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Astronomiamo

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LocandinaCoelum_Novembre

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02.11, ore 21.30: Corso Sistema Solare
09.11, ore 21.30: Corso Astrofotografia
16.11, ore 21.30: Corso Sistema Solare

Per informazioni:
http://www.astronomiamo.it

La superficie di Cerere fossile di un antico oceano

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Nell'animazione Cerere visto dalla sonda Dawn della NASA. La mappa sulla destra ha aiutato i ricercatori a studiarne la struttura interna attraveso misure di gravità. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

E ancora missione Dawn, dopo la conferma di qualche giorno fa di quello che sarà, molto probabilmente, la sua ultima missione estesa, ecco nuovi studi dai dati raccolti dalla sonda, che portano nuovi indizi di un passato per Cerere in cui fosse interamente coperto da un oceano globale.

Minerali contenenti acqua, infatti, sono sparsi su tutto Cerere, ma se c’era, cosa ne è stato di quell’oceano? Ed è possibile trovare ancora acqua liquida su Cerere? Due nuovi studi  cercano di fare luce su questi interrogativi.

Nel primo studio, il team della missione Dawn ha scoperto che la crosta del pianeta nano è formata da un miscuglio di ghiaccio, sali e materiali idrati soggetti ad attività geologiche passate ma anche più recenti, e questa crosta sarebbe quello che resta di un antico oceano globale.  Un secondo studio, riferendosi al primo e andando più in profondità, suggerisce che sotto questa solida superifice  ci sia uno strato più soffice e facilmente deformabile, tanto che potrebbe contenere del liquido residuo di questo antico oceano.

«Stiamo sempre più scoprendo quanto Cerere sia un mondo dinamico e complesso, che può aver ospitato molta acqua liquida in passato, e averne tutt’ora nel sottosuolo» spiega Julie Castillo-Rogez, Project Scientist della missione e coautrice degli studi. Vediamoli in dettaglio.

Il primo dei due studi, guidato da Anton Ermakov, ricercatore post-doc al JPL, e pubblicato nel Journal of Geophysical Research: Planets, sfrutta misurazioni di gravità e di forma del pianeta per determinarne la struttura interna e la composizione. Le misurazioni vengono dal NASA Deep Space network che traccia i piccoli cambiamenti dei moti della sonda nella sua orbita attorno a Cerere .

L’ipotesti di Ermakov e colleghi è che Cerere sia ancora geologicamente attivo, mostrando segni di crioattività, o se proprio non lo è ora deve esserlo stato in un recente passato. Il pianeta nano mostra infatti un’abbondanza di anomalie gravitazionali, associate a strutture di rilievo della sua superficie. In particolare, tre crateri – Occator, Kerwan e Yalode – e l’alta montagna solitaria Ahuna Mons, sono risultati associati a quattro principali anomalie, individuate dal confronto tra il modello che si aveva della gravità di Cerere e le effettive osservazioni di Dawn.

Il famoso cratere Occator, famoso in particolare per contenere una delle più grandi e evidente "macchie bianche" che fin dall'inizio hanno affascinato pubblico e ricercatori. Macchie che si sono dimostrate essere formate per lo più di sali. (NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI/LPI)

Lo studio ha rivelato che la densità della crosta è relativamente bassa, più vicina a quella del ghiaccio che della roccia, d’altra parte però uno studio precedente, di Michael Blend guest investigator della missione presso il U.S. Geological Survey, dimostra che il ghiaccio è troppo morbido per essere una componente dominante della crosta di Cerere, che si è sempre rivelata molto resistente: come può essere leggera quanto il ghiaccio, come densità, ma allo stesso tempo estremamente più dura?

Per rispondere a questa domanda un secondo studio ha costruito un modello della superficie di Cerere che evolve nel tempo. Roger Fu, della Harvard University di Cambridge, ha ottenuto informazioni sulla durezza e la composizione della crosta e dell’interno di Cerere, studiandone la topografia. Lo studio è stato pubblicato nel Journal of Earth and Planetary Science Letters.

Studiando l’evoluzione della topografia di un corpo planetario, gli scienziati sono in grado di comprenderne la composizione interna: una crosta robusta e dominata dalla roccia può restare immutabile per tutti i 4,5 miliardi di anni di vita del nostro Sistema solare, mentre una crosta più debole e ricca di ghiaccio e sali, nello stesso arco di tempo, è soggetta a trasformazioni.

I ricercatori, studiando quindi la topologia del pianeta nano, pensano che Cerere dovesse avere in passato strutture superficiali molto più pronunciate, che si sono addolcite e appianate nel tempo, il che richiede una superficie resistente ma posta sopra a uno strato di materiale più soffice e deformabile, che potrebbe contenere una componente liquida.

Un modello di questo tipo, che segue l’evoluzione di queste modifiche superficiali, ha mostrato come l’evoluzione “recente” di Cerere sia più simile a un modello che prevede una superficie composta si da ghiaccio, sali e roccia, ma con un componente addizionale, che la renda più dura: un clatrato idrato. Si tratta di strutture molecolari – “gabbie” composte da molecole d’acqua occupate e circondate da molecole di gas – da 100 a 1000 volte più forti del ghiaccio d’acqua, nonostante abbiano più o meno la stessa densità, il che giustificherebbe la durezza della crosta del pianeta nano nonostante la bassa densità mostrata.

La conclusione è quindi che Cerere fosse ricoperto nell’antichità da un enorme oceano, ora ghiacciato e intrappolato nella crosta superficiale del planetoide sottoforma appunto di ghiaccio, clatrato idrato e sali, e che sia in questo stato da almeno 4 miliardi di anni. Ma lo strato soffice sotto la superficie, che ha consentito in questo tempo l’evoluzione delle grandi strutture superficiali (e che potrebbe essere ancora in atto) porta a pensare che questo oceano globale non si sia completamente ghiacciato, ma abbia lasciato un residuo liquido sotto la superficie…

Un risultato oltretutto consistente con i numerosi modelli di evoluzione termica di Cerere, pubblicati prima dell’arrivo della sonda Dawn, e che supportano l’idea che Cerere possieda nel suo interno ancora di quell’acqua in forma liquida residuo di un antico oceano globale superficiale.


Onde gravitazionali, Astronomia Multimessaggero, Missione VITA, espansione dell’UNIVERSO… TUTTO QUANTO sul nuovo numero di Coelum Astronomia!

Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Accademia delle Stelle

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2017-11 Coelum AdS

2017-11 Coelum AdSA Roma un ciclo di conferenze innovative ed emozionanti per scoprire aspetti poco noti e sorprendenti del Cielo e dell’Astronomia. Per studiosi, appassionati e curiosi.

30.11: Le luci del cielo
La luce è stato il primo (ed è ancora il più importante) messaggero che ci raggiunge dagli astri e su cui si basa l’astronomia. Cosa rende luminosi gli oggetti celesti? Cosa possiamo imparare dalla loro luce? Come facciamo a scoprire oggetti che non emettono luce? Ci occuperemo anche di casi bizzarri: perché la Luna piena è 11 volte più luminosa rispetto a quando è illuminata per metà? E perché appare così splendente pur essendo in realtà scurissima? Di quali astri riusciamo a vedere l’ombra per terra? E quali astri non vediamo più dall’Italia a causa dell’inquinamento luminoso? Non mancherà un cenno alla materia che non emette luce: dalla massa mancante alla Materia Oscura.

06.11: L’audacia degli astronomi (Storia della cosmologia)
Chi è stato il primo astronomo? (Ne sappiamo il nome!) Cosa lo ha spinto ad osservare il cielo? E cosa ha scoperto? Come abbiamo visto in alcune lezioni precedenti, l’Astronomia ha successo quando ti dice che l’universo non è come te lo aspettavi: alcuni astronomi sono stati capaci, nei secoli, di smentire le concezioni correnti e mostrare come sia fatto in realtà il cosmo, affermando idee audaci (se non rivoluzionarie!) e dimostrando che erano vere. Le vedremo, insieme a tanti colpi di genio di astronomi totalmente in anticipo rispetto ai loro tempi.
13.11: La fortuna degli astronomi
La fortuna aiuta gli audaci, si dice: in questa conferenza gli audaci sono gli astronomi, e la fortuna è quella circostanza che ha permesso ad alcuni di loro di fare scoperte fondamentali e del tutto inaspettate (oltre che, in alcuni casi, di salvare la propria vita!) Alle scoperte casuali e fortunose, e alle peripezie che molti astronomi hanno affrontato per riuscire nelle loro imprese, si affiancheranno anche episodi di grande spirito da parte degli scienziati, con alcuni clamorosi pesci d’aprile che fanno parlare ancora oggi.

20.11: A scuola di astronomia (didattica dell’astronomia)
Imparare l’astronomia può essere straordinariamente piacevole se si utilizzano alcuni metodi che illustriamo stasera! Vedremo come è facile fare, senza nemmeno usare un telescopio, osservazioni fondamentali: dai satelliti di Giove alla determinazione dell’orbita ellittica della Terra (nozioni che hanno cambiato la storia dell’astronomia), insieme ad esperienze semplici e sorprendenti che si possono fare in casa come costruire una meridiana con uno specchio od osservare le eclissi di Sole con un mestolo. Ci divertiremo infine a scorrere i più diffusi luoghi comuni sbagliati sull’astronomia e le notizie astronomiche più stravaganti date dai mass media.

Ingresso singolo 15 euro previa prenotazione e eventi@accademiadellestelle.org. Oppure iscrizione a tutti gli appuntamenti (il prezzo cala col progredire del corso). Inizio conferenze ore 21, presso la nostra sede di fronte alla fermata EUR Laurentina.

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Il Cielo di Novembre 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 ottobre > 22:00 - 15 ottobre > 21:00 - 30 ottobre > 19:00 Crediti: Coelum Astronomia
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 novembre > 23:00 - 15 novembre > 22:00 - 30 novembre > 21:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato da Toro, con le splendide Pleiadi e l’ammasso delle Iadi con Aldebaran, Gemelli e Cane Maggiore. Più in basso il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Cigno e Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il Leone.

Scopri le costellazioni del cielo di novembre con la UAI

All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora entro i confini della costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, costellazione in cui non si “fermerà” per un mese intero, come di solito fa nelle altre, ma solo per una settimana. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta dello Scorpione, attraversandola solo per un breve tratto, così che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione dell’Ofiuco.

Nel corso del mese continuerà la discesa della nostra stella verso declinazioni e culminazioni al meridiano sempre più basse. Alle ore 0:00 del 1 novembre la sua declinazione sarà di -14,3°, mentre alle stessa ora del 1 dicembre avrà già raggiunto i -21,7°: questo si tradurrà in una perdita del periodo di luce (variabile secondo la latitudine) di circa 1 ora.

La notte astronomica, pertanto, comincerà in media verso le 18:30 e terminerà alle 5:30 circa.

FENOMENI E CONGIUNZIONI DI NOVEMBRE

Il mese di novembre sarà ricco di congiunzioni planetarie. In particolare sarà il nostro satellite naturale, la Luna, a far visita via via che passano i giorni, ai principali pianeti del nostro Sistema Solare: Giove, Saturno, Venere e anche Marte, nessuno sarà trascurato. Poiché in novembre il tramonto del Sole si farà sempre più anticipato, le ore di buio saranno considerevolmente più numerose rispetto ai mesi precedenti e avremo quindi la possibilità di osservare alcune congiunzioni già nel tardo pomeriggio, prima delle 18. Tenete d’occhio le nostre pagine e i nostri social, oppure…

➜ Leggi Il Cielo di novembre su Coelum Astronomia 216

Restano perciò sempre validi i consigli della rubrica di Giorgia Hofer del numero scorso ➜ ASTROFOTOGRAFIA: L’incontro tra Venere e Marte

E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 216

Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della LUCERTOLA (III parte)
➜ La Luna di novembre e l’osservazione dei crateri Aristoteles, Eudoxus, Alexander
➜ Il Club dei 100 asteroidi: L’opposizione di (44) Nysa
➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS
➜ Le comete del mese: Tra delusioni e attese
➜ La consueta rubrica sulle scoperte amatoriali di Supernovae!

e il Calendario degli eventi giorno per giorno


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di novembre su Coelum Astronomia 216
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La “colorsfera” del Sole

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La "colorsfera" del Sole
La "colorsfera" del Sole
La "colorsfera" del Sole
La "colorsfera" del Sole. Sulla sinistra l'immagine del Sole nell'attimo seguente la fine della totalità, sulla destra lo spettro "flash" ottenuto con una esposizione di 1/30 sec. Crediti: ESA/M. Castillo-Fraile

Questa immagine colorata è uno “spettro flash della cromosfera” catturato durante l’eclissi solare totale che si è verificato negli Stati Uniti il ​​21 agosto di quest’anno, dal team della spedizione ESA che ha monitorato l’eclissi da Casper, nel Wyoming.

Durante un’eclissi, quando la Luna oscura temporaneamente la luce travolgente della fotosfera del Sole, gli astronomi possono effettuare misure non possibili in condizioni normali. Tra queste l’analisi della tonalità di rosso, normalmente invisibile, della cromosfera, lo strato dell’atmosfera solare direttamente sopra la superficie turbolenta della fotosfera.

Un’immagine di questo tipo può essere ottenuta solo dall’ultima e dalla prima luce del lembo solare, subito prima e subito dopo la fase totale dell’eclissi rispettivamente, quando è possibile riprendere questo tipo spettro chiamato “flash” proprio perché le misurazioni devono essere completate in pochissimi secondi. È così che l’emissione di luce che arriva dalla cromosfera del Sole può essere suddivisa in uno spettro di colori, che mostrano l’impronta digitale di diversi elementi chimici. L’emissione più intensa è dovuta all’idrogeno, così come l’emissione rossa in H alpha che vediamo all’estremo destro.

Nel mezzo, il giallo brillante corrisponde all’elio, un elemento scoperto proprio in occasione di uno spettro di questo tipo raccolto durante l’eclisse totale del 18 agosto 1868, anche se in quel momento ancora non si sapeva di cosa si trattasse. Solo tre decenni dopo, l’elio verrà scoperto sulla Terra e quello spettro associato ad esso, si scoprirà poi trattarsi del secondo più abbondante elemento nell’intero Universo, dopo l’idrogeno!

L’immagine è stata ripresa dal team del Cesar science educational project (European Space Astronomy Centre vicino a Madrid, Spagna). Altre immagini raccolte durante l’eclissi sono visibili sul sito del progetto Cesar eclipse.

Leggi anche

➜ Eclissi storiche. I primi passi verso lo studio della parte esterna del Sole di Mario Rigutti

➜ Le mie Eclissi di Sole. Diario di Viaggio di un Astronomo di Mario Rigutti

➜ Eclissi di Sole: dalle suggestioni del passato alla scienza del futuro
di Alessandro Bemporad, Luca Zangrilli, Silvano Fineschi (INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino)

Come funzionano le Eclissi di Sole. «Ah, Signor Professore, la scienza esiste!»
Geometria delle eclissi
di Mario Rigutti

Eclissi di Sole USA 2017. Le vostre migliori immagini e l’esperienza di chi era sul posto. Di Giovanna Ranotto, Corrado Lamberti, Giuseppe Conzo, Cristiano Secci e le immagini e i video di Simone Renoldi, Carlo Dellarole, Giovanni Mele, Aldo Dell’Acqua, Antonio Demichele, Luca Maccarini.


