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Due giorni in compagnia di Luna, Giove e le stelle della Vergine.

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Alle 23 circa, del 3 giugno, la distanza tra Giove e la Luna sarà di 2 gradi e mezzo, con Porrima vicinissima al nostro satellite naturale, e per questo persa nel chiarore lunare. Poco più di 11° separeranno invece Giove da Spica (mag. +0,95), posta più a ovest. Il 4 giugno sarà invece Spica a formare un triangolo  quasi rettangolo con Giove e Luna: troveremo Spica a circa 5 gradi e mezzo a sud della Luna,  e Giove a circa 10° più a  ovest, sempre dalla Luna. All’ora indicata saranno alti  una quarantina di gradi  dall’orizzonte, sarà necessario attendere qualche ora per fotografarli immersi negli elementi del paesaggio, come indicato nel testo qui sotto. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La Luna (fase 73%), Giove (mag. –2,2) e la stella Porrima (mag. +2,7) saranno i protagonisti di una bella congiunzione verso le ore 23 del 3 giugno, congiunzione che si potrà seguire fino al tramonto dei tre astri, tre ore e mezza circa più tardi. Il terzetto si troverà piuttosto alto sull’orizzonte sudovest già in prima serata e la loro altezza diminuirà via via con il passare delle ore.

La congiunzione si arricchirà di ulteriore fascino se consideriamo che la Luna occulterà Porrima, per cui sarà sicuramente possibile osservare la riemersione della stella dal lembo lunare. Più difficoltoso sarà invece vedere l’ingresso che avverrà quando il cielo sarà ancora molto chiaro.

Riportiamo comunque per completezza gli orari relativi all’ingresso e all’uscita della stella per le città di Milano, Roma e Palermo (vedi tabella qui a lato). Per la ripresa dell’emersione ci si potrà comunque rifare ai suggerimenti di Giorgia Hofer, nel caso dell’occultazione di  Aldebaran.

Quando la Luna e Giove raggiungeranno la minima distanza reciproca, alle 03:20 circa, saranno già tramontati, per cui sarà possibile osservare il terzetto e riprenderlo in fotografie checoinvolgano anche gli elementi del paesaggio solo fin verso le 02:00, con i tre astri alti circa 10° sull’orizzonte ovest.

Spica sarà invece protagonista, con la Luna, di una bella congiunzione il giorno seguente, il 4 giugno. Giove, Luna (fase 81%) e Spica formeranno infatti un triangolo facilmente riconoscibile alto in cielo (l’inizio della notte astronomica lo coglierà proprio al culmine al meridiano sud), che potrà però essere immortalato in fotografie di paesaggio solo a notte inoltrata, verso le 02:00 del giorno 5, quando scenderà fino ai 10° di altezza sull’orizzonte ovest.

Il 4 giugno sarà possibile assistere anche al passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, visibile da tutta Italia, Nord in primis:

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

A completare le due serate ci si potrà dedicare all’osservazione della Luna, con i consigli di Francesco Badalotti: ➜ La Luna di maggio. Alla scoperta del Mare Humorum

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovate nel Cielo di Giugno

 


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La Luna di giugno. Una guida all’osservazione e un approfondimento sul Mare Humorum

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Le fasi della Luna in giugno, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in giugno, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La prima proposta per il mese di giugno riguarda il settore centro settentrionale della Luna, nel caso specifico la catena dei monti Caucasus con la regione comprendente un altro bel terzetto costituito dai crateri Aristoteles (diametro 90 km), Eudoxus (diametro 70 km) e Alexander (diametro 85 km). Per  questa prima osservazione viene indicata la sera del giorno 1 giugno dalle ore 22 in avanti, quando il nostro satellite si troverà nel cielo di sudovest in fase di 7 giorni a un’altezza iniziale di +41° visibile fino alle primissime ore della notte successiva quando tramonterà poco prima delle ore 2. È mportante notare che intorno alla mezzanotte fra il 6 e il 7 giugno l’avanzare del terminatore verso ovest farà uscire dall’oscurità una vasta porzione elle Alpi lunari consentendo l’osservazione anche dell’eccezionale struttura della Valle Alpina col sottile solco sul fondo in tutta la sua lunghezza.

Per la seconda e principale proposta la scelta è caduta sul mare Humorum, bacino da impatto con una superficie di 110.000 km quadrati e con numerose e interessanti strutture presenti nelle immediate vicinanze, situato nel settore sudoccidentale del nostro satellite. In questo caso l’osservazione è stata suddivisa nelle due serate consecutive del 5 e 6 giugno quando la regione lunare interessata verrà a trovarsi in prossimità del terminatore lunare.

Leggi la Guida all’Osservazione del mare Humorum

Come già visto per altre strutture lunari nei precedenti articoli, anche in questo caso, oltre alle già citate serate del 5 e 6 giugno, in cui la presenza del terminatore in prossimità del mare Humorum potrà agevolare la percezione di determinati dettagli in favorevoli condizioni di illuminazione solare, l’osservazione di questa eccezionale struttura, anche in corrispondenza di altre fasi lunari, ci farà apprezzare una moltitudine di dettagli, ponendo in evidenza sfumature sempre differenti nelle fasi in cui la linea che separa il giorno dalla notte lunare transita su Humorum e sulle zone adiacenti.

Analogamente potrà risultare interessante l’osservazione della regione del mare Humorum anche in fasi prossime alla Luna Piena, quando il generale appiattimento dei dettagli renderà percepibili le differenze di albedo oltre a una inconsueta percezione di molti crateri.

La terza e ultima proposta per il  mese in corso consisterà nell’osservazione dell’estremo lembo meridionale del nostro satellite, proprio in prossimità della regione polare sud, quando la era dell’8 giugno questa coinciderà con la massima librazione.

Continua a leggere la Luna di Giugno su Coelum Astronomia 212, in versione digitale e gratuita, da pagina 150.

Il punto di massima librazione si sposterà progressivamente lungo il lembo meridionale della Luna interessando gran parte della regione polare sud. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi anche nel Cielo di Giugno

Leggi anche:

La Luna mi va a pennello.
Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n.

Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di gennaio 2017.

 


 

Apollo 11 Lunar Sample Return Bag all’asta!

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La missione Apollo 11 è stata la prima missione a portare l'uomo sulla Luna e dalla quale sono stati riportati a Terra campioni di rocce lunari. La borsa che andrà all'asta questa estate, nel giorno dell'aniversario dello sbarco , è proprio la borsa che Neil Armstrong ha utilizzato per portare a Terra i primi campioni. In questa storica foto però è ripreso Buzz Aldrin nella sua tuta spaziale, di Neil ne esiste solo una mentre rientra nel modulo lunare, perché lui era il fotografo, ed è destino del fotografo non apparire mai nelle foto, ma... i più attenti vedranno che in realtà in questa foto c'è anche Neil... riflesso nel casco di Buzz! Crediti: NASA
La casa d'aste Sotheby, a New York, metterà a disposizione la borsa utilizzata da Neil Armostrong per raccogliere i primi campioni lunari riportati a Terra, e la descrive come il "più importante arteffatto spaziale mai apparso in un'asta". Crediti: Sotheby's

Il 20 luglio 2017, giorno dell’anniversario dell’atterraggio sulla Luna da parte della missione Apollo 11, la casa d’aste di New York Sotheby’s offrirà la borsa utilizzata da Neil Armstrong per portare sulla Terra il primo campione lunare mai raccolto.

L’oggetto, unico nel suo genere, dovrebbe raggiungere la fantascientifica cifra $ 2-4 milioni di dollari!

Nella piccola sacca sono ancora presenti tracce di polvere di luna, l’oggetto darà al fortunato, e direi danaroso, collezionista l’opportunità non solo possedere una parte del primo materiale lunare mai raccolto, ma anche la possibilità di avere una reliquia dell’umanità.

Una delle rocce raccolte, e riportate a Terra, durante la missione Apollo 11 da Neil Armostrong. Crediti: CollectSpace

Durante la missione Apollo 11, Neil Armstrong raccolse quasi 500 grammi di materiale da 1 cm e 12 frammenti di roccia più grandi di 1 cm da cinque posizioni diverse sulla superficie lunare della regione nota come il Mare della Tranquillità.

A causa della natura sconosciuta del materiale lunare, questa borsa di decontaminazione è stata utilizzata per ridurre al minimo i danni potenziali che i campioni avrebbero causato al pianeta Terra.

Quasi tutte le attrezzature della storica missione sono ospitate presso il Museo Nazionale Smithsonian a Washington, tuttavia, una recente sentenza del tribunale del Kansas, ha permesso che questo fosse l’unico manufatto in mani private, “essendo stato acquistato in buona fede durante un’asta”.

La vera storia di questa borsa, infatti, è rimasta sconosciuta per decenni. Poi, nel 2014 per un errore di catalogazione, non riportando la reale provenienza e valore, è stato possibile metterla in vendita per ben tre volte in una piccola casa d’asta per conto del Servizio Marshall USA, senza però ricevere un’offerta. Nuovamente rimessa all’asta nel 2015, l’attuale proprietario ha vinto la contrattazione con un’offerta di soli 995 dollari!
Interessato alla storia del suo acquisto, il fortunato vincitore ha inviato la sacca al Johnson Space Center della NASA, nella speranza di ottenere ulteriori informazioni.

Nel volume “Apollo 11 Stowage” è stata trovata la corrispondenza e il numero stampato all’interno della borsa. Il prezioso oggetto fa parte della “Long Term Contingency Decontamination Box” dal sito di atterraggio di Apollo 11. La NASA a quel punto, trattandosi di un artefatto delle missioni spaziali che non dovrebbe essere di proprietà privata, ne decise la confisca. Confisca annullata proprio dalla una sentenza del tribunale del Kansas, che ha riconsegnato la borsa nelle mani del proprietario.

L’attuale proprietario ha dichiarato che parte dei proventi dell’asta andranno a organizzazioni di beneficenza, tra cui la Immune Deficiency Foundation e la Bay Cliff Health Camp Children’s Therapy and Wellness Center e prevede di creare una borsa di studio per gli studenti che studiano presso la sua Alma Mater, l’Università del Michigan, North.


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Accademia delle Stelle

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Corso di Archeoastronomia: tutti i lunedì per conoscere la storia, il significato e il ruolo dell’astronomia nell’evoluzione della nostra cultura.

Corso base di Astronomia: tutti i giovedì per scoprire com’era fatto l’Universo e conoscere gli oggetti che lo popolano.

I corsi sono tenuti da un astrofisico ed hanno il patrocinio della UAI. È possibile iscriversi a tutte le lezioni o prenotarsi a singoli incontri.
Per informazioni: eventi@accademiadellestelle.org
Riduzioni per i lettori di Coelum Astronomia.

Venerdì 2 – domenica 4 giugno: Torna “Il Cielo di Roma” 2° edizione 2017. Partecipiamo al Cielo di Roma con stand, postazioni osservative permanenti diurne e serali, due conferenze ed un laboratorio didattico.

Domenica 18 giugno: conferenza Le frontiere dell’astrofisica stellare di Marco Castellani (INAF).

INFO: https://www.accademiadellestelle.org/primavera-astronomica/

Circolo Culturale Astrofili Trieste: Einstein aveva ragione: introduzione alle onde gravitazionali

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

29.05: “Einstein aveva ragione: introduzione alle onde gravitazionali” di Antonio Pasqua.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

Scorci d’estate su Saturno

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Questa coppia di animazioni è stata realizzata rispettivamente il 25 giugno 2013 (a sinistra) e il 25 aprile 2017 (a destra) utilizzando la camera grandangolare a bordo di Cassini. I filtri spettrali utilizzati sono il rosso, il verde e il blu, combinati per creare un’immagine a colori naturali. Nel 2013 la sonda si trovava a circa 700 mila km da Saturno, e la risoluzione dell’immagine è di 80 km per pixel, mentre per l’immagine del 2017 la distanza minima raggiunta è di 230 mila km dall’atmosfera, che comporta una risoluzione di 14 km per pixel. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute/Hampton University

Inizia l’estate su Saturno, e la sonda Cassini della Nasa è nella posizione migliore per osservarla. Cade oggi il solstizio di Saturno, ovvero il primo giorno d’estate nell’emisfero nord del pianeta, una ricorrenza che si ripete circa ogni 15 anni terrestri. Per festeggiarlo, Cassini ci invia alcune delle immagini più spettacolari del polo nord del pianeta, con la sua tempesta esagonale.

