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Saturno e Marte alla minima distanza. Special guest: M 22

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Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Come anticipato, il 2 aprile la coppia del mattino, Saturno (mag. +0,5) e Marte (mag. +0,3), raggiungerà la minima distanza di poco meno 1,3°.

Ecco come potrebbe risultare una ripresa di Marte e M22 a campo stretto. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

A soli 22′ a sud di Marte si troverà l’ammasso globulare M 22.

I due pianeti sorgeranno dall’orizzonte sudest poco prima delle 3:00, quindi piuttosto presto e, a orari più comodi (le 5:00 come suggerito nella nostra cartina), entrambi i pianeti saranno alti già più di 23°.

Consigliamo di tentare una ripresa a campo stretto della congiunzione, soprattutto se si vuole dare risalto a Marte e all’ammasso M 22.

Effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti sul Cielo di aprile 2018

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La costellazione dell’Auriga (III parte).

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Luna e Spica per iniziare

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Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Cominciamo il mese con una bella congiunzione tra la Luna Piena (fase 99,7%) e Spica (mag. +1,1), stella alfa della Vergine.

Una congiunzione in realtà ampia, di quasi 5°, alta in cielo ma con l’opportunità di attendere l’inizio del crepuscolo e l’avvicinarsi dei due astri all’orizzonte, per una suggestiva ripresa con elementi del paesaggio. La loro luminosità li renderà infatti ben visibili anche nella luce dell’alba ormai prossima, aggiungendo fascino alla composizione.

Verso est saranno sempre visibili Giove, e ancora più in là, praticamente al meridano, la coppia Saturno e Marte, che raggiungeranno la minima distanza il mattino successivo.

Effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti sul Cielo di aprile 2018

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Astroiniziative UAI

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UAI

UAI
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
20-22 aprile 33° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani

Il Convegno dei Planetari italiani presso Infini.to, Pino Torinese – Torino a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI
http://www.planetari.org

4-6 maggio
51° Congresso Nazionale UAI

Presso l’Osservatorio Polifunzionale del Chianti (loc. San Donato in Poggio nel Comune di Barberino Val d’Elsa (FI). Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantunesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione di esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.

04.05 ore 21.30
Notte Stellata UAI

Star party pubblico e per astrofili. Per l’occasione l’OPC sarà aperto e si faranno osservazioni con il grande telescopio Marcon c/o Osservatorio Polifunzionale del Chianti

https://www.uai.it/astrofilia/congressouai/congresso-2018.html

Tiangong-1 rientrata senza danni. Ultimi aggiornamenti (2 aprile 03:25)

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Questa pagina verrà aggiornata man mano che arriveranno nuovi grafici e nuove notizie. Teneteci d’occhio!

Ultimi aggiornamenti

Ormai la notizia è ufficiale, la Stazione Spaziale cinese è rientrata come previsto nel Pacifico Meridionale, senza fare alcun tipo di danno. Ad annunciarlo lo US Strategic Command JFSCC e il China Manned Space. Per il momento da qui è tutto, buona Pasquetta e a tra qualche ora (ora dormiamo un po’…) per i dettagli!

03:22 – 2 apr 2018 Agenzia Spaziale ITA @ASI_spazio Gli ultimi dati danno per caduta nell’Oceano Pacifico alle 2.16 italiane
https://www.asi.it/it/news/nel-pacifico-alle-ore-216-italiane … @giuseppinapicci ottimo lavoro di tutti @Rb_Bat

03:18 – 2 apr 2018 Jonathan McDowell @planet4589 Looks like I was wrong, and the Chinese had real data – they were just lucky their prediction was spot on. US tracking by 18SPCS confirms reentry over the S Pacific at 0016 UTC Apr 2

Il documento dello US Strategic Command JFSCC che dichiara l'avvenuto rientro in assoluta sicurezza della Stazione spaziale cinese nel Pacifico Meridionale.

03:14 – 2 apr 2018 – 18 SPCS @18SPCS UPDATE: #JFSCC confirmed #Tiangong1 reentered the atmosphere over the southern Pacific Ocean at ~5:16 p.m. (PST) April 1. For details see http://www.space-track.org

03:12 – 2 apr 2018 @Aerospacecorp We are currently waiting to receive #Tiangong1 reentry confirmation.

03:11 – 2 apr 2018 – Agenzia Spaziale ITA @ASI_spazio Ultimi aggiornamenti dicono che la tiangong 1 è caduta nell’oceano pacifico aggiornamenti a breve #Tiangong1

03:04 – 2 apr 2018 Quan-Zhi Ye @Yeqzids China Manned Space statement: #Tiangong1 has reentered the atmosphere around 0:15 UT over South Pacific: http://www.cmse.gov.cn/art/2018/4/2/art_810_32427.html …

Nessuna segnalazione ancora, si attende il passaggio previsto per i prossimi osservatori. Il rientro potrebbe già essere avvenuto nell’area prevista, nel Pacifico al largo delle coste del Cile, o nell’atlantico meridionale. Se non è già rientrata dovrebbe venire avvistata dalla costa D’Avorio o dal Ghana.

02:38 – 2 apr 2018 Jonathan McDowell @planet4589 Didn’t get any reports yet of people seeing Tiangong over S America. No decay notice on Space-Track yet. Unclear if Tiangong is still in orbit or not. That’s normal, I’m afraid! We just have to wait…

02:35 – 2 apr 2018 @ASI_spazio Tiangong-1 ultime ipotesi al largo del Cile nell’Atlantico Meridionale

Aggiornamento 2 aprile, ore 02:30

I valori possono differire per i diversi momenti in cui vengono calcolati e emessi dalle singole agenzie. Le previsioni di rientro sono soggette a continui aggiornamenti perché legate al comportamento della stazione spaziale rispetto all’orientamento che assumerà nello spazio e alle variabili dovute alla densità atmosferica e all’attività solare che agiscono su di essa.

Grafico aggiornato alle 02:29 del 2 aprile. In questa grafica, le orbite della Tiangong secondo le previsioni della Aerospace corporation. La stazione spaziale si trova in questo momento a circa 122 km di altezza. In giallo l'orbita prima dell'orario previsto su cui è centrata la finestra di rientro, in verde quella successiva, in rosso la posizione della stazione spaziale cinese al momento dell'aggiornamento, in arancione il punto di maggior probabilità per il rientro. Crediti: The Aerospace Corporation

Fonte The Aerospace Corporation (aggiornamento delle 02:30 del 2 aprile): Finestra di rientro rimane confermata per il 2 aprile 00:30 UTC ± 1,7 ore (02:30 italiane, nel sito una bella grafica con tutti i dettagli tecnici aggiornati ogni pochi minuti, qui a destra quella aggiornata alle 18:29, cliccare per ingrandire).

A questo puntola Stazione Spaziale dovrebbe aver raggiunto il punto centrale della finestra prevista. Ora tocca a Osservatori e osservatori…

Fonte ASI e Protezione Civile (aggiornamento delle 00:00 del 2 aprile): previsione di rientro sulla Terra stimata per il 2 aprile alle ore 00:44 UTC (02: 44 ora italiana del 2 aprile) con incertezza e intervalli di confidenza (cioé intervalli di probabilità) pari a ± 1.3 ore con intervallo di confidenza 80%; ± 2,6 ore con intervallo di confidenza 95%.

Dal comunicato ASI scartato il secondo passaggio, è ancora tenuto in considerazione il passaggio ai margini dell’intervallo.

Anche se ormai è sempre più improbabile che la Tiangong ritardi ulteriormente il rientro nell’atmosfera, la Protezione Civile rimane allertata, anche per la (bassa) eventualità che la fascia indicata in rosso nell’immagine  rientri nell’area di distribuzione dei detriti che dovessero sopravvivere all’attrito con l’atmosfera, che potrebbero distribuirsi su una fascia lunga anche duemila chilometri (vedi più sotto nell’articolo). Parliamo sempre di probabilità ai margini di quelle previste e ormai in consolidamento.

Fonte ESA “Monitoraggio (quasi) completo” – aggiornamento delle 18:00: La finestra di rientro si stabilizza e si restringe, per un periodo centrato attorno alle 01:07 UTC (03:07 CEST) del 2 aprile.

Dall’agenzia Europea l’invito per gli appassionati è quello di cercare di riprendere l’evento nel caso si sia testimoni delle scie del rientro di qualche detrito, questo potrebbe aiutare l’ESA Debris team nelle analisi di quanto accaduto e nell’affinare i modelli per previsioni future.  Potete inviare le immagini via twitter (con il  tag @esaoperations), o via mail a esoc.communication@esa.int.


Update ESA del 1 aprile, ore 18:00. A sinistra il grafico che mostra l’intervallo della previsione del momento della caduta, che va via via restringendosi. A destra il grafico che mostra il calo di quota del Palazzo Celeste, cliccare per ingrandire le immagini.

Articolo del 29 marzo

Ormai manca davvero poco, la stazione spaziale cinese di cui è stato perso il controllo all’incirca un anno fa, la Tiangong-1, si distruggerà rientrando in atmosfera nei prossimi giorni.

Ad oggi la finestra di rientro è stimata tra il mezzogiorno (UTC) del 31 marzo e il primo pomeriggio del 1 aprile (fonte ESA).

Per restare informati, oltre allo Space Debris Office dell’ESA, stime per il rientro vengono calcolate dall’Aerospace Corporation americana, mentre Jonathan McDowell, astronomo ad Harvard, e Dr Marco Langbroek, famoso per la sua passione nel seguire satelliti e asteroidi, forniscono con frequenza le loro previsioni via Twitter e sui loro blog.
Anche l’Istituto Fraunhofer (High Frequency Physics and Radar Techniques FHR) monitora la stazione postando frequentemente, su sito e social, dati e immagini radar (vedi qui a destra).

Per seguirne il tracciato live invece potete utilizzare uno dei tanti servizi di tracciamento satelliti, come N2YO.com, Satflare, e Satview, mentre su Heavens-above potete anche impostare un alert per qualsiasi passaggio visibile dalla vostra località.

Il rientro avverrà in una fascia tra i 43º N e 43º S (vedi immagine sotto), e non sarà possibile prevedere in quale zona se non poche ore prima dell’evento. Le aree al di sopra o al di sotto di queste latitudini possono essere escluse, mentre all’interno della fascia si può solo stabilire una probabilità (sul lato destro dell’immagine) in base al tempo impegato dalla Tiangong-1 a sorvolare le varie fasce.

L’area di potenziale rientro di Tiangong-1 (fonte: ESA)

Per questioni geometriche (orbita quasi circolare e inclinata rispetto all’equatore), i due estremi della fascia sono quelli più ad alto rischio, ma in nessun momento sarà possibile una previsione precisa dell’ora e della località. Oltretutto, una volta distrutta, secondo l’Aerospace Corporation i detriti potrebbero disperdersi in un’area lunga anche duemila chilometri… prevedere dove potrebbero cadere è impossbile.

Secondo le previsioni dell'Aerospace Corporation, i pezzi che eventualmente sopravviveranno all'attrito dell'atmosfera si spargeranno molto probabilmente in una lunga e stretta striscia. Credit: The Aerospace Corporation

È un rientro senza controllo si, ma altamente monitorato e i rischi di danni sono davvero bassi. Gran parte della stazione si disintegrerà in aria, e quanto sopravviverà avrà dimensioni tali da poter fare danni davvero circoscritti e solo nella remota possibilità che raggiungano zone abitate. Si legge in giro che la probabilità che cada sulle vostre teste (sempre se siete in una zona a rischio) è 1 milione di volte inferiore alla probabilità di vincere la lotteria, quale lotteria non lo sappiamo… ma è ovviamente un conto a spanne, per dire che la probabilità è davvero molto molto bassa!

Nonostante questo… meglio essere preparati! Better safe than sorry, dicono gli inglesi (meglio sicuri che dispiaciuti).

Per quel che riguarda l’Italia si è riunito un Tavolo Tecnico presso la sede operativa del Dipartimento della Protezione Civile con l’Agenzia Spaziale Italiana, per discutere e analizzare le strategie da attuare in caso di rientro nei cieli del territorio nazionale. All’incontro erano presenti anche il consigliere militare della Presidenza del Consiglio, i ministeri di Interno, Difesa e Esteri, Enac, Enav, Ispra e la commissione speciale della Protezione civile.

Come si vede dalla cartina ESA più in alto, la possibile area interessata per il nostro Paese è quella centro-meridionale, che parte più o meno dall’area dell’Emilia Romagna e va verso sud. Il principale consiglio che viene divulgato è, nel caso vi imbatteste in un pezzo di Tiangong-1 o in qualche detrito portato sulle spiagge dalla marea (è altamente più probabile infatti che cada in mare, che ricopre il 70% della superficie terrestre, o in zone disabitate) di NON TOCCARLO.

Sul sito della Protezione Civile in un elenco di norme di autoprotezione (da tenere in considerazione sempre in occasioni simili, nonostante il bassissimo rischio di questo genere di eventi), si legge infatti: «alcuni frammenti di grandi dimensioni potrebbero sopravvivere all’impatto e contenere idrazina. In linea generale, si consiglia a chiunque avvistasse un frammento, senza toccarlo e mantenendosi a un distanza di almeno 20 metri, di segnalarlo immediatamente alle autorità competetenti».

E anche se vi sembra un detrito innocuo… attenzione! I detriti spaziali possono diventare un “souvenir” legalmente legittimo solo una volta che il governo di origine conclude ufficialmente le sue indagini. Fino a quel momento, se doveste trovarne uno, potreste addirittura essere accusati di furto dal governo cinese…

La stazione Spaziale #Tiangong-1, ripresa da Leonardo Mazzei del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese la sera del 9 marzo, qui sopra un frame elaborato per evidenziare la forma della stazione spaziale, cliccando sull'immagine si accede al video del passaggio più a grande campo con ripresa anche la costellazione di Orione. Tempo di esposizione 1 secondo. Osservatorio Astronomico S.Marcello Pistoiese

Robert Z. Pearlman, storico dello spazio e direttore di collectSPACE.com, ha dichiarato: «Secondo il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, un veicolo spaziale di un Paese è di sua legale proprietà fino a che il Paese  stesso non dichiara il contrario. Indipendentemente da dove atterrerà appartiene a quel Paese di origine». D’altra parte, questo rende anche la Cina resposnabile per qualsiasi danno che i detriti dovessero causare. Meglio chiamare in ogni caso le autorità che provvederanno alla raccolta e consegna a chi di dovere.

Volendo proprio un souvenir, dovremo accontentarci delle straordinarie immagini che astrofili e Osservatori già stanno cercando di riprendere. Qui sopra una ripresa amatoriale durante un passaggio del 9 marzo, di Leonardo Mazzei del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese.

L'immagine della Tiangong-1 ripresa il 28 marzo dal Virtual Telescope di Gianluca Masi.

È solo di ieri invece la ripresa effettuata durante una diretta web dedicata al Palazzo Celeste del Virtual Telescope, che vi invitiamo ad andare a rivedere!

E sicuramente, se ne avranno la possibilità, flotte di appassioanti saranno pronti per riprenderla al momento del rientro… nel frattempo continuate a seguirci per rimanere aggiornati!

