprono queste enormi regioni della Luna.

    Continua, con maggiori dettagli, in la Luna di aprile su Coelum Astronomia 243 (digitale e gratuito)

    Ad aprile osserviamo

    28 e 29 aprile Dal settore sudest verso nord (Parte 1)

    La principale proposta osservativa del mese in corso ci porta a visitare le strutture crateriformi partendo dall’estremo bordo lunare sud orientale, spostandoci poi progressivamente in direzione nord, osservazioni suddivise nelle due serate del 28 e 29 aprile seguendo la linea del terminatore nel suo lento avanzare sulla superficie della Luna.

    Per inquadrare il settore lunare oggetto delle nostre attenzioni, basterà orientare il telescopio in prossimità della cuspide meridionale e da lì spostarsi verso est-nordest in prossimità del bordo lunare sudorientale al confine con l’altro emisfero.

    ➜ Leggi la guida dell’osservazione dal settore sudest verso nord (Parte 1)

    Falci di Luna

    Proseguono i consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci lunari di aprile sul numero 243. Si dovranno attendere i giorni prima e dopo il Novilunio del 23 aprile.

    E ci raccomandiamo… osserviamo sempre dal balcone di casa!

    ➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

    Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2020

    Consultate sempre le passate puntate della rubrica, perché molte formazioni sono già state già trattate anche in dettaglio.


    Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 243

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    Accademia delle Stelle

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    2020-04 Coelum AdS

    2020-04 Coelum AdS

    Riprendono su piattaforma telematica i Corsi online!

    Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno sempre online a disposizione dei corsisti.
    Iscrizione e riduzioni sul sito.

    Da lunedì 20 aprile: Corso avanzato di Astronomia e Astrofisica
    Approfondiamo la fisica dei fenomeni astronomici: dalla gravità alla meccanica quantistica, dall’elettromagnetismo alle dimensioni dell’Universo

    Da giovedì 30 aprile: Archeoastronomia e Astronomia culturale
    Per scoprire le conoscenze astronomiche degli Antichi e l’importanza che l’astronomia ha avuto nella cultura umana di tutte le epoche

    Informazioni:
    https://accademiadellestelle.org/
    https://www.facebook.com/accademia.dellestelle/

    Ecco cosa c’è al cuore del quasar 3C 279

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    Rappresentazione artistica del centro brillante una galassia distante, il quasar 3C 279 che contiene un buco nero supermassiccio con una massa circa un miliardo di volte quella del Sole. È così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato più di 5 miliardi di anni per raggiungerci. Credit: Eso/M. Kornmesser
    Rappresentazione artistica del centro brillante una galassia distante, il quasar 3C 279 che contiene un buco nero supermassiccio con una massa circa un miliardo di volte quella del Sole. È così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato più di 5 miliardi di anni per raggiungerci. Credit: Eso/M. Kornmesser

    La collaborazione scientifica internazionale Event Horizon Telescope (Eht), che ha realizzato la famosissima prima immagine di un buco nero, ora è riuscita a ritrarre, con un livello di dettaglio inedito, il quasar 3C 279, un getto relativistico originato probabilmente dalle vicinanze di un buco nero supermassiccio. La tecnica utilizzata da Eht, chiamata interferometria a base molto lunga (Vlbi), ha permesso agli scienziati di studiare la morfologia su scala fine del getto vicino alla sua base, dove si pensa abbia origine un’emissione di raggi gamma molto variabile. I risultati sono pubblicati nel numero di Astronomy and Astrophysics del 7 aprile. La collaborazione Eht continua così a estrarre informazioni fondamentali dalla eccezionale raccolta dati della campagna osservativa globale condotta nell’aprile 2017.

    L'articolo pubblicato in occasione della prima immagine di un buco nero da EHT. In formato digitale e gratuito: clicca sull'immagine e leggi!

    «Ogni volta che apriamo una nuova finestra osservativa sul nostro universo, esso ci regala nuove emozioni», commenta Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice all’Infn e professore all’Università Federico II di Napoli, membro della Collaborazione Eht. «Il risultato ottenuto ci permette ora di avere una maggiore comprensione della natura e dei processi fisici alla base di queste enormi sorgenti di energia: siamo riusciti ad aggiungere un altro tassello al grande puzzle della storia dell’universo».

    «Comprendere in dettaglio i processi fisici legati alla formazione dei getti relativistici, e il meccanismo di accelerazione e collimazione di questi ultimi, ha rappresentato, da 50 anni a questa parte, uno dei principali filoni di ricerca dell’astrofisica moderna», spiega Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam, principale partner europeo di Eht. «Oggi, grazie al progetto Eht, possiamo avere finalmente accesso alla base di questi getti giganteschi, che si propagano per migliaia e alle volte milioni di anni luce, e capire la loro relazione fisica dal buco nero centrale».

