Ogni settimana il Teatro Colosseo, l’Aula magna della Cavallerizza Reale dell’Università di Torino, l’Aula magna “Giovanni Agnelli” del Politecnico di Torino e l’Auditorium della Città metropolitana di Torino, si trasformano in un grande laboratorio scientifico.
Da novembre a marzo non solo conferenze ma dimostrazioni, esperimenti di laboratorio, spettacoli teatrali e filmati per portare il sapore della ricerca al grande pubblico. Calendario degli appuntamenti
La partecipazione è aperta a tutti, l’appuntamento è il giovedì alle 17.45
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI
Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
24.01, ore 21.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio. 31.01, ore 21.00: Conferenza “I colori delle stelle” di Paolo Ochner che potete seguire in streaming, sulla nostra pagina Fb e sul nostro canale YouTube,.
Una TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.
OA Torino, 23/01/2020 @ 11:00
Michele Cignoni (Università di Pisa), “La formazione della Via Lattea raccontata dalle stelle”
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV. Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015
Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).
Il mattino del giorno 18 gennaio, alle ore 6:00, volgendo il nostro sguardo verso sudest, potremo notare la presenza di due astri rossastri a poco meno di 15° sull’orizzonte. Ci appariranno come due occhi infuocati nel cielo ancora scuro: sono il pianeta Marte (mag. +1,5) e la stella Antares (alfa Scorpii, mag. +1,1).
Avvicinamenti di questo tipo, tra il Pianeta Rosso e Antares che, come è noto e come sta anche a indicare il suo nome, è considerata per il suo colore la “rivale” del pianeta, avvengono all’incirca ogni due anni. La separazione di quest’anno sarà pari a 4° 42’, con Marte a nordest di Antares, niente a che vedere con la distanza raggiunta in passati avvicinamenti, come quella del 1999, quando Marte si avvicinò fino a una distanza di 2° 48’, ma, al di là di questi dettagli, sarà comunque piacevole osservare questa larga congiunzione.
Sarà un’occasione per confrontare le tonalità rosse di entrambi gli oggetti celesti, e sarà interessante anche seguire l’evoluzione nel tempo di questo incontro celeste, in particolare nei giorni a seguire, tra il 20 e il 21 gennaio, quando li raggiungerà una falce di Luna (fase del 21% il giorno 20 e del 14% il giorno 21).
Potremo quindi dapprima vedere la Luna avvicinarsi da nordovest, il giorno 20, alle brillanti stelle dello Scorpione, posizionandosi ad appena 1° 25’ da Acrab (beta1 Scorpii, mag. +2,6), a nord di Antares e a nord-nordovest di Marte.
Il 21 gennaio invece la falce di Luna avrà sorpassato sia Marte che Antares, risultando molto più bassa sull’orizzonte di sudest, a circa 12° di altezza. In questo caso la Luna si troverà a 5° 25’ a sudest di Marte e a 9° 20’ a est di Antares.
Corsi di Astronomia a Roma
Il 2020 si apre con due corsi della nostra Scuola di Astronomia, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno fin dopo la metà di marzo presso la nostra sede all’EUR, di fronte alla metro Laurentina.
Da lunedì 20 gennaio: Corso Base di Astronomia Generale
Un meraviglioso viaggio alla scoperta dell’Universo e di tutti gli oggetti incredibili che lo popolano. Pulsar, quasar, buchi neri… Un corso completo delle fasi lunari al Big Bang
Da giovedì 30 gennaio: Corso completo di Astrofotografia
Lezioni teoriche e pratiche per imparare e sperimentare tutte le competenze che servono per fare spettacolari fotografie del cielo con qualsiasi strumento, dalla semplice reflex al telescopio ed elaborarle.
La stupenda galassia a spirale Messier 100, a distanza di poco più di otto mesi dalla SN2019ehk, vede esplodere al suo interno una nuova supernova scoperta nella notte del 7 gennaio dal programma professionale americano Zwicky Transient Facility ZTF presso il Palomar Observatory in California.
Al momento della scoperta il transiente brillava di mag. +17,3 e, nella notte del 9 gennaio – con il Souther Astrophysical Research Telescope (SOAR), un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile – ne è stato ripreso lo spettro di conferma.
La SN2020oi, questa la sua sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ic scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità. La galassia ospite M 100 è una delle più belle galassie a spirale del catalogo di Messier, vista di faccia e distante circa 55 milioni di anni luce nella costellazione della Chioma di Berenice.
Le sei precedenti supernovae in M 100 sono state in ordine cronologico la SN1901B che rappresenta in assoluto la quinta supernova extragalattica scoperta e la seconda esplosa in una galassia Messier dopo la primissima SN1885A in M31; proseguendo abbiamo avuto la SN1914A; la SN1959E; la SN1979C e la SN2006X scoperta dal giapponese Shoji Suzuki e dal nostro cortinese Marco Migliardi; e infine quella dello scorso anno la SN2019ehk.
A differenza però della SN2019ehk, che come massimo di luminosità si fermò alla mag. +15 a causa di un forte assorbimento da polveri, l’attuale supernova SN2020oi, nei giorni seguenti la scoperta, è aumentata rapidamente di luminosità fino a raggiungere la mag. +13,0 intorno alla metà di gennaio.
Sembrerebbe perciò un’occasione veramente ghiotta da non perdere, ed in effetti è così, ma c’è un però: la sua posizione è purtroppo molto vicina al nucleo della galassia (1” Est – 6” Nord) e nelle pose più lunghe la luminosità del nucleo tende a coprire quella della supernova. Come se non bastasse nei giorni dopo la scoperta abbiamo avuto la Luna piena (10 gennaio) che proprio la notte del 15 gennaio si troverà a soli 10° da M100 disturbando le riprese.
Basterà però aspettare qualche giorno perché la Luna si allontani e avremmo perciò la possibilità di ottenere delle belle immagini di una supernova posta in una stupenda e fotogenica galassia. E come sempre le aspettiamo su Photocoelum!
«La vita è apparsa sulla Terra circa 4 miliardi di anni fa, ma non conosciamo ancora i processi che l’hanno resa possibile», spiega Víctor Rivilla, autore principale di un nuovo studio pubblicato oggi dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. I nuovi risultati di ALMA (Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array), di cui l’Osservatorio europeo australe (ESO) è partner, e dello strumento ROSINA a bordo di Rosetta mostrano che il monossido di fosforo è un elemento chiave nel rompicapo sull’origine della vita e ne tracciano il percorso dalla formazione alla Terra.
Il primo passo è stato cercare di individuare quando il fosforo viene creato, e il posto principale non poteva essere che una regione di formazione stellare. La potenza di ALMA, ha permesso uno sguardo dettagliato nella regione di formazione stellare AFGL 5142. Queste regioni simili a nubi, formate da gas e polvere sparsi tra le stelle, sono infatti iluoghi ideali in cui cercare i cosidetti mattoni della vita, è qui che si formano infatti le nuove stelle con i loro sistemi planetari.
Le osservazioni ALMA hanno mostrato che molecole contenenti fosforo vengono create quando si formano stelle massicce. I flussi di gas provenienti da queste stelle giovani e massicce scavano delle cavità nelle nubi interstellari, e proprio sulle pareti di queste cavità si formano tali molecole, attraverso l’azione combinata di urti e radiazioni dalla giovane stella. In particolare sottoforma di monossido di fosforo, la molecola contenente fosforo più abbondante rintracciata sulle pareti di queste cavità.
L’idea a questo punto era di seguire le tracce di queste molecole. Quando le pareti delle cavità create nelle nubi interstellari collassano per formare una stella, nel caso in cui si tratti di una stella non particolarmente massiccia come il Sole, il monossido di fosforo può rimanere intrappolato nei granelli di polvere ghiacciata che restano attorno alla nuova stella. Granelli che, ancor prima che la stella sia completamente formata, si uniscono per formare sassolini, rocce e infine comete, che potevano diventare a questo punto i veicoli ideali per il rrasporto per il monossido di fosforo.
Sappiamo infatti che le comete sono responsabili della presenza di diversi elementi arrivati sulla Terra, e che in qualche misura hanno contribuito alla presenza degli elementi necessari a sviluppare la vita. Il gruppo europeo è quindi passato allo studio di una delle comete ormai più studiate del Sistema Solare, grazie soprattutto alla missione Rosetta, la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko.
ROSINA, acronimo che sta per Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis, ha raccolto dati da “Chury” per due anni, mentre la sonda Rosetta era in orbita intorno alla cometa. Gli astronomi avevano già trovato tracce di fosforo nei dati di ROSINA, ma non sapevano di quale molecola in particolare. Kathrin Altwegg, investigatrice principale di Rosina e co-autrice del nuovo studio, ha avuto il giusto suggerimento dopo essere stata avvicinata a una conferenza da un astronoma che stava studiando con ALMA le regioni di formazione stellare: «Mi disse che il monossido di fosforo poteva essere un candidato molto probabile, quindi sono tornata a verificare i nostri dati ed eccolo lì!».
«Il fosforo è essenziale per la vita come la conosciamo», spiega infatti Altwegg. «Dato che le comete hanno probabilmente fornito grandi quantità di composti organici alla Terra, il monossido di fosforo trovato nella cometa 67P potrebbe rafforzare il legame tra le comete e la vita sulla Terra».
Finalmente la connessione è avvenuta, il tracciato del viaggio del monossido di fosforo è completo, o per lo meno ne abbiamo forti indizi a favore, a partire dalle regioni di formazione stellare, dove viene creato, fino alla Terra, dove ha svolto un ruolo di primo piano per la formazione della vita.
