04/04/2017 ore 21.30: Incontri di astronomia con il Dott. Matteo Serra Fisico e Comunicatore della Scienza 06/04/2017: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 13/04/2017: Corso di astrofotografia online 27/04/2017: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
3/04/2017: Percorsi nell’astronomia. Conferenza conclusiva del corso avanzato di astronomia. Info per partecipare: https://www.accademiadellestelle.org/corso-teorico-di-astronomia-generale/ 7/04/2017, ore 18: La vita nell’universo. Conferenza pubblica gratuita del dr. Paolo Colona presso la sala conferenze della Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Info: eventi@accademiadellestelle.org 21/04/2017, ore 21: Occhi su Giove. Serata pubblica gratuita di osservazioni del cielo con i telescopi. Special Guest: il pianeta Giove! Con guida al cielo per riconoscere stelle e costellazioni. 22/04/2017: Spazio Italia. Secondo convegno scientifico dedicato all’astronomia e al ruolo italiano nello spazio. Interverranno con conferenze e collegamenti in video conferenza importanti esponenti della ricerca e dell’astronomia, e studiosi della storia dell’astronautica. Durante l’evento si svolgeranno anche osservazioni del Sole al telescopio. 26/04/2017: Radioastronomia non si vede ma c’è. Conferenza pubblica gratuita della dr.ssa Daria Guidetti radioastronoma dell’INAF di Bologna. 27/04/2017, ore 21: Noi e il Cielo. Conferenza inaugurale gratuita del corso di Archeoastronomia ed astronomia culturale sul rapporto tra l’uomo e il cielo.
Iniziamo con la prima proposta a partire dalle ore 21:00 circa del 2 aprile, quando il nostro satellite, in fase di 5,6 giorni e dopo la culminazione in meridiano avvenuta alle ore 18:30 a +63°, si troverà nel cielo sud occidentale a un’altezza di +49,3° fra le costellazioni di Orione e dei Gemelli a nostra disposizione per gran parte della serata, tramontando dopo l’una della notte successiva. Oggetto delle nostre prime osservazioni sarà il bordo orientale del mare Serenitatis dominato dal grande cratere Posidonious (diametro 100 km) oltre a numerose altre strutture, dal cratere ad anfiteatro Le Monnier (diametro 63 km) ai monti Taurus ed Argaeus fino al cratere Plinius (diametro 44 km) col vicino promontorio di Cape Acherusia, questi ultimi situati in prossimità del confine col mare Tranquillitatis. Inoltre da Posidonius ci sposteremo in direzione nord fino al Lacus Somniorum.
La seconda proposta, che sarà anche quella che approfondiremo nella Guida Osservativa di questo mese, viene suddivisa in due serate consecutive: il 5 e 6 aprile. La Luna splenderà alta in cielo nella costellazione del Cancro per tutta la serata e gran parte della notte quando andremo a osservare, nel vasto altipiano meridionale, la grande struttura crateriforme del cratere Clavius (diametro 230 km) e l’area immediatamente circostante.
In chiusura di questo mese, col nostro satellite in fase di 4,30 giorni a un’altezza iniziale di 38,3° nelcielo occidentale, la sera del 30 apriledalle ore 21:00 consigliamo l’osservazione di una regione lunare che proprio quella sera verrà a trovarsi in librazione favorevole, fenomeno dovuto al non perfetto sincronismo dei moti di rotazione e rivoluzione del nostro satellite e di cui abbiamo parlato nel precedente numero. In questo caso si tratta di orientare il telescopio a circa metà fra l’inconfondibile area scura del mare Crisium e l’estremità settentrionale della falce lunare dove noterete, a breve distanza dal bordo nordorientale della Luna, la scura platea del cratere Endymion (diametro 129 km). Da qui spostandoci verso nordest ci troveremo nella zona interessata dal fenomeno della librazione favorevole che ci consentirà di individuare le strutture situate a est del mare Humboldtianum (diametro 165 km, superficie 22 000 kmq) nell’area che lo separa dal cratere Compton (diametro 162 km), quest’ultimo situato nell’emisfero non visibile dalla Terra. Ottima occasione almeno per osservazioni visuali certamente al limite ma sempre molto interessanti.
In considerazione della presenza della linea del terminatore, in prossimità della zona oggetto delle nostre osservazioni, il 5 e il 6 aprile potremo disporre delle ideali condizioni osservative per scandagliare in dettaglio una porzione dell’altopiano meridionale del nostro satellite, vastissima regione in cui, in ere geologiche ormai lontane, la densità della craterizzazione raggiunse punte elevatissime.
Questa eccezionale struttura lunare si rivela come una sorta di inesauribile serbatoio utilissimo per la programmazione di osservazioni di tutto quanto esiste nei 230 km della sua platea oltre alle pareti che lo circondano, e si torna sempre al medesimo punto di partenza: c’è chi si “accontenta” di qualche rapida occhiata all’oculare, e chi invece (più esigente e difficile da accontentare…) si ritroverà a dover suddividere la propria “attività osservativa” programmandola anche nelle successive serate favorevoli.
L’importante sarà di non aspettarsi nulla di più di quanto possa offrire il nostro strumento, in stretta relazione con le condizioni osservative, dalla collimazione ed equilibrio termico delle ottiche, alle condizioni meteo fino al deleterio effetto della turbolenza atmosferica sempre mutevole anche a distanza di poche ore.
Certamente un rifrattore di circa 80 mm o un Newton di 110/150 mm saranno già sufficienti per interessanti e più che soddisfacenti osservazioni di buona parte dei dettagli citati in questo articolo, anche se ovviamente strumenti catadiottrici o newtoniani intorno ai 180/250 mm, se utilizzati rispettando i vari parametri osservativi, potranno fornire risultati veramente ottimi sia per osservazioni visuali che per acquisizione di immagini.
L’osservazione al telescopio di Clavius può essere programmata in tutte le serate in cui questa meravigliosa struttura viene illuminata dalla luce del Sole, partendo dalla fase di 8/9 giorni in condizioni particolarmente favorevoli di illuminazione solare seguendo la linea del terminatore mentre attraversa la platea del cratere, fino in prossimità del plenilunio quando sarà possibile valutare le varie zone di Clavius con differente albedo.
Una sottile falce di Luna crescente a passeggio nella costellazione del Toro, sarà protagonista di due congiunzioni piuttosto larghe con Aldebaran (alfa Tauri, mag. +0,9) la brillante lucida del Toro, ma non per questo meno suggestive nelle fotografie a grande campo, grazie anche alla presenza delle Iadi e delle Pleiadi.
L’occasione può essere sfruttata anche per tentare la ripresa della Luce Cinerea della Luna. Aspettiamo come sempre le vostre immagini su Photocoelum!
Stanotte (dalle 00.27 italiane del 31 marzo) SpaceX tenterà di lanciare dal Kennedy Space Center, in Florida, un satellite per telecomunicazioni, l’SES-10, a bordo di un razzo Falcon 9 il cui primo stadio ha già volato una volta nello spazio per poi rientrare a terra atterrando verticalmente. Lo stadio tenterà nuovamente un atterraggio verticale a bordo di una nave appoggio nell’Oceano Atlantico.
Se tutto andrà secondo i piani, sarà la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale che il primo stadio di un razzo orbitale vola due volte nello spazio e ritorna verticalmente. Lo scopo di questo esperimento è arrivare al riuso efficiente dei vettori spaziali, in modo da ridurre i costi di lancio, cosa che non era riuscita allo Shuttle statunitense (che recuperava i booster a propellente solido e riusava il veicolo orbitale, ma a costi proibitivi e con interventi tecnici estremamente onerosi) o alla Buran sovietica (che fece un solo volo automatico e fu poi accantonata).
Per questo primo test è stato “ricondizionato” il Falcon 9 che volò ad aprile 2016 per la missione CRS-8, la prima che si concluse con un appontaggio e la seconda a terminare con un primo stadio intero e non distrutto (il primo rientro non distruttivo di un Falcon avvenne a dicembre 2015 sulla terraferma).
Il Press Kit della missione, con i dettagli del carico e dello svolgimento, è qui. Il Hosted webcast è qui; il Technical Webcast è qui. Come consueto, il link ufficiale di SpaceX è spacex.com/webcast.
Il successo
2017/03/31 00:55. Il primo stadio del Falcon 9 è atterrato con successo sulla nave appoggio Of Course I Still Love You nell’Oceano Atlantico. Intanto il secondo stadio è entrato correttamente in orbita e sta portando a destinazione il satellite SES-10 in orbita geostazionaria.
Dopo l’atterraggio, Elon Musk è intervenuto in diretta per celebrare, visibilmente emozionato, il coronamento di un progetto che ha richiesto quindici anni di lavoro e che molti addetti ai lavori ritenevano fosse impossibile.
Il riutilizzo del primo stadio è una tappa fondamentale nella riduzione dei costi per raggiungere lo spazio. Come ha detto Musk stesso, buttar via il razzo dopo un singolo volo è assurdo: quanto costerebbe un biglietto aereo se buttassimo via il velivolo alla fine del tragitto?
La prossima sfida, ora che il principio è stato dimostrato, è ridurre i tempi e i costi di riutilizzo e dimostrare non solo la fattibilità tecnica ma anche la convenienza economica.
2017/03/31 07:15. Durante una conferenza stampa (avvenuta stanotte per il fuso orario europeo), Elon Musk ha aggiunto che è stata recuperata a titolo sperimentale anche la carenatura aerodinamica che racchiude il satellite, come anticipato da alcune indiscrezioni. Il recupero, basato su piccoli razzi di manovra e su un paracadute manovrabile, fa parte di un progetto per riutilizzare anche questo componente, il cui costo si aggira sui 6 milioni di dollari, pari al 10% circa del prezzo attuale di un lancio di un satellite con un Falcon 9.
