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Energia oscura addio? Non proprio

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Due metodi a confronto per misurare la velocità di espansione dell’universo. A sinistra, quello basato sulle supernove 1a, le “candele standard”. A destra, con le coppie di galassie, il “metro standard” utilizzato nella WiggleZ survey. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Due metodi a confronto per misurare la velocità di espansione dell’universo. A sinistra, quello basato sulle supernove 1a, le “candele standard”. A destra, con le coppie di galassie, il “metro standard” utilizzato nella WiggleZ survey. Crediti: NASA/JPL-Caltech

In un recente articolo apparso su Scientific Reports, tre ricercatori, tra cui l’italiano Alberto Guffanti del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, hanno sollevato alcuni dubbi su una delle scoperte più importanti della cosmologia: l’espansione cosmica accelerata, ovvero che la velocità con cui l’universo si espande sta accelerando.

Grazie all’utilizzo di un catalogo di 740 supernove 1a, un numero più di dieci volte superiore a quello del campione originale che portò alla fondamentale scoperta, gli autori hanno trovato che l’evidenza a favore di un’accelerazione cosmica dello spazio potrebbe essere marginale, cioè meno robusta di quanto fin qui ritenuto. I risultati del nuovo studio sarebbero invece consistenti con un tasso di espansione costante.

Cinque anni fa, il premio Nobel per la Fisica venne attribuito a Brian P. Schmidt, Adam RiessSaul Perlmutter per la loro scoperta dell’espansione cosmica accelerata. La loro conclusione si basava sull’analisi di una particolare classe di supernove, dette di tipo 1a, osservate sostanzialmente dal telescopio spaziale Hubble assieme ad altri grandi telescopi terrestri. Essa portò all’idea, ormai comunemente accettata, che l’universo sia dominato da una misteriosa forza non direttamente rilevabile, chiamata energia oscura, che determinerebbe il ritmo accelerato dell’espansione cosmica.

«La scoperta dell’espansione cosmica accelerata ha portato alla vincita del premio Nobel, del Gruber Cosmology Prize e del Breakthrough Prize in Fisica Fondamentale», spiega Subir Sarkar del Dipartimento di Fisica all’Università di Oxford e co-autore dello studio. «Essa ha ormai portato all’idea comunemente accettata che l’universo è dominato da una forma di energia oscura che si ritiene agisca come la famosa costante cosmologica di Einstein. Questo concetto sta alla base del ‘modello standard’ della cosmologia».

Gli autori del nuovo studio, tuttavia, compiendo tutta una serie di analisi statistiche sul loro più ampio database di supernove, hanno trovato che l’evidenza a favore di un’espansione accelerata sta entro uno scarto statistico di ‘3 sigma’. «È poco per avere i classici ‘5 sigma’ richiesti per affermare invece che siamo di fronte a una vera e propria scoperta di significato fondamentale», afferma Sarkar.

La figura illustra il contributo di quattro sorgenti di dati nel piano ΩΛ-Ωm. Si nota che le supernove non rappresentano l’unica sorgente d’informazione che indica una costante cosmologica diversa da zero. I dati associati agli ammassi, ai gamma-ray burst e alla radiazione cosmica (CMB) sono altrettanto rilevanti. Quindi, il fatto che quattro ellissi si sovrappongano non è banale e suggerisce che le quattro sorgenti di dati sono in accordo con un modello che viene chiamato “concordanza”. Il modello standard della cosmologia con i parametri in prossimità dell’ellisse più piccola al centro delle sovrapposizioni è noto come “modello di concordanza”. Crediti: Amati & Della Valle 2013

Ci sono, comunque, altri dati disponibili che sembrano supportare l’idea di un’espansione cosmica accelerata: ad esempio, l’informazione sulla radiazione cosmica di fondo ottenuta mediante una serie di esperimenti, condotti da terra e dallo spazio, come quelli – più recenti – del satellite Planck dell’ESA. «Tutti questi test sono indiretti», continua Sarkar. «Essi vengono eseguiti nell’ambito di uno specifico modello, che si basa su determinate assunzioni, e la radiazione cosmica non è direttamente influenzata dall’energia oscura. In realtà, esiste un effetto molto piccolo, il cosiddetto effetto Sachs-Wolfe integrato, che però non è stato rivelato in maniera convincente».

In altre parole, gli autori sostengono che le argomentazioni basate sulla radiazione cosmica di fondo sarebbero dipendenti dal modello assunto e che il modello potrebbe essere sbagliato, il che renderebbe invalide le argomentazioni stesse basate sulla radiazione cosmica di fondo.

«Credo che esista una possibilità di essere sviati e che l’apparente manifestazione dell’energia oscura sia una conseguenza di come vengono analizzati i dati nell’ambito di un modello teorico estremamente semplificato, che di fatto venne costruito negli anni ’30, cioè parecchio tempo prima che fossero disponibili molti più dati osservativi reali», fa notare Sarkar. «Un quadro teorico più sofisticato, che tenga conto del fatto che l’universo non sia esattamente omogeneo e che il suo contenuto di materia possa non comportarsi come un gas ideale, due assunzioni fondamentali della cosmologia standard, potrebbe tener conto di tutte le osservazioni senza richiedere la necessità di introdurre il concetto di energia oscura. Il vero problema è che l’energia del vuoto è qualcosa che ancora non comprendiamo con certezza».

Certo, sarà necessario un grande lavoro per convincere la comunità scientifica di tutto questo in quanto, secondo gli autori, il presente lavoro serve a dimostrare che un pilastro fondamentale del modello cosmologico standard risulterebbe piuttosto traballante. Ma per chiarire questi concetti e per fare il punto sui risultati ottenuti da Nielsen, Guffanti e Sarkar, Media INAF ha posto alcune domande a Massimo Della Valle, direttore dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte, già collaboratore di Saul Perlmutter sugli studi di supernove-1a ad alto redshift.

La figura 2 di Nielsen et al. che mostra i contorni di confidenza nel piano ΩΛ-Ωm. Crediti: Nielsen et al. 2016

Dovremmo fare un passo indietro in relazione alla scoperta dell’espansione cosmica accelerata, cioè rivedere tutto e mettere in discussione il modello standard della cosmologia?

«Se dobbiamo fare un passo indietro non lo so, ma sicuramente non lo faremo sulla base di quanto riportato nel lavoro di Nielsen et al. che mettono in discussione non solo l’espansione accelerata dell’Universo, ma, implicitamente, anche il fatto di vivere in un universo caratterizzato da una geometria “piatta”, come misurato in passato dall’esperimento BOOMERANG e più recentemente  da Planck. L’analisi della figura 2 di Nielsen et al. rivela il punto critico delle loro conclusioni. Al termine della loro analisi statistica su un campione di oltre 700 supernove, gli autori trovano che i dati sono ‘consistenti’ entro ‘3 sigma’ con un universo in espansione costante, caratterizzato da Ωm ~0.1 e quindi ΩΛ ~0.05, che però sono valori incompatibili con Ωk = 0.000±0.005, il parametro di curvatura, corrispondente all’universo “piatto” misurato da Planck».

La figura 3 di Nielsen et al. mostra (in alto) il confronto relativo al modulo di distanza, in funzione del redshift, misurato con il suo valore atteso di best fit nel caso di un universo in accelerazione e (ΛCDM) di un universo che si espande con velocità costante (Milne). Il pannello in basso mostra i residui relativi al modello di Milne. Crediti: Nielsen et al. 2016

Sarebbe, dunque, solo una questione di statistica, e perciò di un’analisi più dettagliata dei dati, che porterebbe gli autori a queste conclusioni?

«Si, direi che le loro conclusioni si basano su un’interpretazione puramente statistica dei dati, ma nel contempo gli autori perdono di vista il contesto cosmologico, a formare il quale hanno contribuito altre evidenze osservative (BAO e Galaxy clusters, per esempio). È quasi sicuro che le supernove-1a soffrano di effetti sistematici e che quindi non sia stato sufficiente aumentare il campione di supernove-1a per migliorare la precisione delle misure dei parametri cosmologici (la figura 3 di Nielsen et al. è emblematica, da questo punto di vista). Tuttavia, quando andiamo a considerare solo gli oggetti meglio osservati, specialmente includendo oggetti a redshift maggiori di 1, l’andamento mi sembra inequivocabile e l’espansione accelerata non sembra in discussione. Le parole del cosmologo inglese Martin Rees, a questo proposito, chiariscono in modo esemplare questo punto: “Storicamente le supernove hanno fornito la prima evidenza osservativa per un universo in espansione accelerata. Ma se l’ordine degli eventi fosse stato diverso, avremmo potuto predire l’accelerazione dell’espansione solamente sulla base del modello CDM e a questo punto le supernove avrebbero semplicemente fornito una conferma soddisfacente”».

Siamo sicuri, però, che le supernove-1a siano davvero “candele standard”?

«In realtà sono “candele” standardizzabili. Nell’universo locale il processo di “standardizzazione” delle supernove-1a funziona, e non si hanno indizi che facciano ritenere che lo stesso non accada a redshiftpiù alti. Però, se vogliamo tornare ad una misura diretta dei parametri cosmologici, l’unico modo per circoscrivere e valutare l’azione degli errori sistematici è quello di cambiare la metodologia sperimentale fin qui adottata, basata, per l’appunto, sulle supernove-1a. In questo senso, l’utilizzo dei Gamma-Ray Bursts (GRB) per misurare Ωm, in modo indipendente dalle supernove-1a, è stato un passo importante. Sebbene la misura di Ωm ottenuta con i GRB sia ancora caratterizzata da barre d’errore molto grandi, il risultato ottenuto converge verso un valore di Ωm~ 0.3 e quindi confermerebbe il risultato trovato dalle supernove-1a nel 1998».

Secondo gli autori, dovremmo pensare a un quadro teorico più sofisticato che tenga conto di tutte le osservazioni senza richiedere la necessità di introdurre il concetto di energia oscura. Dunque, l’energia oscura sarebbe un falso problema?

«Al contrario, a me più che “falso” sembra “oscuro”, anzi uno dei problemi più enigmatici della moderna astrofisica. Nel lungo termine, come sottolineato da Nielsen et al. verso la fine del loro articolo, l’esperimento CODEX presso l’European Extremely Large Telescope (EELT) dovrebbe chiarire in modo definitivo il punto in discussione, misurando direttamente la variazione del tasso di espansione dell’universo (redshift-drift). Nel breve termine, invece, la scoperta di supernove-1a a grandi redshift (z=1.5-2) e la loro collocazione nel diagramma magnitudine-distanza potrebbe dare indicazioni molto interessanti sul tipo di espansione che caratterizza l’universo nel quale viviamo».


Per saperne di più:

Per maggiori approfondimenti:


Meraviglioso Marte, nel nuovo numero di Coelum astronomia di novembre
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Festival della Scienza – Segni

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Festival della Scienza

Festival della Scienzafestival Scienza211 giorni di mostre, laboratori, spettacoli, conferenze, incontri ed eventi speciali. Una festa, un melting pot, un grande contenitore dove tutti possono parlare di scienza e avvicinarsi alle discipline scientifiche. Un’occasione per toccare con mano la scienza in modo efficace e divertente per stimolare l’interesse di qualsiasi fascia d’età o livello di conoscenza.

La quattordicesima edizione del Festival della Scienza si terrà a Genova dal 27 ottobre al 6 novembre 2016 e avrà come parola chiave segni. La scienza studia i segni che l’uomo ravvisa nella natura, ma anche la scienza è scritta con i segni di un linguaggio appropriato inventato dall’uomo. Una parola chiave che ha ispirato un programma variegato, eterogeneo e multidisciplinare.

484 animatori, fra studenti universitari e giovani ricercatori provenienti da tutta Italia, a cui si affiancheranno studenti delle scuole secondarie genovesi in un progetto di alternanza scuolalavoro supportato dalla Regione Liguria, vi accoglieranno negli oltre 280 eventi in programma. Conferenze, incontri, mostre, laboratori, spettacoli ed eventi speciali, per toccare con mano la scienza in modo divertente e per stimolare l’interesse di qualsiasi fascia d’età o livello di conoscenza.

Segnaliamo in particolare:
29.10: “Le stelle del cinema. Scienza e fantascienza sul grande schermo” di Roberto Battiston, Presidente ASI.
29.10: “Astronomia Gravitazionale. Nascita di una nuova scienza” con Marica Branchesi, Laura Cadonati, Marco Drago, Giorgio Pacifici, Fulvio Ricci.
30.10: “Onda su onda. La radioastronomia da Marconi ad Einstein” di Nicki D’Amico.
31.10: “ExoMars: l’Italia è su Marte. Alla ricerca di segni di vita sul pianeta rosso” con Massimo Della Valle, Francesca Esposito, Barbara Negri.
02.11: “Buchi neri e onde gravitazionali. Segni dallo spazio” con Gianluca Gemme, introduce: Enrico Beltrametti.
04.11: “Qual è la materia che riempie l’Universo? Alla ricerca dei segreti della dark matter” di Elena Aprile
06.11: “Cacciatori di Onde. Advanced Virgo e LIGO, la nascita di una nuova scienza” di Adalberto Giazotto.
…e lo spettacolo: “Da Talete a Higgs. Una passeggiata molto fisica” di e con Massimo Schuster il 4 novembre al Teatro Cargo.

Mappa del Festival
Scarica il programma completo in formato pdf
www.festivalscienza.it

Caccia al pianeta extrasolare… con la lente

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Le traiettorie previste per Alpha Centauri A (in arancione) e B (in rosso), sovrapposte su di un'immagine acquisita dallo strumento SOFI del New Technology Telecope (NTT) dell'ESO e dallo strumento NACO del VLT. È mostrata la congiunzione con la stella S5 (la stella più brillante nell'immagine NACO). Sullo sfondo un'immagine della Digitised Sky Survey 2. Crediti: P. Kervella et al. (CNRS / U. de Chile / Observatoire de Paris / LESIA)/ESO

L’appuntamento è fissato per il 2028, anno in cui – con la complicità di un fenomeno chiamato effetto “lente gravitazionale” e al possibile conseguente anello di Einstein – si aprirà la caccia “indiretta” ad un presunto inquilino del sistema stellare a noi più prossimo, Alpha Centauri.

