Nelle sere di metà luglio il Leone e la Vergine si presenteranno ormai prossime all’orizzonte, come pure l’Ofiuco e lo Scorpione, che si contenderanno la presenza di Saturno e la Bilancia. Quasi allo zenit si staglieranno invece le sagome inconfondibili dell’Ercole, della Lira e del Cigno, mentre nei pressi dell’orizzonte il meridiano sarà dominato dal Sagittario e più in alto dall’Aquila. Verso est, intanto, saranno al sorgere Pegaso e Andromeda. Il mese dopo, a metà agosto, Andromeda e il quadrato di Pegaso saranno già molto alti verso sudest, mentre a ovest, sempre più basso, si preparerà a salutarci il Boote con la brillante Arturo. A fine agosto, già prima della mezzanotte si potrà assistere al sorgere delle Pleiadi.
Dopo aver raggiunto il 21 giugno scorso il suo punto più alto nel cielo, la nostra principale fonte di luce tornerà a ridurre sempre più la sua declinazione. Negli ultimi giorni di agosto, ad esempio, nel passare al meridiano raggiungerà (alla latitudine di 42° N) un’altezza dall’orizzonte di poco superiore ai +50°, contro i +70° di metà luglio. Ciò si tradurrà in un sostanzioso aumento delle ore utili all’osservazione degli oggetti del cielo profondo, così che se a inizio luglio la notte astronomica avrà una durata di sole 4,5 ore, a fine agosto si arriverà alle 7,5 ore.
Il Sole questo mese sarà protagonista di quella che sarà probabilmente l’Eclissi Totale più osservata di sempre. Il 21 agosto infatti la fascia di totalità di un’eclisse di Sole attraverserà gli Stati Uniti per tutta la loro larghezza. Non solo effettivamente un territorio vasto e facilmente raggiungibile, anche per turisti da tutto il mondo, ma con un eco mediatica probabilmente senza pari. Coelum Astronomia questo mese ha quindi dedicato alle Eclissi di Sole un lungo speciale fatto di diari di viaggio, suggestioni, immagini, approfondimenti storici e scientifici!
La ricerca di pianeti extrasolari sta vivendo un periodo di vera e propria esplosione. Sono ormai oltre 3.600 i pianeti scoperti in sistemi al di fuori del nostro, e l’attenzione della comunità scientifica è puntata sull’identificazione di quei pianeti in grado di ospitare la vita. Un articolo – scritto da Manasvi Lingam e Abraham Loeb dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (Cambridge, USA), in via di pubblicazione su Montly Notices of the Royal Astronomical Society – esamina alcune delle caratteristiche spettrali che potrebbero indicare la presenza di vegetazione extraterrestre o forme di civiltà avanzate. Nello studio, i ricercatori si sono concentrati su pianeti di tipo terrestre in moto sincrono attorno a una stella di piccola taglia, un caso che si ritiene essere piuttosto frequente.
Il primo aspetto affrontato nell’articolo è quello delle segnature spettrali artificiali, ovvero le variazioni atmosferiche dovute alla presenza di una civiltà tecnologicamente avanzata sulla superficie del pianeta. L’ipotesi è che, per sfruttare al massimo l’energia proveniente dalla stella madre, gli abitanti del pianeta abbiano costruito grandi distese di celle solari. Questo accorgimento è di particolare importanza per pianeti in rotazione sincrona attorno alla propria stella, come nel caso di Proxima b, dove su una parte del pianeta è sempre giorno e sull’altra è sempre notte. Le celle solari a base di silicio causano l’emissione di fotoni alle lunghezze d’onda degli ultravioletti lontani (con un picco attorno ai 200 nanometri, linea nera nell’immagine), e questo segnale potrebbe essere rintracciato nelle misure spettrali.
In seconda battuta, i ricercatori hanno considerato quale tipo di emissione potrebbe essere associata alla presenza di vegetazione su un pianeta. Sappiamo che sulla Terra le piante effettuano la fotosintesi sfruttando l’energia del Sole. La clorofilla, il pigmento coinvolto nella fotosintesi, appare verde perché assorbe molto bene la luce visibile negli intervalli di frequenze del blu e del rosso, mentre è poco efficiente nella regione dello spettro che corrisponde al verde. Osservando i picchi di riflessione delle foglie terrestri, si nota un’importante salita verso i 700 nanometri (linea rossa nell’immagine), ovvero dove la luce rossa si avvicina all’infrarosso. Questo picco può essere quindi utilizzato per individuare la distribuzione di vegetazione simile a quella terrestre.
Nel caso di un pianeta in moto sincrono attorno alla propria stella, gli scienziati hanno immaginato un panorama in cui le celle solari e la vegetazione occupano prevalentemente l’emisfero rivolto verso la stella. Dunque, dal nostro punto di osservazione, le caratteristiche spettrali varierebbero nel corso dell’orbita. Secondo i calcoli degli autori, il tipo di segnale cercato rientra nelle capacità di osservazione dei telescopi di prossima generazione, come WFIRST e LUVOIR, che lavoreranno rispettivamente nella banda infrarossa e ultravioletta.
Ovviamente si tratta di speculazioni, e questo non significa che siamo vicini alla scoperta di vita extraterrestre, né che la scopriremo proprio in questo modo. Tuttavia queste simulazioni possono aiutarci a indirizzare al meglio le nostre ricerche, e a non trovarci impreparati qualora un segnale interessante dovesse raggiungere i nostri strumenti.
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Non li vediamo, ma sappiamo che ci sono. Non abbiamo strumenti per “pesarli”, ma riusciamo a stimare la loro massa grazie agli effetti che esercitano sulla materia che li circonda. Di buchi neri ormai ne conosciamo a iosa. Ce ne sono di quelli che gli astronomi chiamano di “taglia stellare”, perché nel loro cuore stipano, compressa all’inverosimile, una massa equivalente a quella di qualche Sole, al massimo alcune decine. E ce ne sono di decisamente più massicci, anzi supermassicci: per farne uno così, di stelle come la nostra ce ne vorrebbero milioni o addirittura miliardi. Buchi neri di questa taglia XXL sono soliti bazzicare i nuclei centrali delle galassie, Via Lattea compresa.
Tra i primi e i secondi, in termine di massa, c’è un salto enorme: quelli stellari sono almeno centomila volte meno “corposi” di quelli supermassicci. Possibile che in questo sterminato intervallo non ci siano buchi neri di massa intermedia? La domanda è tanto più importante in relazione al come i buchi neri oversize abbiano raggiunto le loro ragguardevoli misure: si pensa che la loro massa sia cresciuta nel tempo, fagocitando progressivamente materia catturata dalle regioni circostanti grazie alla loro eccezionale forza di attrazione gravitazionale. Se così stanno le cose, nell’universo allora dovrebbero esserci moltissimi buchi neri in queste fasi di crescita, e potremmo trovarne potenzialmente di tutte le taglie, tra alcune centinaia e centinaia di migliaia di masse solari. Uno scenario che, tornando al punto di partenza, non sembra però accordarsi con quelli che sono i dati raccolti da indagini specifiche portate avanti negli ultimi decenni.
Un nuovo studio al riguardo, pubblicato su Nature Astronomy, prova a dare una possibile interpretazione per risolvere questa controversia. Tal Alexander dell’Istituto Weizmann in Israele e Ben Bar-Or dell’Istituto per gli Studi Avanzati a Princeton, Stati Uniti, mostrano nella loro indagine che i buchi neri di piccola massa che poi divengono supermassicci, tendono ad “ingrassare” molto velocemente, inglobando tutto quello che li circonda – gas, stelle e perfino altri buchi neri – fino a “placare” il loro vorace appetito una volta raggiunto il tetto del milione di masse solari, limite che li fa accedere di diritto nella categoria dei supermassicci. Alexander e Ben-Or hanno inoltre mostrato che questo risultato ha una valenza generale: è infatti applicabile a tutti i buchi neri che accresceranno la loro massa, indipendentemente da quella iniziale o dall’era cosmologica in cui avviene il pasto cosmico. «I calcoli che abbiamo condotto sulla base della teoria di come le stelle si muovono attorno ai buchi neri e qualche ulteriore assunzione iniziale mostrano che i buchi neri più leggeri non possono evitare il destino di “ingrassare”» dice Alexander. E questi buchi neri avrebbero continuato ad assorbire gas, stelle e altri buchi neri leggeri, diventando quei mostri cosmici che vediamo oggi. Quindi, nella nostra epoca, tutti i buchi neri primordiali dovrebbero essere supermassicci».
Mario Spera, ricercatore dell’Inaf a Padova, che si occupa dello studio e della ricerca di buchi neri di massa intermedia e che abbiamo contattato per un commento su questo studio, sottolinea che «non abbiamo ancora evidenze osservative dell’esistenza di buchi neri di massa intermedia e sappiamo ancora meno riguardo alla loro formazione ed evoluzione. Un altro possibile scenario che prevede la loro formazione è pensare che una stella di massa molto grande (qualche centinaio di soli) sia talmente pesante da vivere solo qualche milione di anni per poi collassare, senza alcuna esplosione, in un buco nero di massa intermedia. Di sicuro, l’unico modo che abbiamo di comprendere la formazione ed evoluzione dei buchi neri è di studiarli in tutti i loro “sapori”. Abbiamo già evidenza di buchi neri di massa fino a decine di miliardi di masse solari. Inoltre, le recenti rilevazioni di onde gravitazionali ci hanno fornito, per la prima volta, la prova dell’esistrenza di buchi neri di “taglia stellare”, con massa fino a circa 60 volte quella del Sole. Fare luce sul mistero dei buchi neri di massa intermedia ci permetterà finalmente di riunire i buchi neri di varie taglie in un’unica grande famiglia».