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Il numero di novembre 2017 dedicato alla nascita dell'astronomia multimessaggero, in occasione della prima individuazione visuale di una sorgente di onde gravitazionali. Ora, e sempre grazie a partire da una rilevazione di raggi gamma, è stata individuata per la prima volta la probabile sorgente di un neutrino. Per leggere gratuitamente il numero cliccare sull'immagine.

Indice dei contenuti

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Cerere: per Dawn un altro anno di lavoro

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Dawn sorvola Cerere, sulla destra, proprio sopra ai pannelli solari, fa capolino una delle famose macchie bianche, che ancora ...Crediti: NASA/JPL-Caltech
In questa impressione artistica, la sonda Dawn sorvola Cerere, sulla destra, proprio sopra ai pannelli solari, fa capolino una delle famose macchie bianche del pianeta nano, la più famosa nel cratere Occator. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Ancora un anno e dovremo dire addio anche alla missione Dawn, la prima sonda spaziale a raggiungere (era il 6 marzo 2015) un pianeta nano, cioè Cerere, nonché la prima ad aver orbitato attorno a due obiettivi extraterrestri distinti, avendo raggiunto e studiato da vicino anche Vesta per 14 mesi (tra il 2011 e il 2012). La Nasa ha deciso nuovamente di prolungare la durata della missione attorno al più grande oggetto nella fascia asteroidale tra Marte e Giove.

Su Coelum astronomia n. 203 un report sulle principali scoperte della missione. Per la lettura gratuita cliccare sull'immagine.

Il team Dawn sta attualmente perfezionando le varie fasi dell’ultimo capitolo della missione. Per non contaminare Cerere, la sonda Dawn non atterrerà né si schianterà sul pianeta nano. Il piano è quello di raccogliere più dati possibili nel corso dell’orbita finale, che raggiungerà l’anno prossimo, dove rimarrà anche quando non potrà più comunicare con la Terra. I tecnici della Nasa stimano che la navicella spaziale possa continuare a funzionare fino alla seconda metà del 2018. Ogni missione nello spazio è limitata nel tempo dal quantitativo di carburante, e questa non fa eccezione. Dawn rimarrà, però, stabile nell’orbita anche dopo l’esaurimento del propellente a base di idrazina.

Il team di volo che guida la sonda sta studiando modi per manovrare Dawn verso una nuova orbita ellittica, che può portare la navicella spaziale a meno di 200 chilometri dalla superficie di Cerere. Dawn sarà in orbita già quando il pianeta nano passerà al perielio, cioè il punto più vicino al Sole, ad aprile 2018.

Nei prossimi mesi gli scienziati attiveranno tutti gli strumenti e si farà scienza fino all’ultimo giorno. Con il Gamma Ray and Neutron Detector si approfondirà lo studio della composizione dello strato superiore di Cerere e la quantità di ghiaccio che contiene. La navicella spaziale studierà nuovamente in luce visibile la geologia superficiale del pianeta nano con la sua Framing Camera ed effettuerà misurazioni della mineralogia di Cerere con lo spettrometro italiano Visual and Infrared Spectrometer (Vir), fornito dall’Agenzia spaziale italiana sotto la guida scientifica dell’Istituto nazionale di astrofisica.

Maria Cristina De Sanctis dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma

Alla planetologa Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice presso dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma nonché principal investigator dello strumento Vir, abbiamo chiesto qualche chiarimento in merito alla missione Dawn.

La Nasa resterà su Cerere con Dawn fino alla seconda metà del 2018. Cosa ha portato a questa decisione?

«È stata approvata la seconda missione estesa di Dawn e la sonda rimarrà a osservare Cerere per almeno il prossimo anno. In effetti la durata della missione non è completamente definita perché dipende dai consumi di carburante che si avranno nei prossimi mesi. Non escludo, quindi, che la missione possa durare anche più a lungo. L’osservazione di Cerere quando si trova in prossimità del perielio è estremamente importante per capire i fenomeni legati alla presenza di acqua in questo corpo del Sistema solare. Una maggiore insolazione potrebbe indurre, infatti, la sublimazione del ghiaccio creando dei fenomeni osservabili dalla sonda».

La quantità di carburante rimasta non consente a Dawn di andare altrove. Giusto?

«Al momento è previsto che la sonda, una volta esaurita la possibilità di comunicare con la Terra, sia posizionata su un’orbita stabile intorno a Cerere. Il motivo della scelta dell’orbita stabile intorno a Cerere è legato alla interesse esobiologico di questo corpo che non deve essere “contaminato” da materiale terrestre».

Facciamo un punto sullo strumento Vir, un successo tutto italiano. Quali gli highlights da segnalare finora? Novità previste? Cosa sta “osservando” attualmente?

«Le scoperte di Dawn e Vir sono molte e tutte importanti per la comprensione delle fasi iniziali del Sistema solare e in particolare della fascia degli asteroidi. Personalmente, tra le prime scoperte in ordine temporale, metterei la conferma che i meteoriti Hed provengono da Vesta e la scoperta di materiale “idrato” su parte della superficie di Vesta. Gli Hed sono meteoriti basaltici molto antici, quindi provengono da un oggetto differenziato come un pianeta di tipo terrestre e questo “proto-pianeta” è Vesta. La scoperta invece di materiale idrato ci ha indicato un passato in cui vi era molto materiale proveniente da oggetti ricchi in acqua che hanno impattato con corpi del sistema solare interno, suggerendo quindi un veicolo per l’acqua su corpi come la Terra. Tra le ultime scoperte che riguardano Cerere, vi è la presenza sia di materiale organico che di carbonati e composti di ammonio. Su Cerere sono stati scoperti carbonati di sodio in notevoli quantità, materiale ammoniato su tutta la superficie e organici alifatici. Tutti questi materiali, insieme ad argille e ghiaccio d’acqua, sono di notevole importanza per quanti riguarda l’esobiologia, in quanto mattoni fondamentali per molecole biotiche. Cerere, grazie alle osservazioni Vir, è diventato uno degli oggetti più interessanti per la ricerca di vita. Al momento Vir sta riponsando, ma prevediamo di iniziare nuove osservazioni a breve, una volta che il team avrà stabilito con accuratezza le nuove orbite».


Alla Ricerca dei Pianeti Extrasolari. Da 52 Pegasi b a PLATO, alla ricerca amatoriale.

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Una sottile falce di Luna incontra Saturno

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Durante la prima serata del 24 ottobre, volgendo lo sguardo verso sud-sudovest, potremo facilmente scorgere una falce di Luna in fase crescente (fase del 21%) e Saturno, riconoscibile come una stellina luminosa tendente al colore giallo paglierino (mag. +0,5).

I due astri si incontreranno in una congiunzione piuttosto aperta, distando l’uno dall’altra di circa 3° e mezzo, all’interno della costellazione dell’Ofiuco.

Si consiglia l’uso di un binocolo per poter apprezzare Saturno, anche se l’incontro offrirà un bello spettacolo anche a occhio nudo o per creare delle composizioni fotografiche, considerando anche il fatto di poter catturare la Luna in luce cinerea.

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer

Per chi avrà la possibilità di raggiungere cieli bui, anche se con difficoltà per via della luce della Luna, la sfida sarà tentare di far risaltare il ramo di Via Lattea alla loro sinistra.

E come sempre aspettiamo le vostre migliori immagini su PhotoCoelum!

Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre

Leggi anche

Scopri le costellazioni del cielo di settembre con la UAI

➜ Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della LUCERTOLA (II parte)

➜ La Luna di settembre e l’osservazione dei crateri Grimaldi, Hevelius e Riccioli


Tutti consigli per l’osservazione del CIELO di OTTOBRE su Coelum Astronomia 215

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ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani – www.uai.it

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
21 ottobre – Riaccendiamo le stelle, giornata nazionale dell’inquinamento luminoso. La Commissione Inquinamento Luminoso UAI propone alle associazioni di organizzare eventi, star party pubblici e conferenze per sensibilizzare ed informare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso.

http://inquinamentoluminoso.uai.it/

28 ottobre – Moonwatch Party: La notte della Luna INAF-UAI. In occasione della International Observe The Moon Night (InOMN). Migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata. L’INAF e l’UAI aderiscono all’iniziativa mondiale InOMN promuovendo il Moonwatch Party.
http://divulgazione.uai.it, http://www.media.inaf.it
http://observethemoonnight.org

28 – 29 ottobre – 14° Meeting nazionale di Radioastronomia Amatoriale ICARA 2017. Il meeting nazionale sulle tematiche della radioastronomia amatoriale e delle strumentazioni relative, organizzato da SdR Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy.
http://radioastronomia.uai.it

Saturno: la forza lunare tiene a bada l’anello A

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Il gruppo dei satelliti saturniani impedisce alla polvere che compone l’anello A di disperdersi nello spazio circostante. Questa immagine è stata scattata da Cassini e mostra chiaramente le onde di densità dell’anello create dalle piccole lune. Le onde sembrano come i solchi di un disco in vinile. Crediti: Nasa
Da dentro a fuori! Cliccare per ingrandire. Una visione panoramica degli anelli di Saturno, un mosaico costruito ocn le immagini raccolte il 9 settembre 2017, pochi minuti dopo essere passata attraverso il piano degli anelli verso l'emisfero sud del pianeta. L'anello A è la prima sezione a destra, quindi rpocedendo verso sinistra incontriamo la parte più scura che identifica l'anello B, che dal centro dell'immagine si estende fino all'angolo in alto a destra, e più a sinistra ancora l'anello C. La luce del Sole in questo caso filtra attraverso gli anelli verso la sonda. Credits: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Il gruppo dei satelliti saturniani impedisce alla polvere che compone l’anello A di disperdersi nello spazio circostante. Questa immagine è stata scattata da Cassini e mostra chiaramente le onde di densità dell’anello create dalle piccole lune. Le onde sembrano come i solchi di un disco in vinile. Crediti: Nasa

Vi siete mai chiesti come sia possibile che i milioni di piccoli oggetti (dal micrometro al metro) che formano l’anello A di Saturno non si disperdano nello spazio circostante ma restino “incollati” lì? Precisi e compatti a formare l’anello planetario più brillante del sesto pianeta del Sistema solare, nonché il più grande e lontano di quelli visibili. Dopo trent’anni gli astronomi hanno capito che il responsabile non è Giano (la luna conosciuta come Saturno X). O meglio, non da solo: il satellite, che porta il nome della divinità romana, tiene a bada la polvere dell’anello insieme ad altre lune. 
PanAtlantePrometeoPandoraEpimeteoMimas e, appunto, Giano: questa è la formazione lunare che, con l’ausilio fondamentale della forza di gravità, ci permette di ammirare il Signore degli anelli in tutta la sua grandiosità.

Un gruppo di ricercatori della Cornell University ha sfruttato i dati raccolti dalla “cara estinta” sonda Cassini per studiare meglio il fenomeno misterioso degli anelli di Saturno. Radwan Tajeddine e i suoi colleghi hanno finalmente risolto il mistero; senza il lavoro di gruppo delle lune ghiacciate, il materiale polveroso dell’anello A andrebbe disperso. Il risultato della simulazione informatica è oggetto di un paper pubblicato su The Astrophysical Journal.

Come si vede nelle immagini di Cassini, l’anello A sembra un disco di vinile: sull’anello ci sono le cosiddette “onde di densità” (che somigliano ai solchi di un disco) create da quelle che gli astronomi chiamano risonanze lunari, cioè le influenze orbitali indotte dalle lune esterne sugli anelli di Saturno. Da queste onde si deduce che l’influenza gravitazionale delle lune aiuta a rallentare e ridurre la perdita di materiale nello spazio.

Questa immagine raccolta dalla sonda Cassini mostra un’onda densità presente nell’anello A di Saturno (sulla sinistra), a circa 140 mila km dal pianeta. Al momento dell’acquisizione, la sonda si trovava a circa 56 mila km di distanza dagli anelli. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute

Di onde di densità ce ne sono a centinaia, sull’anello A, e sono generate da diverse risonanze lunari. Le spinte gravitazionali dalle sette lune rallentano l’anello annullando lo slancio verso l’esterno tanto da creare un bordo perfetto.

Tajeddine ha detto che gli scienziati non sono ancora sicuri sul processo che ha formato gli anelli, ma il meccanismo che li tiene insieme è finalmente chiaro.

Modificando liberamente la “Poesia dell’anello” (il breve componimento presente nel Signore degli Anelli di Tolkien) potremmo dire: «Sette lune per domarli, sette lune per trovarli, sette lune per ghermirli e nell’oscurità incatenarli». Perdonateci la licenza poetica!


Alla Ricerca dei Pianeti Extrasolari. Da 52 Pegasi b a PLATO, alla ricerca amatoriale.

Coelum Astronomia 215 di ottobre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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La Notte Internazionale della Luna a Palidoro!

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#InOMN2017
La Notte Internazionale della Luna a Palidoro!

Con il Patrocinio del Comune di Fiumicino

Nel campo della Parrocchia Santi Filippo e Giacomo un evento internazionale organizzato dal Gruppo Astrofili Palidoro in collaborazione con Noi Palidoro – Comitato Promotore.
Una serata per grandi e piccini dedicata alla #Luna.

Una conferenza introduttiva porterà i visitatori in un affascinante mondo in misteri e curiosità del nostro satellite naturale.
A seguire con i telescopi sarà possibile osservare la Luna con i propri occhi dal vivo… Tanta didattica astronomica arricchisce la serata.

Evento facebook: www.facebook.com/events/1827459024165311
Media Sponsor COELUM Astronomia

Durante l’evento saranno allestiti stand gastronomici.

INGRESSO LIBERO

INFO
info@astrofilipalidoro.it – 3475010985

www.astrofilipalidoro.it


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Tecniche d’osservazione per pianeti extrasolari

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Diffusore e relativo schema ottico. Crediti: RPC Photonics
Diffusore e relativo schema ottico. Crediti: RPC Photonics

È stato pubblicato il 5 ottobre scorso su The Astrophysical Journal un articolo che attesta la precisione delle misure ottiche raggiungibili da Terra per l’osservazione di esopianeti grazie all’utilizzo di un dispositivo ottico testato da un gruppo di astronomi della Penn State University. Il dispositivo oggetto di studio – tecnicamente un beam-shaping diffuser, prodotto nei laboratori della Rpc Photonics di Rochester (New York) – è un micro-componente ottico con il compito di distribuire la luce, proveniente dalla stella, su una superficie del sensore ottico maggiore di quella che coprirebbe senza diffuser.

Il test del dispositivo è stato condotto al telescopio Hale dell’Osservatorio Palomar, in California, al telescopio da 0.6 m Davey Lab Observatory della Penn State University e al telescopio Arc da 3.5 m dell’Apache Point Observatory, in New Mexico.

Ma perché “sparpagliare la luce” dovrebbe portare un beneficio alla qualità delle immagini?

A rovinare la qualità delle immagini da terra intervengono svariati fattori. In primis, costituisce un grande problema per gli astronomi e per chi progetta i telescopi l’atmosfera, che deteriora il seeing delle immagini (è la distorsione che si cerca di correggere con i sistemi di ottica adattiva). A parte i problemi relativi alla scintillazione del cielo – che riguardano solo le osservazioni da terra – rimane l’errore introdotto dalla disomogeneità nella risposta dei pixel del rivelatore, i quali non rispondono tutti allo stesso modo alla luce. Questo errore aumenta se la misura è basata su pochi pixel ma diminuisce proporzionalmente se si riesce a mediare la misura su un grande numero di pixel, compensando così statisticamente gli errori dei singoli pixel e ottenendo una migliore qualità dell’immagine.