A segnalare il save the date, un team di scienziati francesi guidati da Pierre Kervella del CNRS/Universidad de Chile: collezionando i dati raccolti con i telescopi dello European Southern Observatory, l’equipe ha calcolato le traiettorie della coppia stellare Alpha Centauri A e B, predicendo ogni allineamento da qui al 2050 tra gli astri in questione e altri oggetti sullo sfondo, con una possibilità di errore trascurabile.

L’analisi ha permesso di identificare il futuro allineamento tra il sistema AB e la lontana 5S — probabilmente una stella rossa — con conseguente deflessione della sua radiazione luminosa (l’effetto lente gravitazionale, appunto) e probabile Anello di Einstein. Gli astronomi, conosciuta la massa delle due stelle, stimano di poter risalire al grado di curvatura della radiazione luminosa e calcolare, in caso di variazione rispetto alle misurazione prevista, la presenza di altre masse, come appunto i pianeti.

Secondo infatti le ipotesi degli astronomi Alpha Centauri A nasconderebbe un pianeta che con un po’ di fortuna potrebbe essere individuato con la complicità di S5. Non resta che aspettare il maggio 2028.


Leggi lo speciale su Proxima b e sulla ricerca di pianeti extrasolari su Coelum 204 di ottobre.
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Astroiniziative UAI

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I convegni e le iniziative dell’UAI

28-30 ottobre ICARA 2016, XIII Congresso Nazionale di Radioastronomia Amatoriale Organizzato da SdR

Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy in collaborazione con l’Associazione Astrofili Urania presso l’Osservatorio Astronomico Val Pellice, in provincia di Torino.
radioastronomia.uai.it

Le campagne nazionali UAI

29 ottobre Riaccendiamo le stelle, Giornata nazionale dell’inquinamento luminoso Eventi e conferenze locali per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso. Promossa dalla Commissione Inquinamento Luminoso UAI.
inquinamentoluminoso.uai.it

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ExoMars: successo o insuccesso?

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Ancora non ci sono dichiarazioni ufficiali da parte dell’ESA sulla sorte toccata al lander Schiaparelli ma in rete si possono già leggere numerosi articoli dai titoli spesso sensazionalistici che parlano di incredibili crash e di schianti che porterebbero a considerare la missione ExoMars un fallimento. Calma e analizziamo una cosa per volta.

Qui potete trovare la cronaca delle ultime ore della discesa di Schiaparelli, il 19 ottobre, e le dichiarazioni fatte alla conferenza stampa ESA.

Prima di tutto è necessario chiarire che, appunto, non ci sono dettagli sulla fine della discesa del lander: la mole di dati che ha raggiunto il centro di controllo ESOC di Darmstadt è ancora in fase di analisi e gli ingegneri si dicono molto fiduciosi di poter far luce su quanto avvenuto.

Una rappresentazione artistica del momento in cui il paracadute di Schiaparelli si separa dal modulo ed entrano in azione i retrorazzi... proprio il momento in cui si è perso il contatto con il lander. Crediti: ESA

Sappiamo di un funzionamento parziale dei retrorazzi necessari per rallentare la discesa del lander fino a farlo posare delicatamente sulla superficie: soli 3 secondi (sui 30 previsti), un tempo assolutamente insufficiente a frenare adeguatamente il modulo, che probabilmente si è rovinosamente schiantato sulla superficie di Marte, ma saltare subito alle conclusioni senza conoscere il resto dei dati non è certo compito nostro.
L’unica cosa sicura è che le cose non sono andate positivamente, come previsto dal programma della discesa di Schiaparelli. Tuttavia questo non significa che la missione sia un fallimento. ExoMars rimane una missione di ricerca astrobiologica estremamente importante e se per Schiaparelli le cose non sono andate del tutto bene, bisogna invece ricordare che la “nave madre”, l’orbiter TGO – Trace Gas Orbiter, sta funzionando secondo il programma e ha eseguito alla perfezione la manovra di inserimento orbitale.

Jan Woerner. Crediti: ESA

«Possiamo confermarlo: abbiamo una missione in orbita intorno a Marte». Queste le parole di Jan Woerner, direttore generale dell’ESA, all’apertura della conferenza stampa che si è tenuta lo scorso 20 ottobre al centro ESOC, dopo un’intensa nottata dedicata all’analisi dei dati raccolti. Una consistente parte della missione scientifica di questa prima fase di ExoMars sarà infatti condotta proprio dal TGO: Schiaparelli sarebbe comunque stato operativo, nella migliore delle ipotesi, soltanto per 8 giorni marziani.

«Quello di EDM (Schiaparelli) è un test di atterraggio che ci ha fornito informazioni per poter condurre al meglio la prossima fase della missione ExoMars 2020 che porterà su Marte un rover con tecnologia europea. Abbiamo i dati, il test è andato a buon fine e mi ritengo soddisfatto» continua Woerner.

Sentendo queste parole si potrebbe pensare ad un tentativo di minimizzare, di ridurre quello che da molti è stato un po’ frettolosamente bollato come un fallimento totale. In realtà però, sui quasi 6 minuti di discesa, solo poco prima (sull’ordine dei 50 secondi) del presunto momento del touchdown è stato perso il contatto radio. Per tutto il resto del tempo il lander ha raccolto e trasmesso una grande quantità di informazioni preziose e utili a comprendere le dinamiche del volo in caduta nell’atmosfera marziana e ciò, assicura più volte durante la conferenza stampa Andrea Accomazzo, garantisce agli scienziati i dati necessari per capire cosa sia successo e cosa si dovrà fare meglio o diversamente. D’altra parte lo dice il nome stesso del lander: EDM, Entry, Descent and Landing Demonstrator Module, ossia Modulo di dimostrazione per l’ingresso, la discesa e l’atterraggio.

Inoltre, durante la discesa, la piattaforma scientifica AMELIA, la suite di strumenti made in Italy per l’analisi dell’atmosfera e il monitoraggio delle prestazioni ingegneristiche del lander (PI Francesca Ferri, Università degli Studi di Padova), ha funzionato alla perfezione per tutto il tempo in cui è stato mantenuto il contatto. Anche l’esperimento DREAMS, sempre italiano (PI Francesca Esposito, INAF – Osservatorio Astronomico Capodimonte, Napoli), si era correttamente attivato e sembra aver trasmesso, proprio all’ultimo, una piccola parte di informazioni.
Di certo, non sarà possibile condurre gli altri rilevamenti previsti con questi strumenti che, secondo il programma originario, comunque avrebbero operato solo per pochi giorni, quelli concessi dalla batteria di alimentazione di Schiaparelli (che non era dotato di pannelli solari, essendo la sua una missione a brevissimo termine).
Insomma, nonostante il cattivo esito della manovra di atterraggio, il modulo di test ha svolto comunque il suo dovere: testare le tecnologie. Qualcosa non ha funzionato come doveva e sarà necessario capire cosa sia andato storto in modo da correggere il necessario in vista della fase ExoMars2020.

Il TGO, Trace Gas Orbiter durante la manovra di inserimento orbitale attorno a Marte. Crediti: ESA

Nel frattempo, un po’ trascurato dall’attenzione dei media mondiali, l’orbiter TGO ha iniziato la sua vita nell’orbita di Marte, che lo porterà a raccogliere preziosissimi dati per molti anni a venire. Ma se volete saperne di più, non perdetevi il prossimo numero di Coelum Astronomia, con tutti i dettagli sulla missione ExoMars!

In attesa di nuove informazioni sulla triste sorte del lander Schiaparelli, auguriamo lunga vita a TGO!

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Juno colpita da una nuova anomalia, la NASA ripensa l’intera missione

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Il 19 ottobre, la sonda americana Juno ha sorvolato Giove per la seconda volta nella sua missione – la terza se si include anche la manovra di inserimento orbitale. Tuttavia, alle 7:47 ora italiana, la sonda è stata colpita da un’anomalia che ha portato il computer di bordo ad eseguire un riavvio forzato ed entrare in modalità di emergenza.

Gli ingegneri sono riusciti a ristabilire le comunicazioni con la sonda; nel frattempo, però, Juno ha dovuto cancellare la complessa sequenza scientifica che era prevista per il passaggio di ieri.

«Al momento dell’anomalia, la sonda era a più di 13 ore dal suo incontro ravvicinato con Giove,» spiega Rick Nybakken della NASA. «Eravamo ancora a una discreta distanza dalle regioni più intense nelle fasce di radiazione di Giove. La sonda è in buona saluta e stiamo lavorando per recuperare le sue funzionalità».

Quella di ieri è stata la seconda anomalia in poco tempo per Juno. Appena qualche giorno fa, infatti, la sonda aveva riscontrato un’anomalia in due valvole di ritegno nel sistema di pressurizzazione ad elio; il guasto, la cui origine non è ancora stata determinata con certezza, aveva costretto gli ingegneri a cancellare la manovra di riduzione del periodo orbitale prevista proprio per ieri e rimandarla fino al prossimo perigiovio, previsto per l’11 dicembre.

La manovra avrebbe permesso a Juno di portarsi sulla sua prima orbita scientifica, riducendo il periodo orbitale da 53,4 a 14 giorni. Non è ancora chiaro se l’anomalia del 19 provocherà un ulteriore ritardo nell’inizio della campagna scientifica di Juno. Nell’ultimo aggiornamento pubblicato dalla NASA, si legge che «tutti gli strumenti scientifici saranno attivi durante il prossimo perigiovio,» il che lascia intuire che la manovra sia già stata nuovamente rimandata, in quanto tutta la strumentazione scientifica deve essere spenta a ogni accensione del motore.

Coelum 202 luglio agosto

Ad alimentare i sospetti, Scott Bolton, a capo della missione, ha riferito che «tutti gli obiettivi scientifici di Juno potranno essere raggiunti anche da un’orbita di 53,4 giorni».  Ciò suggerisce che Juno potrebbe restare nella sua orbita attuale ancora per molto tempo.

Volete scoprire di più su Juno e Giove?

Non perdetevi il nostro ampio speciale (con interviste agli scienziati della missione) su Coelum Astronomia.
Potete sfogliare la rivista, completamente gratuita e digitale, qui: https://goo.gl/oGLXBZ


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Astronomiamo – Gli appuntamenti di Ottobre

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LocandinaCoelum
8 ottobre 2016 – International Observe the Moon Night 2016

12 ottobre 2016 – PROXIMA b: gemello, fratello o cugino? Ospite: Prof. Leopoldo Benacchio.

13 ottobre 2016 – LIFT OFF: Stream mensile di astronautica. Corso di orientamento celeste a Frosinone.

27 ottobre 2016 – Occhi al Cielo – Stream di aggiornamento

Tutti i dettagli su astronomiamo.it

ExoMars: TGO è in orbita! Ancora sconosciuta la situazione del lander Schiaparelli

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Il grande giorno di ExoMars è ormai agli sgoccioli. Il Trace Gas Orbiter (TGO) ha completato con successo la cruciale manovra di inserimento orbitale; nel frattempo, il modulo Schiaparelli ha eseguito una drammatica discesa attraverso l’atmosfera marziana, ma le sue condizioni rimangono ignote in seguito alla perdita del segnale avvenuta poco prima del contatto con il suolo.

Il primo segnale inviato da TGO dopo l'inserimento orbitale.

L’accensione del motore da 424 N di spinta di TGO è avvenuta in perfetto orario, alle 15:04:47 ora italiana. La prima parte della manovra è stata monitorata in tempo reale dall’antenna 43 del Deep Space Network di Canberra; poi, la sonda è scomparsa dietro l’orizzonte marziano, interrompendo tutte le comunicazioni con la Terra. Lo spegnimento del motore è avvenuto alle 17:24, leggermente prima del previsto, portando la sonda su un’orbita con un periodo di poco superiore a quello desiderato (pari a 4 giorni marziani), ma comunque ben all’interno dei limiti. La manovra ha rallentato la sonda di circa 5580 chilometri orari. TGO ha ristabilito le comunicazioni tramite la sua antenna ad alto guadagno alle 18:34, dopo essere tornata in normale assetto di volo ed essere riemersa al di sopra dell’orizzonte marziano.

Il primo segnale di Schiaparelli dopo il suo risveglio nei dati di GMRT.

Meno chiaro, invece, è lo stato di Schiaparelli. Il modulo d’atterraggio si è risvegliato con successo alle 15:27 e ha fatto il suo ingresso nell’atmosfera marziana alle 16:42, inaugurando una drammatica discesa di 5 minuti e 53 secondi. Il contatto con l’atmosfera è avvenuto a 122,5 km di quota e a una velocità di 21 mila km/h. La frizione atmosferica ha rallentato Schiaparelli fino a 1650 km/h a 11 km dal suolo; a questo punto, il modulo ha aperto il suo paracadute da 12 metri di diametro. Quattro chilometri più in basso, Schiaparelli ha rilasciato il suo scudo termico anteriore, permettendo all’altimetro radar di entrare in funzione e guidare il modulo verso la superficie. A 1,3 km dal suolo, Schiaparelli si è staccato dallo scudo termico posteriore e dal paracadute, accendendo i suoi motori di atterraggio.
La discesa di Schiaparelli è stata monitorata in tempo reale (se non per i 9 minuti e 47 secondi di ritardo dovuti alla distanza di Marte) attraverso gli spostamenti Doppler nella frequenza dei segnali captati dal radiotelescopio GMRT, in India. Anche le due antenne UHF Melacom a bordo di Mars Express hanno registrato la discesa, ma i loro dati hanno raggiunto l’antenna di Cebreros solo alle 17:46.
Sia le registrazioni del GMRT che quelle di Mars Express mostrano che tutti gli eventi sono stati eseguiti con successo fino alla separazione del paracadute e forse fino anche all’accensione dei motori. Poi, però, il segnale di Schiaparelli si è bruscamente interrotto per motivi ancora sconosciuti. Ignoto rimane anche lo stato della sonda sulla superficie marziana.
Maggiori informazioni sull’esito del tentativo di atterraggio di Schiaparelli arriveranno domattina. Per tutta la notte, i controllori di volo saranno impegnati ad analizzare i dati raccolti da MRO, che ha sorvolato il sito d’atterraggio pochi minuti dopo la discesa di Schiaparelli, e da TGO, le cui antenne ad alta frequenza Electra hanno registrato oltre 20 Mb di informazioni.