Questa coppia di animazioni è stata realizzata rispettivamente il 25 giugno 2013 (a sinistra) e il 25 aprile 2017 (a destra) utilizzando la camera grandangolare a bordo di Cassini. I filtri spettrali utilizzati sono il rosso, il verde e il blu, combinati per creare un’immagine a colori naturali. Nel 2013 la sonda si trovava a circa 700 mila km da Saturno, e la risoluzione dell’immagine è di 80 km per pixel, mentre per l’immagine del 2017 la distanza minima raggiunta è di 230 mila km dall’atmosfera, che comporta una risoluzione di 14 km per pixel. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute/Hampton University

Mancano una manciata di settimane al 15 settembre, giorno in cui è previsto lo storico tuffo di Cassini nell’atmosfera del pianeta con gli anelli. Per prepararsi all’evento, la sonda sta percorrendo una serie di orbite strettissime, durante le quali sfreccia periodicamente nello spazio vuoto tra Saturno e i suoi anelli.

Arrivata a destinazione nel 2004, dopo sette anni di viaggio interplanetario, la sonda Cassini ha visto la propria missione estendersi dai primi 4 anni nominali fino agli attuali 13. Nel corso degli anni ha collezionato scoperte sensazionali e immagini mozzafiato. Gli scatti raccolti mostrano cambiamenti stagionali degli strati superiori dell’atmosfera di Saturno.

Nell’immagine qui sopra è possibile ammirare il polo nord del pianeta in colori naturali, mettendo a confronto il suo aspetto a giugno 2013 con quello che ha visto Cassini nell’aprile 2017. In entrambi gli scatti l’esagono centrale domina la scena, ma le due immagini mettono in luce colori diversi, a indicare i cambiamenti stagionali subiti da quella regione.

Nel 2013 l’interno dell’esagono appare azzurro, mentre all’inizio del 2017 è ricoperto da una foschia gialla, e solo la regione centrale del vortice mantiene un intenso colore blu. L’arrivo di una più intensa radiazione ultravioletta proveniente dal Sole ha innescato la formazione della foschia così come la osserviamo.

Sono varie le ipotesi prese in considerazione dagli scienziati per spiegare come mai la zona centrale dell’esagono rimanga blu. Una di queste è che la regione del vortice sia l’ultima ad essere esposta alla luce solare, e che quindi le particelle al suo interno non abbiano ancora avuto tempo di cambiare colore. Una seconda ipotesi prende in considerazione l’idea che il vortice polare abbia una circolazione interna simile a quella degli uragani terrestri, e che quindi la direzione del flusso sia dagli strati più alti a quelli più bassi dell’atmosfera.

Leggi anche

Cassini, le prime straordinarie immagini del “Grand Finale”. La sonda si è tuffata nel gap tra il bordo interno degli anelli e l’atmosfera di Saturno, leggi il report delle prime scoperte su Coelum Astronomia n.212 di giugno.

Ombre corte per Saturno in questi giorni è iniziata l’estate nell’emisfero nord del pianeta, e la sua ombra proiettata sugli anelli ce lo conferma, proprio come una grande meridiana solare.


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Il Cielo di Giugno 2017

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 giugno > 01:00; 15 giugno > 00:00; 30 giugno > 23:00
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 giugno > 01:00; 15 giugno > 00:00; 30 giugno > 23:00

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Più in alto, sempre a sud, si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo situato quasi allo zenit. Il Leone si starà invece avviando al tramonto, mentre verso est comincerà ad alzarsi il “Triangolo estivo” formato da Vega, Deneb e Altair (le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila), insieme ai ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea. Sull’orizzonte nordest, più tardi durante la notte, farà capolino la Galassia di Andromeda (M31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte già prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi. Per ciò che riguarda i pianeti, gli unici osservabili a quell’ora saranno Saturno, nell’Ofiuco, ancora basso sull’orizzonte, e Giove, molto brillante nella costellazione della Vergine, alto verso sudovest.

Scopri le costellazioni del cielo di giugno con la UAI

Continua l’apparente moto di risalita del Sole, che il giorno 21 raggiungerà il punto di massima declinazione nord dell’eclittica (pari a +23° 27′); in quel momento si verificherà il solstizio estivo, che nell’emisfero boreale sancirà l’inizio dell’estate astronomica. Ovviamente ciò comporterà un deciso aumento delle ore di luce a scapito della notte astronomica, che mediamente durante il mese non supererà le 4,5 ore. Cos’è il Solstizio estivo e quando cade?

E ancora, su Coelum Astronomia di giugno 2017…

➜ Il Cielo di Maggio:  pianeti, congiunzioni e i principali eventi del cielo da non perdere!

Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione della Lira: Vega superstar! (seconda parte)

La Luna di maggio. Un approfondito e interessante articolo alla scoperta del Mare Humorum

Il Club dei 100 asteroidi: gli asteroidi in opposizione a giugno, che aspettate a unirvi al Club?!

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

ASTROFOTOGRAFIA: Fotografiamo le comete a grande campo

Le comete del mese: La Johnson passa al perielio!

La Supernova… dietro MESSIER 63!

e il Calendario degli eventi giorno per giorno


54 pagine di consigli per l’osservazione del cielo di giugno su Coelum Astronomia 211

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Il Solstizio Estivo

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L’illustrazione visualizza le differenti altezze che il Sole raggiunge in meridiano nel corso dell’anno, rispettivamente durante il solstizio estivo, gli equinozi e il solstizio invernale.

Il termine “Solstizio” sta a significare in latino “sole stazionario”, un chiaro riferimento all’apparente immobilità del Sole dopo un periodo (dal solstizio invernale a quello estivo) che lo ha visto invece aumentare la declinazione (e quindi l’altezza sull’orizzonte al momento del transito in meridiano) di ben 47 gradi..

Dall’esame delle date e dei tempi dei solstizi (vedi la tabella a sinistra) si può verificare che il fenomeno avviene quasi sempre il giorno 21, e ritarda poi di circa sei ore ogni anno (5 ore, 48 minuti e 46 secondi per la precisione).

In genere ogni quattro anni torna poi al 20 giugno, in conseguenza degli anni bisestili introdotti proprio per evitare un progressivo sfasamento delle stagioni con il calendario.

Per “vedere” con i propri occhi lo spostamento nel cielo del Sole, a una data ora, nell’arco di un anno, si può tentare di “costruire” un analemma solare. Un’immagine composta da più riprese del Sole, come questa qui sotto di Giuseppe Petricca, che su Coelum 197 vi spiega come fare.

Vedi tutte le immagini di Giuseppe Petricca su Photo-Coelum


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Nuove idee per l’espansione dell’Universo, va ripensato il ruolo dell’energia oscura?

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Il quadro teorico della fisica è sempre una storia avvincente da divulgare e sostanzialmente ogni giorno viene aggiunto un tassello: la ricerca pubblicata su Physical Review D da parte di Qingdi Wang, Zhen Zhu, e William G. Unruh dell’Università della British Columbia, ha fornito un quadro nettamente diverso dell’Universo e della sua espansione.

Nello spazio in cui viviamo infatti, zoommando il nostro Universo si dovrebbe assistere, secondo i ricercatori, a una fluttuazione quantistica oscillante e selvaggia da parte di ogni singolo punto, che si espande e contrae. I due effetti tenderebbero a un annichilamento che però, in scala macroscopica, avrebbe l’effetto di spingere l’Universo a espandersi, lentamente e con una velocità di accelerazione.
Gli astronomi si sono posti, sperimentalmente, il problema di questa accelerazione fin dal 1998: la spiegazione migliore è stata che lo spazio non può essere vuoto, ma deve essere permeato da un’energia oscura che “spinge via” letteralmente la materia, accelerando così l’espansione dell’Universo.

Abbiamo intervistato William G. Unruh, che ci spiega invece in modo molto semplice questa nuova e radicale ipotesi: «A noi lo spazio sembra essere praticamente statico, con cambiamenti in una scala di tempo dell’ordine di miliardi di anni». Il modello proposto invece: «sostiene che lo spazio cambi in una scala di tempo di un miliardesimo, di miliardesimo, di miliardesimo… di miliardesimo di secondo! Se non ancora più velocemente. Con un Universo che si espande e si contrae, in modo diverso da punto a punto, in questa scala di tempi». In questo modo, alla nostra scala spazio-tempo vediamo solo una media di questo ribollire selvaggio, che ce lo fa sembrare molto più tranquillo e i cui cambiamenti ci appaiono molto, molto più lenti.
Il lavoro pubblicato è una proposta per affrontare in modo nuovo un problema storico come quello della costante cosmologica e della sua incompatibilità con la “lenta” ma accelerata espansione osservata nell’universo.

La proposta del gruppo richiama il concetto di schiuma quantica di Wheeler: «Wheeler, nelle sue intuizioni di come dovrebbero essere lo spazio e il tempo in una scala così piccola, si avvicinò all’idea che la struttura delle distanze spazio-temporali dovesse essere incredibilmente caotica (higgledy-piggledy usando un suo termine)».

Lo spazio e il tempo dunque sembrano fluttuare, ma rimane difficile sentire il loro ondeggiare, dato che tutto questo avviene a una scala miliardi e miliardi di volte più piccola, anche rispetto alle dimensioni di un elettrone. A noi non resta che perderci in questo modello teorico che con un’idea brillante ci fa ondeggiare, quasi al ritmo delle onde, avvicinandoci alla stagione estiva e al cosmo.


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Addio a Giovanni Bignami

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Addio a Giovanni Bignami… ci piace immaginarlo ora tra quelle stelle che ha passato una vita a studiare e a far conoscere al grande pubblico di tutto il mondo.
Si è spento oggi, 25 maggio, a Madrid per un malore all’età di 73 anni.

La notizia, apparsa in rete questa mattina come un fulmine a ciel sereno e ben presto diffusa su tutti i canali social, è stata confermata dalla moglie Patrizia Caraveo, attuale direttrice dell’INAF Iasf di Milano, e Nichi D’Amico, presidente dell’INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica.

«Si tratta di una grave e inaspettata perdita per la Comunità», commenta Nichi D’Amico, «un personaggio e un amico autorevole, un instancabile artefice di tanti successi dell’astrofisica italiana».

Giovanni Bignami, astrofisico e divulgatore di fama mondiale, attualmente era presidente del consiglio di amministrazione del progetto SKA. In precedenza aveva ricoperto il ruolo di presidente dell’ASI, dell’INAF e del COSPAR, il Comitato mondiale per la Ricerca Spaziale. Autore di numerosi libri, si è dedicato alla divulgazione scientifica, che lo ha fatto conoscere al grande pubblico grazie anche alla sua presenza in Superquark, la nota trasmissione RAI condotta da Piero Angela, dove, con parole semplici e alla portata di tutti, raccontava le meraviglie del nostro Cosmo.

Noto anche per le sue lunghe ricerche su Geminga, la prima stella di neutroni senza emissione radio a cui ha dato il nome, gli era stato dedicato l’asteroide 6852 Nannibignami scoperto nel 1985.

Sempre gentile e disponibile, esprimendo il nostro cordoglio alla famiglia, lo ricordiamo attraverso la lunga chiacchierata avuta in occasione della scoperta di Proxima b, il pianeta extrasolare più vicino alla Terra mai scoperto. Potete leggere gratuitamente l’intervista su Coelum Astronomia 204.


