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La Scoperta di Nettuno

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John Couch Adams (Lidcot, 5 giugno 1819 – Cambridge, 21 gennaio 1892). è stato un matematico britannico.

23 settembre 1846
170 anni fa: la scoperta di Nettuno

Centosettanta anni fa esatti, nella notte tra il 23 e il 24 settembre 1846, l’Osservatorio di Berlino confermò i calcoli compiuti in precedenza da Urbain Le Verrier (1811–1877) e da John Couch Adams (1819-1892) individuando, a meno di un grado dalla posizione calcolata dal matematico francese, l’ottavo pianeta del Sistema Solare: Nettuno. L’osservazione del pianeta venne compiuta da parte di Johann Gottfried Galle e Heinrich Luis d’Arrest.

L'Osservatorio di Berlino dove è stato scoperto Nettuno, in un dipinto di Carl Daniel Freydanck (1811-1887): "Die Neue Sternwarte in Berlin", oil, 1838. Standort der Sternwarte: Lindenstr., Kreuzberg (pubblico dominio)

Appena spentisi i clamori della scoperta, scoppiò ben presto una feroce diatriba sulla paternità della scoperta e soprattutto sulla validità dei calcoli eseguiti prima della prova osservativa, per il fatto che l’orbita teorica, malgrado il riscontro con la posizione osservata, non coincideva affatto con quella reale.

Come andarono effettivamente le cose? Si trattò di una scoperta del tutto fortuita? Oppure, come spesso avviene, una certa dose di fortuna e le circostanze favorevoli facilitarono solo un’impresa scientifica che sarebbe comunque riuscita?

Nelle prossime pagine vedremo di rispondere a queste domande…



Nettuno in questo periodo è in opposizione, e quindi nel suo periodo di miglior visibilità. Per provare ad osservarlo tutti i consigli li trovate su Coelum 203 di settembre!
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Cassini comincia l’ultimo anno di osservazione di Saturno

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La regione degli anelli interni di Saturno dove orbita il satellite Pan del diametro di 28 chilometri. Immagine ripresa da Cassini il 2 Luglio 2016 da una distanza di 1,4 milioni di chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute.
Saturno ripreso da Cassini il 11 Maggio 2015 da una distanza di 2,5 milioni di chilometri. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

di Giuseppe Corleo

Al termine del prossimo mese di novembre 2016 i tecnici del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA guideranno la sonda verso una nuova serie di orbite che porteranno Cassini, in una prima fase, a lambire il bordo esterno degli anelli principali di Saturno.

Queste orbite, denominate “F-rings”, verranno percorse per 20 volte fino ad aprile 2017, consentendo a Cassini una vista ravvicinata fino a 7.800 chilometri della regione intermedia degli anelli principali di Saturno, analizzando in particolare l’anello F con la sua particolare struttura piegata ed intrecciata.

La regione degli anelli interni di Saturno dove orbita il satellite Pan del diametro di 28 chilometri. La piccola luna orbita all’interno della divisione di Encke, nell’anello A, e ha un ruolo fondamentale perché contribuisce a mantenerlo stabile pur modificandone la forma e l’estensione. Immagine ripresa da Cassini il 2 luglio 2016 da una distanza di 1,4 milioni di chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute.

A partire da aprile 2017, l’orbita di Cassini verrà ulteriormente modificata per avvicinarla progressivamente a Saturno dove andrà ad impattare, penetrando negli strati esterni dell’atmosfera, a settembre 2017.

Questa fase, denominata “Gran Finale”, comincerà con un passaggio ravvicinato a Titano che modificherà l’orbita della sonda, a causa dell’attrazione gravitazionale del satellite di Saturno, portando Cassini a tuffarsi per 22 volte, fra aprile 2017 e  settembre 2017, nello spazio libero di 2400 chilometri, mai esplorato prima, fra la superficie esterna del pianeta e i suoi anelli più interni.

Nel “Gran Finale” Cassini effettuerà le osservazioni di Saturno da una distanza molto ridotta, mai raggiunta in precedenza, e che consentirà una analisi approfondita del campo magnetico e gravitazionale del pianeta e una  vista particolareggiata degli strati esterni dell’atmosfera.

Per sapere tutto sulla missione Cassini, lo speciale su Coelum 201. Cliccare sull'immagine per accedere, è gratuito!

A così breve distanza dalla superficie Cassini sarà in grado di analizzare con maggiore accuratezza la lunghezza del giorno di Saturno e ricavare informazioni più accurate sulla struttura interna del pianeta.

La sonda fornirà inoltre osservazioni utili a valutare la massa totale degli anelli di Saturno per determinarne l’età, e al tempo stesso sarà in grado di analizzare campioni di polvere che compongono gli stessi anelli e dei gas che si estendono al di sopra dell’atmosfera del pianeta.

Lanciata il 15 ottobre 1997, Cassini ha iniziato la propria missione scientifica di osservazione di Saturno ben 12 anni fa, il 1 luglio 2004, fornendo agli scienziati informazioni di straordinaria importanza per la conoscenza del pianeta e del suo sistema di anelli e satelliti.

Nell’infografica seguente, preparata dal team della NASA-JPL e dal California Institute of Technology (Caltech) una sintesi dei risultati principali conseguiti fino ad ora dalla sonda Cassini nei 12 anni di missione nell’orbita di Saturno.

In numeri, la missione di Cassini al 15/09/2016. Credits: NASA/JPL-Caltech

Cassini-Huygens è una missione congiunta dell’Agenzia Spaziale Americana (NASA), dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), composta dalla sonda orbitante Cassini, progettata e costruita dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA , e dalla sonda esplorativa Huygens, progettata e costruita dall’ESA.

Nell’animazione di NASA/JPL-Caltech, le orbite di Cassini a partire da Novembre 2016: in verde le “F-rings” che verranno percorse fino ad Aprile 2017 e in blu le successive orbite del “Gran Finale” che porteranno la sonda a tuffarsi nell’atmosfera di Saturno nel Settembre 2017. In arancione viene indicata l’orbita del satellite Titano e nel diagramma nell’angolo in basso a destra la distanza di Cassini dalla superficie di Saturno.

Fonti: NASAASI.

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Coelum 203 di settembre 2016 è online!
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LA NOTTE DELLA LUNA a Palidoro (Fiumicino)

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Quella di sabato 8 ottobre sarà una serata all’insegna della Luna e di tante novità. Un evento mondiale organizzato dalla NASA che vede impegnati tutti gli astrofili del mondo nell’osservazione del nostro satellite naturale.

A Palidoro, grazie all’Oratorio Salvo D’acquisto che ospita il Gruppo Astrofili Palidoro, nel grande campo sul retro della Parrocchia SS Filippo e Giacomo nel borgo antico, sarà possibile guardare la Luna direttamente con i propri occhi, infatti nell’occasione saranno allestiti 4 telescopi che porteranno in visitatori in un affascinante viaggio lunare.

Una breve conferenza sul nostro satellite naturale renderà la serata ancora più interessante grazie alle spiegazioni degli astrofili. Una serata in cui verrà presentata l’Associazione Gruppo Astrofili Palidoro da poco costituita, infatti ci sarà, per chi vorrà, la possibilità di tesserarsi e diventare socio.

L’evento targato InOMN2016 è patrocinato dal Comune di Fiumicino e ha come Media Sponsor Frascati Scienza e Coelum Astronomia.

L’appuntamento dunque è per sabato 8 ottobre alle ore 20.30.

Per maggiori informazioni in merito si può scrivere a info@astrofilipalidoro.it

www.astrofilipalidoro.it


www.facebook.com/astronomiapalidoro

Pianeti in una stanza – #ERN

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di Elisa Bianchini

Le stelle, il cielo, l’ignoto. Quei puntini luminosi hanno da sempre affascinato l’uomo e la scienza si è sempre impegnata a capirne storia, composizione, leggi che governano l’universo. Grazie alla tecnologia, il mistero che avvolge i corpi celesti è sempre meno fitto: telescopi, osservatori, sonde spaziali riescono a catturare immagini e informazioni sempre più precise che hanno permesso agli scienziati di realizzate mappe sempre più dettagliate.

La missione Gaia promossa dall’ESA, ad esempio, è l’ultimo progetto di successo a cui hanno partecipato attivamente molti dei grandi enti di ricerca italiani che sostengono la Notte Europea dei Ricercatori, in cui è stata realizzata la più grande e precisa mappa della galassia. Il satellite di Gaia, nei primi due anni di attività, ha raccolto e schedato circa un miliardo di stelle di cui sono state misurate posizione e luminosità con una precisione senza precedenti. Nel corso dei prossimi cinque anni la missione ha l’obiettivo di implementare la mappa stellare realizzata, raccogliendo informazioni anche sul moto dei corpi celesti in modo da permettere agli scienziati di ricostruire la storia della Via Lattea e a determinare quanta sia la materia oscura contenuta in essa, dando vita alla più grande e precisa carta stellare di tutti i tempi.

Come da tradizione, alla Notte Europea dei Ricercatori le stelle sono tra i protagonisti e molte attività sono studiate per avvicinare grandi e piccini al grande mistero della volta celeste, dando la possibilità di vedere da vicino come sono stelle e piante, scoprire mappe e posizioni e con la guida dei ricercatori capire come funziona lo studio dell’universo.

L’installazione Pianeti in una stanza: in viaggio nel Sistema Solare realizzata all’interno delle Mura del Valadier di Frascati, recentemente restaurate, porterà tutti i partecipanti alla scoperta di stelle, pianeti, lune, asteroidi e comete in una vera e propria visita guidata. Grazie alle informazioni raccolte e alle tecnologie messe a punto da Università degli Studi Roma Tre, INAF – IAPS, Associazione Speak Science e Frascati Scienza il monitor sferico di 1 metro di diametro (la Sfera Didattica prodotta e personalizzata dalla ditta 3Des) proietterà le immagini catturate dalle più recenti missioni spaziali sulle pareti, per vivere veri e proprio incontri ravvicinati con i corpi celesti.

Vi siete mai chiesti come sarebbe visitare i deserti marziani, contemplare le evoluzioni dell’atmosfera di Giove o assistere da vicino a una eruzione solare? Pianeti in una stanza è un innovativo monitor sferico di oltre un metro di diametro, che permette di immergersi nella realtà virtuale di altri pianeti e toccare con mano gli ultimi dati delle sonde spaziali attualmente in volo. Con Pianeti in una stanza, potrete vedere sorgere davanti ai tuoi occhi stelle, pianeti e altri corpi celesti e verrai guidato da astrofisici e ricercatori in una serie di astro-spettacoli su varie tematiche scientifiche, come la formazione del Sistema Solare, lo studio di Giove da parte della sonda Juno o il pianeta Mercurio e la futura missione Bepi Colombo.

Pianeti in una stanza sarà disponibile tutte le mattine della settimana della scienza per le scuole e venerdì 30 alla Notte Europea dei Ricercatori per tutti.

Per maggiori dettagli e prenotazioni  www.frascatiscienza.it



L’esplorazione del Sistema Solare continua su Coelum! Semplicemente… clicca e leggi, è gratis!

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Gli anelli dei centauri

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Rappresentazione artistica degli anelli di Chariklo visti dall’interno. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger
Rappresentazione artistica degli anelli di Chariklo visti dall’interno. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger

centauri sono una classe di pianeti minori che descrivono un’orbita intorno al Sole che incrocia in qualche modo, o ha incrociato, quella dei pianeti giganti del nostro Sistema solare. Occorre tener presente che la definizione riferita al termine centauro varia al variare della fonte di riferimento: mentre infatti per la IAU essi sono corpi celesti con perielio oltre l’orbita di Giove e dal semiasse maggiore inferire a quello di Nettuno, la NASA definisce centauri quegli oggetti il cui semiasse maggiore è compreso tra le 5,5 e le 31,1 unità astronomiche. I centauri comunque sono noti per non descrivere orbite stabili e possono essere espulsi dal Sistema solare in seguito all’interazione gravitazionale con i giganti gassosi.

Distribuzione delle orbite dei pianeti minori noti come centauri. Crediti: Minor Planet Center Orbit database (MPCORB)

Molto probabilmente costituiscono una condizione orbitale intermedia per i corpi celesti provenienti dalla fascia di Edgeworth-Kuiper che stanno per trasformarsi in comete a corto periodo della famiglia delle comete gioviane. La loro evoluzione inizia nel Sistema solare esterno, dove occasionali perturbazioni gravitazionali possono sospingere i planetoidi della fascia in direzione del Sole, portandoli ad incrociare l’orbita di Nettuno, subendo quindi l’influenza gravitazionale del pianeta. Le orbite dei centauri non restano stabili, ma possono evolvere in modo rapido e imprevedibile con l’avvicinamento progressivo a uno o più degli altri giganti gassosi e, a seguito alle perturbazioni orbitali indotte da Giove e dagli altri giganti gassosi, possono infine collidere con il Sole o un altro pianeta, oppure venire espulsi nello spazio interstellare.

