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La piccola nana bianca e il gigante ghiacciato… con la coda

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Una ripoduzione artistica del sistema della piccola nana bianca WDJ0914+1914 con attorno un gigante ghiacciato in via di evaporazione, resto della sua probabile corte di pianeti dopo le turbolenti e violente fasi finali della vita della stella e del suo sistema planetario. Credit: ESO/M. Kornmesser

Quando un sole come il nostro invecchia, dopo una fase in cui si espande inglobando quel che trova attorno a lui fino a un raggio critico, in seguito perde i suoi strati superficiali fino a lasciare esposto il suo piccolo nucleo: una nana bianca, una stella densa e calda, inerte, più piccola delle dimensioni originarie della stella, che non brucia più combustibile al suo interno, e quindi in via di lentissimo raffreddamento.

Nel caso del nostro Sole, una volta bruciato l’idrogeno al suo interno tra circa 5 miliardi di anni, si espanderà fino a inglobare Mercurio, Venere e anche la Terra, perturbando il resto dei pianeti nella sua violenta trasformazione. Poi perderà man mano gli strati più esterni, finché di lui resterà solo il nucleo inerte, ed è facile immaginare che attorno a lui orbiteranno ancora i resti dei pianeti e dei suoi strati esterni.
E dato che le stelle simili al nostro Sole sono la maggiorparte nella nostra galassia, si immagina che tante possano essere le nane bianche che potrebbero avere resti planetari nel loro sistema, ma fin’ora non era ancora stato trovato un pianeta sopravvissuto e ancora in orbita attorno ad essa.

E proprio questo è quello che si sono trovati davanti Boris Gänsicke e il suo team (dell’Università di Warwick, UK), che spiega: «È stata una di quelle scoperte che non ti aspetti. Sapevamo che qualcosa di eccezionale stava accadendo al quel sistema, e abbiamo immaginato che potesse avere a che fare con un qualche tipo di resto planetario».

Studiando oltre 7000 nane bianche nei dati raccolti dalla Sloan Digital Sky Survey , i ricercatori del team di Gänsicke si sono accorti di una stella in particolare, diversa da tutte le altre, che mostrava tracce di elementi chimici in quantità inusuali attorno a una nana bianca. La stella si chiama WDJ0914+1914, e analizzata più nel dettaglio, grazie allo strumento X-shooter montato sul Very Large Telescope dell’ESO, nel deserto di Atacama in Chile, ha confermato le anomalie: quantità mai viste di idrogeno, ossigeno e solfuro in un disco di gas che ruota attorno alla stella. Elementi che non potevano venire dalla stella stessa, che come ricordiamo ha bruciato prima di iniziare le sue fasi di instabilità che l’hanno portata allo stato di nana bianca.

«Ci sono volute settimane di complicati ragionamenti per capire che l’unico modo perché potesse crearsi un tale disco era dall’evaporazione di un pianeta gigante», spiega Matthias Schreiber dell’Università di Valparaiso in Cile, che si è occupato della simulazione dell’evoluzione passata e futura del sistema. Quegli elementi sono infatti caratteristici degli strati profondi delle atmosfere di pianeti giganti ghiacciati come i nostri Nettuno e Urano (vedi anche lo speciale di questo mese di Coelum Astronomia dedicato proprio ai giganti ghiacciati del nostro Sistema Solare).

Trovandosi a orbitare attorno a un sistema di questo tipo, la radazione ultravioletta estrema della nana bianca riesce a strappare via gli strati superficiali di questi giganti (che anche se chiamati ghiacciati sono in realtà gassosi), che formano dunque un disco di accrescimento attorno alla stella.

Combinando i dati osservativi e i modelli teorici sviluppati, i ricercatori sono riusciti a costruirsi una chiara immagine di questo sistema. Una piccola nana bianca calda cinque volte più del Sole (28 mila gradi Clesius) e un grande pianeta ghiacciato, grande quasi il doppio della stella che orbita a distanza ravvicinata, con un periodo di rivoluzione di soli 10 giorni tanto l’orbita è stretta.  Le radiazioni della stella stanno quindi strappando gli strati esterni dell’astmosfera del pianeta, che in parte fuggono nello spazio interstellare, lasciando una scia dietro al pianeta quasi fosse una cometa, e in parte accrescono il disco di gas attorno alla stella, a una velocità di 3000 tonnellate al secondo!

«È la prima volta che riusciamo a misurare tali quantità di gas come idrogeno, ossigeno e sulfuro nel disco, che ci danno un indizio della composizione dell’atmosfera di un esopianeta» spiega Odette Toloza, sempre dell’Università di Warwick, che ha sviluppato il modello per il disco di gas attorno alla nana bianca. «Una scoperta che inoltre apre una nuova finestra sul destino finale dei sistemi planetari» .

Qualcosa però non torna, se il pianeta si trovava in orbita così stretta attorno al suo Sole, la fase di gigante rossa avrebbe dovuto inglobarlo e farlo sparire. Il pianeta si trova infatti a soli 10  milioni di chilometri dalla stella, più o meno 15 raggi solari. L’ipotesi è che in realtà si trovasse molto più distante, oltre il raggio di supergigante rossa, e che l’interazione gravitazionale, stravolta dall’evoluzione in gigante rossa, con gli altri pianeti in orbita attorno alla stella l’abbia poi fatto avvicinare, lasciando anche pensare che in realtà possano esserci altri pianeti sopravvissuti alla violenta trasformazione della stella.

Il Very Large Telescope (VLT) dell'ESO ripreso nello sfondo del tramonto sul Cerro Paranal: quattro telescopi da 8,2 metri, e quattro unità ausiliarie da 1,8 metri (nell'angolo a sinistra). I telescopi possono anche lavorare assieme formando il VLTI il Very Large Telescope Interferometer, permettendo di raggiungere incredibili definizioni. Una configurazione però che può essere utilizzata per poche notti all'anno. Per lo più i telescopi lavorano singolarmente. Credit: ESO/B. Tafreshi (twanight.org)

Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita

Dai grandi pianeti ghiacciati al ghiaccio sulla Luna come risorsa per una prossima colonizzazione

Coelum Astronomia di Dicembre 2019
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Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
07.12, ore 21:30: Il cielo…di passaggio. Ritrovo presso Porta Laterina da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo di dicembre che vede la fine della stagione autunnale e l’inizio di quella invernale. Potremo ammirare anche la Luna oltre la fase di Primo Quarto. Prenotazione obbligatoria sul sito o a Davide Scutumella (3388861549).

13.12 e 27.12, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 13), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891)
In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Premio Letterario Galileo per la Divulgazione Scientifica. Selezionata la cinquina dei libri finalisti

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Si è riunita il primo dicembre mattina in Sala Livio Paladin, Palazzo Moroni, a Padova la Giuria Scientifica del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, che ha selezionato i 5 volumi che accederanno alla fase finale del Premio.

Questi i cinque volumi selezionati:
“Il giro del mondo in sei milioni di anni” (Il Mulino) di Guido BarbujaniAndrea Brunelli
“Senza confini. Le straordinarie storie degli animali migratori” (Codice Edizioni) di Francesca Buoninconti
“La trama della vita. La scienza della longevità e la cura dell’incurabile tra ricerca e false promesse” (Marsilio Editori) di Giulio Cossu
“Il senso perfetto. Mai sottovalutare il naso” (Codice Edizioni) di Anna D’Errico
“Cybercrime. Attacchi globali, conseguenze locali” (Hoepli) di Carola Frediani

Sala Palladin di Palazzo Moroni.
Davanti una sala piena di invitati e studenti, alla presenza di Cristina Piva, assessore alle politiche educative e scolastiche, coesione sociale, volontariato e servizio civile, trasparenza ed edilizia scolastica del Comune di Padova e di Rodolfo Costa, professore ordinario di Genetica dell’Università degli Studi di Padova, la Giuria Scientifica del Premio, presieduta Alberto Mantovani, pioniere dell’immunologia, direttore scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University ha introdotto i 33 libri scelti, in prima battuta, tra le oltre 80 candidature, che sono passati attraverso altre due fasi di votazione per passare a dieci e quindi alla cinquina che accederà all’ultima fase del Premio. Il voto infatti ora passa alla Giuria esterna, composta da studenti universitari di tutta Italia che si sono candidati come giurati e dalle 10 scuole secondarie di secondo grado selezionate per la fase finale del Concorso Scuole, una novità di quest’anno istituita dal Comune di Padova con l’obiettivo di stimolare i giovani studenti di tutta la Penisola sul tema della corretta informazione scientifica. E saranno proprio gli “studenti giurati” a decretare con il proprio voto l’opera vincitrice del Premio.

Quest’anno la Giuria Scientifica era invece formata da cinque giornalisti scientifici e cinque docenti universitari: Gabriele Beccaria, firma de La Stampa e responsabile degli inserti Tuttoscienze TuttosaluteRossella Panarese, autrice e conduttrice di Radio3Scienza, il quotidiano scientifico di Rai Radio 3; Giovanni Caprara, saggista ed editorialista scientifico del Corriere della SeraBarbara Carfagna, giornalista RAI; Silvia Bencivelli, giornalista, saggista, conduttrice radiofonica e televisiva; Maurizio Borin, docente di Agronomia, Università degli Studi di Padova; Marco Ferrante, docente di Calcolo delle Probabilità, Università degli Studi di Padova; Maria Maddalena Parlati, docente di Letteratura Inglese, Università degli Studi di Padova; Maria Berica Rasotto, docente di Anatomia Comparata, Università degli Studi di Padova; e infine Flavio Seno, docente di Fisica Teorica della Materia, Università degli Studi di Padova.

Il Presidente Mantovani e la Giuria Scientifica con i cinque volumi selezionati.

Ogni giurato ha, durante la mattinata, raccontato il proprio criterio di scelta e i cinque volumi preferiti. Si sono poi susseguite due tornate di selezione, tra spareggi, conferme e cambi di nomine, che hanno sfoltito le proposte a dieci e in ultimo alle cinque finaliste.

Tra i criteri è stata unanime ovviamente la necessità di informazioni rigorose e provate, mentre non sempre lo è stato il tipo di stile o il contenuto. C’è chi come Beccaria ha puntato su libri in cui “l’esposizione dei problemi abbia il sopravvento sulle soluzioni”, che stimolino la riflessione, spieghino “la complessità e l’articolazione dei problemi” che si incontrano nella scienza, più che dare risposte preconfezionate, come hanno sottolineato anche Panarese e Rasotto. C’è chi invece ha puntato più sul linguaggio: che “esca dai libri che spiegano cose”, da un vecchio modo di intendere la divulgazione come libro di educazione didattica, come Bencivelli e Borin, libri che invece di spiegare raccontino e coinvolgano il lettore, anche non limitatamente all’argomento trattato, ma raccontando anche i problemi e l’importante “rapporto con l’errore” che ogni ricercatore si trova ad affrontare.

Tra i temi sicuramente ha prevalso l’attualità e lo sguardo verso il futuro, anche se praticamente tutta la giuria ha notato la mancanza di un grande assente, il cambiamento climatico, che ha invece così tanto risvegliato l’interesse proprio dei più giovani, trattato solo in parte e in modo secondario in pochi titoli. Seguendo questo interesse dei più giovani per il futuro e per la società, in molti hanno privilegiato volumi che affrontano il tema del legame tra Scienza e Società, anche sotto il punto di vista delle conseguenze politiche ed economiche, fino al tema delle diseguaglianze, e ne sono indice due volumi tra i più nominati, quelli di Barbujani e Brunelli e di Buoninconti, sul tema delle razze nell’evoluzione dell’uomo e delle migrazioni (di animali ma non solo).

Per quanto riguarda noi (redazione di Coelum astronomia) forse per la prima volta (e forse proprio per questo) mancano nei cinque selezionati i temi dell’astronomia, dello spazio e della fisica, nonostante alcuni volumi – tra i quali di autori noti ai nostri lettori come Amedeo Balbi, Piero Bianucci, Luca Perri, ma anche di Roberto Battiston e Marco Ciardi con Maria Giulia Andretta – siano stati nominati anche più volte dalla giuria. Purtroppo i meccanismi di riselezione e spareggio sono spietati, ed erano talmente tanti i volumi interessanti che aderivano ai criteri scelti, che non potevano certo rientrare tutti nei “primi cinque”, ma possiamo dire che si sono difesi bene!
Per questo (e anche in vista dei regali di Natale…) alleghiamo qui l’elenco completo dei volumi nominati durante la selezione.

Il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica entra ora nella fase finale, i cinque volumi selezionati verranno consegnati ai ragazzi e un ulteriore novità – oltre al concorso per le Scuole, “Fake troppo fake! Racconti (corretti) di scienza” (iscrizioni entro il 20 dicembre) – sarà un “tour” che da gennaio a marzo porterà gli autori in alcuni luoghi simbolo della divulgazione letteraria – nella sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera a Milano (29 gennaio), al Circolo dei Lettori di Torino (7 febbraio), al Muse-Museo della Scienza di Trento (28 febbraio) per tornare infine a Padova (28 marzo) – per dare una ancora maggiore visibilità all’iniziativa coinvolgendo un pubblico sempre più vasto.

La cerimonia di consegna del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica si terrà venerdì 8 maggio, presso l’Aula Magna del Palazzo del Bo, Università di Padova. Il giorno precedente – giovedì 7 maggio – i 5 autori finalisti presenteranno al pubblico le opere in concorso.

Il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica è promosso dal Comune di Padova-Assessorato alla Cultura, con la collaborazione dell’Università degli Studi di Padova e di ItalyPost.