Alla ricerca della Materia Oscura… ovvero Coelum Astronomia 210 di aprile è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
Semplicemente, clicca e leggi!
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2
ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
1-2 aprile – Italian Sidewalk Astronomy Day
Nell’ambito del “Global Astronomy Month”, la giornata nazionale italiana dedicata alla divulgazione della conoscenza del cielo a quante più persone possibile, la cosiddetta “Sidewalk Astronomy”. Inoltre, per gli astrofili già “evoluti”, proponiamo il concorso “110 e lode”, la sfida della Grande Maratona Messier! http://divulgazione.uai.it
1 aprile – 1° Meeting Profondo Cielo Un appuntamento per rilanciare anche in ambito UAI un settore di ricerca che negli ultimi anni ha avuto un notevole impulso nel mondo astrofilo: l’astronomia
extragalattica e la ricerca ed osservazione delle supernovae. Organizzato presso la biblioteca “Paolo Maffei” a Foligno (PG). Le date precise sono in fase di definizione, verranno rese note non appena disponibili. http://www.uai.it/ricerca.html
22-23 aprile – 32° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani Il Convegno dei Planetari italiani presso il Planetario Alto Adige a Cornedo all’Isarco (BZ), a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. Per informazioni http://www.planetari.org
Solo l’Auriga e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, alle 23:00 il Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote. Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà ad alzarsi la grande figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno. Lo zenit sarà invece dominato dalla grande figura dell’Orsa Maggiore.
In questo mese, da segnalare in particolare le condizioni di osservabilità di Giove, chesaranno ottimali: il gigante gassoso infatti sarà in opposizione con il Sole il 7 aprile, e quando il cielo sarà buio sarà possibile cercarlo tra le stelle della Vergine, a una ventina di gradi sull’orizzonte già dalla prima serata (Giove sorge alle 19 circa a metà mese). Nella classica tabellina delle effemeridi qui in alto trovate quindi anche tutti i fenomeni di nota che riguardano i satelliti medicei, le quattro principali lune di Giove che i più esperti (ma anche non) potranno osservare e riprendere nei loro passaggi davanti al disco del gigante gassoso. Per l’occasione su Coelum Astronomia n. 210 trovate un’ampia e dettagliata guida, per esperti ma anche solo per curiosi!
➜Leggi la guida osservativa, con consigli e curiosità, dedicata a Giove in opposizione.
E non mancate di consultare la rubrica dedicata alle comete! Questo mese la 41P/Tuttle-Giacobini-Kresak sta dando grandi soddisfazioni agli astrofili! E con un piccolo strumento potete osservarla anche voi, e chissà… forse anche a occhio nudo.
Sembra la lotta tra una sequenza di dune trasversali che avanzano e una collina che, al centro, le blocca. È la suggestiva immagine scattata dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO), sonda NASA lanciata nel 2005 e da allora infaticabile osservatrice del pianeta rosso, grazie anche al radar italiano SHARad che ha ha bordo.
La foto mostra le dune marziane ‘in marcia’ verso sud (corrispondente alla parte destra dell’immagine), e poi improvvisamente ostacolate dal rilievo che sbarra loro la strada.
Alcune dune più piccole sono perpendicolari rispetto a quelle più grandi, probabilmente a indicare un cambiamento nella direzione del vento in quest’area.
E così MRO ha realizzato un altro affascinante ritratto del suolo marziano, aggiungendo un tassello al complesso mosaico dei dati raccolti negli ultimi diciassette anni. Risultato che arriva in un’occasione molto speciale: nel momento in cui la foto è stata scattata, la sonda NASA stava cominciando il suo 50millesimo giro intorno al pianeta rosso.
Questo simbolico traguardo è stato tagliato alle 13:30 italiane di lunedì 27 marzo, quando MRO ha attraversato una volta di più il piano equatoriale di Marte, in una traiettoria orbitale discendente dal Polo Nord.
Considerata l’intera storia dell’esplorazione del nostro Sistema solare, 50mila giri intorno a un pianeta è un record importante: una prova ulteriore delle capacità ingegneristiche di questa sonda, che ancora oggi continua a fornirci materiale utile per comprendere uno dei mondi più affascinanti del nostro vicinato galattico.
A questo serviranno le prossime missioni marziane, che raccoglieranno la ricca eredità accumulata dai 50mila giri (e oltre) di MRO.
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Leggi anche
Leggi l’articolo Arte su Marte: il meraviglioso paesaggio marzianopubblicato su Coelum Astronomia 205, in cui Lori Fentonci racconta come il vento sia il principale artefice delle strutture marziane e di come lo studio di queste ci fornisca informazioni necessarie a comprendere i meccanismi che agiscono nell’atmosfera marziana.
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Fino a oggi erano note come “onde planetarie”, essendo state scoperte dapprima sulla Terra e in seguito anche nell’atmosfera di altri pianeti, da Giove a Saturno. Be’, forse è giunto il momento di chiamarle solo con il loro vero nome – onde di Rossby – perché ora è stato definitivamente dimostrato che increspano anche la superficie di corpi non planetari: per l’esattezza, il plasma bollente della nostra stella, il Sole. Lo dimostra uno studio, guidato dal ricercatore del National Center for Atmospheric Research (Ncar) Scott McIntosh, pubblicato sull’ultimo numero di Nature Astronomy. Ed è una scoperta con potenziali ricadute anche per noi: così come le onde di Rossby terrestri esercitano una certa influenza sul meteo, anche le onde di Rossby osservate sul Sole potrebbero essere collegate all’attività solare, comprese la formazione di macchie solari e le eruzioni solari.
«Le cosiddette “onde di Rossby” sono un fenomeno ben noto dell’atmosfera e degli oceani terrestri, così come delle atmosfere planetarie», osserva Alessandro Bemporad, fisico solare all’Inaf di Torino al quale ci siamo rivolti per un commento sui risultati di McIntosh e colleghi. «Si tratta di onde legate alla rotazione del pianeta e alla forza di Coriolis applicata ai fluidi in rotazione. La possibilità che onde di questo tipo possano esistere anche all’interno e sulla superficie del Sole – anch’esso un fluido in rotazione – e che possano svolgere un ruolo nel funzionamento della dinamo solare è stata proposta molto tempo fa (per esempio, in Gilman 1969a e Gilman 1969b). Diversi autori hanno poi pubblicato prove non del tutto conclusive dell’esistenza di queste onde sul Sole (per esempio, Kuhn et al. 2000 e Zaqarashvili et al. 2015)».
«Tuttavia, quello che mancava», continua Bemporad, «era la possibilità di studiare queste onde avendo a disposizione osservazioni di tutta la superficie del Sole per diversi anni, possibilità che è stata solo di recente fornita dalle osservazioni delle sonde Stereo della Nasa, che hanno osservato la “faccia a noi nascosta” del Sole (vedi anche su Media Inaf). L’importante lavoro uscito ora su Nature Astronomy quindi dimostra, per la prima volta in modo conclusivo, l’esistenza delle onde di Rossby sul Sole».
Ma in che modo, e fino a che punto, la presenza delle onde di Rossby sul Sole può aiutarci a prevedere le intemperanze della nostra stella? «Così come proposto in passato (per esempio, Lou 2000 e Bilenko 2014), si ritiene anche che queste onde possano avere un ruolo nella regolazione dell’attività solare e quindi nella frequenza dei brillamenti e delle eruzioni solari», spiega Bemporad. «Questa scoperta fornisce dunque un nuovo ingrediente per la comprensione della dinamo e dell’attività solare, e per la possibile predizione del comportamento del Sole su tempi scala “lunghi” (confrontabili con la durata del ciclo solare di 11 anni), mentre più difficilmente potrà contribuire alle previsioni di meteorologia spaziale su tempi scala “brevi” (da giorni a ore)».
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Oltre all’attualità e ai fenomeni del mese, ci sono anche tanti articoli di approfondimento, interviste, speciali, guide all’osservazione sempre valide, storia dell’astronomia e molto altro!
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Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Se il 2016 è stato l’anno delle onde gravitazionali, il 2017 non sarà da meno. C’è tanta attesa ed entusiasmo, ma anche qualche apprensione, per quella che è stata definita la “foto del secolo”, o forse di sempre, che avrà come obiettivo l’orizzonte degli eventi di un buco nero.
Otto radiotelescopi sparsi sul globo uniranno le loro forze agendo virtualmente come una singola, potente antenna delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope(Eht), un nome appropriato per significare l’importanza di questa impresa titanica, punterà le antenne verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari immagini, che saranno pubblicate tra la fine di quest’anno e gli inizi del 2018, potrebbero aiutare gli astronomi a verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino non solo Sagittarius A* (Sgr A*) ma anche il buco nero supermassivo della galassia ellittica gigante M87, l’altro obiettivo dell’esperimento.
Le precedenti osservazioni di Sgr A*, realizzate con un network di radiotelescopi che operano a frequenze radio più basse rispetto all’Eht, hanno fornito solo immagini indicative, dalla forma a blob, poiché non sfruttavano un elevato potere risolutivo. Le misure fatte finora con l’Eht hanno invece raggiunto una risoluzione angolare intorno ai 60 microsecondi d’arco. Nonostante questa spettacolare risoluzione angolare (equivalente al diametro sotteso da una mela posta sulla superficie della Luna), queste misure non hanno consentito di ottenere un’immagine della sorgente, perché il network era costituito da soli 3-4 elementi. Ma c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica come Alma (Cile) e il South Pole Telescope (Antartide), rispetto alla rete di radiotelescopi situati in Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, permetterà di migliorare la risoluzione angolare e le aspettative in termini della ricostruzione delle immagini.