Ecco dunque che la tecnica di distribuire la luce su una superficie maggiore – chiamata defocusing – permetterebbe di raggiungere precisioni molto elevate, ed è utile nel caso in cui quello introdotto dai pixel sia l’errore dominante, come succede nei telescopi spaziali, per i quali l’atmosfera non rappresenta un problema.

Alla ricerca di pianeti solari è dedicato il numero 215 di ottobre di Coelum Astrnomia, e proprio con Roberto Ragazzoni, assieme a Isabella Pagano e Giampaolo Piotto, andiamo invece alla scoperta del telescopio spaziale Plato, altra missione, quasi tutta italiana, che entrerà in campo dal 2025 per analizzare le atmosfere dei pianeti extrasolari. Cliccare sull’immagine per accedere alla lettura gratuita.

Ma è davvero efficace? Lo abbiamo chiesto a Roberto Ragazzoni, astronomo dell’Istituto nazionale di astrofisica all’Osservatorio di Padova, esperto di ottica e membro del board della missione spaziale europea Cheops (CHaracterizing ExOPlanets Satellite).

«Si tratta di un’applicazione interessante in tutte le situazioni in cui il telescopio o il rivelatore ottico non sono ottimali o allo stato dell’arte», spiega Ragazzoni. «Se applicata a telescopi sub-ottimali, questa tecnica permette di ottenere risultati molto buoni, pur non stabilendo un record nella qualità delle osservazioni (intendiamo sempre da Terra), consentendo di raggiungere un livello di misure di qualità medio-alta a una classe di rivelatori che altrimenti ne sarebbe esclusa. Esistono misure effettuate con i migliori rivelatori a disposizione in modo tradizionale che mostrano una precisione anche superiore: per citare un esempio, quelle fatte dal gruppo di Valerio Nascimbeni per cercare transiti di pianeti da Terra».

Chiediamo a Ragazzoni se questo tipo di tecnica verrà utilizzato anche per Cheops, la missione europea destinata allo studio dei pianeti extrasolari in partenza nel 2018. Cheops avrà il compito di compiere osservazioni molto precise di stelle attorno alle quali è già nota la presenza di pianeti o di cui ci sono forti indizi, con l’obiettivo di studiare la struttura di pianeti extrasolari con raggi che vanno tipicamente da 1 a 6 volte quelli della Terra e con masse fino a 20 volte quella del nostro Pianeta, in orbita attorno a stelle luminose.

«Anche il nostro gruppo di ricerca aveva valutato questa soluzione per Cheops, testando lo stesso dispositivo oggetto dello studio in laboratorio (vedi Magrin et al., 2014), come citano anche loro nell’articolo. Nel caso spaziale questa tecnica avrebbe un piccolo margine di miglioramento netto, ma bisogna considerare», osserva Ragazzoni, «che sarebbe stata la prima volta che un dispositivo simile avrebbe volato nello spazio. Sia per cause termiche sia per un possibile annerimento del vetro a causa delle radiazioni a cui il telescopio è esposto durante il periodo della permanenza in orbita, sarebbe stato troppo rischioso adottare questa soluzione».

L’esposizione prolungata del vetro comune (borosilicato) alle radiazioni cosmiche può infatti produrre un annerimento e variazione nella trasparenza, con la conseguente perdita di qualità dello strato riflettente degli specchi o di altri dispositivi ottici (lenti, eccetera). Per le applicazioni spaziali è normalmente utilizzata una miscela di borosilicato con altre sostanze (per gli specchi lo ZeroDur, per le lenti il BK7 a cui si aggiunge ossido di cerio), che conferiscono al vetro la tipica colorazione leggermente giallognola rendendolo stabile alle radiazioni anche per anni.

«Anche per Cheops si userà una tecnica di defocusing», conclude Ragazzoni, «ossia di sparpagliamento della luce sulla superficie del sensore, ma la qualità ottica del telescopio si giocherà tutta sulla stabilità, dote fondamentale nel campo spaziale. Proprio recentemente è stata verificata in Svizzera la stabilità del telescopio, garantita dalle strutture in carbonio, ed è stata testata con successo con una precisione di pochi nanometri».

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journlal l’articolo “Towards Space-like Photometric Precision from the Ground with Beam-Shaping Diffusers“, di Gudmundur Stefansson, Suvrath Mahadevan, Leslie Hebb, John Wisniewski, Joseph Huehnerhoff, Brett Morris, Sam Halverson, Ming Zhao, Jason Wright, Joseph O’rourke, Heather Knutson, Suzanne Hawley, Shubham Kanodia, Yiting Li, Lea M. Z. Hagen, Leo J. Liu, Thomas Beatty, Chad Bender, Paul Robertson, Jack Dembicky, Candace Gray, William Ketzeback, Russet McMillan e Theodore Rudyk
  • Vai al sito di Cheops

Guarda in questo video il confronto fra defocusedfocuseddiffused:


 

Onde gravitazionali, lampi gamma e kilonovae: una scoperta epocale d’oro e di platino.

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This chart shows the sprawling constellation of Hydra (The Female Sea Serpent), the largest and longest constellation in the sky. Most stars visible to the naked eye on a clear dark night are shown. The red circle marks the position of the galaxy NGC 4993, which became famous in August 2017 as the site of the first gravitational wave source that was also identified in light visible light as the kilonova GW170817. NGC 4993 can be seen as a very faint patch with a larger amateur telescope. Credit: ESO, IAU and Sky & Telescope
In questa impressione artistica due piccole ma estremamente dense stelle a neutroni stanno per fondersi ed esplodere in una kilonova! Un evento estremamente raro capace di produrre dia onde gravitazionali, che lampi gamma di breve durata, entrambi osservati il 17 agosto di quest'anno, dalla collaborazione LIGO-Virgo e dai telescopi Fermi e INTEGRAL rispettivamente. Le successive osservazioni con numerosi telescopi dell'ESO hanno confermato la natura di kilonova dell'oggetto, ospitata nella galassia NGC 4993, a circa 130 milioni di anni luce da noi. Sono le kilonovae le fonti principali nell'universo degli elementi chimici più pesanti, come l'oro e il platino. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

I rumors giravano già qualche tempo fa, quando si è avuta la conferma del quarto evento di onde gravitazionali rivelato da LIGO e primo per l’interferometro di Cascina Virgo, un twit lasciava pensare che ci fosse dell’altro, che un altro evento fosse stato registrato e che ci fosse anche l’osservazione della controparte visuale… e finalmente è arrivata la conferma, che va oltre le aspettative! È stata effettuata la prima osservazione diretta della controparte visibile di una sorgente di onde gravitazionali, ovvero… si è riuscito a vedere da dove ha avuto origine e cos’è rimasto di quell’evento.

La correlazione tra le due osservazioni, gravitazionale ed elettromagnetica, è stata possibile grazie a una collaborazione globale e alla rapida reazione di tutti gli enti e gli osservatori partecipanti.

Ma andiamo con ordine, il 17 agosto 2017 l’interferometro LIGO negli Stati Uniti, in collaborazione con l’Interferometro Virgo in Italia, ha ottenuto la quinta rivelazione di onde gravitazionali, a cui è stata data la sigla GW170817. Solo due secondi più tardi, due Osservatori spaziali, il telescopio spaziale a raggi gamma Fermi, della NASA, e INTEGRAL dell’ESA hanno raccolto un lampo gamma di breve durata proveniente dalla stessa zona di cielo.

Grazie all'avvio delle attività dell'interferometro Virgo, nell'agosto 2017, è stato possibile restringere l'area di provenienza del segnale delle onde gravitazionali rivelate da LIGO. Sullo sfondo un'immagine tridimensionale della Via Lattea, centrata su di noi, sulla sfera celeste sono evidenziate le aree di provenienza delle onde gravitazionali rivelate fin'ora. In giallo l'area ben più limitata, identificata dalla collaborazione dei due interferometri, dell'onda di cui è stata trovata anche la controparte visuale. Crediti: LIGO/Virgo/NASA/Leo Singer/Axel Mellinger

L’area di provenienza di un’onda gravitazionale è sempre molto ampia, da qui la difficoltà a individuarne con esattezza l’origine, e in questo caso, proprio grazie alla collaborazione LIGO-Virgo, si è riusciti a identificarla in modo più preciso, con una regione del cielo meridionale comunque ancora ampia: circa 35 gradi quadrati, quanto svariate centinaia di lune piene e contenente milioni di stelle….

Dal Cile, appena calata la notte, si sono attivati diversi telescopi, per osservare a tappeto quell’area di cielo, alla ricerca di una sorgente. Tra gli altri: il telescopio nell’infrarosso e nel visibile VISTA dell’ESO e il VLT Survey all’Osservatorio Paranal, il telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount) a La Silla dell’ESO, il telescopio da 0,4 metri LCO dell’Osservatorio di Las Cumbres e il DECam dell’Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo. Ma il primo ad annunciare la presenza di un nuovo punto di luce è stato il telescopio da 1 metro Swope, quasi in contemporanea con le osservazioni di VISTA all’infrarosso.

La fonte sembrava molto vicina a NGC 4993, una galassia lenticolare nella costellazione dell’Idra, e man mano che la notte si è spostata verso ovest altri Osservatori da terra si sono attivati: dalle Hawaii, i telescopi Pan-STARRS e Subaru l’hanno individuata potendone anche osservare la rapida evoluzione.

Nella cartina l'Idra, la più ampia costellazione del cielo. La maggiorparte delle sue stelle sono visibili a occhio nudo, sotto un cielo buio. Il cerchietto rosso indica la posizione della galassia NGC 4993, che ha ospitato la kilonova GW170817. NGC 4993 può essere vista come una macchiolina molto tenue solo attraverso una buona strumentazione amatoriale. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

«Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha la possibilità di assistere all’inizio di una nuova era», osserva Elena Pian, astronomo dell’INAF e autore principale di uno degli studi pubblicati su Nature. «Questo è uno di quelli!».

Nel diagramma la copertura delle differenti lunghezze d'onda dei numerosi strumenti dell'ESO che hanno osservato l'esplosione della kilonova in NGC 4993. Crediti: ESO

La galassia sarebbe presto stata troppo vicino al Sole per essere osservata, l’evento si sarebbe potuto seguire solo entro la fine di agosto, e alla improvvisa chiamata all’osservazione dell’ESO, una delle più ampie che siano mai state fatte, hanno risposto in molti tra gli Osservatori dell’ESO stesso e dei suoi partner: oltre al VLT anche il New Technology Telescope (NTT), il VST, il telescopio da 2,2 metri MPG e ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e più di 70 Osservatori in tutto il mondo, incluso il telescopio spaziale Hubble (NASA/ESO). Tutti hanno osservato l’evento, la sua evoluzione e i suoi effetti su un ampio spettro di lunghezze d’onda (qui un elenco degli strumenti di alcuni osservatori utilizzati).

La galassia NGC 4993 ripresa da diversi strumenti e telescopi ESO, tutti rivelano la debole fonte di luce vicino al nucleo luminoso della galassia (sulla sinistra in alto). Oltre ad essere vista da Terra, l'esplosione, chiamata kilonova, ha prodotto sia onde gravitazionali, rivelate dagli interferometri di LIGO-Virgo, sia lampi gamma raccolti da Fermi e INTEGRAL dallo spazio. Credit: VLT/VIMOS. VLT/MUSE, MPG/ESO 2.2-metre telescope/GROND, VISTA/VIRCAM, VST/OmegaCAM

Sia le osservazioni telescopiche che quelle gravitazionali concordano sulla distanza dell’evento: l’onda è stata generata alla stessa distanza in cui si trova NGC 4993, circa 130 milioni di anni luce dalla Terra. Una conferma che la rende anche la sorgente più vicina di un’onda gravitazionale rivelata, e anche di uno tra i più brevi raggi gamma mai visti.

C’è da dire che un’onda gravitazionale di questo genere difficilmente avremmo potuto rivelarla se fosse stata più distante, era infatti significativamente più debole delle prime quattro. L’ipotesi quindi è che l’origine sia stata non la fusione di coppie di buchi neri, come nelle prime quattro onde rivelate, ma una kilonova, un evento esplosivo luminoso 1000 volte più di una nova,  generata dalla fusione di due stelle a neutroni.

L’onda gravitazionale viene generata dal rilascio di energia del movimento dei due oggetti massici, come sono le stelle a neutroni, ma per poter essere sufficientemente ampia da essere “vista” dalla nostra strumentazione deve essere amplificata da un evento catastrofico, come l’improvvisa accelerazione dei due oggetti sul punto di fondersi e la conseguente esplosione di energia generata.

In aggiunta a questo, l’ipotesi principale per spiegare i lampi gamma di breve durata, vede proprio come sorgente la fusione di questo tipo di stelle. Le kilonovae sono quindi oggetti teorizzati da lungo tempo, più di 30 anni fa, ma non se ne era ancora mai osservata una, e la rilevazione simultanea del lampo gamma e dell’onda gravitazionale ha fatto pensare che forse la fine della caccia alla kilonova era vicina. Ma è grazie alle osservazioni dei telescopi ESO, che hanno rivelato una serie di proprietà dell’evento molto vicine a quelle delle previsioni teoriche, che se ne è potuta confermare l’identità.

In questo mosaico la kilonova (cliccare per ingrandire) diventa sempre più rossa fino a scomparire in una settimana circa dalla sua esplosione, il 17 agosto 2017. Questa immagine è stata ottenuta dal telescopio a infrarossi di VISTA, nell'Osservatorio cileno Paranal dell'ESO. Credit: ESO/N.R. Tanvir, A.J. Levan and the VIN-ROUGE collaboration

A seguito della fusione delle due stelle di neutroni, l’energia liberata ha provocato un’esplosione di elementi chimici pesanti in rapida espansione, a quasi un quinto della velocità della luce. La kilonova si è mostrata all’osservazione in un rapido cambiamento di colore dal profondo blu al profondo rosso nell’arco di una sola settimana, più repentino di qualsiasi altra esplosione stellare osservata.

«Quando lo spettro è apparso sui nostri schermi ho capito che si trattava dell’evento transitorio più insolito che avessi mai osservato», racconta  Stephen Smartt, che ha condotto le osservazioni con il NTT dell’ESO, all’interno del progetto ePESSTO, una survey spettroscopica di oggetti transienti. «Non avevo mai visto niente di simile. I nostri dati, insieme a dati provenienti dagli altri gruppi, hanno dimostrato a tutti che questa non era una supernova o una stella variabile in primo piano, ma era qualcosa di molto notevole».

L’analisi degli spettri ha poi suggerito la presenza tra i resti diffusi nello spazio dall’esplosione di cesio e tellurium, indici della formazione di metalli più pesanti del ferro in reazioni nucleari all’interno di nuclei stellari a così alta densità, una nucleosintesi chiamata processo r anch’essa fin’ora solo teorizzata… per la prima volta abbiamo potuto assistere alla dispersione di questi elementi nello spazio e confermarne quindi la provenienza.

La fusione di due nuclei stellari ad altra densità, produce una violenta esplosione chiamata kilonova. SDa un evento del genere ci si aspetta l'espulsione nello spazio di elementi chimici pesanti, che alcuni dei quali vediamo indicati nell'illustrazione assieme al loro numero atomico. Credit: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Non deve stupire quindi che la notizia sia stata data in contemporanea da più fonti: tre eventi simultanei che si sono tenuti a Washington, con la conferenza stampa organizzata dalla collaborazione scientifica LIGO-VIRGO presso la National Science Foundation (NSF), a Monaco con la conferenza stampa dell’ESO (European Southern Observatory) nel suo quartier generale di Garching, e a Venezia dove si terrà una conferenza stampa organizzata dall’ESA (European Space Agency).