Oggi si stima che ci siano almeno 44.000 di questi corpi celesti con diametro maggiore di un chilometro. Su Media INAF ne avevamo parlato nel 2014, quando attorno al centauro 10199 Chariklo – che ha un raggio di circa 250 chilometri – venne scoperta la presenza di due anelli, il tutto grazie alle osservazioni effettuate con il metodo dei transiti da diversi telescopi in contemporanea mentre l’oggetto transitava, appunto, di fronte a una stella. Fino ad allora si pensava che solo Saturno e Giove nel nostro Sistema solare fossero dotati di un sistema di anelli.

Recenti osservazioni, e la rielaborazione di dati già a disposizione dei ricercatori, hanno permesso di scoprire la presenza di anelli anche intorno a 2060 Chirone, un altro dei centauri noti, anzi, il primo degli oggetti appartenenti a questa classe ad essere stato scoperto nel 1977. In uno studio pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters un gruppo di ricercatori guidati dal giapponese Hyodo Ryuki, del Dipartimento di Planetologia dell’Università di Kobe, ha cercato di far luce sull’origine di questa struttura e, a partire dai risultati ottenuti, sembrerebbe che anche molti altri centauri siano candidati ad avere attorno a sé sistemi di anelli.

Lo studio ha stimato innanzitutto quanti possano essere i centauri che passano ad una distanza abbastanza ridotta vicino ai pianeti giganti del nostro Sistema solare, per cui ne subiscono l’influenza del campo gravitazionale. Influenza che si concretizza nella distruzione dell’oggetto celeste, o almeno nella sua disgregazione parziale. Dalle stime sembra che approssimativamente il 10% della popolazione di centauri passi ad una distanza tanto ravvicinata da risentire in modo significativo degli effetti del campo gravitazionale di Giove e Nettuno.

Simulazione del comportamento di un centauro a differenti condizioni di velocità di rotazione e di composizione del nucleo a seguito di un passaggio ravvicinato a un pianeta gigante. Crediti: Ryuki Hyodo, Sébastien Charnoz et altera.

Attraverso l’uso di sofisticate simulazioni i ricercatori hanno quindi stimato l’effetto sulla superficie di questi asteroidi dato dal passaggio ravvicinato. Ovviamente i risultati dipendono da una serie di variabili, tra cui la velocità di rotazione, la grandezza del nucleo e la composizione del centauro, nonché la distanza di minimo avvicinamento al pianeta. I risultati mostrano che se il centauro ha un nucleo di silicati ricoperto da ghiaccio l’effetto distruttivo provocato dal passaggio ravvicinato crea una scia di detriti che tende a rimanere legata ai residui di dimensione maggiore, andando a disporsi in forma discoidale. Sarebbe questa, dunque, l’origine dei sistemi di anelli presenti attorno a Chariklo e Chirone. Ma lo studio, a partire proprio da questi risultati, ipotizza che la presenza di sistemi di anelli attorno ai centauri potrebbe essere ben più diffusa di quanto si sia pensato fino ad oggi e che ci possano addirittura essere delle piccolo lune in orbita attorno a questi oggetti, in attesa solo di essere scoperte.

Per saperne di più:

Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo: “Formation of centaurs’ rings through their partial tidal disruption during planetary encounters”, di Ryuki Hyodo, Sébastien Charnoz, Hidenori Genda, Keiji Ohtsuki.


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Congiunzione stretta tra Luna e Aldebaran (Toro)

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All’ora indicata i due oggetti saranno separati di poco più di 30' e saranno posti a una altezza di circa 8° sull’orizzonte est-nordest. Si consiglia comunque di seguire l’evento già dalle 22 (quando i due oggetti saranno però bassi sull’orizzonte) e nelle ore successive. Per esigenze grafiche, la Luna nell’immagine è ingrandita.

La sera del 21 settembre la Luna quasi all’Ultimo quarto festeggerà lequinozio di autunno sorgendo dall’orizzonte est in congiunzione stretta con Aldebaran, la stella alfa del Toro. L’avvicinamento massimo si avrà verso le 23:30, quando la stella disterà meno di 30′ dal centro del disco lunare e meno di 14′ dal bordo. A quell’ora i due oggetti saranno alti soltanto +8° e converrà attendere ancora una mezz’ora per dare il via a riprese fotografiche capaci di valorizzare anche il paesaggio al contorno.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


Tutti gli eventi del cielo di settembre su Coelum n. 203.

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Il Colonnello ALFRED WORDEN in ITALIA

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L’Associazione per la Divulgazione Astronomica e Astronautica ADAA è orgogliosa di annunciare che venerdì 14 ottobre e sabato 15 ottobre ospiteremo in Italia l’astronauta della NASA, Pilota del Modulo di Comando della Missione Apollo 15 e primo uomo ad effettuare un’EVA nello spazio profondo. Vivrete un evento unico e mai visto in Italia. Due giorni immersi nell’avventura più grande dell’umanità.

Quest’anno, circa 45 anni dopo il suo storico viaggio; Alfred Worden astronauta di Apollo 15 ricorderà la sua storica missione lunare del 1971. Godetevi l’emozione del racconto da parte di uno dei soli 24 esseri umani ad aver visitato un altro corpo celeste.

Presidente ADAA
Luigi Pizzimenti

PROGRAMMA

Venerdì 14 ottobre 2016

GALA DINNER (Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel & Conference Centre)

18.00 Registrazione
19.00-21.00 Cena di Gala (E’ gradito abbigliamento adeguato) Worden, con il suo intervento ci farà rivivere l’epico viaggio fino alla Luna.  Traduzione di Paolo Attivissimo. Al termine della cena, lotteria con premi e asta di  modelli e fotografie autografate dall’astronauta.
21.30 – 22.30 Sessione autografi.

Sabato 15 ottobre 2016:

CONFERENZA (Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel & Conference Centre)

14.00 Registrazione
14,30-15,45 Servizio fotografico professionale.
16,00- 17,00 Conferenza Q&A session  (Traduzione di Paolo Attivissimo).
17,30 -19,00 Sessione Autografi

Per maggiori informazioni andare alla pagina dell’evento o scrivere a info@collectionspace.it

Hubble osserva da vicino la disintegrazione di una cometa

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L'animazione mostra un montaggio delle immagini della cometa riprese da Hubble nell'arco di tre giorni: 26, 27 e 28 gennaio 2016. Credit: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)

Nuove immagini realizzate dal telescopio spaziale Hubble documentano la straordinaria distruzione di una cometa a 108 milioni di chilometri dalla Terra.

Le osservazioni di Hubble, realizzate nell’arco di tre giorni tra il 26 e il 28 gennaio 2016, rivelano la presenza di 25 blocchi di roccia e ghiaccio in prossimità del nucleo della cometa 332P/Ikeya-Murakami. I dati rivelano fluttuazioni irregolari nella luminosità dei frammenti, probabilmente dovute al cambiamento nelle condizioni di illuminazione, e variazioni anche nelle forme dei detriti, man mano che essi si separano dal nucleo.

Si tratta di una delle più nitide e più dettagliate osservazioni della disgregazione in più pezzi di una cometa. Credit: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)

I 25 frammenti scovati da Hubble ammontano al 4% del materiale della cometa, misurano tra 20 e 60 metri di diametro e viaggiano a velocità relative di pochi chilometri orari. Misurando le variazioni nella luminosità del nucleo, si è potuto determinare il suo periodo di rotazione,  compreso tra le due e le quattro ore. La cometa, inoltre, è risultata ben più piccola del previsto, con un diametro di meno di 500 metri.

Scoperta alla fine del 2010 da due osservatori giapponesi, Kaoru Ikeya e Shigeki Murakami, si sospetta che le radiazioni solari abbiano riscaldato la cometa a tal punto da portare alla sublimazione di alcuni ghiacci in prossimità della superficie. A causa delle dimensioni ridotte del nucleo, questi getti di materiale sarebbero stati sufficienti ad accelerare la rotazione della cometa, portando all’espulsione di alcuni frammenti. È quindi probabile che la cometa abbia sparso materiale nello spazio tra ottobre e dicembre 2015.

Alcuni dei frammenti espulsi dal nucleo, poi, sembrerebbero essersi a loro volta spaccati in più pezzi. «Le nostre analisi mostrano che i frammenti più piccoli non sono così abbondanti come ci si aspetterebbe considerato il numero dei detriti più grandi,» prosegue Jewitt. «Ciò suggerisce che vengano esauriti nel giro di pochi mesi una volta espulsi dal corpo primario».

Le immagini di Hubble mostrano la presenza di quello che parrebbe essere un altro detrito nelle immediate vicinanze del nucleo – forse il primo di una nuova ondata di frammenti – ed è stato individuato anche un detrito che potrebbe essersi staccato dal nucleo nel 2012 e che sarebbe largo più o meno quanto l’intera cometa. «In passato, gli astronomi credevano che le comete morissero sotto il calore del Sole, esaurendo in fretta i loro ghiacci,» prosegue Jewitt. «Le ipotesi erano due: o non rimaneva nulla, o si salvava solo un pezzo di materiale morto, un tempo il nucleo di una cometa attiva. Ora, però, sembra che la frammentazione potrebbe essere lo scenario conclusivo più comune».

Secondo gli scienziati, la cometa dispone di abbastanza materiale da poter sopravvivere solo ad altre 25 ondate di frammentazione di questo genere. «Se la cometa produce questi eventi ogni sei anni, ovvero a ogni rivoluzione intorno al Sole, allora scomparirà fra 150 anni,» conclude Jewitt. «In termini astronomici, è un battito di ciglia. La sua avventura nel Sistema Solare interno la sta uccidendo».


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Astronomiamo – Appuntamenti di settembre

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15 settembre 2016: LIFT-OFF – La Stazione Spaziale Internazionale – Corso di orientamento a Frosinone
29 settembre 2016: SPECIALE ROSETTA – una diretta per il termine della stazione spaziale con molte partecipazoni speciali
30 settembre 2016: La notte dei Ricercatori

Tutti i dettagli su: www.astronomiamo.it

30 settembre 2016 – Notte europea dei Ricercatori

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Ma cos’è la Notte Europea dei Ricercatori?
L’evento nasce nel 2005 per volere della Commissione Europea nell’ambito delle Marie Skłodowska-Curie Actions, un programma della UE con l’obiettivo di promuovere le carriere dei ricercatori in Europa.
La manifestazione ha il grande compito di diminuire la distanza che c’è tra il ricercatore e il largo pubblico. Durante la manifestazione il ricercatore viene messo al centro di tutto: non più un “nerd” quindi ma un giovane appassionato del suo lavoro che svolge un ruolo fondamentale per la società. Una festa del ricercatore, con una serie di eventi e spettacoli dedicati alla divulgazione scientifica volti a imparare divertendosi. Una grande opportunità per giovani e meno giovani di incontrare chi della ricerca ha fatto il proprio lavoro, parlare con loro e riscoprire cosa fanno realmente per la società in modo interattivo e appassionante. Il tutto avviene tramite esperimenti pratici, spettacoli scientifici, attività di apprendimento per bambini, visite guidate dei laboratori di ricerca, quiz su argomenti scientifici e
altro ancora…

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Caronte: la luna in rosso

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La missione New Horizons della NASA, durante il suo flyby al sistema di Plutone, ha raccolto questa immagine ad alta risoluzione di Caronte, la luna più grande del pianeta nano. L’immagine è frutto della sovrapposizione delle immagini raccolte nelle bande blu, rossa e infrarossa dalla camera Multispectral Visual Imaging Camera. I colori sono stati elaborati per evidenziare al meglio la variazione delle proprietà superficiali di Caronte. Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI
La missione New Horizons della NASA, durante il suo flyby al sistema di Plutone, ha raccolto questa immagine ad alta risoluzione di Caronte, la luna più grande del pianeta nano. L’immagine è frutto della sovrapposizione delle immagini raccolte nelle bande blu, rossa e infrarossa dalla camera Multispectral Visual Imaging Camera. I colori sono stati elaborati per evidenziare al meglio la variazione delle proprietà superficiali di Caronte. Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI

L’estate scorsa, quando le camere a bordo della sonda New Horizons della NASA hanno iniziato a scorgere Plutone e le sue lune, gli scienziati hanno notato qualcosa di strano nelle immagini: Caronte mostrava una grande regione polare rossastra. Nessuno aveva mai visto niente di simile prima di allora.

Nel corso dei mesi successivi, il team di New Horizons ha raccolto e analizzato molte altre immagini e dati, grazie ai quali i ricercatori ritengono di aver risolto il mistero. I risultati delle loro analisi, pubblicati sull’ultimo numero della rivista Nature, indicano che il colore rosso sulla superficie di Caronte proviene da Plutone, poiché il metano che fuoriesce in forma gassosa dalla superficie del pianeta nano viene intrappolato dalla gravità della luna e rimane nella regione del suo polo nord. A questo seguono effetti dovuti alla luce ultravioletta proveniente dal Sole, che trasforma il metano in idrocarburi più pesanti e quindi in materiali organici rossastri chiamati toline.

«Chi l’avrebbe mai detto: Plutone è un artista di graffiti, uno street artist spaziale che si diverte a colorare il suo compagno di viaggio con macchie rossastre», dice Will Grundy, membro del team New Horizons presso il Lowell Observatory in Arizona e primo autore dello studio. «Ogni volta che esploriamo territori sconosciuti, troviamo nuove sorprese. La natura è ricca di fantasia, e utilizza le leggi fondamentali della fisica e della chimica per creare ogni volta paesaggi sempre più spettacolari».