Per saperne di più

  • ➜  Tiangong-1: si avvicina il rientro in atmosfera. Dove potrebbe cadere?
  • ➜  TIANGONG-1 Un addio che tiene il mondo con il fiato sospeso su Coelum Astronomia di marzo 2018. Nello speciale:
    • Il Programma Tiangong
    • Rientri incontrollati nella storia
    • Dove e quando rientrerà?
    • Monitoraggio Continuo, intervista con il Dott. Luciano Anselmo, responsabile del Laboratorio di Dinamica del Volo Spaziale dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del CNR di Pisa.
    • Il Progetto AMICA
    • La ripresa fotografica della Tiangong-1: una sfida per gli astrofili

    E se parlassimo di… STELLE?
    …e di Prime Stelle?

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Il Cielo di aprile 2018

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI
(ott. 2017 – mar. 2018)

Luna

Sole e Pianeti

Alle 23:00, la grande figura trapezoidale del Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote, con la rossa Arturo,  facilmente rintracciabile in cielo. Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà invece ad alzarsi la figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno, le cui stelle principali, Vega e Deneb, tracciano (assieme ad Altair, nell’Aquila) il famoso “triangolo” tipico del periodo estivo. Lo zenit sarà invece dominato dal Grande Carro dell’Orsa Maggiore.

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di aprile con la UAI

IL SOLE

Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 20 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione: se a inizio mese il crepuscolo astronomico finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi mediamente oltre le 5:00.

Cosa offre il cielo

Venere e le Pleiadi. Copyright: Giorgia Hofer

Per gli amanti osservatori del cielo, aprile offrirà numerosi spunti per l’osservazione della danza celeste che coinvolgerà non solo la Luna, ma anche i pianeti e i magnifici ammassi delle Pleiadi e delle Iadi. Si parte subito con il botto, con una serie di congiunzioni in tutta la prima settimana di aprile. Il protagonista sarà però Venere che formerà degli incontri suggestivi con le “Sette Sorelle”: da non perdere! E i consigli di Giorgia Hofer questo mese sono proprio per la ripresa di Venere e le Pleiadi, in particolare per il 18 e il 24 aprile.

➜ Astrofotografia: Venere al tramonto con le Pleiadi

Aprile ha anche lui il suo sciame meteorico: le Liridi. È un magro sciame meteorico quello delle Liridi che, nonostante susciti un grande fascino (come sempre fanno le stelle cadenti), non promette di stupire con i numeri di meteore che caratterizzano invece gli sciami delle Perseidi o delle Geminidi. Nonostante ciò, per chi vorrà tentare l’osservazione, il picco massimo è previsto per la sera del 22 aprile (lo sciame è attivo dal 14 aprile al 30 aprile). Maggiori informazioni e la cartina con il quadrante su:

➜ Organizzati in anticipo con Il Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 221

Venere e la falce di Luna in luce cinerea. Copyright Giorgia Hofer.

La Luna continuerà a regalarci il consueto spettacolo tra pianeti e astri, mentre per quel che riguarda le falci di Luna e la sua Luce Cinerea le giornate migliori per osservarla e fotografarla saranno il 12 e 13 aprile, appena prima dell’alba e il 18 e 19 del mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto.

Per effemeridi, dettagli e i consigli sull’osservazione delle formazioni lunari invece:

➜ La LUNA di aprile.
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“Picnic scientifici” al Museo del Balì

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Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto.
Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!

GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni: 2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30
Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30
ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica

www.museodelbali.it

GRAVITY. IMMAGINARE L’UNIVERSO DOPO EINSTEIN

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Nel 1917 Albert Einstein pubblica un articolo che fonda la cosmologia moderna e trasforma i modelli di cosmo e universo immaginati fino ad allora da scienziati e pensatori, rivoluzionando le categorie di spazio e tempo. A cento anni da questa pubblicazione il MAXXI dedica una mostra a una delle figure che più ha influenzato il pensiero contemporaneo. Il progetto è il risultato di una inedita collaborazione del museo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la parte scientifica e con l’artista argentino Tomás Saraceno per la parte artistica.

Installazioni artistiche e scientifiche immersive, reperti iconici e simulazioni di esperimenti per avvicinarsi all’essenza delle innovazioni scientifiche introdotte da Einstein e svelare le profondità sottese all’Universo conosciuto, ma anche i meccanismi che legano insieme tutti gli uomini nella ricerca della conoscenza, in un processo collettivo nel quale gli artisti e gli scienziati svolgono un ruolo ugualmente significante e fondamentale per la società.

Tra gli eventi a ingresso libero grazie a Enel, main partner della mostra. 10 APRILE 2018 ORE 18 SAMANTHA CRISTOFORETTI L’astronauta Samantha Cristoforetti incontrerà il pubblico del Museo per raccontare i suoi 200 giorni sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Per tutta la durata della mostra sono previsti eventi speciali, attività educative, film screening.

Scarica il programmaScarica la mini-guida alla mostra
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Via Guido Reni 4A – 00196 Roma
www.maxxi.art

Marte. 2000 Sol per Curiosity

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Questo mosaico preso dal rover Mars Curiosity della NASA guarda verso l'alto, verso il Mount Sharp, che Curiosity ha scalato. Evidenziata in bianco è un'area con rocce argillose che gli scienziati non vedono l'ora di esplorare; potrebbe gettare ulteriore luce sul ruolo dell'acqua nella creazione del Monte Sharp. Il mosaico è stato assemblato da dozzine di immagini scattate da Curiosity's Mast Camera (Mastcam). E' stata scattata al Sol 1931 il gennaio scorso. La scena è stata bilanciata in bianco in modo che i colori dei materiali rocciosi assomiglino a come apparirebbero nelle condizioni di illuminazione diurna sulla Terra.
Il mosaico guarda verso l'alto, verso il Mount Sharp, che Curiosity sta risalendo. Evidenziata in bianco, spicca un'area con rocce argillose che gli scienziati non vedono l'ora di esplorare; potrebbe gettare ulteriore luce sul ruolo dell'acqua nella creazione del Monte Sharp. Il mosaico è stato assemblato da dozzine di immagini scattate dalla MastCam a bordo del rover. E' stata scattata al Sol 1931 il gennaio scorso. La scena è stata bilanciata nel bianco in modo che i colori dei materiali rocciosi assomiglino a come apparirebbero nelle condizioni di illuminazione diurna sulla Terra. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Il “Sol” non è altro che il “giorno” nei pianeti del sistema solare. 2000 Sol sono quindi i giorni marziani che Curiosity, il rover della NASA, ha passato su Marte! Il 22 marzo scorso quindi Curiosity ha raggiunto il suo duemillesimo giorno sul pianeta rosso, e per festeggiare ecco un mosaico di immagini scattate a gennaio, che già ci suggerisce quale sarà il suo prossimo target…

Siamo sul Monte Sharp, il cumulo di rocce che Curiosity sta scalando dal settembre 2014. Al centro dell’immagine il prossimo grande obiettivo scientifico del rover: un’area che è stata avvistata dall’orbita, e che all’apparenza sembra contenere minerali argillosi, e l’argilla non è altro che un sedimento estremamente fine, che per formarsi richiede acqua. Nell’immagine di apertura quest’area è stata evidenziata in bianco per rendere l’idea della forma del sedimento argilloso (qui sotto la stessa zona in un’immagine, sempre elaborata per sembrare in luce diurna terrestre, ma senza l’evidenziazione dei sedimenti argillosi).

Non è più una novità, e le analisi dei dati di Curiosity lo hanno già mostrato molte volte, che gli strati inferiori del Monte Sharp si sono formati all’interno di laghi che, un tempo, ricoprivano il fondo del Cratere Gale, ma quell’area potrebbe fornire utili informazioni non solo sull’effettiva presenza di acqua nel passato, ma anche per comprendere per quanto tempo potrebbe essere esistita e se quell’antico ambiente fosse potuto essere adatto per la vita.

Leggi l'approfondimento sullo stato della ricerca, successi, insuccessi e piani visionari per la colonizzazione di Marte, su Coelum 205. Una panoramica sulle scoperte storiche fatte dalle sonde che si sono susseguite nel tempo. Clicca sulla copertina per iniziare a leggere... gratuitamente!
Da poco il rover ha ricominciato a testare nuovamente trapano, aggirando il guasto che ne ha interrotto le operazioni nel dicembre 2016, e ora il team scientificonon vede l’ora di poter analizzare campioni di roccia estratti da quel fondo argilloso che vediamo nel mosaico, al centro dell’immagine. Le fasi di trapanazione e consegna del materiale estratto ai laboratori di bordo del rover è ancora in fase di perfezionamento, ma il prossimo target è già deciso.

Curiosity è atterrato su Marte nell’agosto del 2012, e da quel giorno ha percorso 18,7 chilometri. Nel 2013, la missione ha trovato la prova di un antico ambiente di laghi d’acqua dolce che offriva tutti gli ingredienti chimici di base per la vita microbica, e da quando ha raggiunto Monte Sharp, nel 2014, Curiosity sta studiando in lungo e in largo questi ambienti che hanno dimostrato di poter ospitare la vita, analizzando ovunque acqua e vento hanno lasciato segno del loro passaggio.

E ora aspettiamo i risultati dei prossimi 2000 Sol… come si dice, cento, anzi due mila di questi giorni, Curiosity!


Oggetti Volanti *Identificati*
sul nuovo Coelum Astronomia di marzo!

Nelle cronache di questi giorni ma anche come target osservativi e di ripresa! #FalconHeavy #Tiangong-1 #Tesla #ISS #SatellitiArtificiali

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Gruppo Astrofili Vicentini

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Gruppo Astrofili VicentiniConvegni presso la sede del Giornale di Vicenza, ore 17:00:
03.03: Dott. Natalino Fiorio “NEL REGNO DEL SOLE”.
31.03: Dott. Paolo Ocner astronomo presso l’osservatorio di Asiago “IL SOLE”.

Corso di cosmologia:
presso la nostra sede ad Arcugnano ore 21:00

28.02: “una cartolina dal Big Bang. La cosmologia moderna da Einstein al WMAP” 1° lezione
07.03: “tutto quello che non vediamo. Il modello standard della cosmologia contemporanea” 2° lezione
14.03: “verso l’infinito…e oltre! Il multiverso e le altre ipotesi dei cosmologi contemporanei” 3° lezione

Osservazioni presso la sede di Arcugnano:
25.03: “osserviamo la nostra Stella” osservatorio aperto dalle 14:30 alle 17:30

Ogni martedì del mese l’osservatorio sarà aperto al pubblico dalle ore 20:30.

Sede ed Osservatorio: Via Santa Giustina 127 – 36057 Arcugnano (VI).

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Né UFO né Tiangong-1…

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Per saperne di più sul rientro della Tiangong-1, sulla sua storia, su cosa dobbiamo aspettarci ed eventualmente come riprenderla prima che si distrugga... leggi l'approfondimento cliccando le immagini e tieniti aggiornato con le nostre news! Su coelum.com e sui nostri social.
Frame del video di Vallo di Diano, credit: OndaNews.it
di Sofia Lincos

Nella notte tra il 24 e il 25 marzo decine di persone sul suolo italiano hanno assistito a uno spettacolo davvero insolito: una lunga scia luminosa nel cielo, simile a una stella cadente ma molto più lenta e luminosa. Ne hanno parlato, tra gli altri, La NazioneInMeteoInfoCilentoIl Corriere della CittàL’Occhio di Salerno, riportando numerose testimonianze e segnalazioni provenienti specialmente dall’Italia centrale e meridionale, da Lucca fino a Salerno (ma nei commenti alcune persone parlano di avvistamenti anche dal Ponente Ligure).

Diversi video sono comparsi tra questa notte e questa mattina in rete, tra cui segnaliamo quello di OndaNews,proveniente da Vallo di Diano (SA), quello girato da Mario Cribello a Pozzuoli (NA) e quello riportato dal sito H24Notizie ripreso a Fondi (LT). Amalfi News ha invece pubblicato una serie di fotografie.

In comune la descrizione del fenomeno (una lunga scia luminosa, durata circa 20 secondi) e l’orario (le 3:30 circa ora italiana del 25 marzo; considerando l’ora legale e la differenza di fuso orario, circa le 1:30 UTC).

Per saperne di più sul rientro della Tiangong-1, sulla sua storia, su cosa dobbiamo aspettarci ed eventualmente come riprenderla prima che si distrugga... leggi l'approfondimento cliccando l'immagine (goo.gl/PS46Cy) e tieniti aggiornato con le nostre news! Su coelum.com e sui nostri social.

Molti media hanno subito fatto il collegamento con la Tiangong-1, la stazione spaziale cinese sfuggita al controllo nel 2016 e che, secondo le stime dell’ESA, dovrebbe rientrare in atmosfera nei prossimi giorni, con qualche possibilità che capiti sull’Italia centro-meridionale (tranquilli, però: come spiegava due giorni fa Coelum Astronomia, le probabilità sono decisamente dalla nostra parte, e l’eventualità che qualche frammento raggiunga il nostro Paese davvero remota). Un collegamento improprio: la stazione spaziale cinese è ancora troppo alta in cielo, e il rientro deve ancora avvenire.

Il mistero è stato invece svelato dall’astrofilo Marco Langbroekuna delle voci più autorevoli nel campo delle osservazioni di “spazzatura spaziale”, che da anni si occupa di rientri di razzi e satelliti artificiali.

Quello osservato sui cieli dell’Italia era con tutta probabilità il terzo stadio del vettore Soyuz-FG partito dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, il 21 marzo scorso, con l’obiettivo di far arrivare alla stazione spaziale internazionale (ISS la navetta Soyuz con gli astronauti Drew Feustel e Ricky Arnold (NASA) e il cosmonauta Oleg Artemyev (Roscosmos). L’operazione, che ha completato l’equipaggio della ISS prevista per l’Expedition 55, è stata portata a termine con successo.

Il rientro del terzo stadio della Soyuz, separatosi come previsto dalla navetta nel corso delle normali operazioni di lancio, era previsto proprio per la notte tra il 24 e il 25 marzo, e si è verificato all’1:25 UTC (cioè alle 3:25 ora italiana). Gli orari coincidono con le testimonianze italiane, quindi, e non lasciano dubbi sulla reale natura dell’oggetto avvistato.

È possibile per altro vedere la ricostruzione della traiettoria dello stadio Soyuz elaborata da Marco Langbroek (che, come si vede, passa per l’Italia).

I rientri di spazzatura spaziale visibili dall’Italia sono in effetti abbastanza rari, e non deve stupire se molte persone sono rimaste stupire e impressionate dallo spettacolo. Contrariamente a quanto in molti hanno temuto non si trattava però di oggetti “alieni”, ma di oggetti decisamente umani.

Si ringrazia per la collaborazione Guido Bertolino, Roberto Labanti, Pasquale Russo (CISU), Giuseppe Stilo (CISU)



Tiangong-1: si avvicina il rientro in atmosfera. Dove potrebbe cadere?