Aggiornamento dalla conferenza stampa ESA del 20 ottobre, ore 10:00

  • → TGO è in ottima salute; la manovra di inserimento orbitale è stata eseguita esattamente come previsto ed è pronto a fare scienza per molti anni.
  • → La discesa di Schiaparelli è stata nominale fino alla sequenza di apertura e separazione del paracadute. Il modulo ha trasmesso una grande quantitá di dati fino alla perdita del segnale.
  • → Il contatto è stato perso circa 50 secondi prima del contatto con il suolo.
  • → I dati trasmessi da Schiaparelli rivelano che il sistema di propulsione ha operato correttamente per almeno alcuni secondi. Anche il radar di discesa si è attivato come previsto.
  • → Ancora non si sa se Schiaparelli si sia schiantato o meno. La chiave sará comprendere le dinamiche degli ultimi secondi di discesa.
  • → I dati Doppler registrati da Mars Express, negli ultimi istanti non coincidono con la telemetria trasmessa da Schiaparelli via TGO; ancora non si sa il perché.
  • → La teoria più probabile è che lo spegnimento dei motori sia avvenuto prima del previsto, ma è solo una teoria, ancora non è possibile sapere cosa sia successo dal momento dell’interruzione del segnale.
  • → L’ESA sottolinea la natura sperimentale dell’atterraggio. Nonostante i contatti siano stati persi prima del contatto con il suolo, la grande quantitá di dati a disposizione permetterá agli ingegneri di comprendere la natura del fallimento.
  • → Andrea Accomazzo si dice fiducioso che l’ESA riuscirà a comprendere le dinamiche che hanno portato alla perdita del segnale – una grande differenza rispetto a Beagle 2, i cui primi indizi arrivarono dieci anni dopo il fallito atterraggio.
  • → L’esperimento AMELIA a bordo di Schiaparelli dovrebbe aver raccolto tutti i dati previsti; sarà possibile un’approfondita caratterizzazione delle condizioni atmosferiche.
  • → Nei prossimi giorni, le sonde della NASA continueranno a sorvolare il sito di atterraggio, nel tentativo di captare segnali o fotografare Schiaparelli.

Il video integrale della conferenza stampa ESA (in inglese)

In definitiva, la funzione principale del lander Schiaparelli era testare l’entrata in orbita, la discesa e l’atterraggio sul suolo marziano e inviare dati sulle condizioni ambientali e sulle criticità, in preparazione della seconda fase della missione, quando verrà inviato su Marte, nel 2020, il “vero” lander che procederà con la missione scientifica. Possiamo quindi dire che al momento Schiaparelli ha svolto gran parte della sua funzione di test.

Nella diretta su Polluce Notizie, un riepilogo “minuto per  minuto” degli eventi


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Congiunzione Luna Giove poco prima dell’alba

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La suggestiva congiunzione tra la sottilissima falce di Luna calante con, posto poco a sud, il brillante Giove (mag. –1,2) che risulterà ben visibile nel cielo del mattino. Per esigenze grafiche, la Luna è ingrandita.

Guardando verso l’orizzonte est, all’alba del 28 ottobre, sarà possibile ammirare una sottilissima falce di Luna calante, e, poco sotto, il pianeta Giove, di mag. –1,2, per cui ben visibile ad occhio nudo.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre

Segui i suggerimenti di Giorgia Hoffer nella sua rubrica mensile “uno scatto al mese”.


Tutti gli eventi del cielo di ottobre e le rubriche per l’osservazione su Coelum 204.
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Juno: la campagna scientifica slitta di due mesi

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Un'impressione artistica che mostra Juno, la sonda della NASA, durante uno dei suoi sorvoli a distanza ravvicinata di Giove. Credits: NASA
Un'impressione artistica che mostra Juno, la sonda della NASA, durante uno dei suoi sorvoli a distanza ravvicinata di Giove. Credits: NASA

Rallentamenti in vista per l’inizio della campagna scientifica di Juno. Il 19 ottobre, la sonda americana avrebbe dovuto eseguire una manovra di riduzione del periodo orbitale, o PRM, con la quale si sarebbe calata nella sua prima orbita operativa. La manovra avrebbe ridotto il periodo orbitale dai 53,4 giorni dell’orbita di cattura ad appena due settimane. I responsabili della missione hanno invece annunciato che la manovra è slittata a non prima del prossimo perigiovio, previsto per l’11 dicembre, in seguito alla scoperta di un problema nelle valvole del sistema di pressurizzazione ad elio.

Coelum 202 luglio agosto
Volete scoprire di più su Juno e Giove? Non perdetevi il nostro ampio speciale (con interviste agli scienziati della missione) su Coelum Astronomia n. 202. Potete sfogliare la rivista, completamente gratuita e digitale, cliccando sull'immagine o a questo link: https://goo.gl/oGLXBZ

La manovra PRM segnerà l’ultimo utilizzo del motore principale Leros 1b. Il rinvio della manovra dovrebbe fornire abbastanza tempo agli ingegneri per valutare e risolvere il guasto.
«I dati di telemetria indicano che due valvole di ritegno nel sistema a elio non hanno operato come previsto durante una sequenza di comandi eseguita il 13 ottobre,» spiega Rick Nybakken della NASA. «Le valvole si sarebbero dovute aprire nel giro di qualche secondo, e invece hanno impiegato parecchi minuti. Abbiamo bisogno di comprendere a fondo questo problema prima di proseguire con l’accensione del motore principale».

Durante il perigiovio del 19 ottobre, tutti gli strumenti scientifici a bordo di Juno sarebbero rimasti spenti, in modo da non interferire con la cruciale manovra. Tuttavia, visto che l’accensione del motore è slittata a non prima dell’orbita successiva, gli strumenti di Juno saranno attivi per tutta la durata del sorvolo.
«È importante notare che il periodo orbitale non determina la qualità delle misurazioni che effettuiamo durante i vari sorvoli di Giove,» spiega Scott Bolton, a capo della missione. «In questo senso, la missione è molto flessibile. I dati raccolti durante il nostro primo sorvolo, quello del 27 agosto, sono stati una vera e propria rivelazione, e mi aspetto risultati simili dal sorvolo del 19 ottobre».


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ExoMars – Che separazione sia

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Si festeggia in sala comando per il distacco avvenuto con successo.

Che separazione sia. Il modulo di discesa Schiaparelli si è sganciato dalla sonda madre come previsto, il 16 ottobre. Il lander realizzato a guida italiana punta ora verso la superficie di Marte e il Trace Gas Orbiter continuerà l’avvicinamento al pianeta per approcciare l’orbita bassa prevista.

«Il modulo Schiaparelli si è sganciato regolarmente dall’orbiter – commenta il Presidente dell’ASI Roberto Battiston – ora vivremo le prossime 72 ore che ci separano dall’ammartaggio con il fiato sospeso».

L’Italia, dunque, si appresta ad andare su Marte, guidando in questa impresa, l’Europa tutta. Infatti, dopo un viaggio durato sette mesi per la missione europea e russa ExoMars 2016 si avvicina l’ora x, quella in cui sarà chiamata a ‘conquistare’ il pianeta rosso. Sarà un’offensiva su due fronti: quasi in contemporanea ExoMars dovrà conquistare cieli e terra marziani.

Il modulo di discesa Schiaparelli si è sganciato dalla sonda madre alle 17:15 circa. Da questo momento tutte le operazioni saranno in automatico, senza possibilità di intervento da Terra. Il momento cruciale di questa prima parte della missione ExoMars, che dovrebbe portare l’Europa sul suolo marziano, l’Italia in particolare, solo esempio, se tutto andrà bene, di successo dopo la NASA.

19 OTTOBRE 2016
Seguiamo assieme l’arrivo sulla superficie di Marte del lander Schiaparelli

Diretta web (in inglese) sulle pagine ESA e sulla pagina facebook dell’agenzia che rilanceremo anche sulla nostra pagina facebook Coelum Astronomia.
Diretta web (in italiano): l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ha organizzato presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma un evento che sarà trasmesso in diretta streaming (dalle 18:00 alle 20:45) sulla pagina ASI e sulla pagina italiana dell’ESA e, come di consueto, nella homepage del nostro sito,

Aggiornamenti in diretta sono già in corso sul blog
Polluce Notizie (in italiano) e sul sito dell’ESA (in inglese)

Il giorno più lungo sarà mercoledì 19. TGO dovrà infilare l’orbita del mondo rosso mentre Schiaparelli si tufferà nell’atmosfera marziana sfrecciando a circa 21.000 km all’ora.

Grazie a un sofisticato sistema di paracadute e motori frenanti, il lander rallenterà la sua corsa per posarsi vicino all’equatore marziano, sulla Meridiani Planum.

Sarà la fase più critica della missione e si consumerà in una manciata di minuti. Poco meno di sei. 360 secondi di terrore che riportano alla mente la discesa su Marte del ‘collega’ americano Curiosity. La conferma del touchdown di Schiaparelli è attesa sulla Terra dopo le 18.33. Mentre il TGO dovrebbe comunicare il corretto inserimento in orbita a partire dalle 20:25.

Un ruolo cruciale in questa complessa fase lo svolgerà un altro strumento italiano, Radar Doppler Altimeter (RDA) montato sul lander e realizzato nello stabilimento Thales Alenia Space di Roma. Questo sofisticato radar in banda Ka permetterà di gestire in completa autonomia da Terra la brevissima fase finale, della durata inferiore a 100 secondi, necessaria a raggiungere la superficie di Marte.

L’Europa attenderà l’arrivo dei due segnali dal Palazzo delle Esposizioni di Roma dove si svolgerà l’evento ufficiale internazionale Italy goes to Mars organizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con ESA, INAF, Leonardo-Finmeccanica, Thales Alenia Space Italia e National Geographic Channel. Nel corso dell’evento sarà infatti proiettata in anteprima la prima puntata della serie realizzata da Ron Howard  e prodotta dal canale edito dalla FOX.

Previsto un evento parallelo anche presso la sede ASI di Tor Vergata. La lunga maratona di ExoMars potrà essere seguita in live streaming su ASITV, in diretta video sulla pagina Facebook dell’Agenzia Spaziale Italiana e su Twitter con l’hashtag #italiavasumarte.

Il programma ExoMars è frutto di una cooperazione internazionale tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia Spaziale Russa (Roscosmos), fortemente sostenuto anche dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Il Programma è sviluppato da un consorzio Europeo guidato da Thales Alenia Space Italia realizzato da Thales Alenia Space (joint venture tra Thales 67% e Leonardo-Finmeccanica 33%),  che coinvolge circa 134 aziende spaziali dei Paesi partner dell’ ESA. Thales Alenia Space Italia, prime contractor del programma ExoMars, è responsabile della progettazione di entrambe le missioni 2016 e 2020. Telespazio (Leonardo-Finmeccanica 67%, Thales 33%) è infine responsabile dello sviluppo di alcuni sistemi chiave del segmento di terra della missione, tra cui il Mission Control System, usato per monitorare e controllare il TGO nel 2016.

Leonardo contribuisce inoltre alla missione 2016 fornendo molte delle tecnologie a bordo di ExoMars: dai sensori di assetto ai generatori fotovoltaici e alle unità per la trasformazione e la distribuzione della potenza elettrica, fino al cuore optronico dello strumento di osservazione CASSIS.

Guarda il filmato delle varie fasi della discesa su ASITV



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Crateri lunari, trend in ascesa

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Questa immagine, data dalla composizione di due immagini (prima e dopo l'impatto) rivela un nuovo cratere di 12 metri di diametro (Latitudine: 36,536 ° N; Longitudine: 12,379 ° E) formatosi tra il 25 ottobre 2012 e il 21 aprile 2013. Al centro il nuovo cratere e il normale materiale esposto dall'impatto in colori chiari, mentre tutto attorno in colore scuro la regolite che è stata sbalzata dall'impatto e che ha raggiunto distanze molto maggiori del previsto. La scena è 1300 metri di larghezza.

Le immagini raccolte dalla NAC, la camera ad angolo stretto a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter, sono state utilizzate per osservare la superficie della Luna in diversi momenti, per poterne studiare i cambiamenti morfologici.

La ricerca, pubblicata su Nature, ha come obiettivo lo studio dei crateri da impatto provocati da comete o asteroidi che, schiantandosi sulla superficie, formano e alterano la regolite, uno strato di materiale sciolto e di granulometria eterogenea che ne copre uno di roccia compatta. Alcuni fattori, come la numerosità dei crateri e il loro incremento nel corso del tempo, rappresentano informazioni fondamentali per poter stabilire l’età delle rocce lunari.

Per poter datare con sufficiente precisione le rocce non campionate, è necessario costruire dei modelli basati sulla misura radiometrica dell’età dei campioni e sul conteggio dei crateri. In passato gli studi effettuati sul materiale lunare raccolto hanno dato le prime indicazioni sul loro tasso di formazione. Grazie alle recenti immagini realizzate da  di LRO, che catturano la superficie in momenti differenti, è stato possibile risalire al tasso di formazione attuale dei crateri, studiare i getti provocati dall’impatto di oggetti e avere maggiori informazioni sul processo che interagisce con la regolite.

Grazie ai dati raccolti è stato possibile identificare 222 nuovi crateri da impatto e scoprire che il loro tasso di formazione con diametro di almeno 10 metri è superiore del 33% rispetto al modello adottato in precedenza. LRO ha poi osservato aree dotate di grande riflettanza, possibile prova di un processo legato al sollevamento delle polveri lunari. Il meccanismo innescato ha effetti anche sulla regolite: la turbolenza indotta sarebbe di 100 volte maggiore del previsto. Gli scienziati ritengono di poter usare le informazioni raccolte dalla sonda per migliorare la conoscenza dei tassi di impatto sulla Luna e per investigare sui processi che regolano il modellamento dei corpi celesti nel Sistema Solare.