1 luglio – Occhi su Saturno A poche settimane dalla fine della missione Cassini, una serata con tanti eventi in tutta Italia dedicati al pianeta Saturno, il signore degli anelli. L’evento è promosso dall’Associazione Stellaria in collaborazione con l’UAI. www.occhisusaturno.it http://divulgazione.uai.it
Il 30 giugno, chiude il mese il quartetto che l’ha iniziato… configurazione diversa ma stessi attori. La Luna quasi al Primo Quarto infatti passerà a 6,7° ovest di Giove (mag. –2,1) e a 3,1° a sudovest di Porrima (gamma Virginis; mag. +2,8). Spica sempre presente a poco più di 10° a est del terzetto.
Ma la congiunzione evolve, e la sera del 1 luglio la Luna, nel suo moto retrogrado, si avvicina a quasi 7° da Spica, superando Giove, che si troverà semprea poco più di 6°, e lasciando indietro la più flebile Porrima, formando con i due astri più brillanti un triangolo isoscele.
Il quartetto apparirà entrambe le sere dopo il tramonto, alto sull’orizzonte sudovest. La luminosità della Luna (fase circa 50%) non invaderà troppo la scena permettendo delle belle riprese di paesaggio, per le quali converrà attendere l’ora indicata in cartina. Dopo meno di un paio d’ore, attorno all’1:00, la Luna tramonterà dietro l’orizzonte ovest.
Con un piccolo strumento potrete tentare anche l’osservazione della C/2015 V2 Johnson, la “cometa del momento”. Passata da poco al perielio, si troverà nei pressi di kappa Virginis (SAO 158427), poco meno di 12° a nordest del quartetto, e dovrebbe brillare di una magnitudine attorno alla settima.
E se non avete un piccolo strumento, non disperate! Ricordiamo che il 30 giugno è il giorno dell’Asteroid Day, mentre il 1 luglio è la notte dedicata aOcchi su Saturno, schiere di amatori saranno infatti impegnati con il loro strumenti nell’osservazione di Saturno, chiedere una digressione per osservare tutti gli astri che, la seppure breve, notte astronomica di questi giorni ci offre non sarà un problema! 😉
➜ Occhi su Saturno per tutta l’estate!Per celebrare l’ultimo periodo di attività della missione Cassini, Occhi Su Saturno estenderà le proprie iniziative dal 21 giugno al 15 settembre. I gruppi astrofili che ancora non hanno aderito sono invitati a segnalare il loro evento, mentre chi vuole partecipare alle iniziative può trovare l’evento più vicino e… cominciare a organizzarsi!
➜ 30 giugno Asteroid Day 2017. Gli streaming! Il 30 giugno 2017 segui con noi IN STREAMING su coelum.com l’evento organizzato dal GAMP in occasione della manifestazione internazionale ASTEROID DAY per parlare di asteroidi potenzialmente pericolosi. Sempre in streaming saranno disponibili, oltre a numerosi eventi in tutto il mondo, anche l’evento del Virtual Telescope (Asteroid Day Italia) e l’evento congiunto ESA, NASA e JAXA su asteroidday.org
Il Corso di Astronomia rientra nell’ambito delle attività estive 2017 del GAL Hassin intitolate: “Un’Estate… spaziale!”.
Si svolgerà in cinque giorni, da lunedì 31 luglio a venerdì 4 agosto, al Centro GAL Hassin di Isnello, via della Fontana Mitri.
Sabrina Masiero, Salvatore Massaro e Claudio Zellermayer, tecnologi e astronomi del GAL Hassin, si alterneranno alle lezioni del corso con l’astrofisico Corrado Lamberti, uno dei più apprezzati divulgatori in ambito nazionale, che svilupperà le sue lezioni sulla Legge di Gravitazione Universale (LGU). L’avvio del Corso sarà preceduto da una conferenza pubblica: 30:07, ore 18:00: “La scoperta delle onde gravitazionali” di Corrado Lamberti.
Sono previste attività facoltative e obbligatorie e, al termine del corso, verrà rilasciato l’attestato di partecipazione. Un’occasione da non perdere!
Programma del corso e modulo di iscrizione:http://galhassin.it/corso-di-astronomia-al-gal-hassin/
Contatti: tel. 0921 662890 – 329 8452944
(telefonare da martedì a venerdì ore 10,00 – 12,00). Email: info@galhassin.it
Il 30 giugno si svolgerà anche quest’anno la giornata internazionale dedicata alla sensibilizzazione sul rischio di impatto asteroidale ASTEROID DAY, in cui astronomi e scienziati di tutto il mondo si ritroveranno per parlare appunto di asteroidi potenzialmente pericolosi. Ne parliamo questo mese su Coelum Astronomia n. 212, e trovate la conferenza stampa di annuncio a questo link.
Tanti gli eventi programmati in tutto il mondo, che potrete trovare nelle pagine internazionali dell’organizzazione Asteroid Day.org
Tra i principali segnaliamo:
Il Virtual Telescope, coordinatore di Asteroid Day per l’Italia, offrirà una sessione osservativa in streaming con commento dal vivo a cura dell’astrofisico Gianluca Masi, responsabile scientifico del Virtual Telescope. Alla diretta parteciperanno numerosi ospiti, che verranno resi noti a breve. L’evento si svolge in collaborazione con il canale “Scienza & Tecnica” di Ansa.
Coelum Astronomia parteciperà all’evento trasmettendo in streamingsu www.coelum.com una serie di interventi organizzati dal GAMP – Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese – presso l’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese.
Come ogni anno il GAMP ha aderito all’ ASTEROID DAY e l’Osservatorio, sito nel Comune di San Marcello (PT), ospiterà una serata di incontri per sensibilizzare e informare il pubblico sugli asteroidi e sul loro rischio di impatto, alla quale interverranno professionisti e astrofili del settore.
Presso l’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese, interverrano numerosi relatori tra cui tre studenti dell’Unviersità di Pisa che illustrerrano come poter sfruttare le risorse degli asteroidi. Vi è un vero pericolo di impatto ? Nel corso della serata lo scopriremo insieme.
L’ingresso è libero e gratuito.
30 giugno 2017 dalle ore 21:00
Martina Maestriperi introduzione sugli asteroidi
Mauro Bachini (Associazione Astronomica Isaac Newton di Santa Maria a Monte PI) Occultazioni e curve di luce di asteroidi per determinare le caratteristiche fisiche.
Domenico Antonacci (ACA – Associazione Cascinese Astrofili) Progetto AMICA coordinamento delle associazioni per informare sul pericolo asteroidi
e eventuale ricerca di meteoriti cadute al suolo
Raffaello Bottai, Giovanni Postorino, Mauro Abela (Università di Pisa) Come sfruttare le risorse degli asteroidi
Paolo Bacci (GAMP) Il pericolo di impatto
Indice dei contenuti
Partecipate numerosi!
…e se non potete essere presenti di persona, seguite l’evento in streaming su www.coelum.com!
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Per informazioni:
Biblioteca Comunale di San Marcello Pistoiese tel. 0573/621289
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La regione tra Marte e Giove pullula di mondi rocciosi chiamati asteroidi. Si stima che la fascia principale degli asteroidi contenga milioni di piccoli corpi rocciosi, e tra 1,1 e 1,9 milioni di corpi più grandi fino a un diametro di un chilometro. Piccoli frammenti di questi corpi spesso cadono sulla Terra come meteoriti. Curiosamente il 34% di tutti i meteoriti trovati sulla Terra è di un tipo particolare: condrite di tipo H. Dette olivine-bronziti, prendono il nome dal termine High (alto) per il loro alto contenuto complessivo di ferro e alto contenuto di ferro metallico e per condruli più piccoli di quelli presenti in altri tipi di condrite.
Si pensa che essi provengano da un parente comune – e un sospetto potenziale è l’asteroide (6) Hebe mostrato qui sopra.
(6) Hebe è anche uno dei principali target della nostra maratona osservativa, e/o fotografica a scelta, dei primi cento asteroidi scoperti. L’iscrizione è sempre aperta e aspetta solo nuovi aspiranti al Club dei 100 asteroidi!
ISCRIZIONI SEMPRE APERTE!club100asteroidi@coelum.com
Ha un diametro approssimativo di 186 chilometri e, come dice il nome stesso, è stato il sesto asteroide ad essere scoperto, pure essendo il quinto in ordine di luminosità, dopo Vesta, Cerere, Iris e Pallade. Fu scoperto nel 1847 da Karl Ludwig Hencke, astronomo tedesco, e il nome della dea greca della gioventù glielo assegnò Carl Friedrich Gauss, famoso matematico che fu anche astronomo.
Queste immagini sono state riprese durante uno studio di questo mini-mondo usando lo strumento SPHERE sul Very Large Telescope di ESO. Lo scopo era quello di testare l’ipotesi che (6) Hebe fosse all’origine delle condriti H.
Gli astronomi hanno modellato la rotazione e la forma tridimensionale di (6) Hebe a partire dalle osservazioni e hanno usato questo modello 3D per determinare il volume della più grande depressione sull’asteroide – probabilmente un cratere dovuto a una collisione che avrebbe potuto creare numerosi meteoriti più piccoli. Tuttavia il volume di questa depressione è cinque volte minore del volume totale della famiglia degli asteroidi con una composizione di condrite H, il che suggerisce che (6) Hebe, dopo tutto, non sia la sorgente principale di condriti H.
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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30.