In un colpo solo sono tanti i risultati raggiunti, tante le previsioni e le teorie che trovano conferma e il tutto grazie a una inter-collaborazione senza precedenti di progetti e strumentazioni capaci di raccogliere e analizzare diversi tipi di segnali.

«I dati analizzati fin’ora corrispondono sorprendentemente alla teoria. È un trionfo per i fisici teorici, una conferma che gli eventi rivelati dalla collaborazione LIGO-Virgo sono assolutamente reali e un risultato sorprendente per l’ESO nell’aver raccolto tali quantitò di dati sulle kilonovae», aggiunge Stefano Covino, autore principale di uno degli studi su Nature Astronomy.

L’ultima parola a Andrew Levano, autore principale di un altro degli studi pubblicati: «La grande forza dell’ESO è stata di avere a disposizione una vasta gamma di telescopi e strumenti in grado di affrontare grandi e complessi progetti astronomici e di farlo in tempi brevi. È l’inizio di una nuova era di una astronomia “multimessaggero”!».


Onde gravitazionali, Astronomia Multimessaggero, Missione VITA, espansione dell’UNIVERSO… TUTTO QUANTO sul nuovo numero di Coelum Astronomia!

Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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La comunità scientifica presenta i nuovi sviluppi dell’astronomia gravitazionale e multimessaggero

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L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare(INFN) in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), invitano la stampa e la comunità scientifica per la presentazione di nuove scoperte nell’ambito dell’astronomia gravitazionale e multimessaggero. L’evento sarà trasmesso in streaming dal sito del MIUR.Tre eventi simultanei si terranno a Washington, dove si svolgerà una conferenza stampa organizzata dalla collaborazione scientifica LIGO-VIRGO presso la National Science Foundation (NSF), a Monaco dove si svolgerà una conferenza stampa organizzata dallo European Southern Observatory (ESO) nel suo quartier generale di Garching, e a Venezia dove si terrà una conferenza stampa organizzata dalla European Space Agency (ESA).

Il programma prevede, nei primi 30 minuti, il collegamento in diretta con Washington, Monaco e Venezia. L’evento proseguirà con gli scienziati italiani coinvolti nelle scoperte, i presidenti di ASI, INAF e INFN e alla presenza della Ministra Valeria Fedeli.

Il programma

Diretta streaming da Washington – National Science Foundation (NSF) interverranno:

  • David Shoemaker, Spokesperson, LIGO Scientific Collaboration;
  • David Reitze, Executive Director, LIGO Laboratory;
  • Jo van den Brand, Spokesperson, Virgo Collaboration (portavoce del progetto);
  • Julie McEnery, Fermi Project Scientist, NASA’s Goddard Space FlightCenter;
  • Marica Branchesi, Astrophysicist, Virgo Collaboration, INFN and GSSI;

Diretta streaming da Garching (Monaco di Baviera), quartier generale dello European Southern Observatory (ESO), interverranno:

  • Xavier Barcons, Direttore Generale ESO;
  • Elena Pian, INAF.

In collegamento da Venezia, dalla conferenza stampa organizzata dalla European Space Agency (ESA) interverranno:

  • Pietro Ubertini, Team Integral/ESA;
  • Alvaro Gimenez, ESA.

Interventi in sala:

  • Paolo D’Avanzo, INAF;
  • Immacolata Donnarumma, ASI;
  • Gianluca Gemme, Coordinatore INFN di VIRGO.

Conclusioni

  • Roberto Battiston, presidente ASI;
  • Nichi D’Amico, presidente INAF;
  • Fernando Ferroni, presidente INFN;
  • Sen. Valeria Fedeli, Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;

Modera: Andrea Bettini, giornalista RAI.


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Corso di formazione per docenti in astronomia culturale

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Nei giorni 9,10,11 novembre 2017 si terrà a Bagnoregio (VT) un corso di aggiornamento per docenti nel settore dell’astronomia culturale realizzato in collaborazione dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dalla Associazione Romana Astrofili (ARA) e dalla Società Italiana di Archeoastronomia (SIA), con fondi erogati dalla Regione Lazio al Comune di Bagnoregio. Il responsabile del corso è il Dott. Ing. Vito Francesco Polcaro, Ricercatore Associato dell’INAF, membro del Centro interdipartimentale ACHe (“Astronomy and Cultural Heritage”) dell’Università di Ferrara e del Comitato Direttivo della SIA e socio ARA. Il corso verrà realizzato tramite lezioni frontali ed esercitazioni sul campo nel rilievo archeoastronomico e verterà sui vari argomenti di astronomia posizionale; storia dell’astronomia occidentale, moderna, dell’astronomia cinese, archeoastronomia, procedure e metodiche scientifiche e interdisciplinari, etnoastronomia. La graduatoria verrà effettuata in ordine di prenotazione via mail dal sito www.ara.roma.it. Il numero massimo dei partecipanti è comunque fissato in 20; nel caso in cui non lo si raggiunga, il corso sarà aperto anche ad operatori del settore sino ad esaurimento dei posti. Per maggiori dettagli sui contenuti e la struttura delle lezioni, sui posti disponibili e gratuità scaricare il PDF con il programma.
L’annuncio del corso è stato pubblicato sul sito dell’Ufficio Scolastico Regionale Lazio.
Per informazioni: Tel. 339-7900809 – ara.roma.it

Haumea, il transnettuniano con l’anello

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A forma di uovo e con un anello attorno: ecco come si è mostrato Haumea agli astronomi. Crediti: Iaa-Csic/Uhu
A forma di uovo e con un anello attorno: ecco come si è mostrato Haumea agli astronomi. Crediti: Iaa-Csic/Uhu

Haumea, uno dei quattro pianeti cosiddetti ‘nani‘ che si trovano nelle regioni più esterne e remote del Sistema solare, oltre l’orbita di Nettuno, possiede un anello di polveri che lo circonda. A scoprire questa sorprendente proprietà è stato un team guidato da astronomi dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía, al quale hanno preso parte anche ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), grazie a una campagna osservativa che ha sfruttato le osservazioni di numerosi telescopi da tutto il mondo. È la prima volta che viene individuate una struttura ad anello attorno a un oggetto transnettuniano, mentre sono ben noti gli anelli attorno ai pianeti giganti del Sistema solare e anche, più recentemente, attorno a due asteroidi della categoria dei Centauri. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature.

Poco sappiamo a oggi della storia di formazione ed evoluzione, oltre alle caratteristiche fisiche, degli oggetti transettuniani dei quali insieme ad Haumea fanno parte anche Plutone, Eris e Makemake. Proprio Haumea è a oggi forse il meno conosciuto tra tutti. Dalla sua controversa scoperta, avvenuta in modo indipendente nel 2004 da parte di due team di ricerca, uno spagnolo e l’altro statunitense, sappiamo che questo oggetto possiede una peculiare forma allungata, oltre che due minuscole lune, battezzate Hi’iaka e Namaka.

Molte sono le difficoltà che si incontrano nel cercare di studiare e analizzare gli oggetti transnettuniani, prima fra tutte l’enorme distanza, che impedisce di effettuare misure dirette sulla forma e le dimensioni di Haumea. Anche nei momenti più favorevoli essa si trova a ben 34 unità astronomiche dalla Terra, ovvero 5,1 miliardi di chilometri. Alcuni eventi astronomici fortuiti, però, permettono di ottenere queste informazioni in modo indiretto ma accurato. Si tratta delle cosiddette occultazioni stellari, durante le quali il corpo, nel corso del suo moto orbitale, si ritrova a eclissare una stella situata sullo sfondo per un intervallo di tempo di pochi minuti o anche meno. La durata di tali eclissi, misurata da osservatori situati in diversi luoghi sulla Terra, varia per effetto prospettico e il confronto delle misure permette quindi di ricostruire l’esatto profilo del corpo celeste e le sue dimensioni, come se ne osservassimo per così dire la silhouette.

«L’efficacia straordinaria di queste osservazioni viene dalla precisione con cui si conosce il momento dell’occultazione. Il tempo dell’occultazione viene calcolato con i dati sempre più’ precisi che arrivano dal satellite Gaia e questo permette di mobilitare le risorse osservative per il breve tempo del fenomeno con precisione assoluta», dice Giuseppe Leto, dell’Inaf di Catania, nel team che ha realizzato lo studio.

Ed è proprio grazie a questo metodo che lo scorso 21 gennaio, quando ha avuto luogo un’occultazione stellare di Haumea particolarmente favorevole e ben visibile dall’Europa, il “papà” spagnolo di Haumea, José Luis Ortiz, ha coordinato in modo efficiente una rete di osservatori, sia professionali che amatoriali, tra cui il telescopio Copernico da 1,82 metri dell’Inaf ad Asiago.

L’elevata qualità dei dati ottenuti da Asiago, assieme a quelli di altri undici telescopi, ha permesso in primo luogo di stabilire che Haumea ha la forma di un cosiddetto ‘elissoide a tre assi’, una specie di gigantesco pallone da rugby, e che è molto più grande e allungato rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Essendo poi nota la sua massa, grazie alla presenza delle due lune, si è potuta fare una stima accurata anche della densità del pianeta nano e dell’albedo della sua superficie, ovvero del suo potere riflettente. Entrambi I valori si sono rivelati ben inferiori alle precedenti stime e molto più simili ai corrispondenti valori di Plutone. La repentina diminuzione della luminosità all’inizio e alla fine dell’occultazione ha permesso anche di stabilire un limite alla presenza di un’atmosfera che, seppur presente, è estremamente più tenue di quella di Plutone, misurata dalla sonda New Horizons.

«La straordinarietà di questo risultato», aggiunge Leto, «è che con semplici curve fotometriche ottenute contemporaneamente da 12 siti posti in diverse posizioni geografiche, effettuate durante un’occultazione, si sono potuti determinare con precisione l’esistenza di un anello, di cui non si aveva conoscenza prima, e migliorare le informazioni sulle proprietà dinamiche e geometriche di Haumea».

Il risultato più interessante dello studio è stato infatti qualcosa di assolutamente inatteso. Più di un osservatorio, tra i quali Asiago, ha mostrato un’anomalia nei minuti che precedevano e seguivano l’occultazione: come se un altro corpo, non perfettamente opaco, avesse occultato la stella subito prima e subito dopo l’evento principale. Anche in questo caso il confronto tra i diversi dati ha permesso di risalire alla causa: Haumea è circondata da un ‘anello’ denso e sottile che orbita a circa 2300 chilometri dalla sua superficie e spesso solo 70 chilometri.

«È una scoperta sensazionale dal punto di vista scientifico, perché mette in luce caratteristiche di questi oggetti – come la forma, o la presenza di anelli – che costituiscono tasselli di un puzzle nella storia evolutiva del nostro Sistema solare», dice Valerio Nascimbeni, ricercatore dell’Università di Padova e associato Inaf, tra gli autori dello studio, «ma è anche un risultato importante perché dimostra come, in un’epoca di “big science”, reti di piccoli telescopi coordinati in modo efficiente siano ancora in grado di competere e complementare il lavoro svolto da osservatori più grandi».

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Una falce sottile di Luna tra Marte e Venere

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Il 17 ottobre la Luna si troverà a soli 2,9° da Marte, il giorno dopo sorgerà invece a soli 2,5° da Venere, ma converrà attendere almeno una mezz'ora perché che i due astri si alzino sull'orizzonte: alle 6:25 saranno alti 6° e a una distanza di 2,6°. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Chi si alzerà presto la mattina del 17 ottobre potrà veder ripagato lo sforzo ammirando una bella congiunzione tra una sottile falce di Luna calante (fase del 7%) e il pianeta Marte (mag. +1,8): potremo rintracciare i due astri a un’altezza di circa 16° sull’orizzonte est, nella costellazione della Vergine.

Se Marte e la falce di Luna saranno distanti circa 3°, guardando più in basso sull’orizzonte, a circa 9° e mezzo dalla Luna, potremo scorgere Venere (mag. –3,9) che si farà via via più alta con il passare dei minuti fino a perdersi nel chiarore del crepuscolo mattutino. Sempre validi restano perciò i consigli della rubrica di astrofotografia di questo mese: ➜  L’incontro tra Venere e Marte

Il giorno seguente, il 18 ottobre, posticipando di mezz’ora l’orario di osservazione alle 6:30 circa, potremo osservare l’evoluzione della situazione appena descritta, con la falce di Luna quasi invisibile (fase del 3%) che, lasciato indietro Marte, andrà a incontrare proprio Venere. I due astri all’ora indicata si troveranno ancora piuttosto bassi, a circa 7° sull’orizzonte orientale.

In entrambe le situazioni, una posa fotografica accuratamente studiata consentirà di catturare gli astri descritti con in più la Luna in luce cinerea. Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer

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Finalmente trovata la metà della massa barionica del nostro universo che mancava all’appello

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Discoveries seem to back up many of our ideas about how the universe got its large-scale structure Andrey Kravtsov (The University of Chicago) and Anatoly Klypin (New Mexico State University). Visualisation by Andrey Kravtsov
"Le nuove scoperte sembrano supportare molte delle nostre idee su come dovrebbe essere la struttura del nostro universo in larga scala" Andrey Kravtsov (University of Chicago) e Anatoly Klypin (New Mexico State University). Visualizzazione di Andrey Kravtsov.

Ormai conoscete bene la caccia alla Materia Oscura (oltre a segnalarvi e proporre numerosi articoli gli abbiamo anche dedicato un numero: Materia oscura, l’universo invisibile), una misteriosa sostanza che si pensa permei l’universo, teorizzata per spiegare gli effetti gravitazionali che osserviamo. Ma il problema della massa mancante non si limita alla ricerca di nuovi tipi di materia esotica, i nostri modelli dell’universo ci dicono anche che là fuori dovrebbe esserci, nascosta da qualche parte, il doppio circa di materia ordinaria (detta barionica) rispetto a quella osservata.

Due team indipendenti di ricercatori hanno trovato questa materia nascosta, fatta di particelle barioniche più che di materia oscura, individuandola in filamenti di gas caldo e diffuso che collegherebbero le galassie le une alle altre, proprio come in quei modelli in cui, a larga scala, l’universo viene immaginato come una grande spugna.

«Il problema della materia barionica mancante è risolto», almeno così sostiene Hideki Tanimura dell’Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay (Francia), a capo di uno dei gruppi. L’altro team di ricercatori è guidato da Anna de Graaff dell’Università di Edimburgo (Regno Unito).

L’ipotesi c’era, da molto tempo si pensava che la massa mancante fosse formata da gas e polveri “nascosti” tra una galassia e l’altra, ma nessuno era ancora stato in grado di “vederla” e portarne quindi una prova concreta.

Se si tratta di filamenti di gas, questo è così tenue e non abbastanza caldo che ancora nessun strumento, né sulla Terra né nello spazio, è in grado per il momento di osservarlo. «Fin’ora era pura speculazione» dice Richard Ellis dell’Università di Londra.

Come hanno quindi fatto questi due team a risolvere il mistero? Serviva un modo diverso per dimostrare definitivamente che questi ponti di gas esistono davvero, e quantificarne la materia contenuta. La soluzione è arrivata si dalle nostre attuali conoscenze dell’universo, e dai dati raccolti fin’ora, ma solo grazie a un espediente tanto semplice (si fa per dire) quanto ingegnoso.

Entrambe le squadre hanno approfittato di un fenomeno chiamato l’effetto Sunyaev-Zel’dovich, che si verifica quando la radiazione emessa dal Big Bang attraversa un gas caldo. Mentre la radiazione viaggia verso di noi, alcuni fotoni interagiscono e vengono diffusi dagli elettroni del gas che incontra, lasciando una tenue impronta nello fondo cosmico a microonde – quel residuo di energia che è la nostra istantanea della nascita dell’universo.