Questo affascinante viaggio ha potuto essere documentato grazie alla collaborazione tra astronomi, analizzando dati raccolti da telescopi sulla Terra, gestiti dall’ESO, e missioni di esplorazione spaziale portate avanti dall’ESA.
Conclude quindi Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e responsabile europeo delle operazioni di ALMA: «Comprendere le nostre origini cosmiche, tra cui quanto siano comuni le condizioni chimiche favorevoli all’emergenza della vita, è uno dei temi principali dell’astrofisica moderna. Mentre ESO e ALMA si concentrano sulle osservazioni di molecole in giovani sistemi planetari distanti, l’esplorazione diretta dell’inventario chimico all’interno del nostro Sistema Solare è resa possibile dalle missioni ESA, come Rosetta. La sinergia tra strutture terrestri e spaziali all’avanguardi a livello mondiale, attraverso la collaborazione tra ESO ed ESA, è una risorsa preziosa per i ricercatori europei e consente scoperte rivoluzionarie come quella riportata in questo articolo».
La mostra è promossa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), per un nuovo allestimento con le più recenti immagini della Terra scattate dai satelliti. L’esposizione, curata da Viviana Panaccia, vuole creare un collegamento tra ricerca scientifica, tecnologia spaziale e pubblico sul tema dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile, del loro impatto sugli ecosistemi terrestri e le conseguenze sul futuro del pianeta. I satelliti, strumenti insostituibili per la diagnosi di tali cambiamenti, ci inviano un grido di allarme sulla fragilità e vulnerabilità del nostro pianeta: frequenti fenomeni climatici sempre più estremi, calotte polari in fase di scioglimento, temperature in aumento e conseguente inaridimento, mancato accesso all’acqua potabile per molte popolazioni.
Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
19.01, ore 15.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire visita guidata al museo dell’astronautica.
Ore 17.00 proiezione del docu-film “Phantom of universe” a seguire orientamento in cielo e osservazione al telescopio. 24.01, ore 21.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio. 31.01, ore 21.00: Conferenza “I colori delle stelle” di Paolo Ochner che potete seguire in streaming, sulla nostra pagina Fb e sul nostro canale YouTube,.
I cosiddettilampi radio veloci o Frb (dall’inglese fast radio burst) sono intensi impulsi radio brevissimi, nell’ordine dei millesimi di secondo o anche meno, provenienti da distanti galassie. Al momento la loro origine è ancora sconosciuta, ma esistono diverse ipotesi a riguardo, che puntano in direzione soprattutto di oggetti cosmici molto compatti, come le stelle di neutroni.
Grazie a diversi radiotelescopi, a oggi sono state rilevate più di un centinaio di sorgenti di Frb, di cui alcune presentano un’emissione ripetuta di questi enigmatici flash radio. Finora sono state localizzate con precisione e associate ad una galassia d’origine solamente quattro sorgenti, di cui una sola ripetitiva, scaturita da una galassia nana irregolare con poca formazione stellare.
Ora, come riporta un articolo pubblicato il 6 gennaio su Nature, un gruppo di radiotelescopi della rete europea Evn (European Vlbi Network) ha permesso di localizzare l’origine di un lampo radio veloce ripetitivo all’interno di una galassia a spirale simile alla Via Lattea. Si tratta del fast radio burst più prossimo alla Terra tra quelli finora localizzati.
Il 19 giugno 2019, otto antenne della rete europea Evn hanno osservato contemporaneamente – comportandosi come se fossero un unico, grande, radiotelescopio – una sorgente radio nota come Frb 180916.J0158 + 65, scoperta nel 2018 dal radiotelescopio canadese Chime.
Nel corso delle cinque ore di durata dell’osservazione, il gruppo di ricerca internazionale, guidato da Benito Marcote dell’istituto olandese Jive, ha rilevato quattro lampi radio, ciascuno della durata di meno di due millesimi di secondo.
La risoluzione raggiunta attraverso la combinazione interferometrica dei radiotelescopi sparsi in una vasta area tra Europa e Cina, usando una tecnica nota come Very long baseline interferometry (Vlbi), ha permesso di localizzare l’origine dei lampi in una regione di cielo grande appena sette anni luce. Per fare un paragone, spiegano gli autori del nuovo studio, è come se da Terra si riuscisse a distinguere una persona sulla Luna.
Il gruppo di ricerca ha quindi puntato su queste precise coordinate uno dei più grandi telescopi ottici del mondo, il Gemini Nord da 8 metri sul Mauna Kea alle Hawaii, le cui osservazioni hanno rivelato che il lampi radio hanno avuto origine da una galassia a spirale, denominata Sdss J015800.28 + 654253.0, situata a mezzo miliardo di anni luce dalla Terra, in particolare da una regione di quella galassia in cui avviene abbondante formazione stellare.
Studiare le caratteristiche delle galassie e delle zone specifiche in cui si verificano i lampi radio veloci è uno dei passi cruciali per arrivare a comprendere come e da quali oggetti possano essere prodotte queste misteriose e repentine esplosioni d’energia.
«L’ambiente da cui scaturisce il fast radio burst da noi localizzato è radicalmente diverso rispetto a quello del lampo radio veloce ripetitivo localizzato in precedenza, ma è anche diverso da tutti gli Frb finora studiati», spiega Kenzie Nimmo, dottoranda all’Università di Amsterdam, fra gli autori del nuovo studio. «Le differenze tra lampi radio ripetitivi e non ripetitivi risultano quindi meno chiare e ora siamo portati a pensare che questi eventi potrebbero non essere collegati a un particolare tipo di galassia o ambiente. Potrebbe essere che i fast radio burst siano prodotti in una grande varietà di luoghi in tutto l’universo ma richiedano alcune specifiche condizioni per essere visibili».
Tra le otto antenne utilizzate per questa scoperta ce n’è anche una italiana, una parabola da 32 metri dell’Inaf localizzata alla Stazione radioastronomica di Medicina, in provincia di Bologna.
«Benché siano stati rivelati ormai un centinaio di fast radio burst, la loro origine è tutt’ora sconosciuta e rimane una delle domande aperte dell’astrofisica contemporanea. Il primo passo per studiarli è la loro localizzazione nello spazio, per la quale sono indispensabili quelle altissime risoluzioni angolari che può fornire solo la rete radioastronomica interferometrica a lunghissima base (Vlbi), a cui Inaf partecipa con le antenne di Medicina, Noto (in Sicilia) e con il Sardinia Radio Telescope», commenta a Media InafTiziana Venturi, direttrice dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf. «Le antenne italiane partecipano alle campagne osservative della rete internazionale del Vlbi ormai da oltre 35 anni. È davvero entusiasmante vedere che gli sviluppi e le prestazioni di questa raffinatissima tecnica contribuiscono ancora in maniera insostituibile allo studio e alla comprensione di fenomeni astrofisici nuovi rivelati dagli strumenti più moderni».
Il nuovo anno si apre con una nuova eclisse lunare parziale di penombra prevista per la serata del 10 gennaio 2020.
Considerando come utile riferimento l’Italia Centrale, per quanto riguarda la Città di Roma (Latitudine 41,9°Nord – Longitudine 12,48°Est) questa eclisse avrà inizio alle 18:08 con la Luna (Plenilunio alle 20:21 del 10 gennaio) che dopo essere sorta alle 16:40 si troverà a un’altezza di +13°.
In questa prima fase dell’eclisse le regioni maggiormente penalizzate saranno ancora una volta quelle più settentrionali dove l’altezza della Luna sarà intorno ai 10/11° sopra l’orizzonte, mentre nelle estreme regioni meridionali osserveranno l’inizio di questo fenomeno col nostro satellite a un’altezza intorno ai 16/17°.
Il massimo dell’eclisse è previsto per le 20:10 con la Luna che nell’area di Roma sarà a un’altezza di +35°, pertanto potrà essere osservato senza alcun problema sia dal Nord Italia con un’altezza minima di 31° fino all’estremo Sud dove si troverà a +38/39° sopra l’orizzonte.
La fase terminale del fenomeno, prevista per le 22:12, potrà essere seguita in ottime condizioni di visibilità praticamente su tutto il territorio nazionale da nord a sud con un’altezza compresa dai 50° ai 60°, osservazioni che potranno essere limitate dall’andamento climatico stagionale. L’eclisse parziale di penombra del 10 gennaio avrà una “magnitudine di penombra” di 0,896 (frazione lunare oscurata con l’ingresso della penombra della Terra) e una “magnitudine umbral” di –0,116 (frazione lunare oscurata dal cono d’ombra della Terra).
La differenza di luminosità della Luna in penombra non sarà particolarmente evidente, soprattutto a un occhio non esperto, ma fotograficamente darà qualche soddisfazione in più… ricordiamo comunque, anche se riferiti a un’eclisse parziale di ombra, i consigli di Giorgia Hofer pubblicati sul numero 213:
Sarà invece un’occasione in più per tentare l’osservazione telescopica della Luna Piena (ma anche solo tramite un binocolo o a occhio nudo), con la guida pubblicata sul numero del dicembre scorso:
Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
10.01, ore 21:00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio. 19.01, ore 15.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire visita guidata al museo dell’astronautica.
Ore 17.00 proiezione del docu-film “Phantom of universe” a seguire orientamento in cielo e osservazione al telescopio. 24.01, ore 21.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio. 31.01, ore 21.00: Conferenza “I colori delle stelle” di Paolo Ochner che potete seguire in streaming, sulla nostra pagina Fb e sul nostro canale YouTube,.
Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
10.01 e 24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).
Una TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.
OA Torino, 09/01/2020 @ 11:00
Giovanni Valsecchi (INAF IAPS Roma), “L’orbita della Luna”
OA Torino, 23/01/2020 @ 11:00
Michele Cignoni (Università di Pisa), “La formazione della Via Lattea raccontata dalle stelle”
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV. Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015
Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. 04.01, ore 21:30: Orione e la Luna
Ritrovo presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la Specola “Palmiero Capannoli” per osservare il cielo invernale e gli oggetti contenuti nelle costellazioni tipiche di questo periodo (quella di Orione in particolare) e la Luna, da pochissimo oltre la fase di primo quarto. Prenotazione obbligatoria sul sito o a Davide Scutumella (3388861549)
10.01 e 24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).
Proprio le numerose ore di buio. permettono in questo periodo di spaziare dalle costellazioni autunnali più orientali (come i Pesci, il grande Pegaso o la più debole Balena), ancora visibili in prima serata verso ovest, fino alle regioni ricche di nebulose, ammassi e stelle splendenti tipiche del cielo invernale, per terminare, nella seconda parte della notte, con le prime avvisaglie della grande concentrazione di galassie del cielo primaverile, tra le plaghe celesti della Vergine e del Leone.
➜ Riprendiamo il viaggio tra le costellazioni con Stefano Schirinzi dal Cane Maggiore (I parte), la casa della brillante Sirio
IL SOLE
Dopo essere arrivato alla minima declinazione durante il Solstizio dello scorso 22 dicembre, il Sole ha iniziato subito a risalire l’eclittica. La sua altezza sull’orizzonte, al momento del passaggio in meridiano, sarà nel corso di gennaio ancora molto modesta (in media +27°), ma l’arco descritto nel cielo tenderà a divenire ogni giorno più ampio. Ciò comporterà ovviamente un lieve aumento delle ore di luce, di circa 45 minuti, così che nel primo mese dell’anno la notte astronomica inizierà in media alle 18:45, mentre il mattino terminerà alle 6:00 circa..
Mercurio, ancora invisibile per la congiunzione con il Sole, apparirà solo verso la fine del mese, mentre Venere brilla sempre più nel cielo della sera.
Marte, invece, sarà il protagonista del mattino, con Giove che riapparirà solo verso fine mese. Nella prima parte del mese potremo però osservare il grande pianeta gassoso assieme a Saturno e Mercurio nel campo del coronografo LASCO C3.
Maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate nel Cielo di Gennaio all’interno del nuovo numero.
Le Quadrantidi
Poco dopo le Geminidi tocca alle Quadranti, altro sciame importante, ma con un picco massimo di breve durata, motivo per cui poco famoso e non semplice da osservare. Il massimo dell’attività si avrà quest’anno verso le 9:20 del 4 gennaio.
Essendo un orario diurno, il momento migliore per tentare di carpire qualche “stella cadente” sarà nella notte immediatamente precedente (quindi tra il 3 e il 4 gennaio) o in quella seguente (tra il 4 e il 5 gennaio). Purtroppo non mancherà la Luna a disturbare la visione, appena dopo la fase di Primo Quarto: fortunatamente, però, nella notte tra il 3 e il 4 gennaio il nostro satellite naturale tramonterà poco prima dell’una di notte, lasciandoci quindi la possibilità di osservare le meteore in buone condizioni, quando il radiante, che è circumpolare per le nostre latitudini, sarà anche più alto sull’orizzonte (circa 18° sull’orizzonte di nordest).
L’eclisse di Luna di Penombra
Il nuovo anno si apre con una nuova eclisse lunare parziale di penombra prevista per la serata del 10 gennaio 2020, rendendosi largamente osservabile in Italia. Le eclissi di penombra non sono particolarmente suggestive a occhio nudo, ma dal punto di vista fotografico invece offrono buone opportunità. Quest’anno ne avremo ben tre visibili dall’Italia (leggi anche Il Cielo del 2020), cominciamo quindi con questa!
Come sempre maggiori dettagli e tutti i consigli per l’osservazione del cielo li trovate sul Cielo di Gennaio 2020, su Coelum Astronomia.
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
L’ultima proposta di dicembre, vede protagonisti una sottile falce di Luna e il brillante pianeta Venere, un incontro che si verificherà tra le deboli stelle della costellazione del Capricorno. Si tratta di un’ampia congiunzione, con la Luna che non si avvicinerà a Venere a meno di 5°.
Il giorno 28, guardando verso ovest-sudovest all’orario indicato potremo notare, molto bassa sull’orizzonte, la Luna (fase del 6%), ormai prossima al tramonto. Più in alto, a circa 8° di altezza, vedremo il brillante pianeta Venere (mag. –4,0): i due astri saranno separati di circa 5°.
Il giorno seguente, il 29 dicembre, alla stessa ora, la Luna (fase del 12%) avrà superato Venere in altezza, posizionandosi a circa 13° sull’orizzonte: in questo caso la loro separazione sarà un po’ più ampia: circa 6° e mezzo.
Nonostante non si tratti di un incontro ravvicinato, sarà bello seguire l’evoluzione del moto dei due oggetti nel corso dei giorni indicati e magari di scattare una bella fotografia di paesaggio a grande campo che comprenda i due astri.
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/
28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste
Il 27 dicembre, alle ore 17:15, per chi vorrà ritagliarsi una breve pausa dal clima di festività che ha caratterizzato i giorni del Natale appena trascorso, il cielo offrirà un’ottima occasione.
Si tratterà di una bella congiunzione che vedrà protagonisti una sottilissima falce di Luna (fase di appena il 2%) e il Signore degli Anelli, Saturno (mag. +0,5). I due astri saranno rintracciabili guardando verso ovest-sudovest: sarà forse un po’ difficile localizzare Saturno, posizionato a 2° e mezzo a est della falce lunare, perché, all’orario indicato, i soggetti sono prossimi al tramonto (circa 6° di altezza) e immersi nelle colorate luci del crepuscolo serale, ancora piuttosto intense.
Sarà comunque interessante tentare l’osservazione: con il passare dei minuti il cielo si farà rapidamente più scuro, migliorando il contrasto tra Luna e Saturno e il fondo del cielo, ma bisogna considerare che i due astri perdono altezza molto rapidamente, scendendo sotto l’orizzonte entro circa 45 minuti.
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
27.12, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna, agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891)
In caso di tempo incerto telefonare per conferma.
In programma al Museo Civico di Zoologia, la mostra in cui saranno esposte le spettacolari fotografie realizzate dall’astrofisico e fotografo Gianluca Masi, astronomo del Planetario di Roma.
La meraviglia del cielo sulla bellezza di Roma: 30 immagini che immortalano l’incontro di alcuni dei fenomeni più spettacolari del firmamento notturno con monumenti e simboli della Capitale.
L’obiettivo di Gianluca Masi, in qualità di ricercatore ma anche di appassionato divulgatore scientifico, è quello di recuperare, attraverso la bellezza delle immagini, il dialogo tra la volta celeste e gli spazi urbani, punto di partenza per la salvaguardia di quel tesoro di meraviglie nascoste nel firmamento.
Nel corso della mostra si svolgeranno, ad ingresso libero fino a esaurimento posti, alcuni incontri tenuti dal fotografo stesso sulla fotografia notturna e sui fenomeni osservati e immortalati nelle fotografie.
La mattina del 23 dicembre, alle ore 5:30 circa, volgendo il nostro sguardo verso est-sudest, potremo scorgere ancora piuttosto bassa sull’orizzonte (meno di 10°) una sottile falce di Luna (fase del 10%), accompagnata da una stellina piuttosto luminosa, di spiccato color arancione: si tratta del pianeta Marte (mag. +1,6) con cui la Luna sarà in congiunzione, a una distanza di circa 3° 6’.
Questo incontro astrale avverrà tra le deboli stelle della Bilancia, tra cui riusciremo a riconoscere Zuben Elkrab (Gamma Librae, mag. +3,9), ad appena 1° 54’ a nordovest della Luna.
Più in alto sull’orizzonte di circa 6°, vedremo due delle principali stelle della Bilancia, Zubeneschamali (Beta Librae, mag. +2,6) e Zubenelgenubi (Alfa Librae, mag. +2,8).
Non solo questo incontro potrà fornire lo spunto per scattare qualche bella fotografia di paesaggio che comprenda i due astri, ma sarà anche un’ottima occasione per i cacciatori di sottili falci lunari, con il “bonus” di catturare nel contempo anche il sempre fascinoso Pianeta Rosso.
Per chi volesse osservare la congiunzione con un ausilio ottico, segnaliamo che i tre soggetti sopra descritti calzeranno perfettamente entro il campo offerto da un binocolo 10×50 che ci permetterà di apprezzare con più dettaglio questo bel fenomeno.
Le meraviglie del cielo catturate da affermati astrofotografi saranno in mostra a Casole d’Elsa (SI) dal 21 dicembre al 6 gennaio. Un’ottima occasione per ammirare immagini uniche: dai crateri lunari alle eclissi di Sole e Luna, dagli anelli di Saturno alla macchia di Giove, dagli ammassi stellari alle nebulose fino alle lontane galassie. Immagini spettacolari raccolte con passione e dedizione sotto i migliori cieli d’Italia e non solo da Maurizio Cabibbo, Samuele Gasparini, Francesco Di Biase e Piermario Gualdoni, autori ormai noti nel mondo della fotografia astronomica.