L'animazione è stata realizzata da due immagini ottenute in due momenti distinti e rivela la presenza di un nuovo cratere di 12 metri di diametro sulla superficie lunare. Credit: NASA/GSFC/Arizona State University


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Macchie stellari su Proxima Centauri

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Illustrazione dell’interno di una stella di massa ridotta, completamento interessato dal moto convettivo del plasma. Al contrario di stelle più grandi, come il nostro Sole, queste stelle non dovrebbero mostrare cicli di attività magnetica, che invece sono stati ora scoperti sulla vicina stella Proxima Centauri. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss
Illustrazione dell’interno di una stella di massa ridotta, completamento interessato dal moto convettivo del plasma. Al contrario di stelle più grandi, come il nostro Sole, queste stelle non dovrebbero mostrare cicli di attività magnetica, che invece sono stati ora scoperti sulla vicina stella Proxima Centauri. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss

Dallo scorso agosto, quando è stata annunciata la scoperta di un pianeta in zona abitabile che le orbita attorno, Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra, è oggetto di grandissima attenzione. Per quel che si conosce finora, Proxima Centauri sembra avere ben poco in comune con il Sole: si tratta di una stella nana rossa, meno calda e massiccia e con solo un millesimo della luminosità del nostro astro. Tuttavia, una nuova ricerca appena pubblicata online dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, mostra che, sotto certi aspetti, Proxima Centauri è sorprendentementesimile al Sole, presentando un ciclo regolare di macchie stellari.

Le macchie stellari sono zone scure sulla superficie di una stella – come quelle che possiamo vedere comparire sul Sole – dove la temperatura è un po’ più “fresca” rispetto all’area circostante. Queste macchie sono generate dagli intensi campi magnetici stellari, che possono, in determinate condizioni, limitare il flusso del gas ionizzato (il plasma) della stella.

Il numero e la distribuzione delle macchie stellari sono ovviamente influenzati dai cambiamenti che avvengono nel campo magnetico stellare. Sul Sole, ad esempio, si verifica un ciclo di 11 anni: al minimo dell’attività solare, il nostro astro risulta quasi completamente “smacchiato”, mentre al suo massimo si possono osservare tipicamente più di 100 macchie, con un estensione che copre in media quasi l’uno per cento della superficie solare.

Il nuovo studio ha scoperto che su Proxima Centauri si verifica un ciclo della durata di sette anni, molto più intenso di quello solare. Le macchie che lassù si sviluppano nei periodi di picco massimo arrivano a coprire fino a un quinto della superficie stellare, mentre alcuni spot su Proxima Centauri risultano, in proporzione alle dimensioni del proprio astro, molto più grandi delle macchie solari.

Gli astronomi sono stati sorpresi nel rilevare un ciclo di attività stellare su Proxima Centauri, perché l’interno della stella dovrebbe, in teoria, essere molto diverso dal Sole. Nella parte più esterna del Sole, il plasma ribolle in un movimento convettivo rotatorio, mentre la parte più interna rimane relativamente stabile. Molti astronomi ritengono che la differenza nella velocità di rotazione tra queste due regioni sia responsabile della generazione del ciclo di attività magnetica del Sole. Al contrario, l’interno di una piccola nana rossa come Proxima Centauri dovrebbe essere completamente interessato dal moto convettivo, fino al nucleo della stella. Di conseguenza, non vi si dovrebbe verificare un ciclo regolare di attività stellare.

«L’esistenza di un ciclo in Proxima Centauri», commenta in proposito Jeremy Drake delloHarvard-Smithsonian Center for Astrophysics, fra gli autori del nuovo studio, «dimostra che non capiamo così bene come pensavamo il modo in cui vengano generati i campi magnetici delle stelle».

La domanda che sorge spontanea è se il ciclo di attività stellare di Proxima Centauri possa influenzare il potenziale di abitabilità del pianeta appena scoperto Proxima b, sul quale peraltro esistono dubbi riguardo la composizione. L’esperienza con la nostra stella suggerisce che eruzioni di plasma o vento stellare, entrambi generati dai campi magnetici, potrebbe avere spazzato il pianeta, portandone via qualsiasi traccia di atmosfera. In tal caso, Proxima b potrebbe essere come la Luna, che si trova certamente nella zona abitabile attorno al Sole, ma non è affatto ospitale per la vita.

«Non avremo osservazioni dirette di Proxima b per molto tempo ancora», dice in conclusione Steve Saar, un altro degli autori, sempre dello Harvard-Smithsonian. «Fino ad allora, quel che possiamo fare è di studiare la stella al meglio e quindi inserire tali preziose informazioni nelle teorie sulle interazioni stella-pianeta».

Per saperne di più:


Leggi lo SPECIALE Proximab, il pianeta extrasolare più vicino alla Terra: cosa ne pensano gli esperti? su Coelum 204 di Ottobre

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The rover must go on

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Un'immagine della Spirit Mound, un promontorio che si affaccia sul pavimento del cratere Endeavour, vicino all'estremità orientale della "Bitterroot Valley", ripreso da Opportunity il 21 settembre con la sua camera panoramica. I colori sono stati esaltati per visualizzare meglio i diversi componenti della superficie. Qui sotto a destra in piccolo l'immagine a colori approssimativamente reali. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell/Arizona State Univ.

OPPORTUNITY SCENDE NEL LETTO D’UN ANTICO FIUME
L’estensione di missione accordata lo scorso primo ottobre a Opportunity, il rover NASA da 12 anni al lavoro sul Pianeta rosso, ci aiuterà a scoprire meglio la conformazione del suolo marziano, almeno dei paraggi della zona che il rover ha esplorato negli ultimi 5 anni. Dal suo arrivo su Marte, nel gennaio 2004, Opportunity ha completato la missione prevista in origine di 90 sol (circa 92 giorni terrestri), ha scoperto il primo meteorite caduto su un altro pianeta, analizzato per due anni il cratere Victoria ed è fortunosamente sopravvissuto a tempeste di polvere che rischiavano di interrompere la sua attività nel 2007. Nel 2008 si è diretto verso il cratere Endeavour, che ha raggiunto nell’estate 2011.

Opportunity nei prossimi due anni si muoverà per visitare l’interno del cratere Endeavour,  scendendo lungo un canalone, che potrebbe essere stato scolpito molto tempo fa da un fluido, forse addirittura acqua. E l’obiettivo principale è proprio questo: capire se il canale sia stato scavato da un flusso fatto di detriti ‘lubrificati’ da acqua o se ci troviamo davanti al letto di un vero e proprio fiume marziano.

Il Mars Exploration Rover-B, MER-B, MER-1, noto come Opportunity. Dopo 12 anni di onorato servizio ha avuto un’ulteriore estensione della missione. Crediti: NASA

«Abbiamo ormai superato la durata inizialmente prevista per la missione di Opportunity di un fattore 50», dice a proposito di questa ulteriore estensione di missione John Callasproject manager di Opportunity presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. «Risultati come questo ci ricordano tutte le storiche conquiste che è stato possibile ottenere grazie alle persone coinvolte nella progettazione e nella gestione di questa risorsa nazionale per l’esplorazione di Marte».

Il rover NASA inizia la sua estensione di missione sul versante occidentale del cratere Endeavour – un bacino di circa 22 chilometri di diametro causato dall’impatto di un meteorite miliardi di anni fa – in una zona nota come Bitterroot Valley. Opportunity ha raggiunto il bordo di questo cratere nel 2011, dopo oltre sette anni trascorsi a esplorare una serie di crateri più piccoli nei quali il rover ha evidenziato la presenza di tracce di acqua acida e salmastra negli strati sotterranei e a volte anche in superficie.

Questa mappa mostra il versante ovest del cratere Endeavour, che include la Marathon Valley, dove si sono concentrate le attività di Opportunity tra il 2015 e il 2016. A sud c’è il canalone obiettivo delle osservazioni previste nel corso dei prossimi due anni di missione estesa: è stato scavato da un antico fiume marziano? Chissà se il piccolo longevo rover riuscirà a svelare l’arcano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Arizona

Il canalone scelto come prossimo obiettivo si trova a meno di un chilometro a sud della posizione attuale del rover. Il team vuole guidare Opportunity lungo tutta l’estensione del canalone, fino al fondo del cratere. Secondo obiettivo della missione estesa sarà il confronto tra i campioni di rocce che Opportunity troverà all’interno del cratere con quelle esaminate nelle pianure che ha esplorato prima di raggiungere Endeavour.

«Potremmo scoprire che le rocce ricche di solfato trovate al di fuori del cratere sono differenti da quelle presenti al suo interno», osserva Steve Squyres della Cornell University, principal investigator di Opportunity. «Crediamo che queste rocce ricche di solfato siano state formate da un processo legato alla presenza di acqua, e l’acqua scorre in discesa. L’ambiente acquoso presente nel fondo del cratere potrebbe essere stato diverso da quello esterno, sulla pianura: diverso per la cronologia, o diverso per la chimica».

Una grande sfida e, al contempo, una grande opportunità per il team del rover. La maggior parte dei meccanismi di bordo sono ancora funzionanti e in buone condizioni, ma i motori e altri componenti hanno superato di gran lunga la loro aspettativa di vita. Il gemello di Opportunity, Spirit, perse l’uso di due delle sue sei ruote, prima di soccombere al freddo del suo quarto inverno marziano, nel 2010. Opportunity è in procinto di affrontare il suo ottavo inverno su Marte.

Terzo obiettivo scientifico della nuova missione estesa è quella di trovare ed esaminare rocce provenienti da uno strato geologico precedente all’impatto che ha scavato il cratere Endeavour.

Nell'immagine a falsi colori, viene esaltata la presenza di Gasconade, un'affioramento chiaro delle rocce della Spirit Mound sul quale il rover sta lavorando in questi giorni. Crediti: NASA / JPL-Caltech / Cornell / ASU

Insomma, Opportunity sembra intenzionato a sfruttare al massimo l’opportunità che gli viene data da questa ulteriore estensione di missione, prima che a ‘immettersi’ nel trafficato suolo di Marte arrivi anche il rover europeo a bordo della seconda parte della missione ExoMars, prevista per il 2020.


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Le Pleiadi alla luce della Luna

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L’immagine a largo campo mostra la congiunzione tra la Luna del 18 ottobre alle 21.30, a passeggio nella costellazione del Toro, e l’ammasso M45 delle Pleiadi ancora abbastanza basse sull’orizzonte est, dando la possibilità di fotografarle tra gli elementi del paesaggio. A poco più di 6° dalla Luna brilla Aldebaran, stella alfa del Toro. Per esigenze grafiche, la Luna è stata ingrandita.
L’immagine a largo campo mostra la congiunzione tra la Luna, a passeggio nella costellazione del Toro, e l’ammasso delle Pleiadi ancora abbastanza basse sull’orizzonte est, dando la possibilità di fotografarle tra gli elementi del paesaggio. A poco più di 6° dalla Luna brilla Aldebaran, stella alfa del Toro. Per esigenze grafiche, la Luna è stata ingrandita.

Si tratta di un’ottima occasione per osservare e fotografare insieme, la sera del 18 ottobre alle 21.30, Luna e l’ammasso aperto delle Pleiadi (M45), nella cornice del paesaggio sull’orizzonte est.

A completare il quadro, poco più in basso, sorgerà Aldebaran (+0,9) la stella alfa del Toro.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre

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Delicate simmetrie per PK 329

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Crediti: ESA/Hubble & NASA; Acknowledgement: Serge Meunier
L'immagine è la rielaborazione di Serge Meunier tramite filtri RGB e infrarosso del ritratto preso dalla Wide Field and Planetary Camera 2 di Hubble, rilasciata nel 2015. Crediti: ESA/Hubble & NASA; Acknowledgement: Serge Meunier

Due spirali che si stagliano armoniose sullo sfondo scuro del cielo e che racchiudono una coppia di gemme splendenti. Hubble, sempre in pieno fervore “creativo” dopo oltre 26 anni di attività, ha realizzato un altro ‘ritratto d’autore’.

Il soggetto che ha posato per la Wide Field and Planetary Camera 2 dello storico telescopio NASA-ESA è PK 329-02.2, una nebulosa planetaria che si trova nel Regolo, costellazione visibile nell’emisfero celeste meridionale. Nota anche come Menzel 2, dal nome dall’astronomo statunitense Donald Menzel che la scopri nel 1922, PK 329-02.2 circonda due stelle che costituiscono un sistema binario.

Nebulosa planetaria è una denominazione che ora è considerata impropria e che è stata coniata dagli astronomi del XVIII e del XIX secolo. Con la strumentazione dell’epoca, infatti, queste strutture somigliavano ai dischi di pianeti distanti come Urano e Nettuno, ma, in realtà, non hanno nulla a che fare con i pianeti.

Tornando alla creazione “artistica” di Hubble, la venustas che permea di serenità l’immagine non deve trarre in inganno, perché, in effetti, il telescopio ha inquadrato un astro su cui sta per scendere il sipario.

Quando stelle come il Sole si avvicinano al loro ultimo atto, lasciano andare i loro strati gassosi più esterni che, allontanandosi, creano strutture dall’aspetto complesso, ma spesso caratterizzate da simmetrie aggraziate. Ed è proprio quello che, secondo gli astronomi, sta accadendo a PK 329-02.2, il cui materiale deriva dall’astro che nel ‘cuore’ della nebulosa si trova in alto a destra; nel 1999, infatti, gli studiosi hanno appurato che proprio questo oggetto è la stella centrale della struttura.

I due astri nel nucleo di PK 329-02.2 continueranno a costituire il loro sistema binario ancora per milioni di anni, mentre lanebulosa, con i suoi bracci a spirale, si allontanerà dalle due stelle e alla fine, in un processo che comunque durerà migliaia di anni, svanirà gradualmente nelle profondità dell’Universo.

Il ritratto definitivo di PK 329-02.2 è stato realizzato utilizzando vari filtri, tra cui quello infrarosso.


