Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
20-22 aprile 33° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani
Il Convegno dei Planetari italiani presso Infini.to, Pino Torinese – Torino a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI http://www.planetari.org
Le campagne nazionali UAI
1-2 giugno Il Cielo a portata di mano. Giornata Nazionale Osservatori Aperti
La giornata italiana nazionale degli osservatori accessibili, collegata al progetto nazionale “Stelle per tutti”, per valorizzare e promuovere la rete di quasi100 strutture pubbliche, gestite dagli astrofili: una risorsa per la diffusione della cultura scientifica in Italia.
4-6 maggio
51° Congresso Nazionale UAI Presso l’Osservatorio Polifunzionale del Chianti (loc. San Donato in Poggio nel Comune di Barberino Val d’Elsa (FI). Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantunesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione di esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.
04.05 ore 21.30
Notte Stellata UAI
Star party pubblico e per astrofili. Per l’occasione l’OPC sarà aperto e si faranno osservazioni con il grande telescopio Marcon c/o Osservatorio Polifunzionale del Chianti
Il mese di maggio viene salutato dall’incontro tra la Luna, quasi piena, e il pianeta Giove, alle ore 5:00. Il teatro dell’incontro è la costellazione della Bilancia, a una altezza di circa 16° sull’orizzonte sudovest all’orario indicato.
Potremo ammirare il grande pianeta che brillerà come una stella di magnitudine –2,5 a circa 4° 50′ dalla Luna, il cui bagliore affogherà la flebile luce delle stelle della costellazione che li ospita, tra cui le vicine Zubenelgenubi (Alfa Librae, mag. +2,75) e Zubeneschamali (Beta Librae, mag. +2,60).
Per quanto riguarda Giove ricordiamo che siamo entrati nel suo periodo di miglior visibilità:
Indice dei contenuti
➜ 9 maggio Giove in opposizione. Come osservarlo, a occhio nudo e con uno strumento, e tutti i principali eventi che riguardano le lune medicee.
Vista la fase di Luna Piena, anche se ormai in calo, ricordiamo anche le varie rubriche dedicate alla ripresa della Luna nel paesaggio e… del paesaggio illuminato dalla Luna:
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
Allo zenit, verso nord, volteggerà intanto l’inconfondibile sagoma del Grande Carro e sarà possibile ammirare per intero la grande costellazione dell’Orsa Maggiore. A sudest, nei pressi dell’orizzonte, si affaccerà la testa dello Scorpione, caratterizzata dalla rossa Antares, preceduta dalla Bilancia che ospita il brillante Giove, questo mese in opposizione. Più a est cominceranno a farsi notare le grandi costellazioni estive come il Cigno, la Lira, con la bella Vega, e l’Ercole.
➜ Scopri le costellazioni del Cielo di maggio con la UAI, che questo mese ci porta in viaggio verso la Whirlpool Galaxy
IL SOLE
La nostra stella, che passerà dalla costellazione dell’Ariete a quella del Toro il giorno 14, descriverà un arco diurno sempre più ampio e la durata della notte astronomica si ridurrà quindi, ulteriormente, passando da 6,3 a meno di 5 ore; ciò significa che verso la metà del mese il Sole si manterrà di almeno 18° sotto l’orizzonte soltanto dalle 22:30 alle 3:45, periodo in cui sarà possibile dedicarsi alla fotografia e all’osservazione del cielo profondo.
Cosa offre il cielo
Venere sempre brillante al mattino ci offrirà alcune tra le più belle congiunzioni, ma il protagonista sarà Giove, ormai prossimo all’opposizione.
Il 9 maggio infatti si troverà alle nostre “spalle” rispetto al Sole, e quindi ben illuminato, alto nel cielo per buona parte della notte e alla minima distanza per questo periodo. Non una minima distanza “assoluta”, ma solo relativa, anzi… in questi giorni si troverà anche all’apogeo, quindi un’opposizione non tra le migliori, una cosidetta “piccola opposizione”, rispetto alla “grande opposizione” di Marte che ci aspetta il prossimo mese!
In ogni caso, Giove raggiungerà un diametro apparente sarà di 44,8″, e potremo osservarlo sorgere sempre prima nell’arco del mese, e trovarlo alto al meridiano già attorno alla mezzanotte a metà mese. Il periodo migliore per osservazioni planetarie dunque, per osservare i cambiamenti della sua maestosa atmosfera e il movimento dei suoi quattro principali satelliti.
Come sempre quando si tratta dei pianeti più distanti che variano lentamente in cielo la loro posizione rispetto a noi, non conta molto il giorno preciso dell’opposizione, ma il periodo e tutto il mese di maggio potrà essere sfruttato per le osservazioni!
➜ 9 maggioGiove in opposizione. Come osservarlo, a occhio nudo e con uno strumento, e tutti i principali eventi che riguardano le lune medicee.
La Luna continuerà a regalarci il consueto spettacolo tra pianeti e astri, mentre per quel che riguarda le falci di Luna e la sua Luce Cinerea le giornate migliori per osservarla e fotografarla saranno l’ 11 e 12 maggio, appena prima dell’alba e il 18 e 19 del mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto.
Per effemeridi, dettagli e i consigli sull’osservazione delle formazioni lunari invece:
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
Un dettaglio del cratere Korolev, situato nell’emisfero nord del pianeta Marte, in cui sono ben evidenti depositi di ghiaccio, è la prima spettacolare immagine realizzata dallo strumento Cassis (Colour and Stereo Surface Imgaging System) a bordo del Trace Gas Orbiter (Tgo) di ExoMars, che da alcune settimane orbita a circa quattrocento chilometri dalla superficie del Pianeta rosso. Cassis, disegnato e realizzato all’Università di Berna, in Svizzera, è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Agenzia spaziale italiana (Asi). I componenti di Cassis a responsabilità italiana sono stati costruiti da Leonardo Spa divisione avionica.
«La camera funziona molto bene, e lo dimostra questa bellissima immagine a colori del cratere marziano Korolev. Le immagini a colori e ad alta risoluzione sono una delle potenzialità di Cassis a cui si aggiunge l’obiettivo di ottenere migliaia di immagini 3D ad alta risoluzione», dice Gabriele Cremonese dell’Inaf a Padova, co-pi di Cassis e responsabile per la generazione e archiviazione delle immagini 3D. «In questa fase di test anche il satellite sta perfezionando il puntamento e l’assetto, e quindi non sono ancora state ottenute le prime coppie stereo, ma è questione di giorni!».
L’immagine di pubblicata oggi mostra una regione di 50 chilometri del cratere da impatto Korolev, intitolato all’ingegnere russo Sergej Korolev che progettò i primi razzi sovietici destinati all’esplorazione spaziale. Il materiale luminoso visibile sui bordi del cratere è ghiaccio. Cassis è stato attivato il 20 marzo scorso ed è stato sottoposto a test in preparazione dell’inizio della sua piena attività, il 28 aprile prossimo. L’immagine è una composizione di tre riprese in diversi colori che sono state scattate quasi simultaneamente da Cassis il 15 aprile.
«Le prime immagini ad alta risoluzione inviate da Cassis dimostrano l’ottimo funzionamento dello strumento, realizzato in collaborazione con l’Asi», commenta Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’Asi. «In questo modo, i team scientifici italiani coinvolti in Cassis potranno ottenere dati scientifici di Marte di estremo interesse per la futura esplorazione di questo pianeta».
Alla pianificazione delle aree di Marte da osservare e all’analisi dei dati prodotti da Cassis collaborano in Italia Stefano Debei, del Cisas, Matteo Massironi, del Dipartimento di geoscienze dell’Università di Padova e Lucia Marinangeli dell’Università di Chieti-Pescara.
Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto. Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!
GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni:2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30 Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30 ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica
Viene rilasciato il 25 aprile il secondo catalogo stellare prodotto dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea: di fatto esso sarà fino al prossimo rilascio il più dettagliato e più grande catalogo esistente.
In esso sono state censite quasi un miliardo e settecento milioni di stelle della nostra Galassia, la Via Lattea, con informazioni di precisione sulla loro posizione, la velocità con cui si spostano e alcune loro proprietà fisiche. Ma non solo: sono state misurate le posizioni di oltre 14 mila nuovi asteroidi nel nostro Sistema solare e di mezzo milione di quasar nell’Universo più remoto, galassie assai distanti la cui enorme luminosità proviene dall’energia emessa dal loro buco nero centrale supermassiccio. Queste ultime rappresentano la prima realizzazione nella banda della luce visibile del sistema di riferimento celeste per la navigazione spazio-temporale.
Una enorme banca dati messa a disposizione di tutta la comunità scientifica basata su 22 mesi di dati raccolti incessantemente da Gaia, che spalanca la porta a nuovi studi con un dettaglio senza precedenti sulle stelle della nostra galassia, la loro distribuzione 3D e la loro evoluzione.
Gaia è una missione che vede una importante partecipazione scientifica dell’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l’Agenzia Spaziale Italiana che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC). L’INAF vede coinvolte le sue strutture di Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Padova, Roma, Teramo e Torino (dove risiede il management nazionale); l’ASI partecipa con lo SSDC (Space Science Data Center) e con il DPCT, il centro di processamento dati a Torino, l’unico in Italia dei sei complessivi sul territorio europeo, interamente dedicato alla validazione astrometrica e contenente tutti i dati di missione per un totale di 1,5 petabyte, ovvero 1,5 milioni di gigabyte .
«Finalmente non solo conosciamo meglio i dintorni del Sistema solare ma iniziamo a tuffarci negli immensi spazi della Via Lattea!» commenta Mario Lattanzi, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e responsabile nazionale, per conto di ASI e INAF, della partecipazione nazionale alla missione Gaia. «Con errori astrometrici al meglio dei 50 milionesimi di secondo d’arco, equivalenti alle dimensioni apparenti di una mela posta sulla Luna, la storia evolutiva della nostra Galassia e delle sue popolazioni non avrà più segreti in un raggio di oltre 13.000 anni luce dal Sole. Insomma, con la DR2 Gaia diventa maggiorenne e fornisce al mondo scientifico la sua prima mappa stellare dinamica totalmente basata sui dati presi dai suoi strumenti astrometrici a spettro-fotometrici».
La missione Gaia è stata lanciata nel dicembre del 2013 e ha iniziato le attività scientifiche l’anno seguente. I primi dati, basati su poco più di un anno di osservazioni, sono stati resi pubblici nel 2016 e riportavano le distanze e i moti annuali di due milioni di stelle con la precisone di “appena” 300 milionesimi di secondo d’arco. Il nuovo catalogo, che abbraccia il periodo tra il 25 luglio 2014 e il 23 maggio 2016, contiene le posizioni di quasi 1,7 miliardi di stelle e con una precisione nettamente maggiore.
Il catalogo completo fornisce informazioni uniche per indagini che abbracciano una vasta gamma di argomenti astronomici. In aggiunta alle posizioni, i dati presenti includono le informazioni sulla luminosità di tutte le stelle osservate e le misurazioni del colore di quasi tutte, oltre a informazioni sulla variabilità nel tempo di luminosità e colore di mezzo milione di stelle. Contiene anche le velocità lungo la linea di vista (velocità radiale) di un sottogruppo di sette milioni di stelle, le temperature superficiali di circa cento milioni di oggetti stellari e l’effetto di oscuramento prodotto dalla polvere interstellare su 87 milioni di astri.