26.06: “Fotografare l’Universo: differenza nella produzione di immagini deep-space e Hi-Res” di Yuri Puzzoli.
Come la missione Plato (PLAnetary Transit and Oscillations of stars), anche il trio di satelliti della missione Lisa (Laser Interferometer Space Antenna) è stato inserito nel programma scientifico dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Si tratta di un passaggio cruciale, perché si può adesso passare alla fase successiva in vista della costruzione vera e propria e del lancio previsto nel 2034. Questo osservatorio spaziale verrà utilizzato dai ricercatori di tutto il mondo per rilevare le onde gravitazionali, tema – questo – al centro della classe di missione L3.
Le sonde lavoreranno insieme a una distanza di 2,5 milioni di chilometri l’una dall’altra, seguendo un’orbita attorno al Sole alla distanza di circa 50 milioni di chilometri dalla Terra, alla ricerca di increspature nel tessuto spazio-tempo provocate da oggetti celesti con una gravità molto forte, come coppie di buchi neri in via di coalescenza. Per rinfrescarvi la memoria, il 4 gennaio di quest’anno i ricercatori della collaborazione Ligo/Virgo hanno identificato, per la terza volta, una sorgente di onde gravitazionali generate dalla fusione di un sistema binario di buchi neri. Albert Einstein aveva predetto tutto questo più di 100 anni fa nella sua Teoria della Relatività Generale. Studiando le onde gravitazionali (soprattutto dallo spazio – come farà Lisa) gli scienziati potranno risolvere molti misteri a cui gli astronomi ancora non hanno dato risposta.
Ognuna delle tre sonde della missione Lisa conterrà due masse di prova, come quella che è attualmente operativa su Lisa Pathfinder. Per rivelare eventuali segnali riconducibili alle onde gravitazionali, le masse di prova dovranno essere protette da qualsiasi possibile sorgente di disturbo durante il volo e dovranno essere isolate da tutte le forze esterne e interne tranne la gravità, un requisito fondamentale per misurare eventuali distorsioni causate dal passaggio di un’onda. Sarà proprio questa distorsione a modificare (anche se solo di pochi milionesemi di micron) il tessuto spazio-temporale e andrà rilevata con estrema precisione. A fine mese, la sonda pathfinder terminerà il suo lavoro.
A Madrid, il Science Program Committee dell’Esa ha anche approvato la partecipazione a Proba-3, una missione tecnologica per la validazione di tecnologie di satelliti in formazione di volo. In orbita terrestre, due satelliti separati da 150 metri e allineati verso il Sole creeranno, per qualche ora ad ogni orbita, delle eclissi artificiali. Queste permetteranno per la prima volta osservazioni dallo spazio della corona solare ottenibili da terra solamente per pochi minuti, durante le rare eclissi naturali. L’Istituto nazionale di astrofisica sarà responsabile dell’innovativo sistema di metrologia per la formazione di volo del coronografo ed effettuerà la calibrazione di quest’ultimo. Il lancio è previsto nel 2019.
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La missionePLATO(PLAnetary Transit and Oscillations of stars) è stata adottata ufficialmente oggi nel programma scientifico dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e passa quindi dalla fase progettuale a quella definitiva della sua realizzazione. Nei prossimi mesi le industrie verranno sollecitate a inviare offerte per la costruzione del veicolo spaziale. La decisione è stata presa a Madrid durante l’incontro dell’ESA Science Program Committee, garantendo la prosecuzione del piano europeo Cosmic Vision 2015-2025.
PLATO è un satellite tecnologicamente molto sofisticato, composto da una batteria di 26 piccoli telescopi che insieme coprono un enorme campo di vista, in grado di osservare per la prima volta contemporaneamente immense zone di cielo. La missione sarà lanciata nel 2026 con un razzo Soyuz-Fregat dalla Guyana Francese e andrà a inserirsi in orbita attorno al punto Lagrangiano L2, uno dei punti di equilibrio del sistema Sole-Terra, a un milione e mezzo di chilometri da noi. Da lì comincerà la sua missione di ricerca di pianeti che orbitano attorno alle stelle più vicine, scandagliano oltre metà del cielo.
Lo scopo della missione è fare un censimento dei pianeti di massa simile alla Terra, misurandone la dimensione, la massa e l’età con precisione mai raggiunta prima. PLATO permetterà di vedere per la prima volta i sistemi solari simili al nostro, di capire quanto questi siano frequenti e di comprendere quanto frequentemente si realizzano nel cosmo le condizioni per lo sviluppo della vita.
Grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana, PLATO porterà a bordo diversi strumenti frutto dell’ingegno italiano. In particolare i 26 telescopi, caratterizzati da un campo di vista simile a quello dell’occhio umano, sono estremamente innovativi, nascono nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Padova, Catania e Milano, e saranno costruiti nei laboratori della Leonardo di Firenze con la collaborazione dell’Università di Berna, della TAS Italia e di Medialario. Anche il computer che controlla gli strumenti a bordo sarà fornito dall’Italia, progettato sotto responsabilità di ricercatori INAF delle sedi di La Palma, Firenze e Roma, sarà costruito dalla Kayser Italia. Inoltre, l’ASI SSDC costruirà una parte decisiva del segmento di terra della missione, mentre il catalogo di stelle che saranno scrutinate da PLATO sarà fornito dall’Università di Padova.
«La missione PLATO è stata fortemente sostenuta dall’ASI, non solo per la valenza scientifica della ricerca di esopianeti, ma anche per valorizzare la capacità di realizzare in Italia i telescopi e l’elettronica associata, per i quali la comunità scientifica e l’industria italiana possiedono una leadership indiscussa in Europa» dice Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’ASI. «PLATO, che seguirà di qualche anno la missione CHEOPS, sposterà la frontiera della ricerca di possibili pianeti abitabili dal nostro sistema solare ai sistemi planetari di altre stelle vicine».
«La notizia ci coglie mentre siamo riuniti a Stoccolma proprio per fare il punto sullo stato del progetto» commenta Isabella Pagano, ricercatrice dell’INAF e responsabile scientifico per l’Italia della missione PLATO. «Non poteva esserci momento migliore per segnare una data che cambierà la storia sulla ricerca degli esopianeti nei prossimi decenni. La strada per trovare pianeti abitabili attorno a stelle vicine a noi è stata definitivamente tracciata».
Una volta lanciato, PLATO sorveglierà un milione di stelle per più di 4 anni e sarà in grado di individuare fra queste quelle con tutte le carte in regola per dimensione, composizione e temperatura per permettere lo sviluppo della vita. Il catalogo di sistemi planetari che sarà prodotto alla fine della missione costituirà la mappa di riferimento per orientare i grandi telescopi spaziali e a terra nei prossimi decenni alla ricerca di vita fuori dal sistema solare.
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Nuovo colpo per Kepler, il cacciatore di esopianeti. In una conferenza stampa diffusa in diretta streaming dal Centro di ricerca Ames della Nasa in California, i ricercatori intervenuti hanno annunciato che la missione spaziale ha individuato 219 nuovi candidati pianeti extrasolari, di cui 10 avrebbero dimensioni simili a quelle della Terra e si troverebbero in zona abitabile, ovvero ad una distanza dalla loro stella madre che permetterebbe all’acqua presente su di essi di mantenersi allo stato liquido.
Con il rilascio di questo catalogo, ottenuto dalla revisione dei dati dai primi quattro anni di missione e che rappresenta la versione finale ottenuta dalle misurazioni ottenute nella porzione di cielo in direzione della costellazione del Cigno, il totale dei candidati esopianeti sfonda il muro dei 4000, assestandosi a 4.034. Di questi, finora 2.335 sono stati confermati tali. Tra i 50 candidati situati in zona abitabile, più di 30 sono stati a loro volta confermati.
L’analisi di questa enorme mole di dati suggerisce la presenza di due classi di pianeti di piccola taglia, comparabile alla Terra. Risultati che indicano come circa la metà dei pianeti che conosciamo nella galassia non ha una superficie solida o è avvolta da un’atmosfera spessa e opprimente, ambienti ostili per ospitare la vita.
«Sebbene il numero di nuovi pianeti sia “modesto” rispetto a quanto ci ha abituati Kepler in passato, questo aggiornamento del catalogo è particolarmente rilevante perché sono stati rianalizzati tutti i dati presi durante la fase principale della missione, quando Kepler ha monitorato le stelle simili al Sole in una regione del Cigno per cercare pianeti simili alla Terra non solo per dimensione ma anche per tipo di orbita» commenta Isabella Pagano, ricercatrice dell’Inaf di Catania e responsabile scientifico per l’Italia delle future missioni spaziali Cheops (Characterizing ExOPLanet Satellite) e Plato (Planetary Transits and stellar Oscillations) dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. «Kepler è stato fino ad ora l’unico strumento in grado di fornirci informazioni sulla frequenza dei pianeti analoghi alla Terra, e bisognerà aspettare il lancio del satellite europeo Plato nel 2026 per avere una valutazione statisticamente più accurata, e, soprattutto, per individuare quelli su cui puntare i grandi telescopi terrestri adesso in preparazione, come Elt, al fine di cercare segnali nelle loro atmosfere eventualmente legati alla presenza di vita».
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Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto
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Il Gruppo Astrofili Palidoro vi invita sabato 1 luglio 2017 alle ore 21.00 presso Villa Guglielmi in Fiumicino per partecipare ad una serata magica.
Una conferenza nella sala conferenze di Villa Guglielmi introdurrà la serata in cui vengono spiegati i misteri e il fascino del “Signore Degli Anelli”. A seguire si potrà osservare Saturno, Luna e Giove direttamente dal parco Villa Guglielmi.