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Acqua o roccia? Proxima b e le sue ambiguità

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Uno studio recente, guidato da un gruppo di ricercatori del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese e della Cornell University, tenta di ricostruire la struttura interna di Proxima Centauri b (Proxima b in breve) assumendo che il pianeta appartenga alla classe dei corpi celesti densi e solidi, cioè oggetti rocciosi con possibile presenza di acqua, in modo da derivare il corrispondente raggio. Per far questo, i ricercatori hanno utilizzato un modello della struttura interna che permette di calcolare il raggio del pianeta, assieme alla posizione dei differenti strati di materia, nell’ipotesi in cui la sua massa e composizione fisica globale siano noti. In assenza di informazioni dettagliate che riguardano la stella ospite, per vincolare la composizione fisica di Proxima b, gli scienziati hanno basato il loro modello sui parametri relativi al Sistema solare. Le simulazioni, che si limitano al caso di pianeti solidi senza atmosfere massive, suggeriscono che il raggio di Proxima b ha valori compresi tra 0,94-1,40 raggi terrestri. Il valore minimo è stato ottenuto considerando un oggetto con massa pari a 1,10 volte quella della Terra e con il 65 percento della frazione della massa concentrata nel nucleo, dunque simile a Mercurio, mentre il valore più alto è stato derivato considerando il caso di un oggetto di 1,46 masse terrestri con il 50 percento della massa presente sotto forma d’acqua, che ne farebbe così un pianeta dotato di un singolo grande oceano. Lo studio sarà pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.

Da pianeta gemello a fratello, a cugino. Dalla possibilità di acqua a un oceano intero. Ma dove sta la verità su quanto effettivamente si conosce? Ne parliamo in DIRETTA STREAMING con il Prof. Leopoldo Benacchio mercoledì 12 ottobre alle ore 21.30 anche su Coelum Astronomia (cliccare sull'immagine per ulteriori informazioni).

Nella corsa alla scoperta di nuovi e strani mondi, è forte il bisogno di trovare pianeti extrasolari che abbiano delle similitudini con la Terra. Oggi, avendo trovato il corpo celeste di tipo terrestre più vicino possibile – in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, ad appena 4,2 anni luce, e alla giusta distanza per permettere l’eventuale presenza di acqua allo stato liquido sulla sua superficie – le speranze sono così grandi che è inevitabile sentir parlare di una “seconda terra” proprio nel nostro vicinato galattico. Tuttavia, spesso dimentichiamo che, sebbene l’oggetto si trovi nel posto giusto – la cosiddetta “zona abitabile” – e abbia la giusta massa, è anche vero che molto probabilmente non è così simile al nostro pianeta. E anche se dovesse possedere davvero un enorme oceano d’acqua, Proxima b risulterebbe comunque un mondo alieno molto strano.

La realtà è che, al momento, non abbiamo informazioni sufficienti su Proxima b. Sappiamo che un anno terrestre equivale sul pianeta a poco più di 11 giorni, che la sua orbita si trova nella zona abitabile e conosciamo approssimativamente la sua massa (1,3 masse terrestri). Non sappiamo se il pianeta possieda, o meno, un’atmosfera e non è nota la sua dimensione fisica. La mancanza di quest’ultimo parametro non permette di calcolare la densità media, perciò esiste una notevole ambiguità circa la sua composizione fisica. In generale, è possibile stimare la dimensione degli esopianeti misurando la quantità di luce che essi bloccano quando passano davanti alla propria stella. Nel caso di Proxima b non è però stato osservato alcun transito. Gli autori dello studio del CNRS e della Cornell, guidato da Bastien Brugger, hanno dunque provato a eseguire una serie di simulazioni ipotizzando, per l’appunto, un oggetto di 1,3 masse terrestri, per vedere quale forma può assumere il pianeta. I risultati hanno fornito valori compresi tra 0,94 e 1,40 volte il raggio terrestre (che ha un valore medio di 6.371 Km).

L’immagine raffigura la composizione di Proxima b nei due casi estremi. A sinistra, assumendo il 94 percento del diametro terrestre, il pianeta sarebbe dominato da un nucleo metallico e da un piccolo mantello roccioso. A destra, assumendo un diametro pari a 140 percento quello terrestre, Proxima b apparirebbe come un mondo alieno ricoperto da un singolo grande oceano d’acqua. Tra i due casi estremi, Proxima b apparirebbe come un pianeta simile alla Terra (a centro). Crediti: CNRS

Assumendo che il corpo celeste abbia la dimensione fisica più piccola ammessa per la sua massa, cioè un raggio di 5.990 km, i modelli di formazione planetaria predicono un nucleo metallico che contribuisce al 65 percento della massa del pianeta. Gli strati più esterni sarebbero formati da un mantello roccioso, senza comunque escludere del tutto la presenza di acqua, seppure in percentuale irrisoria rispetto alla massa totale del pianeta (come sulla Terra, del resto, dove non supera lo 0,05 percento). In questo scenario, Proxima b sarebbe un mondo roccioso, sterile e secco che ricorda una sorta di Mercurio più massiccio. Ma si tratta di una possibilità. I ricercatori hanno poi considerato l’altro caso estremo. Che succede se la dimensione fisica del pianeta è quella massima, cioè con un raggio pari a 8.920 Km? In questo caso, Proxima b diventerebbe un corpo celeste grande il 40 percento più della Terra. In questo interessante scenario, il pianeta potrebbe essere molto meno denso, dunque meno roccioso e metallico rispetto all’altro caso estremo. In altre parole, la massa del pianeta si suddividerebbe a metà tra materiale roccioso, distribuito verso il centro, e acqua: Proxima b potrebbe risultare, quindi, una sorta di “mondo d’acqua”, nel senso più stretto del termine: caratterizzato cioè da un singolo oceano di acqua liquida che avvolge l’intero pianeta e profondo, secondo gli autori, circa 200 Km.

La figura illustra il diagramma massa-raggio per valori differenti relativi alla composizione fisica del pianeta che vanno dal 100 percento di roccia (curva rossa) al 100 percento di acqua (curva blu). Le aree verticali di colore grigio chiaro e scuro corrispondono, rispettivamente, all’intervallo dei valori delle masse stimate per Proxima b (1,10-1,46 masse terrestri) e all’intervallo dei possibili valori dei raggi calcolati dal modello descritto nel presente studio. Crediti: B. Brugger et al. 2016/ApJ

Tra questi due scenari, da un lato un mondo denso, arido e roccioso e dall’altro un mondo d’acqua, c’è la tanto attesa “seconda terra”: un pianeta con un piccolo nucleo metallico, un mantello roccioso e un abbondante acqua sotto forma di un grande oceano sulla sua superficie. È il mondo alieno che vediamo rappresentato nelle versioni artistiche di Proxima b, ma dobbiamo ricordare che si tratta – appunto – di versioni artistiche, relative per di più a uno soltanto di un elevato numero di scenari possibili.

Le conclusioni che emergono da questo studio indicano, piuttosto, che molto probabilmente Proxima b non è un pianeta simile alla Terra. A ogni modo, anche se questo intervallo di raggi permette ancora altre diverse composizioni fisiche della struttura interna del pianeta, esso fornisce preziosi indizi poiché permette di caratterizzare molti aspetti di Proxima b, come le condizioni iniziali della formazione del sistema o l’eventuale quantità di acqua attualmente presente sul pianeta. Inoltre, i risultati del presente studio potranno aiutare gli astronomi a scartare ulteriori misure del raggio del pianeta che possono risultare incompatibili per un corpo celeste di natura solida.


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SPECIALE Proximab, il pianeta extrasolare più vicino alla Terra: cosa ne pensano gli esperti?
Con i contributi di Marco Malaspina, Isabella Pagano, Giusi Micela, Mario Damasso, Raffaele Gratton, Sabrina Masiero, John Robert Brucato, Amedeo Balbi, Claudio Elidoro. Gianpietro Marchiori e Massimiliano Tordi.
Intervista esclusiva con Giovanni Bignami.


ExoMars – Schiaparelli: il giorno più lungo

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La sequenza di operazioni di ingresso in atmosfera, discesa e atterraggio sulla superficie di Marte del modulo Schiaparelli, con indicate ora approssimativa, altitudine e velocità nei vari momenti. Schiaparelli si separerà dal TGO il 16 ottobre, tre giorni prima di arrivare sulla superficie, il quale, 12 ore dopo lo sgancio, effettuerà una manovra di correzione per evitare di entrare anche lui nell'atmosfera e per tornare alla sua orbita, dalla quale monitorerà le operazione del lander. Crediti: ESA/ATG medialab

Mercoledì 19 ottobre non prendete impegni. L’Italia va su Marte. Dopo un viaggio durato sette mesi per la missione europea e russa ExoMars 2016 si avvicina l’ora x, quella in cui sarà chiamata a ‘prendere’ il pianeta rosso. Sarà un’offensiva su due fronti: quasi in contemporanea ExoMars dovrà conquistare cieli e terra marziani.

Le operazioni inizieranno il 16 ottobre, quando il modulo di discesa Schiaparelli si sgancerà dalla sonda madre. Dopo la separazione il lander realizzato a guida italiana punterà verso la superficie di Marte e il Trace Gas Orbiter continuerà l’avvicinamento al pianeta.

Il giorno più lungo sarà mercoledì 19. TGO dovrà infilare l’orbita del mondo rosso mentre Schiaparelli si tufferà nell’atmosfera marziana sfrecciando a circa 21.000 km all’ora. Grazie a un sofisticato sistema di paracadute e motori frenanti, il lander rallenterà la sua corsa per posarsi vicino all’equatore marziano, sulla Meridiani Planum. Sarà la fase più critica della missione e si consumerà in una manciata di minuti (poco meno di sei). 360 secondi di terrore che riportano alla mente la discesa su Marte del “collega” americano Curiosity.

Un mosaico della Meridiani Planum di quattro immagini che indica l'ellisse entro la quale dovrebbe atterrare Schiaparelli. A nord, si osservano lisci, pianure, con deboli tracce di antichi crateri. La zona di atterraggio è una regione pianeggiante all'interno di queste pianure, a soli 22 km a ovest dal cratere Endeavour, vicino al centro di questa immagine. Sotto e a sinistra l'ampio cratere Bopolu, all'interno del molto più grande cratere Miyamoto. In particolare si possono notare, in basso a destra dell'immagine, un certo numero di canali probabilmente scolpiti dal flusso d'acqua del passato di Marte. Il mosaico è creato con immagini del 2005 e del 2010 dal High Resolution Stereo Camera della Mars Express. Crediti: ESA/DLR/FU Berlin, CC BY-SA 3.0 IGO

La conferma del touchdown di Schiaparelli è attesa sulla Terra dopo le 18.33. Mentre il TGO dovrebbe comunicare il corretto inserimento in orbita a partire dalle 20:25.

Come seguire le operazioni

L’Europa attenderà l’arrivo dei due segnali dal Palazzo delle Esposizioni di Roma dove si svolgerà l’evento ufficiale internazionale Italy goes to Mars organizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana in collaborazione con ESA, INAF, Leonardo-Finmeccanica, Thales Alenia Space Italia e National Geographic Channel. Nel corso dell’evento sarà infatti proiettata in anteprima la prima puntata della serie realizzata da Ron Howard  e prodotta dal canale edito dalla FOX.

Previsto un evento parallelo anche presso la sede ASI di Tor Vergata. La lunga maratona di ExoMars potrà essere seguita in live streaming su ASITV, in diretta video sulla pagina Facebook dell’Agenzia Spaziale Italiana e su Twitter con l’hashtag #italiavasumarte.

Potrai seguire l’evento, come di consueto,  anche sui canali social e sul sito di Coelum Astronomia! E non perdere lo speciale Exomars del prossimo numero!


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Mercurio e Giove: capolino dall’orizzonte

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L’11 mattina vedremo Giove e Mercurio sorgere in una stretta congiunzione sull’orizzonte est, immersi nel chiarore del crepuscolo mattutino. Come si può vedere dalla simulazione, i due oggetti si presenteranno molto vicini tra loro e molto bassi sull’orizzonte, rendendo quindi l’osservazione del fenomeno piuttosto complicata, ma anche molto suggestiva.
L’11 mattina vedremo Giove e Mercurio sorgere in una stretta congiunzione sull’orizzonte est, immersi nel chiarore del crepuscolo mattutino. Come si può vedere dalla simulazione, i due oggetti si presenteranno molto vicini tra loro e molto bassi sull’orizzonte, rendendo quindi l’osservazione del fenomeno piuttosto complicata, ma anche molto suggestiva.

Se la vostra postazione osservativa ha l’orizzonte est sgombro da ostacoli, non lasciatevi sfuggire la congiunzione stretta tra Mercurio (mag, –1,1) e Giove (mag –1,7): la distanza tra di essi sarà minore di 1°.

Si tratta però di una sfida osservativa, perché i due pianeti saranno davvero molto bassi sull’orizzonte, ad appena 2° di altezza e per di più si troveranno già immersi nelle prime luci dell’alba: per questo motivo occorrerà utilizzare un binocolo per riuscire a scorgere i duepianeti. I due astri saranno via via più alti sull’orizzonte, con il passare dei minuti, ma scompariranno immersi nel chiarore del mattino.

Tutte le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre
Segui i suggerimenti di Giorgia Hoffer nella sua rubrica mensile “uno scatto al mese”.


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Astronomiamo – Gli appuntamenti di Ottobre

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LocandinaCoelum
8 ottobre 2016 – International Observe the Moon Night 2016

12 ottobre 2016 – PROXIMA b: gemello, fratello o cugino? Ospite: Prof. Leopoldo Benacchio.

13 ottobre 2016 – LIFT OFF: Stream mensile di astronautica. Corso di orientamento celeste a Frosinone.

27 ottobre 2016 – Occhi al Cielo – Stream di aggiornamento

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Allerta meteo per il pianeta Rosso

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Marte nel 2001, in due immagini raccolte a un mese di distanza l’una dall’altra dal Mars Global Surveyor della NASA: nel riquadro a destra è evidente l’offuscamento completo prodotto dalla tempesta di polvere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Marte nel 2001, in due immagini raccolte a un mese di distanza l’una dall’altra dal Mars Global Surveyor della NASA: nel riquadro a destra è evidente l’offuscamento completo prodotto dalla tempesta di polvere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Una previsione vera. Di quelle che vengono annunciate molto tempo in anticipo sull’evento. E con una data precisa: 29 ottobre 2016. No, non occorre che la cerchiate sul calendario, a meno che non abbiate in programma di trascorre l’ultimo week-end del mese in lidi davvero remoti: su Marte. Già, perché l’allerta meteo “diramata” quasi un anno e mezzo fa, il primo maggio 2015, dal planetarista della NASA James Shirleyattraverso la rivista Icarus riguarda proprio il Pianeta rosso.