All’interno della mostra, oltre alle foto, anche una proiezione multimediale delle stesse immagini e consigli sulle tecniche di acquisizione ed elaborazione.
La mostra si terrà al Centro Congressi – Palazzo Pretorio, via Casolani n.32, dal 21 dicembre al 6 gennaio. La mostra sarà aperta nei giovedì 26 dicembre, Sabato 28 dicembre, Domenica 29 dicembre, Mercoledì 1 gennaio 2020, Domenica 5 gennaio, Lunedì 6 gennaio dalle ore 10:00 alle ore 13:00 e dalle 15:00 alle 20:00. Tutti gli altri giorni dalle 16:00 alle 20:00.
Maggiori informazione sulla pagina Facebook dell’evento o contattare 340 3518037 (Maurizio) o 370 7074587 (Samuele)
Il nuovo telescopio spaziale Cheops (Characterising ExoPlanets Satellite) dell’ESA, il “misuratore di pianeti”, è finalmente in viaggio verso la sua destinazione, in un’orbita terrestre bassa, a 700 km di quota.
Doveva partire il 17 dicembre mattina, ma il conto alla rovescia era stato interrotto a un’ora e 18 minuti dal lancio, per un problema nella sequenza automatica dell’ultimo stadio della Soyuz. Riprogrammato per le 9:54 (ora italiana) di mercoledì 18, è regolarmente partito dalla base di Kourou, nella Guyana francese, ed è stato possibile seguirlo in diretta streaming dal sito dell’ESA.
Il ruolo di Cheops non sarà tanto quello di nuovo cacciatore di pianeti, ma avrà il compito di indagare la natura di esopianeti già scoperti da precedenti survey, determinandone le caratteristiche fisiche e facendo quindi fare un passo in avanti alla ricerca e conoscenza di mondi al di fuori del nostro Sistema Solare.
La particolarità della sua orbita lo terrà sempre a cavallo del terminatore, quella linea in cui si passa dal giorno alla notte, in modo da avere sempre i pannelli solari illuminati dal Sole e la strumentazione puntata verso il cielo della notte.
Di Cheops e della sua missione, ce ne ha parlato Roberto Ragazzoni, del team che ha progettato Cheops e Direttore dell’Osservatorio INAF di Padova, anche lui nella Guiana francese ad assistere al lancio, nell’articolo “Alla scoperta degli esopianeti vicini”, sul numero 236. La missione ha infatti un forte contributo italiano: è stato progettato dagli Osservatori INAF di Padova e Catania e costruito – sotto la supervisione congiunta di INAF e ASI – nei laboratori della Leonardo Spa con la collaborazione di Thales Alenia Space e Media Lario di Bosisio Parini.
Prima di iniziare il suo lavoro vero e proprio, Cheops passerà attraverso due fasi: la Launch and Early Orbit Phase, in cui verificare l’operatività dell’apparecchiatura e calibrarne il funzionamento; e la fase di In-Orbit Commissioning, in cui gli ingegneri monitoreranno le prestazioni di volo del telescopio spaziale. Potrebbe essere necessario infatti eseguire manovre di correzione dell’orbita. La prima fase richiederà i primi 5 giorni dopo il lancio, la seconda all’incirca un paio di mesi, dopo di ché Cheops sarà operativo.
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Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita
Dai grandi pianeti ghiacciati al ghiaccio sulla Luna come risorsa per una prossima colonizzazione
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/
20.12, ore 21:00: Conferenza “Eppur si muove…“: Presentazione della Galileo Experience. Attività riservata ai soci 28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste
Dopo un anno di esplorazione della superficie disseminata di massi dell’asteroide Bennu, il team che ha guidato la missione “Origins, Spectral Interpretation, Identification, Security, Regolith Explorer” (OSIRIS-Rex) ha ufficialmente selezionato il sito designato “Nightingale” come luogo di raccolta dei campioni di superficie.
Il sito, situato in un cratere ampio 140 metri nell’emisfero settentrionale di Bennu, è stato giudicato il luogo migliore tra i quattro candidati selezionati l’estate scorsa e illustrati nell’immagine seguente; tutti prendono il nome da altrettante specie di uccelli e rappresentano zone con un rischio contenuto per la sicurezza del veicolo spaziale offrendo, al tempo stesso, l’opportunità di raccogliere un campione di massa sufficientemente grande.
«Dopo aver valutato attentamente tutti e quattro i siti candidati, abbiamo preso la nostra decisione finale in base a quale sito ha la maggior quantità di materiale a grana fine e con quale facilità il veicolo spaziale può accedere a quel materiale mantenendo in sicurezza il veicolo spaziale», ha affermato Dante Lauretta, dell’ Università dell’Arizona e ricercatore principale della missione. «Dei quattro candidati, il sito Nightingale soddisfa al meglio questi criteri e, in definitiva, garantisce il successo della missione».
La regolite di Nightingale appare scura e le immagini mostrano che il cratere è relativamente pianeggiante; poiché si trova nell’emisfero nord, le temperature sono più basse che altrove e il materiale superficiale è ben conservato. Si ritiene inoltre che il cratere sia relativamente giovane e che la regolite sia stata esposta da poco. Ciò significa che il sito probabilmente contiene materiale relativamente “primordiale” e incontaminato e questo può fornire una visione migliore della storia di Bennu.
Tuttavia, il sito pone anche sfide per la raccolta del campione. Il piano di missione originale prevedeva una zona di raccolta con un diametro di 50 metri, mentre ora l’area abbastanza sicura per essere toccata dal veicolo è molto più piccola: 16 metri di diametro, solo un decimo della superficie originariamente prevista. Ciò significa che il veicolo spaziale deve calarsi in modo molto preciso sulla superficie di Bennu, cercando di evitare soprattutto l’enorme masso delle dimensioni di un edificio situato sul bordo orientale del cratere (in basso a destra nell’immagine di apertura) che potrebbe rappresentare un pericolo per la sonda nella fase di risalita, subito dopo aver toccato la superficie.
La manovra “touch-and-go” è prevista per l’agosto 2020; per effettuarla, Osiris-REX utilizzerà il suo meccanismo di campionamento TAGSAM, un contenitore a forma di tamburo montato all’estremità di un braccio robotico. Il braccio posizionerà l’estremità aperta del tamburo sulla superficie dell’asteroide, quindi sparerà un getto di azoto sulla superficie per sollevare il materiale e farlo ricadere nel contenitore di stoccaggio, come illustrato in questo video. TAGSAM ha abbastanza azoto gassoso per fare tre tentativi di campionamento, se necessario.
La missione Osiris-REX mira a raccogliere 60 grammi di regolite, il più massiccio prelievo di materiale da un altro mondo dopo le missioni Apollo.
Dopo la raccolta e la misura della massa del campione, il braccio posizionerà il contenitore con il suo prezioso carico nella capsula di rientro, dove rimarrà sigillato. Osiris-REX ripartirà da Bennu nel marzo del 2021 e, quattro ore prima del massimo avvicinamento con la Terra, rilascerà la piccola capsula contenente il campione che entrerà nell’atmosfera terrestre posandosi nel campo di addestramento dello Utah il 24 settembre 2023. Per due anni, i campioni verranno analizzati a fondo ma il 75% del materiale verrà preservato per ulteriori indagini da parte delle generazioni successive, come si è fatto con i campioni lunari.
Nel frattempo, la sonda si trova nel mezzo di una nuova fase detta “Orbital-R”, durante la quale orbiterà per due mesi a poco più di 1 km sopra il terminatore di Bennu (per ulteriori dettagli si veda il Mission Log). Nei prossimi mesi, il sito Nightingale verrà sottoposto un “campionamento climatico” per studiarne in dettaglio le caratteristiche al variare delle condizioni di illuminazione.
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Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita
Dai grandi pianeti ghiacciati al ghiaccio sulla Luna come risorsa per una prossima colonizzazione
L’8 dicembre scorso è passata al perielio, ovvero al punto più vicino al Sole del suo passaggio nel nostro Sistema Solare. In realtà un perielio piuttosto distante, visto che in quel momento si trovava a poco meno di 2 unità astronomiche dalla nostra stella (e 298 milioni di chilometri dalla Terra), ovvero a una distanza doppia di quella della Terra dal Sole, oltre l’orbita di Marte, vicino al bordo interno della fascia degli asteroidi. Stiamo parlando di una cometa, ma una cometa decisamente speciale… la 2I/Borisov, la prima cometa interstellare che abbiamo mai avvistato proprio mentre si apprestava a farci visita. E il telescopio spaziale Hubble non poteva mancare all’appuntamento.
Tra la fine di novembre e inizio dicembre, ha osservato la cometa da una distanza più ravvicinata (dopo le prime immagini di ottobre), fornendo dettagli più precisi sulla nostra ospite interstellare.
La prima immagine, qui sopra in apertura, è davvero spettacolare… è del 9 novembre scorso e ci mostra la cometa in primo piano, con la coda che si espande a destra verso l’alto, affiancata da una galassia a spirale, la 2MASX J10500165-0152029, che si trova ovviamente sullo sfondo e decisamente più distante, ben oltre i confini della nostra galassia, e per questo fuori fuoco e confusa.
La seconda immagine qui sotto è invece del 9 dicembre, quando Hubble è tornato a osservare la cometa subito dopo il perielio. Sebbene così lontana, si tratta forse del momento in cui è stata sottoposta alle maggiori temperature dell’intero suo viaggio, o comunque sicuramente da moltissimo tempo, dopo aver probabilmente trascorso gran parte della sua vita nel gelido spazio interstellare.