Grazie al satellite Planck, nel 2013 abbiamo ottenuto dati per realizzare una mappa di questo effetto in tutto l’universo osservabile, ma poiché questi ponti di gas tra galassie sono estremamente diffusi, poco densi, le loro deboli tracce non erano visibili.

E qui arriva l’espediente. Sempre in modo indipendente, i due team hanno selezionato numerose coppie di galassie, con struttura simile, che ci si aspettava potessero essere collegate da questi fili di materia barionica, estraendole dal catalogo della Sloan Digital Sky Survey dell’Osservatorio a Terra di Apache Point (New Mexico, Stati Uniti).  Hanno quindi sommato tra loro i segnali raccolti da Planck di quelle diverse aree (normalizzando in qualche modo i segnali delle varie coppie in modo da renderli sovrapponibili), riuscendo in questo modo a evidenziare le impronte di quei fili che, individualmente troppo deboli, sommate in massa una sull’altra sono finalmente “apparse” dando prova della loro esistenza.

Il team di Tanimura ha impilato l’una sull’altra 260.000 paia di galassie, trovando nel mezzo una densità di materia tre volte superiore a quella della materia ordinaria intergalattica, mentre il gruppo di de Graaff ne ha utilizzate oltre un milione per una densità risultante addirittura sei volte superiore al normale – valori diversi ma comunque sufficienti a dimostrare che i gas in quelle zone hanno una densità tale da poter formare dei filamenti.

Entrambe le squadre hanno trovato quindi la prova diretta definitiva dell’esistenza di filamenti di gas tra le galassie.

«Ci aspettiamo delle differenze (tra i risultati dei due team), dato che stiamo osservando filamenti a distanze diverse», spiega Tanimura. «Ma se si tiene conto di questo fattore, i nostri risultati sono sicuramente coerenti con i risultati dell’altro gruppo».

«Tutti sapevano che questa materia doveva essere lì, ma è la prima volta che qualcuno – e non uno, ma addirittura due gruppi di ricerca – l’ha definitivamente individuata», afferma Ralph Kraft presso il Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Massachusetts. La conferma dell’esistenza di questa materia, proprio perché predetta da decenni, porta anche a un’ulteriore convalida delle nostre ipotesi sull’universo, ed è questo il risultato più rilevante.
«Questo risultato è un enorme passo avanti nella dimostrazione che molte delle nostre idee su come si formano le galassie e come si è formata la struttura delle galassie nella storia del nostro Universo, sono praticamente corrette».

I due studi:

A Search for Warm/Hot Gas Filaments Between Pairs of SDSS Luminous Red Galaxies di Hideki Tanimura, Gary Hinshaw, Ian G. McCarthy, Ludovic Van Waerbeke, Yin-Zhe Ma, Alexander Mead, Alireza Hojjati, Tilman Tröster (arXiv: 1709.05024).

Missing baryons in the cosmic web revealed by the Sunyaev-Zel’dovich effect di Anna de Graaff, Yan-Chuan Cai, Catherine Heymans, John A. Peacock (arXiv: 1709.10378v1).


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Dov’è nata la vita? Ce lo mostra Marte

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This view of a portion of the Eridania region of Mars shows blocks of deep-basin deposits that have been surrounded and partially buried by younger volcanic deposits. The image was taken by the Context Camera on NASA's Mars Reconnaissance Orbiter and covers an area about 12 miles wide. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Questa porzione del bacino Eridania su Marte, mostra blocchi di depositi simili a quelli trovati in bacini d'acqua stagnante profondi, circondati e in parte bruciati da depositi vulcanici più recenti. La loro forma e i minerali identificati in questi blocchi portano infatti a pensare che il bacino fosse il fondo di un grande lago, se non un mare, in cui si è sviluppata in seguito dell'attività idrotermale che avrebbe creato condizioni simili a quelle in cui è nata la vita sulla Terra. L'immagine è stata ripresa dalla Context Camera a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter e copre un'area di circa 20 chilometri di larghezza. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Oggi Marte non ha né acqua stagnante né attività vulcanica. Tuttavia sulla sua superficie rimangono tracce della vita passata del pianeta. E i dati raccolti dallo spettrometro Crism del Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa hanno fornito le prove della presenza di minerali che sulla Terra si formano, appunto, in zone vulcaniche in cui sia presente acqua stagnante.

Il diagramma (cliccare per ingrandire) illustra un’interpretazione per l’origine di alcuni depositi nel bacino Eridania nella zona meridionale di Marte, derivante da attività idrotermale sul fondo marino più di 3 miliardi di anni fa. Crediti: Nasa

Secondo uno studio uscito l’estate scorsa su Nature Communications, guidato da Joseph Michalski dell’Università di Hong Kong, i depositi minerali del bacino Eridania comprendono un mix che include serpentino, talco e carbonati. Questi si sarebbero formati circa 3,7 miliardi di anni fa, quando l’acqua del bacino è stata riscaldata dal magma fuoriuscito dalla crosta del pianeta. La pianura dove sono stati raccolti i dati si trova in una delle zone di Marte di più antica formazione e si ipotizza fosse un immenso lago, con un volume d’acqua pari a circa tre volte quello del mar Caspio.

Qui sono indicate le profondità stimate per il fondo dell'antico mare che sarebbe stato il bacino Eridania, con profondità che andrebbero dai 100 ai 1000 metri. La mappa copre un'area di 850 chilometri di larghezza. Credits: NASA

Questi risultati, «anche se non provano che ci sia stata vita su Marte», spiega Paul Niles, uno degli autori dello studio, ci forniscono tuttavia un’immagine del «tipo di ambiente in cui la vita potrebbe essere iniziata sulla Terra». Infatti è molto probabile che le prime forme di vita sulla Terra si siano generate in condizioni idrotermali simili, per origine e per età, a quelle presenti all’epoca su Marte. Condizioni delle quali, a causa della relativa giovinezza del nostro pianeta, e della sua intensa attività vulcanica, rimangono però oggi poche evidenze geologiche dirette.

Inoltre, in ambienti che presentino condizioni analoghe, continua Niles, «la vita potrebbe essere trovata anche in altri mondi: la vita che non ha bisogno di un’atmosfera piacevole o di una superficie temperata, ma solo di rocce, calore e acqua». Mondi come Encelado, la luna ghiacciata di Saturno: nell’aprile di quest’anno la Nasa ha infatti annunciato che la sonda Cassini ha rilevato tracce di idrogeno molecolare nelle colonne di vapore che emergono dal satellite. Questo sarebbe un indizio che al di sotto della superficie possa esserci l’ambiente adatto per lo sviluppo della vita.

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Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese

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Comune di San Marcello Piteglio
UAI – Unione Astrofili Italiani, GAMP – Gruppo Astrofili
Montagna Pistoiese

Nei giorni 28 e 29 ottobre 2017 presso l’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese, struttura del Comune di San Marcello Piteglio, organizzato dal GAMP – Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese – con il patrocinio della UAI – Unione Astrofili Italiani – si svolgerà un imperdibile e prestigioso evento: si terrà, infatti, uno specifico corso sugli Asteroidi tenuto da due importanti astronomi italiani.

Il corso è rivolto a coloro che sono appassionati dello studio dei corpi minori del Sistema Solare, i quali avranno un’occasione davvero unica per conoscere le metodologie utilizzate dai professionisti per studi scientifici da svolgere sugli asteroidi, anche attraverso l’utilizzo di software specialistici.

I relatori del corso, infatti, saranno gli astronomi Fabrizio Bernardi, Amministratore di SpaceDys e curatore del sito NeoDys, co-scopritore del famoso asteroide Apophis e della cometa 268P/Bernardi ed Albino Carbognani, coordinatore della ricerca scientifica presso l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma della Valle d’Aosta (OAVdA),
e responsabile della ricerca sugli asteroidi, in particolare per quanto riguarda l’aspetto fotometrico. L’evento è reso ancor più esclusivo poiché sarà la prima volta che due professionisti metteranno a disposizione di astrofili ed appassionati, le loro competenze in un vero e proprio corso formativo.

Interverranno anche Paolo Bacci, Responsabile della Sezione di Ricerca Asteroidi dell’UAI – Unione Astrofili Italiani – e Luca Buzzi esperto astrofilo dell’Osservatorio Astronomico Schiaparelli di Varese.

Il corso, come già accennato, si svolgerà in due giornate nelle quali verranno illustrate le principali caratteristiche degli asteroidi: dalla loro formazione alla loro classificazione e caratterizzazione morfologica, con approfondimenti sulla dinamica celeste e l’eventuale pericolo di impatto con la Terra; dalle metodologie utilizzate per misurare la posizione sulla sfera celeste per determinarne l’orbita, allo studio fotometrico per individuare il periodo di rotazione, lo spin e la forma in 3D.

Di seguito è riportato il programma di massima:

PROGRAMMA

Sabato 28 Ottobre
14:00 ritrovo in osservatorio
14:30 saluti autorità
15:00 Introduzione agli asteroidi (Paolo Bacci)
15:30 Foto di gruppo
16:00 Astrometria (Fabrizio Bernardi)
17:00 pausa caffe
17:30 Astrometria (Fabrizio Bernardi )
cena
Domenica 29 Ottobre
09:00 Inizio lavori
09:30 Astrometria (Luca Buzzi )
10:00 Fotometria (Albino Carbognani)
11:00 pausa caffè
11:30 Fotometria (Albino Carbognani )
12:30 Saluti
Il corso è aperto ad un massimo di 50 persone.
Per maggiori informazioni scrivere a

b09.backman@gmail.com
gamp104@gmail.com

www.gamp-pt.net

JunoCam, appuntamento a tre

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Credit : NASA / JPL-Caltech / SwRI / MSSS / Roman Tkachenko © CC BY

Nuove immagini dell’ottavo flyby su Giove per la sonda JUNO (Jupiter Near-polar Orbiter).

Domenica 1 settembre 2017 alle 18:14 EDT (00:15 ora italiana), la camera ad alta risoluzione JunoCam, posizionata a bordo della sonda ha immortalato il gigante gassoso e le sue due lune più grandi, Io ed Europa, quando si trovava a 27.516 chilometri di distanza dalle nubi vorticose di Giove.

Come previsto dal team Juno, e dal suo proficuo progetto di citizen science le immagini grezze del flyby sono state rielaborate dai cittadini-scienziati – appassionati volontari sparsi su tutto il globo. La partecipazione del pubblico nella ricerca scientifica ha già permesso di realizzare spettacolari ritratti ad alta definizione del gigante gassoso. Chiunque può contribuire al progetto stando comodamente seduto davanti al proprio computer di casa.

Qui sopra, la Luna Io ripresa durante l'ottavo perigiovio in una immagine (sulla sinistra) elaborata sempre da Tkachenko, e messa a confronto con una simulazione (sulla destra), per verificare luci e ombre delle varie formazioni. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SwRI / MSSS / Roman Tkachenko © CC BY

Nel nuovo scatto d’autore –  rielaborato dal cittadino-scienziato Roman Tkachenko –  è possibile scorgere accanto al gigante gassoso la sua luna Io, osservata dalla sonda a un’altitudine di 481.000 chilometri con una risoluzione di 324 chilometri per pixel. Più a sinistra troviamo Europa visibile ad un’altitudine di 730.000 chilometri con una risoluzione di 495 chilometri per pixel.

A bordo della sonda otto strumenti, tra cui i due esperimenti italiani realizzati con il supporto e il coordinamento dell’ASI.

Si tratta della camera a infrarossi con spettrometro JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno strumento chiave di JUNO, realizzata da Leonardo-Finmeccanica sotto la guida scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), e dell’esperimento di radioscienza KaT (Ka-band Translator/Transponder), realizzato da Thales Alenia Space, sotto la responsabilità scientifica della Sapienza Università di Roma.

Il primo studierà la dinamica e la chimica delle aurore gioviane nel vicino infrarosso, il secondo invece analizzerà la struttura interna del pianeta, con l’obiettivo di mappare il campo di gravità di Giove.

Lanciata il 5 agosto 2011 da Cape Canaveral e giunta nell’orbita di Giove il 4 luglio dello scorso anno (in Italia era il 5) – Juno ha il compito di studiare l’origine, l’evoluzione e la struttura interna del pianeta, la magnetosfera polare, l’origine del campo magnetico, l’abbondanza di acqua, la caratterizzazione dei venti nella bassa atmosfera e le quantità di ossigeno e azoto.

➜ Per saperne di più, leggi lo speciale Coelum Astronomia sulla missione JUNO


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Tabby, un poliziesco in chiave stellare

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Una delle ipotesi più accreditate per l’insolito oscuramento della cosiddetta stella di Tabby è la presenza di una nube irregolare di polvere. Crediti: Nasa/Ames Research Center/Daniel Rutter
Un mistero, tante ipotesi. Crediti: elaborazione Media Inaf su grafiche Nasa/Ames Research Center/Daniel Rutter

A circa 1500 anni luce dalla terra, una singolare stella – denominata ufficialmente KIC 8462852 ma più conosciuta come stella di Tabby – ha catturato l’attenzione degli scienziati e l’immaginazione del pubblico con la sua luminosità stranamente fluttuante.

Unico caso fra le oltre 200mila stelle misurate dal satellite Kepler della Nasa in quattro anni, la luminosità di Tabby è stata vista variare fino al 22 per cento in un giorno solo. Allo stesso tempo, uno studio delle lastre fotografiche pregresse ha rilevato una perdita di luminosità di circa il 20 per cento nel corso di un secolo, anche se una ricerca successiva ha poi confutato questo risultato, attribuendolo a effetti strumentali.

Scartate le ipotesi relative a qualche tipo di manufatto alieno, ma non potendo ancora presentare una risposta esaustiva su cosa genera tali repentini cali di luminosità, i ricercatori si concentrano sulle ipotesi più plausibili. Che non sono poche.

I risultati più recenti, basati su osservazioni delle sonde Spitzer e Swift, lasciano pensare che la presenza di una nube irregolare di polvere in orbita attorno alla stella possa spiegare i cali di luminosità, sia quelli di brevissimo periodo, che quelli riscontrati su intervalli più prolungati.

Una delle ipotesi più accreditate per l’insolito oscuramento della cosiddetta stella di Tabby è la presenza di una nube irregolare di polvere. Crediti: Nasa/Ames Research Center/Daniel Rutter

Altri studi hanno suggerito che lo stesso tipi di oscuramento verrebbe esibito da una stella attorno a cui orbitano un pianeta dotato di anelli e un campo di asteroidi, oppure se la stella avesse recentemente sbriciolato uno o più pianeti. Quest’ultima eventualità avrebbe infatti portato la stella a brillare con più intensità, aumentando temporaneamente la sua luminosità a un livello da cui sta ora progressivamente tornando alla “normalità”, spiegando così la tendenza di lungo termine. Gli sbalzi improvvisi di luminosità potrebbero invece essere causate dai resti del pianeta (o pianeti) che passano in orbite ad alta eccentricità di fronte alla stella.

L’ipotesi dello sciame di comete che passa periodicamente di fronte alla stella ha perso invece quota poiché non è stato osservato il bagliore infrarosso che dovrebbe necessariamente emanare dalla massa di polvere e detriti prodotti dalla disintegrazione delle comete.