«I nuovi dati di Gaia sono così accurati che ci stanno restituendo una panoramica senza precedenti delle proprietà delle stelle che popolano la Via Lattea e grazie ad esse possiamo già individuare degli indizi interessanti sulla loro storia evolutiva» dice Antonella Vallenari dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Padova, Italia, deputy chair del DPACE (DPAC Executive board). «Stiamo davvero inaugurando una nuova era in quella che potremmo definire l’archeologia stellare galattica».
«Il rilascio del secondo catalogo di Gaia rappresenta un importante traguardo scientifico, che è stato raggiunto anche grazie all’ottimo lavoro di analisi dati svolto dal team scientifico italiano in collaborazione con il Data Processing Center presso ALTEC, Torino. A questo si aggiunge l’importante contributo dato dal Centro SSDC di ASI» sottolinea Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’ASI.
Col passare del tempo, anche le galassie invecchiano. E diventano sempre più grandi e “paffutelle”. A provarlo, con osservazioni ora pubblicate su Nature Astronomy nell’articolo “A relation between the characteristic stellar ages of galaxies and their intrinsic shapes“, è stato un team di ricercatori guidati da Jesse van de Sande, dell’Università di Sydney. I ricercatori, tra cui anche un gruppo dell’Australian National University (Anu), hanno esaminato un campione di 843 galassie, misurando il movimento delle stelle con uno strumento chiamato Sami presso il Siding Spring Observatory.
Le stelle di una giovane galassia, ha spiegato Matthew Colless dell’Australian National University, si muovono in modo ordinato attorno al disco della galassia, proprio come le auto su una pista da corsa. «Tutte le galassie sembrano sfere schiacciate, ma con l’avanzare dell’età diventano gonfie man mano che le stelle cominciano a girare in tutte le direzioni», aggiunge il ricercatore, responsabile del centro Astro 3D. «La Via Lattea ha più di 13 miliardi di anni, quindi non è giovane ma ha ancora un rigonfiamento centrale di vecchie stelle e bracci a spirale» pieni di giovani stelle.
Dai dati raccolti si evince che l’età e la tipologia delle stelle sono connesse con la forma della galassia, ma finora questo non è stato così ovvio: per questo la scoperta è sorprendente. Van de Sande ha spiegato che, con l’avanzare dell’età, la galassia subisce numerosi cambiamenti interni e «può entrare in collisione con le altre. Questi eventi disturbano i movimenti delle stelle» provocando una graduale ma inesorabile alterazione della forma originale della galassia stessa.
Nicholas Scott, scienziato presso l’Università di Sydney per il progetto Astro 3D, ha misurato l’età delle galassie basandosi sul colore delle stelle: «Le giovani stelle blu invecchiano e diventano rosse. Quando abbiamo messo a confronto la disposizione delle stelle e la forma schiacciata della galassia, è saltata fuori la relazione con l’età. Le galassie che hanno la stessa forma sferica schiacciata hanno stelle della stessa età».
«Questa è la prima volta che mostriamo come la forma e l’età sia correlate per tutti i tipi di galassie, non solo quelle più estreme», conclude Van de Sande. «Qualunque sia la forma, l’età o la massa».
Concludiamo il mese di aprile con una bella congiunzione tra la Luna Piena che avvicinerà, a circa 3,2°, il pianeta Giove (mag. –2,5).
A 4° di distanza dalla Luna si troverà anche la stella Zubeneschamali (mag. +2,6), la stella beta della costellazione della Bilancia, teatro di questo incontro celeste. A 4° da Giove invece troveremo la stella alfa della costellazione, Zubenelgenubi (mag. +2,8).
L’orario indicato consentirà di fotografare l’incontro nel contesto del paesaggio, includendo elementi architettonici o naturali che ci circondano, ma sarà ovviamente possibile seguire la congiunzione anche nelle successive ore della notte, quando il quartetto celeste guadagnerà via via altezza sull’orizzonte.
Vista la fase di Luna Piena ricordiamo anche le varie rubriche dedicate alla ripresa della Luna nel paesaggio e… del paesaggio illuminato dalla Luna:
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
Un’opportunità unica per vivere cinque giorni tra attività nei laboratori interattivi, visite alle collezioni, divertenti giochi di gruppo e affascinanti racconti per scoprire quanta scienza e tecnologia si nascondono nella vita di tutti i giorni. Vengono proposti due nuovi temi che si alternano nelle settimane. I bambini potranno sperimentare trucchi di magia, scoprire i segreti della chimica e creare illusioni ottiche. Ispirandosi alle esposizioni del Museo saranno accompagnati a vivere da protagonisti un’esperienza straordinaria su Marte, diventare supereroi, costruire UFO e sfidare le leggi della fisica.
Magic Science Academy
Hai mai stupito qualcuno con la matematica? Quanta Scienza c’è nei trucchi di magia? Cinque giorni tra pozioni misteriose e intrugli sorprendenti immersi in una atmosfera incantevole. Scopriremo i trucchi dei prestigiatori, sveleremo i segreti della chimica e creeremo delle sorprendenti illusioni ottiche.
Astronauti, Esploratrici e Supereroi
Hai mai sognato di diventare un supereroe? Sei mai stato sul pianeta Marte? Vieni al Museo per vivere un’esperienza straordinaria e vestire i panni di personaggi sorprendenti. Scopriremo come usare un raggio laser, sfideremo le leggi della fisica e costruiremo oggetti volanti non identificati.
Le iscrizioni sono aperte da lunedì 16 aprile 2018 fino ad esaurimento posti, all’indirizzo di posta elettronica prenotazioni@museoscienza.it.
Tutte le informazioni su www.museoscienza.org/attivita/campus_estivi
La Nebulosa Testa di cavallo blu ha un aspetto molto diverso nella luce infrarossa. Nella luce visibile, la polvere interstellare disperde maggiormente la luce blu delle stelle e quindi la nebulosa appare blu, con la caratteristica forma di una testa di cavallo. Nella luce infrarossa, tuttavia, emerge un complesso labirinto di filamenti, caverne e bozzoli di polvere e gas incandescenti, rendendo difficile persino identificare la forma equina. Questa immagine in primo piano della nebulosa è stata creata in tre colori della banda infrarossa (R = 22 micrometri, G = 12 micrometri, B = 4,6 micrometri) partendo dai dati rilevati dalla sonda spaziale Wise (Wide Field Infrared Survey Explorer) della Nasa, in orbita dal 2009. La nebulosa è catalogata come Ic 4592 e si estende per circa 40 anni luce nella costellazione dello Scorpione, lungo il piano della nostra Via Lattea a circa 400 anni luce di distanza. Ic 4592 è più debole della più conosciuta Nebulosa Testa di cavallo di Orione ma copre una regione angolarmente più grande. La stella che prevalentemente illumina e riscalda la polvere presente nella nebulosa si chiama Nu Scorpii, ed è la stella gialla visibile a sinistra rispetto al centro dell’immagine.
L’immagine, Astronomy Picture of the Day (Apod) della Nasa, è stata elaborata da Francesco Antonucci, astroimager amatoriale di lunghissima data, che conta già una decina di Apod assegnate negli ultimi anni, al quale abbiamo fatto qualche domanda.
Antonucci, è soddisfatto del premio?
«L’Apod non è un premio bensì un riconoscimento, che viene dato ogni giorno a un’immagine dello spazio profondo, o anche semplicemente a fenomeni atmosferici e simili, per contenuti o processo elaborativo. Per quanto concerne il deep-sky può derivare da riprese proprie oppure da elaborazioni di materiale in archivi pubblici quali quelli della Nasa o del Subaru; questi dati sono a disposizione di tutti e coloro che hanno familiarità con dati raw di questo tipo hanno la possibilità di assemblare mosaici e trarne un’immagine finale da divulgare».
Può dirci come ha ottenuto l’immagine proposta oggi sul sito della Nasa?
«Si tratta di materiale tratto dall’archivio Wise Irsa della Nasa, ovvero l’archivio di una tipologia di riprese infrarosse. I canali di frequenza utilizzati sono W2:W3:W4 ovvero 4.6, 12 e 22 micron. I dati in queste frequenze assemblati da me in un grande mosaico sono stati utilizzati per quello che in gergo si usa definire mapped color ovvero ‘colore mappato’, ponendo l’informazione monocromatica alle varie frequenze nella composizione standard R:G:B che quindi diventerà W4:W3:W2. La specializzazione estrema di questi canali restituisce la visione del soggetto in colore mappato che normalmente ha come scopo quello di enfatizzare enormemente la visibilità delle strutture nebulari fortemente distinte in colorazione e variegazione».
Eccoci all’incontro più stretto per questo mese, riservato allo splendente Venere e alle belle “Sette Sorelle” che costituiscono l’ammasso delle Pleiadi (M 45).
La regione celeste è quella della costellazione del Toro: potremo osservare l’incontro (con i due soggetti che si troveranno a circa 3,6° di distanza reciproca) alle ore 21:00 del 24 aprile, guardando verso ovest.
A quell’ora il cielo sarà abbastanza buio per vedere l’ammasso risplendere, e riprenderlo assieme a Venere nella cornice del paesaggio, ma bisognerà agire velocemente, perché la loro altezza di poco più di 10° all’ora indicata è destinata a ridursi velocemente. Nel giro di un’ora saranno tramontati, ma già è pronto un nuovo spettacolo alzando gli occhi verso sud-sudovest…
Non perdete ovviamente i consigli di Giorgia Hofer per l’evento del mese:
Dopo aver assistito alla bella congiunzione tra Venere e le Pleiadi (vedi appuntamento precedente), potremo ammirare un’altra bella congiunzione, questa volta piuttosto stretta. I protagonisti saranno Regolo (mag. +1,4), la stella alfa della costellazione del Leone, e la Luna (fase 72%).
In questo periodo il Leone dominerà il cielo, con la sua inconfondibile sagoma a forma di trapezio, e sarà quindi facile da individuare nel cielo, soprattutto in occasione di questa congiunzione quando il nostro satellite naturale si avvicinerà alla stella raggiungendo laminima distanza, alle 23:05, di circa 35′ (dal centro della Luna, 19′ dal bordo), formando una affascinante coppia celeste. Basterà dirigere il nostro sguardo verso sud, a una altezza di ben 51° sull’orizzonte.
Potrete poi proseguire con le osservazioni delle formazioni lunari seguendo i consigli di Francesco Badalotti:
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Incontro a San Vigilio di Marebbe tra ricercatori, scienziati e tecnologi per discutere degli effetti dell’inquinamento luminoso sull’uomo e sull’ecosistema e la promozione dei primi “Parchi delle Stelle” in ambito nazionale
“Le persone delle generazioni future hanno diritto a una Terra indenne e non contaminata, includendo il diritto a un cielo puro”
UNESCO, Dichiarazione Universale dei Diritti delle Generazioni Future
L’International Dark Sky Week, (Settimana Internazionale del Cielo Buio), è un evento mondiale che ogni anno si tiene ad aprile: quest’anno le celebrazioni iniziano domenica 15 aprile e durano fino a sabato 21 aprile e richiamano l’attenzione sui problemi associati all’inquinamento luminoso e promuovono soluzioni semplici disponibili per mitigarne gli effetti.