«Marte raggiungerà il punto centrale dell’attuale stagione delle tempeste di polvere il 29 ottobre di quest’anno. Sulla base del modello storico che abbiamo trovato», spiegava ieri Shirley in un comunicato del Jet Propulsion Laboratory della NASA, «riteniamo molto probabile che una tempesta di sabbia globale avrà inizio nell’arco di poche settimane, o mesi, a partire da questa data».

La parola chiave, in questa previsione, è globale. Di tempeste di polvere locali, infatti, su Marte ce ne sono di frequente. Localizzate in aree delimitate, a volte si estendono o si uniscono a formare sistemiregionali, in particolare durante la primavera e l’estate australi, quando Marte è più vicino al Sole. In rare occasioni, le tempeste regionali sollevano una coltre di polvere che avvolge l’intero pianeta, rendendo indistinguibili i dettagli del suolo (vedi riquadro a destra nell’immagine di apertura). Alcuni di questi eventi possono ingigantirsi fino a diventare vere e proprie tempeste planetarie, come quella che, nel 1971, accolse il primo veicolo spaziale in orbita attorno a Marte, il Mariner 9 della NASA.

Ma c’è uno schema prevedibile, dietro a questi eventi maggiori, e più rari, che coinvolgono l’intero pianeta? Per rispondere, Shirley ha anzitutto ricostruito la serie storica degli eventi globali più recenti: dal 1924 ne sono stati osservati nove, gli ultimi nel 1977, 1982, 1994, 2001 e 2007. Il numero effettivo è però senza dubbio più alto: negli anni in cui non c’erano satelliti in orbita a tenerlo sott’occhio da vicino, Marte era a volte mal posizionato per poter cogliere tempeste di polvere globali con i soli telescopi terrestri.

In questo grafico, l’analogia fra le condizioni di Marte nel 2016 (linea blu) e quelle presenti in cinque anni con tempeste di polvere globali (linee arancioni) rispetto agli anni senza tempeste globali (linee celesti). Crediti: NASA/JPL-Caltech

Ciò che Shirley notò, nel suo lavoro del 2015, fu che, considerando anche gli altri pianeti, emergeva una correlazione fra il verificarsi di tempeste di polvere globali e il moto orbitale di Marte. Altri pianeti hanno infatti un effetto sul momento angolare di Marte nella sua rivoluzione attorno al Sole. Un effetto modulato secondo un ciclo di circa 2.2 anni, dunque superiore al periodo orbitale del pianeta, lungo circa 1.9 anni. La relazione tra questi due cicli varia continuamente. Ebbene, Shirley ha scoperto che le tempeste di polvere globali tendono a verificarsi quando il momento angolare è in aumento durante la prima parte della stagione delle tempeste di polvere. Viceversa, almeno fra quelle conosciute, nessuna delle tempeste di polvere globali si è verificata negli anni in cui, durante la prima parte della stagione delle tempeste di polvere, il momento angolare era in calo.

Ed è grazie a questo modello che Shirley è arrivato a formulare la sua previsione. Per sapere se è corretta, non ci resta che attendere qualche settimana con gli occhi puntati su Marte. Ma a chi potrebbe interessare, se venisse confermata la previsione, sapere in anticipo come sarà il tempo sul Pianeta rosso? Be’, anzitutto a lander e rover, soprattutto se si affidano solo ai pannelli solari, che potrebbero trovarsi a dover prendere contromisure per affrontare un lungo periodo di luce ridotta o di comunicazioni interrotte. E guardando appena un poco più in là, sarà cruciale per programmare i periodi di permanenza dei futuri astronauti.

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Il segreto di Dione

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Representation of the interior of Enceladus with icy crust, ocean and solid core. ROB researchers think that Dione may also have a subsurface ocean. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Dione, in primo piano, sembra ospitare un oceano sotto la sua crosta ghiacciata, proprio come la sua compagna Encelado, nell'immagine sullo sfondo, solo molto più in profondità rispetto a quest'ultima.

È uno dei satelliti naturali della grande famiglia del gigante ad anelli, il quarto per dimensioni, ed è salito agli onori della cronaca per un nuovo studio condotto da un team di ricercatori dell’Osservatorio Reale del Belgio. Si tratta di Dione, luna che, battezzata con il nome di una ninfa secondo la mitologia greca, nasconderebbe un oceano sotto il suo volto ghiacciato.

La ricerca, basata sui dati raccolti dalla sonda NASAESA-ASI Cassini durante recenti fly-by, è illustrata nell’articolo “Enceladus’ and Dione’s floating ice shells supported by minimum stress isostasy”, pubblicato una settimana fa sulla rivista “Geophysical Research Letters”.

Gli autori dello studio hanno analizzato le informazioni trasmesse dalla sonda, con particolare riferimento alla gravità di Dione, e ritengono che la situazione prospettata da questi dati potrebbe essere spiegata ipotizzando una fluttuazione della crosta del corpo celeste su un oceano. Questo “mare cosmico”, profondo decine di chilometri, dovrebbe trovarsi a una distanza di 100 chilometri dalla superficie di Dione ed estendersi intorno al suo nucleo roccioso.

Una rappresentazione dell'interno di Encelad0 con una crosta ghiacciata, un oceano e un nucleo roccioso. I ricercatori del ROB pensano che Dione possa avere anche lui un oceano simile sotto la superficie. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

La struttura di questa luna, quindi, ricorderebbe quella di un’altra “collega” del vasto entourage di SaturnoEncelado. Questo satellite naturale, di minori dimensioni rispetto a Dione, è stato spesso al centro dell’attenzione per i getti di vapore acqueo che caratterizzano la sua regione polare meridionale. Dione, nonostante la superficie accidentata, appare al momento in una condizione di quiete.

L’attività di ricerca è stata condotta tramite modelli delle superfici ghiacciate di Dione ed Encelado, considerate come una sorta di iceberg immersi nell’acqua e sottoposte a condizioni di tensione. Dalle simulazioni, coerentemente con studi precedenti, è emerso che l’oceano di Encelado sarebbe più vicino alla superficie, soprattutto nell’area in cui si verifica il fenomeno dei ‘pennacchi’.

L’oceano di Dione, invece, si troverebbe a una maggiore profondità e, secondo gli esperti, è sopravvissuto in questa condizione remota per l’intera durata della storia del satellite.

Quindi, questa realtà avrebbe potuto creare condizioni favorevoli per lo sviluppo della vita microbica soprattutto per le interazioni tra l’acqua e la roccia: da questi scambi, infatti, sarebbero potuti derivare elementi fondamentali per la vita, quali sostanze nutrienti e fonti di energia. Le simulazioni e la modellistica utilizzate per questo studio, secondo il team di ricerca, potrebbero essere applicate proficuamente in altre indagini simili.

Dione, luna scoperta dall’astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini nel 1684, farebbe quindi salire a quota tre il numero di “mondi oceanici” nel sistema di Saturno; i suoi colleghi ‘acquatici’ sono il già citato Encelado e Titano.

Cassini, missione nata dalla collaborazione tra NASA, ESA ed ASI, ha come obiettivo lo studio di Saturno e del suo sistema di anelli e lune, con particolare attenzione a Titano. Partita nell’ottobre 1997, la sonda ha superato egregiamente la ‘maggiore età’ e sarà operativa sino al ‘Gran Finale’ del 15 settembre 2017.

Per sapere tutto sulla missione Cassini, leggi il report di Pietro Capuozzo su Coelum 201


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XXIV Convegno Nazionale del GAD (Gruppo Astronomia Digitale)

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Osservatorio Astronomico di Agerola Salvatore Di Giacomo via Salvatore Di Giacomo 7/B, Agerola (NA).
Organizzato dall’Istituto Spezzino Ricerche Astronomiche (IRAS – La Spezia), Astrocampania (Napoli) e Unione Astrofili Italiani (U.A.I.) con il patrocinio della Società Astronomica Italiana (S.A.I.t.), le relazioni vedranno il contributo oltre che dei componenti delle Sezioni di Ricerca UAI Pianeti e Stelle Variabili UAI, anche di astronomi professionisti come Stelio Montebugnoli (Inaf – Radiotelescopio di Medicina), Elvira Covino e Juan Manuel Alcalà (INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte), Valerio Bozza (Dipartimento di Fisica dell’Università di Salerno, Luigi Mancini (Max Planck Institute for Astronomy, Heidelberg), Luca Izzo (IAACISC – Istituto de Astrofisica de Andalucia).

Programma generale Relazioni e lavori del Convegno Logistica (Come arrivare / Alberghi)
www.astronomiadigitale.com

La notte internazionale della Luna 2016… a Palidoro (Roma) – 8 ottobre

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paolidoro

paolidoroUn evento mondiale ideato dalla NASA di osservazione della Luna. Una serata in cui tutto il mondo osserverà il nostro satellite naturale…
Da Palidoro sarà possibile osservare la Luna con 4 telescopi.
La serata avrà inizio alle 20.30 con una breve conferenza riguardo il nostro satellite naturale e a seguire ci saranno le osservazioni ai telescopi con spiegazioni delle costellazioni sulle nostre teste.

INGRESSO LIBERO
Piazza Santissimi Filippo e Giacomo – Palidoro (RM)
Campo sul retro della Chiesa nel borgo.
Coordinate navigatore: 41.929755, 12.178945

INFORMAZIONI:
giuconzo@gmail.com – 3475010985

Da Curiosity nuove scoperte sull’evoluzione climatica di Marte

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L'ultimo autoritratto di Curiosity (settembre 2016) mostra la zona delle sue trivellazioni "Quela" nella scenografica area "Murrey Buttes" alle pendici del Monte Sharp. Il panorama è stato creato dalle immagini della MAHLI camera che si trova alla fine del braccio del Rover. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS Full image and caption

La storia climatica di Marte si rivela sempre più complessa ed interessante. Le analisi condotte da Curiosity con il Sample Analysis at Mars (SAM) su xeno e kripton hanno mostrato che il materiale della crosta del pianeta deve aver contribuito in modo dinamico alla composizione atmosferica nel corso del tempo. Questi due gas sono utilizzati dagli scienziati per studiare l’evoluzione e la perdita dell’atmosfera sul Pianeta Rosso.

Video navigabile a 360° del panorama in apertura

Molti dei dati sono provengono dallo studio dei meteoriti marziani e dalle missioni Viking ma «i precedenti studi su xeno e cripto hanno raccontato solo una parte della storia», ha dichiarato nel report Pamela Conrad, ricercatrice principale dello strumento presso il Goddard Space Flight Center della NASA.

«Il SAM ora ci sta dando il primo punto di riferimento completo in situ con cui confrontare le misurazioni sui meteoriti».

Il team ha utilizzato la spettrometria di massa statica per rilevare anche piccole quantità di elementi grazie ai laboratori interni di Curiosity, un metodo applicato per la prima volta sulla superficie di un altro pianeta.

Riepilogo del processo chimico che, coinvolgendo il materiale sulla superficie di Marte, può aver introdotto elementi nell'atmosfera del pianeta. Crediti: NASA's Goddard Space Flight Center

Nel complesso i risultati ottenuti sono in accordo con gli studi precedenti ma alcuni rapporti isotopici risultano un po’ più alti del previsto. La causa di queste differenze potrebbe dipendere da un processo chiamato “cattura neutronica”, in base al quale i neutroni potrebbero essere stati trasferiti da un elemento chimico a un altro all’interno del materiale della superficie del pianeta. In particolare, sembra che alcuni isotopi del bario abbiano perso neutroni a vantaggio dello xeno per formare livelli più elevati degli isotopi xeno-124 e 126. Allo stesso modo, il bromo avrebbe ceduto neutroni per produrre livelli insoliti di kripton-80 e kripton-82.

Questi isotopi sarebbero quindi stati rilasciati nell’atmosfera a causa di impatti sulla superficie o per via di rilascio naturale dei gas dalla regolite marziana.

«Le misure del SAM forniscono la prova di un processo molto interessante, in base al quale la roccia e il materiale non consolidato in superficie hanno contribuito alla composizione isotopica dello xeno e del kripton in atmosfera in modo molto dinamico», ha affermato Conrad.

Di interesse per gli scienziati sono alcuni isotopi dei due gas xeno e kripton. «La scoperta di queste interazioni nel tempo ci consente di ottenere una maggiore comprensione dell’evoluzione planetaria», ha commentato Michael Meyer, scienziato del Mars Exploration Program della NASA a Washington.


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Galassia? No, giovane stella

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Immagine della stella Elias 2-27 ripresa da ALMA, in cui sono ben evidenti i bracci a spirale formati da polveri e gas. Crediti: Credit: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)
Immagine della stella Elias 2-27 ripresa da ALMA, in cui sono ben evidenti i bracci a spirale formati da polveri e gas. Crediti: Credit: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Non fatevi ingannare dal vostro colpo d’occhio. Quella che vedete immortalata nell’immagine qui sopra non è una galassia a spirale – come in effetti potrebbe sembrare di primo acchito –  ma una giovanissima stella avvolta da un disco turbinante di gas e polvere, denominata Elias 2-27. È la prima osservazione di questo tipo di struttura attorno a una stella di recente formazione prodotta dalle onde di densità, ovvero perturbazioni gravitazionali che danno vita a bracci simili, appunto, a quelli di una galassia. Un altro record che va ad aggiungersi al palmares del telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter-submillimeter Array) dell’ESO.

«Queste osservazioni sono la prima prova diretta delle onde di densità in un disco protoplanetario», dice Laura Perez, astronoma dell’Istituto Max Planck per la radioastronomia a Bonn, in Germania, e prima autrice di un articolo pubblicato sulla rivista Science, a cui ha partecipato anche Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e associato INAF.