    3C 279, obiettivo di questo studio, è una galassia nella costellazione della Vergine, che gli scienziati classificano come quasar (contrazione di quasi-stellar, cioè sorgente “quasi stellare”) perché al suo centro brilla un punto di luce ultra-luminoso e variabile quando enormi quantità di gas e stelle cadono all’interno del un gigantesco buco nero che si trova al suo centro. Il buco nero, la cui massa è circa un miliardo di volte quella del Sole, “ingoia” le stelle e il gas che si avvicinano al suo potente disco di accrescimento per poi espellerne una parte del gas in due sottili getti di plasma a velocità vicine alla velocità della luce.

    La rete di radiotelescopi di Eht. Crediti: Eso/O. Furtak

    Questo processo racconta di enormi forze in gioco al suo centro e ora i telescopi di Eht ne mostrano i dettagli, i più nitidi di sempre, con una risoluzione più fine di un anno luce, riuscendo a vedere sia il getto (fino al disco di accrescimento), sia il getto e il disco stessi mentre sono in azione. I dati recentemente analizzati mostrano che il getto, normalmente diritto, ha invece alla base un’inaspettata forma contorta. Inoltre, per la prima volta si osservano delle strutture perpendicolari al getto, che potrebbero essere interpretate come il disco di accrescimento dai cui poli vengono espulsi i getti. Confrontando le immagini nei giorni successivi, si vedono queste strutture cambiare nei minimi dettagli, quindi forse quello che si osserva è la rotazione del disco di accrescimento e della materia che viene disintegrata e cade, un processo che, oltre all’espulsione del getto, in precedenza non era mai stato visualizzato dal vero ma solo tramite simulazioni numeriche.

    «I risultati di Eht hanno rivelato la parte più interna del getto di 3C 279, già osservato su grande scala a lunghezze d’onda maggiori con tecniche Vlbi», spiega Kazi Rygl, ricercatrice Inaf a Bologna nel team scientifico di Eht, che ha lavorato con la collega Elisabetta Liuzzo alla calibrazione dei dati. «Questo nuovo studio ci permette di comprendere meglio i processi fisici e la struttura dei getti nei nuclei galattici attivi».

    I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono Alma, Apex, il telescopio Iram da 30 metri, il James Clerk Maxwell Telescope, il Large Millimeter Telescope, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. I telescopi lavorano insieme usando una tecnica chiamata interferometria di base molto lunga (Vlbi), che sincronizza gli osservatori distribuiti in varie parti del mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per formare un enorme telescopio delle dimensioni della Terra. La tecnica Vlbi consente a Eht di raggiungere una risoluzione di 20 micro-secondi d’arco, equivalente alla risoluzione che servirebbe a individuare dalla Luna un’arancia sulla Terra. I dati “grezzi” acquisiti dai singoli telescopi sono combinati usando super-computer specifici (chiamati correlatori), ospitati dall’Mpifr di Bonn e dall’Osservatorio Haystack del Mit, i quali forniscono in uscita dei dati “correlati” da cui è possibile ricostruire un’immagine della sorgente radio osservata.

    La campagna di osservazione dell’Eht di marzo/aprile 2020 è stata annullata a causa dell’epidemia globale Covid-19. La collaborazione Eht è ora impegnata a pianificare i prossimi passi, sia delle nuove osservazioni sia dell’analisi dei dati già raccolti.

    Per saperne di più:

    Guarda il servizio video di MediaInaf Tv:


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    BepiColombo: il 10 aprile lo swing-by attorno alla Terra

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    Le principali tappe del viaggio di BepiColombo verso Mercurio. ESA
    Le principali tappe del viaggio di BepiColombo verso Mercurio. ESA

    BepiColombo, lanciata nel 2018, sta attualmente orbitando attorno al Sole a una distanza simile a quella della Terra.
    Il 10 aprile, verso le 06:25 ora italiana, si avvicinerà al nostro pianeta alla distanza di soli 12.700 chilometri (che è molto inferiore rispetto all’altitudine a cui si trovano molti satelliti terrestri).