«Un elemento fondamentale per l’attuazione di questo piano è l’Atacama Large Millimeter Array (Alma), che è il radiotelescopio più sensibile mai costruito in banda millimetrica, situato nel deserto di Atacama nelle Ande Cilene, a 5100 m sul livello del mare, il deserto più alto e secco al mondo», spiega a Media Inaf Ciriaco Goddi, BlackHoleCamproject scientist alla Radboud University, Nijmegen, in Olanda e astronomo presso l’Alma Regional Center a Leiden, sempre in Olanda. «Alma è un insieme di 50 antenne singole di 12 metri di diametro, per il quale è stato sviluppato un dispositivo (detto beamformer) in grado di aggregare l’intera area di raccolta dell’array in un unico elemento: in tale sistema tutte le 50 antenne sono combinate per agire congiuntamente come un unico elemento gigante (equivalente ad un radiotelescopio di ben 84 metri di diametro) all’interno dell’Eht. L’inserimento di questo “fuoriclasse” nella rete di radiotelescopi è ciò che consentirà un salto di qualità nelle prestazioni dell’Eht, sia in termini di risoluzione che di sensibilità, permettendo così di “mettere a fuoco” il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea».
Operando insieme, le antenne simuleranno un singolo gigantesco strumento delle dimensioni della Terra che sarà in grado di “vedere” direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro, e rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Di fatto, grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi), si otterrà il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro attuale strumento astronomico. Nel caso di Sgr A*, che si estende per circa 24 milioni di chilometri (circa 17 volte più grande del Sole) e che si trova a 26 mila anni-luce, “scattare una foto” è una missione impossibile: il raggio di Schwarzschild risulta decisamente piccolo (10 microsecondi d’arco).
«Una cosa da tener presente è che noi non risolveremo 10 microsecondi d’arco», fa notare Goddi. «Infatti, grazie all’effetto della lente gravitazionale dovuta all’enorme gravità attorno all’orizzonte degli eventi, lo spaziotempo viene talmente “curvato” che il raggio di 10 microsecondi d’arco diventa in realtà (visto da noi) 25 microsecondi d’arco. Perciò la dimensione (angolare) dell’ombra del buco nero, creata dall’orizzonte degli eventi, vista da Terra, sarà di 50 microsecondi d’arco. È questa la risoluzione angolare che EHT può raggiungere facilmente».
Nonostante ciò, gli astronomi sperano di poter vedere le regioni immediatamente più esterne dove il gas viene trascinato nel disco di accrescimento che circonda il buco nero e come la materia viene espulsa lungo i getti. La speranza è anche quella di poter definire la dimensione e la forma dell’orizzonte degli eventi e verificare se la relatività generale sia ancora valida in condizioni estreme. Gli scienziati hanno eseguito tantissime simulazioni per analizzare le possibili configurazioni che può assumere il gas e in tutti i casi la scelta è caduta sul valore di 1,3 mm. In altre parole, per penetrare la nube di polveri e “vedere” l’orizzonte degli eventi, occorrerà che il gas caldo si trovi in prossimità di questa zona di non ritorno mostrandosi luminoso e brillante a questa lunghezza d’onda, così come sperano gli astronomi. Inoltre, la luce dovrà propagarsi senza trovare particolari ostacoli arrivando a Terra, dopo aver attraversato l’atmosfera, fino a raggiungere le parabole dei radiotelescopi: ancora una volta, la scelta di utilizzare una lunghezza d’onda di 1,3 mm (230 GHz) sembra essere quella giusta.
Diversi gruppi hanno già sviluppato una serie di algoritmi per ricostruire le immagini dalle osservazioni, che permetteranno di limitare imperfezioni derivanti dalle prestazione degli strumenti o la presenza di rumore causati dall’atmosfera terrestre. I ricercatori sperano anche di realizzare dei filmati relativi al moto del gas, spingendo oltre i limiti le capacità di imaging degli stessi algoritmi. Queste osservazioni potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere come alcuni oggetti supermassivi in altre galassie appaiano estremamente attivi, risucchiando voracemente materia ad un ritmo forsennato ed espellendo il resto lungo spettacolari getti relativistici che si estendono nello spazio fin oltre la galassia ospite, mentre altri come Sgr A* sembrano essere a dieta.
Secondo alcune simulazioni, le immagini dovrebbero assomigliare a quelle di una mezzaluna, anziché a un blob così come previsto da altri modelli. La forma a mezzaluna deriva dalla presenza del disco di accrescimento. Data la sua rotazione attorno al buco nero, il lato del disco che si muove verso l’osservatore diventerà più luminoso, a causa dell’effetto Doppler relativistico, mentre il lato del disco che si allontana dall’osservatore apparirà più debole. Al centro della mezzaluna crescente si dovrebbe intravedere un cerchio più scuro, la cosiddetta “ombra del buco nero”, che rappresenta effettivamente l’oggetto centrale massiccio, mentre la luce risulterà talmente deflessa a causa dall’intenso campo gravitazionale.
Ma che cosa osserverà esattamente l’Eht? «Sappiamo che l’emissione radio viene emessa da una regione molto vicina al buco nero. Più alta è la frequenza e più vicina all’orizzonte degli eventi del buco nero viene emessa la radiazione», spiega Heino Falcke del Department of Astronomy, Radboud University Nijmegen, Olanda, e presidente del consiglio scientifico dell’Event Horizon Telescope. «L’orizzonte degli eventi è una sorta di membrana unidirezionale attraverso cui qualsiasi cosa, persino la luce, può solo sparire e mai tornare indietro. Quindi, ci aspettiamo di vedere una vera “buca” di luce, circondata da un anello luminoso, che chiamiamo la “ombra” dell’orizzonte degli eventi. Ad ogni modo, nel corso dei primi anni di osservazioni la nostra risoluzione e qualità non saranno probabilmente abbastanza ottimali, perciò potremmo vedere una struttura complicata e distorta che potrebbe assomigliare molto a una “arachide”. Solo col tempo e forse sfruttando le frequenze più elevate, saremo in grado di ottenere un’immagine veramente nitida della regione più esterna del buco nero».
Falcke è stato il primo a proporre nel 1998 e poi nel 2000 l’idea di creare l’immagine dell’ombra del buco nero galattico. Lo scienziato ha poi sviluppato, assieme al suo team, un modello per spiegare l’origine dell’emissione radio da Sgr A* proveniente da una parte del plasma che sfugge alla morsa del buco nero sottoforma di un getto relativistico.
Le osservazioni, che saranno effettuate in una finestra temporale dal 5 al 14 aprile, per cinque notti, dovranno affrontare alcuni ostacoli.
«Il maggiore ostacolo che dovremo affrontare durante le osservazioni il prossimo mese è dato dalle condizioni climatiche, in particolare dal tasso di umidità o più precisamente dal contenuto di vapore acqueo nella troposfera», dice Goddi. «Il suo effetto non è solo quello di attenuare il già debole segnale, ma è anche quello di “distorcere” il fronte delle onde radio, per cui una volta che queste arrivano ai rivelatori non saremo in grado di ricostruire l’immagine della sorgente che le ha generate. Per questo motivo, noi astronomi del consorzio Eht di presidio nei vari telescopi dovremo decidere se dare o meno il via libera alle osservazioni sulla base di fattori climatici (in primis la colonna di vapore acqueo misurato ai telescopi nei vari siti). Io starò di base ad Alma, lo strumento di gran lunga più importante dell’esperimento, per cui da lì sarà presa la decisione se procedere con le osservazioni o no, sulla base appunto delle condizioni climatiche che saranno presenti durante quei 10 giorni nel deserto di Atacama».
«Per diversi decenni, questo buco nero si è mostrato alquanto noioso, essenzialmente come un blob regolare ed ellittico», aggiunge Falcke. «Ora, con questo esperimento, il suo aspetto dovrebbe cambiare completamente. Abbiamo una chiara predizione dalla teoria di Einstein secondo cui l’orizzonte degli eventi esiste, perciò dovremmo essere in grado di vedere almeno qualche traccia di questo orizzonte degli eventi nei nostri dati. Naturalmente, non è così semplice. Ci piacerebbe avere ancora molti altri radiotelescopi in modo da realizzare un’immagine unica. Di fatto, l’assenza di un solo strumento comprometterebbe la qualità dell’immagine in maniera significativa. Ci sono un sacco di cose che possono andar storto. Le condizioni meteo devono essere ottimali in tutti i siti sparsi sul globo e nello stesso intervallo di tempo di osservazione, il che non è sempre così. La strumentazione può non funzionare. Sono coinvolte tante componenti hi-tech, alcune delle quali sono state installate appositamente per questo esperimento. Dovremo registrare un’enorme mole di dati, dell’ordine dei petabytes, che non possiamo archiviare nelle singole stazioni e perciò parte di essi potrebbero perdersi durante il trasporto dei dischi rigidi. Le persone possono commettere errori durante le ore notturne. Ci sono oltre 30 persone che saranno inviate in questi otto osservatori per salvaguardare le prestazioni dell’esperimento oltre alla presenza degli operatori e tecnici di turno. Si tratta di un’operazione complessa, non ancora standardizzata, dove qualcosa può sempre andar storto».
La relatività generale afferma che una massa, specialmente una così massiccia equivalente a 4 milioni di soli, curvi lo spaziotempo. Questa curvatura può essere calcolata matematicamente perciò la dimensione dell’ombra prodotta da Sgr A* dovrebbe essere o uguale a quella predetta dalla teoria di Einstein oppure no. È un po’ come ripetere l’esperimento che realizzò Eddington durante l’eclisse del 1919 quand’egli misurò la deflessione dei raggi luminosi di stelle vicine al bordo solare dovuta all’azione esercitata dal campo gravitazionale della nostra stella. Ora, quasi un secolo dopo, gli scienziati eseguiranno una misura similare il cui effetto, però, sarà moltiplicato milioni di milioni di milioni di volte in termini della curvatura dello spaziotempo.