È in questa cornice di eventi che si celebrano, in molti luoghi del mondo al fine di valorizzarli, il buio naturale dei (pochi) cieli stellati ancora incontaminati.
Gli organizzatori dell’incontro/workshop di San Vigilio di Marebbe intendono discutere delle numerose problematiche legate alla salvaguardia delle straordinarie bellezze dei parchi naturali in generale, e di quelli dell’Alto Adige in particolare.
In discussione il Dark Noctis Project, un progetto di ricerca e di protezione ambientale proposto da associazioni locali e nazionali per la sperimentazione in località altoatesine, che ha i seguenti principali obiettivi: monitorare sia l’inquinamento luminoso sia la qualità scientifico/astronomica dell’atmosfera; studiare gli effetti dell’inquinamento luminoso sull’ecosistema; proporre la creazioni di “Parchi delle stelle” e procedere alla loro valorizzazione ambientale e turistica e, infine, progettare, ottimizzare e sperimentare sorgenti luminose, per l’illuminazione pubblica, a basso costo e a ridotto impatto ambientale.
Un progetto di largo respiro, multidisciplinare, che ha stimolato l’interesse di ricercatori di Università italiane, austriache e tedesche, nonché il CNR (Istituto di Biometeorologia) e alcuni Osservatori astronomici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, oltre ad aziende specializzate tutti riuniti a San Vigilio di Marebbe, nella sede del Centro Visite del Parco Naturale di Fanes-Senes-Braies, il 21 e 22 aprile.
Dal suo lancio, il 24 aprile 1990, il Telescopio Spaziale Hubble della NASA / ESA ha rivoluzionato quasi ogni area dell’astronomia osservativa. Ha offerto una nuova visione dell’Universo e ha raggiunto e superato tutte le aspettative per un periodo di ben 28 anni. Per celebrare l’eredità della missione di Hubble e la lunga partnership internazionale che la rende possibile, ogni anno l’ESA e la NASA celebrano il compleanno del telescopio con una nuova spettacolare immagine. L’immagine dell’anniversario di quest’anno presenta un oggetto che è già stato osservato diverse volte in passato: la Nebulosa Laguna.
La Nebulosa Laguna è un oggetto colossale di 55 anni luce e alto 20 anni luce. Pur trovandosi a circa 4000 anni luce dalla Terra, appare nel cielo tre volte più grande della Luna Piena. Se poi avete a disposizione cieli bui e trasparenti, è anche visibile a occhio nudo. Essendo relativamente così grande, Hubble è in grado di catturare solo una piccola parte per volta della sua superficie totale, ma ci mostra in ogni caso dettagli sorprendenti!
Questa splendida nebulosa fu catalogata per la prima volta nel 1654 dall’astronomo italiano Giovanni Battista Hodierna, che decise di catalogare gli oggetti nebulosi nel cielo notturno perché non fossero scambiati per comete. Osservando questo ritaglio della nebulosa, può non essere chiaro il motivo del nome, ma allargando il campo di visuale non si può non distinguere l’ampia corsia di polvere a forma di laguna che attraversa il gas incandescente della nebulosa. In questa nuova immagine ci troviamo nel cuore di questa laguna…
Come molti vivai stellari, la nebulosa vanta molte stelle grandi e calde. La loro radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante, facendolo splendere luminoso e scolpendolo in forme che appaiono spettrali e ultraterrene. La stella luminosa incastonata nelle nuvole scure al centro dell’immagine è Herschel 36. La sua radiazione scolpisce la nube circostante soffiando via parte del gas, creando regioni più o meno dense.
Tra le sculture create da Herschel 36 ci sono due tornadi interstellari – inquietanti strutture a corda lunghe quasi mezzo anno luce. Somigliano ai loro omonimi terrestri non solo per la forma, si pensa infatti che siano avvolti in questa forma ad imbuto a causa delle differenze di temperatura tra le calde superfici (dove i gas sono più compressi) e il più freddo interno delle nubi interstellari. Prima o poi nel futuro queste nubi collasseranno sotto il loro stesso peso e daranno vita a una nuova generazione di stelle.
Hubble ha osservato la Nebulosa Laguna non solo in luce visibile ma anche nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Mentre le prime consentono agli astronomi di studiare il gas in tutti i suoi dettagli, la luce infrarossa penetra le zone oscure di polvere e gas, rivelando le complesse strutture al di sotto e le giovani stelle nascoste al suo interno.
Solo combinando dati ottici e infrarossi è possibile dipingere un quadro completo dei processi in atto nella nebulosa.
Di seguito tutte le versioni di questa incredibile nebulosa ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel tempo.
Ad aprile due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).
Da lunedì 23 aprile: Corso di ArcheoAstronomia. Corso di Archeoastronomia ed Astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.
Da giovedì 26 aprile: Corso avanzato. 8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.
Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.
Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto. Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!
GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni:2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30 Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30 ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica
Dopo un ultimo ritardo di 48 ore per problemi al razzo vettore, questa notte alle 00:51 ora italiana, il Falcon 9 della Space X è partito con successo dallo Space Launch Complex 40 della Air Force di Cape Canaveral in Florida, con a bordo il suo prezioso carico, il nuovo cercatore di pianeti extrasolari della NASA TESS.
All’1:53 i due pannelli solari gemelli che alimenteranno la sonda si sono aperti con successo.
«Siamo elettrizzati all’idea che TESS sia sulla buona strada per aiutarci a scoprire mondi che dobbiamo ancora immaginare, mondi che potrebbero essere abitabili o ospitare già la vita», ha dichiarato Thomas Zurbuchen, amministratore associato del consiglio direttivo delle missione scientifiche della NASA a Washington. «Con missioni come il James Webb Space Telescope, che ci aiuterà a studiare in dettaglio questi pianeti, siamo sempre più vicini a scoprire se siamo soli nell’universo».
Nel corso di diverse settimane, TESS userà sei volte il propulsore per spostarsi in una serie di orbite sempre più allungate per raggiungere la Luna, dalla quale avrà un aiuto gravitazionale per potersi trasferire nella sua defintiva orbita scientifica di 13,7 giorni attorno alla Terra. Dopo altri 60 giorni circa di check-out e test della strumentazione a bordo, TESS sarà pronto per iniziare il suo lavoro.
«Un elemento fondamentale per il ritorno scientifico di TESS è l’elevata velocità di trasmissione dati associata alla sua orbita», spiega George Ricker, Principal Investigator di TESS presso il Kavli Institute for Astrophysics and Space Research Kavli al MIT. «Ogni volta che la sonda passa vicino alla Terra, trasmetterà immagini full frame scattate con le camere a bordo. Questa è una delle particolarità di TESS, che era mai stato possibile fare prima».
I cittadini scienziati (ovvero chiunque abbia voglia di cimentarsi con questo tipo di ricerca dal proprio computer di casa) sono invitati a esaminare i dati della missione K2 di Kepler, per scoprire eventuali esopianeti in transito. Un lavoro di questo tipo, decisamente certosino, permetterà ai ricercatori professionisti di misurare i tassi di occorrenza dei diversi tipi di pianeti in orbita attorno diversi tipi di stelle.
Si potrà aiutare a rispondere a domande tipo: i piccoli pianeti (della taglia di Venere) sono più comuni di quelli grandi (tipo Saturno)? I pianeti a breve periodo (come Mercurio) sono più comuni di quelli su orbite lunghe (come Marte)? Abbiamo più possibilità di trovare pianeti attorno a stelle come il Sole o attorno alle “nane rosse” più fredde e piccole ma anche più numerose?
Si tratta quindi di controllare e vagliare le numerose curve di luce raccolte da Kepler, alla ricerca di quei cali di luminosità che possono indicare la presenza di un pianeta in transito davanti alla sua stella. Aderendo al progetto si verrà guidati passo passo, prima con qualche semplice accenno alla teoria e poi nella ricerca vera e propria. Ovviamente sarà necessaria la conoscenza dell’inglese, ma niente di troppo complesso in realtà.
Ma i progetti di citizen science della NASA non sono gli unici che permetto agli appassionati di partecipare alla ricerca di pianeti extrasolari. Sono tante le occasioni per mettere alla prova la propria strumentazione amatorale, magari non da principianti, ma per astrofili più esperti… ma si deve sempre inziare da qualche parte, no? Una trattazione diffusa dello stato della ricerca amatoriale oggi di pianeti extrasolari e delle opportunità a disposizione la trovate in un lungo e completo articolo di Rodolfo Calanca, sui numeri 220 e 221 di Coelum Astronomia (come sempre in formato digitale e gratuito).
Quando cominceranno ad arrivare i dati da TESS, non è da escludere che anche quelli verranno messi a disposizione della comunità per permettere agli appassionati di affiancarsi alla ricerca porfessionale.
«Gli oggetti che TESS individuerà saranno materiale fantastico per la ricerca per i decenni a venire», ha affermato Stephen Rinehart, del team di missione TESS presso il Goddard Space Flight Center della NASA. «È l’inizio di una nuova era della ricerca sui pianeti extrasolari».
Ad aprile due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).
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Nonostante la materia oscura rappresenti la maggior parte della massa dell’universo, continua ancora oggi a essere sfuggente. A seconda delle sue proprietà, potrebbe trovarsi densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita in modo regolare su scale più grandi. Confrontando la distribuzione della materia oscura nelle galassie con quella prevista da modelli dettagliati, i ricercatori sono in grado di confermare o escludere i vari possibili candidati della materia oscura. In questo contesto, un team di ricercatori dell’Università del Surrey e dell’Università di Edimburgo – guidato dall’astrofisico Filippo Contenta, originario di Frascati – hanno sviluppato un nuovo metodo per misurare la quantità di materia oscura al centro di piccole galassie nane. I risultati sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
I vincoli più restrittivi sulla materia oscura provengono dalle galassie più piccole dell’universo, le galassie nane. La più piccola di queste galassie contiene solo poche migliaia o decine di migliaia di stelle, rientrando nella categoria delle cosiddette nane “ultra-deboli”. Queste minuscole galassie, trovate in orbita vicino alla Via Lattea, sono costituite quasi interamente da materia oscura. La mappatura della distribuzione della materia oscura in queste minuscole galassie potrebbe fornire nuove ed eccitanti informazioni sulla sua natura. Tuttavia, essendo completamente prive di gas e avendo pochissime stelle, fino a poco tempo fa non esisteva un metodo praticabile per effettuare questa misurazione.
La chiave del metodo sviluppato all’Università del Surrey per calcolare la densità della materia oscura all’interno delle galassie nane – comprese quelle che non hanno gas e sono costituite da pochissime stelle – consiste nell’utilizzare uno o più densiammassi stellari in orbita vicino al centro della galassia stessa.