Una delle spiegazioni più semplici, ma anche più facili da depennare, sarebbe quella di un corpo celeste che eclissa parzialmente la stella. In questo caso, vista l’entità dell’oscuramento, l’oggetto in questione dovrebbe avere una dimensione stellare, esercitando di conseguenza una tale attrazione gravitazionale sulla stella da rendere totalmente evidente la propria presenza nelle osservazioni del moto stellare. Cosa che finora non è avvenuta.

Un’altra ipotesi da mettere in bassa priorità è quella di una stella che si sta semplicemente esaurendo. Quella di Tabby è infatti un tipo di stella che sta fondendo idrogeno in elio nel proprio nucleo e si trova in un periodo della sua vita in cui dovrebbe aumentare la luminosità, piuttosto che diminuirla.

Da bravi detective, le ricercatrici e i ricercatori che lavorano al caso non hanno subito scartato l’ipotesi che si potesse trattare di un glitchun errore strumentale. Possibilità negata però da Doug Caldwell, del Seti Institute e scienziato progettista per la missione Kepler, per due motivi. In primo luogo, i risultati sono gli stessi su tutti i rilevatori del telescopio che hanno osservato la stella; in secondo luogo, gli enormi cali di luminosità erano già visibili in ogni singolo pixel attribuito a questa stella nelle immagini di Kepler, mentre solitamente occorre un’integrazione tra i vari pixel per misurare la luminosità totale di una stella.

Peraltro, a partire da maggio 2017, la stella di Tabby si è esibita di nuovo con quattro repentini cali di luminosità inspiegabili, questa volta di intensità inferiore e con una durata tra cinque giorni e due settimane. Gli scienziati ora stanno elaborando questi nuovi dati, sperando di trovare la chiave per risolvere il mistero che avvolge questa stella.


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La Luna tra le Pleiadi e il Toro

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Luna Pleiadi Aldebaran
Luna Pleiadi Aldebaran
Nell'immagine la situazione per le due serate dopo le 22, quando anche Aldebaran sarà sorta e i vari astri di questa configurazione saranno fotografabili con elementi del paesaggio. La loro altezza poi aumenterà man mano e potremo continuare a osservarli attraversare il cielo in formazione fino al mattino successivo. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

L’8 e il 9 ottobre attorno alle 22:30 potremo assistere all’evoluzione di un incontro che vede protagonisti la Luna, molto splendente, quasi piena ma all’inizio della sua fase calante, a formare un triangolo quasi perfettamente rettangolo con l’ammasso aperto delle Pleiadi (M 45, mag. +1,6) e la stella alfa della costellazione del Toro, la rossa Aldebaran (mag. +0,85).

Se l’incontro dell’8 ottobre si risolverà in una congiunzione piuttosto ampia (la Luna disterà circa 10° dagli altri due soggetti), il giorno seguente, il 9 ottobre sempre alla stessa ora, la congiunzione si stringerà molto in un incontro esclusivo tra la Luna e Aldebaran. In quest’occasione i due astri saranno separati di poco più di 2 gradi.

Farà da sfondo alla congiunzione il cielo della costellazione del Toro, con le magnifiche Iadi che ne circondano la stella alfa.

Considerata l’ampiezza delle congiunzioni descritte, lo strumento ideale per osservarle sarà un buon binocolo, se non semplicemente a occhio nudo, mentre per scattare fotografie che comprendano anche il paesaggio sarà necessario anticipare un po’ l’orario, come indicato nell’immagine.

Bisognerà tuttavia considerare la differenza di luminosità dei soggetti per calibrare accuratamente le pose. Per la composizione dell’immagine si potranno comunque seguire i consigi di Giorgia Hofer nella rubrica del mese, che anche se dedicata a Marte e Venere, resta valida per qualsiasi configurazione di astri: ➜ ASTROFOTOGRAFIA: L’incontro tra Venere e Marte

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ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani – www.uai.it

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
7-8 ottobre – 1° Meeting nazionale Sistema Solare. Il Meeting tematico UAI, per la prima volta “unificato”, sulle osservazioni planetarie, solari e lunari. Organizzato a Bologna dalle SdR Pianeti, Sole e Luna, con la collaborazione dell’Associazione Astrofili Bolognesi.
http://pianeti.uai.ithttp://sole.uai.ithttp://luna.uai.it

21 ottobre – Riaccendiamo le stelle, giornata nazionale dell’inquinamento luminoso. La Commissione Inquinamento Luminoso UAI propone alle associazioni di organizzare eventi, star party pubblici e conferenze per sensibilizzare ed informare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso.
http://inquinamentoluminoso.uai.it/

28 ottobre – Moonwatch Party: La notte della Luna INAF-UAI. In occasione della International Observe The Moon Night (InOMN). Migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata. L’INAF e l’UAI aderiscono all’iniziativa mondiale InOMN promuovendo il Moonwatch Party.
http://divulgazione.uai.it, http://www.media.inaf.it
http://observethemoonnight.org

28 – 29 ottobre – 14° Meeting nazionale di Radioastronomia Amatoriale ICARA 2017. Il meeting nazionale sulle tematiche della radioastronomia amatoriale e delle strumentazioni relative, organizzato da SdR Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy.
http://radioastronomia.uai.it

Stagni caldi e meteoriti, gli ingredienti della vita

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Un caldo di acqua tiepida nel Lassen Volcanic National Park in California. Crediti: Ben K. D. Pearce, Università McMaster

Gli ingredienti per innescare la vita non sono molti ma tutti sono fondamentali. Tra i 3,7 e i 4,5 miliardi di anni fa, la vita sulla Terra sarebbe iniziata dopo i numerosi impatti di meteoritiche hanno rilasciato gli elementi essenziali in piccoli stagni di acqua calda. A dirlo sono gli scienziati della McMaster University e del Max Planck Institute. I loro calcoli suggeriscono che il ciclo stagionale dell’acqua in piccoli specchi d’acqua (precipitazione, evaporazione e drenaggio) abbia legato i “mattoni” alla base della vita molecolare, quei componenti fondamentali dei nucleotidi a loro volta trasportati dai meteoriti provenienti dalla spazio quando il pianeta era ancora molto giovane, dando infine origine ai polimeri di Rna,

La teoria che i primi organismi unicellulari (quindi i veri e propri primi abitanti della Terra) abbiano avuto origine in sorgenti calde d’acqua dolce non è nuova, e le prove a favore di questo modello sono sempre di più. Ricordiamo che già il “papà” della teoria evoluzionistica Charles Darwin parlava di ”piccolo stagno caldo” riferendosi al cosiddetto brodo primordiale in cui si sarebbero formati i primi organismi viventi. Ben K. D. Pearce e Ralph Pudritz sono totalmente d’accordo con lo “scienziato degli scienziati” e ci suggeriscono che la vita sia iniziata quando la Terra stava ancora prendendo forma durante l’eone che ha visto il pianeta bombardato dai bolidi spaziali. E sono stati proprio i meteoriti che hanno portato gli elementi costitutivi della vita.

Nello studio pubblicato oggi sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science gli scienziati spiegano come la combinazione di condizioni umide e secche nell’ambiente primordiale terrestre sia stato necessario per legare gli elementi portati dallo spazio creando le molecole polimeriche di Rna.

In questa rappresentazione grafica si vedono i diversi fenomeni che influenzano la formazione di sostanze chimiche nei piccoli stagni di acqua calda durante il ciclo idrico stagionale. Crediti: Università McMaster

Dai polimeri di Rna, molecole imperfette e rudimentali, l’evoluzione ha pensato al resto arrivando al Dna, il modello genetico delle forme superiori di vita che si sarebbe evoluto molto più tardi. Secondo quanto ipotizzato, la Terra primordiale sarebbe stata abitata solo esseri viventi basati sull’Rna, mentre la vita basata sul Dna sarebbe arrivata dopo in quanto molecola ben più complessa.

Le uniche condizioni possibili alla vita si sarebbero verificate entro i confini limitati di migliaia di laghetti di acqua calda, probabilmente termale (come molti altri studi suggeriscono) e non nelle profondità oceaniche come ritenuto da teorie ormai quasi superate.

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Giovedì notte Tritone occulta una stella

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Cartina delle zone interessate dall'occultazione di Tritone
La zona da cui sarà possibile osservare il fenomeno (cliccare per ingrandire). Crediti: Google, INEGI, ORION-ME; annotazioni: ERC Lucky Star project
Cartina delle zone interessate dall'occultazione di Tritone
La zona da cui sarà possibile osservare il fenomeno (cliccare per ingrandire). Crediti: Google, INEGI, ORION-ME; annotazioni: ERC Lucky Star project

Nella notte fra giovedì 5 e venerdì 6 ottobre la stellaUCAC4 410-143659 (un astro relativamente brillante situato nella Costellazione dell’Acquario, di magnitudine visuale pari a circa 12.6) verrà occultata dal satellite principale di Nettuno, Tritone.L’occultazione – osservabile da tutta l’Italia – non sarà visibile a occhio nudo, ma sarà alla portata anche dei telescopi amatoriali. L’appuntamento è previsto per le 23:51:24 UT, corrispondenti alle 01:51:24 ora italiana, e la durata dell’evento (in Italia intorno ai due minuti) dipenderà dal luogo di osservazione. L’occultazione stellare sarà osservabile da Terra su una lunga fascia che va dagli Stati Uniti all’Europa (qui i contorni sulla mappa interattiva).

Durante l’occultazione, la luce della stella passerà attraverso l’atmosfera di Tritone dando origine a un processo di rifrazione. Da questo oscuramento sarà possibile derivare informazioni sulla densità, sulla pressione e sul profilo di temperatura dell’atmosfera del satellite.

Per ottenere dei buoni risultati è necessaria una grande precisione sia temporale sia spaziale, dovendo essere ben allineati sulla linea di vista tra le stella e Tritone e il più vicino possibile ala linea centrale nella fascia di osservabilità del fenomeno (vedi figura qui sopra), sulla cui determinazione l’incertezza era in passato superiore ai mille chilometri. Grazie alla possibilità di avere a disposizione i dati sui moti propri delle stelle e sulle loro distanze del telescopio spaziale Gaia, sarà possibile predisporre le osservazioni astronomiche con un’altissima precisione.

«Riconoscendo l’importanza di questo evento per lo studio dei corpi minori del Sistema solare», dice a Media Inaf Antonella Vallenari, astronoma all’Inaf di Padova e nel Consorzio Esa/Gaia, «il consorzio Gaia ha deciso di rilasciare in anticipo rispetto alla pubblicazione dei dati Gaia (DR2, prevista per aprile 2018) una versione preliminare dei risultati astrometrici di circa 120 stelle nella regione intorno alla stella occultata da Tritone, per permetterne l’osservazione della sua atmosfera».

Tritone visto dalla sonda Voyager 2
Tritone visto dalla sonda Voyager 2. Crediti: NASA/JPL

Con i suoi circa 2700 chilometri di diametro, in termini di dimensioni Tritone è di poco più piccolo della Luna, ed è quasi identico a Plutone. Come quest’ultimo possiede una tenue atmosfera di azoto. In occasione dell’occultazione, l’interesse degli astronomi è rivolto proprio alla possibilità di osservare l’atmosfera di Tritone e le sue trasformazioni, già oggetto di studio negli ultimi decenni.

La prima osservazione diretta dell’atmosfera di Tritone venne fatta nel 1989 dalla sonda Nasa Voyager 2 (vedi immagine qui a fianco). In quell’occasione si scoprì che era estremamente tenue e si estendeva per circa 800 chilometri sopra la superficie del satellite, con una temperatura che si aggirava intorno ai 38 gradi Kelvin (-235 °C). Otto anni dopo, nel 1987, un’occultazione permise agli astronomi di effettuare nuovamente alcune misure con lo Hubble Space Telescope, e inaspettatamente si scoprì che la temperatura dell’atmosfera di Tritone era aumentata del 5 per cento: valore che indicava un riscaldamento considerevole, non si sa se dovuto a cicli stagionali o a una variazione del volume dell’atmosfera stessa. Certamente, un’analoga variazione di temperatura nell’atmosfera terrestre avrebbe comportato enormi cambiamenti climatici sul nostro Pianeta.

Risorse in rete

Indicazioni per l’evento sul sito della UAI e chiamata per partecipare all’osservazione da parte del GAM gruppo astrofili massesi

Il progetto Erc Lucky Star sullo studio degli oggetti trans-nettuniani e le loro cartine relative all’evento

Ulteriori informazioni sul sito del Solar System Dynamics and Occultations

E costantemente in aggiornamento su International Occultation TimingAssociation European Section


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Astronomiamo

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LocandinaCoelum

LocandinaCoelum
Dal 5 ottobre alle 21.30: Da zero a Oort. Corso on line sul Sistema Solare. Astronomiamo & International Physicists Network.

28 ottobre: Astronomiamo partecipa a InOMN 2017.

Per maggiori informazioni:
http://www.astronomiamo.it

L’onda gravitazionale travolge il Nobel

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I tre vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2017
I tre vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2017
I tre vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2017
I tre vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2017

Non poteva essere altrimenti: come da pronostico (anche delle lettrici e dei lettori di Media INAF), il Nobel per la Fisica 2017 va alla rilevazione delle onde gravitazionali. Per la precisione: ai fondatori e costruttori di Ligo, lo strumento che l’ha resa possibile. Un premio che arriva con un anno di ritardo rispetto alle attese. Molti lo davano infatti per scontato già nel 2016, nonostante le ferree regole dell’assegnazione – le stesse che impediscono di dividerlo fra più di tre persone – rendessero quell’esito impossibile: l’annuncio venne infatti dato l’11 febbraio 2016, dunque 11 giorni dopo la scadenza per le nomination. Un anno che fa la differenza: nel frattempo, infatti, Ronald Drever, uno dei tre candidati iniziali al premio, è morto.

Il Nobel è andato così alla coppia di fisici che con Drever, nel 1984, diede vita alla collaborazione Ligo – Rainer Weiss, del Massachusetts Institute of Technology, e Kip Thorne, del Caltech – e allo scienziato che ne ha guidato il completamento fino al clamoroso successo del 2015, Barry Barish, anch’egli del Caltech. È grazie a loro se disponiamo di strumenti – nella fattispecie, la coppia d’interferometri Ligo – in grado di percepire deformazioni dello spaziotempo infinitesimali. Strumenti che il 14 settembre 2015, per la prima volta nella storia, hanno intercettato e rilevato un’onda gravitazionale.

speciale onde gravitazionali
Per approfondire l'argomento e capire cosa sono le onde gravitazionali, come funziona un interferometro, e per altri articoli approfonditi su LIGO,VIRGO e il futuro dell'astronomia delle onde gravitazionali, leggi lo speciale di Coelum pubblicato in occasione della prima rivelazione. CLICCA sulla copertina. Sempre in formato digitale e GRATUITO!

Un trionfo almeno triplice. Anzitutto per la fisica teorica, confermando esattamente a un secolo di distanza una fra le previsioni più inimmaginabili della Relatività generale di Albert Einstein, ovvero l’esistenza di onde che attraversano incessantemente l’intero cosmo increspandone il tessuto spaziotemporale come fosse un oceano senza quiete. Ma è anche e soprattutto un trionfo senza pari per la fisica sperimentale: solo una tecnologia portata all’estremo, curando con tenacia e in modo maniacale ogni dettaglio, dalla scelta dei materiali al processo di validazione dei segnali, poteva vincere una scommessa pazzesca come quella di percepire variazioni inferiori a un millesimo del diametro di un protone.