I ricercatori hanno confrontato tra loro le immagini estremamente dettagliate di Caronte raccolte da New Horizons e le simulazioni al computer di come ci aspettiamo che evolva il ghiaccio ai suoi poli. Gli scienziati della missione avevano già avanzato l’ipotesi che il metano presente nell’atmosfera di Plutone venisse trasferito su Caronte e intrappolato al polo nord trasformandosi in materiale rossastro, ma non avevano modelli teorici a sostegno di questa idea.

L’analisi dei dati ha comportato un duro lavoro per il team, che ha scavato a fondo tra le informazioni raccolte per capire se Caronte possa effettivamente catturare ed elaborare il metano da Plutone. I modelli teorici hanno tenuto conto dell’orbita di Plutone e Caronte, che impiega 248 anni per compiere un’intera rivoluzione attorno al Sole, e hanno mostrato una serie di condizioni meteorologiche estreme ai poli della luna, dove si alternano 100 anni di luce continua a 100 anni di completa oscurità. Nel corso di questi lunghi inverni, le temperature crollano fino a -257° C, abbastanza per portare il metano allo stato solido.

«Le molecole di metano rimbalzano lungo la superficie di Caronte finché non riescono a fuggire nuovamente nello spazio oppure arrivano al polo, dove si congelano formando un sottile strato di metano ghiacciato che persiste fino a che la regione non torna ad essere illuminata», spiega Grundy. Ma mentre il metano sublima rapidamente, gli idrocarburi che si sono formati nel tempo rimangono sulla superficie della luna.

Le osservazioni raccolte da New Horizons hanno permesso di studiare anche l’altro polo di Caronte, attualmente nel pieno del buio invernale, grazie alla luce riflessa da Plutone. I dati hanno confermato che la stessa attività si verifica su entrambi i poli.

«Questo studio risolve uno dei più grandi misteri trovati su Caronte, la più grande luna di Plutone», dice Alan Sternprincipal investigator della missione New Horizons presso il Southwest Research Institute e co-autore dello studio. «Ora si apre davanti a noi la possibilità che anche altri pianeti nani o corpi minori nella fascia di Kuiper abbiano lune su cui si possono osservare fenomeni simili».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “The formation of Charon’s red poles from seasonally cold-trapped volatiles” di W. M. Grundy, D. P. Cruikshank, G. R. Gladstone, C. J. A. Howett, T. R. Lauer, J. R. Spencer, M. E. Summers, M. W. Buie, A. M. Earle, K. Ennico, J. Wm. Parker, S. B. Porter, K. N. Singer, S. A. Stern, A. J. Verbiscer, R. A. Beyer, R. P. Binzel, B. J. Buratti, J. C. Cook, C. M. Dalle Ore, C. B. Olkin, A. H. Parker, S. Protopapa, E. Quirico, K. D. Retherford et al.

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Gaia e la madre di tutte le mappe del cielo

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Copyright: ESA/Gaia/DPAC

Presentata il 14 mattina in conferenza stampa internazionale da Madrid, a mille giorni dal lancio avvenuto il 19 dicembre 2013, la prima release dei dati (DR1) della missione spaziale Gaia dell’ESA. Dalle 12:30 del 14 settembre sono liberamente disponibili in rete per gli scienziati da tutto il mondo, gli oltre 110 miliardi di osservazioni fotometriche e i 9.4 miliardi di osservazioni spettroscopiche raccolte fino a oggi dal telescopio spaziale ESA, e in particolare i dati collezionati da luglio 2014 a settembre 2015, offrono una vista a tutto cielo delle stelle presenti nella nostra Galassia – la Via Lattea – e nelle galassie vicine. Un miliardo di stelle in una sola mappa, quella che vedete qui sotto: la più grande e la più accurata, ha detto in conferenza stampa Anthony Brown della Leiden University, mai prodotta da una singolasurvey.

Copyright: ESA/Gaia/DPAC

«Questo primo rilascio dei dati raccolti ci dimostra, dopo neanche 12 mesi di lavoro, che la missione Gaia ha già superato di tre volte la qualità dei risultati della precedente missione europea Hipparcos», sottolinea Mario Lattanzi dell’INAF di Torino, responsabile per l’Italia del DPAC (Data Processing and Analysis Consortium) di Gaia. «Un primo importante successo che vede protagonisti anche gli scienziati italiani e dell’INAF».

I cinque scienziati presenti alla conferenza stampa internazionale. Da sinistra: Gisella Clementini, Antonella Vallenari, Anthony Brown, Timo Prusti e Fred Jansen

Scienziati e scienziate. Soprattutto scienziate. Dei cinque membri del team Gaia oggi sul palco dell’ESAC a presentare al mondo la prima messe di dati di questa missione dalla partenza non facile, due sono infatti astrofisiche INAF: Antonella Vallenari, dell’Osservatorio astronomico di Padova, e Gisella Clementini dell’Osservatorio astronomico di Bologna.

«Questo è solo l’inizio», promette Clementini riferendosi alle osservazioni fotometriche compiute con Gaia di 3194 stelle variabili – 386 delle quali sono nuove scoperte – come le CefeidiRR Lyrae. «Abbiamo misurato la distanza della Grande Nube di Magellano per verificare la qualità dei dati, e i risultati offrono un’anteprima dei notevoli progressi che Gaia ci consentirà presto di raggiungere nella comprensione delle distanze cosmiche».

Durante il lavoro di convalida del catalogo, gli scienziati del DPAC hanno condotto anche uno studio sugli ammassi aperti – gruppi di stelle coetanee e relativamente giovani – dal quale si evince chiaramente il miglioramento permesso dai nuovi dati. «Con Hipparcos potevamo analizzare la struttura tridimensionale e la dinamica delle stelle solo nelle Iadi, l’ammasso aperto più vicino al Sole, e misurare le distanze di circa 80 ammassi fino a 1600 anni luce da noi», ricorda Vallenari. «Ma già solo con i primi dati di Gaia riusciamo a misurare le distanze e i moti delle stelle in circa 400 ammassi, spingendoci fino a 4800 anni luce di distanza. Per i 14 ammassi aperti più vicini, i nuovi dati rivelano un grande numero di stelle sorprendentemente lontane dal centro del’ammasso di appartenenza, stelle probabilmente in fuga e destinate a popolare altre regioni della nostra galassia».

La missione Gaia in cifre (cliccare per ingrandire, merita…). Crediti: ESA

«La strada fino a oggi non è stata priva di ostacoli: Gaia ha dovuto far fronte a una serie di sfide tecniche che hanno richiesto un notevole sforzo collaborativo per essere superate», dice infine Fred Jansen, il mission manager di Gaia dell’ESA. «Ma ora, mille giorni dopo il lancio e grazie all’enorme lavoro di tutte le persone coinvolte, è con entusiasmo che possiamo presentare al mondo questo primo insieme di dati. E non vediamo l’ora d’arrivare alla prossima release, che mostrerà tutto il potenziale di Gaia nell’esplorazione nostra galassia, in un modo che non abbiamo mai visto prima».

Guarda il servizio video su INAF-TV dal nostro inviato nella sede ASI:

Le interviste video in diretta Facebook dalla sede ASI realizzate da Elisa Nichelli:


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Argentina: rinvenuto un meteorite gigante da 30 tonnellate!

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Gancedo, come la vicina città in cui è stato scoperto, il secondo meteorite più grande rinvenuto sulla Terra. La roccia spaziale di circa 30 tonnellate (30.800 kg) è stata scoperta a Campo del Cielo, della provincia del Chaco in Argentina, e sembra aver colpito il nostro pianeta circa 4000 anni fa.
È stato chiamato Gancedo, come la vicina città in cui è stato scoperto, il secondo meteorite più pesante rinvenuto al mondo. Di circa 30 tonnellate (30.800 kg) è stato rinvenuto a Campo del Cielo e farebbe parte della pioggia di meteoriti che ha colpito il nostro pianeta circa 4000 anni fa, dovuta all'esplosione in più pezzi di un asteroide di 800 tonnellate.

Argentina: altro ferro cosmico

La saga di Campo del Cielo, il più famoso campo meteoritico argentino, si è arricchita di un nuovo importante capitolo. Nei giorni scorsi, infatti, nel corso di un lavoro di scavo, gli operai si sono imbattuti in una grossa sorpresa: un imponente macigno ferroso di un paio di metri e del peso di oltre 30 tonnellate.

El Chaco, il meteroite rinvenuto sempre a Campo del Cielo, nella provincia di El Chaco, da cui prende il nome. Credit: Scheihing Edgardo (CC BY 2.0)

Teatro della scoperta la cittadina argentina di Gancedo, 4300 abitanti, al confine tra le province di Chaco e di Santiago del Estero. Poiché Gancedo si trova proprio al limitare del campo meteoritico, non ci è voluto molto a collegare anche questo macigno ferroso alla pioggia di meteoriti abbattutasi in quella regione 4000 anni fa.

Una pioggia di tutto rispetto. Sia per l’energia liberata nell’evento, stimata in 2-3 Megatoni, sia per le dimensioni dei frammenti ferrosi che nel corso dei secoli sono state recuperate.

Il primato, che difficilmente verrà battuto, è di Hoba, il meteorite rinvenuto per caso da un agricoltore nel 1920, nella regione di Otjozondjupa in Namibia, del peso di circa 66 tonnellate. Crediti: Mike (Flickr CC-BY-2.0)

Vedi anche

• Nel terzo capitolo delle-book MINACCIA FANTASMA Caludio Elidoro dedica un paio di pagine proprio a Campo del Cielo, rese disponibili in occasione di questa scoperta sono scaricabili cliccando qui, l’ebook invece può essere acquistato cliccando sul titolo qui sopra.

• Il video dell’estrazione del meteorite Guancedo:



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Una guida al finale di missione di Rosetta

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L'ultima orbita di Rosetta attorno alla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko. Dopo la manovra di inserimento del 24 settembre, il 29 inizierà la drammatica ma spettacolare discesa verso la superficie della cometa, sulla quale impatterà il 30 settembre, decretando la fine di questa straodinaria missione.

Mancano ormai tre settimane al drammatico ed emozionante finale della missione europea Rosetta. Il 30 settembre, la sonda atterrerà sul nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, posandosi sul bordo di un abisso largo oltre 130 metri. Il sito di atterraggio è situato nella regione Ma’at, posta lungo il lobo minore della cometa e caratterizzata dalla presenza di numerose cavità attive. È da questi abissi che i getti di polveri e vapore acqueo che si staccano dal nucleo hanno origine; inoltre, le loro pareti sono formate perlopiù da blocchi larghi qualche metro che potrebbero essere i resti dei cometesimi da cui si ritiene abbia avuto origine la cometa.

Rosetta continuerà a sorvolare la cometa fino al 24 settembre, quando si sposterà su un’orbita più elevata, a 15 per 23 chilometri di quota.

Nel pomeriggio del 29 settembre, dall’alto della sua nuova orbita, la sonda manovrerà e si porterà su una traiettoria di collisione con il nucleo, inaugurando una discesa di 20 chilometri.

L’impatto con il suolo avverrà tra le 12:20 e le 13.00 ora italiana (l’orario nominale è fissato per le 12:40) del 30 settembre.

Al momento dell’impatto, Rosetta avrà accumulato una velocità di circa 90 centimetri al secondo, o poco più di tre chilometri orari. In seguito al contatto con il suolo, il software di bordo procederà automaticamente a spegnere i sistemi vitali della sonda, compresi il sistema di controllo dell’assetto e l’antenna ad alto guadagno. A causa della distanza della cometa dalla Terra, l’ultimo segnale di Rosetta, ovvero quello dell’impatto, ci raggiungerà attorno alle 13:20 ora italiana.

Nell'immagine in basso la zona ingrandita dove atterrerà Rosetta. Sono visibili le profonde depressioni dovute all'attività cometaria nelle quali potrebbe concludere la sua missione. Copyright ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Rosetta si calerà verso un’ellisse di atterraggio di 700 per 500 metri, centrata quasi sul bordo dell’abisso soprannominato Deir el-Medina. A causa della vasta area di incertezza, non è possibile escludere che la sonda finisca all’interno della cavità; tuttavia, essendo l’abisso profondo circa una sessantina di metri, Rosetta sarà in totale oscurità e potrebbe non essere in grado di parlare con la Terra durante le ultime fasi della discesa, nel caso dovesse finire all’interno di Deir el-Medina.

È improbabile che la sonda rimbalzi contro la superficie e si perda per sempre nello spazio profondo: Rosetta, infatti, non è stata progettata per atterrare, e i suoi ingombranti pannelli solari (larghi 32 metri) verranno danneggiati durante l’impatto. La conseguente dissipazione di energia dovrebbe fare in modo che la sonda non rimbalzi contro il nucleo. Naturalmente, la discesa vedrà impegnati quasi tutti gli strumenti a bordo di Rosetta, fotocamere comprese. La traiettoria di avvicinamento non permetterà agli occhi robotici di Rosetta di fotografare il lander Philae, ripreso pochi giorni fa dalla fotocamera ad alta risoluzione OSIRIS. Normalmente, i dati raccolti da Rosetta vengono archiviati nella memoria di bordo e trasmessi alla Terra solo in un secondo momento; stavolta, visto che le comunicazioni cesseranno non appena la sonda toccherà la superficie, i dati saranno trasmessi quasi in tempo reale.