Insomma, ottenere un’immagine risolta di Sgr A* sarebbe già un trionfo. Ma il vero obiettivo di questo esperimento è quello di utilizzare le abilità della tecnica di imaging per verificare alcuni aspetti della relatività generale. Se ci sono delle deviazioni dalle idee di Einstein, così come sospettano alcuni scienziati che ipotizzano delle spiegazioni più complete della gravità, allora è proprio in questi ambienti estremi che caratterizzano i buchi neri dove queste limitazioni potrebbero rivelarsi. «Non credo che da queste prime osservazioni potremo provare che Einstein abbia torto o ragione», conclude Falcke. «Ad ogni modo, dovremmo essere in grado di intravedere delle strutture complesse dovute alla presenza dell’orizzonte degli eventi. Questo ci permetterà di confrontare i nostri dati con le simulazioni numeriche molto dettagliate e capire meglio se e di quanto sta ruotando il buco nero e come è orientato. Entro qualche anno, le immagini dovrebbero migliorare sempre più in modo da permetterci di “vedere” in definitiva, e per la prima volta, un vero orizzonte degli eventi, l’estremità finale dello spazio e del tempo».
Prendono forma attorno a oggetti celesti di eccezionale grandezza e si estendono per milioni di anni luce. Parliamo dei giganteschi campi magnetici che un gruppo di astronomi guidato dal Max Planck Institute ha appena scoperto attorno agli ammassi di galassie Ciza J2242+53 grazie ai dati raccolti dal radiotelescopio Effelsberg.
Alla periferia di un colossale accumulo di materia oscura, sistemi stellari, gas caldo e particelle cariche, riposano (si fa per dire) dunque i più grandi campi magnetici che l’universo abbia conosciuto.
Lo studio, appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics, porta la firma di un gruppo di ricercatori tedeschi che ha conseguito la scoperta analizzando i dati raccolti dal radiotelescopio Effelsberg (una parabola di 100 metri di diametro) situato nei pressi di Bad Münstereifel, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, in Germania.
Inaugurato nei primi anni Settanta, è stato per quasi 30 anni il più grande radiotelescopio orientabile del mondo, e sotto la gestione del Max Planck Institute for Radio Astronomy di Bonn è stato perlopiù impiegato per l’osservazione di pulsar, polvere interstellare, getti di materia emessi da buchi neri e nuclei di galassie molto distanti. Ora ci regala una scoperta affascinante, quella del più ampio campo magnetico mai rilevato nell’universo e che, secondo i ricercatori, potrebbe avere un’estensione anche maggiore dello stesso ammasso. «Fra i cinque e i sei milioni di anni luce», spiega Maja Kierdorf del Max Planck prima firmataria dell’articolo.
Gli eccezionali campi magnetici rilevati dagli astronomi tedeschi potrebbero essere una diretta conseguenza della collisione tra i due ammassi galattici ad altissima velocità. Matthias Hoeft, del Thüringer Landessternwarte Tautenburg, ha sviluppato un metodo che permette di determinare il rapporto tra la velocità relativa delle nubi di gas in collisione e la velocità del suono, utilizzando il grado di polarizzazione osservato. Risultato: lo scontro fra gli ammassi avviene alla folle velocità di 2000 chilometri al secondo.
Crolli di pareti rocciose che portano alla luce grandi concentrazioni di ghiaccio, massi che rotolano sul fondovalle per decine di metri. È un panorama sorprendente e in continuo cambiamento quello della superficie del nucleo della cometa 67P Churyumov-Gerasimenko, ripreso tra il 2014 e il 2016 dalla camera a immagini Osiris (Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System) a bordo della missione Rosetta dell’ESA e che emerge dai risultati di due differenti articoli pubblicati sulle riviste Sciencee Nature Astronomy. Nei due team internazionali che hanno condotto le indagini sono coinvolti scienziati di varie università e istituti di ricerca italiani, tra cui gli astronomi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) Gabriele Cremonese e Marco Fulle.
Le indagini ottenute con Osiris, strumento che vede un significativo contributo italiano, il cui canale a grande angolo è stato realizzato dal Cisas (Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali dell’Università di Padova) per l’Asi, l’Agenzia Spaziale Italiana, e Inaf, hanno permesso di osservare per la prima volta le variazioni di strutture sulla superficie del nucleo di una cometa durante il suo passaggio al perielio – ovvero la porzione della traiettoria che si avvicina maggiormente al Sole – e comprendere con maggiore precisione i meccanismi che modellano la superficie stessa.
L’articolo pubblicato su Nature Astronomy, a prima firma di Maurizio Pajola, ricercatore italiano presso il centro Nasa/Ames per il Cisas-Università di Padova, descrive il distacco rovinoso di una parte di materiale del costone roccioso denominato Aswan e situato nella regione Seth del nucleo di 67P.
Il 10 luglio del 2015 oltre 57 mila metri cubi di materiale sono precipitati verso valle per circa 150 metri, accompagnati da un violento getto di polvere e gas osservato dalla Navigation Camera di Rosetta.
Dopo cinque giorni, le riprese della zona ottenute da Osiris hanno non solo confermato il crollo ma hanno messo in evidenza che l’evento aveva esposto una zona interna del nucleo assai brillante: oltre sei volte quella della superficie circostante, molto scura.
I ricercatori ritengono assai probabile che la regione brillante esposta dopo il crollo sia composta da ghiaccio. «Ai miei studenti dico che le comete sono tra i corpi celesti più variabili nell’universo» commenta Cremonese, astronomo dell’Inaf di Padova. «In questo caso la 67P ci ha veramente stupito in quanto in Aswan la temperatura è variata di 200 kelvin in 20 minuti. Per un corpo ricco di ghiaccio d’acqua può avere effetti realmente catastrofici».
Il secondo articolo, pubblicato sulla rivista Science e guidato da Mohamed Ramy El-Maarry, ora all’Università di Boulder in Colorado (Usa), ha passato in rassegna le trasformazioni della superficie della cometa 67P registrate dalla missione Rosetta dall’estate del 2014 fino alla sua conclusione, nel settembre del 2016, quando la sonda si è definitivamente posata sul nucleo cometario.
Il team ha evidenziato l’estremo dinamismo geologico della cometa, che in un periodo di tempo così limitato ha fatto registrare crolli di fianchi rocciosi – come nell’evento di Aswan – o fratture superficiali che si aprono e si allargano, massi che cambiano posizione spostandosi di decine di metri, ma anche piogge di detriti che vanno a ricoprire alcune zone della superficie.
Episodi questi legati a fenomeni che si verificano sulla cometa: quelli di tipo erosivo, quelli legati a brusche variazioni di temperatura o legati alla sublimazione del ghiaccio intrappolato nell’interno del nucleo, fino a quelli dovuti a sollecitazioni di tipo meccanico generate dalla rapida rotazione del nucleo. «I due lavori scientifici sono i primi a descrivere i cambiamenti di superficie osservati da Osiris su 67P, che riguardano principalmente l’emisfero nord, l’unico osservato a buona risoluzione all’arrivo e due anni dopo», commenta Fulle, astronomo dell’Inaf di Trieste. «I cambiamenti maggiori riguardano invece l’emisfero sud, che al perielio ha perso due metri di spessore medio – in parte disperso nello spazio, in parte trasferito nei depositi di ciottoli e massi sull’emisfero nord – ma che è stato osservato troppo da lontano e comunque su periodi troppo brevi per carpirne i dettagli. I cambiamenti osservati suggeriscono che la maggior parte della topografia del nucleo cometario sia stata modellata prima del 1959, ossia su orbite diverse dall’attuale».
Guarda il servizio video su Inaf Tv:
Per saperne di più:
Leggi su Nature Astronomy l’articolo “The pristine interior of comet 67P revealed by the combined Aswan outburst and cliff collapse“, di M. Pajola, S. Höfner, J.B. Vincent, N. Oklay, F. Scholten, F. Preusker, S. Mottola, G. Naletto, S. Fornasier, S. Lowry, C. Feller, P.H. Hasselmann, C. Güttler, C. Tubiana, H. Sierks, C. Barbieri, P. Lamy, R. Rodrigo, D. Koschny, H. Rickman, H.U. Keller, J. Agarwal, M.F. A’Hearn, M.A. Barucci, J.-L. Bertaux, I. Bertini, S. Besse, S. Boudreault, G. Cremonese, V. Da Deppo, B. Davidsson, S. Debei, M. De Cecco, J. Deller, J.D.P. Deshapriya, M.R. El-Maarry, S. Ferrari, F. Ferri, M. Fulle, O. Groussin, P. Gutierrez, M. Hofmann, S.F. Hviid, W.-H. Ip, L. Jorda, J. Knollenberg, G. Kovacs, J.R. Kramm, E. Kührt, M. Küppers, L.M. Lara, Z.-Y. Lin, M. Lazzarin, A. Lucchetti, J.J. Lopez Moreno, F. Marzari, M. Massironi, H. Michalik, L. Penasa, A. Pommero, E. Simioni, N. Thomas, I. Toth, E. Baratti
Leggi su Science l’articolo “Surface changes on comet 67P/Churyumov-Gerasimenko suggest a more active past” di M. Ramy El-Maarry, O. Groussin, N. Thomas, M. Pajola, A.-T. Auger, B. Davidsson, X. Hu, S. F. Hviid, J. Knollenberg, C. Güttler, C. Tubiana, S. Fornasier, C. Feller, P. Hasselmann, J.-B. Vincent, H. Sierks, C. Barbieri, P. Lamy, R. Rodrigo, D. Koschny, H. U. Keller, H. Rickman, M. F. A’Hearn, M. A. Barucci, J.-L. Bertaux, I. Bertini, S. Besse, D. Bodewits, G. Cremonese, V. Da Deppo, S. Debei, M. De Cecco, J. Deller, J. D. P. Deshapriya, M. Fulle, P. J. Gutierrez, M. Hofmann, W.-H. Ip, L. Jorda, G. Kovacs, J.-R. Kramm, E. Kührt, M. Küppers, L. M. Lara, M. Lazzarin, Z.-Yi Lin, J. J. Lopez Moreno, S. Marchi, F. Marzari, S. Mottola, G. Naletto, N. Oklay, A. Pommerol, F. Preusker, F. Scholten, X. Shi
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Una sottilissima falce di Luna crescente di solo un giorno, potrà aiutare gli astrofili a rintracciare il più debole Mercurio (mag. –0,4), poco più a ovest.