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Astronomiamo

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LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
11/05: Corso di astrofotografia online
18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Una notte per Giove – Maccarese (RM)

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sabato 3 giugno alle ore 20.30 alla Casa della Partecipazione a Maccarese in Via del Buttero, 10.

Una serata astronomica interamente dedicata al gigante Giove. In apertura una conferenza porterà i visitatori in un affascinante viaggio nelle meraviglie più nascoste del gigante del Sistema Solare, mostrandone dettagli impressionanti e spettacolari fenomeni.

Si parlerà anche della Missione Juno che sta rivelando ulteriori preziose informazioni su questo grande pianeta. A seguire con i telescopi del Gruppo Astrofili Palidoro sarà possibile ammirare con i propri occhi Giove e anche la Luna.

Dunque un’occasione da non perdere per grandi e piccini! L’ingresso è libero.

INFO: Tel. 3475010985 – info@astrofilipalidoro.it

Evento facebook


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C’è una nuova luna là nella fascia di Kuiper

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La luna scoperta attorno a 2007 OR10, indicata dalle frecce, nelle due immagini ottenute con la Wide Field Camera 3 di Hubble nel 2009 e nel 2010. Crediti: Nasa, Esa, C. Kiss (Konkoly Observatory), e J. Stansberry (Stsci)
La luna scoperta attorno a 2007 OR10, indicata dalle frecce, nelle due immagini ottenute con la Wide Field Camera 3 di Hubble nel 2009 e nel 2010. Crediti: Nasa, Esa, C. Kiss (Konkoly Observatory), e J. Stansberry (Stsci)

A insospettirli è stata la lentezza. Il grosso oggetto transnettuniano (225088) 2007 OR10 – ma si può dare un nome così al terzo più grande pianeta nano conosciuto? – impiega 45 ore per ruotare su se stesso. Troppe per un abitante della fascia di Kuiper: là da quelle parti – la distanza di 2007 OR10 dal Sole oscilla tra i 5 e i 15 miliardi di km – i giorni di solito corrono molto più in fretta. Più o meno come qui sulla Terra. «I periodi di rotazione caratteristici degli oggetti della fascia di Kuiper sono inferiori alle 24 ore», spiega il primo autore dello studio, Csaba Kiss, del Konkoly Observatory di Budapest. «Pensando che la lentezza potesse essere dovuta all’attrazione gravitazionale di una luna, ci siamo messi a guardare nell’archivio delle immagini di Hubble».

E ci hanno visto giusto. In due immagini raccolte, rispettivamente, il 6 novembre 2009 e il 18 settembre 2010, così deboli da essere sfuggite ai controlli effettuati all’epoca, ecco le tracce inequivocabili di un secondo corpo gravitazionalmente legato a 2007 OR10.

Per stimare le dimensioni dei due corpi celesti le sole immagini della Wide Field Camera 3 di Hubble non erano però adeguate. Kiss e colleghi sono stati costretti a fare ricorso a un altro telescopio spaziale, quello dell’Esa Herschel, le cui immagini nel lontano infrarosso hanno permesso di stabilire che 2007 OR10 ha un diametro superiore a 1500 km, mentre quello della luna dovrebbe essere compreso tra i 240 e i 400 km (237 stando alle sole misure di albedo).

I risultati, non del tutto inediti (la notizia era già circolata lo scorso anno) ma certo preziosi per ricostruire la dinamica delle collisioni in quella regione remotissima del Sistema solare, saranno pubblicati su The Astrophysical Journal Letters.

Per saperne di più:


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Accademia delle Stelle

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Maggio 2017I corsi hanno il patrocinio della UAI e si tengono presso la Sala Conferenze di San Gregorio Barbarigo a Roma EUR (di fronte alla metro Laurentina) il lunedì (Archeoastronomia) e il giovedì (Corso base) dalle 21 alle 22.30.
Sono previsti sconti per i soci UAI e i lettori di Coelum (chiedere Coupon).

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.com/corsi

Space Girls, Space Women

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Space Girls

Space GirlsDoppia mostra fotografica tra Milano e Roma su chi sogna il proprio futuro nello spazio e chi oggi contribuisce alla realizzazione dei programmi spaziali. A cura dell’Agenzia spaziale italiana e del Museo
nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vinci. In esposizione gli scatti realizzati in tutto il mondo, da Nairobi a Mosca, da Bangalore a Monaco, dal deserto di Atacama ai sobborghi di Smirne. Un team di sole fotografe ha ritratto 3 diverse generazioni di scienziate, ricercatrici, studentesse e appassionate in diversi contesti socio-economici. L’esibizione milanese sarà accompagnata da un pari allestimento a Roma nella sede Asi, una grande opera architettonica dalle forme spettacolari aperta alla contaminazione con le arti figurative, cinematografiche ed espositive che comprenderanno anche la prossima apertura di un museo permanente sullo spazio.

Leggi la presentazione Media INAF

La mostra milanese è inserita nel programma del Milano Photofestival 2017 e nel programma dell’iniziativa STEM in the City con il patrocinio del Comune di Milano. La visita è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo.
www.museoscienza.orgwww.spacewomen.org

Una supernova luminosa in NGC 6946 a 100 anni dalla prima scoperta

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realizzata da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F/5,5 Tempo di posa somma 15x75sec.
L'immagine di NGC 6946 con indicata la SN2017eaw, realizzata da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F/5,5 Tempo di posa somma 15x75sec.

Sono passati esattamente 100 anni dalla prima supernova scoperta in NGC 6946, la SN1917A, e in questa stupenda galassia a spirale vista di faccia è stata individuata la decima supernova!

Mai nessuna galassia ha visto esplodere al suo interno un numero così elevato di supernovae conosciute. Questa nuova scoperta è stata realizzata nella notte del 14 maggio dall’astrofilo americano Patrick Wiggins (alla sua terza scoperta) con la supernova che splendeva di mag. +12,8.

NGC6946 di archivio realizzata da Marco Burali Osservatorio MTM con Takahashi RC 300 f7.8 + CCD FLI 1001E per Luminanza tempi di posa 300 minuti e per H-alfa 6nm 300 minuti, per il colore Takahashi TOA 150 f 5.8 + CCD G2 4000 filtri RGB 100+100+100 minuti. Aggiunto segnale supernova ottenuto con 30 minuti di posa con Takahashi TOA 150 f 5.8 + CCD G2 4000.

NGC6946, che si trova sul confine fra le costellazioni del Cefeo e del Cigno, a circa 20 milioni di anni luce da noi, è conosciuta anche con il nome di galassia “fuochi d’artificio”, sia perché nelle foto a colori sembra di essere davanti a uno stupendo gioco pirotecnico, ma anche grazie a questo elevato numero di esplosioni di supernovae verificatesi al suo interno. Non fa parte del catalogo di Messier, ma per vicinanza e bellezza estetica non ha niente da invidiare alle galassie che ne fanno parte.

Delle precedenti supernovae, oltre alla già citata SN1917A, che fra l’altro è stata scoperta da un certo Sig. George Ritchey, inventore del telescopio Ritchey-Chretien, abbiamo avuto la SN1939C, scoperta da un pioniere della ricerca professionale di supernovae, Fritz Zwicky che fu anche il primo a coniare il termine “supernova”. Poi sono venute la SN1948B, la SN1968D e la SN1969P, scoperta dall’astronomo italiano Leonida Rosino che è stato direttore dell’Osservatorio di Asiago (dopo la sua morte nel 1997, la Stazione Osservativa di Asiago Cima Ekar è stata intitolata alla sua memoria). Ancora la SN1980K, la supernova più luminosa esplosa in NGC 6946, di tipo IIL, che raggiunse la notevole magnitudine di +11,4. Seguirono la SN2002hh e la SN2004et, scoperta dall’astrofilo forlivese di origini toscane Stefano Moretti e la SN2008S.

Delle dieci supernovae nessuna sembra essere stata di tipo Ia (le più luminose). Usiamo il condizionale perché per tre di loro non è stato possibile ottenere lo spettro di conferma, ma la SN1917A, la SN1939C e la SN1969P a cui manca lo spettro, non hanno superato come luminosità la mag.+13. Come noto, invece, le supernovae di tipo Ia raggiungo tutte la stessa luminosità assoluta pari alla magnitudine –19,3; motivo per cui sono utilizzate per calcolare con precisione la distanza delle galassie che le ospitano. NGC6946 ha un modulo di distanza pari a 29 quindi una supernova di tipo Ia dovrebbe raggiungere la mag. +9,7 (29-19,3=9,7), ma nessuna delle dieci supernovae esplose in NGC6946 lo ha fatto.

Tornando alla SN2017eaw, così il nome assegnato all’attuale supernova, nella notte seguente la scoperta tre Osservatori professionali hanno ottenuto lo spettro di conferma. I primi sono stati i cinesi del Lulin Observatory in Taiwan con il telescopio di un metro di diametro, che sono riusciti nell’impresa anche se ostacolati da condizioni meteo sfavorevoli. A distanza di poche ore è arrivato il secondo spettro ripreso sempre da astronomi cinesi del Xinglong Station Observatory con il telescopio da 2,16 metri. Il terzo spettro è stato invece ripreso dall’Osservatorio Roque de los Muchacos a La Palma nelle isole Canarie con il moderno telescopio NOT Nordic Optical Telescope da 2,56 metri.

Un'altra ripresa di SN2017eaw realizzata da Adriano Valvasori in remoto dal New Messico con telescopio Dall-Kirkham 431mm F.4,5 e CCD FLI-PL6303E Tempi di posa 20x60sec. Anche in questo caso, l'immagine con la supernova e è stata poi sommata a un’immagine d’archivio a colori.

Grazie a questi spettri è stato possibile classificare la supernova di tipo II giovane che quasi sicuramente evolverà in una supernova di tipo IIP, nello spettro elaborato sono visibili le righe di idrogeno (H-alpha – 6563A, H-beta – 4861A), tipico di questo genere di supernovae. Al momento della scoperta si trovava quindi a circa una settimana prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a una velocità di circa 14300 km/s.

Con galassie così vicine è spesso possibile individuare la stella progenitore della supernova. Purtroppo non è riuscito a individuarlo, nell’ottico, il telescopio spaziale Hubble ma ci è riuscito nell’infrarosso il telescopio spaziale Spitzer: il progenitore è una supergigante rossa con dimensioni iniziali pari a circa 13 masse solari. È stato quindi chiamato in campo il telescopio spaziale a raggi X Swift che ha osservato per due volte la supernova evidenziando un’emissione a raggi X in incremento fra la prima e la seconda osservazione. Emissioni che non sono state trovate nelle immagini d’archivio prese fra il 2001 e il 2012 dal telescopio Chandra (anch’esso nei raggi X).

Vista la notevole luminosità di questo transiente, si tratta infatti della supernova più luminosa del 2017 esplosa nell’emisfero settentrionale, è possibile effettuare riprese dello spettro anche con strumenti amatoriali. È sufficiente utilizzare un reticolo di diffrazione a trasmissione da 100 linee/mm (star analyzer) e un semplice programma di elaborazione (vedi articolo pubblicato online).

Anche se NGC6946 non fa parte del catalogo di Messier, questa è sicuramente una ghiotta occasione per immortalare una luminosa supernova, facile da individuare perché lontana dal nucleo, posta in una stupenda e fotogenica galassia a spirale.