Il 9 settembre, Rosetta ha eseguito una nuova manovra per portarsi su orbite ellittiche ancor più vicine al suolo. Nei prossimi giorni, è possibile che la sonda si cali fino a meno di un chilometro dalla superficie.

Esiste una possibilità concreta che la sonda si schianti prima ancora del suo atterraggio: «Anche se è due anni che pilotiamo Rosetta attorno alla cometa, garantire la sua sicurezza nelle ultime settimane della missione in un ambiente così imprevedibile e così lontano dalla Terra e dal Sole sarà la nostra più grande sfida,» spiega Sylvain Lodiot, a capo delle operazioni della sonda. «Stiamo già percependo la differenza nel campo gravitazionale della cometa man mano che ci avviciniamo sempre di più: il periodo orbitale della sonda sta aumentando, e dobbiamo correggerlo con piccole manovre.»

«Un mese fa abbiamo celebrato il secondo anniversario del nostro arrivo in orbita attorno alla cometa, e il primo anniversario del suo perielio,» spiega Matt Taylor dell’ESA. «È difficile credere che l’incredibile odissea di 12,5 anni di Rosetta sia quasi al termine. Stiamo programmando le ultime operazioni scientifiche, ma sicuramente i fiumi di dati ci terranno occupati per svariati decenni.»

Per sapere tutto su questi 12 anni di missione non perdere lo speciale su Coelum 204 di ottobre, in uscita il 28 settembre!

Nell’attesa… Coelum 203 di settembre è online. Semplicemente clicca e leggi. È gratis!

E dal mantello terrestre nacque la Luna

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Sono due i recenti modelli che descrivono la formazione della Luna: il primo parla di un’atmosfera di silicato (in alto), e il secondo descrive una sfera in cui si sono miscelati fluidi supercritici derivanti dalla quasi distruzione della Terra (in basso). I due modelli portano a previsioni diverse per i rapporti isotopici di potassio nelle rocce lunari e terrestri (a destra). Crediti: Kun Wang

La Luna è nata dalla Terra? Qual è il legame fra il nostro pianeta e il suo satellite naturale? Si profilano sempre più scenari sulla formazione lunare, e di recente Kun WangStein B. Jacobsen, nell’articolo “Potassium isotopic evidence for a high-energy giant impact origin of the Moon” pubblicato il 12 settembre su Nature, hanno proposto quello che sembra essere – al momento – il modello più preciso. Concentrandosi sulla datazione isotopica dei campioni di roccia lunare portati sulla Terra dagli astronauti, nel 2015 i geochimici hanno sviluppato una particolare tecnica che permette di analizzare proprio gli isotopi di potassio nelle rocce lunari e terrestri con una precisione 10 volte maggiore rispetto al passato. Grazie a questi esperimenti, i ricercatori hanno potuto chiarire le differenze tra Terra e Luna ipotizzando due diversi scenari per la formazione del satellite.

Sono due i recenti modelli che descrivono la formazione della Luna: il primo parla di un’atmosfera di silicato (in alto), e il secondo descrive una sfera in cui si sono miscelati fluidi supercritici derivanti dalla quasi distruzione della Terra (in basso). I due modelli portano a previsioni diverse per i rapporti isotopici di potassio nelle rocce lunari e terrestri (a destra). Crediti: Kun Wang

Secondo il primo modello, un impatto non particolarmente violento ha portato alla creazione di un’atmosfera di silicato intorno alla proto-Terra e alla Luna, mentre la seconda ipotesi prevede un impatto molto più violento che con l’urto ha vaporizzato la maggior parte della proto-Terra, formando un enorme disco di fluidi la cui cristallizzazione ha poi portato alla formazione della Luna. Secondo Wang «i nostri risultati forniscono la prova concreta che l’impatto abbia realmente e in gran parte vaporizzato la Terra».

Per anni il dibattito sulla formazione è stato molto acceso: la Luna è nata da un impatto di un corpo simile a Marte con la Terra? Se sì, questo impatto quanto è stato violento? Da quando è stato possibile studiare nel dettaglio gli isotopi lunari, si è cercato di trovare una risposta, ma gli studi andavano verso soluzioni diverse, spesso contraddittorie. Ad oggi si può dire che le rocce lunari e quelle terrestri, almeno secondo le analisi effettuate finora, sono molto simili.

Dopo anni di ipotesi e modelli di ogni tipo, si è deciso allora di cambiare strada: provare a verificare se la Luna non sia, in realtà, più simile alla Terra che all’oggetto impattatore che ha dato il via alla sua formazione. Un modello risalente al 2007 ha aggiunto all’ipotesi dell’impatto la creazione attorno alla Terra di un’atmosfera composta da vapore di silicato che avrebbe permesso tra la Terra e il disco attorno al protopianeta lo scambio di materiale che poi si è condensato formando la Luna che conosciamo oggi. I ricercatori che hanno avanzato questa proposta, secondo Wang, «partono ancora da un impatto a bassa energia, come il modello originale». Wang ha precisato che, partendo da questa ipotesi, lo scambio di materiale è comunque un processo che richiede molto tempo: il cocktail che ha formato la Luna deve essere avvenuto in un lasso di tempo più breve, perché altrimenti il materiale sarebbe ricaduto sulla Terra ancora in formazione.

Per questo nel 2015 i geochimici sono tornati all’ipotesi dell’impatto estremamente violento, tanto da fondere insieme l’impattatore e il mantello della Terra. Da questo mix sarebbe nata un’atmosfera formata dal denso materiale evaporato dal mantello terrestre che si sarebbe espansa nello spazio su un’area grande 500 volte la Terra. La Luna sarebbe nata proprio all’interno di questa densa atmosfera durante il suo raffreddamento. Il modello in questione potrebbe spiegare perché la Luna e la Terra presentino abbondanze identiche dei tre isotopi stabili dell’ossigeno che troviamo sul nostro pianeta. Dopo l’impatto il mantello della Terra era un insieme di fluidi supercritici, cioè senza legami liquido/gas. Cosa sono? Si tratta di un tipo particolare di materiale che passa attraverso oggetti solidi come il gas, ma che allo stesso tempo dissolve altri materiali come un liquido.

L’analisi approfondita degli isotopi del potassio da campioni di roccia lunare e terrestre ha portato ai recenti risultati. Il potassio ha tre isotopi stabili, solo due dei quali – però – sono talmente abbondanti da permetterne l’analisi isotopica. Wang e Jacobsen hanno esaminato sette campioni di rocce lunari, riportati sulla Terra durante diverse missioni sulla Luna, e li hanno messi a paragone con otto campioni di roccia terrestre (in rappresentanza del mantello del nostro pianeta). Cosa hanno scoperto? Le rocce lunari contengono per circa 0,4 parti su mille l’isotopo più pesante del potassio, cioè il potassio-41. Secondo Wang, l’unico processo ad alta temperatura che abbia potuto separare gli isotopi di potassio in questo modo deve essere stata la condensazione incompleta del potassio nel fase di vaporizzazione. Secondo i due ricercatori, inoltre, la fase di condensazione della Luna è avvenuta a una pressione superiore a 10 bar, vale a dire 10 volte la pressione atmosferica a livello del mare sulla Terra. Aver scoperto che, ad arricchire le rocce lunari, è l’isotopo più pesante del potassio escluderebbe il modello del 2007 dell’atmosfera di silicato. Al contrario, gli esperti ritengono più convincente il secondo scenario: materiale proveniente dal mantello terrestre potrebbe essere stato trasferito nello spazio per formare la Luna.

Per saperne di più:

16 settembre: Eclisse Parziale di Luna di Penombra

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La figura mostra (in un sistema di orientamento equatoriale) lo spostamento apparente della Luna rispetto alla sezione del cono d'ombra proiettato dalla Terra e composto da ombra e penombra. Lo schema riassume le fasi più importanti dell’eclisse parziale di penombra del 16 settembre, che avverrà appena due giorni prima del raggiungimento del perigeo, per cui il diametro angolare del nostro satellite sarà decisamente più grande della media, intorno ai 33'. La sezione del cono d’ombra avrà invece un diametro di 89,9', mentre la larghezza della corona di penombra sarà di 31,8'.
La figura mostra (in un sistema di orientamento equatoriale) lo spostamento apparente della Luna rispetto alla sezione del cono d'ombra proiettato dalla Terra e composto da ombra e penombra. Lo schema riassume le fasi più importanti dell’eclisse parziale di penombra del 16 settembre, che avverrà appena due giorni prima del raggiungimento del perigeo, per cui il diametro angolare del nostro satellite sarà decisamente più grande della media, intorno ai 33'. La sezione del cono d’ombra avrà invece un diametro di 89,9', mentre la larghezza della corona di penombra sarà di 31,8'. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY-NC-ND

Dopo le due eclissi parziali di penombra del 23 marzo e del 18 agosto 2016, entrambe non visibili dall’Italia, la sera del 16 settembre avremo la possibilità di seguire proprio questo tipo di eclisse, ad eccezione della fase iniziale. L’unica località italiana da dove sarà possibile osservare l’eclisse per intero, con la Luna che entra nella penombra dopo il sorgere, sarà l’estremità sud della Puglia.

L’inizio dell’eclisse di penombra è infatti previsto per le ore 18:52, quando la Luna non sarà ancora sorta (alle coordinate di Roma sarà ancora sotto l’orizzonte est di –5°, sorgerà verso le 19:00).

La fase massima avverrà alle ore 20:54, mentre la fine della penombra avverrà alle ore 22:56.

Un’eclisse parziale di penombra si verifica col transito della Luna esclusivamente attraverso la penombra della Terra, senza che il nostro satellite venga occultato dal cono d’ombra. Certamente si tratta di un fenomeno non eccessivamente spettacolare ma vale la pena seguirne l’evoluzione.
Per questo evento la magnitudo penombrale prevista è 0,9.

Aspettiamo le vostre immagini su www.coelum.com/photo-coelum!

Leggi l’articolo esteso su Coelum di settembre


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La Luna occulta Nettuno

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Il percorso apparente di Nettuno rispetto alla Luna calcolato per alcune località italiane. Nella figura la posizione iniziale di Nettuno è quella riscontrabile alle ore 21:00.
Il percorso apparente di Nettuno rispetto alla Luna calcolato per alcune località italiane. Nella figura la posizione iniziale di Nettuno è quella riscontrabile alle ore 21:00. A Roma, per esempio, Nettuno scomparirà dietro il bordo alle 21:16, per riapparire alle 21:38, a Milano scomparirà dalle 21:10 alle 21:48 e a Palermo alle 21:24 passerà 1,3' di distanza dal bordo meridionale. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY-NC-ND

La sera del 15 settembre verso le 21:15 si verificherà un’occultazione di Nettuno da parte della Luna, teoricamente visibile in Italia da Napoli in su; il fenomeno sarà però difficilmente osservabile a causa dell’enorme differenza di luminosità tra i due oggetti. Vuoi tentare la sfida?

Leggi l’approfondimento su Coelum 203


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Astronomiamo – Appuntamenti di settembre

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astronomiamo-sett2016

astronomiamo-sett2016

15 settembre 2016: LIFT-OFF – La Stazione Spaziale Internazionale – Corso di orientamento a Frosinone
29 settembre 2016: SPECIALE ROSETTA – una diretta per il termine della stazione spaziale con molte partecipazoni speciali
30 settembre 2016: La notte dei Ricercatori

Tutti i dettagli su: www.astronomiamo.it

Apre il Parco Astronomico di Isnello

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Visione notturna della terrazza osservativa con cupola mobile all’interno della quale vi sono 12 telescopi. Crediti: Sabrina Masiero
Visione notturna della terrazza osservativa con cupola mobile all’interno della quale vi sono 12 telescopi. Crediti: Sabrina Masiero
Il Parco Astronomico con ben visibile la cupola del Planetario. Crediti: Sabrina Masiero

Occhi puntati su Isnello (Palermo), dove il prossimo 11 settembre verrà inaugurato il Centro Internazionale delle Scienze Astronomiche GAL HASSIN. Sono previste oltre 2000 persone per il taglio del nastro.

Pronto il nuovo polo della Didattica e della Divulgazione dell’Astronomia verso il pubblico e la Scuola, con il planetario digitale (cupola di 10 metri di diametro e 75 posti); una terrazza osservativa con cupola mobile dove si trovano ben 12 strumenti di osservazione; un radiotelescopio con una parabola di 2,3 metri; un laboratorio astronomico all’aperto composto da vari orologi solari, quali il Cerchio di Ipparco, il Plinto di Tolomeo, la Rosa dei venti, e vari exhibit; un mappamondo monumentale con supporto ed asse di rotazione; un planisfero; un laboratorio solare in cui tramite un eliostato potrà essere proiettato su uno schermo il disco solare in tempo reale per la sua analisi. Vi saranno delle sale didattiche con vari exhibit interattivi, un’esposizione dei principali tipi di meteoriti e due aule didattiche.