I due corpi celesti saranno osservabili abbastanza bassi sull’orizzonte, a circa 12° di altezza, ma con qualche difficoltà dovuta al fatto che il Sole sarà tramontato neanche da un’ora, per cui il cielo sarà ancora chiaro.
Tramonteranno nel giro di un’ora ma, difficilmente, si potrà aspettare per l’osservazione un cielo più buio. Servirebbe un orizzonte ovest sgombro da ostacoli ma anche da foschia e inquinamento luminoso…
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Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo
➜ La Luna di marzo.Un approfondito e interessante articolo alla scoperta di Plato, il Grande Lago Nero, e i suoi misteri.
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi. telescopioremoto.uai.it.
24-26 marzo XXI Meeting Nazionale di Gnomonica L’immancabile appuntamento nazionale per tutti gli appassionati di gnomonica e quadranti solari, promosso dalla Sezione UAI Quadranti Solari, si svolgerà quest’anno a cura del Gruppo Gnomonisti Trevigiani presso l’Auditorium del Palazzo Celestino Piva a Vadobbiadene (TV). Per maggiori info ed invio di proposte di memorie e relazioni, consultare il sito web di sezione. http://quadrantisolari.uai.it
Il telescopio spaziale Hubble ha trovato l’anello mancante di un defunto sistema stellare multiplo all’interno della Nebulosa di Orione, distante 1300 anni luce dalla Terra.
Recenti osservazioni nell’infrarosso hanno rivelato la presenza di due stelle dirette a tutta velocità in direzioni opposte. Ricostruendo il loro moto, gli scienziati si sono accorti che le due stelle si trovavano nello stesso punto circa 540 anni fa, suggerendo che facessero parte di un sistema multiplo. L’energia attuale dei due astri, però, è nettamente minore di quella calcolata dagli scienziati.
Ora, nuove osservazioni effettuate da Hubble potrebbero aver risolto questo affascinante mistero cosmico, con l’individuazione di una terza stella che avrebbe fatto parte dello stesso sistema e che starebbe oggi trasportando l’energia ‘mancante’.
«Le nuove osservazioni di Hubble forniscono prove molto convincenti a favore del fatto che le tre stelle siano state espulse da un sistema stellare multiplo,» spiega Kevin Luhman della Penn State University, che ha guidato lo studio pubblicato sul The Astrophysical Journal Letters. «Non è la prima volta che osserviamo stelle espulse da sistemi multipli. Tuttavia, queste tre stelle sono i più giovani esempi di questo fenomeno, avendo poche centinaia di migliaia di anni di età. Le immagini all’infrarosso rivelano che queste stelle sono talmente giovani che potrebbero ancora essere circondate dal disco di materiale rimasto dalla loro formazione».
Le tre stelle stanno sfrecciando attraverso la nebulosa a una velocità circa 30 volte superiore alla media della popolazione locale. Ancora non è chiaro, però, quale drammatica interazione gravitazionale abbia portato allo scioglimento del loro sistema. «Non ci sono molti altri esempi, soprattutto in ammassi così giovani,» prosegue Luhman.
Gli scienziati si sono imbattuti nella terza stella nell’ambito di una campagna di ricerca di pianeti interstellari all’interno della Nebulosa di Orione. Confrontando le immagini della stessa regione di cielo scattate prima nel 1998 dallo spettrometro NICMOS e poi nel 2015 dalla Wide Field Camera 3, gli astronomi hanno notato la presenza di una stella particolarmente veloce. I calcoli mostrano che la stella sta viaggiando a una velocità di oltre 200 mila chilometri orari.
Ricostruendo il moto passato della stella, gli scienziati hanno determinato che, intorno all’anno 1470, l’astro si trovava nello stesso punto delle altre due stelle già note. La prima stella era stata scoperta nel 1967; tuttavia, il suo moto anomalo era rimasto sconosciuto fino al 1995. Le due stelle già note sono caratterizzate da velocità di 96 e 35 mila chilometri orari, rispettivamente.
L’evento responsabile della distruzione del sistema multiplo potrebbe essere stato l’eccessivo avvicinamento di una delle stelle a una compagna e la conseguente formazione di un sistema binario.
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Fino a lunedì 3 aprile ospitiamo il Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di conferenze settimanali che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Scopriremo quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici, per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 20 marzo: “Le dimensioni dell’Universo”.
Un taglio storico per approfondire l’argomento delle distanze astronomiche. In dettaglio: Parallasse, Cefeidi, Supernovae Ia e le altre candele standard, costante di Hubble e Oscillazioni di Massa Barionica. Sul filo tra scienza e umanesimo.
Nuove osservazioni indicano che le galassie massicce, con alta formazione stellare, fossero dominate da materia barionica o “normale” durante il picco della formazione delle galassie, 10 miliardi di anni fa. Questo in netto contrasto con le galassie odierne, in cui gli effetti della misteriosa materia oscura sembrano essere molto maggiori. Questo risultato sorprendente è stato ottenuto con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e suggerisce che la materia oscura fosse meno rilevante nell’Universo primordiale di quanto sia oggi.
La ricerca viene presentata in quattro diversi articoli, uno dei quali pubblicato il 15 marzo dalla rivista Nature.
Quello che noi riusciamo oggi a osservare, è la materia ordinaria sotto forma di stelle brillanti, gas incandescente e nubi di polvere. Ma la materia oscura, più sfuggente, non emette, assorbe o riflette la luce e ne abbiamo potuto rivelare l’esistenza solo per mezzo dei suoi effetti gravitazionali. La presenza di materia oscura può infatti spiegare perché le zone esterne delle galassie a spirale ruotano più velocemente di quello che ci aspetterebbe se fosse presente solo la materia ordinaria che possiamo vedere direttamente. I nuclei delle galassie a spirale, infatti, mostrano un’alta concentrazione di stelle, ma la densità di materia luminosa diminuisce verso la periferia. Se la massa di una galassia consistesse solamente di materia normale (barionica), le zone esterne meno dense dovrebbero ruotare più lentamente delle regioni più dense al centro. Ma le osservazioni di galassie a spirale vicine mostrano che le zone interne ed esterne, di fatto, ruotano più o meno alla stessa velocità. Queste “curve di rotazione piatte” indicano che le galassie a spirale devono contenere grandi quantità di materia non luminosa disposta in un alone di materia oscura che circonda il disco galattico.
Ciò che hanno trovato è molto interessante: diversamente dalle galassie a spirale dell’Universo attuale, le regioni esterne di queste galassie distanti sembrano ruotare più lentamente delle regioni centrali – suggerendo che ci fosse meno materia oscura di quanto previsto. Questo nuovo risultato non mette in discussione la necessità di materia oscura come componente fondamentale dell’Universo o la sua quantità totale. Piuttosto suggerisce che la materia oscura fosse distribuita differentemente all’interno e intorno ai dischi delle galassie ai primordi, se confrontata con quanto accade oggi. Infatti…
«Sorprendentemente, le velocità di rotazione non sono costanti, ma diminuiscono a mano a mano che ci si allontana dal centro della galassia», commenta Reinhard Genzel, primo autore dell’articolo su Nature. «Ci sono probabilmente due cause. La prima: la maggior parte di queste galassie sono fortemente dominate da materia ordinaria, mentre la materia oscura gioca un ruolo molto inferiore rispetto all’Universo locale. La seconda: questi dischi primordiali erano molto più turbolenti delle galassie a spirale che vediamo nei nostri dintorni cosmici».
Entrambi gli effetti sembrano diventare più evidenti a mano a mano che gli astronomi guardano più indietro nel tempo, nell’Universo primordiale. Ne consegue che 3 o 4 miliardi di anni dopo il Big Bang il gas nelle galassie si fosse già condensato in un disco piatto e rotante, mentre l’alone di materia oscura che le circonda rimanesse molto più grande e più diffuso. Apparentemente, sono occorsi molti più miliardi di anni perché anche la materia oscura si condensasse, così il suo effetto dominante sulla velocità di rotazione del disco galattico viene visto solo oggi.
Questa spiegazione è consistente con le osservazioni che mostrano che le galassie primordiali avevano molto più gas ed erano più compatte delle galassie di oggi.
Le sei galassie descritte in questo studio appartengono a un campione più ampio, di un centinaio di galassie a disco distanti e con alta formazione stellare. Oltre alle misure individuali citate prima, è stata creata una curva di rotazione media combinando i segnali più deboli delle altre galassie. La curva composita mostra la stessa tendenza – la velocità diminuisce allontanandosi dal centro della galassia – così come lo studio di altri 240 dischi con alta formazione stellare.
Modelli dettagliati mostrano che mentre la materia ordinaria oggi di solito costituisce in media metà della massa totale di tutte le galassie, nelle galassie ai redshift più alti ne domina invece completamente la dinamica.
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Strongly baryon-dominated disk galaxies at the peak of galaxy formation ten billion years ago“, di R. Genzel, N. M. Förster Schreiber, H. Übler, P. Lang, T. Naab, R. Bender, L. J. Tacconi, E. Wisnioski, S. Wuyts, T. Alexander, A. Beifiori, S. Belli, G. Brammer, A. Burkert, C. M. Carollo, J. Chan, R. Davies, M. Fossati, A. Galametz, S. Genel, O. Gerhard, D. Lutz, J. T. Mendel, I. Momcheva, E. J. Nelson, A. Renzini, R. Saglia, A. Sternberg, S. Tacchella, K. Tadaki e D. Wilman
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
La Maratona Messier consiste in una sfida osservativa che coinvolge appassionati e astrofili di tutto il mondo in una sessione di osservazione che impegna tutta la notte.