«Hubble ci fornisce la migliore misura delle dimensioni del nucleo della cometa Borisov, che è la parte davvero importante della cometa», spiega David Jewitt, professore di scienze planetarie e astronomia all’Università della California, a Los Angeles, il cui team ha catturato le immagini migliori e più nitide di questa prima cometa interstellare. «Sorprendentemente, le nostre immagini di Hubble mostrano che il suo nucleo è più di 15 volte più piccolo di quanto le precedenti indagini suggerivano potesse essere. Il raggio è inferiore a mezzo chilometro. Questo è importante perché conoscere le dimensioni ci aiuta a determinare il numero totale e la massa di tali oggetti nel Sistema Solare e nella Via Lattea. Borisov è la prima cometa interstellare conosciuta e vorremmo sapere quante altre ce ne sono».
Il nucleo, un agglomerato di ghiacci e polveri, e sempre però troppo piccolo per essere risolto nell’immagine, per questo al momento possiamo solo avere un limite massimo per le sue dimensioni. La parte più luminosa che vediamo nelle foto è quindi la coma, la chioma della cometa, costituita da polveri che lasciano la superficie. A questo riguardo, le indagini eseguite fin’ora, hanno mostrato come la cometa sia in realtà, come composizione chimica e comportamento, molto simile a quelle che conosciamo, fornendo una prova che si tratta di oggetti che si formano comunemente attorno a stelle e sistemi stellari.
Scoperta da Gennady Borisov, un astrofilo ucraino, il 30 agosto scorso, ve ne abbiamo parlato in modo diffuso nell’approfondimento dedicato nel numero di ottobre di Coelum Astronomia che vi invitiamo a (ri)leggere (sempre in formato digitale e gratuito) cliccando nel banner qui a destra.
Dopo la scoperta e una serie di follow up professionali, si è riconosciuto il carattere interstellare della cometa. La sua traiettoria infatti segue l’andamento di un’iperbole, estrememamente aperta… quasi una linea retta appena flessa dal suo incontro con il Sole. Fino ad ora, tutte le comete catalogate provenivano o da un anello di detriti ghiacciati alla periferia del nostro Sistema Solare, chiamato la fascia di Kuiper, o dalla nube di Oort, un guscio di oggetti ghiacciati che si pensa si trovi nelle regioni ultraperiferiche del nostro Sistema Solare, con il suo bordo più interno a circa 2000 unità astronomiche, ovvero 2000 volte la distanza tra la Terra e il Sole.
L’orbita della cometa 2I/Borisov. Crediti: ESA/spaceengine.org/L. Calçada. Musiche: Johan B. Monell
Anche se fin’ora ne abbiamo scoperti solo due (il 2I davanti al nome indica proprio questo, che si tratta del secondo oggetto interstellare, il primo è l’asteroide 1I/’Oumuamua o 1I/2017 U1, di cui vi abbiamo parlato su Coelum Astronomia 219), è probabile che ci siano migliaia di oggetti interstellari, nel nostro Sistema Solare, solo probabilmente troppo piccoli e sfuggenti per essere rilevati con i telescopi di oggi. Si tratta di oggetti di passaggio che per essere identificati come interstellari hanno bisogno di più osservazioni nel tempo, e visto il carattere temporaneo e la loro breve permanenza nei nostri paraggi, “beccarli” al momento giusto è ancora più difficile.
Osservazioni ottenute fin’ora di altri sistemi stellari, hanno mostrato che anelli e gusci di detriti ghiacciati circondano le giovani stelle, dove la formazione planetaria è ancora in corso, e si ipotizza che l’interazione gravitazionale tra questi oggetti, asteroidi o simili a una cometa, e altri corpi più grandi come pianeti giganti in formazione, per effetto di fionda gravitazionale, potrebbe impremere loro una velocità così alta da farli sfuggire dal sistema in cui si sono formati, per vagare nelle profondità dello spazio, alla deriva tra le stelle. Se poi si avvicinano abbastanza da farsi attrarre da una di queste stelle, allora accade quello che è accaduto alla Borisov, di passare nel mezzo di un sistema stellare facendosi scaldare dalla sua stella. Il calore del nostro Sole ne ha sublimato parte della superficie, aumentando la luminosità della cometa e dando il via alla formazione di coma e coda, offrendoci lo spettacolo che vediamo in queste immagini. Uno spettacolo però sfuggente, perché grazie alla sua alta velocità il nostro Sistema solare è riuscito a deviare a malapena la sua traiettoria, senza riuscire a catturarla, ed è quindi destinata a proseguire il suo vagabondaggio nello spazio profondo.
Passaggio al perielio, inoltre, significa anche che ora la cometa se ne sta andando, ha attraversato il piano del nostro Sistema Solare e ora se ne allontanerà. Prima però ci sarà un altro appuntamento che sicuramente sarà seguito attentamente dagli astronomi e non solo: il 29 dicembre si troverà nel punto più vicino alla Terra, a 1,75 unità astronomiche (290 milioni di chilometri da noi, circa 8 milioni più vicina rispetto all’immagine del perielio).
Per gli astrofili più esperti è un appuntamento da non perdere! La cometa infatti, seppure molto debole, è comunque alla portata di una buona strumentazione amatoriale (basta pensare che è così che è stata scoperta). Nella migliore delle ipotesi ci si aspetta una magnitudine che sfiori la +15, al momento è già sotto la 16esima.
Viene sempre in nostro aiuto l’ottimo sito di Seiichi Yoshida coni grafici sempre aggiornati ottenuti dalle magnitudini osservate degli appassionati, dove trovate anche tutti i dati e le cartine per rintracciarla (qui il grafico aggiornato al 9 dicembre). La troveremo nella zona tra Idra, Cratere e Corvo, sull’orizzonte sudest, nella seconda parte della notte, verso il mattino. Non particolarmente alta, e non sarà nemmeno delle più fotogeniche, tutt’altro, ma potrebbe essere l’unica cometa interstellare che avrete la possibilità di riprendere, e comunque sicuramente la prima in assoluto! Un ricordo storico da conservare.
Aspettiamo sempre le vostre immagini su Photocoelum(oppure su gallery@coelum.com) con tutti i dettagli di ripresa e, se vi va, il racconto della vostra esperienza osservativa.
Poi comincerà davvero ad allontanarsi per sempre, con la sua velocità mozzafiato di oltre 175 mila chilometri orari (una delle comete più veloci mai viste!), per salutarci e proseguire il suo viaggio solitario nel freddo buio del mezzo interstellare.
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Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita
Dai grandi pianeti ghiacciati al ghiaccio sulla Luna come risorsa per una prossima colonizzazione
Un paesaggio infernale, una superficie ricoperta da vulcani attivi, gigantesche fratture, alte catene montuose e una temperatura da sciogliere il piombo. Questo è quanto ci ha mostrato la sonda Magellano della NASA nella sua missione ormai 25 anni fa, quando si immerse e si vaporizzò nella densa e velenosa atmosfera del pianeta. Venere è il secondo pianeta più vicino al Sole, ma di gran lunga il più caldo. Nulla di più lontano da qualsiasi possibilità di ricerca di sostenibilità della vita, come per alcune grandi lune dei giganti gassosi, o di colonizzazione umana, come per Marte e la Luna, eppure vogliamo tornarci.
A volerci tornare è Sue Smrekar, astrofisica planetaria del Jet Propulsion Laboratory della NASA. E ci spiega il perché: «Venere è come fosse il cmapione di controllo per la Terra. Pensiamo che siano partiti dalla stessa composizione, dalla stessa acqua e anidride carbonica. Ma hanno seguito due percorsi evolutivi completamente diversi. Ma allora, perché? Quali sono le forze chiave responsabili di queste differenze?»
Venere, ora riscaldato dall’effetto serra, un tempo aveva infatti un clima simile a quello terrestre, con oceani dai bassi fondali e zone di subduzione. Al momento solo una sonda orbita attorno al pianeta, ed la sonda giapponese Akatsuki, chiamata così per via del suo inizio di missione travagliato, un’attesa di ben cinque anni per riuscire a inserirsi nell’orbita del pianeta dopo aver fallito il primo tentativo. In passato Venere è stato visitato, oltre che dalla sonda Magellano accennata all’inizio, anche da altre sonde americane e russe, il programma Venera e Vega 1 per i primi, le Mariner, le Pioneer e quindi la Magellano per gli americani. Nel nostro piccolo anche L’ESA ha avuto la Venus Express che ha studiato per quasi dieci anni l’atmosfera del pianeta.
Ora la Smrekar lavora con il Venus Exploration Analysis Group (VEXAG), un gruppo di scienziati e ingegneri che sta studiando come tornare su Venere in base ai dati di Magellano, per rispondere proprio a quella domanda: cosa è successo al clima così surriscaldato del nostro gemello planetario e che significato ha per la vita sulla Terra?
Le missioni che fin’ora hanno visitato il pianeta hanno spaziato da sonde in orbita, a palloni atmosferici, a lander che, anche se per molto poco, hanno raggiunto la superficie e inviato dati preziosi a terra. La temperatura e la pressione al livello del suolo sono talmente alti che delle nove sonde sovietiche che l’hanno raggiunto, quella che è durata più a lungo ha a fatica raggiunto le due ore (127 minuti per la precisione).