Il mappamondo del Gal Hassin. Crediti: Sabrina Masiero

Attualmente, in queste sale sono allestite le mostre dell’INAF-Istituto Nazionale di Astrofisica “Passato, presente e futuro dell’Astrofisica in Italia”, dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana sulle missioni ExoMars e Rosetta e quella di Officina Stellare con un telescopio riflettore di 60 centimetri di diametro, che è la versione ridotta di quello di 1 metro, a grande campo (circa 7 gradi quadrati) che verrà montato sulla sommità del Monte Mufara (1865 metri) entro pochi anni. Sarà un telescopio robotico e fruibile in remoto da una sede operativa che avrà sede a Piano Battaglia.

Il Parco Astronomico Gal Hassin sarà, dunque, un centro di ricerca di primo livello nel panorama non solo italiano ma anche europeo e mondiale.

Dal 3 settembre sono visitabili le seguenti mostre presso il Parco Astronomico Gal Hassin:

EXOMARS (ROBOTIC EXPLORATION OF MARS) e LA MISSIONE DELLA SONDA ROSETTA ALLA COMETA 67P/CHURYUMOV-GERASIMENKO a cura dell’ASI- Agenzia Spaziale Italiana;

PASSATO, PRESENTE E FUTURO DELL’ASTROFISICA IN ITALIA a cura dell’INAF- Istituto Nazionale di Astrofisica;

IL TELESCOPIO “A GRANDE CAMPO” DI ISNELLO a cura di Officina Stellare. Orari: 10-12 e 16 -18. Visite guidate dal 4 al 18 settembre 2016 (tranne nei giorni 9, 10 e 11 settembre). Ingresso € 5,00

Mostra IL LOGO DEL GAL HASSIN, presso Museo Trame di Filo, Viale Impelliteri. Dal 12 al 18 settembre 2016. Orari: 10:12 e 16-18. Ingresso libero.

Il Planetario è aperto con lo spettacolo: L’UNIVERSO IN UNA STANZA
Orari: 4, 5, 8 settembre e dal 12 al 18 settembre 2016. Ogni giorno, alle 19.  Ingresso € 5,00. Prenotazioni: tel. 0921 662890 (dalle 8:30 alle 10:30); tel. 329 8452944 (Fabio Cangialosi).

Programma delle giornate di inaugurazione (PDF)

Sito ufficiale galhassin.it


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Cassini: nuove immagini radar svelano altri dettagli della superficie di Titano

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La regione "Xanadu annex" in un'mmagine radar della superficie di Titano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASI/Université Paris-Diderot
La regione "Xanadu annex" in un'mmagine radar della superficie di Titano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASI/Université Paris-Diderot

Durante il fly-by T-121 del 25 luglio, il radar a bordo della Cassini ha penetrato la densa atmosfera che avvolge Titano, svelando nuovi dettagli della superficie della luna. Una delle immagini restituite durante il sorvolo ravvicinato, riprende la regione “Xanadu annex” (cioè i terreni “annessi” a Xanadu) che il team non era mai riuscito ad osservare.

Misurazioni precedenti suggerivano che l’area fosse simile alla zona montagnosa chiamata Xanadu, la prima caratteristica che fu individuata sulla luna di Saturno a partire dalle immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble del 1994.

Una recente mappa di Titano aggiornata con molti nuovi nomi approvati dall'International Astronomical Unionm, prodotta dall'USGS Astrogeology Science Center. Cliccare per l'immagine a piena risoluzione.

Xanadu è un altopiano di ghiaccio e acqua altamente riflettente e «questo “annex” appare abbastanza simile alle lunghezze d’onda radar, anche se in altre lunghezze d’onda invece,come quelle di Hubble,  sembra esserci qualcosa di diverso sulla superficie», ha dichiarato Mike Janssen, del JPL e del team radar. «È un interessante puzzle».

Per ora, Xanadu e il suo “annesso” rimangono un mistero: altrove su Titano le montagne sono solo caratteristiche isolate ma qui ricoprono un’area vasta e gli scienziati stanno ancora dibattendo sulla loro possibile origine: «Queste zone montuose sembrano essere i terreni più antichi di Titano. Sono probabilmente i resti della crosta ghiacciata prima che venisse coperta dai sedimenti organici dell’atmosfera», ha detto Rosaly Lopes, sempre del JPL.

Le numerose dune individuate nella Shangri-La, che scorrono attorno agli ostacoli esattamente come accade qui sulla Terra, Credit: NASA/JPL-Caltech/ASI/Université Paris-Diderot

Un’altra immagine, qui a destra in un ritaglio, copre un’ampia zona della regione Shangri-La, dove sono visibili centinaia di dune di sabbia che si snodano come linee scure sulla superficie.

La foto in questa versione è stata migliorata con la tecnica chiamata “despeckling” (smacchiatura) che usa un algoritmo per modificare il rumore e rendere le immagini più nitide.

Le dune sono la seconda caratteristica topografica dominante su Titano (coprono circa il 13% della superficie), dopo le pianure apparentemente uniformi, e anche se sono simili nella forma a quelle lineari trovate sulla Terra in Namibia o nella penisola araba, quelle di Titano sono gigantesche per i nostri standard, larghe in media tra 1 e 2 chilometri, lunghe un centinaio di chilometri ed alte 100 metri (ne avevo parlato approfonditamente in un precedente post).

La loro composizione esatta non si conosce ma si ritiene che siano composte di granuli derivati dagli idrocarburi presenti in atmosfera. Circondano la maggior parte della fascia equatoriale di Titano e gli scienziati le utilizzano per studiare come si muovono venti sulla superficie della luna.
«Le dune sono caratteristiche dinamiche. Sono deviate da ostacoli lungo il percorso sottovento e creano spesso interessanti modelli ondulati», ha commentato Jani Radebaugh, del team radar.

Il fly-by T-121 è stato il 122esimo incontro della Cassini con Titano, durante il quale la sonda si è avvicinata fino a 976 chilometri alla superficie della luna.

Questo sorvolo ha segnato l’ultima volta in cui il radar ha potuto riprendere le latitudini meridionali di Titano. I quattro restanti passaggi, di cui uno è in programma per il prossimo 27 settembre 2016, si concentreranno principalmente sui mari e sui laghi del nord.

Ad aprile 2017 la missione entrerà nella fase finale con una serie di 22 orbite che porteranno la sonda sempre più vicino a Saturno e nel bel mezzo del suo sistema di anelli, fino al 15 settembre 2017 quando verrà schiacciata e vaporizzata nell’atmosfera del pianeta.

  • Leggi anche lo speciale sulla missione Cassini su Coelum 201


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  • TERZAN 5, il fossile cosmico della nostra Via Lattea

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    Nome: Terzan 5
    Segni particolari: Fossile cosmico della Via Lattea

    Un gruppo internazionale di astronomi, guidati da Francesco Ferraro del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna, ha risolto un mistero durato oltre 40 anni: l’oggetto che si credeva un normalissimo ammasso globulare, Terzan 5, si è rivelato un corpo celeste fondamentale per comprendere l’origine della nostra galassia, infatti questo “fossile cosmico” appare legato alla formazione e allo sviluppo di ciò che oggi è definito Bulge galattico.

    Qui sopra la ricca costellazione del Sagittario. Tra i molti ammassi stellari di questa zona della Via Lattea si trova Terzan 5, un ammasso stellare che assomiglia a un ammasso globulare. La cartina mostra la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena (cliccare l'immagine per ingrandire). Crediti: ESO/IAU and Sky & Telescope

    Francesco Ferraro ha presentato Terzan 5 a noi di Tra Scienza e Coscienza:
    «Situato a 19 000 anni-luce dalla Terra, nel Bulge della nostra galassia, è stato classificato come un ammasso globulare per oltre quarant’anni dalla sua scoperta. Apparentemente Terzan 5 ha le sembianze di un “normale” ammasso globulare, anche se le nostre osservazioni hanno mostrato che è uno degli ammassi più massicci (circa 2 milioni di volte la massa del Sole) della Via Lattea. Tuttavia la caratteristica che ha subito attratto la nostra attenzione è che esso ospita la più grande popolazione di pulsar veloci (stelle di neutroni in rapida rotazione) di qualsiasi sistema nella nostra galassia, e allora abbiamo cominciato a studiarlo in dettaglio.

    «Già nel 2009 scoprimmo che Terzan5 conteneva due sotto-popolazioni di stelle con abbondanze chimiche differenti (fatto del tutto anomalo per un normale ammasso globulare). Dopo 7 anni di ricerca e grazie alla straordinaria combinazione di immagini ottenute con HST e con telescopi da terra, corretti con ottiche adattive, siamo stati finalmente in grado di datare queste popolazioni: la componente stellare più vecchia risale a 12 miliardi di anni fa (questo significa che Terzan5 si è formato proprio all’inizio della storia della Via Lattea, quando l’Universo aveva appena 1 miliardo di anni), la popolazione giovane ha solo 4.5 miliardi di anni, quindi circa la stessa età del Sole. Queste caratteristiche fanno assomigliare piu Terzan5 ad una piccola galassia piuttosto che ad un ammasso globulare: per questo riteniamo che esso non sia un ammasso globulare genuino, ma piuttosto un frammento di qualcosa di più massiccio, probabilmente legato al processo di formazione della galassia».

    Per arrivare a questa intuizione c’è voluto un lungo studio, pubblicato oggi sull’Astrophysical Journal, realizzato attraverso strumenti come il Telescopio Spaziale Hubble (precisamente con l`Advanced Camera for Surveys e la Wide Field Camera 3), il Very Large Telescope (VLT) dell`European Southern Observatory (ESO) e il telescopio Keck (USA), che corregge le distorsioni che l`atmosfera terreste produce nelle immagini.

    Una panoramica della regione di cielo in cui si trova il raggruppamento stellare Terzan 5. Cliccando l'immagine si ingrandisce, ma è possibile scaricare a questo link https://www.eso.org/public/italy/images/eso0945b/ una versione ancora a più alta risoluzione (7699 x 10606 px)! Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2

    L’oggetto studiato può tranquillamente definirsi come un pezzo chiave nello sviluppo della nostra galassia, legato indissolubilmente al suo passato. Appare riduttivo quindi classificare Terzan come ammasso globulare, per questo Davide Massari, co-autore della ricerca e membro del Cosmic Lab che da anni studia l’ interazione tra le dinamiche e l’evoluzione stellare, ci ha spiegato come è possibile esprimere il rapporto tra Terzan5, la Via Lattea e le galassie remote:
    «Ad oggi, la ricerca astronomica ci porta a credere che tutte le galassie spirali che vediamo nell’universo, inclusa la Via Lattea, si siano formate ed evolute seguendo un percorso comune. Tuttavia, non tutti i passi di questo percorso sono chiari, e anzi molti di essi sono tuttora dibattuti. Uno di questi riguarda la formazione dello sferoide stellare centrale comune alla maggioranza di queste galassie. Lo studio di galassie lontane, ovvero di galassie che si stanno formando, ha rivelato che le loro regioni centrali si costituirebbero dalla fusione di sistemi stellari con caratteristiche peculiari (vecchi, massivi, e con una chimica tipica di sistemi formatisi molto rapidamente). I resti di questi “mattoni galattici” si dovrebbero quindi osservare nelle galassie vicine, ovvero già formate ed evolute, ma fino ad ora questo collegamento era mancante. Con la scoperta delle caratteristiche uniche di Terzan 5, che corrispondono a quelle osservate per i “mattoni” nelle galassie lontane, questo collegamento è finalmente stato trovato».

    L’interesse per la ricerca è dovuto alla rilevazione di addirittura due popolazioni stellari nell’ammasso “atipico”, le differenze tra gli astri non sono solamente di tipo chimico, ma soprattutto dal punto di vista anagrafico: le due tipologie di stelle si portano circa 7 miliardi di anni.

    Questo dato sensazionale ci è stato raccontato dall’astrofisico Massari, osservare Terzan è stato come scrutare la storia della Via Lattea:
    «I sistemi che somigliano a Terzan 5, ovvero gli ammassi globulari, sono costituiti da stelle nate nel medesimo episodio di formazione, quindi aventi stessa età e composizione chimica. La nostra ricerca ha evidenziato che Terzan 5 viola entrambe queste caratteristiche. Questo implica che, nonostante le sue apparenze, Terzan 5 non è un ammasso globulare, ma un sistema stellare più complesso che ha subito un’evoluzione peculiare. Terzan 5 è nato come un sistema molto massivo nelle primissime fasi della vita della Via Lattea, ed ha rapidamente formato la sua popolazione stellare vecchia. A causa della sua massa, Terzan 5 ha poi spiraleggiato verso il centro della galassia, dove un evento violento ha riacceso la formazione stellare, formando la popolazione giovane. A causa dell’interazione con altri sistemi stellari, infine, Terzan 5 ha iniziato a disgregarsi formando lo sferoide centrale della Galassia, ma è riuscito a sopravvivere parzialmente fino ad oggi».

    Le caratteristiche anagrafiche dell’oggetto hanno fatto balzare gli scienziati dalle sedie, infatti i segni distintivi dell’ammasso sono riconducibili al bulge galattico, Ferraro è stato molto preciso su tale aspetto: «Le caratteristiche sono molto, molto particolari (non si osservano in nessuna altra regione della nostra Galassia e/o nelle sue vicinanze) questo suggerisce che Terzan5 sia intimamente legato al bulge, Forse si tratta di un frammento primordiale sopravvissuto alla distruzione».