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Un evento gratuito patrocinato dal Comune di Fiumicino Assessorato alla Cultura Comune di Fiumicino e media sponsor COELUM Astronomia
Workshop di ripresa planetaria in alta risoluzione. Sabato 24 giugno 2017 – dalle ore 10 alle ore 17
Aemilia Hotel – via Zaccherini Alvisi, 16 – 40138 Bologna (BO)
Per la prima volta in Italia, Damian Peach incontrerà fans, astrofili e appassionati di astrofotografia per condividere le tecniche di acquisizione e post-produzione che lo hanno portato a creare immagini astronomiche straordinarie apprezzate a livello mondiale. Il workshop, organizzato da Pierluigi Giacobazzi, verrà ospitato nella “Sala Marconi” del prestigioso Aemilia Hotel di Bologna. Punto strategico della bellissima città emiliana, a due passi dalla stazione ferroviaria, dotato di ampio parcheggio interno e facilmente raggiungibile dall’aeroporto internazionale “Guglielmo Marconi”. L’appuntamento prevede una prima sessione mattutina in cui Damian illustrerà le modalità con cui acquisisce le immagini spaziali, a cui seguirà una sessione pomeridiana incentrata sulle tecniche di editing in alta risoluzione. Per agevolare l’ospite internazionale e tutti i partecipanti, è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano.
Costo e modalità di iscrizione
Il costo complessivo del workshop è di 195,00 euro. E’ previsto uno sconto del 10% per chi si iscrive entro il 24 maggio 2017 e ai partecipanti di workshop o corsi precedenti, svolti da Pierluigi Giacobazzi. Le modalità di pagamento sono il bonifico bancario e PayPal.
Link di iscrizione: http://www.pierluigigiacobazzi.com/a_day_with_damian_peach/
Per informazioni: www.pierluigigiacobazzi.com – info@pierluigigiacobazzi.com
CIRCUITO STAR PARTY UAI 23-25 giugno – 5° Star Party degli IbleiQuinta edizione dello Star Party siciliano, organizzato dal Centro Osservazione e Divulgazione Astronomica Siracusa presso Ferla (SR) http://www.codas.it
23-25 giugno – 2° Star Party delle Foreste Casentinesi Lo Star Party (alla seconda edizione dopo il successo del primo della “nuova serie”) del centronord Italia, organizzato dalle associazioni di astrofili della Romagna presso Campigna (AR) nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi http://starpartyforestecasentinesi.webnode.it/
Per gli appassionati mattinieri, il 20 giugno la mattina molto presto, già prima delle 04:00, sarà possibile osservare sull’orizzonte est una bella congiunzione, piuttosto larga, tra una sottile falce di Luna (fase 22%) e il pianeta Venere molto brillante (mag. –4,2) e in fase del 58%, posti a circa 10 gradi di altezza.
I due astri, che si mostreranno allineati e paralleli la mattina del 20 giugno, guadagneranno altezza con il passare dei minuti, ma il cielo sarà sempre più chiaro, con il Sole che sorgerà poco dopo le 5:30.
La mattina del 21 giugno, sempre alla stessa ora, la Luna (fase del 13%) sarà nuovamente in congiunzione con Venere che questa volta sovrasterà il nostro satellite naturale, ponendosi subito al di sopra di esso, in verticale. In questa occasione saranno solo 4 i gradi che separeranno i due astri.
Grazie alla sua alta luminosità, nelle ore successive si potrà però tentare anche la ripresa diurna del pianeta.
Circa 7° più in alto rispetto alla Luna si troverà anche il pianeta Urano, che completa il quadro, anche se sarà ovviamente impossibile da scorgere ad occhio nudo, data la sua luminosità molto bassa (mag. +5,85).
Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovate nel Cielo di Giugno
Giunta nel 2017 alla sua sesta edizione, “Occhi Su Saturno” è una grande iniziativa diffusa in tutta Italia grazie alla collaborazione di associazioni astrofili, singoli appassionati, osservatorio astronomici e planetari. Nata nel 2012 da un’idea dell’associazione di promozione sociale Stellaria di Perinaldo per celebrare i 300 anni dalla scomparsa di Gian Domenico Cassini, il grande astronomo del ’600 nato proprio nel piccolo borgo ligure.
Cassini fu un grande osservatore di Saturno di cui scoprì ben 4 satelliti e una “divisione” tra gli anelli che ancora oggi porta il suo nome, quale miglior modo per celebrarlo se non permettere a tutti di osservare dal vivo questo magnifico pianeta?
Inoltre quest’anno, per celebrare l’ultimo periodo di attività della missione Cassini, Occhi Su Saturno estenderà le proprie iniziative dal 21 giugno (350° anniversario della posa della prima pietra per la costruzione dell’Osservatorio di Parigi, luogo da dove G.D.Cassini fece le sue più importanti osservazioni e scoperte su Saturno) al 15 settembre (giorno in cui terminerà la missione Cassini con il “tuffo” della sonda nell’atmosfera del pianeta con gli anelli).
Gruppi astrofili, associazioni, planetari e Osservatori siete dunque invitati ad inserire anche altri eventi– purché in tema con l’iniziativa – che svolgerete durante questo periodo! Chi invece vuole partecipare semplicemente come pubblico, può cercare l’evento più vicino e cominciare ad organizzarsi per la serata!
L’iniziativa ha ricevuto il patrocinio della Società Astronomica Italiana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Unione Astrofili Italiani e dell’European Astrosky Network. L’organizzazione è curata dall’Associazione Stellaria di Perinaldo, paese natale di G.D.Cassini, in collaborazione con l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma con il prezioso supporto di decine di osservatori astronomici, planetari e gruppi di appassionati di tutta Italia
…e ancora su Saturno:
Saturno in Opposizione 2017 Guida all’osservazione e alla ripresa.Un istante che per Saturno, a livello osservativo, non fa la differenza rispetto a qualche settimana prima o dopo. Per questo motivo la stagione osservativa di Saturno è aperta e proseguirà per tutta l’estate! Non perdete i nostri consigli!
CASSINI le prime straordinarie
immagini del Grand Finale Su Coelum 212 di giugno 2017, una carrellata delle straordinarie immagini , video e scoperte che ne sono conseguite della prima parte del “Grand Finale” di questa già storica missione.
L’esagono di Saturno Come se i suoi eleganti anelli non bastassero, Saturno è custode di un altro dei misteri del Sistema Solare. Una formazione tempestosa domina l’atmosfera del pianeta al suo polo nord, dalle dimensioni colossali ma che stupisce più per la sua forma, ovvero quella di un perfetto esagono.
Report: La missione Cassini su Saturno Su Coelum 201 di giugno 2016, un speciale dedicato a tutte le scoperte della missione della NASA Cassini in orbita attorno a Saturno, prima della preparazione al “Grand Finale”.
Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto
Coelum Astronomia 212 di giugno 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30. 19.06: “La nascita dell’Universo: con o senza inflazione?” di Edoardo Bogatec.
Nella notte tra il 25 e il 26 maggio scorsi la camera di rivelazione del telescopio Astri, prototipo sviluppato per il futuro osservatorio per raggi gamma CTA (Cherenkov telescope array), ha catturato i suoi primi lampi di luce Cherenkov. La luce Cherenkov, nell’ ultravioletto e nel visibile, è generata da sciami di particelle cariche dovuti a raggi cosmici e raggi gamma quando interagiscono con l’atmosfera. L’esperimento è stato effettuato nel sito astronomico di Serra la Nave, sull’Etna (gestito dall’Inaf di Catania) dove è installato il telescopio.
Questa prima luce della camera arriva pochi mesi dopo lavalidazione ottica del prototipo Astri ottenuta nel novembre 2016, quando è stata pienamente dimostrata la validità di questo telescopio astronomico di nuova concezione, basato sulla configurazione a doppio specchio di Schwarzschild- Couder.
Nonostante la camera non fosse stata configurata in modo definitivo, il team di Astri è riuscito a catturare i primi segnali in luce Cherenkov e a produrre immagini degli sciami prodotti nell’atmosfera da raggi cosmici e raggi gamma. Le informazioni raccolte permetteranno agli scienziati di ricostruire la direzione dei fotoni da raggi gamma di altissima energia emessi dalle sorgenti celesti.
La fotocamera è basta su nuovi sensori al silicio di tipo SiPM e dispositivi elettronici di front-end di ultima generazione, tra cui l’ASIC CITIROC sviluppato dalla ditta francese Weeroc in collaborazione con INAF. La fotocamera è stata specificamente studiata e progettata per adattarsi al telescopio a doppio specchio Astri coprendo un ampio campo di vista, pari a circa 100 gradi quadrati, ovvero circa 400 volte la superficie apparente della Luna piena.
«Il risultato ottenuto da queste immagini è in linea con le aspettative di performance che avevamo stabilito in laboratorio, e conferma la funzionalità della fotocamera del telescopio Astri», dice Osvaldo Catalano, dell’Inaf di Palermo, a capo del programma di sviluppo della fotocamera di Astri.
«Questa è una tappa fondamentale raggiunta dal team Astri e un grande passo in avanti nella fase di pre-produzione di Astri e CTA» aggiunge Giovanni Pareschi, astronomo dell’Inaf di Milano e principal investigator del progetto Astri.
«È una grande soddisfazione questo nuovo risultato del telescopio ASTRI, che pone una robusta base al processo di costruzione di Cta, a cui partecipa fattivamente anche Infn non solo nel progetto Astri ma contribuendo anche alla realizzazione di altri telescopi» commenta il responsabile nazionale di Cta per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Nicola Giglietto, professore al Politecnico di Bari.