La cinquina finalista: autori e opere


Urano e Nettuno, gli ultimi pianeti del Sistema Solare a 30 anni dalla nostra ultima visita

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

06.12, ore 20:30: Presentazione del libro “Lo spazzino delle stelle” La storia di Luca, presso sala teatro a Crespadoro (Vi)
14.12, ore 22:00: Evento: “Sciame Geminidi
20.12, ore 21:00: Conferenza “Eppur si muove…“: Presentazione della Galileo Experience. Attività riservata ai soci
28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Naiade e Talassa e la danza dell’elusione

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Un recente studio pubblicato sulla rivista Icarus e guidato dalla ricercatrice Marina Brozovic del Jet Propulsion Laboratory della NASA, ha messo in evidenza una particolare danza orbitale compiuta da due delle lune di Nettuno, Naiade e Talassa, che ha sorpreso gli astronomi. Questi due satelliti compagni sono impegnati, infatti, in una particolare coreografia che i ricercatori hanno battezzato “danza dell’elusione”, osservata grazie alle riprese effettuate con il Telescopio Spaziale Hubble, che ha reso evidente un insolito schema orbitale particolarmente stabile e che ha impedito alle due lune di entrare in collisione.

Naiade e Talassa sono due piccole lune di forma all’incirca ovale e allungata, di 100 chilometri di lunghezza. Sono due delle sette lune interne di Nettuno, parte di un sistema strettamente intrecciato con i deboli anelli. I due piccoli corpi celesti hanno orbite distanti circa 1.850 chilometri e Naiade ruota attorno a Nettuno ogni sette ore, mentre Talassa, più esterna, impiega sette ore e mezza. Quando si incontrano, però, non arrivano mai a distanze così ravvicinate: l’orbita di Naiade è inclinata rispetto a quella di Talassa e perfettamente sincronizzata con essa, e ogni volta che Naiade passa vicino alla più lenta Talassa, le due si trovano a una distanza di ben 3.540 chilometri. In questo modo, un osservatore su Talassa vedrebbe Naiade in un’orbita che si muove come un’onda, sopra e sotto Talassa, e lo stesso schema si ripete ogni volta che Naiade guadagna quattro giri su Talassa.

La curiosa danza di Naiade e Talassa permette alle due lune di evitarsi mentre si rincorrono attorno a Nettuno. Crediti: Brozović et al, doi: 10.1016/j.icarus.2019.113462.
Sebbene questa danza possa apparire strana, è in grado di mantenere stabili le orbite, anzi la stabilità è dovuta proprio al fatto di non raggiungere mai distanze troppo ravvicinate. «Ci riferiamo a questo schema ripetuto con il termine risonanza. Esistono molti tipi diversi di “danze” che possono seguire pianeti, lune e asteroidi, ma questa non era mai stata vista prima», spiega Marina Brozovic.

A queste distanze, così lontane dal Sole, i pinaeti giganti si ritrovano ad essere le sorgenti gravitazionali dominanti. In questo modo raggruppano attorno a loro decine di lune, alcune nate assieme ai pianeti e rimaste sempre nella loro posizione, altre catturate e intrappolate nelle loro orbite dalla gravità dei due giganti ghiacciati. Tra queste lune alcune hanno orbite retrograde, altre “saltano” da un orbita all’altra per evitare collisioni con altre lune.
«Sospettiamo che Naiade sia stata sbalzata in questa sua orbita inclinata da una precedente interazione con una delle altre lune interne di Nettuno», dice Brozovic. «Solo più tardi, dopo che si è stabilizzata la sua inclinazione orbitale, Naiade si è assestata in questa insolita risonanza con Talassa».

A oggi, Nettuno ha 14 lune confermate. Neso, la più lontana, si muove su un’orbita estremamente ellittica che la porta a circa 74 milioni di chilometri dal pianeta e impiega 27 anni per completarla. Si pensa che il sistema di satelliti originale sia stato distrutto quando Nettuno ha catturato la sua luna gigante, Tritone, e che queste lune e gli anelli interni si siano formati dai detriti rimasti. Gli scienziati planetari sospettano che Naiade sia stata espulsa nella sua orbita inclinata da una precedente interazione con una delle altre lune interne di Nettuno, e solo dopo abbia instaurato questa insolita risonanza con Talassa.

Lo studio si trova al link: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S001910351930257X


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Astronomiamo

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Loc_CoelumNovembre2019
dal 22.11: Corso di astronomia a Roma, presso CASC Banca Italia

Per tutte le informazioni:
www.astronomiamo.it

Una sottile Falce di Luna e due giorni per passare da Venere e Giove a Saturno

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Naturale evoluzione della bellissima congiunzione del 24 novembre, il giorno 28, volgendo il nostro sguardo verso sudovest, potremo notare i pianeti Venere (mag. –3,9) e Giove (mag. –1,9) accompagnati da una sottilissima falce di Luna (fase del 5%) a rendere questa congiunzione ancora più affascinante e preziosa.

La Luna passerà a 2° 12’ a ovest di Venere e a 2° 27’ a nordest di Giove. I due pianeti appariranno brillanti e ben contrastati rispetto al fondo cielo che ci apparirà ancora illuminato dalle luci del tramonto. Considerata l’altezza esigua dei tre soggetti sull’orizzonte (poco più di 7° all’orario indicato), questa sarà un’altra bella occasione di scattare delle fotografie a largo campo che comprendano i tre astri e gli elementi del paesaggio circostante. Per l’osservazione, al di là di ammirare a occhio nudo la geometria dell’incontro celeste, i tre oggetti entreranno comodamente nel campo di un binocolo 10×50.

Il giorno successivo, il 29 novembre, sempre alle 17:30, vedremo la Luna (fase del 10%) posizionarsi più in alto, lasciando dietro di sé Venere e Giove, incontrati il giorno prima, per avvicinarsi a Saturno (mag. +0,6). La congiunzione con Saturno viene accompagnata dalla presenza delle maggiori stelle del Sagittario, tra cui sarà più facile riconoscere Nunki (sigma Sagittarii, mag. +2,1) e Pi Sagittari (mag. +2,8). La Luna si posizionerà a 3° 24’ a sudovest di Saturno e a 3° a nordest di Nunki.

La Danza dei Pianeti Riprendiamo il movimento dei pianeti nel cielo con Giorgia Hofer.

Le effemeridi di Sole e Pianeti le trovi sul Cielo di Novembre 2019

➜ Il Cielo di novembre con la UAI che questo mese ci porta tra i veli dell’Auriga

La Luna di Novembre 2019
e una guida per l’osservazione della regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


Pronti per l’osservazione del Cielo di Dicembre?

su Coelum Astronomia 239, adesso online!

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito.

 

Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

OA Merate, 28/11/2019 @ 11:00
Daniele Spiga (INAF Brera), “Come lavorare un anno e mezzo con un laser X a elettroni liberi e tornare vivi per raccontarlo” Neutrini, fotoni e onde gravitazionali

Come lavorare un anno e mezzo con un laser X a elettroni liberi e tornare vivi per raccontarlo. A Catania, Laboratori Nazionali del Sud, dal 26 al 28 novembre 2019

Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Là dove sulla Terra non c’è vita

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Stagni iperacidi, ipersalati e caldi nel campo geotermico di Dallol (Etiopia). Nonostante la presenza di acqua liquida, questo sistema multi-estremo non consente lo sviluppo della vita, secondo un nuovo studio. Crediti: Puri López-García
Stagni iperacidi, ipersalati e caldi nel campo geotermico di Dallol (Etiopia). Nonostante la presenza di acqua liquida, questo sistema multi-estremo non consente lo sviluppo della vita, secondo un nuovo studio. Crediti: Puri López-García

Un cratere vulcanico pieno di sale che emana fumosi gas tossici, dove l’acqua bolle in un’intensa attività idrotermale e le temperature giornaliere in inverno possono superare i 45 °C. Un ambiente ostile e multi-estremo: molto caldo, molto salino e molto acido allo stesso tempo. Non abbiamo appena varcato la porta degli inferi: siamo a Dallol, nella depressione della Dancalia, in Etiopia. È in questo luogo che un team di scienziati franco-spagnoli, guidato dalle biologhe Jodie BelillaPurificación López-García del Cnrs francese, ha scoperto come sia impossibile la permanenza di forme di vita.

Qualche mese fa, proprio qui su Media Inaf, avevamo dato notizia di un altro studio – condotto anch’esso nel Dallol e pubblicato su Scientific Reports – che evidenziava un risultato opposto: il ritrovamento di nanobatteri. Quel territorio, così apparentemente inospitale, veniva descritto come valido esempio per la comprensione dei limiti ambientali della vita, sia sulla Terra che in altre parti del Sistema solare. E l’area geotermale del Dallol veniva proposta come analogo terrestre di un Marte primitivo (com’era tre miliardi di anni fa). Di tutt’altro avviso le conclusioni di López-García e colleghi, pubblicate ora su Nature Ecology & Evolution. «Dopo aver analizzato molti più campioni rispetto ai lavori precedenti – con controlli appropriati per evitare di contaminarli e con una metodologia ben calibrata – abbiamo verificato che in queste pozze salate, calde e iperacide la vita microbica è assente. Così come è assente nei laghi salati adiacenti, ricchi di magnesio», sottolinea López-García.

Misurazioni della temperatura del fluido idrotermale nel mezzo di gas acidi e presenza di camini attivi. Crediti: Puri López-García

«Esiste, questo sì, una grande varietà di archaea alofili (microrganismi primitivi che abitano in ambienti altamente salini) nel deserto e nei canyon attorno al sito idrotermale», aggiunge la biologa, «ma non nelle pozze iperacide e ipersaline, e nemmeno nei cosiddetti laghi neri e gialli di Dallol, dove abbonda il magnesio. E questo nonostante il fatto che la dispersione microbica, in quest’area, sia intensa, a causa del vento e dei visitatori umani».

Due gli ostacoli alla vita che non permettono ai microrganismi di svilupparsi all’interno degli stagni: l’abbondanza di sali di magnesio caotropici – in grado di rompere i legami di idrogeno e causare la denaturazione delle proteine – e la simultanea presenza di condizioni quali l’ipersalinità, l’iperacidità e l’alta temperatura.

Per confermare tutto ciò, il team di scienziati ha utilizzato vari metodi di ricerca come: il sequenziamento massiccio di marcatori genetici per rilevare e classificare i microrganismi, l’analisi chimica delle salamoie e la microscopia elettronica a scansione combinata con spettroscopia a raggi X, utilizzata per analizzare i precipitati minerali ricchi di silicio. «In altri studi, oltre alla possibile contaminazione di campioni con archaea da terre adiacenti, queste particelle minerali potrebbero essere state interpretate come cellule fossilizzate, ma in realtà si formano spontaneamente nelle salamoie anche se non c’è vita», osserva López-García, sottolineando come occorra cautela nel fare affidamento all’aspetto apparentemente cellulare – o “biologico” – di una struttura, perché potrebbe trattarsi di sistemi non viventi.

Le cellule microbiche (a sinistra) possono essere facilmente confuse con precipitati minerali ricchi di silice (a destra). Crediti: Karim Benzerara, Puri López-García et al.

«Non ci aspetteremmo mai di trovare la vita in ambienti simili su altri pianeti, perlomeno non vita che non si basi su una biochimica simile a quella terrestre», dice López-García, insistendo sulla necessità di avere più indizi e analizzare tutte le possibili alternative prima di giungere a una conclusione. «Il nostro studio mostra che esistono luoghi sulla superficie terrestre, come le pozze di Dallol, che sono sterili anche se contengono acqua allo stato liquido», conclude la ricercatrice, rimarcando come un criterio quale la presenza di acqua liquida, spesso utilizzato per suggerire l’abitabilità di un pianeta, non implichi necessariamente la presenza di vita.

Per saperne di più:

Su Coelum Astronomia leggi gli articoli di Marco Sergio Erculiani su esobiologia e vita nell’universo.


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

Tutti i dettagli per l’osservazione del transito e tante curiosità ed enigmi sul piccolo pianeta. 50 anni fa: Apollo 12, la conferma. Ritratto di Annibale De Gasparis a 200 anni dalla nascita.

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo sabato del mese sarà presente un ospite per varie conferenze

30.11, ore 19:00: “A Cena con Le Stelle”. Cena a tema presso il Ristorante Campana (Ospite: Simone Zaggia dell’INAF)

Durante tutto il mese, presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “The Hot and Energetic Universe” (di ESO), “Moon 2019” (di 3Des), “From Earth to Universe” (di ESO), “Two small pieces of Glass” (di ESO). Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

Per informazioni: https://www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Tre albe con una sottile falce di Luna calante accompagnata da Marte, Mercurio e Spica.

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Sarà molto interessante e affascinante seguire l’evoluzione di questa magnifica congiunzione durante i giorni dal 23 al 25 novembre che vedrà coinvolti ben due pianeti, Marte e Mercurio, la Luna e la stella Spica, la lucida della costellazione della Vergine.

Bisognerà accettare il sacrificio di alzarsi presto la mattina, anche durante il weekend, per godere di questa ampia visione, con una sottile falce di Luna (fase del 15%) che, inizialmente, il giorno 23, si troverà molto alta in cielo, circa 27° sull’orizzonte di est-sudest, proprio nel cuore della Vergine. Al di sotto di essa, circa 10° e mezzo più in basso, vedremo Spica (alfa Virginis, mag. +1,1) a formare un bell’allineamento diagonale con il pianeta Marte (mag. +1,7), alto circa 10° e, più in prossimità dell’orizzonte (alto poco meno di 3°), con Mercurio (mag. –0,3).