Gli ammassi stellari sono gruppi di stelle gravitazionalmente legate che orbitano all’interno delle galassie. A differenza delle galassie, gli ammassi stellari sono così densi che le loro stelle si sparpagliano a causa dell’attrazione gravitazionale reciproca, e questa dispersione porta ad una lenta espansione dell’ammasso stesso. I ricercatori coinvolti nello studio pubblicato su Mnras si sono resi conto che la velocità di questa espansione dipende dal campo gravitazionale in cui orbita l’ammasso stellare e quindi dalla distribuzione della materia oscura nella galassia ospite. Il gruppo di ricerca si è servito di diverse simulazioni al computer per mostrare come la struttura degli ammassi stellari sia sensibile al fatto che la materia oscura sia densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita più uniformemente. Successivamente, ha applicato il proprio metodo alla galassia nana “ultra-debole” scoperta di recente, Eridanus II, trovando molta meno materia oscura nel suo centro di quanto molti modelli avrebbero previsto.
Per capire meglio i risultati presentati nello studio e le loro implicazioni, abbiamo intervistato il primo autore, Filippo Contenta, dell’Università del Surrey.
Il metodo che avete sviluppato consiste nell’utilizzare gli ammassi stellari in orbita attorno al centro delle galassie nane per mappare la materia oscura presente nelle galassie stesse. In che modo riuscite a farlo?
«Abbiamo utilizzato più di 200 simulazioni di ammassi stellari e abbiamo visto se queste simulazioni potessero riprodurre l’ammasso osservato. Dalle osservazioni è possibile derivare la massa totale della galassia Eridanus II e da qui abbiamo assunto il profilo di densità della materia oscura, ossia come è distribuita la materia oscura all’interno della galassia. Dalle simulazioni di galassie è possibile vedere come la materia oscura è distribuita nelle galassie, tuttavia dalle osservazioni risulta che nel centro di alcune, o molte, galassie c’è meno materia oscura di quanto aspettato. Quindi noi, nelle nostre simulazioni, abbiamo usato due galassie: una con la materia oscura distribuita come previsto dalle simulazioni e l’altra con meno materia oscura al centro. Provando diverse condizioni iniziali per l’ammasso di stelle abbiamo visto quale degli ammassi simulati riusciva a riprodurre quello osservato, arrivando alla conclusione che era possibile riprodurre l’ammasso osservato avendo meno materia oscura al centro della galassia».
Come è nata l’intuizione di servirsi degli ammassi stellari in questo modo?
«Hénon nel 1961, studiando gli ammassi stellari, aveva notato che questi sistemi raggiungono una fase di “equilibrio” dove la dimensione dell’ammasso dipende da quanto è forte il campo mareale della galassia. In particolare, Hénon trovò che il rapporto tra il raggio entro il quale è racchiusa metà massa (raggio di metà messa) dell’ammasso e il raggio mareale dell’ammasso è all’incirca costante. Il raggio mareale dell’ammasso è quel raggio entro il quale una stella dell’ammasso è influenzata maggiormente dalla forza gravitazione delle stelle nell’ammasso; appena la stella esce da questo raggio/volume allora il suo moto sarà dominato dalla forza gravitazionale della galassia. Il raggio mareale dell’ammasso dipende sia dall’ammasso che dalla galassia. Per esempio, se studiamo lo stesso ammasso in due galassie diverse, questi ammassi avranno un raggio mareale diverso. Il raggio mareale dipende da quanto è massiccia la galassia e da come è distribuita la massa all’interno della galassia stessa. Da questo si può capire che se abbiamo lo stesso ammasso nel centro di due galassie con diverse quantità di materia (in questo caso materia oscura) otterremo un campo mareale diverso. Quindi, se il rapporto tra il raggio di metà massa e il raggio mareale deve rimanere costante allora avremo un diverso raggio di metà massa.
Inoltre, dal 1998 già diversi autori (Hernandez & Gilmore 1998; Goerdt et al. 2006; Sanchez-Salcedo, Reyes-Iturbide & Hernandez 2006) avevano proposto di usare gli ammassi stellari per trovare la distribuzione di materia oscura nel centro delle galassie nane. Questo è stato fatto per la galassia nana della Fornace, per la quale è stato studiato come il moto e la sopravvivenza di questi ammassi stellari dipenda dalla quantità e distribuzione della materia oscura.
Di diverso, rispetto a questi autori, nel nostro caso non solo guardiamo se l’ammasso sopravvive o meno e alla sua posizione, ma studiamo anche le dimensioni (raggio di metà massa) dell’ammasso e come queste sono distribuite all’interno le sue stelle. Queste due ultime proprietà sono molto importanti perché, come trovato da Hénon, dipendono dalla distribuzione di materia oscura».
Dalla mappatura della materia oscura, come riuscite a dedurre informazioni sulla sua natura?
«Attraverso conti teorici e simulazioni cosmologiche (simulazione dell’universo), si è visto che un diverso tipo di materia oscura porta alla formazione di diversi tipi di strutture, dove per strutture si intende diversi tipi di galassie e ammassi di galassie. Abbiamo scelto proprio Eridanus II perché è una delle galassie nane meno massicce mai osservate. Dalle ultime simulazioni cosmologiche (fatte da diversi gruppi) che utilizzano il modello di Cold Dark Matter(Cdm) per la materia oscura, si è visto che tutte le galassie grandi quanto Eridanus II non hanno questa “mancanza” di materia oscura. Quindi la nostra conclusione è che o abbiamo bisogno di un altro modello di materia oscura oppure la nostra idea di formazione ed evoluzione delle galassie non è corretta».
Su quante galassie nane avete usato il vostro nuovo metodo e su quante altre galassie contate di usarlo? Sono tutte galassie vicine alla Via Lattea? Quanto lontano ci si può spingere nell’indagine?
«Al momento questo studio è stato fatto solo per la galassia nana Eridanus II, tuttavia altri ammassi stellari sono stati osservati in prossimità del centro di altre galassie nane. Quindi è possibile applicare questo metodo ad altre galassie. Diciamo che il termine “vicino” è relativo. Ci sono un paio di galassie nane nella galassia di Andromeda (2.5 milioni di anni luce) e la galassia nana irregolare di Pegaso(4 milioni di anni luce) che hanno un ammasso stellare in orbita attorno al centro; ovviamente dipende dal telescopio/satellite che è possibile usare. Negli ultimi anni le osservazioni e la ricerca di galassie nane è aumentata proprio perché queste possono avere un ruolo importante per capire e trovare la natura della materia oscura».
Questo metodo potrebbe essere utilizzato anche in galassie diverse da quelle oggetto dello studio pubblicato, tipo la nostra?
«Questo metodo può essere utilizzato in diverse galassie, tuttavia applicarlo a galassie più grandi come la nostra sarebbe troppo complicato. La nostra galassia è una galassia spirale barrata quindi è estremamente complicata, mentre Eridanus II è una delle galassie nane meno massicce mai osservate, che contiene poco o no gas. Quindi ci sono pochi altri fattori che possono giocare un ruolo importante per l’evoluzione dell’ammasso stellare. Inoltre nelle galassie più massicce ci sono altri metodi per stimare come è distribuita la materia oscura, per esempio si osserva la velocità di rotazione del gas nel disco o dal moto delle stelle nella galassia. Il nostro metodo è particolarmente utile non solo come metodo alternativo per studiare la materia oscura nella galassie, ma anche perché ci sono galassie nane che non hanno gas e/o sono troppe lontane per studiare il moto delle stelle».
Dai risultati ottenuti su Eridanus II, cosa siete riusciti a dedurre sulla natura della dark matter?
«Nel nostro studio abbiamo trovato che c’è meno materia oscura al centro di quanto aspettato dal modello di Cdm, tuttavia questa mancanza può essere spiegata utilizzando altri modelli di materia oscura. Dire quale modello sia corretto è estremamente complicato. Quello che al momento si sta facendo nella comunità scientifica è trovare quale modello possa riprodurre tutte le osservazioni, ma per il momento non si riesce a trovare un modello che funziona sempre; anche perché la nostra conoscenza riguardo l’universo ed anche solo l’evoluzione di galassie è estremamente limitata».
Continua l’avvicinamento di Venere alle Pleiadi, sotto l’occhio attento della Luna. Non stiamo parlando infatti di una vera e propria congiunzione, ma di un ampio avvicinamento (con distanze sui 10°) tra diversi corpi celesti che, la sera del 18 aprile, alle ore 21:00 circa, si riuniranno per creare uno spettacolo davvero suggestivo.
Iniziamo col dire che il luogo dell’incontro è il fantastico scenario offerto dalla regione celeste della costellazione del Toro. Guardando verso ovest, non troppo in alto rispetto all’orizzonte, potremo vedere l’inconfondibile sagoma della costellazione che si tuffa ormai sotto l’orizzonte, portando con sé le “sette sorelle” dell’ammasso delle Pleiadi (M 45) e l’ammasso aperto delle Iadi, dominato dalla rossa Aldebaran (mag. +0,85). In questa spettacolare scenografia, gli attori che si aggiungeranno alla scena saranno la Luna, una sottile falce (fase del 9%), di cui si potrà ammirare anche la luce cinerea, e il brillantissimo pianeta Venere, molto più in basso, rasente l’orizzonte all’orario indicato.
La composizione è dunque davvero suggestiva e si consiglia di scattare delle fotografie ad ampio campo in grado di riprendere non solo tutti i soggetti celesti, ma anche gli elementi del paesaggio circostante.
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L’Unione astronomica internazionale (Iau), l’autorità riconosciuta a livello internazionale per assegnare i nomi a stelle, pianeti, asteroidi e altri corpi celesti, nonché alle loro caratteristiche morfologiche superficiali, ha recentemente approvato una dozzina di nomi proposti dal team della missione New Horizons della Nasa, che nel 2015 ha condotto la prima ricognizione di Plutone e delle sue lune, tra cui Caronte.
Caronte è uno dei corpi più grandi nella fascia di Kuiper e presenta una grande varietà di caratteristiche geologiche, tra cui valli, crepacci e una moltitudine di crateri simili a quelli visti sulla maggior parte delle lune. Il team di New Horizons è stato determinante nel definire i nomi delle morfologie presenti sulla superficie di Caronte, attraverso l’approvazione che ha visto partecipi Alan Stern, il leader della missione New Horizons, e i membri del team scientifico Mark Showalter, Ross Beyer, Will Grundy, William McKinnon, Jeff Moore, Cathy Olkin, Paul Schenk e Amanda Zangari. La maggior parte delle idee sono state raccolte dal team durante la campagna Our Pluto on-line nel 2015, tramite la quale persone di tutto il mondo hanno potuto proporre le loro idee e contribuire a nominare le diverse morfologie di Caronte.
Molti dei nomi assegnati rendono omaggio allo spirito dell’esplorazione umana, onorando viaggiatori, esploratori e scienziati, viaggi pionieristici e destinazioni misteriose. Rita Schulz, presidente del gruppo di lavoro dell’Iau per la nomenclatura dei sistemi planetari, ha così commentato la scelta dei nomi assegnati: «Sono lieta che le caratteristiche di Caronte siano state nominate con spirito internazionale».
Ecco i nomi assegnati alle diverse morfologie di Caronte:
Argo Chasma: prende il nome dalla nave Argo che conduce gli Argonauti, sotto la guida di Giasone, nelle ostili terre della Colchide, alla riconquista del vello d’oro.
Butler Mons: in onore di Octavia E. Butler, la prima scrittrice di fantascienza a vincere una borsa di studio MacArthur, la cui trilogia della xenogenesi descrive la partenza dell’umanità dalla Terra e il successivo ritorno.