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No.. non si è già incendiata, sono le immagini radar della Tiangong-1 riprese dall’Istituto Fraunhofer per la Fisica delle alte frequenze e tecniche Radar (FHR) a Wachtberg, che ne stanno monitorando il rientro. La ripresa è stata ottenuta durante un passaggio della stazione spaziale cinese a una quota di circa 270 km. Crediti: Fraunhofer FHR
DI MASSIMO ORGIAZZI · Astronautinews.it

La “defunta” stazione spaziale cinese sta perdendo quota ormai da diversi mesi e si avvicina il suo rientro nell’atmosfera terrestre. Sebbene si preveda che questo possa avvenire tra l’ultima settimana di marzo e la prima di aprile, nessuno sa dare una previsione affidabile del momento e del luogo, ma in molti, tra agenzie spaziali e semplici appassionati, ci stanno provando.

Il laboratorio spaziale Tiangong-1 fotografato da Deimos Sky Survey il 15 gennaio 2018 (fonte: ESA)

Tiangong-1 è stato il primo laboratorio orbitante del programma spaziale cinese: è stato lanciato in orbita il 29 settembre del 2011 e ha ospitato tre missioni Shenzou, di cui due con equipaggio. Il laboratorio è stato l’apripista per missioni nello spazio via via più ambiziose, cui ha fatto seguito Tiangong-2 da poco utilizzato e alla quale seguirà la prossima stazione cinese, con ogni probabilità la prima ad essere permanentemente utilizzata, il cui primo modulo, Tianhe, dovrebbe essere lanciato quest’anno. Con una lunghezza di 10,4 metri, un’altezza massima di circa 3,5 metri e una massa totale di 8,5 tonnellate, Tiangong-1 è dotato di un modulo di servizio, un laboratorio e di un modulo di attracco.

Clicca sull'immagine per leggere l'approfondimento sulla storia del Palazzo Celeste in Coelum astronomia di marzo (in formato digitale e gratuito).

Si tratta quindi di un veicolo spaziale decisamente notevole, sia come massa che come dimensioni, per cui esiste una probabilità non nulla che suoi frammenti possano raggiungere il suolo. Si capisce quindi perché preoccupazioni in merito ad un possibile schianto su zone abitate siano state sollevate da diverse fonti negli ultimi mesi.

Dopo una fase di silenzio radio che già i radioamatori avevano fatto notare, nel corso del 2016 l’agenzia spaziale cinese era stata costretta ad ammettere che i contatti con Tiangong-1 erano stati persi. Tuttavia la quota della stazione non è andata immediatamente calando e l’assetto, stanti le osservazioni, non è stato apparentemente perso, facendo pensare che a bordo i sistemi fossero ancora funzionanti. Dal quel momento, però, agenzie spaziali, osservatori professionali e semplici appassionati, hanno cominciato a monitorare la situazione del laboratorio orbitale. L’ESA, in particolare, guida la campagna di osservazioni richieste dall’ONU e dall’IADC (Inter Agency Space Debris Coordination Committee).

Tiangong-1 ripresa durante un sorvolo sui cieli della Francia dal fotografo Alain Figer (fonte: ESA)

Nonostante il numero di osservazioni e di modelli sviluppati, non è però possibile sapere con certezza la data e il luogo preciso in cui avverrà il rientro in atmosfera. Tuttavia, tanto più il tempo passa e gradatamente ci si avvicina all’evento, tanto più la precisione della finestra aumenta: insieme alle agenzie spaziali, molti appassionati si stanno cimentando in una sorta di toto-rientro che sta assumendo connotati decisamente competitivi.

Quanto è possibile sapere è che il rientro avverrà su latitudini inferiori ai 42,75° e questo perché l’orbita del veicolo è inclinata sull’equatore proprio di quella quantità. Dalla mappa dell’ESA, aggiornata il 15 marzo, le zone che ricadono nelle traiettorie delineate in verde scuro sono quelle che hanno maggiore probabilità di trovarsi nella zona di rientro e di possibile impatto. Nella porzione sinistra del grafico, si trova il calcolo della densità di popolamento delle aree disposte lungo i paralleli. Nel caso dell’Italia, le regioni esposte al rischio sono quella dalla Toscana verso sud.

L’area di potenziale rientro di Tiangong-1, a sinistra, in base al parallelo, viene indicata la densità di popolazione, a destra la probabilità di impatto, come si vede la probabilità è più alta nei due estremi nord e sud della fascia verde. Sono invece sicuramente a rischio zero le zone al di fuori. (fonte: ESA).

Le perplessità come detto, sono legate al timore che i frammenti più grossi del veicolo spaziale possano giungere al suolo, sebbene appunto ci si aspetti la che grossa parte della sua massa si frantumi al primo impatto con gli strati più esterni dell’atmosfera. Il danno collegato ad un eventuale arrivo a terra di parte dei frammenti si prevede comunque molto limitato, mentre le maggiori preoccupazioni sono legate al caso in cui i serbatoi di propellente dovessero raggiungere il suolo intatti, dal momento che la monometilidrazina è tossica e c’è la possibilità che Tiangong-1 ne contenga ancora una quantità importante.

Il piano di rientro originale di Tiangong-1 era ovviamente quello di un rientro controllato: se fosse stato possibile, l’agenzia spaziale cinese, arrivati a questo punto, avrebbe previsto l’accensione dei propulsori per dirigere la discesa verso zone non popolate del pianeta e, come quasi sempre succede in questi casi, si sarebbe selezionata l’area dell’oceano Pacifico meridionale.

Tuttavia, oltre al dove, esiste il problema del quando avverrà il rientro distruttivo ed è qui che le previsioni stanno assumendo forme sempre più simili a una gara competitiva. Le voci più autorevoli tra gli appassionati hanno previsto che accadrà tra il 31 marzo e il 1° aprile, con una tolleranza di più o meno 3-5 giorni. Marco Langbroek si spinge a restringere la finestra centrata sul 31 marzo a ± 3 giorni.

Come riferisce l’ESA, nessuno saprà con buona approssimazione i dati del rientro se non un giorno prima che questo avvenga e anche quella sarà una previsione ancora estremamente grossolana. Di fatto, allo stato della tecnologia attuale, una previsione dell’ordine di chilometri per un rientro non controllato è semplicemente impossibile. L’incertezza associata alla previsione per un rientro non controllato è esprimibile nell’ordine del 20% del tempo orbitale rimanente. In pratica, questo significa che anche 7 ore prima dell’effettivo rientro, l’incertezza sul punto d’impatto rimane equivalente ad una completa rivoluzione orbitale, cioè letteralmente più o meno migliaia di chilometri.

Quanto di più preciso si può ottenere al momento è contenuto in questi grafici (qui sotto, cliccare per ingrandire l’immagine)aggiornati dall’ESA periodicamente. Nel primo si osserva l’assottigliarsi della finestra temporale di rientro che va a restringersi sempre più tra fine marzo e inizio aprile, mentre nel secondo la finestra viene descritta in funzione della quota alla quale si trova il veicolo spaziale.

Il Fraunhofer Institut sta attivamente monitorando il decadimento dell’orbita di Tiangong-1 con l’antenna TIRA da 34 metri di diametro che combina un’immagine radar prodotta sulla banda ku e sulla banda I. Rispetto all’osservazione nel campo del visibile, l’osservazione radar ha degli specifici vantaggi, tra cui l’indipendenza dalla situazione meteorologica, la possibilità di operare sia di notte che di giorno e una risoluzione che è indipendente dalla distanza dall’oggetto. I risultati dell’osservazione radar sono stati di recenti condivisi e appaiono essere di una definizione decisamente notevole. Da essi si evince che la struttura di Tiangong-1 è ancora perfettamente conservata.

Tiangong-1 ovviamente non è il primo oggetto spaziale di massa relativamente elevata a rientrare nell’atmosfera con possibilità di impatto. I casi più eclatanti, tralasciando qui una lunga serie di satelliti di grandi dimensioni, sono stati quello di veicoli spaziali della stessa categoria di Tiangong-1, ovvero stazioni spaziali.

I rientri di oggetti di dimensioni simili alla Tiangong-1 Credit: ESA CC BY-SA 3.0 IGO

In ordine di massa descrescente la Mir, rientrata il 23 marzo del 2001 senza conseguenze al suolo, ma che aveva seguito una discesa controllata, e lo Skylab, letteralmente sfuggito di mano alla NASA, rientrato l’11 luglio del 1979 in Australia e resosi responsabile del decesso di una mucca. Altri notevoli casi sono raccolti nella tabella dell’ESA riportata sopra, dove tra gli esemplari più “leggeri”, si trovano i moduli di servizio e di comando delle missioni Apollo, tra cui tutte quelle servite a testare i veicoli nell’orbita terrestre, come le missioni Apollo 5, 6, 7 e 9, ma anche la prima missione ad orbitare intorno alla Luna con equipaggio, ovvero l’Apollo 10. Lo stesso destino potrebbe toccare in una decina d’anni all’imponente massa della Stazione Spaziale Internazionale, visto e considerato che la NASA ha espresso l’intenzione di non continuare a sostenere lo sforzo congiunto di mantenimento dopo il 2024 e i partner internazionali con ogni probabilità seguiranno la stessa decisione, data anche la progressiva obsolescenza che i componenti della stazione affronteranno nel prossimo quinquennio.

Il rientro controllato del satellite ESA ATV 1, rientrato e distrutto in atmosfera nel settembre del 2008

Detto quanto sopra, le probabilità che il rientro di Tiangong-1 causino danni sono estremamente contenute e considerando l’estensione della fascia di rientro, le probabilità che la discesa e un possibile impatto avvengano sull’oceano sono preponderanti. Tuttavia per chi fosse interessato a seguire l’evoluzione degli eventi, è possibile consultare la pagina ESA dedicata agli aggiornamenti su Tiangong-1.

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(C) Associazione ISAA – Licenza CC BY-NC PLUS



La stella che sfiorò il sistema solare

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La Stella di Scholz apparsa nel cielo circa 70.000 anni fa. In realtà non sarebbe dovuta essere visibile a occhio nudo, a meno di improvvisi flare che potrebbero averla resa visibile ai nostri antenati (credito: José A. Peñas/SINC)
La “Stella di Scholz”, che in realtà sappiamo essere un sistema binario, apparsa nel cielo circa 70.000 anni fa. La sualuminosità non era tale da renderla visibile a occhio nudo,  ma un improvviso flare, comune in questo tipodi binaria, avrebbe potuto renderla visibile per un breve periodo ai nostri antenati (credito: José A. Peñas/SINC)

Settantamila anni fa una piccola stella, la stella di Scholz, è passata vicinissimo al nostro sistema solare, possiamo dire che l’ha letteralmente sfiorato. Passando a circa 0.6 anni luce dal nostro Sole, la sua attrazione gravitazionale ha presumibilmente influenzato la traiettoria di diversi corpi fra asteroidi e comete che si trovavano nella nube di Oort.

La scoperta, risalente al 2015, trova ora nuove conferme grazie a un nuovo studio pubblicato dai fratelli CarloRaul de la Fuente Marcosdella Complutense University of Madrid assieme a Sverre J. Aarseth dell’University of Cambridge.

Oggi la stella passeggera si trova a circa 20 anni luce dai noi. Nel 2015, ricostruendo la sua traiettoria a ritroso, è stato possibile calcolare il periodo e la posizione del suo passaggio ravvicinato. La nuova ricerca, pubblicata su MNRAS letters journal, analizzando 340 oggetti con traiettoria iperbolica(un’orbita aperta a forma di V), ha conferma che un oggetto massiccio ha disturbato le orbite di questi corpi circa settantamila anni fa.

«Usando simulazioni numeriche abbiamo calcolato i radianti o la posizione nel cielo da cui tutti questi oggetti iperbolici sembrano provenire» ha spiegato l’astronomo Carlos de la Fuente Marcos. «Ci si aspetterebbe che queste posizioni siano distribuite in maniera omogenea nel cielo, in particolare se questi oggetti vengono dalla nube di Oort; ciononostante, ciò che abbiamo trovato è molto differente: un accumulo di radianti statisticamente significativo. La pronunciata maggior densità appare proiettata nella direzione della costellazione dei Gemelli, che corrisponde con l’incontro ravvicinato della stella di Scholz».

Rappresentazione artistica della stella di Scholz e della sua compagna nana bruna (in primo piano) durante il loro passaggio ravvicinato al sistema solare 70.000 anni fa. Dal loro punto di vista, il Sole (a sinistra sullo sfondo) sarebbe apparso come una stella molto brillante. Crediti: Michael Osadciw / University of Rochester.

La stella di Scholz in realtà è un sistema binario, una piccola nana rossa, con una massa pari al 9% di quella solare accompagnata da una piccola nana bruna. Al momento del transito la stella aveva una luminosità molto bassa, rendendola praticamente invisibile ad occhio nudo, ma le nane rosse di questo tipo sono soggette a massicci brillamenti, qualora uno di questi fosse avvenuto durante il passaggio, la stella, chiamata anche WISE J072003.20-084651.2, sarebbe stata visibile per un breve periodo, qualche ora al massimo. Non sappiamo se ciò sia accaduto, ma è di certo affascinante pensare che i nostri antenati, che all’epoca stavano lasciando l’Africa, possano aver osservato brevemente un bagliore rosso nel cielo notturno.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video realizzato da MediaInaf TV all’epoca della scoperta:


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I pianeti di Trappist-1: leggeri e pieni di acqua

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Rappresentazione artistica del sistema formato da Trappist-1 e i suoi sette pianeti rocciosi.
Rappresentazione artistica del sistema formato da Trappist-1 e i suoi sette pianeti rocciosi.

L’acqua è uno degli elementi alla base della vita, soprattutto se presente in forma liquida – come nei pianeti che si trovano nella fascia di abitabilità di un sistema esoplanetario. Ma troppa acqua potrebbe sortire l’effetto contrario, cioè quello di non consentire lo sviluppo di vita. In sintesi è questo quanto affermato da un gruppo di scienziati guidati da Cayman T. Unterborn dell’Arizona State University, i quali hanno trascorso gli ultimi mesi a studiare nel dettaglio i sette pianeti che orbitano attorno alla nana rossa ultrafredda Trappist-1 ad appena 40 anni luce dal Sole in direzione della costellazione dell’Acquario. Sono gli stessi pianeti che più di altri hanno catturato l’attenzione mediatica nell’ultimo anno, dall’annuncio della loro scoperta. Ma sono abitabili? Chiaramente è questa la domanda che tutti si fanno e studiando la loro composizione si potranno avere delle risposte.

Dalle diverse osservazioni effettuate finora si evince che i pianeti attorno a Trappist-1 sono tutti più o meno simili alla Terra come taglia, sei di loro sono rocciosi e alcuni contengono una grande quantità di acqua. Dalle misurazioni effettuate, i pianeti risultano essere curiosamente “leggeri”: esaminando massa e volume, tutti questi oggetti sembrano essere meno densi della roccia. Una bassa densità vuol dire, di solito, che potrebbe esserci un’abbondanza di gas atmosferici.

C’è un però: «I pianeti di Trappist-1 sono troppo piccoli in termini di massa per trattenere abbastanza gas in modo da compensare il deficit di densità», ha spiegato il primo autore dello studio pubblicato su Nature Astronomy. «Anche se fossero in grado di trattenere il gas, la quantità necessaria per compensare il deficit di densità renderebbe il pianeta molto più gonfio di quello che vediamo».