Il giorno seguente, il 24 novembre, alla stessa ora, la situazione per Spica e i due pianeti sarà sostanzialmente immutata (avranno guadagnato una manciata di primi di altezza sull’orizzonte) mentre la Luna (fase dell’8%) ci apparirà ora più falciforme e si sarà posizionata più in prossimità del pianeta Marte, avendo già sorpassato Spica, formando con questi ultimi due astri un bel triangolo (la Luna si troverà a 4° 45’ da Marte).

Nell’ultimo dei tre giorni indicati, il 25 novembre, alla medesima ora, vedremo la Luna ora molto più sottile (fase del 2,6%) e ben più bassa sull’orizzonte di est-sudest (appena 2° 40’) in stretta congiunzione con Mercurio. I due oggetti si abbracceranno in una congiunzione di 2° di separazione, tra le stelle della Bilancia.

Queste tre giornate ci permetteranno di apprezzare l’evoluzione di questi incontri celesti, che potremo immortalare in un’unica fotografia a largo campo che sia il risultato della compositazione dei diversi scatti, realizzati nelle tre mattine. Consigliamo sempre di impreziosire la scena includendo elementi del paesaggio naturale o architettonico circostante.

➜ La Danza dei Pianeti Riprendiamo il movimento dei pianeti nel cielo con Giorgia Hofer.

Le effemeridi di Sole e Pianeti le trovi sul Cielo di Novembre 2019

➜ Il Cielo di novembre con la UAI che questo mese ci porta tra i veli dell’Auriga

La Luna di Novembre 2019
e una guida per l’osservazione della regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

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La NASA conferma: vapor d’acqua su Europa

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A sinistra, una vista di Europa presa da quasi 3 milioni di chilometri il 2 marzo 1979, dalla Voyager 1. Al centro, un'immagine della luna a colori, ripresa dalla Voyager 2, nel suo incontro ravvicinato del 9 luglio 1979. A destra, uno scatto dalla sonda Galileo, della fine del 1990, in cui le caratteristiche e uniche venature rossastre della luna si mostrano ben evienti sul resto della superficie ghiacciata.
A sinistra, una vista di Europa presa da quasi 3 milioni di chilometri il 2 marzo 1979, dalla Voyager 1. Al centro, un'immagine della luna a colori, ripresa dalla Voyager 2, nel suo incontro ravvicinato del 9 luglio 1979. A destra, uno scatto dalla sonda Galileo, della fine del 1990, in cui le caratteristiche e uniche venature rossastre della luna si mostrano ben evienti sul resto della superficie ghiacciata.

Sono quarant’anni che la luna di Giove Europa solletica l’interesse degli scienziati alla ricerca di vita nel Sistema Solare, a partire da quelle immagini riprese dalle sonde Voyager di una luna così diversa da tutte le altre, ricoperta da venature rossastre (che non hanno mancato di far sorgere anche domande sulla possibile artificiosità della loro natura), dall’apparenza di un enorme globo oculare senza pupilla.

Nei decenni successivi le missioni di esplorazione del Sistema Solare esterno, hanno confermato l’interesse per questo mondo alieno, fino a farlo diventare uno degli obiettivi prioritari nella ricerca di vita di tutte le agenzie spaziali, in particolare per la NASA. Europa infatti è una di quelle lune che potrebbe possedere tutti gli ingredienti necessari per sostenere la vita, anche in uno spazio remoto e lontano dal Sole come quello del Sistema Solare esterno.

Un oceano, forse due volte più grande di quello terrestre, di acqua liquida e salmastra sotto a una spessa crosta ghiacciata, che a tratti si crepa per una probabile attività idrotermale interna, lasciando sfuggire dei pennacchi, degli altissimi geyser, che si innalzano dalla sua superficie.
Fin’ora però, nonostante tutte le supposizioni e le prove indirette, nessuno era ancora mai riuscito a trovare in modo diretto molecole d’acqua sopra la superficie della luna, e anche i pennacchi sono sempre stati fugaci visioni visibili a fatica nelle immagini delle sonde e da terra.

Ora, un team di ricerca internazionale condotto dal Goddard Space Flight Center della NASA (Maryland), guidato da Lucas Paganini, scienziato planetario della NASA, ha rilevato per la prima volta le tracce di vapore acqueo grazie alla vista di uno dei più grandi telescopi del mondo alle Hawaii.

«Elementi chimici essenziali (come carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, fosforo e zolfo) e fonti di energia, due dei tre requisiti per la vita, si trovano in tutto il Sistema Solare. Ma il terzo – l’acqua liquida – è alquanto difficile da trovare fuori dalla Terra», spiega Paganini. «Anche se gli scienziati non hanno ancora rilevato direttamente acqua liquida, abbiamo trovato ciò che di meglio e di più vicino potevamo trovare: acqua sotto forma di vapore».

Le osservazioni dall’Osservatorio W.M. Keck sul Mauna Kea, erano rivolte verso l’emisfero principale della luna. Europa infatti, come la nostra Luna attorno alla Terra, è in orbita sincrona attorno a Giove, bloccata gravitazionalmente e gli mostra sempre la stessa faccia: l’emisfero definito “principale” è quello sempre rivolto verso la direzione dell’orbita, il “davanti” rispetto al moto orbitale del pianeta, mentre l’emisfero “finale” è sempre rivolto nella direzione opposta.

Le molecole d'acqua emettono specifiche frequenze nel campo della luce infrarossa quando interagiscono con la radiazione solare, il problema è distinguerle da quelle nell'astmosfera terrestre. Crediti: Michael Lentz/NASA Goddard
Per misurare la composizione chimica dell’atmosfera della luna è stato usato uno spettrografo che opera in luce infrarossa in emissione e assorbimento. Le molecole come l’acqua, infatti, emettono frequenze specifiche di luce infrarossa quando interagiscono con la radiazione solare. È in questi spettri che il team di Paganini ha rilevato il debole ma distinto segnale del vapore acqueo, anche se solo una volta, durante 17 notti di osservazioni tra il 2016 e il 2017. L’acqua rilasciata però sarebbe tanta da poter riempire una piscina olimpionica in pochi minuti (2.360 chilogrammi al secondo), ma appare di rado, almeno in quantità sufficiente da essere vista da Terra.
Spiega Paganini: «Per me, la cosa interessante di questo lavoro non è solo che si tratta della prima rilevazione diretta dell’acqua su Europa, ma anche la sua stessa mancanza, entro i limiti del nostro metodo di rilevazione».

Come mai ci è voluto così tanto tempo per ottenere una conferma diretta, visto che i sospetti erano così forti?
Il problema principale è che rilevare vapore acqueo in altri mondi è complicato. Le sonde spaziali ad oggi hanno capacità limitate di rilevarlo e gli scienziati che utilizzano telescopi terrestri, pur dalla strumentazione sempre più sofisticata, per cercare acqua nello spazio profondo devono tenere conto del forte disturbo introdotto dall’acqua nell’atmosfera terrestre, letteralmente come distinguere una goccia d’acqua aliena in un oceano terrestre…

Per minimizzare questo effetto, il team di Paganini ha usato complessi modelli matematici e computerizzati per simulare le condizioni dell’atmosfera terrestre in modo da poter distinguere, nei dati restituiti dallo spettrografo Keck, l’acqua atmosferica terrestre da quella di Europa.

«Abbiamo eseguito rigorosi controlli di sicurezza per rimuovere possibili contaminanti nelle osservazioni terrestri», assicura Avi Mandell, scienziato planetario di Goddard nel team di Paganini. «Ma, alla fine, si dovrà avvicinarsi a Europa per vedere cosa sta realmente succedendo».

Questa conferma aiuta anche a consolidare quanto si è ipotizzato di Europa finora e di indagare le dinamiche interne alla luna. Il vapor d’acqua infatti sostiene l’ipotesi della presenza di un oceano d’acqua liquida sotto la crosta ghiacciata, anche se le molecole rintracciate potrebbero provenire da bacini di ghiaccio sciolto appena sotto la superficie…

Un’ulteriore causa, sarebbe imputata al campo di radiazioni proveniente da Giove, che interagendo con la superficie strapperebbe via particelle d’acqua dal ghiaccio della superficie, ma nello studio viene argomentato il perché si pensa non sia questo il caso, o comunque non sia sufficiente a spiegare le osservazioni..

Come dicevamo, prima di questo studio sono stati tanti i risultati che hanno fatto sì che via via Europa fosse un target di sempre maggior interesse.

Europa ripresa dalla sonda della NASA Galileo. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ SETI Institute
Il primo è arrivato dalla sonda Galileo della NASA, in orbita attorno a Giove tra il 1995 e il 2003, che ha misurato delle perturbazioni nel campo magnetico di Giove vicino a Europa. Lo studio di queste perturbazioni ha suggerito la necessaria esistenza di un fluido elettricamente conduttivo all’interno della luna, origine dei disturbi magnetici, probabilmente un oceano salato sotto lo strato di ghiaccio di Europa. Nel 2018, analizzando più da vicino questi dati, si sono trovate le prove dell’esistenza di possibili pennacchi.

Nel frattempo però, nel 2013, grazie al telescopio spaziale Hubble della NASA erano stati rilevati i singoli elementi chimici, idrogeno (H) e ossigeno (O), che come sappiamo sono i componenti dell’acqua (H2O), in configurazioni simili a pennacchi nell’atmosfera di Europa. Solo alcuni anni dopo, altri ricercatori, sempre grazie a immagini prese da Hubble, hanno identificato delle figure simili a dita osservando la sagoma della luna mentre passava davanti a Giove.

«Questa prima identificazione diretta del vapore acqueo su Europa è una fondamentale conferma delle rilevazioni originali di specie atomiche, e mette in evidenza l’apparente scarsità di grandi pennacchi su questo mondo ghiacciato», sottolinea Lorenz Roth, astronomo e fisico del KTH Royal Institute of Technology a Stoccolma, che ha guidato lo studio del 2013 ed è coautore di questo nuovo studio.

Ora manca solo la possibilità di uno studio ravvicinato di Europa, e la missione è già pronta. Europa Clipper, della NASA, dovrebbe essere lanciata a metà degli anni ’20 e completerà mezzo secolo di scoperte scientifiche che sono iniziate con una semplice foto di un misterioso e velato bulbo oculare.

Quando arriverà attorno in orbita attorno ad Europa, Clipper condurrà una dettagliata indagine della superficie della luna, del suo interno, della sua sottile atmosfera, dell’oceano sotterraneo e in teoria anche delle più piccole brecce attive. Clipper proverà a scattare immagini di ogni pennacchio in cui si imbatterà e a campionare le molecole che troverà nell’atmosfera con i suoi spettrometri di massa. Suo compito sarà anche di cercare un sito di interesse dal quale un futuro lander potrebbe raccogliere dei campioni. Tutto questo per svelare definitivamente ii segreti di Europa e il suo potenziale di sostenibilità della vita.

Lo studio pubblicato su Nature Astronomy: A measurement of water vapour amid a largely quiescent environment on Europa di L. Paganini, G. L. Villanueva, L. Roth, A. M. Mandell, T. A. Hurford, K. D. Retherford & M. J. Mumma


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

Tutti i dettagli per l’osservazione del transito e tante curiosità ed enigmi sul piccolo pianeta. 50 anni fa: Apollo 12, la conferma. Ritratto di Annibale De Gasparis a 200 anni dalla nascita.

Coelum Astronomia di Novembre 2019
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Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

08.11 e 22.11, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 8), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Al di là delle nubi, a guardare Mercurio

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Valeria Mangano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma, e sullo sfondo il telescopio solare Themis
Valeria Mangano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma, e sullo sfondo il telescopio solare Themis

Lunedì 11 novembre scorso, a seguire il transito di Mercurio dalle Isole Canarie, oltre agli astronomi del Tng – il Telescopio nazionale Galileo, sull’isola di La Palma, dalla quale abbiamo trasmesso la diretta webcast del fenomeno – c’era anche un’altra astronoma dell’Istituto nazionale di astrofisica: Valeria Mangano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma. Valeria non si trovava però a La Palma, bensì all’Osservatorio del Teide, il vulcano dell’isola di Tenerife, dove sorge un altro grande telescopio, un tempo anch’esso in parte italiano ma oggi interamente francese: il Themis. Al suo ritorno, ci siamo fatti raccontare com’è stati assistere al transito da lassù.

Che tipo di telescopio è? E come mai ha scelto proprio quello, per assistere al transito?

«Il Themis – il cui nome è l’acronimo di “Télescope Héliographique pour l’Etude du Magnétisme et des Instabilités Solaires” – è un telescopio solare a tubo raffreddato a elio, con uno specchio primario da 90 cm e una focale di 15.04 metri. Lo frequento dal 2007, quando insieme a Francois Leblanc del Latmos-Ipsl di Parigi abbiamo tentato una serie di osservazioni di Mercurio. In quanto telescopio solare, il Themis non teme l’osservazione di oggetti vicini al Sole, anzi. In virtù della sua tipologia costruttiva – è vero telescopio, non una “torre”, quindi con un tubo chiuso, il che riduce moltissimo la luce diffusa – ha dimostrato di poter osservare Mercurio per tutto il giorno (il che in estate significa arrivare anche a 14 ore continuative) e con ottimi risultati. La campagna osservativa con i colleghi francesi è durata otto anni, e si interrotta solo a fine 2014, quando hanno dovuto chiudere il Themis per dotarlo di ottica adattiva. Sebbene quest’ultima non sia ancora in funzione, quest’anno il telescopio ha ripreso le attività. Già il mese scorso ero dunque tornata a osservare, per due settimane. E lunedì non mi sono lasciata sfuggire l’opportunità di tornarci in occasione del transito: il prossimo sarà nel 2032, dunque questo appuntamento non potevo proprio perderlo!».