    BepiColombo è composta da due veicoli spaziali separati: L’ESA ha sviluppato il Mercury Planetary Orbiter (MPO) mentre la Japan Aerospace Exploration Agency JAXA ha fornito il Mercury Magnetospheric Orbiter (Mio). Il primo studierà la superficie e la composizione interna del pianeta; il secondo, la magnetosfera di Mercurio.
    I due orbiter sono impilati in cima al Mercury Transfer Module (MTM) realizzato dall’ESA che fornisce la propulsione a ioni e altri servizi non necessari per la missione vera e propria. Entrambi sono parzialmente oscurati dall’MTM stesso ma il team europeo ritiene di poter accedere a 8 degli 11 strumenti scientifici di MPO durante lo swing-by (potete trovare la panoramica completa del payload in un precedente post su aliveuniverse.today). La vista di Mio sarà, invece, per lo più bloccata dal parasole ma alcuni alcuni sensori saranno comunque attivati.

    Mantenendo la distanza sociale prevista dalle restrizioni COVID-19 e tutti i dispositivi di protezione personali necessari, la squadra dell’European Space Operations Centre (ESOC) a Darmstadt (Germania), è al lavoro già da due settimane per preparare le sequenze di comando da inviare alla navicella e pianificare uno dei momenti peggiori di tutta la manovra, l’eclissi, ossia quei 34 minuti in cui i pannelli solari di BepiColombo non riceveranno energia.

    La Terra e Lanua catturate da BepiColombo a marzo 2020.

    La sonda è dotata anche di 3 telecamere GoPro per collezionare selfie mentre si avvicina alla Terra.

    «Al momento del sorvolo, BepiColombo avrà percorso quasi 1,4 miliardi di km da quando è stata lanciata ad ottobre 2018. Eppure, passando ad un’altitudine di soli 12.700 km, arriverà entro un paio di migliaia di chilometri dell’esosfera del nostro pianeta, lo strato più esterno dell’atmosfera, dandoci l’ultima possibilità di salutarci e dirci addio».

    «Questa è l’ultima volta in cui vedremo BepiColombo dalla Terra», spiega Joe Zender, vice scienziato del progetto BepiColombo all’ESA. «Dopodiché andrà più in profondità nel Sistema Solare interno».

    Durante il sorvolo, la sonda non sarà visibile a occhio nudo perché raggiungerà una magnitudine apparente pari a 8 ma potrà essere osservata dagli astronomi e astrofili terrestri con l’ausilio di telescopi, binocoli o macchine fotografiche: l’emisfero sud avrà la visuale migliore ma anche l’Europa meridionale potrebbe scorgere BepiColombo bassa all’orizzonte.

    Ulteriori dettagli sulla visibilità del passaggio dalla vostra località possono essere reperiti sul sito di  Haevens Above.


    Il tragitto del passaggio della sonda nel fly by con la Terra. ESA

    Il sorvolo della Terra del 10 aprile è solo il primo delle nove manovre di gravità assistita che attendono BepiColombo durante il suo viaggio di 7 anni verso Mercurio.
    A ottobre, la navicella eseguirà il primo dei due swing-by su Venere, mentre i restanti sei avverranno tutti direttamente attorno a Mercurio.

    BepiColombo arriverà a Mercurio alla fine del 2025. La missione scientifica inizierà tre mesi dopo, quando Mio e MPO si separeranno dal Mercury Transfer Module ed entreranno nelle rispettive orbite target.

    © Copyright Alive Universe

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    Astrochannel: seminari e coffee-talk

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    Una TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
    Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

    OA Napoli, 08/04/2020 @ 11:15
    Italo Testa
    (Università di Napoli), “Relazione tra metacognizione e conoscenza disciplinare in astronomia”
    IASF Milano, 29/04/2020 @ 14:00
    Marco Malaspina & Marco Galliani
    (Inaf), “Media Inaf e Ufficio stampa Inaf: a chi servono, come funzionano”
    Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
    Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

    Planetario di Torino

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    home-infinitoIl planetario Infini.to è chiuso al pubblico, rispettando le direttive per il contenimento dell’epidemia, ma vogliamo continuare a raccontarvi la meraviglia del cielo. Approfittiamo di queste settimane in cui #restiamoacasa e vi parliamo di stelle, costellazioni e pianeti. Potete trovare video, interviste, racconti e risorse per bambini direttamente sul nostro sito divisi in tre principali categorie: Kids, I racconti del Cielo e News dallo Spazio
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    Raro buco nero di “taglia M” scovato da Hubble

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    Nuovi dati del telescopio spaziale Hubble della Nasa/Esa hanno fornito la prova finora più forte dell’esistenza dei buchi neri di massa intermedia nell'universo. Hubble conferma che questo buco nero di massa intermedia risiede all'interno di un denso ammasso stellare. Crediti: ESA/Hubble, M. Kornmesser
    Nuovi dati del telescopio spaziale Hubble della Nasa/Esa hanno fornito la prova finora più forte dell’esistenza dei buchi neri di massa intermedia nell'universo. Hubble conferma che questo buco nero di massa intermedia risiede all'interno di un denso ammasso stellare. Crediti: ESA/Hubble, M. Kornmesser

    Si dice sempre che i buchi neri sono di due tipi: quelli stellari, più piccoli e meno massicci, e quelli supermassicci, grandi e grossi, al centro delle galassie. Tra i due tipi estremamente diversi, ce ne potrebbe essere un terzo, quello dei buchi neri di massa intermedia (Imbh).