La soluzione al mistero si chiama H₂O, acqua. Su questo elemento il gruppo di scienziati ha focalizzato l’attenzione, utilizzando un pacchetto di software sviluppato da loro stessi chiamato ExoPlex. Gli esperti hanno potuto combinare tutte le informazioni finora raccolte su questi sette pianeti, includendo anche gli elementi chimici della stella. Ciò che hanno trovato è che i relativamente “asciutti” pianeti interni ( denominati “b” e “c”) sono composti per il 15% della loro massa da acqua (la Terra ha lo 0,02% di acqua rispetto alla sua massa totale); i pianeti esterni (“f” e “g”) presentano più del 50% di acqua rispetto alla massa (ciò equivale all’acqua presente in centinaia di oceani terrestri).

Si tratta di stime, ma l’andamento sembra chiaro: c’è molta, moltissima acqua in questo sistema planetario ed è la prima volta che vengono studiati pianeti di tipo terrestre con una quantità così abbondante di acqua ghiacciata. Ghiaccio presente anche nei pianeti più interni, perché migrati da posizioni originarie più lontane.

Sicuramente questa abbondanza di acqua non è positiva se si pensa all’eventuale abitabilità dei sette pianeti. Natalie Hinkel, Vanderbilt University, ha sottolineato: «Un pianeta acquatico, o che non ha alcuna superficie al di sopra dell’acqua, non è dotato degli importanti cicli geochimici che sono assolutamente necessari per la vita».

Per saperne di più

Sull’argomento leggi anche

➜  Le Sette Meraviglie di Trappist-1 su Coelum astronomia 210

➜ Su Coelum astronomia 204 si parla di pianeti extrasolari in occasione della scoperta di Proxima b: cos’è un pianeta extrasolare? Come si rileva? Il punto sulla ricerca: cosa ne pensano gli esperti? Intervista a Luigi Bignami. Il ruolo dell’E-ELT, l’European Extremely Large Telescope.

➜  Missione PLATO: occhi italiani alla ricerca di nuovi mondi


Nuovo incontro tra la falce di Luna e Aldebaran

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Il 22 marzo, dalle ore 22:00, sarà possibile ammirare una falce di Luna (fase del 30%) incorniciata dalle stelle del meraviglioso ammasso delle Iadi, nella costellazione del Toro. A poca distanza (circa 1° 40’) potremo vedere splendere la bella Aldebaran (mag. +0,9), la stella alfa del Toro.

Con il passare dei minuti i due astri si abbasseranno via via verso ovest per tuffarsi infine sotto la linea dell’orizzonte. Alle ore 22:30 saranno alti circa 13° per cui sarà possibile scattare delle fotografie che includano degli elementi del paesaggio.

E nei prossimi giorni…

Il 24 e 25 marzo sono i giorni giusti per l’osservazione della LUNA di marzo.
Approfondimento: Guida all’osservazione dei crateri Archimedes, Aristillus, Autolycus

E sempre 24, 25 e anche il 26 marzo tre passaggi serali da non perdere della Stazione Spaziale Internazionale, leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo

➜ Scopri le costellazioni del cielo di marzo con la UAI

Aspettiamo come sempre le vostre migliori immagini su PhotoCoelum o i racconti delle vostre esperienze osservative su segreteria@coelum.com!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di marzo su Coelum Astronomia 220

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Diretta web e un invito all’osservazione. L’ora delle Terre: altri pianeti di altri sistemi solari…

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24 marzo 2018, dalle ore 21:00

streaming su www.empiricamente.info e qui su Coelum.com

Il 24 marzo prossimo il WWF, promuove come ogni anno l’importantissima Ora della Terra che, partendo dal gesto simbolico di spegnere le luci per un’ora, unisce cittadini, istituzioni e imprese in una comune volontà di dare al mondo un futuro sostenibile e vincere la sfida del cambiamento climatico.

Per noi che ci occupiamo della scienza del cielo, l’evento diventerà: “L’ora delle Terre: altri pianeti di altri sistemi solari…”, un allargamento del progetto del WWF in ambito europeo che ci porterà nello spazio profondo. Un invito alla conoscenza di altri mondi e, forse, di altre Terre, nascosti nelle pieghe della Via Lattea. Ed è lì che potrebbe trovarsi un pianeta gemello del nostro. In poco più di vent’anni, da quando Michel Mayor e Didier Queloz scoprirono Dimidium (51 Pegasi b), abbiamo trovato migliaia di pianeti che orbitano intorno a stelle di ogni tipo. Prendere coscienza di questo fatto probabilmente ci condurrà, un giorno, a dare una risposta all’interrogativo fondamentale: esiste la vita in altri luoghi dell’universo?

Invito all’osservazione

Il 24 marzo inviteremo gli Osservatori astronomici (europei, non solo italiani), professionali e non, a rivolgere i loro telescopi verso un lontano pianeta in transito proprio in quella serata. Il suo nome è WASP-12b, un pianeta più grande di Giove, con caratteristiche assai rilevanti dal punto di vista fisico, chimico ed orbitale; la sua stella è più grande del nostro Sole e dista da noi 1400 anni luce.

La nostra proposta di un’osservazione collettiva di un transito extrasolare ha una duplice importanza: scientifica, perché le curve di luce raccolte consentiranno di definire meglio i parametri fondamentali del pianeta, e simbolica, perché rappresenta una presa di coscienza, diretta e consapevole dell’esistenza di una classe di oggetti celesti di straordinaria importanza, culturale, scientifica e filosofica per l’intera umanità.

Su Coelum Astronomia di marzo 2018, trovate la prima parte di un articolo di Rodolfo Calanca  sull’osservazione amatoriale di pianeti extrasolari, oggi.

Nell’articolo gli strumenti e le tecniche d’osservazione accessibili agli astrofili, con tanti spunti per vari livelli di esperienza, a poco più di vent’anni dalla scoperta del primo pianeta extrasolare.

La Diretta

Tra le 21:00 e le 23:00, mentre gli astronomi e gli astrofili riprenderanno la curva di luce del transito, faremo dei collegamenti in diretta con astronomi, fisici e astrobiologi, ai quali porremo domande di grande interesse culturale e scientifico. Anche l’Osservatorio astronomico INAF di Asiago parteciperà all’evento grazie alla straordinaria disponibilità del suo direttore, il prof. Roberto Ragazzoni. Tra gli ospiti anche Piergiorgio Odifreddi, Amedeo Balbi e il Maestro Eugenio Finardi.

L’evento è organizzato da:
EANweb, www.eanweb.com
Associazione culturale Empiricamente, ww.empiricamente.info
Curiuss
e dalla rivista Coelum Astronomia, www.coelum.com


Dopo nove anni di grandi scoperte, la missione di Kepler volge al termine

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DI MASSIMO ORGIAZZI · Astronautinews.it

Come spesso accade alle missioni spaziali riuscite, specialmente se di lunga durata, si vorrebbe avere un distributore di idrazina nello spazio per poterle prolungare, ma non siamo ancora arrivati a tale livello tecnologico, pertanto anche Kepler, dopo nove anni di onorato servizio, si avvicina al pensionamento.

Due delle ruote di reazione di Kepler, durante la fase di assemblaggio (Fonte: Ball Aerospace)

Lanciato nel marzo del 2009, progettato per monitorare una porzione della nostra regione della Via Lattea e scoprire pianeti extrasolari, ha dovuto fronteggiare lo spettro del termine della propria vita utile già nel 2013. Nel maggio di cinque anni fa, infatti, la NASA ha annunciato un guasto ad un giroscopio tale da compromettere il sistema di puntamento del telescopio: sembrava in effetti scritta la parola fine sulla missione, ma così non è stato. Un’estensione della missione, denominata K2 (“Second Light”), è stata resa possibile dall’utilizzo della pressione del vento solare come metodo di puntamento e orientamento della sonda. Il telescopio non ha così cessato di cercare nuovi pianeti, anche se ha visto limitato il proprio raggio d’azione ai sistemi planetari delle più deboli stelle nane rosse.

Essendo stato lanciato con  con circa 12 chilogrammi di idrazina, la NASA aveva stimato che K2, che ha richiesto che il telescopio spostasse il suo campo visivo verso nuove porzioni del cielo all’incirca ogni tre mesi (in quella che è stata definita una “campagna”), potesse condurre dieci campagne con il combustibile rimanente. Tuttavia la stima era stata sin troppo prudente, perché se così fosse stato, dopo soli 30 mesi anche l’estensione sarebbe giunta alla conclusione. Ad oggi Kepler ha invece completato ben 16 campagne e durante il mese di marzo ha cominciato la diciassettesima.

Il volume di ricerca di Kepler nel contesto della Via Lattea (fonte: Smithsonian Institute)

Anche Kepler ricade quindi nel novero delle molte “eroiche” missioni NASA che non hanno avuto uno svolgimento perfettamente “nominale”, ma che hanno trovato un modo per continuare a lavorare nello spazio o su altri pianeti (basti pensare su tutte a Galileo e a Opportunity). La durata e gli esiti della missione sono quindi andati oltre ogni più rosea previsione, sebbene il combustibile avrà una fine e fra qualche mese accadrà l’inevitabile: Kepler si spegnerà. Di fatto, la ragione per cui Kepler ha potuto godere di una così lunga e proficua vita operativa risiede nella lungimirante decisione dei team tecnici, che nel 2009, prima del lancio, pensarono di riempire il serbatoio di idrazina completamente. Infatti, la missione primaria era stata concepita per durare appena tre anni e mezzo e i calcoli avevano considerato la necessità di 7  chilogrammi di combustibile, ma il serbatoio era così capiente che la tentazione degli ingegneri, poi ascoltata e messa in pratica, era stata quella di riempirlo completamente.

I guai del 2013 che hanno determinato il robusto cambio di piano non sono stati gli unici. Nel 2012 Kepler registrò la perdita della prima delle quattro ruote di reazione che presiedevano al puntamento e all’allineamento del telescopio rispetto ai sistemi planetari osservati. Dopo la perdita della seconda ruota, come già detto, nel 2013 fu necessario ripensare la missione in toto. Nel 2016 fu la volta in cui Kepler andò in emergency mode, modalità che prevede un’operatività minima ma consumo di combustibile elevato. Fortunatamente anche in quel caso la NASA trovo l’espediente giusto e nel giro di pochi giorni i contatti con il telescopio spaziale furono recuperati riportandolo ad una condizione di stabilità con l’antenna correttamente puntata verso la Terra.

Il campo fotometrico di ricerca di Kepler, nelle costellazioni del Cigno, della Lira e del Dragone. Credit: Carter Roberts / Eastbay Astronomical Society.

Kepler è stato la maggior fonte di scoperte di pianeti extrasolari, da quando è stata confermata l’esistenza del primo, nel lontano 1995. La NASA tiene una pagina di statistiche dalla quale si evince che la fortunata ricerca di nove anni della sonda ha totalizzato ben 2.342 pianeti scoperti, tra cui 30 con dimensione inferiori al doppio di quella della Terra e nella zona abitabile, più altri 2.245 candidati planetari. Numeri che potrebbero non fermarsi nella loro crescita, nei pochi mesi di vita rimasti al telescopio.

Il team di Kepler sta infatti pianificando di raccogliere quanti più dati scientifici possibili nel  tempo rimanente e trasmetterli sulla Terra, prima che la perdita dei propulsori alimentati a idrazina segni il punto in cui non sarà più possibile puntare Kepler verso la Terra per il trasferimento dei dati.

La NASA ha anche in programma di prendere alcuni dati di calibrazione finali con “l’ultima goccia” idrazina disponibile, per così dire, se l’opportunità si presenta. Senza avere un misuratore di gas, la NASA ha monitorato la sonda focalizzandosi sui segnali di allarme per livello di combustibile basso, come per esempio una perdita di pressione del serbatoio o variazioni repentine nelle prestazioni dei propulsori. Tuttavia alla fine, quella che è emersa è una stima di durata residua, non un dato certo. Condurre queste rilevazioni è fondamentale per avere un’indicazione di quanto tempo  rimane per continuare a raccogliere dati scientifici. Metaforicamente la situazione è simile a quella in cui ci si trova quando, sull’autostrada, si deve far benzina alla propria auto.

Sarà il caso di fermarsi a questa stazione di rifornimento o potremmo proseguire sino alla prossima? Nel caso di Kepler non ci sono stazioni, ma è il caso di decidere con un certo anticipo sin quando conviene raccogliere dati avendo certezza di poterli ancora trasmettere a Terra evitando di perderli nel freddo dello spazio su una sonda senza combustibile. A differenza di missioni come quelle in orbita intorno alla Terra per cui occorre evitare impatti con altri satelliti o operanti in condizioni critiche (come Cassini, che si è preferito mandare in rotta di collisione con Saturno per evitare la contaminazione radioattiva di alcune lune), per Kepler non si pone alcuno di questi problemi. Fluttuante e solitario nello spazio profondo, ci si potrà permettere di usare sino all’ultima goccia di idrazina per ottenere tutti i dati ancora scaricabili.

Rappresentazione artistica di TESS (fonte: NASA).

Ma mentre Kepler si prepara al pensionamento, TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) si prepara per il lancio. Il nuovo telescopio per la ricerca di esopianeti dovrebbe essere lanciato il 16 aprile da Cape Canaveral su un Falcon 9 di SpaceX e si occuperà come il suo predecessore di trovare le piccolissime variazioni di luminosità nelle stelle in cerca di pianeti extrasolari con il metodo dei transiti.

La novità di TESS sarà che che questo telescopio, a differenza di Kepler, potrà esplorare quasi l’intera volta celeste in un periodo osservativo di due anni. Con TESS sarà così possibile trovare anche i pianeti rocciosi più piccoli attorno a stelle molto brillanti a meno di 300 anni luce dalla Terra, aggiungendo nuove scoperte alla preziosissima eredità di Kepler.

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Su Coelum 204 si parla di pianeti extrasolari in occasione della scoperta di Proxima b: cos’è un pianeta extrasolare? Come si rileva? Il punto sulla ricerca: cosa ne pensano gli esperti? Intervista a Luigi Bignami. Il ruolo dell’E-ELT, l’European Extremely Large Telescope.

Missione PLATO: occhi italiani alla ricerca di nuovi mondi

Osservazione amatoriale dei pianeti extrasolari, esempi, tecniche e spunti in vista di una trasmissione streaming sull’argomento.


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27.03 ore 20:00: Parlando di Astronomia a Ceccano (FR)

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Risolto il mistero delle luci violette

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Steve con la Via Lattea sullo sfondo. Crediti: Nasa Goddard Image Courtesy Krista Trinder
Steve con la Via Lattea sullo sfondo. Crediti: Nasa Goddard Image Courtesy Krista Trinder

Si chiama Steve, acronimo di Strong Thermal Emission Velocity Enhancement. È stato scoperto nel 2016 ma fino ad ora non si sapeva cosa fosse. Non è una comune aurora polare, sebbene le assomigli. Le aurore polari, causate dall’interazione delle particelle cariche di origine solare con la ionosfera terrestre, sono caratterizzate principalmente da estese bande luminose, tipicamente rosse, verdi o azzurre che si presentano come ovali attorno ai poli magnetici terrestri, chiamati ovali aurorali. Steve invece si presenta come un nastro viola molto stretto e scintillante, a volte accompagnato da piccole strisce verdi simili a dita aguzze o a travi di una staccionata, osservato in cielo per un tempo variabile da 20 minuti a un’ora. Per la prima volta, grazie alla sinergia tra la citizen science (persone entusiaste di alcuni argomenti scientifici, senza necessariamente un background formativo specifico) e i ricercatori di vari istituti coinvolti, finalmente si è riusciti a scoprire qualcosa di più di questo strano fenomeno ottico.