Come mai tanti telescopi – solari e non, compreso il Tng dell’Inaf – sono stati costruiti proprio alle Canarie?

«Perché la loro posizione è strategica: sono territorio europeo (spagnolo, per la precisione) ma sorgono nell’Oceano Atlantico, in una zona dal clima mite, dove la percentuale di notti limpide e astronomicamente fruibili è altissima. Inoltre entrambi i siti – l’Osservatorio del Teide a Tenerife e quello di Roque de los Muchachos a La Palma – si trovano sulle pendici di vulcani, ad altitudini al di sopra dello strato di inversione atmosferico su cui si posizionano la maggior parte delle nubi. Questo fa si che il cielo delle Canarie sia protetto dalle sottostanti luci delle città e, al tempo stesso, quasi sempre limpido e con bassi livelli di umidità».

E la giornata di lunedì lo conferma: mentre in Italia quasi tutte le osservazioni pubbliche in programma sono saltate a causa del maltempo, dalla Canarie ci avete inviato immagini del transito stupende…

«Già, e a differenza di quanto visto nello streaming dal Tng, con Themis abbiamo seguito Mercurio durante quasi tutto il transito: ci siamo dovuti fermare solo quando Mercurio è sceso al di sotto dei 6° di altezza. In particolare, abbiamo osservato il disco di Mercurio effettuando degli scan con Mtr, uno spettrografo a fenditura che, con delle pose di 50 ms, ha scansionato da nord a sud l’intero disco del pianeta nelle due “righe D” del sodio, quelle a 5890 e 5895 ångström».

Crediti: Themis/Cnrs

C’è un valore scientifico nei dati acquisiti durante il transito, rispetto a quelli soliti?

«Nelle nostre osservazioni di routine di Mercurio osserviamo la sua esosfera (la debole atmosfera del pianeta) proprio in queste due righe del sodio per studiarne la morfologia e la dinamica, e per comprendere le complesse interazioni con il mezzo interplanetario circostante e, soprattutto, con il Sole così vicino, in termini di radiazione, vento solare, campo magnetico, eccetera. Mercurio ci mostra ogni volta una fase diversa, e questo permette – raccogliendo osservazioni in configurazioni orbitali e in condizioni di fase solare differenti – di allargare la nostra comprensione dei processi responsabili della sua esistenza e mantenimento nel tempo, nonostante essa sia una esosfera transiente, non gravitazionalmente legata al pianeta. Nell’osservazione durante un transito, invece, si può osservare Mercurio in una configurazione assolutamente unica: e cioè, quando esso ci mostra entrambi i terminatori (ma ovviamente nessuna parte della superficie è illuminata). In queste condizioni, ad analisi dei dati compiuta, potremo ottenere un profilo di densità dell’esosfera nel terminatore ‘alba’ e in quello ‘tramonto’, così come ai due poli, ottenendo delle informazioni importanti sulle asimmetrie che talvolta si sono viste o ipotizzate in base alle osservazioni di routine. In questo caso, poi, agli spettri nelle righe del sodio abbiamo affiancato anche osservazioni a grande campo nel visibile, per seguire Mercurio durante il transito sul disco solare. E sono quelli che ci hanno permesso di scattare la bella fotografia qui a fianco».

Insomma, non avete avuto tempo d’annoiarvi. Anche se sei ore possono essere lunghe, trascorse a guardare un puntino che si muove…

«Be’, per fortuna le ore sono state “solo” cinque o poco più, per noi. Certo, confesso che dopo un po’ somigliava a tante altre osservazioni fatte negli anni scorsi, a parte per quella striscia nera – presente nello spettro – del disco “buio” di Mercurio, dove invece di solito si vedeva una striscia bianca del continuo solare riflesso dalla superficie del pianeta. Però vedere, all’inizio dell’evento, questo piccolo puntino nero apparire improvvisamente sul bordo, sopra la granulazione in continua ebollizione del Sole, è stata una vera emozione. Nel 2016 avevamo tentato un’osservazione simile dalla torre solare tedesca Gregor – vicina al Themis, all’epoca ancora chiuso – e io avevo potuto seguire solo in remoto, ma il tempo era stato assai poco clemente (accade anche lì, a volte) e purtroppo non eravamo riusciti a ottenere nulla. Ora naturalmente comincia la fase di analisi dati. Essendo una configurazione totalmente diversa dal solito, dovremo costruire proprio da zero le pipelines di riduzione, e ci vorrà un po’… ma sicuramente ne sarà valsa la pena».

Prossimo viaggio astronomico in calendario?

«Ancora nulla, purtroppo. Le richieste di tempo per il 2020 si faranno a gennaio. Ma naturalmente l’appuntamento sarà ancora con il Themis: con l’ottica adattiva finalmente funzionante, e buona parte dell’ottica rinnovata, promette di regalarci osservazioni ancora più dettagliate dell’esosfera di Mercurio. Tra l’altro, le osservazioni di questi anni sono state di ausilio scientifico allo studio e realizzazione di Serena, una suite di quattro sensori di ioni e particelle neutre a bordo della missione BepiColombo, partita lo scorso 20 ottobre 2018 da Kourou, alla volta di Mercurio. Da ottobre 2021, in occasione del primo di sei flyby della missione attorno al pianeta, abbiamo in programma di organizzare campagne coordinate di osservazione da Terra. Con Themis, si spera, e anche con tutti gli altri telescopi e le torri solari che sarà possibile utilizzare a questo scopo».


Guarda il video dell‘evento realizzato dall’Inaf Iaps di Roma:

Per saperne di più

Il transito visto dall’astronomia professionale su Coelum Astronomia di novembre

Dallo speciale dedicato al transito del 2016

Il primo transito osservato, un  curioso articolo sulla Storia dell’astronomia vista da Mercurio in transito e la Strumentazione per osservare l’evento.

E ancora, su Coelum astronomia 238

➜ Mercurio e l’enigma degli hollow di Alice Lucchetti

➜ Mercurio: il pianeta più vicino (o il più lontano?) di Aldo Vitagliano

➜ Mercurio nella letteratura di fantascienza di Marco Sergio Erculiani


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

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Accademia delle Stelle

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2019-11 Coelum AdS

Scuola di Astronomia
Dal 22 al 24 novembre presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma), erogata dalla UAI, riconosciuta dal MIUR come corso di aggiornamento per docenti, è aperta a tutti gli appassionati e i cultori della materia. Info e prenotazioni: http://www.uai.it/archeoastronomia

I corsi presso la nostra sede all’EUR:
Tutti i lunedì: L’astronomia sorprendente.
Conferenze su curiosità e aneddoti poco noti e raramente divulgati al pubblico, scoprendo gli aspetti più insoliti e curiosi del cielo e della scienza che lo studia.

Tutti i giovedì: Corso base di astronomia pratica
Per imparare tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.

Per info:

https://www.facebook.com/AccademiaStelle/

https://accademiadellestelle.org/

FOCUS LIVE 2019

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focus live

focus live

Come vogliamo vivere nel 2029?

Quattro giorni, decine di laboratori, installazioni ed esperienze interattive, oltre cento tra incontri, dibattiti e spettacoli su ambiente, clima, genetica, intelligenza artificiale, migrazioni, viaggi nello spazio, robot e tanto altro. Iniziative speciali organizzate per il festival e attività negli i.lab del Museo ti aspettano per ragionare insieme sul futuro che ci attende e l’eredità che vogliamo lasciare alle prossime generazioni.

Scopri il programma su
https://live.focus.it/

Hayabusa 2. Addio a Ryugu!

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una foto commemorativa ripresa ieri mattina nella "Control Room" della missione
Una foto commemorativa ripresa ieri mattina nella "Control Room" della missione

La mattina del 14 novembre, alle 10:05 in Giappone (in Italia erano ancora le 2:05 di notte), l’intrepido esploratore nipponico Hayabusa2 ha iniziato la manovra di separazione definitiva da Ryugu, dopo 28,5 mesi di “convivenza”. I motori RCS hanno impresso alla sonda una velocità di allontanamento di 10 cm/s e, lasciata la “Home Position” a 20 km dall’asteroide, adesso la distanza tra i due è già salita oltre i 26 km sulla base dei dati “real time” collezionati sul portale realizzato da Luca Cassioli.

Tutte le fasi per il rientro della sonda. Crediti: Jaxa

Come mostrato nella slide qui sopra, l’attuale fase di addio (farewell) durerà fino a lunedi. Poi la sonda uscirà dalla sfera di influenza gravitazionale di Ryugu (65 km di distanza) e dopo alcuni test accenderà i motori a ioni. Il ritorno nei pressi della Terra, con il rilascio dei campioni raccolti su Ryugu, è previsto per la fine del prossimo anno.

Images: JAXA, Chiba Institute of Technology & collaborators - Movie: Marco Di Lorenzo

Attraverso questa galleria in tempo reale è possibile ammirare le immagini riprese durante la fase di allontanamento da Ryugu; dal 18 Novembre, la sonda cambierà assetto e le riprese verranno interrotte.

Qui a sinistra, la prima animazione, basata su due singole riprese ONC-T scattate a distanza di 22,5 ore (alle 3:59 UT di ieri e alle 2:29 di stamane), dunque dopo circa 3 rotazioni dell’asteroide, in modo da mostrare lo stesso lato mentre la distanza passava da 20,7 a 27,8 km (velocità media 8,8 cm/s, stima basata sulle dimensioni apparenti dell’asteroide).

Nei prossimi giorni pubblicheremo su Aliveuniverse.today mosaici e animazioni sulla base di queste immagini, perciò rimanete sintonizzati!

Per saperne di più sulla missione

Tutte le news su coelum.com

Speciale Hayabusa-2 su Coelum Astronomia 226


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Luna e Regolo allo scoccare della mezzanotte

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Nella notte tra il 19 e il 20 novembre, alla mezzanotte, guardando verso oriente potremo notare la Luna (fase del 48%), sorta una mezz’ora prima, a circa 2° 10’ a nordest della stella alfa della costellazione del Leone, Regolo (mag. +1,4).

All’orario indicato i due oggetti si troveranno ancora piuttosto bassi sull’orizzonte, poco più di 3° per Regolo (la Luna sarà già un po’ più alta, circa 5°), per cui sarà necessario disporre di un orizzonte libero da ostacoli naturali o artificiali per osservare l’incontro.

Con il passare delle ore, ovviamente, i due corpi celesti guadagneranno via via altezza sull’orizzonte, ma per coglierli in fotografia includendo elementi del paesaggio naturale circostante, sarà necessario sfruttare i minuti in prossimitià del loro sorgere.

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C’era una volta l’universo euclideo

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La somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180 gradi. Ce lo insegnavano alle medie. Lo ribadisce Wikipedia. E se ci mettiamo con matita e goniometro a tracciare triangoli su un foglio di carta lo possiamo verificare anche per conto nostro. Tutto giusto, ma non sempre… È così, appunto, su un foglio di carta steso bello piatto sul tavolo. Se però ci mettessimo fare la stessa operazione, per quanto sia decisamente più scomodo, su una sfera – disegnando triangoli con il pennarello su un mappamondo, per esempio – ecco che la somma degli angoli darebbe un risultato maggiore di 180 gradi. È che la sfera è curva, non piatta. E la geometria degli spazi curvi segue regole diverse da quella classica – detta euclidea – degli spazi piatti. Per esempio, regole che ammettono che due rette parallele finiscano prima o poi per incontrarsi.

È a questo che si riferiscono i cosmologi quando parlano di universo piatto: un universo il cui spazio ha curvatura nulla, e nel quale valgono le regole della geometria euclidea. Ebbene, il modello cosmologico comunemente accettato dice che l’universo è proprio così: piatto. Una conformazione improbabile, a ben pensarci, visto che niente in Natura impone che, tra i tutti i possibili valori di curvatura, il nostro universo abbia proprio esattamente il valore zero. Ciò nonostante, è proprio questa la conformazione che i dati di moltissime osservazioni astrofisiche e cosmologiche sembrano indicare.

L’immagine mostra la mappa delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) osservate dalla missione Planck dell’Esa, ed è stata realizzata con i dati della Planck Legacy release, ovvero quelli finali della missione, pubblicati a luglio del 2018. Crediti: Esa/Planck Collaboration

Moltissime, ma non tutte. È stato pubblicato la settimana scorsa su Nature Astronomy un articolo – firmato da Eleonora Di Valentino del Jodrell Bank (Uk), Alessandro Melchiorri della Sapienza e Joseph Silk dell’Institut d’Astrophysique de Paris – secondo il quale gli ultimissimi dati del telescopio spaziale dell’Esa Planck favorirebbero un modello di universo chiuso: ovvero con curvatura maggiore di zero – tipo quella di una sfera, appunto. Un articolo che, complice anche la sapiente scelta del titolo (“Planck evidence for a closed Universe and a possible crisis for cosmology”), sta creando un certo subbuglio nella comunità dei cosmologi – nonostante non sia una novità il fatto che i dati di Planck andassero in parte in questa direzione.