    Ovviamente fuori da Terzan 5 e dagli occhi dei telescopi attualmente in uso potrebbero nascondersi altre fucine e fossili cosmici pieni di storie e dati. Per ampliare il nostro orizzonte non si può non dare uno sguardo ai futuri strumenti che permetteranno agli scienziati di scrutare il cielo. Massari è stato molto chiaro ed è pronto a una nuova stagione di scoperte:
    «Terzan 5 si trova in una regione della Galassia dove la luce delle stelle viene intrappolata dalla grande quantità di polvere intergalattica. Per aggirare questa difficoltà, le osservazioni più efficaci sono quelle in luce infrarossa. In questo senso, un fondamentale contributo sarà quello proveniente nel prossimo futuro dal telescopio spaziale James Webb Telescope (JWST). Tuttavia, recentemente, anche le osservazioni infrarosse da terra hanno subito un drastico miglioramento grazie alla tecnica dell’ottica adattiva, che consente di pareggiare e talvolta migliorare le prestazioni dei telescopi spaziali. Grazie a questa tecnica, l’avvento nel 2024 dell’E-ELT, un telescopio dal diametro di 39 metri (!), rivoluzionerà l’astronomia infrarossa, e ci consentirà di investigare le regioni ad ora inaccessibili della nostra Galassia, dove altri sistemi come Terzan 5 potrebbero nascondersi».

    Il cuore dell'ammasso stellare risolto, attraverso la fitta polvere intergalattica, nell'inusuale mix di stelle che ha rivelato Terzan 5 come uno dei mattoni primordiali attorno ai quali si è costruito il nucleo della nostra galassia. Il risultato è stato possibile grazie al Multi-Conjugate Adaptive Optics Demonstrator (MAD), un prototipo di ottiche adattive usato per mostrare la fattibilità di diverse tecniche che ritroveremo nell'E-ELT e negli strumenti di seconda generazione del VLT. Il colore delle stelle è stato preso dalle immagini dello stesso campo stellare riprese dal Telescopio Spaziale Hubble. Crediti: ESO/F. Ferraro

    Studiare questi oggetti, come ci ha raccontato Ferraro, ci permette di aprire gli occhi su quello che è stato il nostro passato cosmico:
    «Tali fossili permettono di ricostruire un importante pezzo della storia della Via Lattea. Infatti, come gli archeologici scavano nella polvere accumulatasi sui resti delle civiltà passate, dissotterrando pezzi fondamentali della storiadell’umanità, allo stesso modo noi abbiamo svelato un cimelio cosmico straordinario: la storia della formazione delle prime strutture cosmiche (come la nostra Galassia), al tempo in cui l’Universo era ancora neonato (aveva solo un miliardo di anni), è scritta in frammenti come questo».

    Il progetto Cosmic Lab ha riportato, attraverso questo studio approfondito di Terzan 5, un’altra vittoria: gli 1,8 milioni di euro serviti a finanziare le attività, hanno regalato in questo piovoso giorno di settembre un bel po’ di luce e raggi cosmici su tutta la ricerca astrofisica e astronomica italiana.


    …e anche su Coelum 203 di settembre si parla di galassie. Semplicemente… clicca e leggi, è gratis!

    Nasi all’insù per l’undicesima Notte Europea dei Ricercatori

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    Il cielo è uno dei grandi protagonisti della Notte Europea dei Ricercatori e i grandi enti di ricerca che si occupano dello spazio guideranno i visitatori alla scoperta delle meraviglie e dei misteri della volta celeste.

    L’Italia vanta un livello di assoluta eccellenza nella ricerca spaziale e i laboratori sparsi nella penisola, e soprattutto nell’area tuscolana, contribuiscono attivamente alla progettazione e alla realizzazione delle sofisticate attrezzature utilizzate nelle missioni.

    Il 30 settembre durante la Notte Europea dei Ricercatori sarà possibile visitare i laboratori, chiacchierare con gli astronauti, provare con i simulatori il volo nello spazio e la vita sulla stazione spaziale internazionale e capire a che punto è la ricerca sullo spazio.

    La storia delle stelle affascina da sempre l’uomo e capire come e quando le stelle e le galassie sono nate è tra gli obiettivi principali della ricerca internazionale. La ricerca firmata Daniela Carollo e pubblicata il 5 settembre su Nature Physic, mostra come i ricercatori siano riusciti a creare una mappa cronografica della Via Lattea basandosi sul colore di oltre 130mila stelle e assegnando loro età e composizioni. Lo studio arriva alla conclusione che e stelle più antiche si trovano nel centro della galassia, mentre quelle più giovani sono relegate in strutture lontane.

    Grazie alle sempre più sofisticate attrezzature messe a punto dagli scienziati osservare l’universo è sempre più facile e per la Notte Europea dei Ricercatori le sedi di ASI, ESA-ESRIN, dei laboratori di Roma Tre e di Tor Vergata, di INAF e IAPS verranno eccezionalmente aperte al pubblico per mostrare il funzionamento delle sofisticate attrezzature che utilizzano e che ogni giorno contribuiscono alla progresso della ricerca.

    La lunga notte della ricerca all’ASI inizia alle 16,00 con l’apertura al pubblico dei i simulatori di volo della Soyuz e della Stazione Spaziale Internazionale ISS. Tutti i visitatori potranno provare l’ebbrezza di viaggiare tra le stelle e sentirsi dei veri astronauti e alle 17,00 domandare direttamente a uno dei più grandi astronauti italiani com’è la vita a migliaia di chilometri dalla terra. Luca Parmitano sarà in collegamento con l’ASI e racconterà la sua vita, le sue missioni nello spazio e risponderà anche alle curiosità: si mangiano davvero solo barrette? è complicato fare la pipì senza gravità?

    La notte all’ASI continua con il grande quiz de I soliti scienziati ignoti: cinque ricercatori, un confronto all’americana e tre concorrenti scelti tra il pubblico che facendo semplici domande indirette dovranno capire gli ambiti di ricerca in cui operano gli scienziati. Il tutto presentato e condotto dal vulcanico improvvisatore teatrale Tiziano Storti.

    Appuntamento da non perdere anche alla sede ESA-ESRIN: alle 16 iniziano le visite ai laboratori per capire come è fatto e come funziona VEGA, il piccolo lanciatore europeo che fornisce servizi per molte missioni aerospaziali, per la scienza, la tecnologia e le telecomunicazioni o Copernicus, il programma europeo di osservazione della terra che raccoglie informazioni da molteplici fonti tra cui satelliti di osservazione della Terra e sensori di terra, di mare e aviotrasportati.

    Un appuntamento da non perdere è la visita al centro europeo ospitato da ESRIN dedicato al monitoraggio degli asteroidi che passano vicino alla Terra, gli ormai famosi NEO – Near Earth Objects. Dalle 16,00 i visitatori avranno la possibilità di andare a caccia di asteroidi tra le immagini del cielo ottenute con i più potenti telescopi del mondo e di stringere tra le mani i meteoriti: frammenti di asteroidi caduti sulla Terra. Per tutti i nostalgici del film Armageddon, i ricercatori spiegheranno al pubblico come viene studiata  l’eventualità che un asteroide possa entrare in collisione con il nostro pianeta e le soluzione che vengono pianificate.

    Alla Notte Europea dei Ricercatori 2016 c’è tempo anche per la fatidica domanda: c’è vita nello spazio?

    All’Università Roma Tre alle 23,00 Luca Tortora del Dipartimento di Matematica e Fisica risponderà ad uno dei grandi quesiti dell’umanità presentando gli strumenti che l’uomo ha a disposizione per capire se siamo soli nell’Universo.

    E se piove?

    Grazie all’INAF e all’Osservatorio Astronomico di Roma la volta celeste sarà a disposizione del pubblico in modalità digitale. Nel planetario gonfiabile attrezzato a Monte Porzio Catone saranno visibili stelle, costellazioni, pianeti e galassie, sarà possibile  simulare la rotazione della volta celeste, l’alternanza delle stagioni e del ciclo diurno. Inoltre ci si potrà avvicinare virtualmente a qualsiasi corpo celeste e poterne ammirare i dettagli. I ricercatori saranno le guide di questo affascinante viaggio, raccontando i miti legati alla volta celeste e proiettando filmati che porteranno gli spettatori tra le stelle.

    Durante la Notte non si può non parlare della scoperta del secolo, le onde gravitazionali: scoperte da Einstein, influiscono su ogni corpo celeste e stanno cambiando il modo di fare astronomia. Tra gli eventi in programma è da segnalare La scoperta delle Onde Gravitazionali dove ella suggestiva location di NAUTILUS, l’antenna gravitazionale dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, saranno esposte le infografiche e proiettati video sulle recenti scoperte in questo settore.

    Presso l’INFN di Tor Vergata invece, dalle 15,00 alle 19,00, i ricercatori spiegheranno perchè le onde gravitazionali sono così importanti e lo faranno con una divertente e coinvolgente caccia al tesoro! E non la tradizionale ricerca di indizi, ma qualcosa di più: muniti di smartphone con GPS, le indicazioni saranno geolocalizzate, e per raggiungere le tappe successive bisognerà superare le prove previste, rompicapo e problemi di fisica semplici e più complessi, dedicati a tutti coloro che vogliano sfidare le menti dei ricercatori. Tappa finale, un intervento scientifico sull’utillizzo e il funzionamento del GPS, dopo averlo testato!

    Tutti con i nasi all’insù per l’undicesima Notte Europea dei Ricercatori!

    Programma completo della Notte dei Ricercatori e della Settimana della Scienza

    La Notte dei Ricercatori e la Settimana della Scienza raccontate anche su Coelum!

    Il video di presentazione della Notte dei Ricercatori di ROMA TRE – Astrogarden


    Coelum 203 di settembre 2016 è online!
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    La NASA dà il via libera a OSIRIS-REx

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    Artist concept of OSIRIS-REx. Credits: NASA's Goddard Space Flight Center

    La missione OSIRIS-REx sta per entrare nel vivo. La NASA e la United Launch Alliance hanno dato oggi il loro permesso a procedere con il primo tentativo di lancio, che avverrà all’interno di una finestra di due ore che si aprirà all’1:05 ora italiana nella notte tra l’8 e il 9 settembre.La Launch Readiness Review, tenutasi oggi, non ha portato alla luce alcun problema che potrebbe compromettere il lancio da Cape Canaveral. Il decollo di OSIRIS-REx inaugurerà un lungo viaggio interplanetario di andata e ritorno alla volta dell’asteroide Bennu.

    La recente esplosione di un Falcon 9 della SpaceX, avvenuta a meno di due chilometri dalla sonda, ha allungato i processi di approvazione del lancio di OSIRIS-REx. Nonostante sia la sonda che il razzo Atlas V 411 fossero situati all’interno di un edificio al momento dell’esplosione e dunque non abbiano subito danni, gli ingegneri hanno dovuto effettuare delle pulizie straordinarie nei dintorni del sito di lancio, per scongiurare qualunque sorta di contaminazione. Inoltre, sono state eseguite approfondite analisi per individuare eventuali sistemi in comune tra la piattaforma di lancio di OSIRIS-REx e quella ormai distrutta del Falcon 9.

    Il trasferimento dell’Atlas V 441 con OSIRIS-REx alla piattaforma di lancio inizierà attorno alle 15 del 7 settembre ora italiana. Nelle ore successive, i serbatoi di cherosene del primo stadio verranno riempiti. I serbatoi dei carburanti criogenici – l’ossigeno liquido e l’idrogeno liquido – verranno riempiti giovedì 8, durante il conto alla rovescia che inizierà circa sette ore prima dell’apertura della finestra di lancio.L’ultimo bollettino diffuso dall’Air Force parla di un 80% di probabilità di condizioni favorevoli al momento del lancio. In seguito al passaggio dell’uragano Hermine la scorsa settimana, le condizioni nei cieli della Florida si sono stabilizzate e dovrebbero mantenersi costanti per i prossimi giorni. L’unica preoccupazione, al momento, è un ponte di cumuli tra uno e tre chilometri di quota. Le due finestre di lancio successive, previste per le due notti seguenti, mostrano un 70% di probabilità di condizioni favorevoli.

    Un'impressione artistica della sonda OSIRIS-REx. Credits: NASA's Goddard Space Flight Center

    OSIRIS-REx raggiungerà l’asteroide carbonaceo Bennu (1999 RQ3) a fine 2018. Dopo aver completato una ricognizione globale dell’asteroide, la sonda si calerà verso la superficie e raccoglierà tra 60 grammi e 2 kg di materiale. I campioni faranno ritorno sulla Terra nel 2023.