La sfida è quella di riuscire a osservare in una notte tutti i 110 oggetti delfamoso catalogo redatto all’astronomo Francese Charles Messier. In genere si può tentare l’impresa ogni anno, a cavallo dell’equinozio di primavera, nel momento in cui tutti gli oggetti Messier risultano visibili nell’arco di una notte.
Bisogna dire però che dall’Italia è quasi impossibile riuscire a coglierli tutti. Forse solo dalle estreme regioni meridionali l’impresa potrebbe materializzarsi, ma risulta comunque decisamente difficile, per l’altezza molto scarsa sull’orizzonte di alcuni oggetti. Ad esempio, più ci si trova a nord più sarà difficile (se non impossibile) identificare l’ammasso globulare M 30 che, al momento del suo levare, si trova già immerso nella luce crepuscolare.
L’obbiettivo quindi è… osservarne il più possibile!
Di seguito una serie di link con esperienze, curiosità e consigli utili per organizzare e portare a termine la sfida.
Per sapere come scegliere la serata migliore, il luogo e la strumentazione più adatta, e tutti i consigli per prepararsi al meglio, l’articolo completo lo potete leggere su Coelum astronomia 209 di marzo 2017 a pag. 132 (sempre in formato digitale e gratuito).
Sempre sullo stesso numero trovate poi i racconti di esperienze dirette, per capire meglio cosa ci si prepara ad affrontare, l’organizzazione, gli imprevisti ma, soprattutto, le emozioni:
• “La meravigliosa tenacia con cui, durante tutta la notte, combattevamo contro il meteo avverso per completare la ista era pari solo all’incantevole atmosfera di amicizia e di cameratismo che si determinò dal tramonto all’alba…” continua a leggere su:L’Esperienza di Paolo Colona
• “Dobbiamo vincere la competizione contro la rotazione terrestre! È indispensabile una serrata tabella di marcia che comincia con gli oggetti a ovest, prossimi al tramonto, e risale verso est, spazzando il cielo da sud a nord…” continua a leggere su:L’Esperienza di Dino Pezzella
Se poi volete affrontare la maratona in modo diverso… pur ricordando che si tratta di una sfida osservativa, Rolando Ligustri ci offre uno spunto per una Maratona Messier con il CCD.
Costruirsi il proprio elenco di oggetti da osservare (come raccomanda Claudio Pra nel suo articolo) e organizzare tutto l’occorrente fa parte del gioco… ma per chi ha poco tempo o preferisce avere tutto già pronto, in rete trovate poi moltissime risorse utili, come ad esempio sul sito dedicato alla Maratona Messier della UAI, oltre a una serie di link utili per approfondire l’argomento trovate anche:
E poiché le notti migliori per affrontare la maratona sono quelle con meno disturbo lunare, non mancate di dare un occhio alle effemeridi della Luna, che trovate nella sezione Cielo del Mese.
Ora non resta che scegliere la serata più adatta e dare il via alla vostra Maratona Messier! E se vi va poi di raccontarcela, potete inserire la vostra esperienza direttamente nei commenti qui sotto.
Indice dei contenuti
Cieli sereni e buone osservazioni!
Coelum non è solo l’ultimo numero!
Scegli l’argomento che preferisci e inizia a leggere! E’ gratis…
Lunedì 20 marzo, ore 18.30
Nel Cielo. Meraviglie del cielo stellato di primavera
Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
La mostra “Oltre l’Uomo: da Leonardo alle Biotecnologie“, visitabile dal 28 gennaio al 2 maggio 2017, è organizzata dal Distretto della Scienza e tecnologia, Pleiadi, società di divulgazione scientifica, insieme al Comune di Schio e a Confindustria Vicenza Raggruppamento Alto Vicentino. La mostra, pensata per il grande pubblico, famiglie, scuole, studenti universitari, professionisti ricercatori e turisti, è visitabile presso gli Spazi Shed dell’ex-Lanificio Conte in centro a Schio. Oltre l’Uomo è vero percorso espositivo e suggestivo che accompagna il pubblico nel passato, nel presente e nel futuro dell’ingegno umano: dalle prime invenzioni di Leonardo da Vinci, e i suoi studi tratti dalla natura e dal corpo umano per concepire macchine al servizio dell’uomo, alle prime automazioni che sostituiscono il lavoro umano con quello meccanico dei robot che replicano le sembianze umane, con le relative conseguenze sul piano sociale e psicologico; fino ad arrivare alle nuove biotecnologie, in cui il benessere e la vita stessa dell’uomo sono supportate dalla ricerca applicata in campo biomedicale: laser, protesi, robotica, biotech, fino alla stampa 3D degli organi umani. http://www.distrettoscienza.it
Una delle più importanti scoperte effettuate dalla missione Cassini in orbita attorno a Saturno è sicuramente quella dei geyser che si staccano dal polo sud di Encelado, forse collegati al vasto oceano che si nasconde al di sotto della crosta ghiacciata che avvolge la luna. Ora, nuove analisi delle osservazioni alle microonde di questa regione rivelano che la temperatura a pochi metri di profondità è più elevata del previsto – una scoperta che potrebbe avere importanti implicazioni per quanto riguarda la potenziale abitabilità di questa straordinaria luna.
I geyser di vapore acqueo e ghiaccio osservati da Cassini si staccano da quattro fratture calde, note come “tiger stripes”, che solcano il polo sud di Encelado. Le nuove analisi si basano su dati raccolti durante un sorvolo avvenuto nel 2011.
«Durante quel flyby, abbiamo ottenuto le prime e purtroppo uniche osservazioni ad alta risoluzione del polo sud di Encelado alle microonde,» spiega Alice Le Gall del laboratorio LATMOS. «Queste osservazioni ci forniscono importanti dati sul sottosuolo di Encelado. Le analisi indicano che, entro i primi metri di profondità, le temperature, pur aggirandosi tra –220 e –210 gradi centigradi, sono comunque molto più calde del previsto: in alcuni punti, perfino 20 gradi più calde. Questa differenza non può essere solamente il risultato di una diversa illuminazione da parte del Sole o dell’influenza di Saturno».
Le osservazioni effettuate nell’infrarosso, limitate alla superficie, sono indicative di temperature molto più basse; secondo gli scienzati, dunque, lo strato caldo sarebbe avvolto da strati molto più freddi.
Le osservazioni di Cassini hanno coperto un’area a forma di arco, lunga 500 chilometri, larga 25 km e situata 30-50 km a nord delle tiger stripes. Purtroppo, a causa della geometria del flyby, Cassini non ha potuto osservare le tiger stripes direttamente; tuttavia, la presenza di queste anomalie termiche indica che il fenomeno all’origine dei geyser potrebbe interessare una regione ben più vasta delle sole quattro fratture più evidenti.
«L’anomalia termica visibile alle microonde risulta molto evidente lungo tre fratture simili alle tiger stripes, ma da cui non sono ancora stati osservati geyser,» prosegue Le Gall. La presenza di queste fratture dormienti suggerisce che l’attività idrotermale di Encelado abbia avuto una natura episodica in passato, almeno a livello geografico.
Le analisi termiche suggeriscono che la crosta del polo sud di Encelado possa essere spessa solamente 2 chilometri. Questo nuovo risultato è in linea con uno studio risalente all’anno scorso, secondo cui lo spessore medio della crosta – circa 18-22 chilometri – si riduce notevolmente, fino a meno di 5 chilometri, in corrispondenza del polo sud.
La sorgente del calore potrebbero essere le periodiche compressioni e deformazioni della luna dovute all’eccentricità del suo percorso orbitale attorno a Saturno. Avendo una crosta più sottile, il polo sud sarebbe più sensibile a queste variazioni di natura mareale.
«Questa scoperta apre nuove prospettive per far luce sulla presenza di condizioni abitabili sulle lune ghiacciate dei giganti gassosi,» spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. «Se l’oceano sotterraneo di Encelado fosse davvero così vicino alla superficie come questo studio indica, una futura missione dotata di un radar in grado di penetrare il ghiaccio potrebbe essere in grado di rilevarlo».
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Dai primi passi della radioastronomia in Italia, al mastodontico FAST, il radiotelescopio cinese di 500 metri. È disponibile online Coelum Astronomia 209 di marzo! Sempre in formato digitale e gratuito…
Programma: 9 – 12 marzo 2017 – Il Congresso degli Astrofili Ricercatori
Il Congresso degli Astrofili Ricercatori si terrà nelle date indicate presso il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza (via Medaglie d’Oro, 51) con esposizione delle principali opere e gli strumenti di G. B. Lacchini. Il 9 marzo, durante la serata inaugurale del congresso sarà opite d’onore l’astronautica ed astrofisico Umberto Guidoni.
L’11 e il 12 marzo si terranno alcune conferenze e dibattiti tenuti dagli astrofili ricercatori italiani, suddivisi
per sezione:
– Asteroidi
– Meteore
– Novae
– Pianeti extrasolari
– Spettroscopia
– Supernovae
– Stelle variabili
Il Convegno è rivolto agli astrofili ricercatori a livello nazionale con alcuni contributi culturali di livello internazionale. 18 marzo – 2 aprile – Mostra: “l’astronomia attorno a noi”
Dal 18 marzo al 2 aprile 2017 sarà allestita presso il Palazzo delle Esposizioni di Faenza la mostra “l’astronomia attorno a noi”.