Un orbiter sarebbe relativamente al salvo da queste estreme condizioni, e dall’orbita potrebbe utilizzare radar e spettroscopi nell’infrarosso per penetrare le dense nubi e monitorare i cambiamenti della superficie, cercando indizi di come l’antica presenza di acqua e l’odierna attività vulcanica abbia modellato il pianeta. La Smrekar sta lavorando ad un orbiter chiamato VERITAS: «conosciamo davvero poco della composizione della superficie di Venere. Pensiamo ci siano continenti, come sulla Terra, formatisi per via delle antiche dinamiche di subduzione. Ma non abbiamo le informazioni che servono per sostenerlo davvero».
Ma a volerci tornare sono anche Attila Komjathy e Siddharth Krishnamoorthy, due ingegneri del JPL, che stanno invece immaginando una flotta di palloni sonda che cavalchino i venti di burrasca negli strati più alti dell’atmosfera venusiana, dove le temperature sono più miti e simili a quelle terrestri.
«Al momento non ci sono missioni commissionate per portare un pallone su Venere, mai palloni sono un gran modo per esplorare Venere, proprio per via della densa atmosfera e superficie cosi ostile», spiega Krishnamoorthy. «Un pallone sta nel punto giusto, abbastanza vicino (alla superficie) da ottenere un sacco di cose importanti, ma anche in un ambiente molto più favorevole, dove i tuoi sensori possono sopravvivere a sufficienza da poter ottenere qualcosa di significativo».
L’idea è di equipaggiare i palloni con sismografi abbastanza sensibili da rilevare i terremoti della superifice sottostante, attraverso le increspature dell’atmosfera, sotto forma di onde a infrasuoni, causate dal sisma (il boato che si sente con l’arrivo delle scosse), così come accade sulla Terra ma, vista la densità dell’atmosfera venusiana, in modo ancor più intenso. Krishnamoorthy e Komjathy hanno infatti dimostrato che la tecnica è fattibile usando mongolfiere d’argento che hanno rilevato i deboli segnali da terremoti terrestri.
Il problema semai sarebbe far fronte ai venti burrascosi degli uragani su Venere. Il pallone ideale, come ha determinato il Venus Exploration Analysis Group, dovrebbe poter controllare i suoi movimenti in almeno una direzione, e la squadra dei nostri due ingegneri non ci è andata molto distante: una schiera di piccoli palloni che cavalcano il vento attorno al pianeta a una velocità costante, restituendo i dati all’orbiter.
Però poi, se davvero si vuole svelare ogni segreto di questo pianeta così ostile, non si può fare a meno di scendere sulla sua superficie. Quali sfide dovrebbe allora poter superare un lander venusiano? Buona parte le possiamo già immaginare, ma in fondo a sopravvivere per un paio d’ore ce l’abbiamo fatta, e un lander ancor più resistente possiamo provare a costruirlo, ma… una sfida forse meno intuitiva è quella di come alimentare il lander.
Non ci si pensa, ma sotto una coltre così densa come quella delle nubi di Venere… la luce non passa, o ne passa molto poca, quindi impossibile immaginare una qualche forma di energia solare. D’altra parte il pianeta è troppo caldo per poter pensare di utilizzare altre forme di energia esterna: « Dal punto di vista delle temperature, è come trovarsi nel forno delle nostre cucine impostato nella modalità autopulente» scherza, nemmeno poi tanto, Jeff Hall, ingegnere della JPL che ha lavorato su prototipi di palloni e lander da mandare su Venere.
Su un lander l’energia serve non solo a far funzionare gli strumenti, ma anche per mantenere una “temperatura di esercizio”, fuori dalla quale l’elettronica si bloccherebbe, ben prima che la sonda si distrugga. Per permettere agli strumenti di lavorare, se su Marte basta una batteria, caricata a energia solare, per tenerli un po’ al caldo, su Venere servirebbe un potere refrigerante non da poco. Secondo Hall le batterie necessarie per far funzionare un frigorifero in grado di proteggere il lander richiederebbe più batterie di quante il lander stesso potrebbe trasportare. «Non c’è speranza di poter refrigerare un lander per tenerlo al fresco. Tutto quello che si può fare, è rallentare la velocità con cui si distrugge».
Il concetto di lander di Hall non ha passato il processo di approvazione, ma parte del suo attuale lavoro sta andando nella direzione voluta dalla NASA, che mira ad avere tecnologia in grado di sopravvivere giorni, se non settimane, in ambienti così estremi. Hall lavora con la Honeybee Robotics per sviluppare motori elettrici di nuova generazione per alimentare trapani che siano in grado di lavorare a condizioni estreme, mentre Joe Melko del JPL, sta lavorando a un progetto di campionamento pneumatico. I prototipi vengono testati nella Large Venus Test Chamber, una camera dalle pareti in acciaio riempita di anidride carbonica al 100%, in cui vengono simulate le condizioni estreme presenti sulla superficie di Venere. Ogni test superato ci avvicinerà sempre più a superare i limiti imposti da questo inospitale pianeta.
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Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita
Dai grandi pianeti ghiacciati al ghiaccio sulla Luna come risorsa per una prossima colonizzazione
Universo curvo o piatto? Con Eleonora di Valentino 12.12: Beyond Oort con Stefano Capretti 19.12: Astrofotografia con Valeriano Antonini e Amedeo Ferrante
La sera dell’11 dicembre, alle ore 17:45 circa, volgendo il nostro sguardo verso sudovest, potremo notare non troppo in alto sull’orizzonte (circa 10°) due astri luminosi che si distinguono dalle stelle circostanti: sono i pianeti Venere (mag. –3,9) e Saturno (mag. +0,6).
I due pianeti ci appariranno prospetticamente molto ravvicinati tra loro, separati di poco meno di 2° e tramonteranno poco prima delle 19.
Per la verità sarà bello seguire questo abbraccio celeste, che avverrà nel teatro stellare del Sagittario, anche nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’11 dicembre. Considerando che all’orario indicato i due pianeti non saranno molto alti sull’orizzonte, potremo cogliere l’occasione di immortalare la coppia planetaria in scatti fotografici che comprendano anche elementi del paesaggio naturale o elementi architettonici per impreziosire le nostre riprese.
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/
14.12, ore 22:00: Evento: “Sciame Geminidi” 20.12, ore 21:00: Conferenza “Eppur si muove…“: Presentazione della Galileo Experience. Attività riservata ai soci 28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
13.12 e 27.12, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 13), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891)
In caso di tempo incerto telefonare per conferma.
Per Natale regala un Corso di Astronomia di Accademia delle Stelle!
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Corsi di Astronomia:
– Corso base di Astronomia (inizia a gennaio)
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– Corso di Astronomia Sorprendente
– Corso base di Astronomia Pratica
Universo curvo o piatto? Con Eleonora di Valentino 10.12, ore 17:00: La stella di Natale con Italo Alfieri e Stefano Capretti presso la Biblioteca Cornelia a Roma 12.12: Beyond Oort con Stefano Capretti 19.12: Astrofotografia con Valeriano Antonini e Amedeo Ferrante
Il Primo Quarto lo avremo alle 07:58 del 4 dicembre col nostro satellite a –51° sotto l’orizzonte, mentre nella medesima serata ci sarà l’opportunità di osservare la Luna in una delle sue fasi più spettacolari (età di 8 giorni). La fase crescente culminerà col Plenilunio del 12 dicembre alle 06:12 in età di 16 giorni a un’altezza di +14°, andando poi a tramontare alle 07:50.
Indubbiamente per una comoda osservazione sarà necessario attendere il tardo pomeriggio quando la Luna sorgerà alle 17:02 divenendo progressivamente sempre più alta nel cielo meridionale fino al transito in meridiano previsto per la mezzanotte a +67°, a nostra disposizione per gran parte della serata fino al suo tramonto al termine della notte seguente contestualmente al sorgere del Sole.
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➜ Continua, con maggiori dettagli in la Luna di dicembresu Coelum Astronomia 239
Per l’osservazione della “Luna Piena” (non si tratta assolutamente di un “pallone bianco” privo di dettagli!) vi rimandiamo alla principale proposta osservativa di questo articolo.
A dicembre osserviamo
12 dicembre Osserviamo la Luna Piena
Si, proprio quella! La tanto odiata e snobbata Luna Piena, quel «bel pallone bianco su cui non si vede niente», «un disco talmente luminoso da risultare abbagliante e dannoso per i nostri occhi» (…quasi si trattasse di guardare il Sole senza filtri!) e tante altre simili e meravigliose amenità con le quali, non di rado, si rispediscono frettolosamente al mittente i curiosi o gli aspiranti osservatori del cielo che in una serata di Plenilunio si recano presso una delle tante Associazioni di Astrofili per togliersi almeno la soddisfazione di vedere attraverso l’oculare di un telescopio il disco del nostro satellite completamente illuminato dal Sole.
A questo punto sono doverose alcune precisazioni. Innanzitutto nessuno può negare la notevole luminosità della Luna Piena, la quale non va assolutamente d’accordo con chi effettua osservazioni di oggetti deep-sky siano esse visuali o fotografiche. Analogamente appare altrettanto indiscutibile come gli appassionati di osservazioni lunari in alta risoluzione non coltivino particolari simpatie nei confronti del nostro satellite quando si trova in Plenilunio, così indaffarati nell’affannosa ricerca dei più fini dettagli e dei minuscoli craterini lungo il terminatore, come d’altra parte tutte le osservazioni che io stesso ho consigliato fin’ora. Anche perché sulla Luna Piena non c’è nessun terminatore e i cosiddetti “dettagli” (o presunti tali) dovremo andare a cercarli lungo il bordo lunare quasi al confine con l’emisfero non visibile dal nostro pianeta.