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Sharpless 2-54 e le Nebulose Aquila e Omega si trovano a circa 7000 anni luce da noi – le prime due nella costellazione del Serpente, l’ultima nel Sagittario. Questa zona della Via Lattea ospita un’enorme nube di materiale che serve a formare nuove stelle. Le tre nebulose indicano le regioni di questa vasta nube in cui la materia si è condensata e collassata per formare nuove stelle; la luce molto energetica prodotta da questi neonati stellari fa risplendere il gas dell’ambiente circostante. La luce che il gas sprigiona ha una tinta rosata, caratteristica delle zone ricche di idrogeno.
Due degli oggetti di questa immagine sono stati scoperti in modo simile. Gli astronomi hanno prima individuato un ammasso stellare brillante, sia in Sharpless 2-54 che nella Nebulosa Aquila, e quindi, successivamente, hanno identificato la vasta e relativamente debole nube di gas che avvolge l’ammasso. Nel caso di Sharpless 2-54, l’astronomo britannico William Herschel notò il luminoso ammasso stellare per la prima volta nel 1784. L’ammasso, catalogato come NGC 6604 (eso1218) appare sulla sinistra della nebulosa in questa immagine. La nebulosa associata, molto fioca, è rimasta sconosciuta fino agli anni ’50, quando l’astronomo americano Stewart Sharpless la scovò sulle fotografie dell’Atlante del cielo finanziato dal National Geographic e dall’Osservatorio di Palomar (noto anche come Palomar Observatory Sky Survey).
La nebulosa Aquila non ha dovuto attendere così a lungo perchè la sua magnificenza fosse apprezzata. L’astronomo svizzero Philippe Loys de Chéseaux scoprì il suo ammasso stellare centrale, NGC 6611, nel 1745 o nel 1746 (eso0142), mentre un paio di decenni dopo l’astronomo francese Charles Messier osservò questa zona di cielo e documentò anche la nebulosità presente, iscrivendo l’oggetto come Messier 16 sul suo autorevole catalogo (eso0926).
Per quanto riguarda la Nebulosa Omega, de Chéseaux riuscì ad osservare la sua evidente luce diffusa e la segnò puntualmente come nebulosa nel 1745. A causa del fatto che il catalogo dell’astronomo svizzero non ebbe una vasta diffusione, la riscoperta da parte di Messier della Nebulosa Omega nel 1764 portò al nome, ora usato, di Messier 17, il diciassettesimo oggetto del popolare compendio del francese (eso0925).
Le osservazioni da cui è stata prodotta questa immagine sono state ottenute con il VST (VLT Survey Telescope) dell’ESO, all’Osservatorio dell’ESO al Paranal in Cile. L’enorme immagine a colori è stata realizzata con un mosaico di decine di immagini, ciascuna da 256 megapixel, ottenute dalla camera OmegaCAM di grande formato. Il risultato finale, dopo lunga lavorazione, conta 3,3 gigapixel, una delle immagini più grandi mai distribuite dall’ESO.
Astrowatch segnala un nuovo asteroide di passaggio, grande come uno stadio, che passerà il 24 giugno alla distanza di sicurezza di circa 8 DL (Distanze Lunari), ovvero poco più di 3 milioni di chilometri dalla Terra.
2010 NY65 è stato individuato il 14 luglio del 2010 dalla missione NEOWISE della NASA per mezzo del telescopio spaziale WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer). L’asteroide ha una magnitudine assoluta di +21,5, un periodo orbitale di circa un anno e una dimensione stimata di circa 230 metri di diametro.
L’interesse principale degli astronomi, in questo caso, nasce dal fatto che il NEO incrocia la nostra orbita, passandoci nelle vicinanze, all’incirca una volta l’anno. Lo scorso anno infatti, sempre il 24 giugno, è passato a una distanza di 10,7 DL, mentre il prossimo passerà a 7,3 DL. Per questo motivo è classificato “potenzialmente pericoloso” (PHA – Potentially Hazardous Asteroids), che come abbiamo già visto, è una categoria che comprende asteroidi con un diametro superiore ai 100 metri e un’orbita che li porta ad avvicinare la Terra sotto alle 19,5 DL.
Ma a vigilare su queste rocce spaziali c’è, come abbiamo visto, il programma NEOWISE che, nel suo terzo anno di ricerche, ha scoperto quasi 100 nuovi oggetti, tra cui 28 NEO.
Lanciato nel 2009, il telescopio spaziale WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer) aveva il compito di effettuare una rassegna del cielo nell’infrarosso. Dopo aver completato la sua missione primaria e aver terminato il liquido refrigerante, nel 2011 venne messo a riposo per poi venir “riesumato” nel dicembre 2013. È così iniziata una nuova missione estesa ribattezzata NEOWISE (Near-Earth Object Wide-field Infrared Survey Explorer), rivolta alla ricerca di rocce spaziali nei pressi della Terra.
In questi giorni sono stati pubblicati i risultati relativi al terzo anno di indagini e il telescopio ha scoperto 97 nuovi oggetti, tra cui 28 NEO, 64 asteroidi nella fascia principale e 5 comete.
Complessivamente, NEOWISE ha studiato un totale di 693 NEO, di cui 114 sono nuove scoperte. La composizione in apertura è tratta da una animazione del JPL e mostra l’incremento e la distribuzione di tutti questi oggetti nel corso della missione.
«NEOWISE non sta solo scoprendo asteroidi e comete fin’ora sconosciuti, sta anche fornendo eccellenti dati su molti altri oggetti già catalogati» ha dichiarato Amy Mainzer, principal investigator della missione. «Sta anche dimostrando di essere uno strumento impagabile per perfezionare le tecniche di scoperta e la caratterizzazione di oggetti NEO tramite un osservatorio spaziale».
Per approfondire il tema degli asteroidi potenzialmente pericolosi, i rischi che davvero corriamo, i progetti di sorveglianza in corso e le strategie in caso di impatto, Coelum Astronomia ha dedicato uno speciale nel suoultimo numero online, che può essere letto gratuitamente anche qui sotto. Due articoli di approfondimento, un’intervista e l’annuncio dell’Asteroid Day del 30 giugno, al quale tutti i gruppi astrofili, ma anche singoli, sono invitati a partecipare con un evento.
Indice dei contenuti
Asteroidi pericolosi e Rischio da Impatto
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13 giugno: Diretta dalla IOWA University con il dott. Marengo 15 giugno: Corso di astrofotografia online 22 giugno: Diretta dal CfA con il dott. Rorai 24 giugno: Serata osservativa a Fumone (FR) 29 giugno: Asteroid Day
Corso di Archeoastronomia: tutti i lunedì per conoscere la storia, il significato e il ruolo dell’astronomia nell’evoluzione della nostra cultura.
Corso base di Astronomia: tutti i giovedì per scoprire com’era fatto l’Universo e conoscere gli oggetti che lo popolano.
I corsi sono tenuti da un astrofisico ed hanno il patrocinio della UAI. È possibile iscriversi a tutte le lezioni o prenotarsi a singoli incontri.
Per informazioni: eventi@accademiadellestelle.org
Riduzioni per i lettori di Coelum Astronomia.
Venerdì 2 – domenica 4 giugno: Torna “Il Cielo di Roma” 2° edizione 2017. Partecipiamo al Cielo di Roma con stand, postazioni osservative permanenti diurne e serali, due conferenze ed un laboratorio didattico.
Domenica 18 giugno: conferenza Le frontiere dell’astrofisica stellare di Marco Castellani (INAF).
Doppia mostra fotografica tra Milano e Roma su chi sogna il proprio futuro nello spazio e chi oggi contribuisce alla realizzazione dei programmi spaziali. A cura dell’Agenzia spaziale italiana e del Museo
nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vinci. In esposizione gli scatti realizzati in tutto il mondo, da Nairobi a Mosca, da Bangalore a Monaco, dal deserto di Atacama ai sobborghi di Smirne. Un team di sole fotografe ha ritratto 3 diverse generazioni di scienziate, ricercatrici, studentesse e appassionate in diversi contesti socio-economici. L’esibizione milanese sarà accompagnata da un pari allestimento a Roma nella sede Asi, una grande opera architettonica dalle forme spettacolari aperta alla contaminazione con le arti figurative, cinematografiche ed espositive che comprenderanno anche la prossima apertura di un museo permanente sullo spazio.
La mostra milanese è inserita nel programma del Milano Photofestival 2017 e nel programma dell’iniziativa STEM in the City con il patrocinio del Comune di Milano. La visita è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo. www.museoscienza.org – www.spacewomen.org
È una nana bianca la stella che passerà alla storia per essere stata la prima “pesata” grazie ad Albert Einstein. Una piccola nana bianca dal nome dimenticabile – Stein 2051 B – ma dagli effetti gravitazionali sufficienti a spostare l’ago della “bilancia” quanto basta per essere misurata dall’occhio senza eguali del telescopio spaziale Hubble. Di Hubble e del cocciuto team di astrofisici che ha condotto l’osservazione – anzi, le osservazioni: ben otto, fra l’ottobre 2013 e l’ottobre 2015 – arrivando a registrare il valore riportato oggi su Science: la massa della nana bianca è pari a circa il 68 per cento di quella del Sole.