Questa iniziativa, che si svilupperà in collaborazione con la Palestra della Scienza, varie componenti del Tavolo della Scienza del Comune di Faenza ed altre importanti realtà locali, sarà incentrata su diverse sezioni principali:
– storica (anche con alcune opere e strumenti di Lacchini)
– moderna (nuove conoscenze)
– artistica, con opere prodotte con tecniche diverse, ma inerenti l’astronomia
– concorso rivolto alle scuole
– laboratori didattici
– libri (anche con testi di Lacchini di cui alcune riproduzioni)
Le varie sezioni saranno inoltre arricchite con la presenza di numerosi exhibit che renderanno più accattivante la fruizione e la comprensione dei principali concetti scientifici presentati. Il programma dell’esposizione sarà inoltre arricchito da eventi collaterali inerenti, conferenze, dibattiti ed altro che ripercorreranno l’evoluzione delle conoscenze di astronomia degli ultimi due secoli.
Il sistema binario, noto come X9, è situato nel cuore dell’ammasso globulare 47 Tucanae, a 14,8 mila anni luce dalla Terra. X9 è sotto studio da diversi anni, ma solo di recente nuove osservazioni alle onde radio hanno rivelato la sua vera natura. In precedenza, gli astronomi ritenevano che si trattasse di una nana bianca che stesse attraendo materiale da una compagna simile al Sole, ora invece sono convinti che il sistema sia costituito da un buco nero che attrae materiale da una nana bianca.
I dati raccolti da Chandra nella regione spettrale dei raggi X indicano che la luminosità della stella varia seguendo un ciclo che si ripete ogni 28 minuti. Questo dato, secondo i ricercatori, corrisponderebbe al periodo impiegato dalla nana bianca a completare una rivoluzione intorno al buco nero – il più rapido balletto orbitale mai osservato tra una stella e un buco nero.
Le osservazioni di Chandra sono indicative anche della presenza di vaste quantità di ossigeno, una scoperta che conferma la natura di nana bianca della stella compagna. La stella sarebbe situata ad appena 2,5 distanze lunari dal buco nero, pari a 960 mila chilometri.
«Questa nana bianca è così vicina al buco nero che il suo materiale va a formare un disco di materia intorno al buco nero, prima di precipitare al suo interno,» spiega Arash Bahramian dell’Università dell’Alberta. «Riteniamo che la stella in sé sia in un’orbita stabile».
Nonostante l’apparente stabilità della sua orbita, il futuro della nana bianca rimane incerto.
«Il buco nero potrebbe risucchiare talmente tanto materiale da renderla massiccia quanto un pianeta,» aggiunge Craig Heinke. «Se questa tendenza dovesse continuare, la stella potrebbe evaporare completamente».
Dati alla mano, gli astronomi hanno costruito varie simulazioni per cercare di tracciare l’evoluzione dinamica di questo sistema e risalire alla sua origine. Una possibilità è che il buco nero abbia interagito con una gigante rossa, i cui strati esterni sarebbero stati espulsi dal sistema. Il cuore della stella, invece, sarebbe andato a formare la nana bianca visibile oggi. Tramite l’espulsione di onde gravitazionali, infine, la nana bianca si sarebbe stabilita nella sua orbita attuale.
Purtroppo, i calcoli degli scienziati indicano che le onde gravitazionali dovute a questo evento avrebbero una frequenza troppo bassa per poter essere osservata dall’interferometro LIGO.
Una spiegazione alternativa prevede che la nana bianca sia nei pressi di una stella di neutroni, piuttosto che di un buco nero. In questo scenario, il materiale in caduta verso la stella di neutroni ne accelererebbe il moto di rotazione, trasformandola in una “pulsar millisecondo“. Tuttavia, varie proprietà tipiche di questi insoliti oggetti – tra cui la caratteristica variabilità alle lunghezze d’onda dei raggi X e radio – non sono state osservate nel caso di X9.
«Terremo d’occhio questa binaria, dato che sappiamo molto poco di come un sistema simile si comporti,» spiega Vlad Tudor della Curtin University. «Inoltre, continueremo a studiare altri ammassi globulari nella nostra galassia, alla ricerca di altri sistemi simili, così compatti».
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Il telescopio spaziale Hubble ci regala un ritratto straordinariamente affascinante del giovane superammasso di stelle conosciuto come Westerlund 1, un “vicino di casa” situato ad appena 15mila anni luce di distanza dal nostro Sistema solare, nella Via Lattea. È qui che gli astronomi hanno scoperto una delle più grandi stelle di sempre: un sole mostruoso con un raggio 1500 volte maggiore a quello che si trova al centro nostro Sistema.
Le stelle vengono classificate a seconda del loro spettro di emissione, temperatura superficiale e luminosità. Ed è durante il meticoloso studio di classificazione del giovane superammasso stellare che i ricercatori sono inciampati nella supergigante rossa Westerlund 1-26: una stella di dimensioni davvero eccezionali se pensiamo che, all’interno del nostro Sistema solare, si estenderebbe ben oltre l’orbita di Giove.
La maggior parte delle stelle che compongono Westerlund 1 si sono, con tutta probabilità, formate nello stesso momento e hanno età e composizioni simili. L’ammasso è relativamente giovane in termini astrofisici, un ragazzino di 3 milioni di anni se messo a confronto con il nostro Sole che brilla nel cielo da 4,6 miliardi di anni.
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Ecco un’altra bella congiunzione: Spica (alfa Virginis, mag. +1,1), la notte del 14 marzo, sarà accompagnata dal pianeta Giove (mag. –2,4) e dalla Luna all’inizio della fase calante. Sarà possibile trovare i tre astri, la sera, guardando verso oriente.
La Luna e Giove sorgeranno infatti dall’orizzonte est attorno alle 20:30, a una distanza reciproca di circa 2°. Una ventina di minuti dopo sorgerà anche la stella Spica, 4° e mezzo circa a sudovest di Giove.
La minima distanza tra il centro della Luna e Giove, di 1,9°, sarà raggiunta attorno alle 22, quando il terzetto si troverà a un’altezza media di 15°. Potremo poi seguire i tre astri attraversare il cielo in formazione, fino al mattino, quando tramonteranno, poco dopo l’alba, dietro l’orizzonte ovest.
Anche questa congiunzione si presta bene per riprese a grande campo.
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Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo
➜ La Luna di marzo.Un approfondito e interessante articolo alla scoperta di Plato, il Grande Lago Nero, e i suoi misteri.
Tutti consigli per l’osservazione del cielo di marzo su Coelum Astronomia 209
Fino a lunedì 3 aprile ospitiamo il Corso teorico di astronomia generale: un ciclo di conferenze settimanali che offre uno sguardo su argomenti raramente trattati nei corsi divulgativi. Scopriremo quali leggi fisiche agiscono nei più importanti fenomeni astronomici, per comprendere l’universo e la scienza che lo studia: approfondimenti di grandissimo interesse per gli appassionati. Un modulo riguarderà anche la meccanica quantistica.
– Gli incontri si svolgeranno tutti i lunedì dalle 21 alle 22.30 presso la nostra sede: sala conferenze San Gregorio Barbarigo, di fronte alla Metro B.
– Lunedì 13 marzo: “La nascita dell’astrofisica”.
Come sappiamo composizione chimica, temperatura, pressione, velocità, massa e altre caratteristiche delle stelle? ..La lezione comprende un’esperienza pratica: osserveremo dal vivo lo spettro discreto ad emissione tipico delle nebulose interstellari.
– Lunedì 20 marzo: “Le dimensioni dell’Universo”.
Un taglio storico per approfondire l’argomento delle distanze astronomiche. In dettaglio: Parallasse, Cefeidi, Supernovae Ia e le altre candele standard, costante di Hubble e Oscillazioni di Massa Barionica. Sul filo tra scienza e umanesimo.
Lunedì 13 marzo, ore 18.30
Nella galassia. Ricerca e proprietà dei pianeti extra-solari
Relatore: Antonio Pasqua (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 20 marzo, ore 18.30
Nel Cielo. Meraviglie del cielo stellato di primavera
Relatore: Stefano Schirinzi (Circolo Culturale Astrofili Trieste)
Lunedì 27 marzo, ore 18.30
Cosmologia. L’origine della costante cosmologica
Relatore: Prof. Edoardo Bogatec (Circolo Culturale Astrofili Trieste).
Sala Incontri del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, via dei Tominz 4.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
INFO:
Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
tel: 040 675 4603 / 040 375 8662
web: www.museostorianaturaletrieste.it
mail: sportellonatura@comune.trieste.it
Un’equipe internazionale di astronomi, guidati da Nicolas Laporte dell’University College di Londra, ha usato il telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) per osservare A2744_YD4, la galassia più giovane e più distante mai osservata da ALMA. Soprendentemente hanno trovato che questa giovane galassia contiene molta polvere interstellare – polvere formata dalla morte di una generazione precedente di stelle.
Osservazioni successive con lo strumento X-shooter sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno confermato l’enorme distanza di A2744_YD4. La galassia ci appare quindi così com’era quando l’Universo aveva solo 600 milioni di anni, durante il periodo in cui si stavano formando le prime stelle e le prime galassie.
Nicolas Laporte ci rivela che «Non solo A2744_YD4 è la galassia più distante mai osservata da ALMA, ma trovare così tanta polvere indica che una generazione precedente di supernove deve aver “inquinato” questa galassia».
La polvere cosmica è composta per la maggior parte da silicio, carbonio e alluminio, in grani piccolissimi, fino a un milionesimo di centimetro. Gli elementi chimici presenti nei grani si formano all’interno delle stelle e vengono sparsi nel cosmo quando le stelle muoiono, nel modo più spettacolare attraverso un’esplosione di supernova, l’atto finale della vita breve e intensa delle stelle più massicce.
Mentre oggi la polvere è abbondante e rappresenta un elemento chiave nella formazione di stelle, pianeti e molecole complesse, nell’Universo primordiale, invece, prima che le prime generazioni di stelle terminassero la propria vita, era molto scarsa.
Le osservazioni della galassia polverosa A2744_YD4 sono state possibili perché si trova dietro a un ammasso di galassie massiccio chiamato Abell 2744. Grazie a un fenomeno noto comelente gravitazionale, l’ammasso agisce come un gigantesco “telescopio” cosmico e ingrandisce la galassia più distante di circa 1,8 volte, permettendo così all’equipe di osservare una zona più lontana dell’Universo.