➜ Leggi la rubrica dedicata alle ultime supernovae scoperte su Coelum astronomia 211 di maggio

➜ Per saperne di più sulle esplosive supernovae, cosa sono, come nascono e come si scoprono (soprattutto a livello amatoriale, con le esperienze dei protagonisti) leggi lo speciale su COELUM Astronomia di febbraio 2017


Kelt-11b, un pianeta leggero come il polistirolo

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Elaborazione artistica dell’esopianeta Kelt-11b, dalla densità particolare: sembra polistirolo. L’oggetto orbita attorno a una brillante stella. Crediti: Walter Robinson/Lehigh University
Elaborazione artistica dell’esopianeta Kelt-11b, dalla densità particolare: sembra polistirolo. L’oggetto orbita attorno a una brillante stella. Crediti: Walter Robinson/Lehigh University

Si trova a 320 anni luce dalla Terra e la sua densità è a dir poco particolare: sembra quella del polistirolo. Parliamo dell’esopianeta Kelt-11bscoperto nel 2016 attorno a una stella subgigante da alcuni ricercatori della Lehigh University. Ha un’atmosfera da record (la colonna di gas arriva fino a 2763 chilometri d’altezza dalla superficie), ed essendo relativamente vicino (si fa per dire!) al Sistema solare il pianeta è un ottimo candidato per cominciare a studiare le atmosfere degli oggetti extrasolari in cerca di tracce di vita. Kelt-11b è stato scoperto da Joshua Pepper con il telescopio Kilodegree Extremely Little Telescope (Kelt) tramite il metodo del transito. Kelt è composto da due telescopi robotici, North e South (rispettivamente in Arizona e in Sudafrica) che scandagliano il cielo notturno analizzando oltre 5 milioni di stelle.

Abbiamo detto “polistirolo”, ma cosa vuol dire? Gli esperti hanno notato che questo esopianeta sembra un “pallone gonfiato”, e non è un insulto… è la realtà: si tratta di uno dei pianeti più gonfi, più voluminosi e meno densi finora conosciuti. Il suo diametro è di circa il 40 per cento più grande rispetto a quello di Giove, ma ha solo un quinto della sua massa. La stella attorno a cui orbita l’esopianeta è estremamente luminosa, e ciò permette una misurazione precisa delle proprietà atmosferiche. Tali osservazioni aiuteranno gli astronomi a sviluppare in futuro strumenti per osservare i diversi tipi di gas presenti nelle atmosfere fuori il nostro sistema planetario.

La stella KELT-11 durante il transito. Crediti: Pepper et al., 2016.

Come Giove o Saturno, Kelt-11b è un grande pianeta gassoso che conclude un’orbita ogni 4,7 giorni (quindi è molto vicino alla sua stella madre). Il destino di questo pianeta di polistirolo, così estremo ed esotico, è segnato: Kelt-11 (cioè la stella in questione) ha iniziato la sua trasformazione in gigante rossa utilizzando parte del suo “carburante nucleare” e ciò porterà – nei prossimi 100 milioni di anni – alla scomparsa del pianeta, che verrà letteralmente inghiottito dalla stella senza possibilità di salvezza.

Alla scoperta del pianeta hanno contribuito numerosi scienziati provenienti da diversi enti sparsi per il mondo, ma anche una quarantina di citizen scientists, cioè scienziati amatoriali che hanno avuto accesso ai dati di Kelt-11. Futuri studi e osservazioni sul pianeta potrebbero fornire ulteriori informazioni sul meccanismo che provoca questo rigonfiamento in oggetti simili a Kelt-11b. La grande atmosfera del pianeta offre l’opportunità per sviluppare innovative tecniche di analisi delle sostanze chimiche che formano le atmosfere degli esopianeti per valutarne l’eventuale abitabilità.

Per saperne di più:


Ombre corte per Saturno

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Saturno, l'orologio solare più grande del nostro Sistema Solare. L'immagine è stata ripresa il 3 febbraio di quest'anno, da una distanza di circa 1,2 milioni di chilometri, e ha una risoluzione (nel formato originale) di 73 chilometri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

È andato a buon fine anche il tuffo numero quattro delle 22 orbite previste del “Grand Finale” della sonda Cassini. Anche questa volta il segnale è arrivato, confermando che la sonda è passata indenne nel gap tra l’atmosfera di Saturno e il bordo interno degli anelli.

Durante questa quarta orbita sono state fatte misurazioni sulla gravità per poter risalire alla massa degli anelli di Saturno, ma per non perdere l’abitudine alle immagini spettacolari, approfittando di questo bel primo piano del pianeta e dei suoi anelli, la NASA ci parla invece dell’orologio solare più grande del Sistema Solare!.

Come in un orologio solare infatti, la proiezione dell’ombra di Saturno sugli anelli è sempre più corta man mano che la stagione avanza verso l’estate nell’emisfero nord, grazie all’inclinazione fissa del pianeta nel suo moto attorno al Sole. Questo fino al solstizio che cadrà il prossimo 25 maggio. A quel punto, l’ombra del pianeta si estenderà solo fino alla parte più interna dell’anello A, lasciando quella centrale e quella più esterna completamente libere dall’ombra.

L’immagine di apertura, ripresa in luce visibile, ci mostra il lato illuminato dal Sole degli anelli, che vediamo da una inclinazione di circa 10° rispetto al loro piano. Ma nel corso della missione, la sonda Cassini è stata testimone dell’allungamento dell’ombra di Saturno fino all’equinozio dell’agosto 2009. Da allora l’ombra ha cominciato e poi continuato ad accorciarsi.

Grazie alla longevità della missione, che in questi anni ci ha inviato sempre magnifiche immagini del Signore degli Anelli, possiamo vedere le stagioni che passano proprio come in una grande meridiana, confrontando le immagini di seguito, riprese da Cassini rispettivamente nel 2004, all’inizio della sua missione, all’equinozio nel 2009, due anni fa, nel 2015 e infine nell’immagine di apertura di inizio di quest’anno.

Tutte le news sul #GrandFinale della missione Cassini


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La stella del mattino incontra una falce di Luna calante

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Alle ore 5:00 troveremo il pianeta Venere, ben riconoscibile per la sua luminosità (mag. –4,4) in un bell’allineamento con una falce di Luna piuttosto sottile (fase 18%), posta a circa 6° e mezzo a est del pianeta.

A quell’ora i due astri si troveranno alti circa 10° sull’orizzonte est, nel cielo già chiaro per il crepuscolo mattutino. Con il passare dei minuti, all’avvicinarsi del sorgere del Sole (ore 5:46), il cielo diverrà via via più chiaro e  sarà molto difficile notare la presenza di Mercurio, a est, bassissimo sull’orizzonte e già perso nel chiarore dell’alba.

Poco dopo l’orario indicato sarà anche possibile osservare il passaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che per i fortunati del Centro Italia passerà vicina al “triangolo estivo”, composto dalle brillanti Vega, Altair e Deneb. Più fotogenica di così?

Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio

Leggi anche:

➜ La Luna di maggio. Un approfondito e interessante articolo alla scoperta del cratere Copernicus.

Scopri le costellazioni del cielo di maggio con la UAI


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

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Astronomiamo

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LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
11/05: Corso di astrofotografia online
18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Il buco nero supermassivo fuggiasco

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Qui sopra un'illustrazione artistica di questo curioso buco nero "scentrato"... nei due riquadri in alto invece due immagini reali: a sinistra l'immagine ottenuta dalle osservazioni del telescopio spaziale Hubble, che mostra due punti luminosi vicino al centro della galassia. Uno di loro si trova al centro della galassia e l'altro si trova a circa 3.000 anni luce dal centro. Il secondo mostra proprio le proprietà di un buco nero supermassivo in crescita e la sua posizione corrisponde a quella di una sorgente luminosa a raggi X rilevata con Chandra (nel riquadro di destra). Utilizzando poi i dati ottenuti dal telescopio SDSS e dal Keck delle Hawaii, gli astronomi hanno potuto determinare che il buco nero in crescita ha una velocità diversa dalla galassia. Da qui l'idea che si tratti di un buco nero supermassiccio in "ritirata". Crediti: Illustrazione: CXC/M. Weiss; Primo riquadro: NASA/STScI; Secondo riquadro: NASA/CXC/NRAO/D.-C. Kim.

In genere, se ne stanno al centro delle galassie che li ospitano. Divorando di tutto. Ma c’è un buco nero supermassiccio che si comporta in maniera anomala. Si muove, come se stesse scappando da qualcosa.

La brillante sorgente in raggi X, indicata con la sigla CXO J101527.2+6259, si trova visibilmente fuori dal centro della galassia elittica che la ospita. Grazie agli altri dati raccolti, che la identificano come un buco nero supermassivo in crescita, gli astronomi pernsano si tratti di un buco nero spinto via dal centro della sua galassia a causa di una collisione tra due galassie, o a qualche altro tipo di interazione. Una seconda ipotesi, meno plausibile secondo i ricercatori del team guidato da Dongchan Kim of the National Radio Astronomy Observatory (Charlottesville, Virginia) autori dello studio, lo vede come parte di un sistema binario al centro della galassia, in cui il secondo buco nero risulterebbe invisibile dal nostro punto di vista. Ma la galassia mostrerebbe segni di "distorsione" nella direzione di fuga, che andrebbero a favore della prima spiegazione. Crediti: NASA/CXC/NRAO/D.-C.Kim; Optical: NASA/STScI

Si trova in una galassia ellittica a circa 3,9 miliardi di anni luce dalla Terra e la sua massa è circa 160 milioni di volte quella del Sole. A osservarne lo strano comportamento, il telescopio spaziale a raggi X Chandra della NASA, coadiuvato da Hubble, che hanno passato in rassegna migliaia di galassie.

La galassia interessata, una volta individuata, è stata studiata anche dai telescopi Keck delle Hawaii. I risultati sono in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal, e già disponibili on line su arXiv.org.

Secondo gli astronomi, il movimento del buco nero potrebbe essere conseguenza di una collisione cosmica tra due galassie. Il protagonista di questo insolito spostamento, che gli esperti paragonano a un indietreggiare, si sarebbe formato dalla fusione tra i due buchi neri ospitati al centro delle galassie in collisione.

Una collisione che avrebbe sprigionato un’enorme energia, sotto forma di onde gravitazionali. E proprio queste onde avrebbero poi dato una spinta al buco nero, allontanandolo dal centro della galassia. Come mostrato nell’illustrazione realizzata dalla NASA.

Secondo gli studiosi, l’analisi dello spostamento del buco nero supermassiccio potrebbe fornire preziose indicazioni sulle proprietà di questi enigmatici oggetti.

Leggi anche

Speciale Onde Gravitazionali su Coelum Astronomia di marzo 2016

Buchi neri e materia oscura su Coelum Astronomia di aprile 2017


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Circolo Culturale Astrofili Trieste: La fine del pianeta Terra: come e quando?