La “bilancia” usata per questa misura senza precedenti è in realtà un fenomeno naturale: quello noto come lente gravitazionale. Microlente, in questo caso: l’effetto di lensing, infatti, di solito si osserva quando la lente è un’intera galassia, o meglio ancora un ammasso di galassie. Questa volta, invece, a fare da lente è stata una semplice stella. Anzi: la stella: la nostra nana bianca Stein 2051 B. Quella “pesata”. Già, perché è proprio misurandone l’effetto di lensing sulla luce proveniente da un’altra stella, posta quasi alle sue spalle, che il team di astrofisici guidato da Kailash Sahu dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, negli Stati Uniti, è riuscito a risalire a ritroso alla massa della nana bianca.
Misura senza precedenti, dicevamo, ma in realtà un precedente c’è. Un precedente entrato a pieno diritto nei manuali di storia della scienza. Un precedente che risale al 29 maggio 1919. Quel giorno un’eclissi totale di Sole fornì per la prima volta la prova inequivocabile che l’incredibile descrizione della realtà pubblicata tre anni e mezzo prima da Albert Einstein – la teoria della relatività generale – era quella in grado di fornirci le previsioni più corrette su come funziona l’universo.
Però, in quel caso, a deflettere il percorso della luce con il “peso” della deformazione impressa sullo spaziotempo non era una stella qualsiasi: era il Sole. Sarebbe mai stato possibile sfruttare il fenomeno per “pesare” una stella? Lo stesso Einstein se lo domandava nel 1936 su Science, ma era a dir poco scettico al riguardo: essendo le stelle così lontane fra loro, scriveva, “non c’è speranza di poter osservare il fenomeno direttamente”. Non solo: la deviazione sarebbe stata comunque troppo piccola rispetto al potere risolutivo degli strumenti disponibili. E se soltanto oggi si è riusciti in questa misura, a quasi un secolo di distanza dall’eclissi del 1919, è segno che lo scetticismo di Einstein era quanto mai giustificato.
«È una misura estremamente difficile, sia perché la deviazione gravitazionale è molto piccola, sia perché la stella deviata è 400 volte più debole di quella che causa la deviazione», conferma a Media Inaf uno dei coautori dello studio, Andrea Bellini. «È come cercare di osservare una lucciola che passa davanti a una (debole) lampadina a 100 km di distanza, e devia di un mm dalla sua strada nell’arco di due anni… Solo con gli strumenti più recenti di Hubble, come la Wide Field Camera 3 installata nel 2009, è stato possibile effettuare questa osservazione. Per vedere un evento del genere, bisogna che due stelle passino molto vicine l’una all’altra – entro una frazione di secondo d’arco. Questo evento è stato previsto molti anni prima che accadesse, e ora ne traiamo i frutti».
Nato a Legnago, laurea e dottorato all’università di Padova, Bellini è uno dei tre astrofisici italiani in forze allo Space Telescope Science Institute che hanno preso parte allo studio. Oltre alla sua, troviamo le firme di Stefano Casertano – nato a Napoli, laurea a Pisa e perfezionamento alla Normale, allo Stsci dal 1994 – e di Annalisa Calamida – nata a Roma, laurea e dottorato a Tor Vergata, dal 2012 anche lei a Baltimora.
E proprio con Calamida cerchiamo di capire se questa misura, oltre a rappresentare un virtuosismo da record dal punto di vista osservativo, è anche una misura interessante in sé, per il suo valore scientifico. «Conoscere la massa di una nana bianca è importante perché circa un quarto della massa stellare presente nell’universo si trova attualmente in queste stelle e quasi tutte le stelle moriranno come nane bianche», spiega Calamida. «Questa misura è quindi molto importante per avere una stima della massa stellare presente nell’universo. Inoltre, le stelle perdono gran parte della loro massa iniziale durante la loro evoluzione prima della fase di nana bianca. Una misura diretta della massa delle nane bianche può aiutare gli astronomi a quantificare la massa che è stata persa e l’età della stella. E, quindi, a comprendere i meccanismi di evoluzione chimica della nostra e di altre galassie».
«Una misura diretta della massa di una nana bianca è anche fondamentale per provare l’esistenza di materia in condizioni degeneri nell’universo», aggiunge Calamida, «e quindi confermare le predizioni teoriche sul suo stato e comportamento. In particolare, la misura accurata della massa di Stein 2051B ci ha permesso non solo di provare che questa stella segue le predizioni teoriche sulla relazione fra la massa e il raggio di una nana bianca (più la nana bianca è massiccia, più il raggio è piccolo) ma anche di stimare la sua età, compresa fra circa 2 e 4 miliardi di anni. Questa stima è in accordo con i modelli teorici di evoluzione stellare e con l’età attuale dell’universo, a differenza delle vecchie stime che facevano di questa nana bianca una stella più antica dell’universo stesso».
Insomma, è stata una misura impervia, ma i risultati ottenuti dicono che ne valeva abbondantemente la pena. E adesso? Ora che hanno la conferma che è possibile usare il microlensinggravitazionale per stabilire la massa delle stelle, hanno intenzione di far salire altri soggetti sulla bilancia di Einstein? «Sì, stiamo seguendo altre stelle, tutte con Hubble», anticipa a Media Inaf Casertano. «Tra esse c’è Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole. Ancora più interessante è un programma d’osservazioni con cui potremo scoprire, e pesare, buchi neri tutt’ora sconosciuti proprio dalla deviazione gravitazionale di stelle (luminose) alle quali passano davanti. Abbiamo osservato un campo stellare vicino al centro della Via Lattea per tre anni, e adesso stiamo analizzando i dati ottenuti. Ma è ancora presto per sapere se avremo successo».
Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30. 12.06: “Satelliti artificiali e sonde spaziali” di Giovanni Chelleri.
Due team di astronomi hanno sfruttato la potenza dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), in Cile, per identificare per la prima volta molecole organiche prebiotiche complesse in un sistema stellare multiplo, IRAS 16293-2422.
Un team è guidato da Rafael Martín-Doménech del Centro de Astrobiología di Madrid, Spain, e da Víctor M. Rivilla, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri di Firenze; il secondo team da Niels Ligterink del Leiden Observatory (Olanda) e Audrey Coutens dell’University College London (UK).
«Questo sistema stellare continua a darci soddisfazioni! Dopo la scoperta di molecole di zucchero, abbiamo ora trovato metilisocianato, o isocianato di metile, una famiglia di molecole organiche coinvolta nella sintesi di peptidi e amminoacidi, i quali, in forma di proteine, sono le basi biologiche della vita così come la conosciamo», spiegano Niels Ligterink e Audrey Coutens. Una molecola organica complessa, in astronomia, consiste di 6 o più atomi dove almeno uno di questi sia un atomo di carbonio. Il metilisocianato infatti contiene carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno nella configurazione chimica CH3NCO.
Le caratteristiche peculiari di Alma hanno permesso a entrambi i team di osservare le molecole a numerose differenti lunghezza d’onda in tutto lo spettro radio, permettendogli di individuare le loro impronte chimiche uniche nelle calde e dense regioni interne del guscio di polveri e gas che circonda le giovani stelle nei loro primi stadi evolutivi. Ogni team ha potuto quindi isolare la firma delle molecole organiche complesse di metilisocianato, che modellizato a computer migliorerà la nostra conoscenza dell’origine di queste molecole.
IRAS 16293-2422 è un sistema multiplo di stelle molto giovani, si trova a circa 400 anni luce da noi in una grande regione di formazione stellare chiamata Rho Ophiuchi, nella costellazione dell’Ofiuco. Lo studio ha inoltre mostrato come il gas di metilisocianato avvolga ognuna di queste giovani stelle.
La Terra e gli altri pianeti del nostro Sistema solare si sono formati dal materiale rilasciato dalla formazione del Sole. Studiare quindi protostelle di tipo solare è come aprire una finestra sul nostro passato per permettere agli astronomi di osservare condizioni simili a quelle che hanno portato alla nascita del nostro Sistema solare oltre 4,5 miliardi di anni fa.
«Siamo particolarmente emozionati per il risultato ottenuto», commentano Rafael Martín-Doménech e Víctor M. Rivilla, «perché queste stelle sono davvero simili al Sole all’inizio della sua vita, e nelle stesse condizioni, che hanno così ben funzionato per formare pianeti di taglia terrestre. Aver trovato molecole prebiotiche con questo studio è come aver trovato un nuovo pezzo del puzzle che ci permetterà di capire come la vita è nata nel nostro pianeta».
Niels Ligterink aggiunge: «oltre ad aver trovato queste molecole vogliamo anche capire come si sono formate. Gli esperimenti in laboratorio mostrano che il metilisocianato può essere prodotto su particelle di ghiaccio in condizioni di temperature molto basse, simili a quelle che si trovano nello spazio interstellare. Questo implica che tali molecole, e quindi le basi per il legame peptidico, devono essere altrettanto presenti vicino alla maggior parte delle giovani stelle di tipo solare».
Oltre a presentarsi nelle migliori condizioni di osservabilità dell’anno, Saturno (mag. 0) darà spettacolo il 9 giugno creando con la Luna quasi piena (fase = 99,8%) una interessante congiunzione: i due astri, proiettati tra le stelle di Ofiuco, saranno separati da una distanza di circa 3°, in un bel duetto da osservare e fotografare nel contesto del paesaggio circostante.
Il giorno precedente, l’8 giugno, la Luna in avvicinamento si troverà a circa 9° dalla bella Antares (mag. +1). Anche se in una congiunzione più ampia, comunque un’occasione per scattare un’interessante fotografia a largo campo dei tre astri.