    Degli oltre 500 mila asteroidi conosciuti, più di 7000 sono oggetti near-Earth, ovvero con orbite che li portano di tanto in prossimità della Terra; tra questi, 192 hanno orbite che rendono una missione di andata e ritorno possibile; di essi, 26 hanno un diametro di oltre 200 metri. L’asteroide Bennu è uno dei cinque asteroidi carbonacei appartenenti a questi famiglia. La sua scoperta, risalente all’11 settembre 1999, porta la firma del programma LINEAR. Le analisi eseguite dalla Terra suggeriscono che si tratti di un asteroide di tipo B e che sia caratterizzato da una albedo molto bassa. Con un diametro stimato intorno ai 575 metri, Bennu è un obiettivo perfetto per OSIRIS-REx: finora, nessuna sonda ha mai visitato un asteroide di tipo B. L’unica missione ad essersi avvicinata ad un asteroide carbonaceo fu NEAR, che il 27 giugno 1997 sfiorò l’asteroide Mathilde.

    Gli obiettivi della missione includono la raccolta di campioni di regolite dalla superficie dell’asteroide per caratterizzarne la natura, la storia e la distribuzione dei vari minerali e di eventuali materiali organici. Mappando le proprietà chimiche e mineralogiche globali, OSIRIS-REx sarà in grado di ricostruire la storia geologica e l’evoluzione dinamica di Bennu, facendo luce sulla formazione dell’intera popolazione asteroidale.

    Inoltre, Bennu è di particolare interesse in quanto potrebbe minacciare la Terra in un lontano futuro. Le analisi orbitali mostrano almeno otto potenziali collisioni con la Terra tra il 2169 e il 2199; quasi sicuramente, lo studio dell’orbita di Bennu azzererà le probabilità di impatto, ma l’interesse scientifico rimane.

    In questo senso, gli studi di OSIRIS-REx saranno rivoluzionari, in quanto per la prima volta ci permetteranno di misurare l’effetto Yarkovsky in un asteroide potenzialmente pericoloso.
    Questo effetto è dovuto al riscaldamento del Sole: le radiazioni della nostra stella riscaldano la superficie di Bennu fino a 6 gradi centigradi. Poi, però, la rotazione dell’asteroide porta inevitabilmente alcune regioni a tornare nell’ombra; a questo punto, le aree non più illuminate iniziano a perdere il loro calore nello spazio profondo. Questa differenza tra l’angolo di assorbimento dei fotoni e quello di emissione provoca un leggero ma continuo rallentamento dell’asteroide che può influenzare notevolmente l’evoluzione orbitale futura di un corpo così piccolo. Ad esempio, l’asteroide Golveka, largo 1.4 chilometri, è stato osservato deviare di 15 chilometri rispetto alla posizione prevista nell’arco di 12 anni a causa dell’effetto Yarkovsky.

    Studiando i meccanismi che regolano questo fenomeno, OSIRIS-REx permetterà agli scienziati di generare modelli molto precisi sull’evoluzione orbitale futura di Bennu e di centinaia di altri asteroidi potenzialmente pericolosi.

    Per approfondire

    Continua a leggere il piano di volo e gli strumenti scientifici della missione nell’articolo originale di Polluce Notizie

    La pagina della missione con i countdown per il lancio

    Il video NASA di presentazione della missione (nelle impostazioni è possibile impostare i sottotitoli con traduzione automatica dall’italiano)


    Coelum 203 di settembre 2016 è online!
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    Doppio passo della Luna con Marte e Saturno, e Antares al contorno.

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    La sera dell’8 settembre, verso le 21:00, sopra l’orizzonte sudovest, Luna e Saturno passeranno a una distanza di circa 3° 20' tra loro. La Luna si mostrerà con fase 43% mentre Saturno splenderà di magnitudine +0,5 (altezza 11,5° circa). Guardando più ad ampio campo, sarà possibile trovare anche il pianeta Marte poco distante, in direzione sud, a poco più di 9° di distanza. Più in basso è invece possibile scorgere Antares, nella costellazione dello Scorpione (mag. +1,0). Questo particolare quartetto (Luna, Marte, Saturno e Antares) si ripresenterà anche la sera del 9 settembre, verso le 22:00, con la Luna che si sarà spostata a sovrastare Marte (a una distanza di 7,5° circa). Crediti: Coelum Astronomia CC BY-NC-ND

    Altro doppio passo della Luna sarà quello che nelle sere dell’8 e 9 settembre vedrà il nostro satellite naturale attraversare il campo immediatamente a nord dello Scorpione, dando così luogo a una larga congiunzione con Marte e Saturno. Passate le 21:00 dell’8, la Luna apparirà posizionata a un’altezza di +20° e distante 3,4° da Saturno, mentre la sera seguente si porterà 7° a nord di Marte.
    Il tutto, considerando anche la presenza della rossa Antares, si presterà ad assecondare la vena artistica di chi ama realizzare fotografie panoramiche.

    Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


    Tutti gli eventi del cielo di settembre su Coelum n. 203.

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    Philae è stato ritrovato!

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    Qui sopra le immagini che confermano il ritrovamento di Philae. ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA; context: ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0
    Qui sopra le immagini che confermano il ritrovamento di Philae e il punto in cui è stato trovato. ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA; context: ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

    Ed eccolo il piccolo lander, incastrato in una fenditura della superficie della cometa. L'immagine ha una risoluzione di 5 cm per pixel. Copyright ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
    Le immagini sono state scattate il 2 settembre dalla fotocamera OSIRIS, la camera per riprese ad alta risoluzione, a bordo della sonda che si trovava a 2,7 km dalla superficie e che mostrano chiaramente il corpo principale del lander e due delle tre gambe. Ci mostrano l’orientamento del lander e chiariscono il perché sia stato così difficile stabilire delle comunicazioni dal giorno dell’atterraggio, il 12 novembre del 2014.

    «A solo un mese dalla fine della missione, siamo davvero felici di essere finalmente riusciti a riprendere Philae, e con un dettaglio tanto sorprendente», ha dichiarato Cecilia Tubiana, del team OSIRIS, la prima persona ad aver visto le immagini in arrivo da Rosetta solo l’altro ieri.

    «Dopo mesi di lavoro, con indizi sempre più insistenti che puntavano a questo oggetto candidato per essere il lander, sono davvero emozionato dal fatto che infine abbiamo questa immagine di Philae, adagiato in Abydos” ha detto Laurence O’Rourke, il coordinatore di tutti gli sforzi di ricerca del lander in questi ultimi mesi, assieme ai team OSIRIS e SONC/CNES.

    Philae è stato visto l’ultima volta mentre atterrava su Agilkia, dov’è rimbalzato e volato per altre due ore prima di finire in una zona chiamata Abydos, sul lobo più piccolo della cometa.

    Dopo tre giorni, la batteria principale era esaurita e il lander è andato in ibernazione, per svegliarsi di nuovo e comunicare brevemente con Rosetta nel giugno e luglio 2015, quando la cometa era in prossimità del punto più vicino al Sole della sua orbita ed era quindi disponibile più energia solare per ricaricare la batteria.

    Tuttavia, fino ad oggi, la posizione precisa di Philae non era nota. Grazie ai radio scandagli, era stato possibile circoscrivere la posizione del lander entro un’area di poche decine di metri, ma la bassa risoluzione delle immagini scattate da una notevole distanza avevano portato all’identificazione di numerosi falsi candidati.

    Un numero considerevole di questi era stato scartato dalle analisi condotte in precedenza e le diverse tecniche di controllo avevano dimostrato di convergere più volte verso un particolare target che è risultato poi essere proprio il lander Philae, ben visibile nelle immagini ad alta risoluzione catturate a distanza ravvicinata dalla superficie della cometa.

    Nell'immagine si possono distinguere numerose caratteristiche e strumentazioni del piccolo lander. Ricordiamo che la risoluzione dell'immagine è di 5 cm per pixel! Cliccare l'immagine per ingrandire. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

    Alla quota di 2,7 km, la risoluzione della camera OSIRIS ha una risoluzione di 5 cm/px, sufficiente per distinguere le caratteristiche strutturali di Philae, il cui corpo principale misura circa 1 metro, come visibile dall’immagine qui affianco.

    «Questa fantastica scoperta giunge proprio alla fine di una lunga ed estenuante ricerca,» ha affermato Patrick Martin, Rosetta Mission Manager. «Ormai cominciavamo a pensare che Philae sarebbe rimasto disperso per sempre. È incredibile come siamo riusciti a rintracciarlo proprio all’ultimo».

    «Questa ottima notizia ci da modo poi di contestualizzare i rilevamenti compiuti da Philae sulla cometa, aggiungendo quelle informazioni che mancavano non conoscendo l’esatta ubicazione del lander e il “terreno” su cui si era posato» ha sottolineato Matt Taylor, Project Scientist della missione Rosetta.

    «Ora che la ricerca del lander è finita, ci sentiamo davvero pronti per l’atterraggio di Rosetta e non vediamo l’ora di poter catturare delle immagini ancora più ravvicinate del sito di atterraggio della sonda» ha aggiunto Holger Sierks, Principal Investigator della camera OSIRIS.

    La scoperta arriva a meno di un mese dalla discesa di Rosetta sulla superficie. Il 30 settembre, infatti, l’orbiter verrà inviato per una missione senza ritorno sulla superficie della cometa, dove potrà studiarla e osservare da vicino anche i pozzi aperti della regione Ma’at, che si spera rivelino alcuni dei segreti della struttura interna del corpo della cometa.

    L’ESA promette di rilasciare al più presto maggiori informazioni e immagini sulla scoperta del lander Philae.


    Per sapere tutto sulla missione Rosetta, leggi lo speciale su Coelum 204 di ottobre 2016!
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    Prime immagini e prime scoperte dal sorvolo di Juno

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    This infrared image gives an unprecedented view of the southern aurora of Jupiter, as captured by NASA's Juno spacecraft on August 27, 2016. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM
    Giove e il suo polo nord mai ripresi a una distanza così ravvicinata, circa due ore prima del massimo avvicinamento della sonda al pianeta. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

    La sonda americana Juno ha trasmesso le prime immagini scattate durante il suo sorvolo di Giove. Alle 15:44 ora italiana del 27 agosto, la sonda ha doppiato il suo secondo perigiovio – il primo a strumenti accesi – calandosi fino a soli 4200 chilometri dalle nubi gioviane. Al momento del sorvolo, Juno viaggiava a 208 mila chilometri orari.

    In questa immagine Juno era a circa 78 000 chilometri sopra la cappa di nubi del polo nord di Giove, sono visibili tempeste e un meteo completamente diversi da quanto visto negli altri pianeti del Sistema Solare. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

    Mai la sonda si era avvicinata così tanto al pianeta — la manovra di inserimento orbitale del 5 luglio, infatti, era stata eseguita 460 chilometri più in quota — e mai si riporterà a distanze così ravvicinate nell’arco della sua missione, eccezion fatta per quando, a Febbraio 2018, si tufferà in picchiata nell’atmosfera.
    La trasmissione dei sei megabyte di dati raccolti durante le sei ore del sorvolo ha richiesto un giorno e mezzo. Una volta iniziata la sua campagna scientifica vera e propria, Juno avrà a disposizione poco meno di due settimane tra un perigiovo e un altro per trasmettere tutte le informazioni alla Terra.

    «Abbiamo dato la nostra prima occhiata al polo nord di Giove e non assomiglia ad alcun’altra cosa mai vista o immaginata prima,» spiega Scott Bolton, a capo della missione. «È più blu di altre parti del pianeta, e ci sono numerose tempeste. Non ci sono segni di bande o zone latitudinali come quelle che siamo abituati a osservare — Giove è quasi irriconoscibile in queste foto. Si può notare che le nubi hanno delle ombre, suggerendo che possano essere situate più in alto delle altre strutture».

    Le immagini non mostrano nulla di simile alla struttura esagonale incastonata nel polo nord di Saturno. «Saturno ha un esagono nel polo nord,” prosegue Bolton. “Non c’è nulla di simile su Giove. Il re dei pianeti nel nostro sistema solare è un mondo davvero unico».

    Altre sorprese arrivano dallo strumento italiano JIRAM, che ha mappato le radiazioni infrarosse provenienti dalle regioni polari di Giove. Le osservazioni eseguite tra 3.3 e 3.6 micron di lunghezza d’onda corrispondono alle emissioni degli ioni di idrogeno che, eccitati dalle particelle energetiche che precipitano dalla magnetosfera gioviana, portano alla comparsa delle aurore.

    L'aurora australe fotografata da JIRAM nell'infrarosso il 27 agosto, durante il primo flyby a strumenti accesi della sonda Juno. Image credit: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM
    I dati di JIRAM a 3.45 (sopra) e 4.8 (sotto) micron di lunghezza d'onda.

    «JIRAM ha penetrato al di sotto della pelle di Giove, fornendoci le prime immagini infrarosse ravvicinate del pianeta,» spiega Alberto Adriani dell’IAPS. «Queste prime immagini infrarosse dei due poli di Giove rivelano punti caldi e punti freddi mai visti prima. Nonostante sapessimo già che le prime immagini infrarosse del polo sud di Giove avrebbero potuto rivelare le aurore australi del pianeta, è sorprendente vederle per la prima volta. Nessun altro strumento, né dalla Terra né dallo spazio, è mai stato in grado di osservare l’aurora australe. Ora, con JIRAM, possiamo vedere che è molto luminosa e ben strutturata. La grande quantità di dettagli in queste immagini ci dirà di più sulla morfologia e sulle dinamiche dell’aurora».