Ed è, infine, un trionfo per l’astrofisica, che grazie alle onde gravitazionali ha potuto confermare in modo indipendente l’esistenza stessa dei buchi neri e che può ora avvalersi di un “senso” nuovo di zecca, dopo millenni in cui non disponeva d’altro se non delle radiazioni elettromagnetiche. «Un grande e meritato riconoscimento per la fisica moderna», commenta a questo proposito Nichi D’Amico, presidente dell’Inaf, «che apre nuovi orizzonti di indagine dell’universo. I telescopi del nostro Istituto nazionale di astrofisica sono già all’opera per produrre le prime “fotografie” delle sorgenti di onde gravitazionali, a tutte le lunghezze d’onda, da terra e dallo spazio».


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Accademia delle Stelle

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2017-10b Coelum AdS

2017-10b Coelum AdS

Corsi di Astronomia a Roma.
L’anno Accademico 2017-2018 della nostra Scuola di Astronomia si apre con due corsi, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno per tutto ottobre e novembre alla nostra sede dell’EUR.

Da lunedì 2 ottobre: L’astronmia insolita e curiosa. Una raccolta delle più curiose e interessanti nozioni, raramente divulgate al pubblico, per scoprire gli aspetti più insoliti ed increduli del cielo e della scienza che lo studia.

Da giovedì 5 ottobre ottobre: Come si osserva il cielo. Corso base completo di astronomia pratica: tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del primo telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.

Informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Astroiniziative UAI: appuntamenti di settembre

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

7-8 ottobre – 1° Meeting nazionale Sistema Solare Il Meeting tematico UAI, per la prima volta “unificato”, sulle osservazioni planetarie, solari e lunari. Organizzato a Bologna dalle SdR Pianeti, Sole e Luna, con la collaborazione dell’Associazione Astrofili Bolognesi.
http://pianeti.uai.ithttp://sole.uai.ithttp://luna.uai.it

ALMA e Rosetta trovano il Freon-40 nello spazio

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Il composto organoalogenato metilcloruro (o Freon-40) scoperto da ALMA intorno alla stella neonata IRAS 16293-2422. Gli stessi composti chimici sono stati scoperti dallo strumento ROSINA, montato sulla sonda spaziale Rosetta dell'ESA, nella tenue atmosfera che circonda la cometa 67P/C-G. Crediti: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); NASA/JPL-Caltech/UCLA
Il composto organoalogenato metilcloruro (o Freon-40) scoperto da ALMA intorno alla stella neonata IRAS 16293-2422. Gli stessi composti chimici sono stati scoperti dallo strumento ROSINA, montato sulla sonda spaziale Rosetta dell'ESA, nella tenue atmosfera che circonda la cometa 67P/C-G. Crediti: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); NASA/JPL-Caltech/UCLA

Usando dati catturati da ALMA in Cile e dallo strumento ROSINA della missione Rosetta dell’ESA, un gruppo di astronomi ha trovato tracce del composto chimico Freon-40 (CH3Cl), noto anche come metilcloruro o clorometano, intorno alla stella neonata IRAS 16293-2422, a circa 400 anni luce da noi, e alla famosa cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P/C-G) nel nostro Sistema Solare. La nuova osservazione di ALMA è la prima scoperta di un composto organoalogenato nello spazio interstellare [2].

I composti organoalogenati sono formati da alogeni, come cloro e fluoro, legati con atomi di carbonio e a volte altri elementi. Sulla Terra, questi composti vengono creati da processi biologici – negli organismi che vanno dagli esseri umani ai funghi – ma anche da processi industriali come la produzione di coloranti e medicinali (il Freon è stato ampiamente utilizzato come refrigerante, da cui il nome, ma è ora vietato perché ha un effetto distruttivo sullo strato protettivo di ozono che circonda la Terra).

La nuova scoperta di uno di questi composti, il Freon-40, in zone che dovrebbero precedere l’origine della vita, potrebbe essere considerata con disappunto, poichè ricerche passate avevano suggerito che queste molecole potessero indicare la presenza della vita.

Ubicazione approssimativa della cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko quando lo strumento ROSINA, montato sulla sonda spaziale Rosetta dell'ESA, ha scoperto tracce di Freon-40 (metilcloruro), la stessa molecola individuata da ALMA intorno al sistema stellare IRAS 16293-2422. Crediti: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)

«Trovare un composto organoalogenato come il Freon-40 vicino a queste stelle giovani, simili al Sole, è stata una sorpresa», commenta Edith Fayolee, ricercatrice all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics in Cambridge, Massachusetts negli USA, e prima autrice dell’articolo. «Semplicemente non abbiamo previsto la sua formazione e siamo sorpresi di trovarlo in concentrazioni così alte. È chiaro ora che queste molecole si formano facilmente nelle incubatrici stellari, facendoci capire meglio l’evoluzione chimica dei sistemi planetari, incluso il nostro.»

La ricerca degli esopianeti è andata al di là della semplice individuazione dei pianeti – ne sono noti ora più di 3000 – e si spinge fino alla ricerca dei marcatori chimici che potrebbero indicare la presenza di vita. Un passo importante è determinare quali molecole possano essere utilizzate a questo scopo, ma stabilire un marcatore affidabile rimane un processo delicato.

«La scoperta da parte di ALMA di composti organoalogenati nel mezzo interstellare ci dice anche qualcosa sulle condizioni iniziali per la chimica organica sui pianeti. Questa chimica è importante per la compresenione dell’origine della vita.» aggiunge Karin Öberg, co-autrice dell’articolo. «Basandoci sulla nostra scoperta, possiamo dedurre che i composti organoalogenati fanno probabilmente parte del cosiddetto “brodo primordiale”, sia sulla giovane Terra che sugli esopianeti rocciosi che si stanno formando».

Ciò suggerisce che gli astronomi potrebbero aver preso la cosa al contrario: invece che indicare la presenza di vita esistente, i composti organoalogenati potrebbero essere un elemento importante nella chimica, ancora poco compresa, alla base dell’origine della vita.

Questa panoramica mostra la spettacolare regione di nubi scure e brillanti che appartengono alla regione di formazione stellare nella costellazione di Ofiuco. Questa immagine è stata ottenuta a partire dai dati della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Trovate le immagini a piena risoluzione al link: http://www.eso.org/public/italy/images/eso1604d/ Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2 Acknowledgement: Davide De Martin

Il co-autore Jes Jørgensen del Niels Bohr Institute dell’Università di Copenhagen commenta: «Questo risultato mostra la potenza di ALMA nel rivelare molecole di interesse astrobiologico verso stelle giovani e sulle scale in cui si formano i pianeti. Usando ALMA abbiamo trovato zuccheri semplici e precursori di amino acidi intorno a diverse stelle. L’addizionale scoperta del Freon-40 intorno alla cometa 67P/C-G rinforza il legame tra la chimica pre-biologica delle protostelle lontane e il nostro Sistema Solare».

Gli astronomi hanno anche confrontato le quantità relative di Freon-40 che contengono diversi isotopi di carbonio nel sistema stellare giovane e nella cometa – e hanno trovato abbondanze simili. Ciò supporta l’idea che un sistema planetario giovane possa ereditare la composizione chimica della nube da cui si è formato e apre la possibilità che i composti organoalogenati arrivino sui giovani sistemi planetari durante la formazione dei pianeti o per mezzo degli impatti cometari.

«Il nostro risultato mostra che dobbiamo imparare ancora molto sulla formazione dei composti organoalogenati», conclude Fayolle. «Devono essere intraprese ulteriori ricerche di questi composti intorno ad altre protostelle e comete per trovare la risposta».


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L’ultima danza di Marte e Venere

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A destra. Nella cartina la posizione di Marte e Venere nelle due date, all’ora in cui i pianeti avranno guadagnato sufficiente altezza per l’osservazione e la ripresa, prima che il cielo schiarisca nel crepuscolo del mattino. Il più veloce moto apparente di Venere ce lo mostra avvicinare Marte da nord, per sorpassarlo e posizionarsi a sud, avvicinandosi all’orizzonte il mattino dopo. Dal giorno seguente i due astri si allontaneranno sempre più, il primo tramontando sempre prima dietro l’orizzonte e il secondo guadagnando altezza e visibilità, come descritto nella sezione pianeti.
Nella cartina la posizione di Marte e Venere nelle due date, all’ora in cui i pianeti avranno guadagnato sufficiente altezza per l’osservazione e la ripresa, prima che il cielo schiarisca nel crepuscolo del mattino. Il più veloce moto apparente di Venere ce lo mostra avvicinare Marte da nord, per sorpassarlo e posizionarsi a sud, avvicinandosi all’orizzonte il mattino dopo. Dal giorno seguente i due astri si allontaneranno sempre più, il primo tramontando sempre prima dietro l’orizzonte e il secondo guadagnando altezza e visibilità, come descritto nella sezione pianeti della rivista. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Il primo appuntamento del mese si presenterà all’alba del 5 e del 6 ottobre quando, attorno alle 5:00 circa, i pianeti Venere (mag. –3,9) e Marte (mag. +1,8) sorgeranno dall’orizzonte est, tra le stelle del Leone, in una congiunzione molto stretta: i due astri saranno infatti separati di meno di 23′, la minima distanza di 21′ la raggiungeranno il 6 mattina attorno alle 6:10.

Anche se i due pianeti, all’ora indicata in cartina, saranno solo una  decina di gradi sopra l’orizzonte, offriranno un sicuro spettacolo e un’ottima occasione di immortalare l’incontro includendo gli elementi del  paesaggio circostante. E proprio a questo evento è dedicata la rubrica di questo mese di Giorgia Hofer: ➜ ASTROFOTOGRAFIA: L’incontro tra Venere e Marte

Inevitabilmente risulterà indispensabile recarsi in na località osservativa con l’orizzonte orientale sgombro.

Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre

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Scopri le costellazioni del cielo di settembre con la UAI

➜ Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della LUCERTOLA (II parte)


Tutti consigli per l’osservazione del CIELO di OTTOBRE su Coelum Astronomia 215

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Rosetta: l’ultima immagine di Chury nascosta nella telemetria

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Come ricordereteRosetta aveva terminato la sua missione il 30 settembre 2016 all’interno dell’ellisse designata, di 700×500 metri, tra due pozzetti nella regione Ma’at, un’area di interesse sul piccolo lobo della cometa.
L’ultima immagine ricevuta era stata scattata dal sistema di imaging OSIRIS quando la sonda stava per toccare il suolo, da un’altezza di soli 23,3 – 26,2 metri.
La foto mostrava una zona sfocata di terreno perché le fotocamere NAC e WAC non erano progettate per riprendere soggetti così ravvicinati (la NAC iniziava ad avere problemi di messa a fuoco a 1 chilometro dal nucleo, la WAC a circa 200-300 metri di distanza).

Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Successivamente, però, gli scienziati si sono resi conto che Rosetta aveva riservato loro ancora un regalo:

Più tardi, abbiamo trovato alcuni pacchetti di telemetria sul nostro server e abbiamo pensato, WOW, potrebbe essere un’altra immagine“, ha dichiarato nella press release Holger Sierks, ricercatore principale per OSIRIS presso il Max Planck Institute for Solar System Research in Germania.

Durante le operazioni, le immagini erano state suddivise in pacchetti di dati a bordo di Rosetta prima dell’invio a Terra. Le ultime, prese prima del touchdown, corrispondenti a 23.048 byte ciascuna, erano state suddivise in sei pacchetti.
Per l’ultima immagine la trasmissione si era interrotta dopo tre pacchetti completi, inviati e ricevuti, per un totale di 12.228 byte, cioè poco più della metà di un’immagine completa. Ma questi, non erano risultati sufficienti al software di elaborazione automatica utilizzato per ricostruire i dati che, di fatto, non aveva riconosciuto l’ultima immagine. Tuttavia, gli ingegneri non si sono arresi riuscendo a dare un senso a quei frammenti ed ecco la sorpresa: la foto che vedete in apertura,

un metro quadrato di Chury visto da 17,9 – 21,0 metri di quota.

Purtroppo, oltre alle capacità di messa a fuoco delle fotocamere, altri dettagli sono andati persi: i dati, infatti, non sono stati inviati pixel per pixel ma a strati, dove ogni livello avrebbe aggiunto maggiore definizione.

Chissà se il prezioso bottino restituito dalla missione non nasconderà ancora qualcosa? 😉

Copyright:© Copyright Alive Universe

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La Luna di Ottobre 2017 e una guida all’osservazione di Grimaldi, Hevelius e Riccioli

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Fasi luna ottobre 2017
Le fasi della Luna in ottobre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Fasi luna ottobre 2017
Le fasi della Luna in ottobre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Per chi insegue le sottili falci di Luna il lavoro non mancherà certamente. In Luna Calante si potrà iniziare il 16 ottobre quando il nostro satellite, dopo essere sorto alle 03:43, alle 06:00 si troverà a un’altezza di +22° in fase di 25,9 giorni. Il mattino seguente, il 17 ottobre, dopo essere sorta alle 04:49, sempre alle 06:00, la Luna sarà a +11° in fase di 26,9 giorni. Infine il giorno 18 l’osservazione sarà più problematica ma forse non impossibile. Infatti il nostro satellite sorgerà alle 05:55 in fase di 27,9 giorni: in questo caso avremo un tempo limitato prima che la luce solare cancelli lo spettacolo notturno.
L’osservazione delle falci di Luna in fase crescente le proponiamo in due distinte serate. La prima è per il 21 ottobre quando alle 19:00 il nostro satellite sarà a un’altezza di +6° in fase di 1,9 giorni, con tramonto previsto per le 19:43. Infine la serata successiva, il 22 ottobre, sempre alle 19:00 la Luna si troverà a +10° con tramonto previsto per le 20:16. Come sempre per questa tipologia di osservazioni lunari, oltre agli ormai noti parametri osservativi, sarà  determinante disporre di un orizzonte libero da ostacoli. Per la ripresa della luce cinerea, i consigli di Giorgia Hofer:

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

A ottobre osserviamo

La prima e principale proposta di questo mese viene suddivisa nelle serate del 3 e 4  ottobre quando, pochissimi giorni prima del Plenilunio, a partire dalle 20:00 circa, dedicheremo le nostre attenzioni alle grandi strutture crateriformi situate vicino al bordo occidentale del nostro satellite in prossimità dell’equatore lunare, precisamente Grimaldi, Hevelius e Riccioli.

➜ Leggi la guida all’osservazione di Grimaldi, Hevelius e Riccioli

massima librazione ottobre 2017Per la seconda proposta, l’appuntamento è per la serata del 6 ottobre quando, un giorno dopo il Plenilunio, andremo a osservare il punto di massima librazione che per l’occasione sarà localizzato nell’estremo settore nordovest del nostro satellite, facilmente individuabile sul bordo lunare all’altezza dei crateri Pythagoras e Anaximander. Nel caso specifico la Librazione ci consentirà di inquadrare nel telescopio l’area dei crateri Zsigmondy (65 km) e Poczobutt (195 km) situati in quel 9% dell’altro emisfero lunare che il fenomeno delle Librazioni rende accessibile ai nostri strumenti.

➜ Leggi La Massima librazione nel settore Nordovest

Nella terza proposta del mese proseguiamo ad esaminare mensilmente i grandi crateri situati lungo il bordo orientale del mare Nubium, suddivisa questa volta nelle due serate del 27 e 28 ottobre con target il cratere Ptolemaeus, il più esteso di un imponente terzetto composto anche dai vicini Alphonsus ed Arzachel già individuati da Galileo Galilei come la “Cauda Pavonis”, che approfondiremo in dettaglio nei prossimi mesi.