«Gli articoli finali della collaborazione Planck, pubblicati nel 2018, hanno messo in evidenza come un universo chiuso – caratterizzato da una curvatura spaziale positiva dell’ordine di qualche percento – possa descrivere i dati dello spettro di potenza in temperatura e polarizzazione delle anisotropie del fondo a microonde meglio del modello di concordanza Lambda-Cdm spazialmente piatto», ricorda infatti a Media Inaf uno degli scienziati della collaborazione Planck, Fabio Finelli, ricercatore all’Inaf di Bologna al quale abbiamo chiesto un commento allo studio di Di Valentino, Melchiorri e Silk. «Ma una volta considerata anche un’ulteriore informazione fondamentale dai dati di Planck, ovvero lo spettro della deflessione gravitazionale (lensing) dei fotoni del Cmb, o l’informazione geometrica derivante dalle oscillazioni barioniche nei cataloghi di galassie, lo spazio per una curvatura positiva si riduce sensibilmente».

«Di Valentino, Melchiorri e Silk presentano una nuova e più estesa analisi di questi aspetti», continua Finelli, «e inoltre quantificano come un modello Lambda-Cdm con curvatura spaziale positiva non offra soluzioni alla discrepanza nelle stime della costante di Hubble dalla Cmb e quella determinata dalle supernove Ia. Sebbene l’universo chiuso suggerito dallo spettro di potenza delle anisotropie in temperatura e polarizzazione di Planck non sembri passare ulteriori test, la qualità e la quantità dei dati cosmologici attuali sono sufficienti per sondare ipotesi di nuova fisica oltre il modello Lambda–Cdm anche più complesse».

Eleonora Di Valentino, prima autrice dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Fonte: Nature Research Blogs

Ma qual è questa “nuova fisica” che potrebbe prospettarsi, se davvero la cosmologia attuale entrasse in crisi, come suggerisce il titolo dell’articolo di Nature Astronomy? Abbiamo chiesto alla prima autrice dello studio, Eleonora Di Valentino, di farci qualche esempio. «Se escludiamo possibili effetti sistematici, è difficile al momento capire come risolvere il puzzle. Potremmo cambiare il modello inflazionario, dato che si presenta una curvatura», spiega a Media Inaf la scienziata. «Oppure potremmo cambiare la costante cosmologica con un’energia oscura dinamica, dato che il problema con la costante di Hubble persiste. Infine, potremmo anche cambiare le ipotesi sulla dark matter supponendo una sua interazione, dato il lensing maggiore. Oppure tutte le cose insieme. Sono chiaramente necessari più dati per capire meglio in che direzione andare».

Per saperne di più:


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TNG50. L’ordine che emerge dal caos

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Nella foto grande, la simulazione della Via Lattea. Nelle immagini piccole, la simulazione di galassie a disco in luce visibile, per ogni immagine di faccia è mostrata la rispettiva immagine di taglio. In TNG50 è possibile infatti vedere la simulazione scorrere sia in falsi colori, per evidenziare caratteristiche fisiche, sia in luce visibile, per confrontarla con quello che potremmo vedere. © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Un team formato da ricercatori tedeschi del Max Planck Institute e americani della Harvard University, del MIT, e del Center for Computational Astrophysics, hanno svelato i risultati di una nuova simulazione che segna lo stato dell’arte ad oggi delle simulazioni di evoluzione galattica e non solo. Si tratta anche della più dettagliata simulazione cosmologica su larga scala e, proprio questa dualità, è la principale caratteristica che la distingue da qualsiasi altra simulazione ottenuta finora.

Fino ad oggi, infatti, i cosmologi sapevano di dover accettare un fondamentale compromesso. Avendo a disposizione una potenza di calcolo finita, le simulazioni hanno sempre dovuto privilegiare uno dei due aspetti fondamentali che interessano questi studi: il dettaglio dell’evoluzione di una singola galassia o la visione cosmologica di insieme, nello spazio e nel tempo. Non è mai stato possibile avere entrambe le cose contemporaneamente nella stessa simulazione.

Illustris TNG50, così si chiama questa nuova simulazione, ha combinato per la prima volta l’idea di una simulazione ad ampia scala (il cosiddetto Universo in una scatola, Universe in a Box) con la risoluzione, come in uno zoom, della formazione di una singola galassia. In un cubo di spazio di 230 milioni di anni luce di lato, TNG50 è in grado di mostrare i fenomeni fisici che si verificano su una scala un milione di volte più piccola, tracciando l’evoluzione simultanea di migliaia di galassie su 13,8 miliardi di anni di storia cosmica! Decisamente impressionante…

Nella foto grande, la simulazione della Via Lattea. Nelle immagini piccole, la simulazione di galassie a disco in luce visibile, per ogni immagine di faccia è mostrata la rispettiva immagine di taglio. In TNG50 è possibile infatti vedere la simulazione scorrere sia in falsi colori, per evidenziare caratteristiche fisiche, sia in luce visibile, per confrontarla con quello che potremmo vedere. © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Una simulazione di questo tipo permette quindi ai ricercatori di studiare in dettaglio come le galassie si formano e come si sono evolute da poco dopo il Big Bang a oggi, e riesce a farlo utilizzando oltre 20 miliardi di particelle che rappresentano materia oscura, stelle, gas cosmico, campi magnetici e buchi neri supermassicci.

Per eseguire un calcolo simile sono stati necessari 16.000 processori riuniti nel supercomputer Hazel Hen a Stoccarda, che hanno lavorato assieme, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per più di un anno – l’equivalente di quindicimila anni per singolo processore – e i primi risultati scientifici non si sono fatti attendere.

Due studi, usciti da poco su MNRAS, hanno mostrato dei fenomeni fisici che non erano stati previsti nelle informazioni utilizzate per dare vita alla simulazione. Spiega Dylan Nelson (del Max Planck Institute for Astrophysics, a Garching) a capo dei due studi: «Esperimenti numerici di questo tipo hanno particolarmente successo quando ne esce più di quanto sia stato inserito. Nella nostra simulazione, abbiamo osservato fenomeni che non erano stati programmati esplicitamente. Questi fenomeni sono emersi in modo naturale, dalla complessa interazione degli ingredienti della fisica di base del nostro modello di universo».

Due esempi importanti di questo tipo di risultato sono stati il vedere formarsi, poco dopo il Big Bang, galassie a disco come la nostra Via Lattea, e in seguito il vedersi formare dei getti di gas ad alta velocità perpendicolari ai dischi galattici in formazione, ricadere poi verso il centro per alimentare il disco stesso, in una sorta di grande fontana cosmica al centro di una giostra di giovani stelle.

Annalisa Pillepich, del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, coautrice dei due studi, spiega: «In pratica, TNG50 mostra che la nostra galassia, la Via Lattea, con il suo sottile disco è al culmine della moda delle galassie: nell’arco degli ultimi 10 miliardi di anni, quelle galassie che stanno ancora formando nuove stelle, sono diventate sempre più simili a dischi e i loro caotici movimenti interni sono diminuiti considerevolmente. L’universo era molto più disordinato quando aveva solo qualche miliardo di anni!».

Deflussi di gas dalla galassia escono dal centro per ricadere ai lati come una immensa fontana galattica. Dall'alto, per ogni colonna, un diverso fotogramma nell'arco di 370 milioni di anni di evoluzione cosmica. Da sinistra a destra, le colonne in falsi colori mostrano la velocità dei gas, la temperatura, la densità e gli elementi pesanti contenuti nella galassia in formazione. La galassia di per sé è densa e fredda, e la vediamo con il disco sottile di giovani stelle in verticale nelle immagini (in blu in seconda colonna per la temperatura, in giallo nella terza per la densità). © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Man mano che la loro forma si appiattisce, e le stelle in formazione si dispongono in orbite circolari come in una giostra, ecco emergere dai dischi flussi di gas ad alta velocità, accelerati da fenomeni di supernova e dall’attività di buchi neri supermassicci centrali. Si vedono fussi gassosi inizialmente caotici che vagano in tutte le direzioni che man mano convogliano all’interno di due volumi conici, che emergono dalla galassia in direzioni opposte. Allontanandosi dal pozzo gravitazionale verso l’alone di materia oscura, perdono velocità e ricadono verso la galassia andando a disporsi lungo la periferia del disco come in una fontana. In questo modo accelerano la formazione e l’evoluzione della galassia stessa alimentando la nascita di altre giovani stelle, che vanno a disporsi in una forma sempre più appiattita di un sottile disco.

TNG50 ha rivelato quindi per la prima volta come la geometria dei gas cosmici determinino la struttura delle galassie e di come a loro volta le galassie in formazione abbiano condizionato il fluire del caotico gas cosmico primordiale dandogli una forma sempre più ordinata.

Come accaduto per le precedenti simulazioni, anche i dati di TNG50 diverranno pubblici, per essere condivisi con l’intera comunità astronomica oltre che con il pubblico, in modo da essere utilizzati per ulteriori studi e magari scoprire altri nuovi fenomeni cosmici non previsti, di ordine che emerge dal caos.


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

Tutti i dettagli per l’osservazione del transito e tante curiosità ed enigmi sul piccolo pianeta. 50 anni fa: Apollo 12, la conferma. Ritratto di Annibale De Gasparis a 200 anni dalla nascita.

Coelum Astronomia di Novembre 2019
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UAI Unione Astrofili Italiani

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Le campagne nazionali UAI

11 novembre Transito di Mercurio

Il pianeta Mercurio transita davanti al disco solare: un evento molto suggestivo e raro (prossimo evento il 13 novembre 2032). Inizio fenomeno in Italia ore 13.35, centralità ore 16.20.

Da seguire con estrema precauzione per evitare danni permanenti alla vista osservando il Sole.

http://www.uai.it/divulgazione/

Accademia delle Stelle

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2019-11 Coelum AdS

2019-11 Coelum AdS

Scuola di Astronomia
Dal 22 al 24 novembre presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma), erogata dalla UAI, riconosciuta dal MIUR come corso di aggiornamento per docenti, è aperta a tutti gli appassionati e i cultori della materia. Info e prenotazioni: http://www.uai.it/archeoastronomia

I corsi presso la nostra sede all’EUR:
Tutti i lunedì: L’astronomia sorprendente.
Conferenze su curiosità e aneddoti poco noti e raramente divulgati al pubblico, scoprendo gli aspetti più insoliti e curiosi del cielo e della scienza che lo studia.

Tutti i giovedì: Corso base di astronomia pratica
Per imparare tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.

Per info:

https://www.facebook.com/AccademiaStelle/

https://accademiadellestelle.org/

Igea, il pianeta nano più piccolo del Sistema Solare

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Una nuova immagine di Igea, forse il più piccolo pianeta nano del Sistema Solare, ottenuta con SPHERE/VLT. Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita. Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica. Questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea. Crediti: ESO/P. Vernazza et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)
Una nuova immagine di Igea, che potrebbe diventare il più piccolo pianeta nano del Sistema Solare, ottenuta con SPHERE/VLT. Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita. Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica. Questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea. Crediti: ESO/P. Vernazza et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)

Igea è il quarto per dimensione nella fascia degli asteroidi, dopo Cerere, Vesta e Pallade. Per la prima volta, grazie allo strumento SPHERE dell’ESO installato sul VLT (Very Large Telescope), gli astronomi hanno osservato Igea con una risoluzione sufficientemente elevata da studiarne la superficie e determinarne la forma e le dimensioni. Hanno scoperto che Igea è sferico, e potrebbe rubare a Cerere la corona di più piccolo pianeta nano nel Sistema Solare.

Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea infatti soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita.

Igea viene scoperto il 12 aprile 1849, dall'osservatorio di Capodimonte a Napoli, da Annibale De Gasparis, di cui ricorre il bicentenario della nascita proprio in questi giorni. Su Coelum astronomia di questo mese quindi un ritratto dell'astronomo e matematico italiano che ha portato l'Italia ai vertici della ricerca di corpi minori del Sistema Solare. Clicca sull'immagine per leggere l'articolo, in formato digitale e gratuito.
Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica, e questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea.

«Grazie alle capacità uniche dello strumento SPHERE sul VLT, uno dei sistemi più potenti al mondo per produrre immagini, siamo riusciti a risolvere la forma di Igea, che risulta essere quasi sferica», afferma Pierre Vernazza del Laboratoire d’Astrophysique de Marsiglia in Francia, il ricercatore a capo di questo progetto. «Grazie a queste immagini, Igea può essere riclassificata come pianeta nano, finora il più piccolo nel Sistema Solare».

L’equipe ha anche utilizzato le osservazioni di SPHERE per stimare le dimensioni di Igea, ponendo il suo diametro a poco più di 430 km. Plutone, il più famoso dei pianeti nani, ha un diametro di circa 2400 km, mentre Cerere raggiunge circa i 950 km. Sorprendentemente, le osservazioni hanno anche rivelato che su Igea non c’è il grande cratere da impatto che gli scienziati si aspettavano di vedere sulla superficie, come descritto nel lavoro pubblicato oggi su Nature Astronomy.

Igea è il membro principale di una delle più grandi famiglie di asteroidi, con quasi 7000 membri tutti originati dallo stesso corpo. Gli astronomi si aspettavano che l’evento che ha portato alla formazione di questa numerosa famiglia avesse lasciato un segno ampio e profondo su Igea. «Questo risultato è stato una vera sorpresa, dal momento che ci aspettavamo la presenza di un grande bacino di impatto, come nel caso di Vesta», afferma Vernazza.