La notte del 25 luglio 2016 Steve è stato osservato da diverse persone che hanno riportato l’avvistamento, con fotografie e accurate descrizioni, sul sito di un progetto di citizen science chiamato Aurorasaurus. Finanziato dalla Nasa e dalla National Science Foundation, il progetto registra le aurore boreali attraverso report e tweet inviati dagli utenti. In quell’occasione ci furono moltissimi reportdell’avvistamento di un qualcosa che, chiaramente, era molto diverso da un’aurora polare. Il progetto Aurorasaurus è guidato da Liz MacDonald, una scienziata del Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, nel Maryland, e chiunque può parteciparvi attraverso il sito aurorasaurus.org, inserendo i propri avvistamenti.

L’aurora Steve. Crediti: Nasa Goddard/Megan Hoffman

Ora uno studio pubblicato su Science Advances, di cui Liz MacDonald è la prima autrice, riporta le osservazioni terrestri e spaziali del fenomeno, osservato per la prima volta anche dai satelliti Swarm dell’Esa. I risultati confermano che non si tratta di una normale aurora. Le osservazioni mostrano che Steve è associato a un flusso molto forte di particelle cariche nella ionosfera ma interessa strati più bassi dell’atmosfera, che lo rendono visibile a latitudini inferiori. «Steve può aiutarci a capire in che modo i processi chimici e fisici che avvengono nella parte superiore dell’atmosfera terrestre possono talvolta avere effetti locali evidenti nelle parti inferiori dell’atmosfera stessa, fornendoci una buona visione di come il sistema terrestre funzioni nel suo complesso», ha affermato la MacDonald.

L’unicità di Steve risiede in alcuni dettagli: mentre il processo di creazione su larga scala è lo stesso di quello di un’aurora, Steve percorre linee del campo magnetico terrestre diverse rispetto all’aurora. Tutte le immagini e i video raccolti mostrato che Steve appare a latitudini molto più basse. Ciò significa che le particelle cariche che creano Steve si collegano a linee di campo magnetico che sono più vicine all’equatore terrestre, ed è per questo che Steve viene spesso visto anche nel Canada meridionale. Forse la sorpresa più grande è apparsa nei dati satellitari, dai quali si evince che Steve è originato da un flusso di particelle estremamente calde che si muovono rapidamente, chiamate Said (sub auroral ion drift, deriva sub aurorale di ioni). Gli scienziati stanno studiando queste particelle dal 1970, ma non pensavano che avessero una controparte ottica. I satelliti Swarm hanno registrato informazioni sulle velocità e le temperature delle particelle cariche, ma non avendo imager a bordo, non hanno potuto fare foto dall’alto.

Alcuni dettagli di Steve. Crediti: Nasa Goddard

Steve è una scoperta importante per la sua posizione nella zona sub aurorale, un’area di latitudine inferiore rispetto a quella in cui appare la maggior parte delle aurore che non è ancora ben studiata. Grazie a questa scoperta, gli scienziati ora sanno che ci sono processi chimici sconosciuti che si svolgono nella zona sub aurorale che possono portare a questa peculiare emissione di luce. Inoltre, Steve appare costantemente in presenza di aurore, che di solito si verificano in una zona di latitudine più elevata, chiamata zona aurorale. Ciò significa che nello spazio vicino alla Terra sta accadendo qualcosa che porta sia a un’aurora che a Steve. Steve potrebbe essere l’unico indizio visibile in grado di dimostrare una connessione chimica, o fisica, tra la zona aurorale di latitudine più alta e la zona sub aurorale a latitudine inferiore.

Insomma, l’aurora polare e Steve è come se fossero gusti diversi di gelato, ha suggerito la MacDonald: hanno la stessa origine, le particelle cariche del Sole che interagiscono con le linee del campo magnetico terrestre, ma di fatto non sono la stessa cosa.

Leggi anche L’incredibile bellezza delle aurore polari. Terrestri …ed extratterestri di Giuseppe Petricca
Un incredibile spettacolo di luci e scienza su Coelum astronomia 219 di  febbraio 2018


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Ultima tappa: la Luna e Urano

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Eccoci giunti all’ultimo incontro della Luna con i pianeti del Sistema Solare del mese di marzo.

Il 19 marzo, la sottile falce di Luna crescente (fase del 5%) avvicinerà il pianeta Urano (mag. +5,9) a una distanza di circa 4° 53’, al limite dell’osservabilità a occhio nudo (ma serve un cielo davvero buio, limpido e una vista acuta, basta però già un piccolo strumento per individuarlo).

Più in basso, verso l’orizzonte, sarà ancora possibile scorgere la coppia Venere e Mercurio, incontrati il giorno prima.

Un’altra ottima occasione poi per tentare la ripresa e l’osservazione della luce cinerea della Luna.

➜ Le falci lunari di marzo di Francesco Badalotti su Coelum Astronomia 220

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Indietro nel tempo a passo di… Granchio

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La Nebulosa del Granchio non passa mai di moda, ripresa in tutte le lunghezze d’onda possibili, è in particolare sotto l’occhio dell’Osservatorio Spaziale a Raggi X Chandra da quasi vent’anni. Si celebrerà il prossimo anni, infatti, il ventesimo anniversario di Chandra, e per prepararsi ai festtggiamenti la NASA rilascia questa nuova immagine ottenuta da osservazioni in multifrequenza assieme ai dati raccolti dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer.

La Nebulosa del Granchio è stato anche uno dei primi oggetti che Chandra ha esaminato con la sua nitida visione a raggi X, e che ha continuato periodicamente a osservare in tutto questo lasso di tempo.  Ma perché questa Nebulosa in particolare è così tanto studiata?

Una delle ragioni principali è che si tratta di uno dei pochi casi in cui ci sono forti prove storiche di quando la stella da cui nasce è esplosa. Avere una data, e quindi una anzianità della nebulosa, permette ai ricercatori di comprendere meglio i dettagli dell’esplosione e le sue conseguenze.

Per la nebulosa Granchio infatti, testimonianze da diversi paesi hanno riferito dell’apparizione di una “nuova stella” nel 1054 d.C., nella direzione della costellazione del Toro. Da allora si è imparato molto: oggi sappiamo che la Nebulosa del Granchio è alimentata da una stella di neutroni molto potente e fortemente magnetizzata, chiamata pulsar, che si è formata quando una stella massiccia ha esaurito il suo combustibile nucleare ed è collassata.

L’immagine a raggi X, resa in colori tra il bianco e il blu, ottenuta da Chandra che mostra la struttura delle emissioni ad alta energia della pulsar al centro della nebulosa, conosciuta anche con le sigle PSR B0531+21 o PSR J0534+2200. Crediti: CXC.

La combinazione della rotazione rapida della pulsar e del forte campo magnetico genera un intenso campo elettromagnetico che crea getti di materia e anti-materia che si allontanano dai poli nord e sud della pulsar oltre ad un vento intenso che fluisce invece nella direzione equatoriale. Ed è proprio grazie alle osservazioni a raggi X di Chandra che possiamo vedere questi getti ad alta energia uscire dal polo, e notare l’espasione equatoriale dei gas.

L’estensione della nebulosa, nell’imagine a raggi X, è meno estesa rispetto a quelle prese in altre lunghezze d’onda, perché gli elettroni estremamente energetici che emettono radiazione nei raggi X, irradiano più velocemente la loro energia, di quelli che invece emettono radiazione nella luce visibile e in quella infrarossa.

L’immagine di Chandra sommata invece proprio a due immagini in queste due più “tranquille” bande di radiazione – in luce visibile grazie al telescopio spaziale Hubble (resa in color porpora) e all’infrarosso grazie al telescopio spaziale Spitzer (in rosa scuro), vedi le immagini qui sotto – ci mostra la nebulosa in tutta la sua estensione e in tutti i dettagli invisibili in qualsiasi altro caso.

Questa immagine composita si aggiunge quindi a una eredità scientifica, di Chandra sulla Nebulosa Granchio, che copre quasi due decenni. Di seguito un veloce escursus su alcuni degli studi e delle informazioni che gli astronomi sono riusciti a raccogliere da questa raccolta di immagini di Chandra e il contributo di altri telescopi spaziali in più lunghezze d’onda.

Tutte le immagini possono essere cliccate e ingrandite, anche per notare la crescita della differenza di dettaglio nel tempo.

1999

 

Credit: NASA/CXC/SAO

Poche settimane dopo essere stato messo in orbita dallo Space Shuttle Columbia, nell’estate del 1999, Chandra osserva la Nebulosa Granchio. I dati rivelano caratteristiche mai viste prima, compreso un anello luminoso di particelle ad alta energia attorno al cuore della nebulosa.

L’immagine è del 29 agosto 1999, e ricopre un campo di larghezza di 2,5 minuti d’arco.

2002

La natura dinamica e in continua evoluzione della Nebulosa del Granchio viene chiaramente rivelata nel 2002, quando gli scienziati rilasciano dei video costruiti su osservazioni coordinate, tra Chandra e Hubble, effettuate nell’arco di diversi mesi. L’anello luminoso osservato in precedenza,  mostra circa due dozzine di nodi che si formano, brillano e sbiadiscono, oscillando e, occasionalmente, esplodono formando nubi di particelle in espansione, ma rimanendo poi approssimativamente nella stessa posizione.

Credit: NASA/CXC/ASU/J.Hester et al.

Questi nodi sono causati da un’onda d’urto, simile a un boom sonico, in cui particelle che vengono velocemente espulse dalla pulsar collidono con quelle del gas circostante. Alcuni ciuffi luminosi, originati da questo anello, si vedono muoversi verso l’esterno – a metà della velocità della luce – per formare un secondo anello di espansione più ampio e distante dalla pulsar.

Le immagini sono state riprese il 25 novembre e 18 dicembre 2000, il 9 e il 31 gennaio 2001, il 21 febbraio, il 15 marzo e il 15 aprile 2001, per un totale di 46 ore di posa.

2006

Credit: X-ray: NASA/CXC/ASU/J.Hester et al.; Optical: NASA/ESA/ASU/J.Hester & A.Loll; Infrared: NASA/JPL-Caltech/Univ. Minn./R.Gehrz

Nel 2003, entra in funzione il telescopio spaziale Spitzer, che si unisce a Chandra e Hubble, e all’Osservatorio in raggi gamma Compton, completando il programma “Great Observatory” della NASA. Pochi anni dopo, nel 2003 appunto, ecco il primo risultato di una immagine composita in multifrequenza con i dati di Chandra (in blu chiaro), di Hubble (verde e blu scuro) e di Spitzer (rosso).

Il campo dell’immagine è ora di 7,8 minuti d’arco per lato.

2008

Mentre Chandra continua a raccogliere immagini della nebulosa, i ricercatori hanno sempre più materiale per osservare le modifiche che avvengono al suo interno. Nel 2008, osservano per la prima volta il debole confine del vento stellare della pulsar al centro della nebulosa (il pallino bianco al centro), sottoforma di un bozzolo di particelle ad alta energia che la circondano.

NASA/CXC/SAO/F.Seward et al

Strutture che gli astronomi  chiamano “dita”, “anelli” e “baie”, sono caratteristiche che indicano che il campo magnetico della nebulosa e dei filamenti di materia fredda controllano il movimento di elettroni e positroni (anti-elettroni). L’anello interno vine visto come onda d’urto al confine tra la nebulosa tutto attorno e il flusso di materia e antimateria proveniente dalla pulsar.

Le particelle si muovono infatti rapidamente lungo il campo magnetico e possono viaggiare per diversi anni luce prima di irradiare la loro energia. Al contrario, in direzione perpendicolare al campo magnetico si muovono molto più lentamente e viaggiano solo per una breve distanza prima di rilasciare la loro energia. Il che spiega la formazione di lunghe e sottili dita e degli anelli così come i confini ben definiti delle “baie”.

2011

Crediti:  NASA/CXC/ MSFC/M.Weisskopf et al

Nuovi cambiamenti nella nebulosa vengono osservati grazie a timelapse costruiti con le immagini raccolte in un arco di tempo. Nel 2011, le osservazioni di Chandra, ottenute tra settembre 2010 e aprile 2011, vengono effettuate per per individuare la posizione di una serie di notevoli raggi gamma, rilevati dagli osservatori Fermi della NASA e dell’italiano AGILE. I due Osservatori in raggi gamma non erano in grado di localizzare la sorgente dei GRB all’interno della nebulosa, e si sperava di riuscire localizzarla grazie a Chandra e alle sue immagini ad alta risoluzione.

Due le osservazioni effettuate nel momento in cui si erano verificate le esplosioni in raggi gamma, ma non riuscirono comunque a ottenere una chiara correlazione tra i GRB e le immagini di Chandra. Pur non potendo dare prove dirette, aiutarono comunque i ricercatori ad affinare i loro modelli, e afornire forti indizi sul comportamento, a energie relativamente basse, delle particelle accelerate che producono brillamenti in raggi gamma.

2014

Per celebrare il 15° anniversario del lancio di Chandra, nel 2014 vengono rilasciate diverse nuove immagini di vari resti di supernova, tra i quali l’immancabile Nebulosa del Granchio. In questo caso un’immagine a “tre colori” della Nebulosa, in cui i dati dei raggi X vengono divisi in tre diverse bande di energia da associare ai tre colori di una immagine RGB: quelli a energia più bassa vengono usati per il rosso, quelli medi per il verde e quelli a più alta energia per il blu.

Nell’imagine da sinistra in alto, la nostra Nebulosa Granchio, seguita dalla G292.0+1.8, dalla Nebulosa di Tycho e in basso il resto di supernova 3C58. Crediti: NASA/CXC/SAO.

Anche qui si nota che l’estensione della nebulosa in raggi X a energia superiore è inferiore rispetto alle altre. Questo sempre perché gli elettroni ad alta energia responsabili dei raggi X a più alta energia, irradiano più rapidamente di quelli a energia più bassa, consumandosi più rapidamente e percorrendo quindi anche distanze inferiori.

2017

Credit X-ray: NASA/CXC/SAO; Optical: NASA/STScI; Infrared: NASA/JPL/Caltech; Radio: NSF/NRAO/VLA; Ultraviolet: ESA/XMM-Newton

Nel 2017 viene rilasciata una incredibile immagine della Nebulosa del Granchio ottenuta utilizzando i dati di una serie di telescopi che coprono quasi l’intera larghezza dello spettro elettromagnetico.

Le onde radio del Karl G. Jansky Very Large Array (rese in rosso), i dati nel visibile di Hubble (in verde), quelli a infrarossi di Spitzer (in giallo) e a raggi X del XMM-Newton (in blu) e, ovviamente, di Chandra (in viola). Ne abbiamo parlato al momento dell’uscita dell’immagine, perché il risultato era davvero straordinario.