Caleuche Chasma: prende il nome dalla mitologica nave fantasma che percorre i mari intorno alla piccola isola di Chiloé, al largo delle coste del Cile. Secondo la leggenda, il Caleuche esplora le coste raccogliendo i morti, che poi rimangono a bordo della nave per sempre.
Clarke Montes: in onore di Sir Arthur C. Clarke, autore di fantascienza e inventore britannico, i cui romanzi e racconti (tra cui 2001: Odissea nello spazio) sono rappresentazioni fantastiche dell’esplorazione dello spazio.
Dorothy Crater: in onore della protagonista della serie di romanzi per bambini di L. Frank Baum, Dorothy Gale, che si è avventurata nel magico mondo di Oz.
Kubrick Mons: in onore del regista Stanley Kubrick, il cui iconico 2001: Odissea nello spazioracconta la storia dell’evoluzione dell’umanità, dai primi ominidi che usavano rudimentali strumenti agli esploratori dello spazio.
Mandjet Chasma: prende il nome da una delle barche della mitologia egiziana che trasportava Ra, il dio del sole, attraverso il cielo ogni giorno, rendendola di fatto uno dei primi esempi mitologici di nave spaziale.
Nasreddin Crater: chiamato così in onore del protagonista di migliaia di racconti popolari umoristici raccontati in tutto il Medio Oriente, Europa meridionale e parti dell’Asia.
Nemo Crater: prende il nome dal capitano del Nautilus, il sottomarino dei romanzi di Jules Verne Ventimila Leghe sotto i mari (1870) e L’isola misteriosa (1874).
Pirx Crater: prende il nome dal personaggio principale di una serie di racconti di Stanislaw Lem, (scrittore polacco che coniugò il genere della fantascienza con il romanzo filosofico) che viaggia tra la Terra, la Luna e Marte.
Revati Crater: prende il nome dal personaggio principale del racconto epico indù Mahabharata, considerato il primo racconto nella storia (circa 400 a.C.) ad includere il concetto di viaggio nel tempo.
Sadko Crater: in onore dell’avventuriero che ha viaggiato fino in fondo al mare nell’epica medievale russa Bylina.
Durante la prima serata del 17 aprile, infatti, potremo assistere a una ampia, ma comunque affascinante, congiunzione tra una sottilissima falce di Luna (fase del 4%) con il brillante pianeta Venere (mag. –3,9). I due astri si troveranno a una distanza di circa 6,3°.
Spostando lo sguardo più in alto, potremo vedere l’ammasso delle Pleiadi.
Un appuntamento da non perdere, dalla durata limitata, visto che la Luna tramonterà ben presto, entro le 21:45.
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Dopo lo straordinario lavoro di Kepler, avviato alla pensione, grazie al quale dal 2009 sono stati individuati oltre 5000 pianeti extrasolari, il testimone passerà a TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), il cui compito sarà, proprio come per il suo predecessore, quello di segnalare nuovi candidati pianeti da confermare poi con ulteriori studi e dati da altri telescopi. Quello che ci si aspetta è che nell’arco dei prossimi due anni ne individui fino a 20.000!
TESS si concentrerà su stelle vicine e luminose, in modo da facilitare il compito a telescopi che, dallo spazio e da terra, dovranno poi confermare o smentire la natura planetaria dei candidati individuati. Sempre parlando di aspettative e probabilità, ci si aspetta che tra questi ventimila candidati almeno 500 siano di taglia confrontabile al nostro pianeta (entro il doppio delle dimensioni della Terra), e che quindi possano essere buoni candidati anche per la ricerca di forme di vita.
Il nuovo cacciatore di esopianeti è pronto quindi a partire, dal 16 aprile, dallo Space Launch Complex 40a di Cape Canaveral (in Florida) a bordo del razzo SpaceX Falcon 9. Una volta nello spazio, TESS percorrerà un’orbita elittica particolare attorno a Terra e Luna. Inserito nella sua orbita finale, sarà infatti in grado di utilizzare la gravità della Luna per stabilizzarsi per decenni nella sua orbita senza usare carburante extra. La missione è nominalmente destinata a durare due anni, ma potrebbe continuare a ricevere dati quasi indefinitamente!
Ci vorranno alcuni mesi prima che TESS entri nella sua orbita operativa e inizi a raccogliere dati, ma a quel punto avrà a disposizione un punto di vista privilegiato che le consentirà di osservare fino all’85% del cielo, quasi 350 volte il cielo a disposizione di Kepler. Coprirà ben 26 diversi settori ognuno di 24 x 96 gradi. Le potenti camere a bordo avranno 27 giorni per coprire ogni settore, al ritmo di due brillanti stelle al minuto.
Come dicevamo, più luminosa è la stella, più facile è determinare le caratteristiche dei suoi pianeti, come la sua massa o se ha un’atmosfera, usando un’analogia l’astronoma del MIT Sara Seager spiega: «I fotoni sono la nostra moneta – più se ne ha, meglio è!».
E in effetti è così… Uno dei problemi che ha dovuto affrontare Kepler, infatti, è il fatto che alcune delle stelle studiate erano così lontane e così flebili che l’unico modo per confermare alcuni dei candidati da lui individuati è stato attraverso tecniche statistiche, più che da osservazioni dirette fatte da altri telescopi, e quindi con alti margini di errore. Molti di quei pianeti potrebbero, a un’esame più approfondito, non essere più considerati tali. Un recente articolo pubblicato su arXiv.org ha mostrato, ad esempio, che Kepler 452b, un pianeta di dimensioni terrestri che orbita attorno a una stella simile al Sole, alla stessa distanza della Terra, potrebbe rivelarsi solo un miraggio.
Ma la maggiorparte delle stelle considerate da Kepler si trovavano a più di 1000 anni luce di distanza, per questo TESS si concentrerà invece su un campione di 200 mila stelle ad al massimo poche centinaia di anni luce da noi, e con una luminosità compresa tra le 30 e le 100 volte più alta di quelle osservate da Kepler.
Al di là del campione che andrà ad indagare, il modo in cui TESS cercherà gli esopianeti è lo stesso di Kepler, come dice anche il nome: il metodo dei transiti, ovvero il satellite osserverà le stelle cercando cali nelle curve di luce, che potrebbero indicare il transito di un pianeta di fronte alla stella. La misura di questi cali di luminosità può dare ai ricercatori un’idea delle dimensioni del pianeta.
Una volta individuato, gli astronomi avranno bisogno di più informazioni per comprenderne le caratteristiche, ad esempio se è roccioso o gassoso, e per fare questo servirà l’uso di altri strumenti. I telescopi terrestri misureranno l’effetto gravitazionale di un pianeta sulla sua stella ospite, ad esempio, per misurarne la densità, sperando di individuare pianeti di dimensioni minori a quelle di Nettuno e di natura rocciosa, potenzialmente quindi abitabili.
Per analizzarne poi le atmosfere, e cercare molecole che possano suggerire la presenza di vita, sarà invece necessario attendere il telescopio spaziale della NASA James Webb, al momento previsto per il lancio nel 2020, sperando non intervengano ulteriori problemi.
Viste le potenzialità di TESS, ci sia aspetta quindi che la sua missione venga estesa numerose volte. Il lavoro di TESS non dipende da nulla che possa consumarsi nel tempo (come il carburante) e, come conclude Ricker: «Sarà sostanzialmente limitato da quanto a lungo la NASA avrà la pazienza di finanziare la missione».
La NASA seguirà il lancio del satellite come sempre con un nutrito programma di interventi e conferenze in streaming su NASA TV, a partire dal giorno precedente al lancio. Per maggiori informazioni sulla missione e seguirne i prossimi passi:
La “pizza” che potete ammirare qui sopra è stata sfornata ieri durante l’assemblea generale della European Geosciences Union, in corso a Vienna. Gli ingredienti sono i dati ottenuti dallo strumento Jiram – il Jovian InfraRed Auroral Mapper a bordo della sonda Juno – su cicloni e anticicloni che tempestano in formazione stretta i poli di Giove, recentemente svelati da una collaborazione internazionale a guida italiana. La novità è che, con quegli ingredienti, è stata preparata un’animazione tridimensionale che ci permette di sorvolare il polo nord gioviano. Se solo potessimo vederlo in infrarosso, come effettivamente fa Jiram.
L’osservazione nella banda infrarossa dello spettro elettromagnetico permette a Jiram di sondare in profondità gli strati atmosferici del gigante gassoso, fino a 70 chilometri sotto la superficie. Questo permette agli scienziati di comprendere le forze che tengono in movimento il ciclone centrale e gli otto circumpolari che lo circondano, dal diametro di oltre 4000 chilometri.
«Prima di Juno, potevamo solo immaginare come apparissero i poli di Giove», ha commentato Alberto Adriani dell’Istituto nazionale di astrofisica di Roma, responsabile scientifico di Jiram. «Volando sopra i poli a distanza ravvicinata, Juno ha ora permesso la raccolta di immagini nell’infrarosso sui modelli meteorologici polari di Giove con una risoluzione spaziale senza precedenti».
Nell’animazione tridimensionale, le aree rappresentate in giallo sono più calde (o più in basso nell’atmosfera di Giove) e le aree scure sono più fredde (o più in alto). La temperatura più alta è 260 kelvin (circa -13°C) e la più bassa 190K (circa -83°C).
Sempre allo stesso consesso, Jack Connerney della Space Research Corporation statunitense ha svelato la ricetta dettagliata della dinamo gioviana, ovvero del motore che alimenta il campo magnetico del pianeta.
Connerney e colleghi hanno elaborato il nuovo modello di campo magnetico a partire da misurazioni effettuate durante otto orbite di Juno attorno a Giove, producendo una mappadel campo magnetico sia sulla superficie che nella regione sottostante, da cui si ritiene che la dinamo provenga. Poiché Giove è un gigante gassoso, la ‘superficie’ è definita dal raggio polare di Giove, che è pari a circa 71450 chilometri.
«Stiamo scoprendo che il campo magnetico di Giove è diverso da come precedentemente immaginato», ha detto Connerney. «Le osservazioni di Juno dell’ambiente magnetico di Giove rappresentano l’inizio di una nuova era negli studi di dinamo planetaria».
La nuova mappa rivela inaspettate irregolarità, come regioni di sorprendente intensità del campo magnetico e un’asimmetria tra emisfero settentrionale ed emisfero sud. Un piatto succulento per i ricercatori, che vogliono comprendere come quella che viene sinteticamente vista come una palla fluida in rotazione (Giove, per l’appunto) possa dare luogo a tutta questa varietà.
«Juno è solo a circa un terzo della sua missione programmata di mappatura e già stiamo cominciando a scoprire come funziona la dinamo di Giove», ha detto Connerney in conclusione. «Siamo davvero ansiosi di vedere i dati delle prossime orbite».
La sonda Juno ha percorso 200 milioni chilometri per completare 11 sorvoli ravvicinati da quando è entrata in orbita fortemente ellittica attorno a Giove, il 4 luglio 2016. Il prossimo passaggio con raccolta di dati scientifici è previsto per il 24 maggio.