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

15.05: “La fine del pianeta Terra: come e quando?” di Fulvio Mancinelli.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

Nell’inferno di Loki Patera

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A huge area of Io's volcanic plains is shown in this Voyager 1 image mosaic. Numerous volcanic calderas and lava flows are visible here. Loki Patera, an active lava lake, is the large shield-shaped black feature. Heat emitted from Loki can be seen through telescopes all the way from Earth. These telescopic observations tell us that Loki has been active continuously (or at least every time astronomers have looked) since the Voyager 1 flyby in March 1979. The composition of Io's volcanic plains and lava flows has not been determined, but they could consist dominantly of sulfur with surface frosts of sulfur dioxide or of silicates (such as basalts) encrusted with sulfur and sulfur dioxide condensates. The bright whitish patches probably consist of freshly deposited SO2 frost. The black spots, including Loki, are probably hot sulfur lava, which may remain molten by intrusions of molten silicate magma, coming up from deeper within Io. The ultimate source of heat that keeps Io active is tidal frictional heating due to the continual flexure of Io by the gravity of Jupiter and Europa, another of Jupiter's satellites. Crediti: NASA/JPL/USGS
Un mosaico ottenuto dalle immagini della Voyager 1, mostra i numerosi vulcani dell’area in cui si trova il grande lago di lava chiamato Loki Patera. Lo si riconosce dalla scura forma a scudo, nella parte bassa dell’immagine.  Il calore emesso da Loki lo si può chiaramente vedere attraverso telescopi da Terra. Le osservazioni, fin dal passaggio ravvicinato della Voyager 1 nel 1979, ci dicono che Io è sempre stata una luna attiva dal punto di vista vulcanico, e queste zone hanno conitnuamente mostrato la loro attività. La composizione della zona non è stata ancora determinata, ma è probabile sia fortemente dominata da zolfo The composition of Io’s volcanic plains and lava flows has not been determined, but they could consist dominantly of sulfur with surface frosts of sulfur dioxide or of silicates (such as basalts) encrusted with sulfur and sulfur dioxide condensates. The bright whitish patches probably consist of freshly deposited SO2 frost. The black spots, including Loki, are probably hot sulfur lava, which may remain molten by intrusions of molten silicate magma, coming up from deeper within Io. The ultimate source of heat that keeps Io active is tidal frictional heating due to the continual flexure of Io by the gravity of Jupiter and Europa, another of Jupiter’s satellites. Crediti: NASA/JPL/USGS

Certe occasioni vanno prese al volo. Lo sanno bene anche gli astronomi che hanno sfruttato una rara occultazione di Io, uno dei satelliti del pianeta Giove, da parte di Europa, un’altra luna del gigante del Sistema solare. Il loro scopo era quello di osservare con il grande telescopio binoculare LBT (Large Binocular Telescope), in Arizona, un gigantesco lago di lava presente su Io, ma sono andati oltre, riuscendo perfino a identificare le sorgenti e i percorsi di due diverse onde di magma che formano e rinnovano la sua superficie.

Serie di immagini di Lbt nella banda dell’infrarosso termico che mostrano il passaggio di Europa, luna di Giove, davanti a Io, un’altro tra i maggiori satelliti naturali del pianeta. Il vulcano Loki Patera è la macchia brillante nella zona superiore del disco. Europa appare scura perché il ghiaccio d’acqua che ricopre la sua superficie assorbe gran parte della luce solare in quella banda di radiazione. Crediti: Large Binocular Telescope Observatory

I ricercatori hanno sfruttato questo il fenomeno astronomico, avvenuto l’8 marzo del 2015, osservandolo nella banda dell’infrarosso “termico”: a quelle lunghezze d’onda Io risulta molto più brillante di Europa, che appare come un disco scuro in transito davanti ad esso. Questo perché Europa è molto più fredda essendo coperta da una spessa coltre di ghiacci. Questo contrasto nella radiazione emessa dai due corpi celesti ha consentito di identificare con precisione il segnale emesso dal magma incandescente presente sulla superficie di Io, molto intenso in quella banda di radiazione. Questa fortunata combinazione ha imposto al team una programmazione delle osservazioni al limite delle capacità tecniche del telescopio: nel passaggio di Europa davanti ad Io, il vulcano Loki Patera scelto per lo studio sarebbe stato interessato dall’occultazione in un arco di tempo di appena 10 secondi. Per ottenere una mappa accurata della zona, Lbt ha raccolto una raffica di immagini di Io ad intervalli di meno di 15 centesimi di secondo tra l’una e l’altra.

Il mix tra le imponenti dimensioni degli specchi principali di Lbt, da 8,4 metri di diametro ciascuno, il suo sofisticato sistema di ottica adattiva, che ha drasticamente ridotto gli effetti negativi della turbolenza dell’atmosfera terrestre sulla qualità delle riprese, e un raffinato sistema di elaborazione dei segnali raccolti ha così permesso agli scienziati di scoprire che temperatura del materiale che ricopre il Loki Patera aumenta progressivamente tra un estremo e l’altro della regione.

Suggerendo così che si siano verificate una serie di eruzioni che hanno rinnovato e stratificato la crosta della caldera. Questi poderosi moti avrebbero innescato delle vere e proprie onde che si sono propagate con una velocità di circa uno e due chilometri al giorno.

Katherine de Kleer. Crediti: Università della California a Berkeley (USA)

«Se immaginiamo Loki Patera come un lago di lava, esso supera di più di un milione di volte quelli che sono presenti qui sulla Terra» dice Katherine de Kleer, giovane ricercatrice dell’Universita della California a Berkeley (Usa), prima autrice dello studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature. «In questa regione, porzioni di crosta fredda sprofondano, portando alla luce magma incandescente che è assai luminoso nell’infrarosso».

Io e la sua poderosa attività vulcanica erano stati già studiati, sempre con il telescopio Lbt, di cui l’Italia con l’Inaf è uno dei partner, da un gruppo di scienziati tra cui Carmelo Arcidiacono, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica a Bologna, al quale abbiamo chiesto un commento.

«Nel 2014 è iniziata una campagna di monitoraggio del vulcanismo di Io, diventando il target preferito per le osservazioni interferometriche di Lbt» ricorda Arcidiacono. «Già nel 2015 abbiamo pubblicato il primo articolo di Lbt sull’attività eruttiva nel Loki Patera, il più potente vulcano attivo nel nostro Sistema solare. Nel marzo 2015 si presentò la rara occasione di osservare il passaggio del disco freddo e scuro di Europa di fronte al brillante Io. Questa eclisse ha permesso di ottenere dettagli fino a 2 km della struttura della caldera, grazie all’alta risoluzione data dall’interferometria su Lbt e acquisendo 8 immagini al secondo. Così de Kleer e il suo team hanno dedotto la presenza di due sorgenti eruttive che, seppur vicine, hanno composizione delle lave differenti».

Guarda il servizio su Media Inaf Tv:


 

La Nebulosa Granchio… destrutturata

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This composite image of the Crab Nebula, a supernova remnant, was assembled by combining data from five telescopes spanning nearly the entire breadth of the electromagnetic spectrum: the Karl G. Jansky Very Large Array, the Spitzer Space Telescope, the Hubble Space Telescope, the XMM-Newton Observatory, and the Chandra X-ray Observatory. Feature: Observatories Combine to Crack Open the Crab Nebula Image Credit: NASA, ESA, NRAO/AUI/NSF and G. Dubner (University of Buenos Aires)
…e dopo averla destrutturata l’hanno ricomposta in questa meravigliosa immagine ricchissima di dettagli della Crab Nebula, la Nebulosa Granchio (per le immagini ad alta risoluzione vedi http://hubblesite.org/images/news/release/2017-21 ). I dati per ottenere questa immagine vengono da cinque diversi telescopi, che osservano il cielo coprendo quasi l’intera ampiezza dello spettro elettromagnetico: dalle onde radio del Karl G. Jansky Very Large Array, all’infrarosso dello Spitzer Space Telescope, dalla luce visibile di Hubble, all’ultravioletto del XMM-Newton Observatory, ai raggi X di Chandra. Crediti: NASA, ESA, NRAO/AUI/NSF and G. Dubner (University of Buenos Aires)

Come novelli chef con la più classica delle ricette,  i team di cinque diversi Osservatori, che con le loro lunghezze d’onda osservate ricoprono la quasi totalità dello spettro elettromagnetico, hanno destrutturato in tutti i suoi aspetti uno dei più famosi resti di supernova del nostro cielo: la Nebulosa Granchio. Successivamente hanno poi ricomposto i singoli elementi per dare vita a una nuova splendida immagine ricchissima di dettagli.

Nell’estate del 1054 d.C., gli astronomi cinesi hanno avuto il privilegio di osservare una nuova “stella”, che è apparsa nel cielo sei volte più luminosa di Venere. Così brillante, si potè vedere durante il giorno per diversi mesi. Mezzo mondo più in là, i nativi americani ce ne hanno fatto avere testimonianza attraverso pittogrammi di una mezzaluna con una stella luminosa vicina, che alcuni pensano possa essere proprio la supernova.

La posizione della Nebulosa Granchio (M1 del Catalogo Messier) nella costellazione del Toro. cliccare per ingrandire. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Questa “guest star” è stata dimenticata fino a 700 anni dopo, quando, con l’avvento dei telescopi, gli astronomi poterono vedere questa nebulosa tentacolata proprio al posto della stella svanita e la chiamarono la Nebulosa Granchio. La nebulosa, oltretutto, è anche il resto di supernova più cospicuo conosciuto e fu proprio la presenza di questo oggetto a dare il via alla compilazione del Catalogo Messier, in cui viene riportata proprio con la sigla M1.

Oggi ormai sappiamo che si tratta del residuo gassoso in espansione da una stella che è esplosa come una supernova, a 6500 anni luce da noi, e che si è illuminata della luce di 400 milioni di soli! Alla fine degli anni Sessanta, gli astronomi hanno poi rivelato il cuore schiacciato della stella condannata: una stella di neutroni ultra densa che come una dinamo alimenta l’intenso campo magnetico e le radiazioni che illuminano la nebulosa. Emettendo forti emissioni praticamente nell’intero spettro, abbiamo quindi la possibilità di studiare la Nebulosa Granchio attraverso una vasta gamma di radiazioni elettromagnetiche: dai raggi X alle onde radio.

Le immagini della nebulosa nelle cinque diverse bande dello spettro elettromagnetico, da sinistra: radio, infrarosso, luce visibile, ultravioletto, raggi X (cliccare sull

L’immagine composita in apertura mostra proprio la complessità dell’aspetto torturato di questo residuo di supernova, combinando i dati di cinque differenti telescopi che lavorano in cinque differenti bande dello spettro elettromagnetico.

Qui sopra e nel video sotto vediamo anche le singole immagini nelle differenti lunghezze d’onda, che rivelano diversi aspetti della Nebulosa.

Il Karl G. Jansky Very Large Array (VLA), nelle onde radio in rosso, mostra come un feroce “vento” di particelle caricate dalla stella di neutroni ha alimentato la nebulosa, causando l’emissione di onde radio.

Suggestiva l’immagine a raggi X ottenuta da Chandra che mostra la struttura delle emissioni ad alta energia della pulsar al centro della nebulosa, conosciuta anche con le sigle PSR B0531+21 o PSR J0534+2200. Crediti: CXC.

Il Telescopio spaziale Spitzer nell’infrarosso ci mostra un’immagine color giallo dovuta al bagliore delle particelle di polvere, che assorbono la luce ultravioletta e visibile. Luce visibile che, grazie al Telescopio spaziale Hubble (in verde) offre una visione molto nitida delle calde strutture filamentose che permeano questa nebulosa.

Infine l’immagine ultravioletta in colore azzurro del XMM-Newton e l’immagine a raggi X in color violaceo del Chandra X-ray Observatory, mostrano l’effetto di una nube di elettroni ad alta energia diffusa dalla rapida rotazione della stella di neutroni al centro della nebulosa.

Le nuove osservazioni di VLA, Hubble e Chandra sono state fatte quasi contemporaneamente nel novembre del 2012. Un team di scienziati guidati da Gloria Dubner dell’Istituto di Astronomia e Fisica (IAFE), il Consiglio Nazionale di Ricerca Scientifica (CONICET) e l’Università di Buenos Aires in Argentina, hanno poi fatto un’analisi dei nuovi dettagli ottenuti per approfondire le conoscenze della complessa fisica dell’oggetto. I risultati saranno pubblicati nel Journal Astrophysical.

In conclusione, dalle parole di Gloria Dubner: «Confrontando queste nuove immagini, fatte a diverse lunghezze d’onda, possiamo ottenere una ricchezza incredibile di nuovi dettagli sulla Nebulosa Granchio, che nonostante sia stata studiata a fondo per molti anni, ha ancora molto da insegnarci».

Per saperne di più

Coelum Astronomia 208: Esplosive Supernovae!  Numero dedicato alla ricerca professionale e amatoriale di e sulle Supernovae. Cosa sono, quante ne sono esplose o ne potranno esplodere nei nostri dintorni, la fisica e i racconti dei protagonisti. In formato digitale e gratuito.