Le nuove osservazioni hanno rivelato che su Igea non c'è il grande cratere da impatto che gli scienziati si aspettavano di vedere sulla superficie, simile a quello che si vede su Vesta (in basso a destra nel pannello centrale). L'equipe ha usato le osservazioni di SPHERE per stimare le dimensioni di Igea, ponendo il suo diametro a poco più di 430 km, mentre Cerere raggiunge circa i 950 km. Crediti: ESO/P. Vernazza et al., L. Jorda et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)

Sebbene gli astronomi abbiano osservato più del 95% della superficie di Igea, sono stati in grado di identificare senza ambiguità solo due crateri. «Nessuno di questi due crateri avrebbe potuto essere causato dall’impatto che ha originato la famiglia di asteroidi Igea, il cui volume è paragonabile a quello di un oggetto delle dimensioni di 100 km. Sono troppo piccoli», spiega il coautore dello studio Miroslav Brož dell’Istituto Astronomico dell’Università Carolina di Praga, Repubblica Ceca.

L’equipe ha deciso di indagare ulteriormente. Usando simulazioni numeriche, hanno dedotto che la forma sferica di Igea e la grande famiglia di asteroidi sono probabilmente il risultato di una collisione frontale con un grande proiettile di diametro tra 75 e 150 km. Le simulazioni mostrano che questo impatto violento, che si pensa sia avvenuto circa 2 miliardi di anni fa, ha completamente distrutto il corpo originario. Una volta riassemblati i pezzi rimasti, Igea assume la sua forma tonda e si sono formati migliaia di asteroidi compagni. «Una tale collisione tra due grandi corpi nella cintura degli asteroidi è unica negli ultimi 3-4 miliardi di anni», afferma Pavel Ševeček, uno studente di dottorato presso l’Istituto Astronomico dell’Università Carolinache ha partecipato allo studio. Lo studio dettagliato degli asteroidi è stato possibile grazie non solo ai progressi nel calcolo numerico, ma anche a telescopi più potenti.

«Grazie al VLT e allo strumento di ottica adattiva di nuova generazione SPHERE, stiamo ora producendo mappe degli asteroidi della cintura principale con una risoluzione senza precedenti, colmando il divario tra osservazioni da terra e missioni interplanetarie», conclude Vernazza.


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

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Scoperto un buco nero ultra-leggero

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È un buco nero insolito, quello scoperto in un sistema binario in compagnia di una gigante rossa e appena annunciato sulle pagine di Science da un team guidato da Todd Thompson della Ohio State University. Insolito per due motivi: per il modo in cui è stato individuato e per la sua massa.

Partiamo dall’individuazione. È uno dei due membri di in un sistema binario, dicevamo, e fin qui nulla di strano, anzi: è proprio l’esistenza di un “compagno” a tradire la presenza di un buco nero stellare. Di solito, però, a segnalare che c’è un buco nero è in questi casi l’emissione di raggi X prodotti dall’interazione con l’altro membro della coppia, e in particolare dal processo di accrescimento di quest’ultimo a danno della stella compagna, che gli cede materia. Quello scoperto da Thompson e colleghi è invece un sistema binario non interagente: vale a dire che non c’è scambio di materia fra i due membri, e l’unica “lingua” nella quale i due membri della coppia comunicano è quella della gravità.

In altre parole, a tradirlo è stato il modo in cui danza la sua compagna, la gigante rossa 2Mass J05215658+4359220. Thompson e colleghi se ne sono accorti esaminando i dati di Apogee (Apache Point Observatory Galactic Evolution Experiment), che ha raccolto spettri luminosi da circa 100mila stelle della Via Lattea. Dati analizzati proprio in cerca di tracce che potessero indicare se una stella sta orbitando attorno a un altro oggetto: cambiamenti periodici nello spettro di una stella – uno spostamento verso le lunghezze d’onda più blu, ad esempio, seguito da uno spostamento verso le lunghezze d’onda più rosse – possono infatti essere la conseguenza del suo orbitare attorno a un compagno invisibile.

È così che è stata individuata la gigante rossa. Non solo: la tecnica sopra descritta, oltre a smascherare la coppia, consente anche di stabilire a che velocità piroettano i due ballerini e – udite udite – quanto “pesano”. Per quel che riguarda la velocità, i dati indicano un periodo orbitale di circa 83 giorni. Ma la vera sorpresa è arrivata con la massa. Facendo qualche calcolo è stato possibile stimare che il “compagno invisibile” – il buco nero – si aggira attorno alle 3.3 masse solari. Con un margine di errore ragguardevole, occorre dire: l’intervallo possibile va da 2.6 a 6.1 masse solari. Ma comunque sorprendente: un buco nero così piccolo non si era mai visto.

Sempre che di buco nero si tratti. Una possibilità, infatti, è che possa essere un’enorme stella di neutroni, la cui massa tipica è però di 2.1 masse solari, e oltre le 2.5 dovrebbe collassare, appunto, in un buco nero. D’altronde, le masse dei buchi neri stellari noti stanno fra le 5 le 15 masse solari – con la notevole eccezione di quelli, assai più massicci, rivelati all’atto della fusione dagli interferometri di onde gravitazionali. Comunque sia, è un oggetto che abita una zona di confine ancora tutta da esplorare. E ora gli astronomi sanno come stanarne altri.

«Quello che abbiamo fatto è stato escogitare un nuovo modo di cercare i buchi neri. Ma così facendo abbiamo anche identificato quello che è potenzialmente uno dei primi esemplari di una nuova classe di buchi neri di piccola massa dei quali gli astronomi non sapevano nulla. E le masse degli oggetti», osserva Thompson, «ci raccontano della loro formazione ed evoluzione, e ci raccontano della loro natura».

Per saperne di più:


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

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11 novembre. Transito di Mercurio sul Sole

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Il transito di Mercurio sul Sole come osservato dalla sonda SOHO per lo studio del Sole l’8 novembre 2006. Crediti: NASA/SOHO

Il prossimo 11 novembre potremo assistere a un fenomeno astronomico molto particolare e piuttosto raro: il transito di Mercurio sul Sole. Potremo quindi osservare il piccolo pianeta mentre attraversa il disco solare.

Si tratta ovviamente di un fenomeno prospettico che, per certi versi, è simile a un’eclisse di Sole. Normalmente siamo abituati a vedere la Luna eclissare la nostra stella, passandogli prospetticamente davanti e producendo l’affascinante fenomeno, ma, allo stesso modo, anche Mercurio e Venere (unici pianeti interni all’orbita terrestre) possono causare un’eclisse.

Nel caso di questi due pianeti, tuttavia, si parla di “transito”, dato che le dimensioni dei due pianeti sono ben inferiori a quelle del Sole e tali da non riuscire a oscurare il nostro astro.

Ovviamente, considerata ancora una volta la minuta dimensione di Mercurio (1/194 del diametro apparente del Sole), sarà necessario dotarsi di uno strumento ottico per osservare il raro passaggio: per vederlo comodamente basterà un binocolo o, molto meglio, un telescopio, anche a ingrandimenti non spinti (anche 50x vanno bene), purché dotati degli opportuni e indispensabili filtri solari per schermare le pericolose radiazioni del Sole, in grado di danneggiare in modo irreparabile la nostra vista.

Attenzione quindi: non osservare mai il Sole senza le adeguate protezioni! È sufficiente un attimo di disattenzione per provocare danni molto gravi e irreversibili agli occhi.

Qui sotto gli orari per le principali località

All’interno del numero poi, numerosi consigli, spunti e dettagli per l’osservazione, la ripresa e per saperne di più sul fenomeno e sul piccolo pianeta del Sistema Solare.

Come vedrò Mercurio? Cosa sarà possibile vedere? Che cos’è la “goccia nera”? Come funzionano i transiti di Mercurio? Ogni quanto possiamo osservarli?

Consigli per la ripresa del transito

Il transito visto dall’astronomia professionale

Dallo speciale dedicato al transito del 2016

Il primo transito osservato, un  curioso articolo sulla Storia dell’astronomia vista da Mercurio in transito e la Strumentazione per osservare l’evento.

Le effemeridi di Sole e Pianeti le trovi sul Cielo di Novembre 2019

E ancora, su Coelum astronomia 238

➜ Mercurio e l’enigma degli hollow di Alice Lucchetti

➜ Mercurio: il pianeta più vicino (o il più lontano?) di Aldo Vitagliano

➜ Mercurio nella letteratura di fantascienza di Marco Sergio Erculiani


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

 

Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

08.11 e 22.11, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 8), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Sapori d’Autunno al GAL Hassin

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SaporiDAutunno

Sabato 9 e domenica 10 novembre 2019 il GAL Hassin farà attività secondo i seguenti orari:

Ore 10.00 – 12.00, 15.00 – 17.00, 17.00 – 19.00

Attività in Planetario: Sistema Solare, la nostra Galassia e le sue vicine di casa, viaggi interstellari, materia oscura, buchi neri supermassicci, esplorazione spaziale. Con proiezione di video full dome

Visita del Parco dello Spazio e del Tempo e della strumentazione telescopica / Visita al Museo delle Meteoriti e delle rocce terrestri.

Vi aspettiamo!

Per biglietti e prenotazioni: tel. 0921 662890 – 329 8452944 (telefonare da martedì a venerdì ore 10,00 – 12,00)
email: info@galhassin.it
www.galhassin.it

SaporiDAutunno

Astronomiamo

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Loc_CoelumNovembre2019

Loc_CoelumNovembre2019
09.11, ore 10:30: La Missione Rosetta con Andrea Accomazzo e Stefano Capretti. Presso Università Ca’ Foscari di Venezia.
Per il programma completo e per ulteriori informazioni, fare riferimento alla locandina a fondo pagina e al seguente link: https://www.astronomiamo.it/DivulgazioneAstronomica/Informazioni-Evento-Astronomia/La%20mia%20Luna

dal 22.11: Corso di astronomia a Roma, presso CASC Banca Italia

Per tutte le informazioni:
www.astronomiamo.it
LaMiaLuna

Il Cielo di Novembre 2019

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La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Nov > 23:00; 15 Nov > 22:00; 30 Nov > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI (apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Verso la mezzanotte, il cielo sarà già dominato dall’inconfondibile figura del cacciatore celeste Orione, accompagnato dal Toro, con le splendide Pleiadi e l’ammasso delle Iadi in cui troneggia la fiammante Aldebaran. Seguono i Gemelli e il Cane Maggiore, con la brillantissima Sirio. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dall’estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Il Cigno, in cui spicca Deneb, e il grande quadrato di Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo l’imponente sagoma del Leone, con la brillante Regolo.

➜ Il Cielo di novembre con la UAI che questo mese ci porta tra i veli dell’Auriga

➜ Stefano Schirinzi ci porta invece nella terza parte del suo viaggio nella costellazione del Delfino

IL SOLE

All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora entro i confini della costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, costellazione in cui non si “fermerà” per un mese intero, ma solo per pochi giorni. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta dello Scorpione, attraversandola solo per un breve tratto, così che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione dell’Ofiuco.

➜ Continua a leggere, sempre gratuitamente, sul Cielo di Novembre all’interno del nuovo numero.

COSA OFFRE IL CIELO

Questo mese segnaliamo, entro la prima decade del mese, le ultime occasioni per riprendere un Iridium Flare dal’Italia! Di cui vi abbiamo parlato un paio di settimane fa, ma il principale evento tutto da osservare è il:

Transito di Mercurio sul Sole

Il prossimo 11 novembre potremo quindi osservare il piccolo pianeta mentre attraversa il disco solare. Si tratta ovviamente di un fenomeno prospettico che, per certi versi, è simile a un’eclisse di Sole, tuttavia si parla di “transito” dato che le dimensioni del pianeta sono ben inferiori a quelle del Sole (1/194 del diametro apparente del Sole) tali da non riuscire a oscurare il nostro astro. Per questo motivo la luminosità del Sole non subirà nessun calo percettibile al nostro occhio, sarà quindi necessario dotarsi di uno strumento ottico per osservare il raro passaggio: per vederlo comodamente basterà un binocolo o, molto meglio, un telescopio, anche a ingrandimenti non spinti (anche 50x vanno bene), purché dotati degli opportuni e indispensabili filtri solari per schermare le pericolose radiazioni del Sole, in grado di danneggiare in modo irreparabile la nostra vista e la nostra strumentazione.

Attenzione quindi: non osservare mai il Sole senza le adeguate protezioni! È sufficiente un attimo di disattenzione per provocare danni molto gravi e irreversibili agli occhi.

Per l’occasione abbiamo pubblicato in questo numero numerosi articoli dedicati al transito e a Mercurio, oltre ad avere sempre anche il materiale pubblicato in occasione dello scorso transito del 2016.

A questo proposito attenzione, sembrerà un evento non così raro, se è accaduto solo 3 anni fa, ma è stata un’eccezione… perché la prossima volta che accadrà sarà solo nel 2032!! (… e potrebbe piovere!) Questa dell’11 novembre è quindi un’occasione da non perdere, sperando sempre in cieli sereni.

E allora, per l’osservazione e la ripresa del fenomeno:

Il Transito di Mercurio sul Sole: Informazioni per l’osservazione di Gabriele Marini

Uno scatto al mese: Riprendiamo il Transito di Mercurio davanti al Sole di Giorgia Hofer

Dal punto di vista dell’astronomia professionale:

Idee brillanti per Mercurio in transito di Luca Zangrilli

Curiosità e scienza su Mercurio:

Mercurio e l’enigma degli hollow di Alice Lucchetti

Mercurio: il pianeta più vicino (o il più lontano?) di Aldo Vitagliano

Mercurio nella letteratura di fantascienza di Marco Sergio Erculiani

➜ Leggi anche lo Speciale sul Transito di Mercurio del 9 maggio 2016 su Coelum Astronomia 199

Approfondisci le condizioni dei pianeti e dei pianeti nani, dei principali asteroidi in opposizione (questo mese il protagonista è 4 Vesta), nelle sezioni dedicate del Cielo di novembre, oltre alle cartine e ai dettagli delle principali congiunzioni del mese.