Lo strumento SPHERE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile permette agli astronomi di sopprimere la luce brillante delle stelle vicine per fornire una miglior veduta delle regioni che le circondano. Questa raccolta di immagini di SPHERE è solo un esempio dell’ampia varietà di dischi di polvere che si trovano intorno a giovani stelle. Dischi sono molto diversi per dimensione e forma – alcuni contengono anelli brillanti, alcuni anelli scuri e altri assomigliano addirittura a un hamburger. Differiscono notevolemente nell’aspetto, ovviamente, anche a seconda della loro orientazione nel cielo – da circolari quando visti di faccia a dischi sottili quando osservati di taglio.
Lo scopo primario di SPHERE è di scoprire e studiare esopianeti giganti in orbita intorno a stelle vicine usando immagini dirette. Ma questo strumento è anche uno dei migliori strumenti esistenti per ottenere immagini dei dischi intorno a giovani stelle – regioni in cui i pianeti potrebbero essere ancora in formazione.
Studiare questi dischi è fondamentale per investigare il legame tra le proprietà del disco e la formazione e la presenza di pianeti. Molte delle giovani stelle mostrate qui provengono da un nuovo studio di stelle di tipo T Tauri, una classe di stelle molto giovani (meno di 10 milioni di anni) e di luminosità variabile. I dischi intorno a queste stelle contengono gas, polvere e planetesimi – i mattoni costitutivi dei pianeti e i progenitori dei sistemi planetari.
Le immagini mostrano anche come avrebbe potuto apparire il Sistema Solare nelle prime fasi della formazione, più di quattro miliardi di anni fa.
La maggior parte delle immagini mostrate qui sono state ottenute nell’ambito della survey DARTTS-S (Discs ARound T Tauri Stars with SPHERE). La distanza dalla Terra delle stelle bersaglio va da 230 a 550 anni luce. Per confronto, la dimensione della Via Lattea è di quasi 100 000 anni luce, perciò queste stelle sono, relativamente parlando, molto vicine alla Terra. Ma anche a questa distanza è molto difficoltoso ottenere buone immagini della debole luce riflessa dai dischi, poichè sommersi nella luce abbagliante delle stelle madri.
Un’altra osservazione di SPHERE ha portato alla scoperta di un disco visto di taglio intorno alla stella GSC 07396-00759, trovato dalla survey SHINE (SpHere INfrared survey for Exoplanets). Questa stella rossa è membro di un sistema multiplo incluso nel campione DARTTS-S ma, stranamente, questo nuovo disco sembra più evoluto rispetto ai dischi ricchi di gas intorno a una stella T Tauri nello stesso sistema, sebbene le due stelle abbiano la stessa età. Questa sconcertante differenza nei tempi scala dell’evoluzione dei dischi intorno a due stelle della stessa età è un altro motivo per cui gli astronomi vogliono scoprire di più sui dischi e sulle loro caratteristiche.
I nuovi risultati di SPHERE, insieme ai dati di altri telescopi come ALMA, stanno rivoluzionando la comprensione che gli astronomi hanno dell’ambiente intorno alle stelle giovani e dei complessi meccanismi della formazione planetaria.
Tutti ricordiamo l’attesa e l’eccitazione per l’arrivo su Martedella missione Exomars, a contributo ESA e Roscosmos, ma con una grossa parte di partecipazione italiana, e anche la delusione per il mancato atterraggio del lander di prova Schiaparelli… che ha rubato la scena però a quella che era in realtà la parte di missione principale e più importante, la messa in orbita del Trace Gas Orbiter (TGO), un satellite che ha lo scopo di studiare con un dettaglio ancora mai visto i gas traccia nell’atmosfera del Pianeta Rosso, e di fare da apripista e da ponte per le comunicazioni di quella che sarà la seconda e principale fase della missione Exomars, il grande rover europeo e una piattaforma scientifica russa, che partiranno nel 2020 e scenderanno su Marte per la ricerca diretta di vita microbica, passata o attuale.
Il TGO ha raggiunto finalmente la sua orbita finale, dopo un anno di “aerobraking” che si è concluso a febbraio. Questo passaggio ha visto la sonda sfiorare la parte superiore dell’atmosfera di Marte e usare la resistenza sulle sue ali ricoperte da pannelli solari per trasformare la sua orbita iniziale di quattro giorni altamente ellittica (andava da 200 a 98mila km) nel percorso finale, molto più basso e quasi circolare a circa 400 km.
Ora il satellite impiega circa due ore a compiere un giro del pianeta e, dopo la calibrazione e l’installazione del nuovo software, inizierà finalmente le osservazioni scientifiche di routine.
«Si tratta di un importante traguardo per il nostro programma ExoMars e di un risultato fantastico per l’Europa», dichiara Pia Mitschdoerfer, responsabile della missione Trace Gas Orbiter.
«Per la prima volta questo tipo di orbita è stata raggiunta grazie all’aerobraking e con l’orbiter più pesante mai inviato attorno al pianeta rosso, pronto a iniziare la ricerca di segni di vita».
Entro un paio di settimane cominceranno i rilevamenti, e dal team si aspettano importanti informazioni già dalle prime misurazioni. Håkan Svedhem, che ha progettato l’orbiter, spiega: «Abbiamo una sensibilità tale da rilevare gas rari in minuscole proporzioni, con la possibilità di scoprire se Marte è ancora attivo – biologicamente o geologicamente parlando».
L’obiettivo principale, da cui il nome dell’orbiter, è quello di fare un inventario dettagliato dei gas traccia – quei gas che costituiscono meno dell’1% del volume totale dell’atmosfera del pianeta. In particolare, l’orbiter cercherà prove di metano e altri gas che potrebbero rappresentare la firma di attività biologica o geologica attiva.
Sulla Terra, gran parte del metano del pianeta viene rilasciato dagli organismi viventi, ma è anche il principale componente dei giacimenti di gas idrocarburi presenti in natura, al quale contribuiscono anche l’attività vulcanica e idrotermale. Ci si aspetta che, su Marte, il metano abbia però una vita piuttosto breve – di circa 400 anni – a causa dell’azione della luce ultravioletta proveniente dal Sole, oltre alle reazioni con altri elementi nell’atmosfera e ad essere soggetto a miscelazione e a dispersione a causa dei venti. Questo significa che le tracce di metano che si riuscissero a rilevare non potrebbero essere state create troppo indietro nel passato del pianeta, quando ad esempio si ipotizza potesse esserci acqua liquida in modo stabile, ma la loro origine andrebbe cercata in meccanismi relativamente recenti, dimostrando quindi la presenza ad oggi di un qualche tipo di attività biologica o geologica in grado di produrlo.
Sia la sonda Mars Express dell’ESA, sia più recentemente il rover Curiosity della NASA, avrebbero rilevato tracce della presenza di metano, ma si tratta di rilevazioni ancora non definitive e oggetto di molte discussioni. Il TGO è invece in grado di rilevare e analizzare metano e altri gas traccia anche in concentrazioni estremamente basse, con una precisione superiore di tre ordini di grandezza rispetto alle misurazioni precedenti, e potrebbe quindi confermare queste prime analisi, oltretutto con una precisione da poter anche aiutare nella distinzione tra le diverse origini possibili.
Quattro strumenti eseguiranno misurazioni complementari dell’atmosfera, della superficie e del sottosuolo e, grazie alla fotocamera, i ricercatori saranno in grado di caratterizzare le varie zone della superficie che potrebbero essere correlate alle fonti di gas di traccia. Con questi strumenti si potrà anche andare a caccia dell’acqua nascosta sotto la superficie del pianeta che, assieme alle potenziali fonti di gas traccia, darà importanti indicazioni per la scelta dei siti di atterraggio delle future missioni.
Oltre a tutto questo, il TGO si presterà anche da intermediario per le comunicazioni con i rover Opportunity e Curiosity della NASA, una collaborazione nata anche in vista dell’arrivo del lander InSight alla fine di quest’anno, e ovviamente per il rover e la piatttaforma scientifica che partiranno per il pianeta all’interno della missione ExoMars nel marzo 2021.
Forse per l’uomo in carne ed ossa è ancora presto prevedere quando avverrà la colonizzazione di Marte, ma non c’è dubbio che, roboticamente parlando, sia ormai in atto da tempo e sarà sempre più affollata!
La mostra, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci a Milano, vuole raccontare al grande pubblico la storia dell’esplorazione di Marte e l’importante contributo italiano a questa avventura. Dopo un richiamo alla figura mitologica del dio Marte, un’introduzione dedicata alle prime osservazioni dei canali di Giovanni Schiaparelli e alla grande produzione di letteratura fantascientifica, il percorso espositivo illustra lo stato della conoscenza che oggi abbiamo di Marte, attraverso i dati e le immagini che la più avanzata tecnologia spaziale ha permesso di acquisire: dalle prime ‘storiche’ immagini delle sonde Viking fino alla sonda europea Mars Express, ai rover americani Curiosity e Opportunity e alla sonda americana Mars Reconnaissance Orbiter.
La mostra vuole essere anche un omaggio al programma europeo ExoMars e non manca uno sguardo su quello che potrebbe riservare il prossimo futuro con una spettacolare e immersiva video-installazione, ispirata alle immagini della serie televisiva MARS firmata da Ron Howard.
La visita alla mostra è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo.
www.museoscienza.org | info@museoscienza.it | Tel 02 48 555 1
Promossa da Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Ministero dei beni e delle attività Culturali e del Turismo (MIBACT) e Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci in collaborazione con Agenzia Spaziale Europea, INAF, Leonardo, Thales Alenia Space Italia e National Geographic.
5 aprile ore 21:30: Fast Radio Burst Live Streaming con la Dott.ssa Marta Burgay 14 aprile ore 16:00: “Incontri di Astronomia” Esapianeti e Esoatmosfere, live a Roma con il dott. Luigi Mancini (Torvergata – INAF)
Nel 1917 Albert Einstein pubblica un articolo che fonda la cosmologia moderna e trasforma i modelli di cosmo e universo immaginati fino ad allora da scienziati e pensatori, rivoluzionando le categorie di spazio e tempo. A cento anni da questa pubblicazione il MAXXI dedica una mostra a una delle figure che più ha influenzato il pensiero contemporaneo. Il progetto è il risultato di una inedita collaborazione del museo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la parte scientifica e con l’artista argentino Tomás Saraceno per la parte artistica.
Installazioni artistiche e scientifiche immersive, reperti iconici e simulazioni di esperimenti per avvicinarsi all’essenza delle innovazioni scientifiche introdotte da Einstein e svelare le profondità sottese all’Universo conosciuto, ma anche i meccanismi che legano insieme tutti gli uomini nella ricerca della conoscenza, in un processo collettivo nel quale gli artisti e gli scienziati svolgono un ruolo ugualmente significante e fondamentale per la società.
Tra gli eventi a ingresso libero grazie a Enel, main partner della mostra. 10 APRILE 2018 ORE 18 SAMANTHA CRISTOFORETTI L’astronauta Samantha Cristoforetti incontrerà il pubblico del Museo per raccontare i suoi 200 giorni sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Per tutta la durata della mostra sono previsti eventi speciali, attività educative, film screening.