In questa immagine la vediamo in una forma già più familiare, e allo stesso tempo incredibilmente dettagliata e complessa.

A questo punto, non vediamo l’ora di vedere le immagini che verranno rilasciate in occasione del ventesimo anniversario di Chandra! Per fortuna  non manca tantissimo… e nell’attesa ecco un bel video che accompagna questa nuova e suggestiva immagine:

Per saperne di più

Ulteriori immagini da Chandra, materiali multimediali e materiali correlati, nel sito dell’Osservatorio

Coelum Astronomia 208: Esplosive Supernovae!  Numero dedicato alla ricerca professionale e amatoriale di e sulle Supernovae. Cosa sono, quante ne sono esplose o ne potranno esplodere nei nostri dintorni, la fisica e i racconti dei protagonisti. In formato digitale e gratuito.

L’astronomia ebraica medievale nel Sefer Youhasin Per uno storico dell’astronomia il 1054 è l’anno della supernova nel Toro. Può l’autore del Sefer aver visto l’apparizione di questo nuovo astro ed averlo interpretato come un eccezionale segno divino, tanto da averlo indotto ad accelerare il lavoro?

Anno 1054: la supernova che divise la cristianità Una rivisitazione della datazione della comparsa della supernova per avanzare un’ipotesi sulle ragioni della mancanza di registrazioni dell’evento da parte degli osservatori europei.


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Prima tappa della sera. La Luna raggiunge Venere e Mercurio

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L’immagine mostra la disposizione dei tre astri sull'orizzonte: la sottilissima falce di Luna, poi Venere e quindi il piccolo Mercurio. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Cambiamo quindi scenario e ci spostiamo con lo sguardo sul cielo arrossato dalla luce del tramonto sull’orizzonte ovest, il giorno 18 alle ore 18:45 circa.

Potremo osservare un allineamento di tre astri: il brillante pianeta Venere (mag. –3,9) al centro, situato a 4° 50’ circa da una sottilissima falce di Luna (fase del 2%), più in basso verso sud, e a 3° 50’ dal pianeta Mercurio (mag. +0,4) posto invece a nordest di Venere.

Anche questa sarà una bella occasione per immortalare l’incontro nella cornice del paesaggio circostante, vista l’altezza davvero molto scarsa dei tre soggetti, con la Luna, il più basso dei tre, a soli 6° sull’orizzonte. Purtroppo, prima di questo orario, Mercurio sarà ancora flebile per la luce del crepuscolo. Inutile dire che il tempo per riprenderli sarà risicato, e se Venere e Mercurio si staccheranno sempre meglio nel fondo più buio del cielo, la Luna sarà molto presto troppo bassa per rientrare nella ripresa.

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

Un’ottima occasione però per tentare di riprendere la luce cinerea della Luna.

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Grazie di tutto, Mr. Hawking

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Photo credit: Steve Boxall/steveboxall.com



«Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi»
Stephen Hawking

Stephen Hawking nasce l'8 gennaio del 1942, esattamente 300 anni dopo la morte di Galileo, come ci tiene a sottolineare nella sua biografia.

Se ne è andato all’età di 76 anni Stephen Hawking, il più celebre fisico e cosmologo dei nostri tempi, noto per le sue teorie sui buchi neri e sull’origine dell’Universo, ma non solo. La famiglia comunica che se n’è andato “in pace” nella sua casa a Cambridge nelle prime ore di oggi, mercoledì 14 marzo.

Presenza di spirito, forza di volontà, una forte ironia e un pizzico di irriverenza hanno sempre caratterizzato la sua vita e i suoi successi nella ricerca, per oltre 50 anni di vita, contro ogni pronostico. Infatti, nonostante a 22 anni gli sia stata diagnosticata una rara forma di SLA e pochi anni di vita, dopo un primo momento di sconforto ha deciso di non darsi per vinto, di non arrendersi alla malattia e di portare avanti la sua grande passione per la fisica, l’astronomia e la conoscenza in generale. Da una sedia a rotelle progettata su misura, grazie a un computer e un sintetizzatore vocale, resosi necessario dopo una pesante polmonite che l’ha obbligato a respirare attraverso un tubo, ha continuato il suo lavoro di ricercatore e divulgatore, senza mai lasciarsi fermare da nulla.

La figlia Lucy racconta che aveva un’esasperata «incapacità ad accettare che ci fosse qualcosa che non poteva fare». Lui stesso, nel 1997, disse sempre con la sua onnipresente ironia: «Io accetto che ci siano alcune cose che non posso fare, ma per lo più si tratta di cose che non avrei voluto fare comunque…».

Una intensa vita pubblica, con apparizioni televisive, partecipazioni a congressi, dibattiti, lezioni, ma anche privata con due matrimoni, altrettanti divorzi, tre figli e un nipote. Senza mai “mandarla a dire”, nemmeno di fronte a personaggi come Albert Einstein, che per una tempistica coincidenza nasce proprio il 14 marzo (del 1879) – qualcuno in rete suggerisce che ora “sia stato invitato al suo compleanno” e anche noi piace pensarlo – e dalle cui teorie Hawking parte per sviluppare i suoi studi.

Stephen Hawking alla NASA nel 1980. Crediti: NASA

«Einstein sbagliò quando disse: “Dio non gioca a dadi”. La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonda gettandoli dove non li si può vedere».

Dopo le sue ricerche sui buchi neri e le origini dell’Universo – insieme a Penrose, nel 1970, pubblica un lavoro che dimostra come l’Universo sia nato da una singolarità, sarà la nascita di quello che al momento è il Modello Cosmologico di riferimento – prese la cattedra che fu di Isaac Newton, diventando Professore Lucasiano di Matematica all’Università di Cambridge, e da lì si dedicò al grande sogno di tutti i fisici teorici: la “Teoria del Tutto”. Una teoria unificatrice in grado di descrivere sia l’azione della gravità che governa il moto di stelle e pianeti sia le forze che agiscono nel mondo delle particelle subatomiche, ovvero unire le due grandi teorie della fisica contemporanea: la teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica.

Un'altra scommessa, sempre tra Hawking, Thorne e Preskill. Argomento della disputa questa volta le "singolarità nude". Come di consueto firmate con tanto di impronta digitale degli interessati...

Ma il percorso non è semplice e il mondo della fisica quantistica non sempre accetta le sue idee. Le sue ipotesi vengono considerate “eretiche” in un dibattito che diventa anche una scommessa tra lui e Kip Thorne da una parte e il fisico John Preskill dall’altra (e non sarà l’unica, d’altra parte eretiche si, ma sempre di Stephen Hawking e della sua innata ironia e voglia di mettersi, letteralmente, in gioco stiamo parlando).

Tutto gira attorno al concetto di conservazione dell’informazione di un sistema fisico, che secondo Hawking andava invece persa all’interno di un buco nero, nasce il paradosso dell’informazione all’interno di un buco nero. Nel 2004 ammetterà di avere avuto torto pagando la scommessa, anche se Kip Thorne poco convinto se ne tirò fuori, ma nemmeno questo lo fermerà e, nel 2016, pubblicherà un nuovo studio con una nuova soluzione al paradosso dell’informazione, elaborando l’idea che il buco nero possa “cancellare l’informazione pur conservandola”.
Certamente la discussione, anche senza di lui, non finisce qui…

La ricerca sulle origini dell’Universo e di una teoria che descrivesse ogni cosa, era però per lui anche e soprattutto una ricerca delle origini dell’uomo. Come dicevamo, non solo ironico ma anche irriverente, non si è mai arreso alla necessità di un “creatore” per spiegare l’origine delle cose. Ha sempre pensato che «Servirsi di Dio come di una risposta alla domanda sull’origine delle leggi equivale semplicemente a sostituire un mistero con un altro». E per lui una teoria unificata e consistente sarebbe stato solo il primo passo per comprendere «ogni cosa attorno a noi e la nostra stessa esistenza».

Alla sua straordinaria vita è stato dedicato anche un film nel 2014, La Teoria del Tutto diretto da James Marsh e interpretato da Eddie Redmayne che per la sua interpretazione si è aggiudicato l’Oscar come miglior attore protagonista, e che di Hawking dice «una mente davvero bella, uno scienziato straordinario e la persona più divertente che abbia mai avuto il piacere di conoscere».

Stephen Hawking nei Simpson

Ma Stephen Hawking non è apparso solo in un racconto della sua vita interpretato da altri, sono numerosi i suoi camei in programmi televisivi popolari tra le nuove (e non solo) generazioni: dai dissacranti The Simpson e Futurama, all’iconico Star Trek, in cui lo vediamo giocare a scacchi con l’androide Data, alla commedia dedicata al mondo “nerd” della scienza The Big Bang Theory. I Pink Floyd hanno utilizzato la sua voce nella canzone “keep talking”. Apparizioni che assieme alle tante trasmissioni dedicate alla scienza a cui ha partecipato e alle sue dichiarazioni più visionare uscite nei media di tutto il mondo, sono considerate di grande ispirazione per i giovani che vogliano intraprendere il percorso di ricercatori.

La sua ultima passione, la colonizzazione dello Spazio. Secondo Hawking non c’è speranza per la sopravvivenza dell’umanità se non colonizzando altri mondi. Nonostante sia bassa la probabilità di un disastro sulla Terra in un determinato momento, il rischio aumenta col passare del tempo e un evento catastrofico diventa quasi una certezza nei prossimi mille o 10 mila anni.

«Per quel momento dovremmo già essere sparsi nello Spazio e in altre stelle, così un disastro sulla Terra non significherebbe la fine della razza umana».

Stephen Hawking alla presentazione del progetto Breakthrough Starshot, sostenuto da lui stesso, il magnate russo Yuri Milner e Mark Zuckerberg, fondatore della piattaforma social più popolare Facebook. Foto di Bryan Bedder/Getty Images for Breakthrough Prize Foundation

Così auspica la costruzione di una base spaziale sulla Luna nei prossimi 30 anni, una missione su Marte entro il 2025 e partecipa al progetto Breakthrough Starshot, un’altra fantascientifica scommessa: un sistema di minuscole e velocissime astronavi “a vela” (spaziale) capaci di raggiungere Alpha Centauri in appena 20 anni, e raccogliere così le informazioni necessarie per la successiva tappa: i viaggi interstellari.

Oltre ogni limite, esperienze di volo a gravità zero a bordo di un aereo della Virgin Galactic di Richard Branson. Photo credit: Steve Boxall/steveboxall.com

Nessun limite quindi, mai e in nessun campo.

L’elenco delle sue idee visionarie non si esaurisce qui, sono solo alcune delle tante eredità che dovranno raccogliere le nuove generazioni di fisici teorici e cosmologi, ma non secondariamente anche comunicatori della scienza e divulgatori.

Perché parte della sua grandezza è dovuta anche al pensare che:

«Se dovessimo scoprire una teoria completa per tutto, dovrebbe diventare comprensibile per tutti, non solo per un gruppo di scienziati».

E con questo non possiamo che concludere dicendo: «Grazie di tutto, Mr. Hawking».


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Espulsioni di massa coronale, ora anche in 3D

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La rappresentazione tridimensionale ottenuta dai dati delle sonde Soho e Stereo. Le linee rosa mostrano la struttura della Cme, quelle gialle l’andamento dell’onda d’urto. Crediti:NASA’s Goddard Space Flight Center/GMU/APL/Joy Ng
La rappresentazione tridimensionale ottenuta dai dati delle sonde Soho e Stereo. Le linee rosa mostrano la struttura della Cme, quelle gialle l’andamento dell’onda d’urto. Crediti:NASA’s Goddard Space Flight Center/GMU/APL/Joy Ng

Quando le previsioni meteo indicano una bella giornata di sole e poi si scatena un nubifragio è decisamente frustrante, sopratutto quando si è deciso di fare una gita fuori porta. Immaginate allora quando a essere sbagliate sono le previsioni del meteo spaziale, che se non ci azzeccano, potrebbero esporre astronauti e satelliti a pericolose piogge di particelle cariche. Per questo motivo è importante sviluppare modelli che permettano di predire il comportamento delle espulsioni di massa coronale (Cme), conseguenza dell’attività solare, che sferzano lo spazio con protoni ed elettroni ad alta energia.

Due ricercatori, il fisico solare Ryun-Young Kwon, della George Mason University in Virginia, e l’astrofisico Angelos Vourlidas, della Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory del Maryland, hanno estratto i dati di due differenti eruzioni solari (una del marzo 2011, l’altra del febbraio 2014) raccolti da tre sonde che monitorano l’attività solare: Soho, missione congiunta di Esa e Nasa, e le due sonde gemelle Stereo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Space Weather and Space Climate.

Tre punti di vista, parafrasando una vecchia pubblicità, “is megl che uan”: sfruttando i dati delle tre sonde e inserendoli in due modelli della dinamica dell’onda d’urto che si genera dalle espulsioni di massa coronale – uno chiamato a croissant, per la forma a mezzaluna dell’onda d’urto appena nata, l’altro chiamato modello a ellissoide – è stato possibile ricostruire la struttura e la traiettoria in tre dimensioni di ciascuna eruzione solare con dati precisi sulla densità del plasma emesso, la velocità e potenza delle particelle cariche. In questo modo sono arrivate subito le prime conferme del modello teorico: l’onda d’urto ha una maggiore intensità sul “muso” della Cme, minore sui lati.

La modellazione 3D fornisce maggiori dettagli sul viaggio nello spazio dell’onda, permettendo di creare previsioni del meteo spaziale più precise, fondamentali per programmare le attività extra-veicolari degli astronauti o per definire la pericolosità delle Cme per i satelliti in orbita.

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Chury originata da una collisione catastrofica

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The comet 67P/Churyumov-Gerasimenko, which was visited by Rosetta in 2014-15, certainly appears to be the result of a collision between two comets. A new study explains how and when the collision occurred. - Image Credit: ESA/Rosetta/OSIRIS
La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, visitata dalla sonda Rosetta nel 2014/15, si sapeva essere il risultato della collisione di due comete. Un nuovo studio ci spiega come e quando tale collisione è avvenuta. Crediti: ESA/Rosetta/OSIRIS
Immagine della cometa Chury scattata dalla sonda spaziale Rosetta. Crediti: Esa/Rosetta/Navcam – CC BY-SA IGO 3.0.

Da quando Giotto visitò la cometa di Halley nel 1986, altre sonde spaziali sono volate vicino a diversi nuclei cometari, come ad esempio Stardust, che ha incontrato le comete 81P-WildTempel 1, oppure Deep Impact, che il 4 luglio 2005 ha impattato il nucleo della stessa cometa visitata da Stardust, la Tempel 1, con lo scopo di studiarne la composizione interna. Da queste osservazioni si è riscontrato che la maggior parte delle comete sembra avere una forma allungata o addirittura composta da due lobi, come la nota Chury(67P/Churyumov–Gerasimenko), che è stata studiata nel dettaglio dalla sonda spaziale Rosetta e dal lander Philae nel 2014 e 2015. Gli astronomi ritengono che questa strana forma possa essere dovuta alla fusione di due comete precedentemente separate. In accordo con questa teoria, le due comete dovrebbero essere caratterizzate da una densità molto bassa ed essere ricche di elementi volatili, che permettono loro di muoversi molto lentamente, in modo tale da consentire un delicato avvicinamento, senza che si verifichi uno scontro distruttivo. Per una serie di ragioni, è presumibile che questo tipo di incontri “gentili” si siano potuti verificare solo nelle fasi iniziali del Sistema solare, più di quattro miliardi di anni fa. Questo però solleva perplessità su come oggetti del genere, così fragili, antichi e delle dimensioni di Chury, siano riusciti a sopravvivere fino ad ora dato che sono costantemente soggetti a collisioni nelle regioni dove orbitano.