Elias 2-27, la cui età è stimata attorno al milione di anni, si trova a circa 450 anni luce dalla Terra nel complesso di formazione stellare di Ofiuco. Anche se possiede appena la metà circa della massa del nostro Sole, questa stella possiede un disco protoplanetario insolitamente massiccio. Nella regione più prossima alla stella, ALMA ha individuato un disco appiattito di polvere, tipica caratteristica delle giovani stelle, che si estende a una distanza superiore a quella che compete all’orbita di Nettuno nel nostro Sistema solare. Al di là di questo disco, il telescopio europeo che si trova sull’altopiano di Atacama, sulle Ande cilene, ha osservato una banda scura, indice in quella zona di una bassa presenza di polvere, dove però potrebbe esserci un pianeta in formazione. Da questa zona poi partono due estesi bracci di spirale che si estendono per oltre 10 miliardi di chilometri dalla stella.

«Grazie ad ALMA stiamo compiendo dei passi da gigante per comprendere la formazione dei pianeti in altri sistemi stellari» commenta Testi.  «Ora possiamo farlo osservando direttamente e con un livello di dettaglio mai raggiunto prima cosa sta succedendo all’interno dei dischi protoplanetari. Dopo le prime immagini che mostrano i ”buchi” creati dai nuovi pianeti nei dischi, adesso vediamo attorno a Elias 2-27 i possibili effetti delle instabilità gravitazionali che possono innescare la formazione dei pianeti».


E’ ora disponibile Coelum 204 di ottobre. Leggilo subito!
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Luna crescente, Saturno e Antares per un suggestivo paesaggio

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Il trio Luna, Saturno e Antares si incontra, in una larga congiunzione, nel cielo dominato dalla costellazione dello Scorpione. I tre astri si troveranno in una fascia di cielo compresa tra 10° e 20° di altezza sull'orizzonte. I giorni successivi al 6 ottobre, la Luna avrà già abbandonato lo Scorpione, mentre Saturno e Antares saranno ancora in congiunzione, posti a una distanza di circa 6° e mezzo tra loro.
Il trio Luna, Saturno e Antares si incontra, in una larga congiunzione, nel cielo dominato dalla costellazione dello Scorpione. I tre astri si troveranno in una fascia di cielo compresa tra 10° e 20° di altezza sull'orizzonte.

La sera del 6 ottobre, alle 19:30 circa, si verificherà una spettacolare congiunzione tra Saturno (mag. +0,5), la Luna e Antares (mag. +1,1). I tre astri si troveranno in una fascia di cielo compresa tra 10° e 20° di altezza sull’orizzonte per cui sarà possibile tentare riprese a grande campo inquadrando anche il paesaggio.

I giorni successivi al 6 ottobre Saturno e Antares saranno ancora in congiunzione, posti a una distanza di circa 6° e mezzo tra loro, ma  la Luna avrà già abbandonato lo Scorpione rendendo la ripresa del paesaggio meno suggestiva.

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Astronomiamo – Gli appuntamenti di Ottobre

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8 ottobre 2016 – International Observe the Moon Night 2016

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13 ottobre 2016 – LIFT OFF: Stream mensile di astronautica. Corso di orientamento celeste a Frosinone.

27 ottobre 2016 – Occhi al Cielo – Stream di aggiornamento

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Il Cielo di Ottobre

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 ottobre > 23:00 15 ottobre > 21:00 30 ottobre > 19:00
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 ottobre > 23:00 15 ottobre > 21:00 30 ottobre > 19:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Verso le 21:00 di metà ottobre il cielo notturno apparirà ancora popolato da costellazioni caratteristiche della stagione estiva, la maggior parte delle quali, specie lle più alte e orientali, rimarranno visibili ancora per parecchie ore prima di tramontare. All’inizio della notte astronomica, infatti, l’asterismo del “Triangolo Estivo” sarà ancora alto nel cielo, anche se in procinto di cedere la regione zenitale al grande quadrato di Pegaso. Il Boote ed Ercole saranno già al tramonto, mentre a nordest si potrà seguire l’ascesa della coppia Perseo- Cassiopea e il sorgere della brillantissima Capella con l’Auriga, seguite già dalle luci del Toro, che assieme alle Pleiadi rappresentano le avanguardie del cielo invernale. Questo scenario scenario vedrà il suo completamento con il sorgere di Orione e dei Gemelli nella seconda parte della notte. Sull’orizzonte nord, l’asterismo del Grande Carro si troverà al punto più basso del suo percorso.

Ora Solare
Il 30 ottobre torna l'ora solare invernale (TU+1)

È da ricordare, per il corretto uso delle effemeridi, che alle ore 3:00 di domenica 30 ottobre finirà il periodo dell’ora estiva (TU+2) e bisognerà portare indietro le lancette degli orologi alle ore 2:00. Si ritornerà così all’ora solare invernale (TU+1). È da ricordare, per il corretto usodelle effemeridi, che alle ore 3:00 didomenica 30 ottobre finirà il periododell’ora estiva (TU+2) e bisogneràportare indietro le lancette degliorologi alle ore 2:00. Si ritornerà così all’ora solare invernale (TU+1).

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Alla scoperta del Quadrato del Pegaso

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La versione di Osiris

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La cometa vista da 16 km con la narrow-camera dello strumento Osiris. L'immagine è stata scattata alle 3:20 ora italianaCrediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team
La cometa vista da 16 km con la narrow-camera dello strumento Osiris. L'immagine è stata scattata alle 3:20 ora italiana del 30 settembre, durante la discesa. La risoluzione è di circa 30 cm/pixel e il campo è di circa 614 metri in larghezza. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team

L'ultima immagine inviata da OSIRIS, sfocata poiché la camera non ha un focheggiatore, essendo stata progettata per riprendere immagini ad alta definizione a grande distanza. Ripresa a 10 secondi dall'impatto, da circa nove metri dalla superficie della 67P. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

OSIRIS (Optical, Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System), un nome evocativo per lo strumento che ha realizzato tanti dei magnifici scatti che abbiamo potuto ammirare della cometa 67P. È la doppia camera ad alta risoluzione, grandangolare e ad angolo stretto, in dotazione alla sonda Rosetta, alla cui progettazione ha contribuito l’Università di Padova attraverso il CISAS. Si è posata sul suolo della sua ‘modella’ preferita, lo stesso suolo sul quale ha scattato le foto della discesa di Philae e del quale negli ultimi due anni ci ha mandato ogni giorno immagini incredibili, immagini che contribuiranno come poche altre alla nostra comprensione dell’Universo. Le ultime sono della mattina del 30 settembre e immortalano la cometa 67P da una distanza compresa fra 16 e 1.2 km, scattate da Osiris nella discesa finale verso il suolo della cometa.

Sui blog dell’ESA nei giorni passati abbiamo potuto leggere i dietro le quinte su quanto accaduto ai team di ricerca dei vari strumenti nel corso della missione, e non poteva certo mancare il team di Osiris. Un team enorme, circa 100 persone, che nei momenti di progettazione dello strumento sono arrivate a 300. Dal suo risveglio, dopo l’ibernazione, Osiris ha scattato oltre 76.000 immagini – come ricorda il responsabile di Osiris Holger Sierks – la maggior parte delle quali della cometa, che ci hanno permesso di vedere come mai prima il suolo e le polveri di questo affascinante oggetto. Dall’inizio della missione le foto scattate sono oltre 98.000, e oltre 22.000 le ore di operatività.

Abbiamo sentito per un commento Gabriele Cremonese, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Padova.

Altra immagine arrivata da Osiris del suolo della cometa 67P da una distanza di appena 1.2 chilometri. Crediti:ESA / Rosetta / MPS for OSIRIS Team

«I numeri che riporta Sierks danno un’idea di quanto lavoro ha svolto questo strumento con rarissimi momenti di difficoltà tecniche, ma non possono descrivere l’incredibile entusiasmo di tutto il team nel vedere le prime immagini. Ho riflettuto che nel team di OSIRIS ci sono almeno 5 generazioni di scienziati che in questi due anni hanno lavorato sui dati, ma nell’estate del 2014 sembravamo tutti dei bambini che vedevamo per la prima volta, qualcosa di incredibile».

«Le prime immagini», continua Cremonese, «mostravano subito la forma molto strana del nucleo, e nelle decine di mail quotidiane in molti cercavamo di trovare delle analogie. Il nucleo della cometa sembrava uno stivale o una papera e ci fu un collega che fece girare una foto con un mouse con sopra una prugna dicendo che era proprio così. Da oggi saremo tutti molto tristi perché non avremo più nuove entusiasmanti immagini da commentare. E’ stata comunque una splendida avventura».

Già, una splendida avventura, un viaggio lunghissimo nello spazio verso l’ignoto passato a scattare immagini e che permetterà agli scienziati di lavorare ancora per anni grazie ‘all’album di famiglia con cometa’ realizzato da Osiris.

La cronaca della discesa passo passo nell’articolo Diretta: il gran finale di Rosetta di Polluce Notizie

Una sequenza di immagini riprese durante la discesa del 30 settembre. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA


Per saperne di più sulla storia e le scoperte di questa straodinaria missione, anche attraverso le parole dei protagonisti, non perdete lo Speciale sull’ultimo numero di Coelum Astronomia!


ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA.
Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi

telescopioremoto.uai.it

I convegni e le iniziative dell’UAI
7 – 9 ottobre IX Meeting Nazionale Variabilità e Pianeti Extrasolari Organizzato dalla SdR Pianeti Extrasolari e Stelle Variabili UAI, in occasione del 24° Convegno Nazionale del GAD (sede da definire).
http://pianetiextrasolari.uai.it
http://stellevariabili.uai.it

Le campagne nazionali UAI
8 ottobre Moonwatch Party: La notte della Luna INAF – UAI In occasione della International Observe the Moon Night (InOMN), migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata: anche in Italia!
http://divulgazione.uai.it
http://www.media.inaf.it
http://observethemoonnight.org

Astroiniziative UAI

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28-30 ottobre ICARA 2016, XIII Congresso Nazionale di Radioastronomia Amatoriale Organizzato da SdR
Radioastronomia UAI e IARA – Italian Amateur Radio Astronomy in collaborazione con l’Associazione Astrofili Urania presso l’Osservatorio Astronomico Val Pellice, in provincia di Torino.
radioastronomia.uai.it

Le campagne nazionali UAI

8 ottobre
Moonwatch Party: La notte della Luna INAF – UAI In occasione della International Observe the Moon Night (InOMN)
, migliaia di postazioni osservative in decine di paesi di tutto il mondo allestite per osservare la Luna nella stessa serata: anche in Italia!
divulgazione.uai.itwww.media.inaf.itobservethemoonnight.org

29 ottobre Riaccendiamo le stelle, Giornata nazionale dell’inquinamento luminoso Eventi e conferenze locali per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento luminoso. Promossa dalla Commissione Inquinamento Luminoso UAI.
inquinamentoluminoso.uai.it

Rosetta: Missione Compiuta!

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L'ultimo sguardo di Rosetta alla sua cometa: una foto scattata 10 secondi prima dell'impatto, a ~9 metri dalla superficie aliena di 67P.

Così si conclude la missione Rosetta. Una sala operativa concentrata e in silenzio ha atteso la fine delle comunicazioni della sonda. Ha osservato il segnale sparire, momento che ha indicato l’avvenuto impatto con la cometa alle 12:39 ora italiana, segnale che a noi sulla Terra (non) è arrivato 40 minuti dopo.

Abbracci e un lungo applauso dal team missione all’ESA hanno salutato la sonda, i cui dati e immagini terranno impegnati gli scienziati ancora per molto tempo.

Su Polluce Notizie potete trovare tutti gli aggiornamenti del Gran Finale della missione che noi abbiamo seguito e integrato nella nostra pagina Facebook e Twitter aggiungendo passo passo testimonianze e commenti.

Alcune delle ultime immagini ad alta definizione arrivate da Rosetta questa mattina. In alto a sinistra, un'immagine grandangolare realizzata da OSIRIS WAC alle 11:44 da 2,56 km di quota. Sono visibili due degli abissi che costellano la regione Ma'at, sul lobo minore della cometa. In alto a destra, una parete di uno degli abissi in Ma'at, realizzata dalla fotocamera OSIRIS NAC alle 11:52 da 2,20 km di quota. I blocchi di roccia visibili nella foto sono larghi qualche metro e potrebbero essere i resti dei cometesimi - i frammenti che si aggregarono a formare il nucleo della cometa oltre 4,5 miliardi di anni fa. In basso a sinistra, un mosaico di alcune delle ultime immagini grandangolari inviate da Rosetta. In basso a destra, un'immagine ancor più ravvicinata della parete di uno di questi abissi. La foto è stata scattata alle 12:07 da 1,50 km di quota.

Per saperne di più sulla storia e le scoperte di questa straodinaria missione, anche attraverso le parole dei protagonisti, non perdete lo Speciale sull’ultimo numero di Coelum Astronomia!


Accademia delle Stelle

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Corsi di Astronomia 2016 – 2017!

6 CORSI DI ASTRONOMIA A ROMA PER CONOSCERE L’UNIVERSO E IMPARARE AD OSSERVARE IL CIELO.
CORSI BASE ED AVANZATI.

– Astronomia generale
– Astronomia pratica
– Astrofisica e cosmologia
– Fotografia astronomica
– Astronomia insolita e curiosa
– Archeoastronomia

I sei corsi sono tenuti da un astrofisico, durano due mesi (circa 12 incontri ciascuno), coprono tutti i campi dell’astronomia e hanno ricevuto il patrocinio della UAI. Le lezioni si tengono presso la sala conferenze della nostra sede all’EUR di fronte alla metro Laurentina. Ogni corso comprende anche osservazioni col telescopio e guide del cielo. I corsisti riceveranno materiale didattico, libri, dispense e un attestato di partecipazione. La quota di iscrizione è di 130 euro e cala fino a 83 euro per acquisti multipli. I lettori di Coelum Astronomia riceveranno uno sconto del 10% sul prezzo d’iscrizione. Modalità per avere lo sconto alla pagina https://www.accademiadellestelle.org/corsi

Rosetta, iniziato il countdown. Il 29 settembre in streaming la Missione e i suoi protagonisti!

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Riguarda la diretta!

Il 29 settembre dalle 21:30:
Rosetta la Missione

Il 30 settembre 2016 una delle più grandi missioni mai poste in essere dalla mente umana troverà la sua fine. La missione Rosetta ci ha aperto la strada della conoscenza delle comete, della loro attività ma non solo. Ci ha dato emozioni, ci siamo affezionati a un lander piccolo e di breve durata come Philae.
Ripercorriamo questa storica missione con gli amici di AstronomiAmo, in diretta streaming, con tanti ospiti eccellenti!