Scarica il programma – Scarica la mini-guida alla mostra
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Via Guido Reni 4A – 00196 Roma
<a href=”http://www.maxxi.art” target=”_blank”><strong>www.maxxi.art</strong></a>
L’Associazione I.S.A.A. insieme al Gruppo Astrofili DEEP SPACE di Lecco promuovono l’organizzazione di AstronautiCON, Convention di Astronautica e Scienze aerospaziali, 9^ edizione.
DOVE E QUANDO
AstronautiCON 9 si terrà a Lecco (Lombardia), da venerdì 13 a domenica 15 aprile 2018 presso la prestigiosa cornice del Planetario “Città di Lecco”, in Corso Matteotti 32.
SCOPO DI ASTRONAUTICON
AstronautiCON è una manifestazione divulgativa, con la quale si vuol far conoscere la bellezza e l’importanza dell’esplorazione spaziale. Inoltre la convention è un momento di incontro, scambio e conoscenza annuale tra gli appassionati di astronautica di tutto il nostro Paese, e consente l’incontro diretto tra il pubblico e importanti personalità della ricerca aerospaziale.
COME RAGGIUNGERE IL PLANETARIO DI LECCO
Il Planetario di Lecco è una recente costruzione sita nel cuore della splendida Città manzoniana, adagiata sulle sponde del Lago di Como. Lecco è ottimamente servita da strade statali e collegamenti ferroviari; si trova a 40 minuti circa d’auto dal centro di Milano, ed i minuti si riducono a 30 se usate il treno.
Per chi viene in auto: per facilitare gli spostamenti o chi si muove da fuori città, abbiamo realizzato una mappa sulla quale sono evidenziati i luoghi in cui si svolgono le attività di convention, i principali parcheggi gratuiti e alcune strutture ricettive.
Per chi viene in treno: Lecco è servita da una linea ferroviaria diretta dalla Stazione Centrale di Milano, con una corsa ogni 60 minuti circa al costo di € 5. Il Planetario si trova a 5 minuti a piedi dalla Stazione Ferroviaria di Lecco.
PROGRAMMA PROVVISORIO DELLA CONVENTION VENERDI’ 13 APRILE – Planetario di Lecco
20.30 – TBD
SABATO 14 APRILE – Planetario di Lecco
10:00 – Apertura ufficiale della Convention, benvenuto ai partecipanti
11:00 – Marco Bruno – “I pianeti venuti dal Freddo”
12:30 – Pausa pranzo
15:00 – Ing. Cesare Lobascio – Thales Alenia Space – “Abitare lo Spazio, dalla Terra a Marte: le Sfide dell’Esplorazione Spaziale”
16:30 – Ing. Liliana Ravagnolo – ALTEC – “Come si diventa astronauti”
18:00 – Termine attivita in Planetario
21:00 – TBD DOMENICA 15 APRILE – Planetario di Lecco
10:00 – Ing. Giuseppe Albini – “A spasso tra i ghiacci: il satellite Earth Explorer Cryosat-2”
11.30 – Micol Ivancic – “Scuola chiama ISS”
13.00 – Pausa pranzo
15:30 – Matteo Carpentieri – “Alla ricerca della vita nel Sistema Solare”
17:00 – Paolo Baldo – “Numeri e curiosita’ spaziali”
18:30 – Termine attivita in Planetario
Nuove, spettacolari immagini, prodotte a partire dai dati di telescopi da terra e dallo spazio, ci raccontano la storia della caccia a un oggetto elusivo nascosto tra un complesso intrico di filamenti di gas nella Piccola Nube di Magellano, a circa 200 000 anni luce da Terra.
L’immagine combina dati dello strumento MUSE montato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile e dei telescopi spaziali Hubble della NASA/ESA e Chandra della NASA.
Nuovi dati dello strumento MUSE hanno rivelato un notevole anello di gas nel sistema 1E 0102.2-7219, in lenta espansione tra numerosi altri filamenti di gas e polvere in movimento, ciò che rimane dopo un’esplosione di una supernova. La scoperta ha permesso all’equipe guidata da Frédéric Vogt, ESO Fellow in Cile, di identificare la prima stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico al di là della Via Lattea.
L’equipe ha notato che l’anello era centrato su una sorgente di raggi X scoperta anni fa e designata p1. La natura di questa sorgente era rimasta un mistero. In particolare, non era chiaro se p1 si trovasseeffettivamente all’interno del resto o dietro di esso. Solo quando l’anello di gas – che include sia neon che ossigeno – è stato osservato con MUSE, l’equipe scientifica ha realizzato che circondava perfettamente p1. La coincidenza era notevole e ha permesso di dedurre che p1 debba trovarsi proprio all’interno del resto di supernova.
Dopo aver determinato l’ubicazione di p1, l’equipe ha utilizzato dati preesistenti ottenuti nella banda dei raggi X dall’Osservatorio Spaziale Chandra per determinarne la natura di stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico.
Con le parole di Frédéric Vogt: «Se state cercando una sorgente puntiforme, non potete avere maggior fortuna di quando l’Universo stesso quasi letteralmente disegna un cerchio intorno al luogo dove dovete guardare».
Quando le stelle massicce esplodono come supernove, lasciano indietro un intreccio di gas caldo e polvere, noto come resto di supernova. Le strutture turbolente sono il modo in cui si ridistrubuiscono gli elementi più pesanti – prodotti dalle stelle massicce durante la loro vita e morte – nel mezzo interstellare, dove alla fine vanno a formare nuove stelle e nuovi pianeti.
Di dimensione tipica intorno ai 10 chilometri, ma pesanti più del nostro Sole, le stelle di neutroni isolate con basso campo magnetico dovrebbero essere abbondanti nell’Universo, ma sono molto difficili da trovare perchè sono brillanti solo nella banda dei raggi X, solo le pulsar infatti (stelle di neutroni altamente magnetizzate e in forte rotazione) emettono anche in altre frequenze e sono realtivamente facili da trovare, ma costituiscono solo una piccola frazione di tutte le stelle di neutroni che si pensa esistano. Il fatto che la conferma di p1, come stella di neutroni isolata, dipenda da osservazioni ottiche è dunque veramente esaltante.
La coautrice Liz Bartlett, anch’essa ESO Fellow in Cile, riassume così la scoperta:
«Questo è il primo oggetto del suo genere per cui possiamo confermare che si trovi al di fuori della Via Lattea: la scoperta è stata resa possibile usando lo strumento MUSE come guida. Pensiamo che questo apra nuovi canali di scoperta e di studi per questi resti stellari elusivi».
Nell’aprile 2016, un folto gruppo internazionale di astrofisici stava osservando con il telescopio spaziale Hubble l’evoluzione di una lontana supernova, soprannominata Refsdal in onore dell’astronomo norvegese Sjur Refsdal. Refsdal è stato un pioniere dello studio delle lenti gravitazionali, ovvero dell’effetto di deviazione indotto da una massa molto grande sul fascio di luce proveniente da una fonte retrostante rispetto al punto di vista terrestre; naturalmente la supernova a lui dedicata subisce esattamente questo effetto, a causa della deflessione della luce prodotta da un gigantesco ammasso di galassie frapposto.
Con grande sorpresa degli astronomi, nelle osservazioni Hubble di maggio 2016 accanto alla supernova si è materializzata una stellina. «Così come quella della supernova Refsdal, la luce di questa stella risulta intensificata, rendendola visibile da Hubble benché così lontana», spiega il team leaderPatrick Kelly dell’Università del Minnesota. «Questa stella si trova infatti almeno 100 volte più lontano rispetto a qualunque stella che possiamo studiare individualmente, fatta naturalmente eccezione per le esplosioni di supernova».
La luce proveniente dalla stella appena scoperta, chiamata Lensed Star 1 (LS1), è stata emessa quando l’universo aveva solo circa il 30 per cento della sua età attuale, circa 4.4 miliardi di anni dopo il Big Bang. L’osservazione con Hubble è stata possibile solo grazie a un doppio effetto di ingrandimento che ha intensificato la luce della stella di duemila volte.
Lensed Star 1 è divenuta sufficientemente luminosa per Hubble sia a causa del fenomeno di lente gravitazionale esercitato dall’intero ammasso di galassie MACS J1149-2223, sia grazie all’effetto di cosiddetta micro-lente indotto da un oggetto compatto – dalla massa pari a circa tre volte quella del Sole – presente all’interno dell’ammasso di galassie.
L’oggetto compatto può essere una normale stella, una stella di neutroni oppure un buco nero di dimensioni stellari. Lo studio della luce proveniente da LS1 permetterà, secondo gli autori dello studio, di conoscere meglio la composizione degli ammassi di galassie e, in particolare, dei loro costituenti più sfuggenti.
«Se la materia oscura è almeno parzialmente composta da buchi neri di massa relativamente bassa, com’è stato recentemente proposto, dovremmo essere in grado di trovare un’evidenza di questo nella curva di luce di LS1», commenta Kelly. «In realtà, le nostre osservazioni non avallano la possibilità che un’alta frazione di materia oscura sia costituita da questi buchi neri primordiali di circa 30 masse solari».
Basandosi sulle analisi spettrali, gli autori del nuovo studio ritengono che LS1 sia una stella supergigante di tipo B. Queste stelle sono estremamente luminose e di colore blu, con una temperatura superficiale compresa tra 11mila e 14mila gradi Celsius, circa il doppio del Sole.
Un appuntamento nel bel mezzo della notte quello che ci attende il7 aprilequando, alle 3:30 del mattino, il Quarto di Luna (fase del 52%), Saturno (mag. +0,5) e Marte (mag. +0,1) si incontreranno in una bella congiunzione.
Marte sorgerà infatti per ultimo dall’orizzonte sudest attorno alle 2:40, nel caso si cerchi un’inquadratura particolarmente suggestiva, immersa nel paesaggio.
Il teatro di questo incontro è la magnifica regione della costellazione del Sagittario, ricca di stelle, proiettata vicino al nucleo della Via Lattea. Della costellazione sarà facilmente riconoscibile il tipico asterismo della “teiera”.
Anche se richiederà forse un’alzataccia, questo evento celeste ripagherà gli sforzi per l’osservazione o la ripresa nel contesto del paesaggio naturale. I tre astri potranno poi essere seguiti mentre si alzano sempre più sull’orizzonte fino a sparire nella luce del mattino.
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Dopo il Plenilunio del 31 marzo, aprile si apre col nostro satellite che la prima sera del mese sorgerà alle 20:55 nella costellazione della Vergine, culminando in meridiano nelle prime ore della notte seguente a un’altezza di +40°.
Essendo in fase Calante, nelle serate successive la Luna si renderà visibile sempre con maggiore ritardo limitandone l’osservazione alle ore notturne ed entrando in fase di Ultimo Quarto (con età di 21,75 giorni) alle 09:18 del giorno 8 aprile quando sorgerà alle 02:47 fra le stelle del Sagittario, preceduta da Saturno (distante 6°) e in contemporanea con Marte (distante 4°).
La prima e principale proposta ci porterà la sera del 20 aprile a visitare la regione del grande cratere Janssen (diametro 200 km), la Vallis Rheita e la zona immediatamente adiacente con la Luna in fase di 4,7 giorni a un’altezza iniziale di +45°, visibile pertanto per tutta la serata fino al suo tramonto.