A completare le due serate ci si potrà dedicare all’osservazione della Luna, il giorno 8 in massima librazione, che ci mostrerà nell’arco delle due serate, le formazioni solitamente nascoste del suo lembo meridionale. ➜ La Luna di maggio. Alla scoperta del Mare Humorum
Indice dei contenuti
Asteroidi pericolosi e rischio da impatto
e ben 54 pagine di consigli per l’osservazione del cielo di giugno su Coelum Astronomia 211
Giugno è sicuramente il periodo ottimale per osservare Saturno: lo troveremo nella tredicesima costellazione dello zodiaco, quel pezzettino di cielo quasi sempre dimenticato che appartiene alla costellazione di Ofiuco.
Il Signore degli Anelli splenderà di magnitudine 0 e sarà facile da rintracciare anche a occhio nudo.
A ogni opposizione Saturno si presenta sempre un po’ diverso rispetto all’apparizione precedente. Il cambiamento più radicale riguarda l’inclinazione del suo asse rispetto alla Terra, che varia di continuo. Ci sono degli anni in cui l’inclinazione è quasi nulla e allora vedremo gli anelli di taglio e del globo ci saranno preclusi entrambi i poli. In alcuni anni, invece, l’inclinazione raggiungerà il valore massimo e allora avremo gli anelli apertissimi e una delle zone polari ben visibile. Con questa opposizione ci avviciniamo all’inclinazione massima del polo nord del pianeta, che verrà raggiunta tra un anno. Queste sono quindi le stagioni in cui ammirare al meglio la bellezza e l’eleganza degli anelli.
L’asteroide 2017 KQ27, dalle dimensioni simili all’oggetto che ha colpito Chelyabinsk nel febbraio 2013, sarà oggi di stretto passaggio dalla Terra. La roccia spaziale mancherà (si, non ci sono pericoli!) il nostro pianeta a una distanza di circa 384.000 chilometri, più o meno una Distanza Lunare (DL), ovvero la distanza media della Luna.
Scoperto alla fine di maggio, il nuovo NEO (near Earth object) scoperto ha una magnitudine assoluta di +25,7 e un diametro compreso tra i 14 e i 45 metri. Il punto più vicino alla Terra lo raggiungerà alle 17:00 (TMEC ora italiana) di oggi, 6 giugno, con una velocità di 10,7 km/s.
Quasi sicuramente passerà e non lo rivedremo più… nessun altro futuro approccio alla Terra è infatti previsto dagli astronomi. L’asteroide è destinato a volare verso Giove, che terrà però a una distanza relativamente larga di 1,8 unità astronomiche (UA, circa 270 milioni di chilometri), il 26 settembre del 2072!
Gli annunci di piccoli asteroidi di passaggio sono sempre più frequenti, non ovviamente perché ce ne siano di più… ma perché si dà sempre più importanza, come è giusto, al monitoraggio degli asteroidi potenzialmente pericolosi, e di conseguenza al calcolo e alla previsione delle loro orbite per valutarne un possibile impatto con la Terra. In caso di asteroidi che ricorsivamente possono incrociare (o avvicinare) l’orbita della Terra, ogni passaggio porta dati importanti in più per affinare la conoscenza dell’orbita e la precisione delle previsioni.
A dimostrazione del fatto che la sorveglianza c’è, oltre a 2017 KQ27, è stato individuato un altro asteroide che mancherà oggi il nostro pianeta: l’oggetto, 2017 KR27, è di circa 70 metri di diametro, molto più grande quindi di 2017 KQ27, ma vola dalla Terra a una distanza ampiamente sicura di 7 DL. Fino ad oggisono stati rilevati 1.803 asteroidi potenzialmente pericolosi (PHA rocce spaziali dal diametro superiore ai 100 metri che possono avvicinarsi alla Terra entro le 19,5 DL) e nessuno dei PHA noti è in corso di collisione con il nostro pianeta.
Ma è solo della scorsa settimana l’avvistamento di un bolide, in Italia nel Nord Est, troppo piccolo per essere individuato in anticipo, che se fosse stato solo un po’ più grande qualche danno, anche se non particolarmente grave, avrebbe potuto farlo. Quello che si auspica ora è un maggior coordinamento tra le varie realtà che, in caso di previsto impatto, o improvviso impatto vero e proprio, devono attivarsi per ridurre il più possibile il danno. Per approfondire il tema, su Coelum Astronomia di giugno trovate: due articoli di approfondimento,la Terra Braccata e Per non fare la fine dei dinosauri, per capire di cosa si tratta, quale rischio corriamo davvero, come funziona il monitoraggio e quali sono le strategie di mitigazione; un’intervista a Maura Tombelli, la Signora degli Asterodi e il ruolo degli astrofili; e la presentazione diAsteroid Day Italia 2017 firmata da Gianluca Masi.
Si parla tanto dell’importanza della biodiversità sulla Terra, ma anche Marte, in caso di esistenza di vita microbica ancora tutta da confermare, potrebbe aver avuto la sua… un nuovo studio descrive il grande e antico lago, presente nel cratere Gale nel lontano passato di Marte, come un insieme di ambienti nettamente diversi ma ugualmente adatti a supportare diverse forme di vita microbica.
Già in precedenza, grazie ai campioni raccolti da Curiosity il grande rover della NASA, una serie di studi hanno confermato l’esistenza di un lago, tra i 3,2 e i 3,8 miliardi di anni nel passato, all’interno del cratere Gale. Il nuovo studio, pubblicato su Science e guidato da Joel Hurowitz dell’Università di Stony Brook (New York), raccoglie quei dati e ne identifica le condizioni e diversità chimiche confermandone la natura sedimentaria. Rocce stratificate, dovute alla presenza di acqua, mostrano infatti nette differenze sia chimiche che fisiche a seconda che la sedimentazione sia avvenuta in acque poco profonde o acque più profonde.
«Stiamo scoprendo che in alcune parti del lago, in alcuni precisi momenti, l’acqua trasportava più ossigeno» spiega Roger Wiens, del Los Alamos National Laboratory e co-autore dello studio, «cosa importante perché determina che tipo di minerali vengono depositati nei sedimenti, ma anche perché l’ossigeno è un componente importante per la possibile presenza di vita. Dobbiamo però ricordare che, al tempo del “lago Gale”, nel nostro pianeta la vita non si era ancora adattata all’uso dell’ossigeno – possiamo dire che la fotosintesi non era ancora stata “inventata”». Piuttosto, lo stato di ossidazione di certi elementi, come il manganese o il ferro, potrebbe essere stato altrettanto importante per lo sviluppo della vita su Marte – sempre che sia mai esistita – e gli stati di ossidazione dipendondono direttamente dall’ossigeno disciolto nell’acqua.
«Nello stesso lago coesistevano ambienti molto diversi» spiega invece Hurowitz, «questo tipo di stratificazioni sono molto frequenti nei laghi terrestri, e adesso le abbiamo ritrovate su Marte. Un ambiente così diversificato può quindi aver fornito più opportunità di sopravvivenza a più tipi diversi di vita microbica».
Se Marte abbia mai ospitato o ospiti forme di vita ancora non lo sappiamo, ma la ricerca della vita extraterrestre comincia proprio dalla ricostruzione dell’ambiente per stabilire se era adatto a supportarla, ed è quello che sta facendo Curiosity su Marte: esplorare gli ambienti abitabili dell’antica superficie di Marte.
In più di 1.700 sol (giorni marziani), Curiosity ha percorso più di 16 km, dal fondo del cratere Gale fino al Monte Sharp, vicino al centro del cratere. Il Los Alamos National Laboratory, da cui proviene parte del team che ha firmato lo studio, è anche il laboratorio che ha sviluppato la ChemCam (lo strumento che può individuare una roccia a distanza di 7 metri e vaporizzarne una piccola quantità per analizzare lo spettro della luce emessa usando la micro-imaging camera inclusa) in collaborazione con l’agenzia spaziale francese. E grazie anche ai dati raccolti da questo strumento gli scienziati saranno in grado di ricostruire un modello più completo della storia geologica di Marte.
Nel 2020, se tutto procederà come nei piani, toccherà alla seconda parte diExoMars (missione russo-europea), con il suo rover, ad analizzare il sottosuolo marziano – sia per cercare negli strati più antichi sia per analizzare zone al riparo dai raggi cosmici che sterilizzano la superficie del pianeta – cercando tracce di vita microbica passata o presente.
• Per sapere tutto sulla missione ExoMars e le altre missioni già attive su Marte, leggi anche: Speciale Marte Coelum 205
Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco- Trieste. Inizio ore 18:30. 05.06: “Le stelle al carbonio” di Stefano Schirinzi.
Workshop di ripresa planetaria in alta risoluzione. Sabato 24 giugno 2017 – dalle ore 10 alle ore 17
Aemilia Hotel – via Zaccherini Alvisi, 16 – 40138 Bologna (BO)
Per la prima volta in Italia, Damian Peach incontrerà fans, astrofili e appassionati di astrofotografia per condividere le tecniche di acquisizione e post-produzione che lo hanno portato a creare immagini astronomiche straordinarie apprezzate a livello mondiale. Il workshop, organizzato da Pierluigi Giacobazzi, verrà ospitato nella “Sala Marconi” del prestigioso Aemilia Hotel di Bologna. Punto strategico della bellissima città emiliana, a due passi dalla stazione ferroviaria, dotato di ampio parcheggio interno e facilmente raggiungibile dall’aeroporto internazionale “Guglielmo Marconi”. L’appuntamento prevede una prima sessione mattutina in cui Damian illustrerà le modalità con cui acquisisce le immagini spaziali, a cui seguirà una sessione pomeridiana incentrata sulle tecniche di editing in alta risoluzione. Per agevolare l’ospite internazionale e tutti i partecipanti, è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano.