L’astronomia ebraica medievale nel Sefer Youhasin Per uno storico dell’astronomia il 1054 è l’anno della supernova nel Toro. Può l’autore del Sefer aver visto l’apparizione di questo nuovo astro ed averlo interpretato come un eccezionale segno divino, tanto da averlo indotto ad accelerare il lavoro?

Anno 1054: la supernova che divise la cristianità Una rivisitazione della datazione della comparsa della supernova per avanzare un’ipotesi sulle ragioni della mancanza di registrazioni dell’evento da parte degli osservatori europei.


Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!

 

#Cassini. Nuvoloni estivi su Titano

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Qui sopra due versioni della stessa immagine delle nubi estive di Titano, la prima (da sinistra fig. A) con maggior contrasto per sottolineare le formazioni visibili, e la seconda con  un’elaborazione più morbida e realistica. L’immagine è stata scattata il 7 maggio 2017, a una distanza di 508.000 chilometri. La vista è una proiezione ortografica centrata su 57°N di latitudine, 48°O di longitudine. La risoluzione è di circa 3 chilometri per pixel. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

L’estate si avvicina nell’emisfero settentrionale di Titano, la luna di Saturno che ha aiutato Cassini a inserirsi nelle ultime orbite del suo Grand Finale.
Pur non essendo più target principale di quest’ultima fase della missione, la sonda continua però a tenerla d’occhio da lontano, monitorando i cambiamenti della sua atmosfera… Queste immagini sono state ottenute mentre la sonda viaggiava nella sua orbita, in tuffo tra anelli e atmosfera del pianeta, il giorno dopo l’attraversamento del piano degli anelli del 6 maggio, quando si trovava a circa 500 mila chilometri dalla superficie della luna.

Le regioni oscure sono i ben noti laghi e mari di idrocarburi di Titano, ma saltano subito all’occhio le luminose nuvole di metano della sua alta atmosfera.

Con queste immagini, infatti, Cassini ci anticipa l’aumento dell’attività delle nuvole estive che appaiono alle alte latitudini settentrionali. Un’attività però particolarmente intensa, a solo un paio di settimane di distanza dal solstizio estivo, che si mostra come un’intrigante esplosione di formazioni nuvolose.

Si tratta infatti di alcune tra le più luminose ed estese nubi mai osservate da Cassini, da quando sono riapparse a inizio del 2016.

L’immagine è stata ripresa il 7 maggio, da una distanza dalla luna di 500 mila chilometri. Si tratta di una proiezione ortografica centrata a 37,5°N di latitudine e 45°O di longitudine. La visione orotografica è quanto di più vicino a ciò che potrebbe vedere un osservatore lontano. L’immagine ha una risoluzione di circa 3 km/px. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Nell’immagine a destra un altro scatto alle nubi di Titano, dove sono visibili le tre formazioni principali: la formazione più a sud si trova tra i 30° e i 38° di latitudine nord, una zona in cui non erano mai state osservate nubi fin’ora. Una più sottile e evanescente formazione si trova in una zona in cui invece le nubi sono state osservate abbastanza regolarmente nel corso dell’ultimo anno, tra i 44° e i 50° di latitudine nord. E per finire una nuova terza e più robusta formazione è visibile tra i 52° e i 59° gradi.

Si possono poi notare alcune strisce sottili di nubi isolate, sia al di sopra delle tre formazioni principali (vicino al bordo meridionale del terreno polare nord, a circa Lat. 63°N ) che al di sotto (a soli 23°N).

Subito sotto al centro, appena sopra le oscure dunelands equatoriali, si fa notare invece una più piccola formazione scura,  una sorta di macchia scura che sfuma verso nordest: è chiamata Omacatl Macula, ed è probabilmente una regione di polvere scura organizzata in parte in dune (cliccare qui per una mappa in pdf con la nomenclatura delle formazioni di Titano).

Cassini continua il suo viaggio alla scoperta della zona interna tra gli anelli e l’atmosfera del pianeta, ma non senza guardarsi attorno, raccogliendo più dati possibili per questo suo finale di missione.
Il prossimo “tuffo” inizia, dal punto più lontano dell’orbita da Saturno, il 12 maggio, e il passaggio ravvicinato tra anelli e pianeta è previsto per le 18:42 (ora italiana) del 15 maggio.

Per saperne di più

Ulteriori informazioni sul “Grand Finale”, tra cui immagini e video, sono disponibili all’indirizzo: https://saturn.jpl.nasa.gov/grandfinale

Tutte le date e gli orari delle prossime orbite

Tutti gli articoli su Coelum Astronomia dedicati al “Grand Finale” e le straordinarie immagini


 

Congiunzione Luna – Saturno

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Ecco come apparirà, la congiunzione tra Luna e Saturno nella notte tra il 13 e il 14 maggio. Per esigenze grafiche la Luna non è in scala ma è stata ingrandita.

Il 14 maggio, alle 0:00, troveremo Saturno (mag. +0,2) e la Luna all’inizio della fase calante (fase 92%) in un abbraccio ravvicinato tra le stelle del Sagittario, a un’altezza di circa 10° sull’orizzonte sudest.

I due astri saranno a una distanza reciproca di circa 2° e mezzo, con il pianeta posto a sudest della Luna.

A est della Luna sarà osservabile, attraverso almeno un binocolo 10×50, l’ammasso stellare aperto M 23, con un diametro apparente poco minore di quello della Luna, a patto di osservare sotto un cielo molto limpido e trasparente.

Si potrà tentare una ripresa a grande campo, tenendo però presente che la grande differenza di luminosità tra la Luna, Saturno e M 23, renderà l’impresa assai ardua.


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Le nuove frontiere della NASA

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La NASA rinnova il proprio interesse verso l’esplorazione dei pianeti del Sistema Solare e dei suoi corpi minori. L’agenzia americana sta vagliando dodici proposte, presentate sotto il programma New Frontiers, che verranno sottoposte a valutazioni scientifiche e tecnologiche nei prossimi sette mesi. La migliore, verrà sviluppata in circa due anni per poi partire intorno al 2025.

Una delle proposte riguarda la missione Venus In-Situ Explorer, con il compito di analizzare la composizione e le proprietà della superficie di Venere. L’explorer acquisirà e studierà un campione della superficie, misurandone gli elementi e la mineralogia dei materiali.

Gli obiettivi della selezione fanno riferimento a sei aree dell’esplorazione Sistema Solare: la prima riguarda missioni in grado di riportare sulla Terra campioni provenienti da una cometa, la seconda per la raccolta di materiale dal Polo Sud della Luna, la terza per l’esplorazione delle lune Titano ed Encelado (#oceanworld), la quarta  dedicata a Saturno, la quinta a Venere, la sesta destinata allo studio degli asteroidi troiani e alla raccolta di campioni in situ.

«Il programma New Frontiers vuole dare una risposta ai grandi quesiti che interessano il nostro Sistema solare – ha commentato Thomas Zurbuchen, della direzione scientifica NASA di Washington – e non vediamo l’ora di andare avanti con queste missioni».

L’esito delle selezioni relative alla fase iniziale di studio, verrà annunciata alla fine di novembre e il concept prescelto potrà andare avanti nel processo di valutazione.

Si tratta della quarta missione scelta nell’ambito di New Frontiers, le precedenti sono state New Horizons per Plutone, Juno per Giove e OSIRIS-REx, che è partita lo scorso 9 settembre alla volta dell’asteroide Bennu con l’obiettivo di riportare sulla Terra un campione di materiale nel 2023.


 

Astronomiamo

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LocandinaCoelum
04/05: “incontri di astronomia” con l’astrofisico Luigi Mancini
11/05: Corso di astrofotografia online
18/05: LIFT-OFF – le missioni planetarie sui pianeti interni
25/05: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
Dettagli: www.astronomiamo.it

Curiosity tra le dune nere di Bagnold

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This 360-degree scene from the Mastcam on NASA's Curiosity Mars rover includes part of a linear-shaped dune the rover examined in early 2017 for comparison with what it found previously at crescent-shaped dunes. The view shows the dark, rippled surface of the active dune, near sedimentary bedrock. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Una scena a 360°  della “Ogunquit Beach” ripresa dalla Mastcam a bordo di Curiosity il 24/25 marzo 2017. L’immagine include parte delle dune lineari che il rover della NASA ha esaminato a inizio 2017, per confrontarle con le dune a forma di mezza luna che aveva incontrato precedentemente.  Il paesaggio mostra la scura e ondulata superficie delle dune attive, da cui affiora la base di roccia sedimentata su cui si muove il rover. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Nuovo bilancio per Curiosity. Dall’inizio di febbraio agli inizi di aprile, il rover NASA ha preso in esame quattro aree vicine a una duna lineare e ora i dati raccolti verranno confrontati con il lavoro svolto in precedenza – tra fine 2015 e inizio 2016 – durante le osservazioni di alcune formazioni sabbiose a forma di mezzaluna.

Le due fasi della campagna di osservazione di Curiosity rappresentano il primo studio ravvicinato di dune attive su un pianeta alieno e hanno come obiettivo riuscire a comprendere le diverse azioni modellanti esercitate dal vento sulle formazioni sabbiose.

La vista dalla Mast Camera (Mastcam) mostra dune di due dimensioni diverse, oltre ad altre formazioni, nel campo di dune Bagnold, ai piedi del Monte Sharp, studiate in marzo e aprile di quest’anno. Possiamo vedere le lunghe creste delle dune di sabbia nera (lunghe pochi metri) che non hanno un equivalente nelle dune terrestri. Sovrapposte a queste si vedono infatti delle più piccole increspature parallele, a gruppi di una decina ciascuno (all’incirca). L’immagine è un particolare della ripresa a 360° gradi in apertura. I colori, e il punto di bianco, sono stati bilanciati per vederli come se fossimo in condizioni di luce diurna terrestre. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Le dune lineari si trovano in salita e a sud delle dune a mezzaluna, a una distanza di circa 1,6 chilometri.

Entrambe le aree di studio fanno parte della zona Bagnold Dune, che si estende lungo il fianco nordovest del Monte Sharp.

«C’è una differenza fondamentale tra la prima e la seconda fase della nostra campagna di osservazione, oltre alla diversa forma delle dune» spiega un membro del team di scienziati. «Le dune a mezzaluna sono state osservate durante la stagione in cui i venti sono più deboli mentre le dune lineari nel periodo dell’anno più ventoso. Abbiamo avuto modo di vedere come vengono smistati i granelli e osservare le increspature sulle dune di sabbia attive».

Per analizzare la forza e la direzione del vento, il team utilizza coppie di immagini catturate in tempi diversi dal rover per verificare il movimento dei granelli di sabbia.

Il panorama a 360° navigabile, basta far partire il video e muovere il cursore dentro di esso per trovarsi “dentro” al paesaggio visto con gli occhi robotici di Curiosity.

Durante il suo cammino Curiosity ha prelevato un campione di sabbia da una duna lineare che sarà analizzato internamente dallo strumento Sample Analysis at Mars (SAM). Mentre il rover è impegnato nella sua salita, il team di scienziati sta lavorando per risolvere il malfunzionamento del trapano usato per trivellare e campionare le rocce del pianeta rosso.

Curiosity, lanciato con la sonda Mars Science Laboratory il 26 novembre 2011, è giunto a destinazione – il Gale Crater di Marte – il 6 agosto 2012. Nel 2014, dopo aver studiato gli affioramenti rocciosi vicini alla zona del landing, ha raggiunto la base del Monte Sharp.


 

Accademia delle Stelle

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Maggio 2017I corsi hanno il patrocinio della UAI e si tengono presso la Sala Conferenze di San Gregorio Barbarigo a Roma EUR (di fronte alla metro Laurentina) il lunedì (Archeoastronomia) e il giovedì (Corso base) dalle 21 alle 22.30.
Sono previsti sconti per i soci UAI e i lettori di Coelum (chiedere Coupon).

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.com/corsi

Circolo Culturale Astrofili Trieste: La vita degli astronauti nella Stazione Spaziale Internazionale

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Tutti gli appuntamenti verranno tenuti presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo
Sacro, 381 Prosecco-Trieste. Inizio ore 18:30.