Come sempre tutti i consigli per l’osservazione del cielo li trovate sul Cielo di Novembre 2019, su Coelum Astronomia.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

 

La Luna di Ottobre e una guida all’osservazione del margine settentrionale del Mare Imbrium

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Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Una sottilissima falce di Luna crescente ripresa il 29 settembre sera da Anna Maria Catalano e Franco Traviglia (per i dettagli di ripresa cliccare sull’immagine). Per quanto riguarda le falci di Luna, questo mese si parte subito dal 1 ottobre, per poi passare alla fine del mese, tra il 26 e il 27 ottobre.
Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Il nostro satellite si troverà in fase di Primo Quarto alle 11:23 del 4 novembre. La fase Crescente culminerà alle 14:34 del 12 novembre col Plenilunio a –22°, per un’approfondita osservazione del disco lunare completamente illuminato dal Sole basterà attendere la medesima serata quando alle 17:14, contestualmente al tramonto della nostra stella, sorgerà la Luna Piena per poi dedicarci alle innumerevoli strutture lunari che avremo la possibilità di scandagliare in un’insolita condizione di illuminazione solare, ma questo potrà eventualmente costituire un argomento da affrontare in uno dei prossimi numeri di Coelum Astronomia.

Continua, con maggiori dettagli in la Luna di novembre su Coelum Astronomia 238

Falci di Luna

Anche questo mese, troviamo consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci di Luna, del Cielo di Novembre. Si dovrà però aspettare l’ultima decade del mese, nei 3/4 giorni prima e dopo la Luna Nuova del 26 novembre. In particolare il 24 novembre la sottile falce sarà accompagnata da Marte e Mercurio… doppia occasione per osservarne le formazioni al telescopio, ma anche godersi lo spettacolo a occhio nudo!

➜ Continua nel Cielo del Mese su Coelum Astronomia 238

A novembre osserviamo

Librazioni del mese

Questo mese una formula diversa, andremo a caccia di librazioni, quelle anomalie nella rotazione lunare che fanno si che la Luna non mostri proprio sempre la stessa faccia, ma si “dondoli” un po’, mostrandoci piccoli spiragli della sua superficie oltre il contorno della faccia visibile, che altrimenti non potremmo vedere. Questo movimento è più o meno accentuato nell’arco del mese (normalmente vi segnaliamo la massima librazione, che mostra più superficie della faccia nascosta), e quindi più o meno ampio è lo sguardo che possiamo dare oltre il bordo, ma può essere comunque interessante.

Si parte allora tra l’1 e il 5 novembre, con le Librazioni interesseranno le aree situate lungo il bordo nord orientale del nostro satellite. L’osservazione verrà indubbiamente facilitata dalla Luna in fase crescente, visibile pertanto dal tardo pomeriggio intorno alle 17:30 circa fino al suo tramonto previsto in prima serata a inizio mese (20:30) e poco dopo la mezzanotte fra il 5 e il 6 novembre.

Sulla rivista trovate inidcate giorno per giorno le formazioni che la librazione ci permetterà di osservare. Consultate sempre le passate puntate della rubrica, perché alcune di queste formazioni sono già state già trattate anche in dettaglio. Fateci sapere se vi piace!

➜ Continua su la Luna di ottobre 2019

 

dal 1 e 2 novembre la regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

Questo mese si inizia subito con la principale proposta fissata per la serata del 1 novembre con la Luna in fase di 4,5 giorni. Nel caso specifico il tempo a disposizione per effettuare osservazioni visuali ed eventuale acquisizione di immagini si protrarrà al massimo fino alle 20:30 circa, quando il nostro satellite scenderà sotto l’orizzonte. Si tratta di un tempo comunque più che sufficiente ma con la condizione di poter operare con un orizzonte ovest-sudovest libero da ostacoli, oltre al fatto che la turbolenza potrebbe rivelarsi ancora più deleteria considerata la bassa declinazione della Luna.

Si ricorda che la visibilità delle varie strutture superficiali sarà in stretta relazione col progressivo avanzamento della linea del terminatore sul suolo lunare da oriente verso occidente, pertanto se ne consiglia l’osservazione possibilmente anche nella successiva serata del 2 novembre quando la Luna sarà in fase di 5.5 giorni, con un’ora in più a disposizione andando a tramontare alle 21:31.

In questo caso la luce del Sole avrà già iniziato a illuminare territori ancora più a ovest fino al margine orientale dei mari Serenitatis e Tranquillitatis.

➜ Leggi la Guida all’osservazione della regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

Per la ripresa della Luna nel contesto del paesaggio ricordiamo sempre le rubriche di Giorgia Hofer:

Crediti: Giorgia Hofer

La Luna immersa nei colori pastello per riprese da favola!
➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna
➜ Fotografare la Luna
La Luna illumina la notte
Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena

Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci ha raccontato come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!

➜  La Luna mi va a pennello.

E se le proposte fatte non vi bastano, non dimenticate tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo sabato del mese sarà presente un ospite per varie conferenze

01.11: Anteprima “Phantom of the Universe” e Osservazione al telescopio. Attività riservata ai soli soci
30.11, ore 19:00: “A Cena con Le Stelle”. Cena a tema presso il Ristorante Campana (Ospite: Simone Zaggia dell’INAF)

Durante tutto il mese, presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “The Hot and Energetic Universe” (di ESO), “Moon 2019” (di 3Des), “From Earth to Universe” (di ESO), “Two small pieces of Glass” (di ESO). Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

Per informazioni: https://www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

02.11, ore 21.30: Il cielo autunnale. Appuntamento presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo del periodo. Al centro dell’attenzione nebulose, ammassi stellari e stelle doppie. Prenotazione obbligatoria sul sito o tramite Davide Scutumella 3388861549. In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

08.11 e 22.11, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 8), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Festival della scienza di Genova

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Il Festival della Scienza rinnova l’appuntamento a Genova dal 24 ottobre al 4 novembre 2019. Dodici giorni di conferenze, laboratori, mostre, spettacoli ed eventi speciali dedicati a visitatori di ogni fascia d’età e livello di conoscenza. La parola chiave dell’edizione 2019 sarà elementi.

Al Festival celebreremo i 50 anni dello sbarco sulla Luna, gettando uno sguardo sul futuro delle esplorazioni spaziali, e i 150 anni della tavola periodica degli elementi di Mendeelev, con un focus speciale sulla chimica. Grande attenzione verrà data inoltre ai temi legati all’ambiente e alle life sciences, discipline in cui tecnologia, medicina e industria collaborano per raggiungere il progresso.

info@festivalscienza.it
http://www.festivalscienza.it/site/home.html

Doppio appuntamento: Mercurio e Venere seguiti da Luna e Giove

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Prima di dedicarci a Luna e Giove, potremo gustare una bella e colorata congiunzione tra i due pianeti della sera, il brillantissimo Venere (mag. –3,9) e il più debole e basso Mercurio (mag. +0,4). Li scorgeremo entrambi immersi nel crepuscolo serale e piuttosto bassi sull’orizzonte sud-occidentale, separati di 2° 36’, con Venere posizionato a nord di Mercurio.

Attendendo ancora poco più di un’ora, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro, potremo accorgerci, più in alto sull’orizzonte sudsudovest della presenza di Giove (mag. –1,9) accanto a una bella falce di Luna (fase del 15%): i due astri saranno già stretti in un abbraccio, tra le flebili stelle della costellazione della Bilancia (che appariranno ai nostri occhi ben più tardi rispetto ai due brillanti protagonisti della congiunzione).

Il momento in cui la separazione sarà minima avverrà alle ore 17:00, quando però il cielo sarà ancora molto chiaro. Basterà attendere per vederli meglio, quando saranno più bassi sull’orizzonte di sudovest (alle 18:30 si troveranno a circa 10° di altezza). La Luna si troverà a meno di un grado a nordest di Giove: sarà un incontro davvero suggestivo e da non perdere!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre 2019


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Ottobre su Coelum Astronomia 237

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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CCAT_Dal Cielo notturno al Cosmo_Corso di introduzione AstronomiaA partire dal prossimo SETTEMBRE torna la nuova edizione de “DAL CIELO NOTTURNO AL COSMO – CORSO DI INTRODUZIONE ALL’ASTRONOMIA“!

Ancora una volta, protagonista il Cosmo, attraverso nr. 5 lezioni teoriche (tenute presso il Centro commerciale “Il Giulia” a Trieste) “dirette” dagli esperti relatori del Circolo Culturale Astrofili Trieste + nr. 3 lezioni pratiche sui telescopi tenute presso l’osservatorio “B.Zugna”, dove verrà applicato quanto imparato nella teoria sui telescopi assieme a prove di ricerca ed inseguimento dei corpi celesti.

Per informazioni su iscrizioni/partecipazione:

info@astrofilitreste.it
http://www.astrofilitrieste.it/

Torna Venere la sera, con Luna e Mercurio

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Torna Venere nel cielo della sera ed ecco che iniziano nuovamente le bellissime configurazioni celesti che la vedono protagonista, con la falce di Luna e Mercurio, nel cielo crepuscolare, illuminato e variopinto di tutte le calde sfumature del tramonto.

Volgendoci verso occidente (a sud-sudovest) potremo notare quindi una falce davvero sottile di Luna (fase del 3%) stazionare a circa 2°48’ a nordovest di Venere (mag. –3,9), molto brillante e in grado di vincere il chiarore del crepuscolo serale, e a 5° 36’ a nordovest di Mercurio (mag. +0,3).

Quest’ultimo sarà molto più difficile da scorgere (ma non è una novità), poiché si trova molto più basso sull’orizzonte (circa 3° e mezzo all’orario indicato) e anche per la sua luminosità ben più bassa, che lo farà perdere facilmente nel cielo ancora molto luminoso. Complessivamente sarà una bel quadro da immortalare in alcune fotografie che riprendano anche gli elementi paesaggistici circostanti.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre 2019


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Marte. Nuovo ostacolo per la “talpa” di InSight

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Dopo aver trovato una soluzione per l’empasse della talpa di InSight, con nuovo twit dal profilo della missione, che mostra la sonda rimbalzare e uscire per metà dal foro. Ricordiamo infatti che la talpa, il penetratore dello strumento HP3 (Heat Flow and Physical Properties Probe), a bordo del lander InSight della NASA su Marte, era ferma da febbraio di quest’anno e solo da poco gli ingegneri del team erano riusciti a rimetterla in funzione.

Solo il 21 ottobre infatti annunciavano che la talpa non solo aveva ricominciato a scavare, ma era arrivata a circa 38 centimetri e stava per scomparire nel terreno (lo strumento è infatti lungo 40 cm). Ma il twit di oggi mostra una situazione ben diversa.

«Marte continua a sorprenderci» si legge nel twit, che vedete qui sopra a destra «Mentre stava scavando, questo fine settimana la talpa si è tirata fuori dal terreno per circa la metà. Una valutazione preliminare indica come principale ragione un’inattesa proprietà del terreno. Il team sta esaminando i prossimi passi da fare».

Nelle risposte date dal team ai commenti, i pochi elementi in più emersi sono che non sono stati rilevati rumori particolari al momento del “rimbalzo” che l’ha spinta verso fuori, invece che procedere all’interno, per cui le ipotesi sono varie. Una di queste è che il terreno sabbioso e particolarmente mobile – come si è dimostrato essere in superficie nei primi due centimetri, al contrario dello strato sottostante più duro del previsto e che ha creato il primo problema alla talpa –  sia crollato all’interno del buco riempiendolo in parte e impedendo alla talpa di ridiscendere spingendola verso l’alto.

Per il momento però sono solo ipotesi, attendiamo la news ufficiale che eventualmente aggiungeremo qui sotto. Rimanete sintonizzati!

Lo speciale con tutti i dettagli della missione in occasione dell'arrivo della sonda su Marte. In formato digitale e gratuito: clicca e leggi.

Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
La prima cometa interstellare! Ma che età hanno gli anelli di Saturno? Leonardo precursore anche dell’invenzione del telescopio? Vapore acqueo trovato per la prima volta nell’atmsfera di una super-Terra e molto altro ancora su…

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Beccata l’abominevole galassia primordiale

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Animazione illustrativa di come potrebbe apparire una galassia massiccia nell’universo primordiale, al cui interno si registra un enorme tasso di formazione stellare, che illumina il gas circostante. Spesse nubi di polvere oscurano la maggior parte della luce, facendo sembrare la galassia fioca e disorganizzata, molto diversa dalle galassie visibili all’epoca attuale. Crediti: James Josephides/Christina Williams/Ivo Labbe
Animazione illustrativa di come potrebbe apparire una galassia massiccia nell’universo primordiale, al cui interno si registra un enorme tasso di formazione stellare, che illumina il gas circostante. Spesse nubi di polvere oscurano la maggior parte della luce, facendo sembrare la galassia fioca e disorganizzata, molto diversa dalle galassie visibili all’epoca attuale. Crediti: James Josephides/Christina Williams/Ivo Labbe

Un gruppo internazionale di ricerca ha scoperto accidentalmente le tracce di un’enorme galassia nell’universo primordiale, mai vista prima. Quasi come un leggendario Yeti – l’abominevole uomo delle nevi – cosmico, l’esistenza di una galassia di questo tipo è stata finora considerate dalla comunità scientifica come puro folklore, data la mancanza di prove al riguardo. Ora, per la prima volta, un gruppo internazionale di ricerca – guidato da Christina Williams, ricercatrice con una borsa di studio allo Steward Observatory delll’Università dell’Arizona – è riuscito a scattare una foto della “bestia”, che ora fa bella mostra di sé in uno studio appena pubblicato su Astrophysical Journal.