Seguite la diretta streaming anche su coelum.com! Non mancate!

Qui sotto invece potete seguire le dirette, purtroppo solo in lingua inglese, che l’ESA ha organizzato per questo Gran Finale!
Clicca qui per gli orari e il programma (in inglese)


Il giorno X si sta avvicinando. Il 30 settembre terminerà la missione Rosetta dell’ESA. Sarà un finale straordinario perché la sonda verrà fatta precipitare sulla cometa 67P attorno alla quale è rimasta in orbita negli ultimi due anni.

Leggi anche Una guida al finale di missione di Rosetta

Una missione piena di sorprese: lacrime di gioia e ora anche un po’ di tristezza nel dire addio alla sonda. Rosetta ha raggiunto la cometa il 6 agosto 2014, dopo un viaggio – dal suo lancio il 2 marzo 2004 – di dodici anni attraverso il Sistema Solare. Il 12 novembre 2014 il lander Philae è stato inviato sulla superficie della cometa con successo. All’inizio di questo mese Rosetta ha ritrovato Philae: era incastrato in una crepa della cometa. Siamo dunque al gran finale?

«Siamo pronti per l’impatto finale sulla cometa, e ancora una volta, con la navicella-madre», spiega Paolo Ferri, Direttore delle operazioni spaziali della missione Rosetta presso l’ESA. «La navicella spaziale non è stata progettata per un impatto dunque non sopravviverà di sicuro, non c’è dubbio», racconta Andrea Accomazzo, Direttore di Volo ESA per la missione Rosetta. Per lo scienziato Matt Taylor il punto scelto per l’impatto è una vera miniera d’oro per la scienza.

L’impatto sulla cometa è previsto per il 30 settembre. Giorno in cui Rosetta entrerà in rotta di collisione deliberata. «Guardiamo com’è fatta una cometa: sul ‘capo’ troviamo questa zona chiamata Ma’at, che è piuttosto interessante perché è una parte molto attiva; in particolare su questo lato ci sono due aree, che noi chiamiamo ‘pozzi’ o fori che producono gas e polveri. Ecco, l’idea è quella di far atterrare Rosetta il più vicino possibile a questi buchi», ci racconta l’ingegnere Armelle Hubault, anche lei parte dello staff della missione.

[continua su ESA EURONEWS]

E non perdere Coelum 204 in uscita il 28 settembre con uno speciale dedicato alla missione: la storia, le scoperte, le interviste ai protagonisti.


Estate sulla cometa: i fuochi d’artificio osservati da Rosetta

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Una compilation degli outburst più luminosi visti sulla cometa 67P da Rosetta tra luglio e settembre del 2015. OSIRIS: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA; NavCam: ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0
Una compilation degli outburst più luminosi visti sulla cometa 67P da Rosetta tra luglio e settembre del 2015. OSIRIS: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA; NavCam: ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Il 13 agosto 2015, la sonda europea Rosetta – che fra una settimana terminerà la sua pionieristica missione – ha accompagnato la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko attraverso il suo perielio, il punto di massima vicinanza al Sole lungo l’orbita del nucleo. Ora, nuove analisi delle immagini scattate da Rosetta hanno consentito agli scienziati di far luce sulla natura e sull’origine delle attività cometarie in prossimità del perielio.

La localizzazione, su una mappa degli outburst estivi della cometa, che corrispondono alle immagini della compilation di apertura (qui la versione con i numeri corrispondenti: http://www.esa.int/spaceinimages/Images/2016/09/Comet_outbursts_annotated). OSIRIS: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
Nel periodo compreso tra 1,5 mesi prima del perielio e 1,5 mesi dopo il perielio, gli occhi robotici di Rosetta hanno documentato la comparsa di 34 getti improvvisi. Di questi, 29 sono stati osservati da OSIRIS, e 5 dalla Navcam. A differenza dei normali flussi di materiale che si staccano dal nucleo regolarmente a ogni rotazione cometaria, questi eventi sono molto più energetici e luminosi. Generalmente, ogni getto risulta visibile in una sola immagine, il che suggerisce che questi fenomeni abbiano una durata media inferiore all’intervallo di tempo tra uno scatto e il successivo – da 5 a 30 minuti, in media. Nonostante la loro breve durata, queste improvvise espulsioni sono in grado di rilasciare da 60 a 260 tonnellate di materiale l’una. In media, durante la fase di perielio, Rosetta ha osservato uno di questi getti ogni 30 ore, corrispondenti a circa 2,4 rotazioni del nucleo.
Mappando la struttura dei getti osservati da Rosetta, gli scienziati hanno potuto individuare tre famiglie di fenomeni. Alcuni getti sono sottili e si estendono fino a vaste distanze dal nucleo; altri presentano basi larghe e si espandono di più in senso laterale; altri ancora sono un ibrido tra le prime due famiglie.
Gran parte della regolare attività della cometa può essere collegata alla costante erosione delle pareti rocciose, inizialmente fratturate da erosione termica e meccanica. Queste fratture si propagano fino alla miscela sottostante di ghiaccio e polvere. Mentre i ghiacci sublimano, i gas sfuggono attraverso le fratture, raccogliendo polvere lungo il cammino e creando così quei getti ben distinti e collimati osservati nelle immagini di Rosetta. Continue fratturazioni, riscaldamenti e sublimazioni, alla fine portano all'improvviso crollo della parete rocciosa. Allo stesso tempo, i detriti che cadono ai piedi delle pareti del cratere che si è creato, espongono materiale precedentemente nascosto, contribuendo al flusso osservato, creando pennacchi più ampi. Crediti: Based on J.-B. Vincent et al (2015)
«Dato che ogni getto è breve in durata e visibile in una sola immagine, non siamo in grado di determinare se è stato fotografato subito dopo la sua espulsione o poco dopo» spiega Jean-Baptiste Vincent. «Di conseguenza, non possiamo dire se questi tre tipi di strutture sono dovuti a meccanismi diversi o se sono semplicemente stadi diversi di un unico processo. Se si tratta di un singolo processo, la sequenza evolutiva più logica è che un getto inizialmente lungo e stretto venga espulso ad alta velocità, probabilmente da una regione confinata. Poi, mentre la superficie del punto di uscita viene modificata, una più ampia frazione del materiale fresco risulta esposta, allargando la base del getto. Infine, quando la sorgente è stata alterata a tal punto da non poter più supportare il getto, ciò che rimane è solo un pennacchio molto ampio».
L’altra grande questione riguarda l’origine di questi improvvisi getti. Secondo gli scienziati, poco più della metà degli eventi osservati da Rosetta sono avvenuti nelle prime ore del mattino (ora locale sul nucleo), quando i raggi del Sole hanno incominciato a riscaldare la superficie dopo varie ore di oscurità totale. La brusca esposizione alla luce solare può causare stress termici che avrebbero portato alla formazione di spaccature in superficie e al conseguente rilascio del materiale volatile.
Quasi tutti gli altri eventi invece sono avvenuti attorno al mezzogiorno locale, ovvero dopo varie ore di illuminazione da parte del Sole. In questo caso, gli scienziati ritengono che il graduale accumulo di calore abbia raggiunto delle trappole sotterranee di gas volatili, causando improvvise esplosioni di materiale.
«Il fatto che ci siano due momenti precisi – all’inizio della mattina e al mezzogiorno – indica che ci sono almeno due diversi meccanismi che possono portare all’emissione di un getto,» prosegue Vincent. «Abbiamo riscontrato che molti dei getti sembrano staccarsi dai confini tra diverse regioni – siti caratterizzati dalla presenza di brusche diversità nel terreno o nella topografia, come ripide colline, abissi o nicchie».
La presenza di massi e altri detriti in prossimità dei punti di origine dei getti, suggerisce che queste aree siano particolarmente esposte ai vari processi di erosione. Mentre i getti meno potenti sarebbero dovuti alla graduale e lenta erosione di alcune formazioni geologiche: ad esempio i getti più intensi osservati da Rosetta durante il perielio della cometa sarebbero dovuti a eventi improvvisi, come il collasso di una struttura o un cedimento del terreno. Tali eventi non avvengono necessariamente di giorno – almeno uno dei getti osservati da Rosetta, infatti, si è staccato da una regione del nucleo che in quel momento era in ombra.
«Studiare la cometa per un lungo periodo di tempo ci ha dato l’opportunità di distinguere tra la normale attività della cometa e questi eventi straordinari,» spiega Matt Taylor dell’ESA. «Studiare come questi fenomeni variano con l’avvicinamento del nucleo al Sole ci fornisce nuovi dettagli per comprendere l’evoluzione delle comete».

Su Coelum 204 di ottobre uno speciale dedicato alla missione! La storia, le scoperte e le interviste ai protagonisiti. Semplicemente clicca e leggi!

Congiunzione Luna e Mercurio

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Sempre sull’orizzonte est, ma di mattina, verso le 6:30 del 29 settembre gli amanti delle sveglie antelucane potranno assistere a una suggestiva congiunzione tra Mercurio (mag. –0,6) e una veramente esigua falce di Luna calante. A quell’ora i due oggetti, separati da una distanza angolare di un paio di gradi, saranno alti +11° e anche se il cielo sarà già chiaro non dovrebbero esserci difficoltà a visualizzarli, magari aiutandosi con un binocolo.
Sempre sull’orizzonte est, ma di mattina, verso le 6:30 del 29 settembre gli amanti delle sveglie antelucane potranno assistere a una suggestiva congiunzione tra Mercurio (mag. –0,6) e una veramente esigua falce di Luna calante. A quell’ora i due oggetti, separati da una distanza angolare di un paio di gradi, saranno alti +11° e anche se il cielo sarà già chiaro non dovrebbero esserci difficoltà a visualizzarli, magari aiutandosi con un binocolo.

Nel cielo del mattino del 29 settembre, alle ore 6:30, la Luna calante, che si presenterà come una sottilissima falce (fase 3%), si posizionerà a poco più di 2° dal pianeta Mercurio (mag. +0,4).

Questa congiunzione sarà visibile sopra l’orizzonte est, quando i due astri saranno piuttosto bassi, entro i 5° di altezza. In quel momento il Sole sarà sotto l’orizzonte di 6° e il cielo ancora abbastanza scuro da permettere (aiutandosi con un binocolo) di cogliere il pianeta.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


Tutti gli eventi del cielo di settembre su Coelum n. 203.

Semplicemente… clicca e leggi!


Astronomiamo – Appuntamenti di settembre

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astronomiamo-sett2016

15 settembre 2016: LIFT-OFF – La Stazione Spaziale Internazionale – Corso di orientamento a Frosinone
29 settembre 2016: SPECIALE ROSETTA – una diretta per il termine della stazione spaziale con molte partecipazoni speciali
30 settembre 2016: La notte dei Ricercatori

Tutti i dettagli su: www.astronomiamo.it

Cinque nuovi “troiani” per Nettuno

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Un gruppo di astronomi è riuscito a individuare cinque nuovi asteroidi troiani di Nettuno (corpi minori che orbitano intorno al Sole lungo la stessa orbita di un pianeta, mantenendosi a una distanza di sicurezza controllata dal campo gravitazionale del pianeta stesso).

La scoperta porta la firma della campagna osservativa Pan-STARRS 1, condotta tra maggio 2010 e maggio 2014.
«La campagna PS1 ha un campo di ricerca molto ampio e abbastanza profondo da coprire una vasta parte della nube di troiani di Nettuno,» spiega Hsing-Wen Lin della National Central University in Taiwan. «Attualmente, PS1 è l’unico programma in grado di rilevare molteplici troiani di Nettuno in una sola campagna».

I cinque oggetti hanno diametri compresi tra 100 e 200 chilometri. Nelle immagini di PS1, gli astronomi hanno individuato quattro oggetti nel punto lagrangiano L4 di Nettuno, ovvero che precedono il pianeta di 60 gradi, e uno nel punto L5, ovvero 60 gradi alle spalle del pianeta.

L’oggetto nel punto L5 risulta molto più instabile degli altri quattro, il che suggerisce che si tratti di un corpo catturato di recente e la cui permanenza nei dintorni di Nettuno potrebbe essere momentanea.
«Le nostre simulazioni orbitali mostrano che il troiano in L5 libra stabilmente solo per alcuni milioni di anni,» si legge nello studio. «Ciò suggerisce che il troiano in L5 sia di recente cattura. I quattro nuovi troiani in L4, al contrario, occupano stabilmente la risonanza 1:1 con Nettuno da più di un miliardo di anni. È probabile, dunque, che siano di origine primordiale».

La campagna osservativa ha portato all’identificazione di altri due troiani già conosciuti, entrambi situati in orbita attorno al punto L4. Studiando la popolazione di troiani di Nettuno, gli astronomi hanno notato la totale assenza di corpi con inclinazioni comprese tra 10 e 18 gradi rispetto all’eclittica. Ciò ha portato gli scienziati a pensare che esistano due diverse popolazioni di troiani nettuniani: una di oggetti “freddi” (ovvero con inclinazioni orbitali inferiori ai 10 gradi) e una di oggetti “caldi” (ovvero con inclinazioni orbitali di oltre 18 gradi).
«Abbiamo notato la presenza di una zona dinamicamente instabile tra 10 e 18 gradi di inclinazione, ma il vero motivo dell’esistenza di due gruppi di troiani è ancora un mistero,» prosegue Lin.

Il prossimo passo, ora, sarà raccogliere informazioni sul colore di questi oggetti, in modo da verificare se l’esistenza di due differenti popolazioni di troiani di Nettuno è un semplice caso oppure se riflette diversi scenari di formazione.

Vedi anche

Il paper “The Pan-STARRS 1 Discoveries of five new Neptune Trojans”, pubblicato recentemente sulla piattaforma ArXiv.org dal gruppo, coordinato da Hsing-Wen Lin della National Central University di Taiwan

23 settembre 1846, 170 anni fa: la scoperta di Nettuno.


Nettuno è ancora nel suo periodo di miglior visibilità, scopri come osservarlo su Coelum 203 di settembre.

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