08.05: “La vita degli astronauti nella Stazione Spaziale Internazionale” di Giovanni Chelleri.

Per informazioni e contatti: info@astrofilitrieste.it
www.astrofilitrieste.it

VISTA scruta tra i veli di polvere della Piccola Nube di Magellano

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La Piccola Nube di Magellano è una caratteristica inconfondibile del cielo australe, anche a occhio nudo. Ma i telescopi in luce visibile non possono avere una visione completa di ciò che la galassia contiene a causa delle nubi di polvere interstellare che oscurano la visione. Le potenzialità infrarosse del telescopio VISTA hanno consentito ora agli astronomi di vedere la miriade di stelle di questa galassia vicina molto più chiaramente di prima. Il risultato è questa immagine da record - l'immagine nella banda infrarossa più grande mai ottenuta della Piccola Nube di Magellano - l'intera inquadratura è riempita da milioni di stelle. Oltre alla SMC questa immagine a larghissimo campo contiene molte galassie di fondo e parecchi ammassi stellari, tra cui il brillantissimo ammasso globulare 47 Tucanae, sulla destra nella fotografia. Crediti: ESO/VISTA VMC
La Piccola Nube di Magellano è una caratteristica inconfondibile del cielo australe, anche a occhio nudo. In questa immagine da record – l’immagine nella banda infrarossa più grande mai ottenuta della Piccola Nube di Magellano –vediamo come le riprese di VISTA nell’infrarosso hanno “ripulito” l’inquadratura dalla luce diffusa delle polveri interstellari, che ora ci appare riempita da milioni di stelle. Oltre alla Piccola Nube, questa immagine a larghissimo campo contiene molte galassie di fondo e parecchi ammassi stellari, tra cui il brillantissimo ammasso globulare 47 Tucanae, sulla destra nella fotografia. Crediti: ESO/VISTA VMC

La Piccola Nube di Magellano (SMC dall’inglese Small Magellanic Cloud) è una galassia nana, di taglia più piccola della compagna, la Grande Nube di Magellano (LMC da Large Magellanic Cloud. Sono, tra le galassie vicine alla nostra, due delle più prossime – la SMC si trova a circa 200 000 anni luce, un dodicesimo della distanza della più famosa Galassia di Andromeda. Hanno anche una forma peculiare, a seguito dell’interazione reciproca e con la Via Lattea.

Nella cartina la debole costellazione del Tucano, che ospita la piccola vicina della nostra Galassia chiamata Piccola Nube di Magellano (indicata con un contorno verde): sono indicate le stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena. La galassia senza telescopio appare come una debole macchia luminosa che assomiglia a una piccola nuvola. Sono segnati anche due ammassi globulari: NGC 104 (noto anche come 47 Tucanae) e NGC 362, non legati alla nebolusa e molto più vicini alla Terra. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

La relativa vicinanza alla Terra le rende candidati ideali per lo studio della formazione ed evoluzione delle stelle, tuttavia, mentre la distribuzione e la storia della formazione stellare in queste galassie nane sono notoriamente complesse, uno degli ostacoli maggiori per ottenere osservazioni chiare della formazione stellare nelle galassie è la polvere interstellare. Enormi nubi composte da questi minuscoli granelli diffondono e assorbono parte della radiazione emessa dalle stelle – specialmente la luce visibile – limitando quello che si può vedere da terra con i telescopi. Questo processo è noto come estinzione dovuta alla polvere.

La SMC è piena di polvere e la luce visibile emessa dalle sue stelle soffre di notevole estinzione. Fortunamente, non tutta la radiazione elettromagnetica viene influenzata dalla polvere nello stesso modo. La radiazione infrarossa attraversa la polvere interstellare più facilmente della luce visibile, perciò guardando la luce infrarossa di una galassia possiamo studiare le nuove stelle che si formano all’interno delle nubi di polvere e gas.

VISTA, il telescopio per survey in luce visibile e infrarossa, è stato progettato in particolare per la radiazone infrarossa. La Survey di VISTA delle Nubi di Magellano (VMC da VISTA Survey of the Magellanic Clouds) intende produrre una mappa della storia di formazione stellare delle due Nubi e mappare la loro struttura tridimensionale. Milioni di stelle di SMC sono già state fotografate nella banda infrarossa, grazie alla survey, dandoci una veduta senza confronti, quasi inalterata per l’influenza della polvere.

Questa raccolta mette in evidenza alcune zone di cielo dell’enorme immagine infrarossa della nostra vicina di casa, la Piccola Nube di Magellano, ottenuta con il telescopio VISTA all’Osservatorio del Paranal dell’ESO. Il pannello più in basso ritrae l’ammasso globulare 47 Tucanae, che si trova molto più vicino alla Terra della Piccola Nube di Magellano. Crediti: ESO/VISTA VMC

L’inquadratura di questa enorme immagine è piena di stelle appartenenti alla Piccola Nube di Magellano. Contiene anche migliaia di galassie di sfondo e molti ammassi stellari brillanti, tra cui 47 Tucanae, sulla destra dell’immagine, molto più vicina alla Terra di SMC. L’immagine può essere ingrandita: vi mostrerà la Piccola Nube come non l’avete mai vista!

La quantità di nuove informazioni contenute in questa immagine da 1,6 gigapixel (43 223 x 38 236 pixels) è stata analizzata da un gruppo internazionale di astronomi, sotto la guida di Stefano Rubele dell’Università di Padova, utilizzando modelli stellari d’avanguardia per produrre risultati sorprendenti.

La survey VMC ha svelato che la maggior parte delle stelle all’interno di SMC si sono formate molto più recentemente di quelle delle più grandi galassie vicine. Questo primo risultato della survey è appena un assaggio delle scoperte che verranno, a mano a mano che la survey continuerà a riempire i vuoti della nostra mappa delle Nubi di Magellano.

Note

Versione ingrandibile dell’immagine

Articolo scientifico

Fotografie di VISTA


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Cassini, ecco il tuffo in timelapse

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Saturno ripreso dalla sonda Cassini il 29 aprile, dopo il primo tuffo del suo Grand Finale, e elaborato a colori da Kevin M. Gill, sommando le immagini raw, grezze, riprese nei filtri far-red/near-infrared (CB2, MT2). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI/Kevin M. Gill

Una sequenza di immagini mozzafiato, raccolte dalla sonda Cassini della Nasa, ci mostra ciò che ha visto la sonda spaziale durante il suo primo storico tuffo tra Saturno e i suoi anelli, avvenuto lo scorso 26 aprile. Il video raccoglie un’ora di osservazioni, a partire dal vortice al centro della struttura esagonale che si trova al polo nord, per arrivare oltre i bordi di questa intrigante formazione vorticosa.

«Sono rimasto colpito nel vedere dei bordi così netti lungo il bordo esterno dell’esagono e del vortice», racconta Kunio Sayanagi, membro del team di imaging di Cassini presso la Hampton University, che ha contribuito alla realizzazione del video. «Ci dev’essere qualcosa che impedisce alle diverse latitudini di mischiarsi, per avere dei bordi tanto precisi».

Verso la fine del video il punto di osservazione della camera ruota, questo perché la sonda cambia orientamento per puntare la sua antenna verso la direzione in cui si sta muovendo. L’antenna infatti viene utilizzata come uno scudo protettivo durante l’attraversamento del piano degli anelli.

Durante la raccolta delle immagini la sonda Cassini è scesa da una quota di circa 72.000 km a una distanza inferiore ai 7.000 km dalle nubi di Saturno. Questo si traduce in una risoluzione che passa da circa 8.7 km per pixel, nelle prime immagini, e arriva fino a 800 metri per pixel negli scatti finali.

«Le immagini raccolte durante il primo passaggio sono meravigliose, ma c’è da considerare che siamo stati prudenti con le impostazioni della camera», spiega Andrew Ingersoll, membro del team di imaging presso il Caltech. «Abbiamo in programma di utilizzare un approccio differente per il 28 giugno, quando si presenterà un’occasione simile. Riteniamo di poter ottenere immagini ancora migliori».

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Un balletto tra Luna e Giove tra le stelle della Vergine

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L’immagine mostra l’evoluzione della congiunzione nei giorni 6, 7 e 8 maggio. In particolare, il cielo è incentrato alle ore 22:30 del 7 maggio, quando Giove (mag. –2,4) e Luna (fase 92%) si incontreranno a stretta distanza (appena un grado e mezzo), a circa 44° sull’orizzonte sud. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi, assisteremo al progressivo avvicinamento e allontanamento della Luna al re dei pianeti del Sistema Solare: il 6 maggio, la Luna, sempre alle 23:30, si troverà a circa 8° e mezzo a est di Porrima, mentre l’8 maggio sarà a circa 6° a nordovest di Spica.
L’immagine mostra l’evoluzione della congiunzione nei giorni 6, 7 e 8 maggio. In particolare, il cielo è incentrato alle ore 22:30 del 7 maggio, quando Giove (mag. –2,4) e Luna (fase 92%) si incontreranno a stretta distanza (appena un grado e mezzo), a circa 44° sull’orizzonte sud. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi, assisteremo al progressivo avvicinamento e allontanamento della Luna al re dei pianeti del Sistema Solare: il 6 maggio, la Luna, sempre alle 23:30, si troverà a circa 8° e mezzo a est di Porrima, mentre l’8 maggio sarà a circa 6° a nordovest di Spica. Crediti immagine: Coelum Astronomia CC-BY

Nei giorni tra il 6 e l’8 maggio, alle ore 22:30, potremo assistere a una bella evoluzione di una congiunzione tra la Luna, quasi piena (fase dall’85% al 96%) e il pianeta Giove, brillante e facilmente riconoscibile anche nel chiarore lunare (mag. –2,4).

I due astri si incontreranno tra le stelle della costellazione della Vergine, dando vita a una bella configurazione che coinvolge anche le stelle Spica (alfa Virginis; mag. +0,95) e Porrima (gamma Virginis; mag. +2,7), anche se risulteranno difficili da scorgere, immerse nella luce del nostro satellite naturale.

Il tutto avverrà in un arco temporale di tre giorni, nello spazio di circa 19°, a un’altezza di 40° sull’orizzonte sud.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio


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Il cratere Copernicus. Una guida all’osservazione della Luna di maggio

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Ripresa del cratere Copernicus di Francesco Badalotti. Maksutov Cassegrain in configurazione Rumak diametro 255mm F20 (Tubo ottico con 7 diaframmi interni, Ottica Zen) a fuoco diretto e senza filtri + camera Imaging Source DBK41AU02.AS raw colori con risoluzione di 1280 x 960.
Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

La prima proposta di questo mese viene dedicata all’osservazione di alcune fra le zone di massima Librazione previste lungo il bordo orientale della Luna. A tale proposito si segnala il giorno 3 maggio il mare Marginis con la Luna a +53,3° in fase di 7,3 giorni (individuabile alla latitudine di Crisium). Il giorno 4 maggio il mare Smythii con la Luna a +53,4° in fase di 8,3 giorni (individuabile alla latitudine di Fecounditatis). Infine la sera dell’8 maggio, con la Luna di 12,3 giorni a +29°, il punto di massima librazione si troverà in prossimità della porzione centrale del mare Australe, vasta regione scura sul bordo sudest individuabile tracciando il prolungamento da Fecounditatis in direzione sud.

Come seconda proposta consigliamo per la serata del 5 maggio a partire dalle ore 21,30 circa l’osservazione di Copernicus, eccezionale struttura crateriforme di 95 km di diametro contornata da un imponente sistema di pareti terrazzate alte 3800 metri da cui si diparte una notevole raggiera estesa radialmente in ogni direzione anche per parecchie centinaia di chilometri. Volendo intraprendere un approfondito e dettagliato studio di Copernicus, l’osservazione dovrebbe essere estesa a tutte le fasi lunari in cui la linea del terminatore venga a coincidere con questa eccezionale struttura.