Questa è l’immagine della fase finale della simulazione, effettuata dagli autori, di una collisione catastrofica tra comete, che mostra uno degli oggetti formati dall’accrescimento dei detriti dalla collisione, con una forma identica a quella di Chury. Crediti: Esa/Rosetta/Navcam – CC BY-SA IGO 3.0.

Un team internazionale coordinato da Patrick Michel, ricercatore del Cnrs presso il Laboratoire di Lagrange (Cnrs / Observatoire de la Côte d’Azur / Universite de Nice-Sophia Antipolis), propone ora uno scenario completamente diverso, supportato da simulazioni numeriche in parte eseguite presso il Mésocentre Sigamm dell’Osservatorio della Costa Azzurra. Le simulazioni mostrano che, durante una collisione distruttiva tra due comete, solo una piccola parte del materiale viene distrutta e ridotta in polvere. Sui lati opposti delle due comete, rispetto al  punto di impatto, i materiali ricchi di elementi volatili sono in grado di resistere alla collisione e, una volta espulsi a velocità relative abbastanza basse, riescono ad attrarsi vicendevolmente e aggregarsi in nuovi piccoli corpi, che a loro volta si raggruppano insieme per formarne uno solo. Sorprendentemente, questo processo richiede solo pochi giorni, o addirittura poche ore. In questo modo, la cometa formata mantiene la sua bassa densità e le sue abbondanti sostanze volatili, proprio come Chury. Questo processo si pensa essere possibile anche in seguito a impatti a velocità di 1 km/s, che sono tipici della fascia di Kuiper, la fascia dei corpi minori che si estende oltre Nettuno.

Poiché questo tipo di collisione tra comete avviene regolarmente, Chury potrebbe essersi formata in qualsiasi momento della storia del Sistema solare e non necessariamente agli inizi, come si pensava in precedenza, risolvendo così il problema della sua sopravvivenza a lungo termine. Questo nuovo scenario spiega anche la presenza dei buchi e dei diversi strati osservati su Chury, che si sarebbero sviluppati naturalmente durante il processo di accrescimento, oppure successivamente, dopo la sua formazione.

Stratificazioni (indicate con la lettera B) e formazioni circolari o buche (all'interno del cerchio) sulla superficie della cometa, nella regione Imhotep. Credit: ESA/Rosetta

Un ultimo punto degno di nota è che, durante la collisione che forma questo tipo di cometa, non si verifica alcun compattamento o riscaldamento significativo e pertanto la loro composizione primordiale risulta preservata: le nuove comete continuano ad essere oggetti primitivi. In altre parole, anche se Chury si fosse formata di recente, l’analisi del suo materiale ci consentirà comunque di indagare sulle origini del Sistema Solare.

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ANS Collaboration 2.0 foundation meeting e Scuola di Fotometria e Spettroscopia astronomica

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L’associazione ANS Collaboration (Asiago Novae & Symbiotic stars) è attiva dal 2005 come collaborazione tra astronomi e astrofili nell’ambito del monitoraggio fotometrico e spettroscopico di stelle simbiotiche e novae, ma anche di altre tipologie stellari quali, ad esempio, binarie ad eclisse e supernovae, invita tutti gli astrofili interessati all’ANS Collaboration 2.0 foundation meeting che si terrà domenica 18 marzo 2018 presso la sala conferenze del Planetario di Ravenna.

Programma e registrazione ANS Meeting:

Questo meeting getterà le basi per la nuova fase 2.0 di ANS Collaboration, sodalizio che, nei suoi 12 anni assai di attività, ha contribuito ad oltre 170 pubblicazioni su riviste internazionali basate sulle proprie osservazioni fotometriche e/o spettroscopiche. I partecipanti al meeting interessati a far parte di ANS Collaboration potranno poi partecipare alla successiva Scuola di fotometria e spettroscopia astronomica, diretta dal prof. Ulisse Munari (Osservatorio Astrofisico di Asiago), che si terrà nel week end del 12-13 maggio 2018 a Varese presso l’Osservatorio G.V. Schiaparelli- Campo dei Fiori. In quest’occasione la fotometria e la spettroscopia astronomiche verranno affrontate sia teoricamente che con sessioni pratiche usufruendo dei locali telescopi (35cm, 61cm e 84cm di apertura).

Programma e registrazione Scuola di fotometria e spettroscopia astronomica

Maggiori informazioni http://www.ans-collaboration.org/

Ultima tappa del mattino. Luna e Plutone.

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La corsa della Luna (fase del 25%) nella sua visita ai pianeti del Sistema Solare arriva il 12 marzo,  nell’ultima tappa del mattino, al remoto pianeta nano Plutone (mag. +14,3).

Questo incontro è ovviamente molto difficile da osservare: assolutamente impossibile a occhio nudo, sarà difficile anche con l’ausilio di uno strumento ottico, vista la debole magnitudine di Plutone e la grande differenza di luminosità dei due oggetti.

Plutone sarà posto a circa 45’ a sudovest del lembo in ombra del nostro satellite naturale. Un occasione comunque per tentarne l’osservazione strumentale.

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo, e il magnifico allineamento di astri del mattino. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Per chi non ha a disposizione uno strumento, sarà comunque uno spettacolo osservare la sottile falce di Luna allineata a Saturno e Marte, con i tre astri disposti a distanza regolare (circa 11°) l’uno dall’altro. Proseguendo verso ovest nella direzione suggerita dall’allineamento c’è sempre il grande e luminoso Giove.

Osserviamo la Luna
in Luce Cinerea

Il fenomeno è dovuto alla luce del Sole riflessa dalla Terra che illumina la parte in ombra della Luna. Per questo, la parte non illuminata della Luna apparirà tenuemente brillante divenendo così vagamente visibile.  Il 12 e il 13 marzo, in prossimità dell’alba, saranno i momento migliori per l’osservazione e la ripresa.

E visto l’assottigliarsi sempre più della falce di Luna, si potrà attendere ancora qualche minuto, quando nel crepuscolo del mattino potremo tentare di osservare e riprenderne anche la parte in ombra, illuminata dalla Luce Cinerea.

➜ Le falci lunari di marzo di Francesco Badalotti su Coelum Astronomia 220

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207

Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo


Leggi anche

➜ La LUNA di marzo. Approfondimento: Guida all’osservazione dei crateri Archimedes, Aristillus, Autolycus

➜ La rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

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AstronomiAmo

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LocandinaCoelum_032018
01.03 ore 21:30: Diretta streaming Occhi al Cielo
08.03 ore 21.30: Corso on line sul Sistema Solare
10.03 ore 16:00 Incontri di Astronomia Live con il Dott. Federico Tosi – INAF
15.03 ore 21:30: Corso di Astrofotografia on line
27.03 ore 20:00: Parlando di Astronomia a Ceccano (FR)

Per ulteriori informazioni: https://www.astronomiamo.it

Gruppo Astrofili Vicentini

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Gruppo Astrofili VicentiniConvegni presso la sede del Giornale di Vicenza, ore 17:00:
03.03: Dott. Natalino Fiorio “NEL REGNO DEL SOLE”.
31.03: Dott. Paolo Ocner astronomo presso l’osservatorio di Asiago “IL SOLE”.

Corso di cosmologia:
presso la nostra sede ad Arcugnano ore 21:00

28.02: “una cartolina dal Big Bang. La cosmologia moderna da Einstein al WMAP” 1° lezione
07.03: “tutto quello che non vediamo. Il modello standard della cosmologia contemporanea” 2° lezione
14.03: “verso l’infinito…e oltre! Il multiverso e le altre ipotesi dei cosmologi contemporanei” 3° lezione

Osservazioni presso la sede di Arcugnano:
25.03: “osserviamo la nostra Stella” osservatorio aperto dalle 14:30 alle 17:30

Ogni martedì del mese l’osservatorio sarà aperto al pubblico dalle ore 20:30.

Sede ed Osservatorio: Via Santa Giustina 127 – 36057 Arcugnano (VI).

Per maggiori informazioni:
http://www.astrofilivicentini.it/
email: astrofilivicentini@gmail.com
Facebook: Gruppo Astrofili Vicentini

La congiunzione più stretta: Luna e Saturno

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In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo. Tra l'8 e il 9 marzo si starà spostando tra Giove e Marte, sorvolando la rossa Antares. Pur se molto distante, in entrambe le serate potrà far parte di riprese ad ampio campo, anche se la data di "minima" distanza è quella indicata del 9 marzo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Nella lunga passeggiata tra i pianeti ecco lo congiunzione più stretta.

L’11 marzo la Luna (fase del 35%) raggiungerà il pianeta Saturno (mag. +0,55) avvicinandolo di meno di 2°: lo scenario è quello della magnifica costellazione del Sagittario, di cui sarà facilmente riconoscibile la caratteristica “teiera”, sovrastata proprio da Luna e Saturno.

All’osservazione a occhio nudo, e in una immagine a grande campo, saranno sempre osservabili Marte, una dozzina di gradi più a ovest, e in lontananza Giove e Antares.

La Luna si avvia a concludere la prima parte del suo viaggio. La vedremo poi l’11 marzo (ma solo con l’uso di uno strumento) avvicinare il piccolo e lontano Plutone.

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

Aspettiamo come sempre le vostre migliori immagini su PhotoCoelum o i racconti delle vostre esperienze osservative su segreteria@coelum.com!

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Seconda tappa. Luna e Marte in congiunzione

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In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo. Tra l'8 e il 9 marzo si starà spostando tra Giove e Marte, sorvolando la rossa Antares. Pur se molto distante, in entrambe le serate potrà far parte di riprese ad ampio campo, anche se la data di "minima" distanza è quella indicata del 9 marzo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Il 10 marzo, sempre al mattino dalle 5:00 per avere anche Giove e Saturno a vista, potremo ammirare la Luna (fase del 43%) avvicinare il pianeta Marte (mag. +0,7) a circa 3° e mezzo di distanza. Il luogo dell’incontro sarà la regione di confine tra le costellazioni dell’Ofiuco e del Sagittario. All’ora indicata i due astri saranno alti circa 22° sull’orizzonte sud-sudest.

Altra tappa brillante e notevole per la nostra Luna, che va via via assotigliandosiverso la fase di Luna Nuova del giorno 17. Nei prossimi giorni quindi, oltre che vederla immersa in questo lungo allineamento di pianeti, potremo cominciare ad attendere il crepuscolo dell’alba per osservarne anche la luce cinerea…

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

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ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani – www.uai.it

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI e gli altri Telescopi Remoti ASTRA (http://www.astratelescope.org/). Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento, registrandosi gratuitamente su www.astronomiamo.it . Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi.
telescopioremoto.uai.it

11 marzo – Giornata internazionale dei Planetari
A cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI
http://www.planetari.org/it/

Mega cicloni sopra i poli di Giove

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This composite image, derived from data collected by the Jovian Infrared Auroral Mapper (JIRAM) instrument aboard NASA’s Juno mission to Jupiter, shows the central cyclone at the planet’s north pole and the eight cyclones that encircle it. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM
In questa immagine composita, ottenuta dai dati dello strumento Jovian Infrared Auroral Mapper (JIRAM), mostra il ciclone al centro del polo nord di Giove, e gli otto cicloni che lo circondano. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

Come un coreografico balletto, gruppi ben ordinati di enormi cicloni grandi migliaia di chilometri piroettano nell’atmosfera attorno ai poli del pianeta Giove. A scoprirli è stato un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Alberto Adriani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, a cui hanno partecipato altri colleghi dell’Inaf, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), grazie all’analisi delle immagini raccolte dallo strumento Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper) a bordo della sonda Juno della Nasa.

Un dettaglio della zona in prossimità del polo nord di Giove ripresa nell’infrarosso dallo strumento Jiram a bordo della sonda Juno della Nasa. Attorno a quello centrale, sono disposti altri otto cicloni. Crediti: NASA/JPL-Calthech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

«Con le accuratissime riprese nell’infrarosso inviateci da Jiram abbiamo scoperto, per la prima volta, la complessa danza dei vortici atmosferici in prossimità del polo nord e del polo sud di Giove» commenta Adriani, responsabile scientifico di Jiram e primo autore dell’articolo appena pubblicato sulla rivista Nature che descrive la scoperta. «In particolare, esistono due cicloni che stazionano in corrispondenza di ciascun polo, circondati da strutture vorticose che fanno loro da corona».

In prossimità del ciclone sul polo nord stazionano altri otto cicloni di uguali dimensioni, mentre cinque sono quelli dislocati intorno al ciclone situato sopra il polo sud. Le dimensioni di questi cicloni sono enormi, paragonabili a quelle del raggio del nostro pianeta: al nord possono raggiungere un diametro di 4 mila chilometri e al sud addirittura superare i 6 mila chilometri da un estremo all’altro. Anche le velocità dei venti all’interno di queste strutture atmosferiche sono notevoli e oscillano tra i 150 e i 350 chilometri orari.

«Nelle osservazioni ripetute, compiute in questi mesi da Jiram, abbiamo notato una sostanziale stabilità della configurazione dei vortici polari su Giove – aggiunge Adriani –, tanto stabile da bloccare il movimento di quelle strutture cicloniche che si formano a latitudini più basse e tentano di muoversi verso i poli».

La zona in corrispondenza del polo sud di Giove osservata nell’infrarosso da Jiram. Diversamente dal polo nord, attorno a quello centrale, sono disposti altri cinque cicloni. Crediti: NASA/JPL-Calthech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

Mai prima d’ora era stato possibile osservare le regioni polari del pianeta più grande del Sistema solare. La sonda Juno è riuscita in questo compito grazie al suo inserimento in un’orbita polare attorno a Giove e agli avanzati strumenti scientifici che porta a bordo, tra cui Jiram, una sorta di “macchina fotografica” nell’infrarosso in grado di osservare sia le emissioni aurorali che quelle termiche del pianeta. «La realizzazione di questo strumento costituisce un importante successo tecnologico e scientifico per la comunità italiana ed è frutto dell’importante e determinante sforzo di coordinamento effettuato dall’ASI per consentire alla Leonardo S.p.A, industria che ha realizzato lo strumento, di lavorare in perfetta sinergia con l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (Iaps) dell’Inaf, a cui appartiene il responsabile scientifico», aggiunge Angelo Olivieri, Responsabile di Programma Asi per Jiram.

L’analisi dei dati dello strumento Jiram è frutto anche di una collaborazione con ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Isac-Cnr), che hanno messo a disposizione del team di Adriani le loro competenze sull’atmosfera. «Lo sfruttamento delle conoscenze acquisite sull’atmosfera terrestre hanno permesso l’interpretazione dei dati acquisiti sulle regioni polari di Giove», commenta Bianca Maria Dinelli, responsabile del team Isac-Cnr che partecipa a questo progetto.