Per non parlare poi di tutto quell’eccessivo clamore e bombardamento mediatico che molti organi di informazione ci propinano in occasione delle cosiddette e ricorrenti Super Luna, Mini Luna, Luna Rossa, Luna di Sangue, Luna Blu, ecc. trasformando la sempre piacevole osservazione del nostro satellite, durante una serata anche senza telescopio o con un semplice binocolo, in un fenomeno di massa quasi si trattasse di attendere l’arrivo di qualcuno da una lontana galassia, generando in tal modo aspettative che ben poco hanno a che vedere con una realistica osservazione di un Plenilunio, e spesso col risultato finale di allontanare almeno una parte dei potenziali osservatori della Luna.
Ma allora, è proprio inutile guardare la Luna Piena col telescopio? No, niente di più falso!
Per quanto riguarda questo mese, il nostro satellite sarà in Plenilunio alle 06:12 del 12 dicembre a un’altezza di +14° con un diametro apparente di 31,34′, età della fase di 16 giorni, distanza dalla Terra di 381.246 km e con illuminazione del disco lunare al 100%.
Chi intendesse effettuare osservazioni proprio in concomitanza del Plenilunio (alle 06:12 del 12 dicembre) tenga presente che il tempo a disposizione non sarà molto, prima che prevalgano le luci dell’alba. Consigliamo pertanto di spostare le osservazioni nella medesima serata del 12 dicembre quando, contestualmente al tramonto del Sole, la Luna sorgerà alle 17:00 e sarà a nostra disposizione almeno fino in tarda serata con il transito in meridiano poco oltre la mezzanotte a un’altezza di +67°. Ai fini del Plenilunio nulla cambierà, sarà solo più vicina di circa 240 km.
Anche questo mese riproponiamo l’elenco completo delle librazioni, quelle anomalie nella rotazione lunare che fanno si che la Luna non mostri proprio sempre la stessa faccia, ma si “dondoli” un po’, mostrandoci piccoli spiragli delle formazioni che si trovano sul contorno, e oltre, della faccia visibile, che altrimenti non potremmo vedere. Questo movimento è più o meno accentuato nell’arco del mese (normalmente vi segnaliamo la massima librazione, che mostra più superficie della faccia nascosta), e quindi più o meno ampio è lo sguardo che possiamo dare oltre il bordo, ma può essere comunque interessante soprattutto associato all’osservazione della Luna Piena. Fateci sapere se vi piace, qui sotto nei commenti, o nei social o ancora su segreteria@coelum.com!
Si parte allora tra l’1 e il 4 novembre, con le Librazioni che interesseranno le aree situate lungo il bordo nordorientale del nostro satellite. Le osservazioni saranno certamente agevolate dalla Luna in fase crescente la cui osservabilità interesserà la fascia oraria dal tardo pomeriggio (17:00 circa) fino in tarda serata. Notare che la sera del 4 dicembre il punto di massima Librazione dalle 21:00 circa andrà a interessare zone ancora immerse nella notte lunare.
Proseguono i consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci di Luna, del Cielo di Dicembre sul numero 239. Si dovrà attendere anche in dicembre l’ultima decade del mese, nei giorni prima e dopo la Luna Nuova del 26 novembre. Avremo ben cinque giorni utili per le osservazioni nei giorni 22, 23, 24 e 28, 29 dicembre. In particolare, il 28 e 29 dicembre la sottile falce di Luna sarà affiancata da Venere, un doppio spettacolo da osservare al telescopio e anche a occhio nudo.
Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci ha raccontato come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!
E se le proposte fatte non vi bastano, non dimenticate tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!
Numero di Avogadro, limite di Chandrasekhar, costante di Planck, legge di Hubble-Lemaître… gli esempi di leggi e fenomeni della fisica che portano il nome dei loro scopritori sono tanti, certo. Ma non è da tutti gli scienziati averne uno intitolato a sé stessi. Lorenzo Amati, astrofisico all’Inaf di Bologna, è uno di questi: una correlazione individuata nel 2002 fra l’energia irradiata e la lunghezza d’onda alla quale si osserva il picco di luminosità dei lampi di raggi gamma (Grb, dall’inglese gamma ray bursts), è infatti universalmente nota come “the Amati relation” – la relazione Amati.
È una relazione che potrebbe dare un contributo decisivo alla soluzione di due fra i dilemmi che più stanno tormentando i cosmologi: la natura (e la possibile evoluzione) della cosiddettaenergia oscura e il valore della costante di Hubble. Valore, quest’ultimo, la cui stima varia – con risultati incompatibili fra loro – a seconda che si misuri la velocità di espansione dell’universo usando “candele standard” come le supernove o modelli e parametri cosmologici come quelli ottenuti grazie satellite Planck. Ebbene, se la sua affidabilità fosse confermata, la relazione Amati permetterebbe di affiancare alle supernove un tipo completamente diverso – e dunque indipendente – di candele standard: i Grb, appunto. E in particolare ilong Grb.
Data la sua “giovinezza” – non è ancora nemmeno maggiorenne – non stupisce che la relazione Amati sia ancora al vaglio della comunità scientifica, ma per ora sembra che stia reggendo bene alla prova dei fatti. L’ultima conferma arriva da uno studio guidato da Feraol Fana Dirirsa basato sull’osservazione di 26 gamma ray bursts – compiuto con il telescopio della Nasa Fermi e firmato, fra gli altri, da Francesco Longo dell’Infn e dell’Università di Trieste – pubblicato da poche ore su The Astrophysical Journal. Ne parliamo non con uno degli autori dell’articolo, questa volta, bensì con lo stesso Lorenzo Amati: proprio lui, quello della relazione.
Partiamo dalla relazione che porta il suo nome, la Amati relation: cosa dice?
«Si tratta di una forte correlazione tra l’energia irradiata da un lampo gamma assumendo emissione isotropa (Eiso) e la lunghezza d’onda (espressa in termini di energia fotonica, Ep) alla quale si ha il picco dello spettro. In qualche modo, Ep rappresenta il “colore” del Grb, così come per una stella questo è legato alla sua temperatura superficiale. La correlazione ci dice che Ep è proporzionale a circa la radice quadrata di Eiso, ed è la meno dispersa tra quelle che legano l’energia irradiata, o la luminosità, dei Grb alle loro proprietà spettrali o temporali. Per questo, essa costituisce uno strumento fondamentale per la comprensione dei meccanismi fisici alla base dell’emissione dei Grb e delle proprietà geometriche dei jet ultra-relativistici che li emettono».
Cosa ha a che fare tutto ciò con la stima della costante di Hubble?
«Legando una quantità misurabile direttamente, Ep, con una quantità il cui valore apparente dipende dalla geometria ed espansione dell’universo, questa correlazione è il metodo più investigato per la “trasformazione” dei Grb in “candele standard” – e dunque per il loro utilizzo per lo studio dei parametri cosmologici, in modo simile a quanto avviene per le supernove di tipo Ia. Infatti su questa linea di ricerca collaboriamo strettamente con Massimo Della Valle, esperto di supernove e già coinvolto nei lavori da premio Nobel che hanno portato alla scoperta dell’espansione accelerata dell’universo alla fine degli anni ‘90».
In questi anni, per la relazione Amati sono arrivate solo conferme o anche dati che la mettono in discussione?
«Dopo la scoperta da parte di un gruppo di lavoro guidato dal sottoscritto e con l’importante contributo di Filippo Frontera e Marco Tavani, avvenuta nel 2002 basandosi sui dati di del satellite BeppoSax, la correlazione è stata confermata – ed estesa anche ai Grb più deboli e spettralmente “soffici” – dalle misure dei satelliti Hete-2, prima, e poi Konus-Wind, Swift e Fermi/Gbm. Le pubblicazioni scientifiche che citano il lavoro del 2002 sono quasi 900, e diverse centinaia quelle che citano i nostri lavori successivi sulla caratterizzazione e utilizzo della correlazione. Questo dimostra la grande credibilità e rilevanza di questa evidenza osservativa presso la comunità scientifica. Tuttavia, esistono alcuni lavori che, giustamente, si focalizzano sui possibili effetti di selezione legati alle sensibilità limitate dagli strumenti e altri tipi di bias, che vanno sempre considerati nell’utilizzo di sorgenti astrofisiche per la cosmologia».
Per esempio?
«Una decina di anni fa si accese un piccolo, ma intenso, dibattito sulla rilevanza di questi effetti per la correlazione Ep-Eiso, visto in particolare visto il crescente interesse per un suo utilizzo per la cosmologia. Numerosi lavori, tra i quali quelli di Giancarlo Ghirlanda, Gabriele Ghisellini, Lara Nava e collaboratori (peraltro, proponenti l’utilizzo di questo tipo di correlazione per la cosmologia già nel 2004) dimostrano però la marginalità di questi effetti, e dunque la solidità della correlazione. Infine, vi sono alcuni Grb con proprietà molto peculiari che sembrano non seguire la correlazione (i cosiddetti “outliers”). Tuttavia, esistono diverse spiegazioni per questi comportamenti: per esempio, effetti di linea di vista, particolari evoluzioni spettrali legate a effetti strumentali che “remano contro” la correlazione, Grb di diversa natura. Anzi, da questo punto di vista, il piano Ep-Eiso può essere considerato come uno strumento per identificare e comprendere diverse sotto-classi di Grb – ad esempio, quelli sub-luminosi».
E adesso questi 26 Grb osservati da Fermi: tutti ubbidienti alla sua legge o c’è qualche ribelle?