La seconda proposta di questo mese è per la serata del 23 aprile quando proseguiremo il nostro viaggio lungo il margine orientale del mare Nubium, dove per l’occasione andremo a osservare più dettagliatamente il cratere Alphonsus (diametro 121 km, Periodo Geologico Nectariano 3,9 miliardi di anni fa), solo parzialmente affrontato nel numero di novembre 2017 (Coelum Astronomia 216).
Con la terza proposta invece ci sposteremo sul settore sudorientale della Luna dove la sera del 28 aprile il punto di massima Librazione coinciderà con una porzione del mare Australe, grande bacino da impatto con superficie di 150.000 km2. Infatti, dalle 21:00 circa fino alle 03:00 della notte successiva, la Librazione che ci interessa scorrerà lungo il bordo lunare alla latitudine del cratere Lyot consentendoci di effettuare osservazioni di una porzione del mare Australe a oriente di questo cratere situato in prossimità del confine fra i due emisferi lunari.
Per approfondire queste osservazioni, per le falci di Luna e la sua luce cinerea e per tutte le altre informazioni, leggi la Luna di Aprile e il Calendario di tutti gli eventi, giorno per giorno su Coelum astronomia 220 (è sempre gratis, puoi leggerlo online, scaricarlo in pdf oppure stampare le pagine che ti interessano di più 😉 ).
➜ La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211
E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione il momento giusto!
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Uno dei tasselli cruciali nel puzzle dell’origine della vita è rappresentato dalla comparsa delle prime molecole biologiche sulla Terra come l’RNA, l’acido ribonucleico. Uno studio dell’Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche (Ipcf-Cnr) di Messina ha descritto, mediante avanzate tecniche di simulazione numerica, un processo chimico che da molecole semplici e presenti in enorme abbondanza nell’Universo, come l’acqua e la glicolaldeide, potrebbe aver portato alla sintesi primordiale dell’eritrosio, precursore diretto del ribosio, lo zucchero che compone l’RNA. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Chemical Communications, della Royal Society of Chemistry, da un team che coinvolge anche l’Accademia delle scienze della Repubblica Ceca di Brno e l’Università di Parigi Sorbonne.
«Nello studio dimostriamo per la prima volta che determinate condizioni prebiotiche, tipiche delle cosiddette “pozze primordiali” in cui erano presenti le molecole inorganiche più semplici, sono in grado di favorire la formazione non solo degli aminoacidi, i mattoni fondamentali delle proteine, ma anche di alcuni zuccheri semplici come l’eritrosio, precursore delle molecole che compongono l’ossatura dell’RNA», spiega Franz Saija, ricercatore Ipcf-Cnr e coautore del lavoro. «La sintesi degli zuccheri a partire da molecole più semplici, che possono essere state trasportate sul nostro pianeta da meteoriti in epoche primordiali, rappresenta una grossa sfida per gli scienziati che si occupano di chimica prebiotica. La formazione dei primi legami carbonio-carbonio da molecole molto semplici come la formaldeide non può avvenire senza la presenza di un agente esterno capace di catalizzare la reazione: la presenza di tali catalizzatori in ambienti prebiotici, tuttavia, è ancora un mistero».
L’approccio computazionale alla chimica prebiotica già nel 2014 consentì al team di ricerca, con uno studio pubblicato su Pnas, di simulare il famoso esperimento di Miller, cioè la formazione di aminoacidi dalle molecole inorganiche contenute nel “brodo primordiale” sottoposte a intensi campi elettrici. «Nel nostro esperimento, facendo uso di metodi avanzati di simulazione numerica al super-computer, una soluzione acquosa di glicolaldeide è stata sottoposta a campi elettrici dell’ordine di grandezza dei milioni di volt su centimetro, capaci di catalizzare quella reazione che in chimica viene chiamata formose reaction e che porta alla formazione di zuccheri a partire dalla formaldeide», prosegue Giuseppe Cassone dell’Institute of Biophysics, Czech Academy of Sciences e primo autore dell’articolo scientifico.
«Oggi l’approccio computazionale alla chimica prebiotica è di fondamentale rilevanza perché permette di analizzare in modo molto specifico i meccanismi molecolari delle reazioni chimiche alla base dei processi che hanno portato alla formazione delle molecole della vita», conclude Saija.
Per conoscere meglio e approfondire il tema dei Fast Radio Burst, il giorno 5 aprile alle ore 21:30 sul sito dell’Associazione AstronomiAmosi terrà una diretta streaming con la partecipazione della Dott.ssa Marta Burgay.
Per partecipare alla diretta è sufficiente registrarsi gratuitamente al portale dell’Associazione e accedere dalle ore 21:20 alla pagina della diretta indicata sulla Home Page.
Sarà possibile interagire in diretta con la Dott.ssa Burgay scrivendo le domande su apposita chat. Per prepararvi sull’argomento e preparare le domande potete leggere l’articolo di Stefano Capretti (Astronomiamo) pubblicato suCoelum Astronomia 221 di aprile (come sempre in formato digitale e gratuito).
Indice dei contenuti
Due parole sull’ospite della trasmissione
Marta Burgay si laurea con lode in Astronomia presso l’Università degli Studi di Bologna nel 2000, conseguendo la qualifica di Dottore di Ricerca nel 2004. È Ricercatrice Astronoma presso l’Osservatorio di Cagliari e nel 2003-2004 ha rivelato l’esistenza del primo sistema binario di pulsar mai scoperto, ad oggi ancora unico. Parte del gruppo internazionale PulSE (Pulsar Science in Europe), nel 2005 vince il Premio Descartes “Excellence in Scientific Collaborative Research”.
La diretta può essere seguita anche qui su coelum.com
Dopo lunghi mesi di osservazioni, attese e speculazioni, in cui il rientro incontrollato della stazione spaziale cinese Tiangong-1 ha tenuto il mondo con il fiato sospeso… finalmente ora sappiamo!
Dove e quando cadrà? Costituirà un pericolo per noi? Queste sono le principali domande a cui la Tiangong-1, rientrando in atmosfera, ha fornito finalmente una tanto attesa risposta.
Il “Palazzo Celeste” (questo è il significato del nome tiangong) è rientrato in atmosfera sopra l’Oceano Pacifico Meridionale alle 02:16 (ora italiana – 00:16 UTC) di questa notte, 2 aprile 2018, senza arrecare quindi alcun danno. A indicarlo sono due comunicati separati, ma usciti a pochi minuti l’uno dall’altro, prima dalla China Manned Space Agency (CMSA), l’agenzia cinese dedicata alle missioni umane nello spazio e quindi dallo US Strategic Command, JFSCC (Joint Force Space Component Command).
Non siamo stati i soli a seguire le ultime orbite della Stazione Spaziale Cinese, e dopo la rincorsa delle ultime ore con l’alternarsi delle previsioni delle varie agenzie spaziali e aereospaziali, seguite da una flotta di appassionati, la Tiangong (o quel che ne è rimasto) si è inabissata nell’Oceano come indicato dalle ultime previsioni.
Solo durante le ultime ore si è potuto escludere praticamente con certezza il rischio di un rientro sul territorio italiano: l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e il DPC (Dipartimento Protezione Civile) ne hanno dato notizia attorno alla mezzanotte, pur con un’ultima dovuta cautela (continuando a monitorare la parte orientale dell’isola di Lampedusa nella regione Sicilia), più che altro per il rischio che l’ampia zona che avrebbe potuto interessare la caduta della scia di detriti potesse protrarsi fino ai margini della finestra di rientro prevista.
Sicuramente non ci si può lamentare di come si sono svolti, infine, i fatti: nessun danno e nessun ferito anche se nemmeno c’è stata la possibilità di godere del magnifico spettacolo pirotecnico (atteso da molti) che la stazione avrebbe potuto regalare.
Da tutto ciò emerge comunque un aspetto positivo: in questa piccola crisi, la Tiangong-1 ha saputo unire ben 15 agenzie spaziali e un’altra infinità di enti sparsi in tutto il mondo, creando una collaborazione internazionale capace di lavorare con un unico obiettivo, dimostrando che è possibile abbattere quegli invisibili confini che troppo spesso ostacolano e bloccano gli esseri umani.
La tanto temuta stazione spaziale cinese fuori controllo, nell’atto conclusivo della sua vita, si è quindi limitata a un anonimo e inosservato rientro in atmosfera. Dalla CMSA (China Manned Space Agency) un comunicato annuncia che “la maggior parte dei dispositivi si è distrutta durante il rientro”, senza lasciare quindi alcun vero segno della sua fine. Un epilogo che probabilmente lascerà poche tracce nella memoria della gente comune, ma che comunque entrerà di diritto nella storia dell’astronautica come uno dei casi di rientro incontrollato a terra, fortunatamente senza alcuna conseguenza.
Monitoraggio Continuo, intervista con il Dott. Luciano Anselmo, responsabile del Laboratorio di Dinamica del Volo Spaziale dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del CNR di Pisa.
Il Progetto AMICA
La ripresa fotografica della Tiangong-1: una sfida per gli astrofili
La sera del 3 aprile, alle ore 23:30 circa, volgendo lo sguardo verso sudest potremo ammirare una bella congiunzione tra la Luna (fase dell’87%) e il pianeta Giove (mag. –2,4) che ci apparirà come una stella luccicante e splendente.
La separazione tra i due astri, ancora piuttosto bassi sull’orizzonte all’orario indicato (circa 7°), sarà pari a 4° e 50′. Sarà una splendida occasione per scattare una fotografia unendo elementi del paesaggio naturale che ci circonda.
Dopo un paio d’ore, potremo notare il sorgere della bella Antares (mag. +1,1), a poco meno di 15° a sud della Luna, con il suo caratteristico colore rosso sfavillante, la stella alfa della costellazione dello Scorpione. Poco prima dell’alba, sempre presente la coppia Saturno e Marte per un’immagine a largo campo.
Sempre nella stessa location, la notte seguente, tra il 4 e il 5 aprile sarà proprio Antares ad essere avvicinata dalla Luna, in una larga congiunzione (circa 8° e mezzo), osservabile a partire dalle ore 1:00 circa.
Seguendoli verso il mattino, prima che il cielo sia troppo chiaro, i due astri si troveranno circa a metà tra Giove e la coppia Saturno–Marte, sopra l’orizzonte sud.
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5 aprile ore 21:30: Fast Radio Burst Live Streaming con la Dott.ssa Marta Burgay 14 aprile ore 16:00: “Incontri di Astronomia” Esapianeti e Esoatmosfere, live a Roma con il dott. Luigi Mancini (Torvergata – INAF)
Sei corsi di Astronomia a Roma per conoscere l’Universo e imparare a osservare il cielo. Corsi base e avanzati:
– Astronomia base
– Astrofisica e Cosmologia
– Fotografia Astronomica
– Osservazioni al telescopio
– Archeoastronomia
– Astronomia insolita e curiosa
Archeoastronomia: dal mistero alla scoperta
Conferenze gratuite:
– 10.03 ore 13:30: Museo Archeologico di Montecelio (RM)
– 23.03 ore 21:00: Associazione Astronomica Polaris, Genova
– 06.04 ore 21:00: Osservatorio Polifunzionale del Chianti
Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica. www.torinoscienza.it
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