    I buchi neri di massa intermedia sono un “anello mancante” a lungo ricercato, di cui oggi sono stati trovati solo alcuni candidati. Sono più piccoli dei buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei delle grandi galassie, ma più grandi dei buchi neri di massa stellare formati dal collasso di stelle massicce.

    L’oggetto di un nuovo studio pubblicato su Astrophysical Journal Letters, è un buco nero la cui massa è di oltre 50mila volte la massa del Sole.

    Purtroppo per noi, i buchi neri di massa intermedia sono piuttosto difficili da trovare. «Sono oggetti molto sfuggenti ed è fondamentale considerare attentamente, ed eventualmente escluderle, spiegazioni alternative per ciascun candidato. Questo è ciò che Hubble ci ha permesso di fare con il nostro candidato», spiega Dacheng Lin dell’Università del New Hampshire, primo autore dello studio. Lin e il suo team hanno utilizzato il telescopio spaziale Hubble per fare un follow-up ottico delle osservazioni X effettuate da Chandra della Nasa e dalla missione Xmm-Newton dell’Esa.

    «L’aggiunta di ulteriori osservazioni a raggi X, ci ha permesso di comprendere la produzione totale di energia», aggiunge Natalie Webb, membro del team dell’Università di Tolosa in Francia. «Questo ci ha aiutato a capire il tipo di stella che è stata distrutta dal buco nero». Nel 2006 questi satelliti ad alta energia hanno rilevato un potente bagliore a raggi X, ma non era chiaro se provenisse dall’interno o dall’esterno della nostra galassia. I ricercatori lo hanno attribuito a una stella distrutta dopo essersi avvicinata troppo a un oggetto compatto, gravitazionalmente molto potente, come un buco nero.

    Hubble scopre un buco nero in un luogo inaspettato. Crediti: Nasa/Esa e G. Bacon (STScI)
    Sorprendentemente, la sorgente a raggi X – chiamata 3Xmm J215022.4-055108 – non si trovava al centro di una galassia, dove normalmente risiedono enormi buchi neri, e questo ha fatto sperare che il colpevole dell’emissione fosse un buco nero di massa intermedia. Tuttavia, prima di esserne certi, si doveva escludere altre possibili sorgenti di radiazione X, quale ad esempio una stella di neutroni della nostra galassia.

    Hubble è stato puntato in direzione della sorgente X, per riuscire a individuarla e capire esattamente la sua posizione. Le immagini ad alta risoluzione hanno confermato che i raggi X non provenivano da una sorgente isolata nella nostra galassia, bensì da un ammasso stellare distante e denso alla periferia di un’altra galassia, che è proprio il posto ideale in cui gli astronomi si aspettavano di trovare l’evidenza di buchi neri di massa intermedia.

    Osservazioni precedenti effettuate con il telescopio spaziale Hubble, avevano dimostrato che più è massiccia la galassia, più massiccio è il suo buco nero. Pertanto, questo nuovo risultato suggerisce che l’ammasso stellare che ospita 3Xmm J215022.4-055108 potrebbe essere ciò che è rimasto del nucleo di una galassia nana di bassa massa, che è stata distrutta dall’interazione gravitazionale con la sua attuale galassia ospite.

    I buchi neri di massa intermedia sono particolarmente difficili da trovare perché sono più piccoli e meno attivi dei buchi neri supermassicci. Non hanno fonti di combustibile prontamente disponibili, né hanno una forza gravitazionale sufficientemente forte da poter attrarre costantemente stelle e altro materiale cosmico e produrre di conseguenza il bagliore che ci permetterebbe di rivelarle. Gli astronomi devono quindi riuscire a catturare un Imbh in flagrante, nell’atto piuttosto raro di divorare una stella.