«I Grb lunghi di questo campione di lampi gamma con redshift noto e rivelati anche dallo strumento di altissima energia di Fermi (il Lat, che opera fino a qualche centinaia di GeV ) sono tutti pienamente consistenti con la correlazione. Come già dimostrato da numerose misure precedenti, i Grb corti, invece, non la seguono. E quest’ultimo aspetto rinforza il concetto espresso poco sopra, ovvero l’utilità del piano Ep-Eiso per identificare e distinguere Grb di classi diverse. Addirittura, esiste un lavoro di qualche anno fa, pubblicato su Mnras da un gruppo di ricerca cinese, che va oltre la classificazione dei Grb in lunghi e corti: basandosi sulla consistenza o meno con la correlazione, propone di classificarli in Grb “Amati” e “non-Amati”. Il che, per noi italiani, suona ovviamente abbastanza buffo!».
Cosa aggiunge di nuovo, quest’ultima osservazione compiuta con Fermi, a quelle precedenti?
«Le misure sensibili dello spettro dell’emissione “prompt” dei Grb, ovvero il lampo gamma vero e proprio, dalla quale si ricavano sia Eiso che Ep, vengono tipicamente effettuate da una decina di keV a 1-2 MeV al massimo. Per esempio, il Grb monitor a bordo di Swift è limitato a 15-150 keV, e il Grb monitor di Fermi (Gbm) – pur arrivando nominalmente fino a 30 MeV – per eventi medi è molto poco sensibile sopra 1 MeV. Questi limiti di banda energetica e sensibilità sono tra gli effetti principali che possono condizionare le caratteristiche, e la solidità stessa, della correlazione Ep – Eiso. Le misure dello strumento Lat di Fermi permettono di estendere fino ad oltre il GeV la caratterizzazione dello spettro dei Grb, fornendo quindi misure molto più accurate e solide sia di Ep che di Eiso, riducendo così in modo importante gli effetti strumentali e di selezione. Dunque, siamo di fronte a un ulteriore passo in avanti nella validità della correlazione e del suo utilizzo per la fisica dei Grb ed il loro utilizzo cosmologico».
Diciott’anni sono pochi, ma nemmeno pochissimi. Perché i Grb ancora non sono utilizzati in modo sistematico per il calcolo della costante di Hubble, come consentirebbe di fare la correlazione che porta il suo nome?
«Come detto sopra, nonostante la grande mole di lavori scientifici che utilizza la correlazione per la comprensione della fisica dei Grb, lo studio della geometria e struttura del jet che li emette, l’identificazione e comprensione di diverse classi di Grb, la cosmologia e i numerosi lavori che ne sostengono la solidità, per sdoganare del tutto l’utilizzo della correlazione per la misura di parametri cosmologici fondamentali occorre dissipare ogni ombra di dubbio sugli effetti strumentali e bias discussi in precedenza. E fare ulteriori passi in avanti nella calibrazione della correlazione stessa, resa difficile dal fatto che, a differenza delle supernove Ia, i Grb sono tutti a distanze “cosmologiche”. In quest’ottica, saranno molto importanti le misure della missione Svom (Cina e Francia), satellite dedicato ai Grb che dovrebbe essere lanciato nel 2022 e supererà parte dei limiti dell’attuale strumentazione, e, più in prospettiva, di Theseus, concetto di missione coordinato dall’Italia e attualmente in fase di studio da parte di Esa per un possibile lancio intorno al 2030, che fornirà precisissime misure spettrali e stime del redshift per numerose centinaia di Grb».
Ma cosa si prova a sapere che c’è una potenziale legge di natura che porta il proprio nome?
«La correlazione Ep – Eiso fu chiamata per la prima volta “Amati relation” da Don Lamb – noto esperto mondiale di Grb, allora all’Università di Chicago – nel 2003, durante un congresso celebrativo di BeppoSax ad Amsterdam. Io partecipavo al congresso, ma durante l’intervento di Lamb, l’ultimo prima della fine della sessione, ero intento a discutere con un collega e non mi accorsi di nulla! All’uscita, i mei colleghi e amici cominciarono a complimentarsi, anche scherzosamente, per questa improvvisa popolarità, e da lì in poi è stata una specie di sorprendente, piacevole (e anche un po’ imbarazzante) valanga… Per diversi anni sono stato il più citato nei congressi sui Grb, e il mio cognome compare nel titolo di almeno 30 articoli scientifici e nell’abstract di oltre 200 articoli. Inoltre, mi ha sicuramente gratificato vedermi citato in contesti quali un articolo sul New York Times o un editoriale su Nature. Tra le perle un po’ buffe, oltre alla sopracitata classificazione dei Grb in “Amati” e “non-Amati” da parte di un gruppo cinese, menzionerei un mio ex-professore di dottorato di ricerca a Roma, nonché uno dei maggiori esperti di astronomia X. Che durante un pranzo con diversi colleghi raccontò la sua sorpresa nel leggere della “Amati relation” su Nature e concluse con: “Amati, lei è andato oltre ogni mia più rosea aspettativa!”. Per inciso, si dice che qualcosa di simile sia successo anche ad Albert Einstein, quando un suo ex-professore commentò in modo analogo la pubblicazione e il successo degli articoli sulla relatività. Ma non vorrei sembrare immodesto…».
Seguono il Cane Maggiore, con la brillante Sirio, i Gemelli e il Toro, con la rossa Aldebaran che insegue l’affascinante ammasso aperto delle Pleiadi (M 45). Si tratta di uno spicchio di cielo davvero bello da osservare, anche solo a occhio nudo, e che saprà donare agli osservatori dotati di binocolo o di telescopio grandi emozioni, per non parlare delle soddisfazioni date agli astrofotografi. Verso la metà del mese, alle 22:30, la figura del “cacciatore celeste” sarà ancora defilata verso sudest, mentre saranno già in meridiano il Toro e più in basso il tenue fluire di stelle dell’Eridano.
A ponente riconosceremo facilmente gli asterismi che qualche mese fa erano allo zenit (Pegaso e Cigno su tutti), ormai declinanti all’orizzonte, mentre a est fanno già capolino il Cancro e il Leone, con lo zenit attraversato dal Perseo. Un paio di ore più tardi potremo osservare il sorgere del Boote, mentre staranno già scendendo a ovest la Balena, i Pesci e Andromeda.
➜ Mentre Giorgia Hofer ci parla e ci invita riprendere (anche nel paesaggio!) la Nebulosa di Orione
IL SOLE
All’inizio di dicembre il Sole si troverà nella costellazione zodiacale dell’Ofiuco e passerà in quella del Sagittario il giorno 18. Sempre più bassa sull’orizzonte, la nostra stella raggiungerà in questo periodo, il giorno 22, la minima altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano (+24,5°). Sarà questo il giorno del Solstizio d’Inverno (dal latino “solstitium”, che significa “Sole immobile”, stazionario, per il fatto che la sua apparente caduta in altezza sembra progressivamente arrestarsi). Da questo momento in poi avrà inizio nel nostro emisfero l’inverno astronomico.
Mercurio, dopo il transito sul Sole dello scorso mese (che questo mese trovate immortalato nella gallery dedicata introdotta da Marco Castellani, clicca qui a destra) potremo osservarlo nella prima parte del mese al mattino, fino a circa il giorno di Natale, quando (ma sarà una vera sfida!) sarà affiancato da una sottilissima falce di Luna in fase dell’1%. Non riusciranno però ad alzarsi troppo dall’orizzonte, soffocati dalla luce dell’alba. Se ci riuscite aspettiamo le vostre straordinarie immagini su PhotoCoelum, ovviamente!
Se Marte comincia a farsi vedere sempre prima al mattino, ma solo per due o tre ore, e Giove invece ci lascia sparendo nel cielo del tramonto, Venere brillerà nel cielo della sera, comincia un periodo di visibilità sempre migliore, che apprezzeremo ancor di più però dal prossimo mese. Saturno mantiene il suo posto sempre al tramonto, seguendo il destino di Giove, ma un po’ in ritardo, quindi potremo continuare ad osservarlo per tutto il mese. Maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate nel Cielo di Dicembre all’interno del nuovo numero.
Le Geminidi
Anche quest’anno, nel periodo che va dal 7 al 17 dicembre, dirigendo lo sguardo verso la costellazione dei Gemelli, potremo assistere a un magnifico spettacolo, quello offerto dallo sciame meteorico delle Geminidi. Dopo gli sciami minori degli ultimi mesi, finalmente queste “stelle cadenti” invernali, proprio come per le Perseidi in agosto, permettono di godere delle scie luminose lasciate in cielo dai frammenti rocciosi e metallici che, entrando nell’atmosfera, si disintegrano illuminandosi. Lo sciame delle Geminidi, anche se meno famoso di quello estivo per via delle basse temperature che non invogliano a restare all’aperto per osservarle tutta la notte, è generalmente uno dei più attivi oggi noti: quest’anno il suo picco di attività è atteso tra le ore 3:00 del 14 dicembre e la mezzanotte del 15 dicembre, con uno ZHR di circa 88 meteore all’ora, anche se già il giorno prima e quello successivo è attesa una discreta attività. A questa descrizione, finora piuttosto esaltante, bisogna purtroppo aggiungere che quest’anno l’osservazione delle Geminidi sarà fortemente disturbato dalla Luna, che ha raggiunto la fase di piena un paio di giorni prima del picco massimo (il 12 dicembre).
Come sempre tutti i consigli per l’osservazione del cielo li trovate sul Cielo di Dicembre 2019, su Coelum Astronomia.
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
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