La scoperta, che fornisce nuove, importanti informazioni sui primi passi evolutivi di alcune delle più grandi galassie dell’universo, è stata realizzata grazie a osservazioni particolarmente sensibili effettuate con la schiera di 66 antenne del radiotelescopio Alma in Cile. Nei dati di Alma, Williams ha scorto qualcosa di insolito, una debole emissione che sembrava scaturire dal nulla, una sorta di impronta fantasma nella vasta oscurità cosmica.

«Era piuttosto misteriosa perché la luce sembrava non essere legata ad alcuna galassia conosciuta», dice Williams. «Quando ho realizzato che questa galassia risultava invisibile a qualsiasi altra lunghezza d’onda mi sono davvero emozionata, perché significava che probabilmente era molto lontana e nascosta da nuvole di polvere».

Christina Williams

Le autrici e gli autori del nuovo studio stimano che la regione di provenienza sia così remota che al segnale sono occorsi 12.5 miliardi di anni per raggiungere la Terra, regalandoci quindi uno scorcio dell’universo nella sua infanzia. L’emissione osservata è probabilmente causata dal bagliore proveniente da particelle di polvere, riscaldate da un’intensa attività di formazione stellare che avviene in profondità all’interno di questa galassia giovane. Le gigantesche nubi di polvere nascondono la luce delle stelle stesse, rendendo la galassia completamente invisibile.

Questo risultato potrebbe aiutare a risolvere un annoso problema cosmologico. Recenti studi hanno infatti scoperto che alcune delle più grandi galassie nell’universo giovane sono cresciute molto rapidamente, raggiungendo in relativamente poco tempo – non si sa bene come – uno stato evolutivo “maturo”.

Ancora più sconcertante è che queste galassie mature sembrano venire fuori dal nulla, nel senso che non sono mai state osservate mentre si stanno formando. «La nostra sfuggente galassia monstre ha esattamente gli ingredienti giusti per essere l’anello mancante nell’evoluzione delle galassie massicce, che probabilmente sono molto più comuni nell’universo primordiale di quanto si pensi», conclude Williams.

Per saperne di più:


Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
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Prima identificazione di un elemento pesante nato dalla collisione tra stelle di neutroni

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Un gruppo di scienziati europei, usando i dati ottenuti dallo strumento X-shooter montato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, ha trovato le impronte caratteristiche dello stronzio formato durante la fusione di due stelle di neutroni. Questa rappresentazione artistica mostra due stelle di neutroni, piccole ma densissime, nel momento in cui stanno per fondersi ed esplodere come chilonova. In primo piano, una rappresentazione degli atomi di stronzio appena formati. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser
Un gruppo di scienziati europei, usando i dati ottenuti dallo strumento X-shooter montato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, ha trovato le impronte caratteristiche dello stronzio formato durante la fusione di due stelle di neutroni. Questa rappresentazione artistica mostra due stelle di neutroni, piccole ma densissime, nel momento in cui stanno per fondersi ed esplodere come chilonova. In primo piano, una rappresentazione degli atomi di stronzio appena formati. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Nel 2017, in seguito al rilevamento di onde gravitazionali che hanno raggiunto la Terra, l’ESO ha puntato i suoi telescopi cileni, incluso il VLT verso la sorgente: l’evento dovuto alla fusione di stelle di neutroni che prende il nome di GW170817. Gli astronomi sospettavano che, se gli elementi più pesanti si fossero formati dalle collisioni di stelle di neutroni, le impronte di quegli elementi potevano essere rilevate nelle chilonovae, le conseguenze esplosive delle fusioni. Questo è ciò che ha fatto un’equipe di ricercatori europei, utilizzando i dati dello strumento X-shooter, installato sul VLT dell’ESO.

Questo grafico mostra le diverse coperture in lunghezza d'onda dei vari strumenti usati dall'ESO per studiare l'esplosione di chilonova in NGC 4993, tra le quali si inserisce anche l'osservazione tramite lo strumento X-shooter montanto sul VLT. Crediti: ESO

Dopo l’evento GW170817 (leggi lo speciale dedicato su Coelum astronomia di novembre 2017 “dalle onde gravitazionali alle chilonovae”), la compagine di telescopi dell’ESO ha iniziato a monitorare l’esplosione di chilonova emergente dalla fusione, su una vasta gamma di lunghezze d’onda. X-shooter in particolare ha preso una serie di spettri dall’ultravioletto al vicino infrarosso. L’analisi iniziale di questi spettri ha suggerito la presenza di elementi pesanti nella chilonova, ma gli astronomi finora non erano stati in grado di individuare i singoli elementi.

«Rianalizzando i dati della fusione del 2017, abbiamo ora identificato in questa palla di fuoco la firma di un elemento pesante, lo stronzio, che dimostra che è la collisione delle stelle di neutroni a creare questo elemento nell’Universo», afferma l’autore principale dello studio, Darach Watson dal Università di Copenaghen in Danimarca.

Sulla Terra, lo stronzio si trova naturalmente nel terreno ed è concentrato in alcuni minerali. I suoi sali sono usati per dare ai fuochi d’artificio un colore rosso brillante. Gli astronomi conoscono i processi fisici che creano gli elementi fin dagli anni ’50 del secolo scorso. Nel corso dei decenni successivi hanno scoperto i siti cosmici di ognuna di queste principali forge nucleari, tranne una.

«Questa è la fase finale di una ricerca decennale per definire l’origine degli elementi», afferma Watson. «Ora sappiamo che i processi che hanno creato gli elementi sono avvenuti principalmente nelle stelle ordinarie, nelle esplosioni di supernova o negli strati esterni di stelle vecchie. Ma, fino ad ora, non conoscevamo la posizione dell’ultimo processo da scoprire, noto come processo di cattura rapida di neutroni, che ha creato gli elementi più pesanti nella tavola periodica».

La cattura rapida dei neutroni è un processo in cui un nucleo atomico cattura i neutroni abbastanza rapidamente da consentire la creazione di elementi molto pesanti. Sebbene molti elementi siano prodotti nei nuclei delle stelle, la creazione di elementi più pesanti del ferro, come lo stronzio, richiede ambienti ancora più caldi con molti neutroni liberi. La cattura rapida dei neutroni si verifica naturalmente solo in ambienti estremi in cui gli atomi sono bombardati da un gran numero di neutroni.

«Questa è la prima volta in cui possiamo associare direttamente con la fusione delle stelle di neutroni il materiale appena creato, formato tramite il processo di cattura di neutroni, confermando che le stelle di neutroni sono proprio fatte di neutroni e legando a queste fusioni il processo di cattura rapida dei neutroni, a lungo dibattuto», afferma Camilla Juul Hansen del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, che ha svolto un ruolo importante nello studio.

Solo ora gli scienziati stanno iniziando a comprendere meglio la fusione delle stelle di neutroni e le chilonovae. A causa della nostra ancora limitata comprensione di questi nuovi fenomeni e di altre complessità negli spettri dell’esplosione presi dallo strumento X-shooter montato sul VLT, gli astronomi non erano stati in grado finora di identificarvi singoli elementi.

«In realtà, l’idea che avremmo potuto vedere lo stronzio ci è venuta abbastanza presto, dopo l’evento. Tuttavia, dimostrare che era realmente quel che stava accadendo si è rivelato molto difficile. La difficoltà era dovuta alla nostra conoscenza altamente incompleta dell’aspetto spettrale degli elementi più pesanti della tavola periodica», afferma Jonatan Selsing, ricercatore dell’Università di Copenaghen, un altro autore fondamentale dell’articolo.

Il numero di novembre 2017 dedicato alla nascita dell'astronomia multimessaggero, in occasione dell'evento GW170817, prima individuazione visuale di una sorgente di onde gravitazionali. Per leggere gratuitamente il numero cliccare sull'immagine.

L’evento di fusione GW170817 è stato il quinto evento di onde gravitazionali, osservato grazie a LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), negli Stati Uniti e a Virgo (Interferometro Virgo) in Italia. Questa fusione, avvenuta nella galassia NGC 4993, è stata la prima, e finora l’unica, sorgente di onde gravitazionali per cui sia stata rivelata la controparte visibile da telescopi sulla Terra.

Con gli sforzi combinati di LIGO, Virgo e VLT abbiamo raggiunto la più chiara comprensione finora del funzionamento interno delle stelle di neutroni e delle loro fusioni esplosive.

Ulteriori Informazioni

Questo lavoro è stato presentato in un articolo che verrà pubblicato dalla rivista Nature il 24 ottobre 2019.


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Semaforo verde per la missione Lucy

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Crediti: SwRI
Crediti: SwRI

Dopo comete, asteroidi vicini e di fascia, è il momento di incontrare gli asteroidi troiani, ovvero quegli asteroidi che convivono nella stessa orbita dei grandi pianeti del nostro Sistema Solare, e in particolare il pianeta Giove. E Lucy, la missione ideata dalla NASA per esplorare sette asteroidi nell’arco di 12 anni, ha superato con successo la fase critica di controllo del progetto e si alla produzione vera e propria in vista del lancio previsto, per il momento, per il 2021.

A questa missione è stato dato un nome evocativo, così come il celebre australopiteco Lucy ci ha portati più vicini a comprendere le nostre origini come razza umana, la missione Lucy si pone l’obiettivo di svelare (se non addirittura rivoluzionare, come fece il piccolo australopiteco) quel che ancora non sappiamo  delle origini del nostro Sistema Solare.

Dopo aver superato la fascia principale degli asteroidi (in bianco), Lucy si dirigerà verso il punto L4, dove troverà il "gruppo greco" (in antitesi con il "gruppo troiano" in L5) dei più genericamente chiamati "asteroidi troiani" di Giove (in verde). Wikimedia Commons.

Fly-by dopo fly-by, infatti, visiterà da vicino un asteroide di fascia e sei asteroidi troiani, considerati dei “fossili” formatisi all’origine del nostro Sistema Solare, più di 4 milioni di anni fa, dalla zona della nube protoplanetaria che ha visto la nascita del pianeta di cui percorrono l’orbita, e quindi composti del materiale primordiale da cui hanno preso forma i pianeti del Sistema Solare esterno. Delle vere capsule del tempo.

I troiani si trovano in due di quei punti di equilibrio, dell’orbita di Giove, tra l’azione gravitazionale del Sole e quella del pianeta chiamati punti di Lagrange, in particolare nei punti L4 e L5. Lucy raggiungerà nel 2027 la popolazione di troiani di Giove che abitano il punto L4, chiamati anche “gruppo greco” per poi passare al gruppo in L5 chiamato in antitesi “gruppo troiano” (questi asteroidi infatti prendono nome dagli eroi della mitologia greca che hanno partecipato alla guerra di Troia, con un paio di eccezioni…).

Il percorso di Lucy che nell'arco di 12 anni visiterà i due gruppi di asteroidi troiani di Giove. Nell'arco del 2017/28 visiterà (3548) Eurybates (in bianco), (15094) Polymele (in rosa), (11351) Leucus (in rosso) e (21900) Orus (in rosso), per poi passare al punto L5 dove visiterà (617) Patroclus-Menoetius, un asteroide binario (in rosa), nel 2033. Come "bonus" nel 2025 passerà nelle vicinanze di (52246) Donaldjohanson, l'asteroide di fascia (in bianco) che prende il nome dallo scopritore dell australopiteco Lucy. Dopo il 2033, alla fine della missione primaria, continuerà a passare da una all'altra popolazione di troiani in cicli di sei mesi. Crediti: Southwest Research Institute

La missione è quindi stata ideata per effettuare più flyby in successione, sfruttando l’effetto fionda della Terra, sia in partenza che per il passaggio da un punto Lagrangiano all’altro. Prima però di entrare effettivamente in produzione ogni missione deve passare la Critical Design Review, una fase delicata che, dopo anni di lavoro di progettazione, un comitato indipendente, formato da revisori della NASA e di diverse organizzazioni esterne, decide definitivamente se è realizzabile o meno, e da il via alla produzione.

Durante questa fase di controllo, il team di Lucy ha presentato il progetto nella sua interezza, dimostrando di aver superato tutte le sfide tecniche per raggiungere in sicurezza gli obiettivi della missione, e di essere pronto a passare alla fasa di realizzazione vera e propria della strumentazione. Quattro giorni in cui la commissione ha ascoltato le presentazioni del team su tutti gli aspetti relativi al progetto: la navicella spaziale vera e propria Lucy, il suo payload, la progettazione dei test per mettere alla prova tutti gli aspetti software e hardware della missione, la parte che riguarda il controllo da terra, tutta quella ingegneristica e quella che riguarda la scienza che farà Lucy in missione. Dopo questa fase si è acceso finalmente il semaforo verde per portare a termine la fase di produzione e quindi il lancio per la missione vera e propria.

«È un momento esaltante per noi, perché ci muoviamo dalla fase di progettazione a quella in cui potremo davvero cominciare a costruire la sonda» spiega Hal Levison, principal investigator della missione presso il Research Institute a Boulder, Colorado. «Sta finalmente diventando reale!».

Per maggiori informazioni sulla missione

https://www.nasa.gov/lucy

http://lucy.swri.edu


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