    Questa immagine del telescopio spaziale Hubble evidenzia la posizione di un buco nero di massa intermedia oggetto dello studio, la cui massa è 50mila volte la massa del. Il buco nero, chiamato 3Xmm J215022.4-055108, è indicato dal cerchio bianco. Le immagini ad alta risoluzione di Hubble mostrano che il buco nero risiede in un denso ammasso stellare, ben al di fuori della nostra galassia. Questa foto è stata scattata con la Advanced Camera for Surveys di Hubble. Crediti: Nasa, Esa e D. Lin (Università del New Hampshire)
    Lin e i suoi colleghi hanno esaminato l’archivio dei dati di Xmm-Newton, cercando tra centinaia di migliaia di sorgenti, a caccia di prove tangibili di questo candidato Imbh. Una volta trovate, il bagliore X generato dalla stella distrutta dal buco nero ha permesso agli astronomi di stimare la massa del buco nero stesso.

    Confermare un Imbh apre la porta alla possibilità che ve ne siano molti altri, nascosti nel buio, in attesa di divorare una stella troppo audace che passa nelle vicinanze. Lin intende continuare questo meticoloso lavoro investigativo, usando i metodi sviluppati dal suo team, che finora hanno avuto successo. «Studiare l’origine e l’evoluzione dei buchi neri di massa intermedia», dice Webb, «fornirà finalmente una risposta su come sono nati i buchi neri supermassicci, che troviamo nei centri delle galassie massicce».

    I buchi neri sono uno degli ambienti più estremi che conosciamo e rappresentano un banco di prova per le leggi della fisica e per la nostra comprensione dell’universo. Ma come si formano i buchi neri di massa intermedia? E i buchi neri supermassicci, prima erano buchi neri di massa intermedia? La loro casa preferita sono i densi ammassi stellari? Gli astronomi hanno compreso un mistero, ma come vedete le domande che richiedono una risposta sono ancora tantissime.

    Per saperne di più:

    Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:


    #ilcieloacasa #iorestoacasa a osservare le stelle
    Astronomia da casa

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    Coelum Astronomia di Aprile 2020
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    #ilcieloacasa Venere e Pleiadi, la congiunzione perfetta!

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    Volgendo il nostro sguardo verso ovest-sudovest, già dalla prima serata del 3 aprile potremo ammirare una particolare congiunzione tra il pianeta Venere, brillantissimo (mag. –4,6), e l’ammasso delle Pleiadi (M 45) nel Toro.

    In alto, una ricostruzione naturalistica di ciò che potremo osservare nella tarda serata del 3 aprile, un paio d’ore circa prima del momento del massimo avvicinamento, quando la brillantissima Venere si mostrerà circondata dalle stelle dell’ammasso delle Pleiadi. Nella mappa (in basso) invece vediamo il percorso di Venere relativo all’ammasso di stelle nei giorni immediatamente precedenti e successivi la congiunzione, Crediti Coelum astronomia

    Il momento del massimo avvicinamento (15’ dalla stella Alcyone) avverrà alle ore 00:48 del 4 aprile, quando però – purtroppo – le Pleiadi saranno già scese sotto l’orizzonte (alle ore 23:50 circa). Non c’è da disperarsi per questo: l’avvicinamento di Venere sarà bellissimo da osservare anche con un paio d’ore di anticipo!

    Consigliamo non solo di osservare questo magnifico fenomeno a occhio nudo o al binocolo, ma di scattare anche alcune fotografie per immortalare questo momento speciale che si ripresenterà solo tra alcuni anni (si consiglia la lettura dell’articolo di Aldo Vitagliano a tal proposito).

    Le fotografie potranno essere a campo stretto, nel tentativo di registrare le sette sorelle in compagnia della luminosa dea della bellezza, oppure a campo più ampio, per includere magari anche dei dettagli de paesaggio circostante, sia naturale che architettonico (di questi tempi possono essere originali anche le antenne del tetto del condominio di fonte!).

    Considerato il fatto che molti di noi non avranno la possibilità di recarsi fuori di casa, un’idea potrebbe essere quella di riprendere l’incontro celeste contornato dalla cornice di una finestra… Ricordiamo poi che il giorno 6 aprile, quando Venere avrà già un po’ preso le distanze dalle Pleiadi, alle ore 20:06 circa (ma si consiglia di verificare l’orario preciso per la propria posizione geografica specifica attraverso un planetario o un’app per smartphone), al convivio formato dal pianeta e dall’ammasso di stelle si aggiungerà anche la Stazione Spaziale Internazionale (mag. –3,4), che transiterà a poca distanza dagli astri, creando un’ulteriore ottima occasione fotografica.

    ➜   Vedi anche i consigli per la ripresa di Giorgia Hofer, in occasione della congiunzione del 2018: Venere al tramonto con le Pleiadi

    Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2020 su coelum.com



    Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 243

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