Le osservazioni di ALMA hanno anche trovato emissione di ossigeno ionizzato proveniente da A2744_YD4. È la più distante, e quindi la più antica nel tempo, rivelazione di ossigeno nell’Universo, e batte un precedente risultato di ALMA risalente al 2016.
L’osservazione di polvere nell’Universo primordiale fornisce nuove informazioni sull’epoca in cui sono esplose le prime supernove e perciò il momento in cui le prime stelle caldissime hanno inondato l’Universo di luce. Determinare l’epoca di questa “alba cosmica” è uno dei santi graal dell’astronomia moderna che ora può essere dedotta in modo indiretto grazie allo studio della polvere interstellare primordiale.
L’equipe stima che A2744_YD4 contenesse una quantità di polvere equivalente a 6 milioni di volte la massa del Sole, mentre la massa totale delle stelle della galassia – o massa stellare – era di 2 miliardi di volte la massa del Sole. Il tasso di formazione stellare è indicato come di 20 masse solari per anno contro la singola massa solare all’anno della Via Lattea.
«Un tasso non insolito per una galassia così distante, ma indica come la polvere di A2744_YD4 si sia formata velocemente,» spiega Richard Ellis (ESO e University College di Londra), coautore del lavoro. «È sorprendente verificare che il tempo richiesto è di soli 200 milioni di anni – stiamo in pratica osservando questa galassia poco dopo la sua formazione».
In altre parole, un episodio di formazione stellare significatio è iniziato 200 milioni di anni prima dell’era in cui osserviamo adesso quella galassia. Una grande opportunità che ALMA ci offre per studiare l’era in cui le prime stelle e le prime galassie si sono letteralmente “accese” – le epoche più antiche mai sondate.
Il nostro Sole, il nostro pianeta e la nostra esistenza sono il prodotto – 13 miliardi di anni dopo – di queste prime generazioni di stelle. Studiando la loro formazione, le loro vite e la loro morte stiamo in pratica esplorando le nostre origini.
«Con ALMA, le prospettive per osservazioni più profonde e più estese di galassie simili a questa in queste epoche così lontane sono molto promettenti», commenta Ellis.
E Laporte conclude: «Ulteriori misure di questo tipo ci daranno una prospettiva esaltante di poter tracciare le prime e più antiche formazioni stellari e la creazione di elementi chimici più pesanti anche più antiche, nell’Universo primordiale».
Le osservazioni di ALMA hanno rivelato che una galassia molto distante, osservata quando l’Universo aveva solo il 4% della sua età attuale, era molto ricco di polvere cosmica. Questo episodio di ESOcast “in pillole” mostra cosa significa e perchè è importante.
Il video è disponibile in 4K UHD.
Crediti: ESO
Editing: Herbert Zodet.
Web and technical support: Mathias André and Raquel Yumi Shida.
Written by: Thomas Barratt and Lauren Fuge.
Music: Jennifer Athena Galatis.
Footage and photos: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA, ESA, ESO and D. Coe (STScI)/J. Merten (Heidelberg/Bologna)/spaceengine.org/Digitized Sky Survey 2, M. Kornmesser and P. Horálek.
Directed by: Herbert Zodet.
Executive producer: Lars Lindberg Christensen.
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Gli ammassi stellari contengono solo stelle vetuste? In teoria sarebbe così, ma gli scienziati hanno di recente scoperto una popolazione di stelle “giovani” nella Grande nube di Magellano, galassia nana satellite della nostra. Strano? Sì, perché gli ammassi stellari contengono stelle nate e cresciute tutte nella stessa epoca (più o meno la stessa della Via Lattea) e dallo stesso materiale primordiale. La scoperta, pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è stata realizzata incrociando le posizioni di diverse migliaia di giovani stelle con le posizioni degli ammassi stellari: i ricercatori hanno trovato 15 candidati stellari che sarebbero effettivamente molto più giovani di altre stelle all’interno dello stesso ammasso. «Se questa ipotesi è corretta, dovranno essere rivisitati e rivisti modelli importanti», dice Bi-Qing For, dell’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar) di Perth (Australia), riferendosi a modelli che mettono in relazione la massa e l’evoluzione delle stelle nei cluster.
«La formazione di queste stelle più giovani potrebbe essere stata alimentata da gas che è entrato nel cluster dallo spazio interstellare, ma abbiamo eliminato questa possibilità utilizzando le osservazioni fatte con i radiotelescopi», spiega il co-autore Kenji Bekki (anche lui Icrar), «per dimostrare che non c’era alcuna correlazione tra l’idrogeno interstellare e la posizione dei cluster che stavamo studiando». Cosa è successo? «Crediamo che le stelle più giovani siano state create dalla materia espulsa dalle stelle più vecchie in fase di estinzione, il che significherebbe che abbiamo scoperto generazioni multiple di stelle appartenenti allo stesso cluster».
Le stelle sono state osservate agli infrarossi con Spitzer ed Herschel di Nasa ed Esa, perché la polvere attorno a loro impediva le rilevazioni in banda ottica. Presto questo involucro di polvere e gas sparirà, e anche Hubble sarà in grado di vederle.
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Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Nei suoi quasi vent’anni di attività nello spazio, la missione Cassini ha fatto molto per ispirare il genere umano. Partita nell’ottobre del 1997 da Cape Canaveral, la sonda della Nasa ha inviato a Terra alcune delle immagini più spettacolari della storia dell’esplorazione spaziale: dagli anelli di Saturno, alle sue lune ghiacciate, passando per scorci mozzafiato dell’atmosfera del gigante con gli anelli. La sonda Cassini non si è limitata a studiare Saturno e il suo sistema, scoprendo ad esempio i geyser d’acqua al polo sud di Encelado o i mari di idrocarburi su Titano, ma ha realizzato delle vere e proprie opere d’arte, come il selfie collettivo scattato a luglio del 2013, inquadrando la Terra, o le immagini di Giove e della sua densa atmosfera, catturate durante la manovra di sorvolo ravvicinato del pianeta nel 2000.
Negli ultimi mesi Cassini si è inserita su orbite sempre più vicine al pianeta e agli anelli, ottenendo le immagini a più alta risoluzione di sempre. La sonda si sta avvicinando al suo gran finale, previsto per il 15 settembre prossimo, durante il quale la sonda si tufferà nell’atmosfera del pianeta. Questo simbolico evento segnerà la fine di una delle missioni spaziali più ambiziose mai realizzate dall’umanità. Per celebrare questa occasione la Nasa ha lanciato un concorso, con il quale raccoglierà opere d’arte ispirate dalla missione Cassini.
L’idea è di consultare una selezione di immagini tra quelle scattate dalla sonda nel corso della sua attività, e di lasciarsi solleticare la fantasia. Una volta scelta l’immagine, associata magari alla scoperta scientifica che più vi ha colpito, potrete scrivere una poesia o un testo di prosa, realizzare un quadro, un collage o una fotografia, mettere in scena un’opera teatrale o una danza. La libertà, dal punto di vista creativo è totale, purché l’opera finale non violi i diritti d’autore di nessuno e non contenga messaggi commerciali (per consultare il regolamento completo, visitate questa pagina).
Per partecipare sarà sufficiente condividere la vostra creazione su una piattaforma social a scelta utilizzando l’hashtag #CassiniInspires, oppure inviandola direttamente all’indirizzo di posta elettronica cassinimission@jpl.nasa.gov. Quelle ritenute migliori verranno condivise sulle pagine social della Nasa e sulla pagina internet dedicata al concorso. Che aspettate? Cassini non vede l’ora di diventare la vostra musa.
Aggiornamenti dal Sistema solare, con le ultime scoperte delle quattro principali missioni, oltre a Cassini quindi anche le ultime scoperte da Rosetta, Dawn e Juno.
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La Luna quasi piena e la stella Regolo (alfa Leonis, mag. +1,4) saranno in congiunzione il 10 marzo, verso le 22:35. I due astri splenderanno altissimi in cielo (quasi 60° di altezza sull’orizzonte), e la loro distanza reciproca sarà di 1,2° per cui saranno osservabili entrambi, oltre che a occhio nudo, anche attraverso un telescopio, all’interno dello stesso campo visivo.
Nella visione ad occhio nudo è necessario considerare che Regolo sarà immersa nel forte chiarore lunare.
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Una nuova immagine dalla sonda Cassini ci mostra Encelado come un mondo diviso, e proprio come l’antica divinità greca Giano, ci mostra i suoi due volti: tra passato e futuro, tra superficie esterna e attività interna.
A nord un volto antico, segnato dalle grandi quantità di crateri e i tanti impatti che la luna ha subito nell’arco della sua vita, e che ce ne racconta il passato mostrandoci la parte più esterna. A sud una superficie più liscia, giovane, increspata solo dall’attività geologica più recente e tutt’ora in corso, che ci svela il suo interno.
La maggior parte dei corpi del Sistema solare che non possiedono un’atmosfera sono infatti pesantemente butterati come il nord di Encelado (di 504 chilometri di diametro), registrando e mantenendo traccia di ogni impatto ed evento subito.
Tuttavia, l’attività geologica nel suo emisfero sud, attività probabilmente tutt’ora in corso di cui ne è segno anche il famoso pennacchio del polo sud, ha l’effetto di cancellare i “segni dell’età” appianando i crateri e lasciando una superficie più giovane e liscia, proprio come un moderno lifting.
Su Coelum Astronomia di marzo tutti gli Aggiornamenti dal Sistema solare, con le ultime scoperte delle quattro principali missioni, oltre la Cassini quindi anche le ultime scoperte da Rosetta, Dawn e Juno.
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9 marzo: LIFT-OFF – Diretta streaming di esplorazione spaziale 16 marzo: Corso di astrofotografia on line 30 marzo: Diretta streaming di aggiornamento astronomico
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