Leggi il Cratere Ptolemaeus

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Calendario degli eventi di Ottobre giorno per giorno

Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211


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Il Cielo di Ottobre 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 settembre > 00:00 - 15 settembre > 23:00 - 30 settembre > 22:00 30 agosto > 22:00
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 ottobre > 22:00 - 15 ottobre > 21:00 - 30 ottobre > 19:00 Crediti: Coelum Astronomia

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Il Boote ed Ercole saranno già al tramonto, mentre a nordest si potrà seguire l’ascesa della coppia Perseo- Cassiopea e il sorgere della brillantissima Capella con l’Auriga, seguite già dalle luci del Toro, che assieme alle Pleiadi rappresentano le avanguardie del cielo invernale. Questo scenario vedrà il suo completamento con il sorgere di Orione e dei Gemelli nella seconda parte della notte. Sull’orizzonte nord, l’asterismo del Grande Carro si troverà al punto più basso del suo percorso attorno alla stella Polare.

Scopri le costellazioni del cielo di ottobre con la UAI

Per quanto riguarda i pianeti, potremo seguire Saturno nella prima serata tra le stelle dell’Ofiuco mentre la mattina sarà dominata, a est, da Venere Marte, entro i confini della costellazione della Vergine.

Sole

L’arco diurno percorso dalla nostra stella diverrà sempre più breve nel corso del mese, con un consistente calo in declinazione di quasi 11°. Come è facilmente intuibile, la durata della notte astronomica sarà invece in continua crescita, passando dal già notevole valore di più di 9 ore di inizio mese fin quasi alle 10,5 ore a fine mese. Il periodo di tempo utile per le osservazioni del profondo cielo inizierà mediamente verso le 20:00 e finirà verso le 05:45.

È da ricordare, per il corretto uso delle effemeridi, che alle ore 3:00 di domenica 29 ottobre finirà il periodo dell’ora estiva (TU+2) e bisognerà portare indietro le lancette degli orologi alle ore 2:00. Si ritornerà così all’ora solare invernale (TU+1).

FENOMENI E CONGIUNZIONI DI SETTEMBRE

Questo mese è da segnalare in particolare la congiunzione tra Marte e Venere, che dopo aver partecipato alle danze delle mattine di settembre, assieme a Mercurio, Regolo e la Luna, ora si trovano da soli a danzare un ultimo lungo ballo… che li vedrà vicini per due sere di seguito, prima di allontanarsi anche loro l’uno dall’altro. Per riprendere al meglio la loro congiunzione del 5 e 6 ottobre non perdete i consigli di Giorgia Hofer:

➜ ASTROFOTOGRAFIA: L’incontro tra Venere e Marte

➜ Leggi Il Cielo di ottobre su Coelum Astronomia 215

E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 215

Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della LUCERTOLA (II parte)
➜ La Luna di settembre e l’osservazione dei crateri Grimaldi, Hevelius e Riccioli
➜ Il Club dei 100 asteroidi: La grande opposizione di (7) IRIS
➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ Le comete del mese: C/2017 O1 (ASASSN) al perielio!

➜ Supernovae. Tre nuove scoperte per i team amatoriali!

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EAGLE2, unità di controllo per telescopi e astrofotografia

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La vita dell’astrofotografo può essere complicata; per ottenere buoni risultati, infatti, deve disporre di un computer di controllo e di vari dispositivi elettronici che gli rendono complessa l’installazione del telescopio sul campo (spesso in luoghi lontani, con basso inquinamento luminoso) anche a causa dei moltissimi cavi che possono inavvertitamente staccarsi durante l’utilizzo! Inoltre i computer portatili hanno un elevato consumo e quindi richiedono grandi e pesanti batterie per rimanere in funzione tutta la notte.

A risolvere tutti questi problemi e rendere l’astrofotografia più facile e veloce, ci ha pensato PrimaluceLab, la nota azienda di Pordenone specializzata nello sviluppo di nuovi sistemi che, grazie alla compatibilità fra i diversi componenti, consentono di scoprire l’Universo con massima facilità d’uso e garanzia dei risultati. Tra questi la linea Eagle e soprattutto il neonato EAGLE2.

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Come spiega Filippo Bradaschia nella sua videopresentazione, «EAGLE2 non è solo un computer, ma un’innovativa unità di controllo del telescopio che si occupa sia di comandare tutti gli strumenti che compongono il setup fotografico che di alimentarli».

Grazie al basso consumo di corrente elettrica, è lo strumento perfetto per chi si sposta con il proprio telescopio alla ricerca di cieli non inquinati e che quindi può alimentare tutto il proprio strumento anche con compatte e leggere batterie da campo, come quelle al litio. Ma è perfetto anche per chi ha bisogno anche di grande potenza di calcolo per l’astrofotografia avanzata: ad esempio per l’automazione delle riprese del profondo cielo o per la fotografia planetaria e lunare con le apposite camere USB 3.0 (che possono così registrare video ad elevati fps nel veloce disco SSD).

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EAGLE2 unisce in un solo dispositivo un potente computer (non un miniPC!) con sistema operativo Windows 10 Enterprise (più stabile e leggero dei normali computer) al più avanzato sistema di alimentazione per telescopi per consentirvi di fare astrofotografia in maniera più semplice e veloce!

Grazie al sistema WiFi integrato è possibile controllare l’intero telescopio in remoto dallo smartphone, dal tablet o da un computer esterno (anche Mac) e lo speciale case in alluminio compatibile con il sistema PLUS può essere collegato in molti modi al telescopio sempre con massima rigidità.

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Cosa è possibile fare con EAGLE2


  • • Controllare qualsiasi montatura dal software planetario: grazie al software SkyCharts preinstallato su ogni EAGLE2, superi i limiti delle normali pulsantiere di controllo delle montature avendo a disposizione un fantastico planetario per spostarti nel cielo notturno. Accedi a milioni di oggetti, tutti con moltissimi dati e punta il telescopio (compatibile con le montature dotate di driver ASCOM) dove vuoi, semplicemente selezionando l’oggetto che vedi sullo schermo!

  • • Controllare la reflex digitale o la camera CCD in remoto: installa su EAGLE2 il software per Windows fornito con la camera (non incluso in EAGLE2) che usi per l’astrofotografia e trasformala in una camera wireless! Puoi osservare l’immagine in tempo reale sullo strumento che usi per controllare il tuo telescopio con EAGLE2 e salvarla su EAGLE2 stesso o su una penna USB per importarla nel computer con cui elabori le foto!
  • • Impostare e usare l’autoguida in maniera semplice: EAGLE2 viene fornito con il software PHD2Guiding pre installato quindi vi consente di effettuare l’autoguida con moltissime camere e montature! Osserva l’immagine della stella di guida e il grafico delle correzioni automatiche, potrai così verificare la correttezza di inseguimento della tua montatura anche nelle pose astrofotografiche molto lunghe.
  • • Espandere le funzionalità installando nuovi software: EAGLE2 utilizza il sistema operativo Windows quindi potete espanderne le potenzialità in maniera molto semplice, caricando il software astronomico che preferite, proprio come un normale computer.

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Il nuovo software integrato EAGLE Manager mostra in tempo reale lo stato di connessione delle periferiche, i consumi di ogni singolo dispositivo e la durata della batteria: potrete così monitorare, anche in remoto, lo stato del vostro telescopio durante la cattura delle astrofotografie! Grazie all’innovativo progetto protetto da domanda di brevetto internazionale e modello di utilità italiano, non avrete più bisogno di scomodi computer portatili o grandi batterie sul campo. EAGLE, molto più di un computer!

I vantaggi di EAGLE2

  • • Più facile da usare: elimina la necessità di usare un computer esterno. Visto che EAGLE2 si collega direttamente sul telescopio e ruota insieme alla montatura mentre questa insegue gli astri in cielo, il problema dei cavi che possono staccarsi da soli durante le riprese fotografiche viene superato. I cavi USB e di alimentazione non potranno staccarsi inavvertitamente in quanto EAGLE2 si muove insieme al telescopio!
  • • Più compatibile: consente il controllo remoto via ethernet o WiFi da qualsiasi dispositivo (smartphone, tablet, computer) con qualsiasi sistema operativo (iOS, OSX, Android, Windows). E’ compatibile con tutti i software per astrofotografia e con tutti i telescopi, camere CCD, camere di guida e montature computerizzate.
  • • Più efficiente: gestisce l’alimentazione di tutti i componenti del telescopio e riduce la dimensione e il peso delle batterie necessarie al funzionamento di tutta la strumentazione. Per il controllo remoto EAGLE2 non usa VNC o altre soluzioni simili ma il Remote Desktop integrato nella licenza Enterprise del sistema operativo: per questo è più veloce e non richiede altro software da installare/impostare.
  • • Più stabile: utilizza un sistema Windows 10 Enterprise, più leggero e stabile rispetto ai PC tradizionali (che utilizzando Windows 10 normale o OEM hanno tanti programmi inutili preinstallati che rendono il sistema più lento) ma compatibile al 100%. EAGLE2 utilizza componenti interni progettati anche per l’uso sul campo e con un range esteso di temperature.
  • • Più trasportabile: è leggero e compatto, pesa solo 1200 grammi e si integra perfettamente nel sistema PLUS. Se non avete un elemento PLUS o utilizzate un telescopio di altro marchio, vi basta aggiungere il nostro “Morsetto PLUS Vixen + Losmandy” a EAGLE2 per collegarlo alla barra Vixen o Losmandy del vostro telescopio.

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Per maggiori informazioni consultate il sito del produttore PRIMALUCELAB


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Alla Ricerca dei Pianeti Extrasolari. Da 52 Pegasi b a PLATO, alla ricerca amatoriale.

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Falce di Luna e Saturno con Via Lattea e ISS

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Una falce di Luna crescente (fase del 37%) affiancherà Saturno (mag. +0,5) a 4° circa di distanza, subito a ovest del ramo estivo della Via Lattea, ancora visibile nel cielo di sud-sudovest. La luminosità della falce di Luna potrebbe rendere difficile, ma non impossibile, la ripresa del ricco campo stellare assieme ai due astri principali. Anche la stella Sabik (eta Ophiuchi; mag. +2,4) farà mostra di sé a circa 3,5° dalla Luna, ma non solo… all’ora indicata in cartina, riusciremo a riprendere in un’immagine di paesaggio anche la rossa Antares (alfa Scorpionis; mag. +1,1), a circa 11° a sud della coppia, che tramonterà però molto presto.

Dal Nord e Centro Italia, a partire dalle 20:23 circa, nei pressi della congiunzione, si potrà osservare il primo tratto del passaggio della Stazione Spaziale Internazionale (visibile comunque da tutta Italia, vedi la Rubrica ISS su Coelum 215).

La sera successiva, il 27 settembre, la Luna , nel suo moto retrogado, avrà superato Saturno e si troverà a circa 8° a nordest del pianeta, ma sarà ancora possibile riprendere i due astri immersi nella cornice del panorama.

Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Settembre

Leggi anche

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia n.  di gennaio 2017

➜  Il Cielo di settembre su Coelum Astronomia 214

➜ La Luna di settembre. Con i consigli per l’osservazione della sottile falce di Luna.

➜ La Danza dei Pianeti Riprendiamo il movimento dei pianeti nel cielo con Giorgia Hofer.

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Il radioelescopio di Arecibo danneggiato da Maria

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Photograph by Xavier Garcia, Bloomberg/Getty - Credit: NRAO
A sinistra un'immagine del radiotelescopio ripresa prima del passaggio dell'uragano, ripreso a destra da Paolo Nespoli a bordo dellla ISS. Crediti: Xavier Garcia, Bloomberg/Getty - ESA/NASA

Il 20 settembre, l’uragano Maria (in quel momento classificato come tempesta di categoria 4) ha investito l’isola di Puerto Rico, inondando città, rovesciando ponti, demolendo edifici e abbattendosi con venti superiori a 240 chilometri orari. L’occhio del ciclone è passato a pochi chilometri dalla cittadina costiera di Arecibo e anche, poco più a sud, dalla celebre parabola fissa realizzata in una cavità naturale, una dolina tra le colline boscose. Alcuni danni hanno riguardato anche il radiotelescopio, sebbene se per fortuna la maggior parte della struttura sia rimasta intatta e non ci sono state vittime o feriti nello staff.

Dopo 36 ore di attesa snervante, infatti, il 22 settembre si è saputo che i violentissimi venti hanno spezzato un’antenna lunga 30 metri, sospesa nel fuoco della parabola e chiaramente visibile nell’immagine sottostante, a destra della cupola sospesa. Una metà e precipitata da circa 150 metri di altezza sul grande piatto parabolico sottostante costituito da pannelli di alluminio, perforandandolo in diversi punti.

Photograph by Xavier Garcia, Bloomberg/Getty - Credit: NRAO

Come racconta Frank Drake, ex direttore dell’osservatorio, il ricevitore era stato installato poco dopo l’inaugurazione dell’osservatorio, nel 1966; pesava circa 4,5 tonnellate ed era destinato a ricevere e trasmettere onde radio; è facilmente riconoscibile nell’ immagine qui sopra come la punta che sporge dalla piattaforma sospesa. In passato, era stato usato per individuare le montagne sulla superficie di Venere ed ultimamente ha avuto un ruolo fondamentale per gli studi sulla ionosfera. Ci vorrà parecchio tempo per rimpiazzarlo. Gli addetti dell’osservatorio riferiscono che è stata anche distrutta una parabola più piccola (12 metri di diametro).

Costruito nel 1963, l’Osservatorio Arecibo è diventato negli anni un’icona culturale, nota sia per le sue ciclopiche dimensioni che per i risultati scientifici prodotti. Per la maggior parte della sua esistenza di 54 anni, Arecibo è stato il più grande radio telescopio al mondo, ma nel 2016 il telescopio cinese FAST (500m di diametro) ha superato Arecibo in dimensioni, anche se non è ancora pienamente operativo. L’osservatorio è stato originariamente progettato per la difesa nazionale durante la guerra fredda, quando gli Stati Uniti volevano usarlo per rilevare satelliti e missili sovietici basandosi su come alterano la ionosfera. In seguito, il telescopio ha contribuito alla ricerca di intelligenza extraterrestre (SETI), inviando anche un celebre messaggio nel 1974. Fondamentali sono stati i programmi di osservazione radar planetaria (Mercurio, Venere e, ultimamente, svariati asteroidi NEO) nonchè le ricerche astrofisiche sulle pulsar e altri oggetti. Negli ultimi anni, il governo USA ha più volte minacciato di volere chiudere l’impianto per motivi economici.

Riferimenti:
http://news.nationalgeographic.com/2017/09/arecibo-radio-telescope-damaged-puerto-rico-hurricane-maria-science/


Addio Cassini. Diario di viaggio di vent’anni di missione a pochi giorni dall’ultimo drammatico tuffo nell’atmosfera di Saturno.

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Danza dei pianeti. Marte, Mercurio, Venere e Regolo in fila per l’applauso finale!

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Niente Luna questa volta ma, in ordine di apparizione, Regolo (mag. +1,4; ormai promosso capofila), Venere (mag. –3,9), Marte (mag. +1,8) e Mercurio (mag. –1,0) si disporranno in un allineamento quasi perfetto, a distanze tra i 5° e i 6° uno dall’altro.

Configurazione perfetta per una delle ultime occasioni di ripresa a grande campo di questa infilata di allineamenti e congiunzioni strette che ci hanno offerto nel corso del mese.

Potremo seguirli ancora per qualche sera, ma Mercurio verrà assorbito nella luce del crepuscolo, sempre più basso sull’orizzionte, mentre Regolo si allontanerà sempre più. Rimarranno Marte e Venere, che continueranno ad avvicinarsi fino alle congiunzioni del 5 e 6 ottobre, di cui vi parleremo però il prossimo mese!

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