Costo e modalità di iscrizione
Il costo complessivo del workshop è di 195,00 euro. E’ previsto uno sconto del 10% per chi si iscrive entro il 24 maggio 2017 e ai partecipanti di workshop o corsi precedenti, svolti da Pierluigi Giacobazzi. Le modalità di pagamento sono il bonifico bancario e PayPal.
Link di iscrizione: http://www.pierluigigiacobazzi.com/a_day_with_damian_peach/
Per informazioni: www.pierluigigiacobazzi.com – info@pierluigigiacobazzi.com
3 giugno: serata osservativa a Trivigliano (FR) 13 giugno: Diretta dalla IOWA University con il dott. Marengo 15 giugno: Corso di astrofotografia online 22 giugno: Diretta dal CfA con il dott. Rorai 24 giugno: Serata osservativa a Fumone (FR) 29 giugno: Asteroid Day
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it
CAMPAGNE NAZIONALI UAI
3 giugno – Il Cielo a portata di mano. Giornata Nazionale Osservatori Aperti La giornata italiana nazionale degli Osservatori accessibili, collegata al progetto nazionale “Stelle per Tutti”, per valorizzare e promuovere la rete di quasi 100 strutture pubbliche, gestite dagli astrofili: una risorsa per la diffusione della cultura scientifica in Italia.
Nella notte tra il 30 e il 31 maggio, un luminoso bolide ha attraversato i cieli del Centro Nord Italia, alle 23:09 circa.
Numerose sono le testimonianze di chi ha potuto assistere a questo spettacolare e improvviso evento. Dai primi commenti che si sono rincorsi sui social, e in seguito dalle prime notizie fornite dai media locali e nazionali, la meteora ha raggiunto una luminosità tale da illuminare a giorno le zone più vicine alla traiettoria del corpo celeste che si è comunque mostrato estremamente luminoso, brillando di una luce verde intensa, anche da chi l’ha osservata da più lontano. Nel sito dell’IMO (International Meteor Organization) sono registrate segnalazioni anche dalla Croazia e dall’Austria.
Sempre secondo le prime segnalazioni, la meteora avrebbe attraversato il cielo tra il Veneto e l’Emilia Romagna, in particolare nella zona tra Modena, Ferrara e Rovigo, esplodendo ancora ad alta quota, con relativa scia di detriti e un forte boato udito da molti testimoni, nella zona interessata.
Al momento non si hanno invece riprese fotografiche se non le prime immagini delle telecamere del Network di sorveglianza italiano IMTN (Italian Meteor and TLE Network).
Le tre immagini che vedete in questa pagina, sono le prime testimonianze dirette del passaggio del bolide e provengono dalle postazioni dell’Associazione Astrofili Bisalta di Cuneo (gestita da Paolo Demaria), N Lazio di Diego Valeri e Casteggio SE (PV) di Maurizio Morini. Purtroppo in rete è facile imbattersi in immagini molto belle e suggestive che però sono solo immagini di repertorio.
Per questo motivo, in attesa di aggiornamenti, invitiamo chi ha osservato e/o fotografato il fenomeno a commentare questa notizia e a registrare la sua segnalazione sul sito dell’IMO e al Forum dell’IMTN.
…e ovviamente aspettiamo le vostre immagini su Photocoelum!
Il bolide di ieri notte è fortunatamente stato solo un emozionante spettacolo, ma il rischio di una nuova Chelyabinsk non è così remoto. Il 30 giugno, anniversario del più drammatico evento di Tunguska, si celebra l’Asteroid Day, proprio per ricordare che il rischio, per quanto basso, c’è ed è necessario mantenere alta l’attenzione di tutti al problema, sollecitando chi ha responsabilità scientifiche e di governo a occuparsene sempre più approfonditamente.
Sempre per questo motivo, il numero 212 di Coelum Astronomia di giugno (disponibile online dal 24 maggio) è dedicato all’argomento con uno speciale per capire di cosa si tratta, quali rischio corriamo davvero e quali sono le strategie per affrontarlo: due lunghi articoli di approfondimento, un’intervista a Maura Tombelli, la Signora degli Asterodi, e la presentazione di Asteroid Day Italia 2017 firmata da Gianluca Masi.
Indice dei contenuti
Coelum Astronomia, dal gennaio 2016, è completamente gratuita e disponibile per la lettura in formato digitale, interattivo e multimediale, o per il download in formato pdf
Ma in rete sono girate anche tante foto false… la mancanza di foto amatoriali infatti (al di la’ di quelle estratte dalle videocamere di sorveglianza) ha fatto passare per vere, per errore o mancato controllo delle fonti, foto di repertorio. Ce ne parlano Roberto Labanti su Query on Line (il portale della rivista del CICAP) e David Puente sul suo blog.
Segnali radio legati a una particolare emissione elettromagnetica dovuta alla presenza di molecole d’acqua sono stati individuati in tre sistemi stellari vicini, noti per ospitare esopianeti. La scoperta, frutto di una lunga e accurata indagine condotta da Cristiano Cosmovici, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma, e Sergei Pogrebenko del Jive, in Olanda, è stata recentemente pubblicata sulla rivista International Journal of Astrobiology.
Da quando fu scoperto il primo pianeta extrasolare, nel 1995, circa 3000 esopianeti sono stati individuati da Terra e dallo spazio grazie alle nuove tecnologie del Doppler radiale e del transito. Il primo metodo riguarda la misura spettroscopica delle oscillazioni della stella provocate dall’azione gravitazionale di uno o più pianeti giganti ruotanti intorno a essa, il secondo sfrutta il passaggio del pianeta di fronte alla stella che provoca un debolissimo assorbimento della luce stellare.
Nel luglio del 1994 un avvenimento eccezionale permise alla comunità astronomica mondiale di osservare in diretta ciò che accade quando una cometa colpisce un pianeta provocando, oltre che una catastrofe cosmica, un cambiamento radicale nella composizione chimica dell’atmosfera planetaria. Si trattava della cometa Shoemaker/Levy-9 che in seguito al passaggio nelle vicinanze di Giove si frantumò in 21 componenti che piombarono nell’emisfero meridionale del pianeta, liberando una terrificante quantità di energia.
«In quell’occasione pensammo di sfruttare l’unica possibilità che il fenomeno, ripetibile forse fra centomila anni, ci offriva, per servirci del radiotelescopio di Medicina, vicino Bologna, alla ricerca dell’acqua che non è presente nell’atmosfera di Giove; quindi se avessimo visto la linea di emissione a 22 GHz (1,35 cm) essa sarebbe stata certamente liberata dal nucleo cometario durante l’impatto» ricorda Cosmovici. «Nel giro di soli 6 mesi fu costruito, sotto la guida di Stelio Montebugnoli, un rivoluzionario spettrometro Fourier che, accoppiato al radiotelescopio, permise di rivelare il 19 luglio 1994 la presenza di una nube di 2 miliardi di tonnellate di acqua originata dal frammento e visibile fino a settembre».
L’analisi dei dati portò a una scoperta eccezionale: la linea di emissione a 22 GHz presentava l’effetto maser(Microvawe Amplification by Stimulated Emission of Radiation). La linea maser è ben conosciuta in astrofisica, essendo una componente principale nello spettro delle nubi interstellari galattiche ed extragalattiche, ma non era mai stata osservata nel nostro Sistema solare. Essendo una linea di fortissima intensità, può essere usata per cercare l’acqua laddove i segnali sono talmente deboli da non essere rivelabili in condizioni di equilibrio termico.
«Abbiamo pertanto ipotizzato che in particolari condizioni fisiche l’emissione maser possa essere rivelata nelle atmosfere planetarie, e che la linea dell’acqua possa essere usata quale potente mezzo diagnostico per la ricerca di sistemi esoplanetari laddove il bombardamento di comete sia attuale oggi come lo è stato 4 miliardi di anni fa, quando il nostro pianeta fu invaso da sciami di comete portatrici di acqua e di molecole organiche che sono alla base dell’evoluzione biologica» prosegue Cosmovici. «In base a queste considerazioni, nel 1999 abbiamo dato il via al progetto Itasel(Italian Search for Extraterrestrial Life), finanziato dall’Asi, e abbiamo scelto 35 obiettivi entro circa 160 anni luce dal Sole».
In 13 anni di osservazioni ottenute con un nuovo spettrometro (Spectra-2) basato su tecnologia Fpga e su un raffinato software (Astra), tre sistemi esoplanetari hanno dato risultati con valori significativi di questo segnale maser: Epsilon Eridani a 10,8 anni luce, famosa per essere stata il primo candidato del progetto Setinel 1959, è circondata da una cintura di comete e soggetta quindi a continui bombardamenti come lo è stata la Terra 4 miliardi di anni fa; Lalande 21185 è la più vicina a noi, con 8,3 anni luce, e sembra sia circondata da 3 pianeti giganti; Gliese 581, a 20.4 anni luce dal Sole, circondata da 3-5 pianeti, una delle più quotate per essere abitabile e poter ospitare la vita.
«L’importanza della nostra scoperta consiste nel fatto che abbiamo dimostrato la possibilità di rivelare da Terra l’acqua in sistemi esoplanetari servendoci di potenti radiotelescopi dotati di sofisticati spettrometri. Per la rivelazione delle linee spettrali dell’acqua nell’infrarosso, invece, è necessario l’uso di telescopi spaziali quali Spitzer e Hubble» conclude Cosmovici.
Radioastronomia: dai primi passi in Italia al radiotelescopio di Medicina, nel racconto del grande Mario Rigutti, alla Cina di oggi che svela il gigantesco radiotelescopio #FAST da 500 metri, su Coelum Astronomia n. 209
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