Guarda il servizio video su Media Inaf Tv:

Per saperne di più:

  • Leggi l’articolo su Nature Clusters of cyclones encircling Jupiter’s poles di A. Adriani, A. Mura, G. Orton, C. Hansen, F. Altieri, M. L. Moriconi, J. Rogers, G. Eichstädt, T. Momary, A. P. Ingersoll, G. Filacchione, G. Sindoni, F. Tabataba-Vakili, B. M. Dinelli, F. Fabiano, S. J. Bolton, J. E. P. Connerney, S. K. Atreya, J. I. Lunine, F. Tosi, A. Migliorini, D. Grassi, G. Piccioni, R. Noschese, A. Cicchetti, C. Plainaki, A. Olivieri, M. E. O’Neill, D. Turrini, S. Stefani, R. Sordini e M. Amoroso.
  • Il press kit con immagini, video e interviste

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L’intima e fredda rete di una incubatrice stellare

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Questa immagine spettacolare (cliccare per ingrandire) e insolita mostra parte della famosa Nebulosa di Orione, una regione di formazioni stellare a circa 1350 anni luce dalla Terra: combina un mosaico di immagini a lunghezza d'onda millimetrica ottenute da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e dal telescopio IRAM da 30 metri, mostrate in rosso, con una veduta infrarossa piu' familiare dallo strumento HAWK-I sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, mostrata in blu. Il gruppo di stelle brillanti bianco-blu in alto a sinistra e' l'ammasso del Trapezio - formato da stelle giovani e calde di appena pochi milioni di anni. Crediti: ESO/H. Drass/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/A. Hacar

Questa immagine spettacolare e insolita, dai colori intensi e drammatici, mostra parte della famosa Nebulosa di Orione, una regione di formazione stellare a circa 1350 anni luce dalla Terra.
Si tratta di un mosaico, di cui potete vedere l’estensione originale nel riquadro dell’immagine qui sotto, che combina immagini a lunghezza d’onda millimetrica ottenute da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e dal telescopio IRAM da 30 metri (mostrate in rosso), con una veduta infrarossa più familiare dallo strumento HAWK-I sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (mostrata in blu).

Nel riquadro la zona completa coperta dal nuovo mosaico (cliccare per ingrandire). Si vede come le strutture filamentose vengano evidenziate dall'uso di immagini a lunghezza d'onda millimetrica, altrimenti invisibili a lunghezze d'onda nella luce visibile e nell'infrarosso (immagine di sfondo). Crediti: ESO/H. Drass/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/A. Hacar

Le strutture allungate, come una rossa e incandescente ragnatela, sono in realtà lunghi filamenti di gas freddo, talmente freddi da essere visibili solo con telescopi che operano nella banda di lunghezza d’onda millimetrica. Queste strutture sono infatti invisibili a lunghezze d’onda sia ottiche che, ovviamente, infrarosse, facendo di ALMA uno dei pochissimi strumenti che gli astronomi possano usare per studiarle. Grazie poi alla combinazione con i dati del telescopio IRAM, ecco che il dettaglio si affina e aumenta la risoluzione finale dell’immagine.

Questa l'immagine più familiare della regione di formazione stellare nella Nebulosa di Orione ottenuta con una serie di pose della camera infrarossa HAWK-1 al telescopio VLT dell'ESO in Cile. Crediti:ESO/H. Drass et al.

Il gruppo di stelle brillanti bianco-blu in alto a sinistra è l’ammasso del Trapezio – formato da stelle giovani e calde di appena pochi milioni di anni. La nebulosa sappiamo infatti essere una regione di formazione stellare, dove cioè il gas dà origine a nuove stelle collassando gradualmente sotto la propria forza di gravità finché non è sufficientemente compresso da formare una protostella, il precursore di una stella.

Come sempre immagini anche esteticamente straordinarie provengono in realtà da immagini riprese con uno scopo scientifico, in questo caso gli scienziati stavano studiando questi filamenti per capire meglio la loro struttura e la loro composizione.

Hanno usato ALMA per cercare l’impronta del diazenilio, una molecola composta da due atomi di azoto e da un protone (N2H+), elemento che forma parte di queste strutture. Attraverso questo studio, l’equipe è riuscita a identificare una rete di 55 filamenti.

Il 30metri IRAM sopra le nuvole. Crediti: DiVertiCimes

L’immagine è la combinazione di un totale di 296 set di dati da ALMA e IRAM: si tratta di uno dei mosaici ad alta risoluzione più grandi mai prodotti finora di una regione di formazione stellare a lunghezze d’onda millimetriche, proprio grazie alla combinazione dei segnali da molte antenne con un’ampia separazione dei due radiointerferometri ALMA e IRAM. Il primo formato da 66 radiotelescopi con diametro di 12 e 7 metri, che osservano alle lunghezze d’onda millimetriche e sub-millimetriche, che ascolta il cielo dal Llano de Chajnantor dell’altopiano Puna de Atacama, a 5000 metri di quota, in Cile. Il secondo, IRAM, è un istituto che gestisce due Osservatori per la radioastronomia ad onde lunghe millimetriche, aperte alla comunità astronomica internazionale: il telescopio da 30 metri localizzato al Pico Veleta (2850 m), che ha prodotto i dati utilizzati nell’immagine, nella Sierra Nevada spagnola in Andalusia e l’antenna-interferometro in Plateau de Bure (2550 m) nelle alpi francesi.

Le antenne di ALMA sotto al cielo australe degli altopiani cileni. Crediti: ESO/B. Tafreshi (twanight.org)

La nebulosa di Orione è la regione di formazione stellare più vicina alla Terra e perciò viene studiata in dettaglio dagli astronomi che vogliono capire meglio come si formano le stelle e come evolvono nei loro primi milioni di anni. I telescopi dell’ESO hanno osservato molte volte questa regione interessante, in coda il link a tutte le immagini rilasciate nel tempo.

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Intermezzo. Il Quarto di Luna e Antares

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In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo. Tra l'8 e il 9 marzo si starà spostando tra Giove e Marte, sorvolando la rossa Antares. Pur se molto distante, in entrambe le serate potrà far parte di riprese ad ampio campo, anche se la data di "minima" distanza è quella indicata del 9 marzo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La Luna continua il suo viaggio, avviandosi tra l’8 e il 9 marzo verso Marte. Come visto, tappe di una “passeggiata lunare” che merita qualche parola in più e un progetto per la ripresa rispetto alla nostra usuale e sintetica lista.

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

Ci soffermiamo al  9 marzo, quindi, quando un Quarto di Luna (fase del 53%) si troverà nei pressi della rossa Antares (mag. +1,05), la stella alfa della costellazione dello Scorpione.

Non si può parlare di una vera e propria congiunzione, ma il passaggio da Giove a Marte la porterà a poco meno di 10° dalla stella, ancora molto simile alla sua “nemesi” Marte, visibile poco più in là, che sta però guadagnando luminosità.

Aspettiamo come sempre le vostre migliori immagini su PhotoCoelum o i racconti delle vostre esperienze osservative su segreteria@coelum.com!

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➜ La LUNA di marzo. Approfondimento: Guida all’osservazione dei crateri Archimedes, Aristillus, Autolycus

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Prima tappa: la Luna incontra Giove.

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In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo. I suoi incontri però si concluderanno solo il 19 marzo, quando incontrerà il piccolo Urano, anche se non sarà visibile a occhio nudo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
In questa immagine il percorso della Luna nelle sue prime tappe, fino al 12 marzo. I suoi incontri però si concluderanno solo il 19 marzo, quando incontrerà il piccolo Urano, anche se non sarà visibile a occhio nudo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Durante il mese vedremo il nostro satellite compiere il suo viaggio nel cielo per andare a far visita ad astri e pianeti, in una “passeggiata” celeste che potremo seguire fino al 12 marzo, osservando praticamente sempre le stesse regioni del cielo e sempre alla stessa ora, e fino al 19 passando in prima serata, e che merita qualche parola in più e un progetto per la ripresa di questa “passeggiata  lunare” tra gli astri, rispetto alla nostra usuale e sintetica lista.

➜ Leggi Dal 7 al 19 marzo ore 5:00: La Luna incontra i pianeti del Sistema Solare. Una vista d’insieme

Il 7 marzo è la volta di Giove (mag. –1,8), che sarà raggiunto dalla Luna (fase 72%), tra le stelle della Bilancia, a una distanza di circa 3,8°.

Dopo essere sorti poco dopo la mezzanotte, quando potremo riprenderli nella cornice del paesaggio, alle ore 5:30 i due oggetti si troveranno a un’altezza di circa 32° sull’orizzonte sud-sudest, dando il tempo a Saturno e Marte di mostrarsi sopra l’orizzonte per le nostre immagini a largo campo.

Sarà poi possibile seguire la congiunzione fino al sorgere del Sole, quando i due astri si faranno sempre meno visibili, fino a scomparire nel chiarore del cielo.

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WASP-39b così simile e così diverso

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Credits: NASA, ESA, G. Bacon and A. Feild (STScI), and H. Wakeford (STScI/Univ. of Exeter)

Usando i telescopi spaziali Hubble e Spitzer, gli scienziati hanno studiato il “saturniano caldo” chiamato WASP-39b,  un esopianeta dalla massa simile a quella di Saturno, caldo, gonfio e situato a circa 700 anni luce dalla Terra.

Situato nella costellazione della Vergine, WASP-39b orbita intorno a una tranquilla stella simile al Sole, WASP-39, una volta ogni quattro giorni. L’esopianeta è attualmente posizionato più vicino alla sua stella più di 20 volte di quanto la Terra sia al Sole, più di otto volte rispetto a Mercurio, e mostra sempre la stessa faccia alla sua stella.

La sua temperatura, sul lato illuminato, è di circa 776,7 °C. Potenti venti trasportano il calore in tutto pianeta, mantenendo il lato in ombra praticamente quasi altrettanto caldo. A differenza dal nostro Saturno, da cui prende nome la classe a cui appartiene, non sembra abbia degli anelli, ma ha invece un’atmosfera gonfia, priva di nuvole ad alta quota, che ha consentito agli scienziati di analizzarla in profondità.

Hannah Wakeford – dell’Università di Exeter nel Regno Unito e dello Space Telescope Science Institute negli Stati Uniti – e il suo team, grazie ai dati dei telescopi spaziali Hubble e Spitzer, sono stati in grado di analizzare le componenti atmosferiche di questo esopianeta, ottenendo lo spettro più completo dell’atmosfera di un pianeta extrasolare possibile con la tecnologia attuale.

Osservando quindi la luce stellare che filtra attraverso l’atmosfera del pianeta, splittata nelle sue componenti, il team ha trovato prove chiare della presenza di molecole d’acqua, in forma di vapore e in grandi quantità.

Lo spettro ottenuto con le intensità del segnale dei vari elementi alle corrispondendti lunghezze d'onda. Crediti: NASA, ESA, G. Bacon and A. Feild (STScI), and H. Wakeford (STScI/Univ. of Exeter)

Infatti, WASP-39b risulta avere tre volte più acqua di Saturno, e pur sapendo che ne avrebbero trovata (proprio per le similitudini con il nostro gigante gassoso), non se ne aspettavano in queste quantità. L’ipotesi è che il pianeta si sia formato in orbite più lontane dalla sua stella, dove ha potuto essere bombardato da grandi quantità di materiale ghiacciato. E sebbene sia diventato un pianeta gassoso con molte caratteristiche simili al nostro Saturno, deve aver avuto una storia evolutiva molto diversa e intrigante: un epico viaggio in migrazione attraverso il suo sistema planetario e, forse, anche cancellando o assorbendo altri pianeti o planetoidi sul suo cammino.

Indagare le atmosfere di pianeti extrasolari può, quindi, fornirci nuove informazioni su come i pianeti si formano ed evolvono a varie distanze attorno a una stella.
«Abbiamo bisogno di guardare verso l’esterno in modo da poter comprendere il nostro Sistema solare», ha spiegato la Wakeford, e con l’entusiasmo tipico di uno scienziato quando i risultati che ha in mano, invece di dare conferme aprono nuove possibilità e domande, continua: «Lo studio degli esopianeti ci sta dimostrando quanto la formazione dei pianeti sia più complicata e più confusa di quanto pensassimo. E questo è fantastico!».

Più gli astronomi imparano a conoscere la complessità di altri mondi, più c’è da imparare sulle loro origini, e quest’ultima osservazione è un passo significativo verso la caratterizzazione di questi mondi, cosa che sarà possibile sempre più nel dettaglio con la prossima generazione di telescopi dallo spazio e da Terra.

Guardando al futuro, infatti, il team spera di utilizzare il James Webb Space Telescope – la cui attività doveva iniziare nel 2019, anche se al  momento la data sembra essere ulteriormente rimandata a tempo indeterminato per problemi tecnici e di budget – per ottenere uno spettro ancora più completo. Il nuovo telescopio spaziale sarà infatti in grado di fornire informazioni sul carbonio presente nell’atmosfera del pianeta, che assorbe la luce a lunghezze d’onda infrarosse più lunghe di quelle che Hubble può vedere. Conoscendo la quantità di carbonio e ossigeno presenti nell’atmosfera, gli scienziati potranno scoprire ancora di più sull’evoluzione e su dove si sia formato WASP-39b.

Speriamo che tutto proceda al meglio e che i problemi per la messa in orbita del JWST si risolvano al più presto…

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ANS Collaboration 2.0 foundation meeting e Scuola di Fotometria e Spettroscopia astronomica

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L’associazione ANS Collaboration (Asiago Novae & Symbiotic stars) è attiva dal 2005 come collaborazione tra astronomi e astrofili nell’ambito del monitoraggio fotometrico e spettroscopico di stelle simbiotiche e novae, ma anche di altre tipologie stellari quali, ad esempio, binarie ad eclisse e supernovae, invita tutti gli astrofili interessati all’ANS Collaboration 2.0 foundation meeting che si terrà domenica 18 marzo 2018 presso la sala conferenze del Planetario di Ravenna.

Programma e registrazione ANS Meeting:

Questo meeting getterà le basi per la nuova fase 2.0 di ANS Collaboration, sodalizio che, nei suoi 12 anni assai di attività, ha contribuito ad oltre 170 pubblicazioni su riviste internazionali basate sulle proprie osservazioni fotometriche e/o spettroscopiche. I partecipanti al meeting interessati a far parte di ANS Collaboration potranno poi partecipare alla successiva Scuola di fotometria e spettroscopia astronomica, diretta dal prof. Ulisse Munari (Osservatorio Astrofisico di Asiago), che si terrà nel week end del 12-13 maggio 2018 a Varese presso l’Osservatorio G.V. Schiaparelli- Campo dei Fiori. In quest’occasione la fotometria e la spettroscopia astronomiche verranno affrontate sia teoricamente che con sessioni pratiche usufruendo dei locali telescopi (35cm, 61cm e 84cm di apertura).

Programma e registrazione Scuola di fotometria e spettroscopia astronomica

Maggiori informazioni http://www.ans-collaboration.org/

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