Leggi la Guida all’Osservazione del cratere Copernicus

Come terza e ultima proposta per il mese in corso consigliamo per la sera del 9 maggio dalle ore 21:30 in avanti, con la Luna in fase di 13,3 giorni (la sera prima del plenilunio) ad un’altezza iniziale di 20,3° l’osservazione dell’Oceanus Procellarum, un’enorme regione relativamente pianeggiante di circa 4 milioni di chilometri quadrati situata nel settore ovest-nordovest del nostro satellite e dalla forma indefinita, estesa dalle estreme regioni nordoccidentali (dai crateri  Pythagoras e Babbage) fino in prossimità dei mari Humorum e Nubium, facilmente individuabile a causa della scura colorazione in cui le zone a più elevata albedo di Aristarchus Plateau, Kepler e i monti Riphaeus si distinguono come isole sparse nella vastissima distesa scura delle rocce basaltiche di Procellarum. Anche in questo caso la Luna si renderà osservabile per tutta la serata e la notte successiva.

Continua a leggere la Luna di Maggio su Coelum Astronomia 211, in versione digitale e gratuita, da pagina 122.

  • La Luna di Maggio
  • Questo mese osserviamo…
  • 27 maggio: Osserviamo la Falce di Luna
  • Guida all’Osservazione: Il cratere Copernicus
  • Riferimenti storici
  • I dintorni di Copernicus
  • In conclusione

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio

Leggi anche La Luna mi va a pennello.
S
e la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!


Tutti consigli per l’osservazione del cielo di maggio su Coelum Astronomia 211

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

“A day with Damian Peach”

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A day with Damian Peach

A day with Damian Peach
Workshop di ripresa planetaria in alta risoluzione.
Sabato 24 giugno 2017 – dalle ore 10 alle ore 17
Aemilia Hotel – via Zaccherini Alvisi, 16 – 40138 Bologna (BO)

Per la prima volta in Italia, Damian Peach incontrerà fans, astrofili e appassionati di astrofotografia per condividere le tecniche di acquisizione e post-produzione che lo hanno portato a creare immagini astronomiche straordinarie apprezzate a livello mondiale. Il workshop, organizzato da Pierluigi Giacobazzi, verrà ospitato nella “Sala Marconi” del prestigioso Aemilia Hotel di Bologna. Punto strategico della bellissima città emiliana, a due passi dalla stazione ferroviaria, dotato di ampio parcheggio interno e facilmente raggiungibile dall’aeroporto internazionale “Guglielmo Marconi”. L’appuntamento prevede una prima sessione mattutina in cui Damian illustrerà le modalità con cui acquisisce le immagini spaziali, a cui seguirà una sessione pomeridiana incentrata sulle tecniche di editing in alta risoluzione. Per agevolare l’ospite internazionale e tutti i partecipanti, è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano.

Costo e modalità di iscrizione
Il costo complessivo del workshop è di 195,00 euro. E’ previsto uno sconto del 10% per chi si iscrive entro il 24 maggio 2017 e ai partecipanti di workshop o corsi precedenti, svolti da Pierluigi Giacobazzi. Le modalità di pagamento sono il bonifico bancario e PayPal.
Link di iscrizione: http://www.pierluigigiacobazzi.com/a_day_with_damian_peach/
Per informazioni: www.pierluigigiacobazzi.com – info@pierluigigiacobazzi.com

Al chiaro di Luna – Gruppo Astrofili Palidoro

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palidoro

palidoroIl 6 maggio 2017 l’Astronomia arriva a Casalotti.

Una serata dedicata a Luna e Giove organizzata dal Gruppo Astrofili Palidoro. A introdurre l’evento una conferenza sul fascino di questi oggetti del cielo tenuta dall’astrofilo Giuseppe Conzo e a seguire saranno aperti i telescopi installati per l’occasione.

Inizio ore 20.00 presso l’Istituto Comprensivo Via Casalotti 85 in Roma.

Per tutte le info a riguardo è possibile collegarsi all’evento facebook

info@astrofilipalidoro.it – www.astrofilipalidoro.it

Astroiniziative UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il
Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi.
www.uai.it

5-7 maggio – 50° Congresso Nazionale UAI a Frosinone
Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale. Organizzazione a cura della Associazione Astronomica Frusinate e Osservatorio Astronomico di Campo Catino.
Qui puoi trovare il Programma del Congresso
Qui puoi trovare altre informazioni e il form di registrazione
Qui puoi trovare le informazioni su logistica e soggiorno a Frosinone

http://www.uai.it/astrofilia/congressouai.html

Un’enorme onda nell’ammasso di Perseo

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Nell’animazione, in dissolvenza, due diverse viste del gas caldo dell’ammasso di galassie di Perseo. La prima è la miglior immagine di Chandra dei gas nella regione centrale dell’ammasso, il rosso, il verde e il blu indicano  raggi gamma dalle energie più basse a quelle più alte. L’immagine più ampia include anche i dati ottenuti da riprese a largo campo. L’immagine è poi stata elaborata e migliorata per mettere in risalto i dettagli più sottili delle strutture di gas. L’onda si vede in basso a sinistra (vedi immagine in basso per la localizzazione corretta). Credits: NASA/CXC/SAO/E.Bulbul, et al. and NASA’s Goddard Space Flight Center/Stephen Walker et al.

Combinando i dati ottenuti dall’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA con osservazioni radio e simulazioni al computer, un team internazionale ha scoperto un’enorme ondata di gas caldo nel vicino ammasso di galassie di Perseo. Dalle dimensioni di circa 200.000 anni luce, l’onda ha un’estensione di praticamente il doppio della nostra galassia, la Via Lattea.

Secondo i ricercatori, l’onda si è formata miliardi di anni fa, dopo che un piccolo ammasso di galassie ha “pascolato” ai bordi del Perseo causando un’immissione di gas che ha rimescolato un enorme volume di spazio.

«Quello del Perseo è uno degli ammassi vicini più massicci, ed è anche quello più luminoso nei raggi X, perciò grazie ai dati di  Chandra possiamo avere dettagli senza pari», spiega Stephen Walker, del Goddard Space Flight Center  della NASA (Greenbelt, Maryland). «L’onda che abbiamo identificato è da associare al passaggio ravvicinato di un ammasso più piccolo, e mostra che l’attività di fusione che ha prodotto queste gigantesche strutture è ancora in corso».

Lo studio è stato pubblicato nel numero di giugno 2017 della rivista Monthly Notices della Royal Astronomical Society ed è disponibile online.

Gli ammassi di galassie sono le strutture legate dalla gravità più grandi che conosciamo nell’universo di oggi. Largo 11 milioni di anni luce e a circa 240 milioni di anni luce da noi, l’ammasso del Perseo prende nome dalla costellazione in cui, prospetticamente, si trova. Come tutti gli ammassi di galassie, la maggior parte della sua materia osservabile assume la forma di un gas diffuso dalla temperatura, in media, di decine di milioni di gradi… così caldo che brilla solo nei raggi X.

I dati di Chandra, elaborati e migliorati, hanno prodotto l’immagine che vedete sopra, in cui filtri di luminosità e contrasto hanno messo in evidenza sottili dettagli meno visibili. Hanno così individuato (indicata dall’ovale bianco) un’enorme onda che rotola nel gas. Credits: NASA’s Goddard Space Flight Center/Stephen Walker et al.

Le osservazioni di Chandra hanno rivelato una grande varietà di strutture, dalle enormi bolle “soffiate” dal buco nero supermassico che si trova nel nucleo della galassia centrale, NGC 1275, a una enigmatica struttura concava chiamata “baia”.

È risultato subito evidente che la baia non poteva essersi formata con le classiche bolle originate dall’attività del buco nero. Al contrario di ciò che ci si aspetterebbe infatti, osservazioni radio dal Karl G. Jansky Very Large Array (New Mexico)  hanno mostrato che questa formazione non produce emissione. Inoltre, i modelli standard di dinamica dei fluidi producono strutture che, se mai, si curvano nella direzione opposta.

Grazie invece alle Osservazioni Chandra, Walker e colleghi hanno potuto indagare più a fondo, potendo contare su un totale di 10,4 giorni di dati ad alta risoluzione e 5,8 giorni di osservazioni a largo campo a energie tra 700 e 7.000 elettronvolt (per confronto, la luce visibile ha energie tra circa i due e i tre elettronvolt). Dopo aver combinato le osservazioni, i ricercatori hanno poi filtrato l’immagine ottenuta per evidenziare i bordi delle strutture e rivelare i dettagli più sottili.

Successivamente, hanno confrontato l’immagine dell’ammasso così elaborata con le simulazioni al computer di fusione di ammassi di galassie, sviluppate da John ZuHone, astrofisico presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (Cambridge, Massachusetts).

«Le fusioni di ammassi di galassie rappresentano l’ultima fase nella formazione delle strutture del cosmo», spiega  ZuHone. «Le simulazioni idrodinamiche di queste fusioni ci permettono di riprodurre le caratteristiche del gas caldo e regolare diversi parametri fisici, tra i quali il campo magnetico. Possiamo quindi poi confrontare le caratteristiche ottenute con quello che effettivamente osserviamo nei raggi X».

Una simulazione in particolare sembrava spiegare la formazione della baia. Nella simulazione il gas di un grosso ammasso simile a Perseo, si è assestato in due componenti: una regione centrale “fredda”, con temperature intorno ai 54 milioni di gradi Fahrenheit (30 milioni di Celsius), e una zona circostante dove il gas era tre volte più caldo. Poi è stato fatto passare, a circa 650 mila anni luce dal centro dell’ammasso, un secondo piccolo ammasso di galassie, contenente circa mille volte la massa della Via Lattea.

Onde Kelvin-Helmholtz nell’atmosfera di Saturno, riprese dalla sonda Cassini.

Il passaggio ravvicinato ha così creato un disturbo gravitazionale che ha fatto mescolare il gas come la crema mescolata in un caffè, creando una spirale in espansione di gas freddo. Dopo circa 2,5 miliardi di anni, quando il gas è arrivato a circa 500 mila anni luce dal centro, si sono effettivamente formate delle grandi onde che hanno “rotolato” alla periferia dell’ammasso per centinaia di milioni di anni prima di dissiparsi.

Le onde individuate sono versioni giganti delle cosidette onde Kelvin-Helmholtz, che si presentano ovunque ci sia una differenza di velocità nell’interazione tra due fluidi, come il vento che soffia sull’acqua. Possono essere viste nell’oceano, nelle formazioni nuvolose sulla Terra o in altri pianeti, nel plasma vicino alla Terra e anche nel Sole.

«La caratteristica forma a baia che vediamo in Perseo, è parte di un’onda Kelvin-Helmholtz, forse la più grande identificata, che si è formata in modo simile a quanto dimostra la simulazione», spiega Walker. «Abbiamo identificato caratteristiche simili anche in altri due ammassi di galassie, Centaurus e Abell 1795».

Lo studio mostra anche che le dimensioni delle onde corrispondono all’intensità del campo magnetico dell’ammasso. Se è troppo debole, le onde raggiungono dimensioni molto più grandi di quelle osservate, se troppo intenso non si formano proprio. Si tratta quindi anche di un modo per determinare il campo magnetico medio dell’intero volume dell’ammasso, una misura altrimenti impossibile con qualsiasi altro mezzo.

Qui di seguito, in un video, l’intera simulazione che  mostra come i gas più freddi, al passaggio di un più piccolo ammasso di galassie nelle periferie, formano un’enorme spirale che da vita a gigantesche onde che resistono poi per centinaia di milioni di anni. Un evento del genere sembra possa accadere, a un ammasso come il Perseo, ogni tre o quattro milioni di anni.


Dalle profondità dello Spazio… i Raggi Cosmici!
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