    Dati interessanti sono stati raccolti anche dallo strumento Waves, che ha registrato le onde radio (7-140 kHz) associate alle attività aurorali di Giove. Queste emissioni sono note dagli anni ’50, ma non erano mai state ascoltate da così vicino.

    I dati raccolti da Waves. Cliccando sull'immagine il video con il "suono" delle aurore australi del pianeta gassoso.

    «Giove ci sta parlando in una maniera che è unica dei giganti gassosi,» spiega Bill Kurth, a capo dello strumento. «Waves ha rilevato le emissioni caratteristiche delle particelle energetiche che generano le massicce aurore che circondano il polo nord di Giove. Queste emissioni sono le più intense nell’intero sistema solare. In questo momento, stiamo cercando di capire da dove provengano gli elettroni che le generano».

    Il prossimo perigiovio avverrà al termine della seconda e ultima orbita di cattura, ovvero il 19 ottobre 2016, quando Juno riaccenderà il suo motore e, tramite una manovra di riduzione del periodo orbitale, si porterà sulla sua prima orbita operativa, inaugurando la sua campagna scientifica. Da qui alla fine della missione, Juno eseguirà altri 35 sorvoli di Giove.

    Volete scoprire di più su Juno e Giove? Non perdetevi il nostro ampio speciale (con interviste agli scienziati della missione) su Coelum Astronomia. Potete sfogliare la rivista, completamente gratuita e digitale, qui: https://goo.gl/oGLXBZ



    Coelum 203 di settembre 2016 è online!
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    Le principali iniziative in Italia della Notte dei Ricercatori e della Settimana della Scienza

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    Dal 24 al 30 settembre 2016 al via la Settimana della Scienza che culminerà il 30 Settembre con la Notte Europea dei Ricercatori, un evento che coinvolgerà oltre 300 città europee.

    Frascati Scienza sarà capofila di una rete di ricercatori, università e istituti di ricerca, che si estendono dal nord al sud dell’Italia, nel promuovere il più importante appuntamento europeo di comunicazione scientifica.

    Previsti centinaia gli eventi tutti dedicati alla scienza e all’importanza della figura del ricercatore. In particolare, l’area Tuscolana, dove si trovano le infrastrutture di ricerca fra le più importanti d’Italia ed Europa, sarà l’epicentro dell’evento che coinvolge molte altre città: Ancona, Roma, Frascati, Firenze, Milano, Trieste, Genova, Modena, Ferrara, Napoli, Caserta, Palermo, Bari, Cagliari, Monserrato, Catania, Lecce, Parma, Pavia, Reggio Emilia, Sassari, Carbonia, Cassino, Gorga, Grottaferrata, Monte Porzio Catone, Colleferro, Rocca di Papa, Santa Maria di Galeria, Quartu Sant’Elena, Selargius e Villasor.

    Il programma di questa edizione sarà fitto di appuntamenti tra aperitivi scientifici, conferenze, laboratori e giochi, mostre,‘science trips’, visite nei centri di ricerca e spettacoli. Grande attenzione come ogni anno alle scuole di ogni ordine e grado con un calendario di eventi riservati solo agli studenti. Tra questi da segnalare Più sicuri in Rete con consapevolezza e libertà digitale con la partecipazione di Libreitalia e Fare ricerca con i supercomputer: nuovi strumenti per indagare la natura. Grazie alla partecipazione del Consorzio Interuniversitario CINECA (maggiore centro di calcolo in Italia) sarà possibile scoprire perché sono importanti le simulazioni numeriche e perché sono essenziali i supercomputer per poterle realizzare. Gli appuntamenti si terranno a Frascati presso il SAPERmercato, un’istallazione urbana originale, vero e proprio mercato del sapere, che ospiterà durante il corso della manifestazione incontri, presentazioni di libri, esperimenti, laboratori didattici e video installazioni.

    Tra gli eventi nazionali nella Settimana della Scienza segnaliamo per Roma la conferenza I segreti della Terra, raccontati dai geologi della Protezione Civile e della Regione Lazio e, per la sezione visite ai centri di ricerca, Astrogarden terra chiama Sole. Attraverso i potenti telescopi del Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università Roma Tre si potranno sperimentare le condizioni di illuminazione della Terra.

    A Frascati, presso le Mura del Valadier, corso di lettura, interpretazione e “traduzione” di dati e mappe, a cura di Giornalisti Nell’Erba che verranno affiancati dai ricercatori dell’INFN, dell’ENEA e di NAIS, per capire come fare in modo che questi dati raccontino una storia.

    Sempre a Frascati presso il SAPERmercato durante La fisica dei supereroi si scoprirà, insieme ad alcuni dei supereroi più famosi, quanto c’è di realistico nei loro superpoteri. Da Superman a Flash, fino ai mutanti X-Men, con l’aiuto delle leggi della fisica si indagheranno le loro straordinarie abilità, per scoprire che forse la fantasia non si è allontanata così tanto dalla realtà. Non mancheranno le presentazioni dei libri: Licia Troisi, parlerà del suo ‘Dalle Stelle alle Pagine di un Libro – e viceversa’, e Amedeo Balbi racconterà il suo ‘Dove sono tutti quanti?’ che sarà accompagnato dalle divertenti vignette di Andy Ventura.

    Numerosi gli eventi che saranno presentati in tutta Italia e che faranno da apripista alla Notte Europea dei Ricercatori: a Pavia dal 27 settembre si potrà visitare gratuitamente il LENA, il Laboratorio di Energia Nucleare Applicata che ospita un reattore nucleare di ricerca per lo svolgimento di attività di ricerca applicata, di didattica e di servizio. A Trieste I fisici della sezione di Trieste dell’INFN illustreranno le loro ricerche per lo studio dell’Universo Violento e la ricerca della materia oscura. Raggi cosmici e raggi gamma forniranno una visione dell’Universo alle più alte energie.

    Tra i tanti seminari organizzati dall’INFN presso il complesso di Monserrato da segnalare Siamo tutti radioattivi? La radioattività è utile o pericolosa? Si può vedere? Si può sentire? Si trova in natura o è solo prodotta nelle centrali o nelle bombe nucleari? Il cibo è radioattivo? E noi?

    Il 30 settembre, in occasione della Notte europea dei Ricercatori, le città coinvolte daranno vita ad una serie di eventi unici. A Roma e Frascati oltre alle consuete aperture dei più importanti enti di ricerca italiani e università (ASI, CNR ARTOV, ENEA, ESA-ESRIN, INAF, INFN, INGV, ISS, CREA, Università degli Studi Roma Tre, Università LUMSA) con centinaia di eventi organizzati per grandi e piccoli, da segnalare l’iniziativa Occhio al reperto! Il fascino degli scavi e del ritrovamento storico rapisce tutti, così partendo da questa curiosità, insieme agli antropologi dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, si potrà scavare e rinvenire una serie di resti scheletrici, analizzandone le caratteristiche e lavorando come veri scienziati della storia, cercando di determinarne la tipologia di sepoltura, il periodo e il numero di individui sepolti. Sound of Science: perché un doppiatore ha una voce inconfondibile? Quali sono le note più basse (e più alte) che può raggiungere la voce umana? È possibile cantare contemporaneamente più di una nota? E quali sono gli effetti della voce e del suono sul nostro cervello?

    Presso l’Università degli Studi Roma Tre durante la serata saranno centinaia gli eventi pensati per grandi e piccoli. Quest’anno alla manifestazione parteciperà anche l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Tra le tante attività verrà presentato un video che mostra una simulazione di “volo” sottomarino sui vulcani sommersi del Mar Tirreno; sarà illustrato il magmatismo nella vita di tutti giorni, dai diversi fenomeni e prodotti al loro utilizzo nella vita quotidiana e a corredo, un esperimento ludico con simulazione di una eruzione vulcanica.

    Doppio appuntamento per l’università Lumsa. A Roma Social-Mente: le scienze sociali svelate, grazie a un percorso creato da ricercatori e studenti di questa disciplina. A Palermo invece Diritti alla meta: la ricerca giuridica al servizio della società. Saranno decine gli “scienziati del diritto” che spiegheranno come si fa ricerca in un ambito che sembra così poco scientifico.

    Spazio poi all’astronomia con il planetario dell’Osservatorio Astronomico di Roma situato a Monte Porzio Catone, Giove e il Sistema Solare organizzato dall’INAF presso l’Area di Ricerca di Tor Vergata (ARTOV) e La Stazione Spaziale in 3D con il contributo dell’ESA-ESRIN.

    Da segnalare poi il Grande gioco della Notte dei Ricercatori, TRIVIA NIGHT, un quiz a squadre che aspetta giocatori pronti a mettersi in gioco per scoprire le meraviglie della Scienza, i seminari e l’apertura straordinaria a Roma dell’Istituto Superiore di Sanità oltre all’open day al KETlab, il primo polo italiano di trasferimento aerospaziale che aprirà le porte con esperimenti, giochi interattivi e dimostrazioni delle attività di ricerca, con la partecipazione di ASI.

    Presso l’osservatorio astronomico di Gorga, invece, sarà dimostrata la teoria della relatività Generale grazie al satellite LARES. Presso l’European Space Research Institute (ESA-ESRIN) curiosi, astrofili e ricercatori si ritroveranno per osservare il cielo e lo spazio… “dal vivo”.

    Al Fortino Sant’Antonio Abate, a Bari, saranno esposti alcuni prototipi e modelli di rivelatori di particelle che i ricercatori della sezione di Bari dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare utilizzano nelle loro attività di ricerca; a Cagliari presso la cittadella universitaria di Monserrato sarà possibile partecipare all’aperitivo scientifico Sai cosa mangi? Incontro tra cibo, scienza e società; Esperimenti Scientifici, l’evento intende promuovere un dialogo aperto e informato tra ricercatori, cittadini e territorio e prevede diverse attività; Vulcani, rocce e minerali, fenomeni e forme con la partecipazione dell’Università di Cagliari e Sardegna Ricerche.

    Presso la grande miniera Serbariu di Carbonia si terrà EfficienteMENTI: efficienza e risparmio energetico come soluzione sostenibile aperta a tutti. Un percorso interattivo organizzato da Sotacarbo, per sperimentare in modo diretto queste buone pratiche di sostenibilità.

    Anche Napoli offrirà iniziative originali in occasione della Notte, con ‘Toledo di notte: fisici underground’, la stazione metropolitana “Toledo” e il suo telescopio sotterraneo saranno i protagonisti del percorso espositivo-divulgativo dell’attivita’ di ricerca della sezione INFN di Napoli e dei gruppi associati del Dipartimento di Fisica dell’Universita’ di Napoli “Federico II”. A Caserta nello splendido scenario dell’emiciclo della Reggia omonima Spettri a Corte: installazioni di diverse postazioni scientifiche.

    A Reggio Emilia si parlerà del naso elettronico applicato al controllo degli alimenti, un congegno elettronico messo a punto dal Dipartimento di Scienza della Vita dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia capace di individuare la presenza di sostanze nocive, degradate, non più commestibili.

    Un filo diretto collegherà invece Ancona e Cassino dove musicisti distanti 300 km suoneranno insieme abbattendo i confini geografici. Questo spettacolare concerto a distanza è reso possibile dalla potenza della banda ultralarga della rete della ricerca e dell’istruzione GARR, che collega l’Università Politecnica delle Marche e l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

    La rete GARR propone anche un affascinante viaggio nella storia di Internet attraverso un percorso espositivo, ospitato dai Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, che ci fa rivivere le tappe più significative dell’invenzione del secolo.

    A Catania da segnalare oltre all’apertura dei laboratori nazionali del Sud la Fisica di Star Wars: la fisica di Guerre Stellari spiegata in modo semplice e divertente. La scienziata (e fan di Star Wars!) condurrà l’auditorio in un appassionante viaggio nel profondo spazio in compagnia di Darth Vader, delle Truppe di Assalto dell’Impero e dei personaggi di Star Wars, grazie alla straordinaria partecipazione della Trinacria Squad della 501st Italian Garrison.

    A Lecce si terrà Dalle particelle alle galassie, un percorso guidato e animato da ricercatori dell’INFN, indirizzato al pubblico, per spaziare dalla fisica delle interazioni fondamentali all”astrofisica, puntando l’attenzione sulle attività di ricerca svolte presso la locale Sezione INFN.

    A Milano, Extreme: alla ricerca delle particelle, la mostra insieme ai ricercatori che hanno lavorato al CERN e nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN.

    A Parma da segnalare Un archivio e una abbazia da scoprire: un viaggio nel tempo per comprendere la storia dell’abbazia di Valserena e della vita all’interno di essa, dall’epoca della fondazione ad oggi. Dalle 15 alle 23 spazio alla navigazione tra i Poli della scienza: il Campus Scienza e Tecnologia – Parco Area delle Scienze, il Dipartimento di Medicina Veterinaria, il Centro storico della città e il Centro Studi Archivio e Comunicazione – CSAC dell’Università di Parma accolgono curiosi, appassionanti e ragazzi di ogni età, per condividere con i cittadini la passione per la scienza e la ricerca

    Firenze sarà avvolta da una pioggia di particelle nella Notte Europea dei Ricercatori! Gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Firenze guideranno il pubblico in un viaggio verso l’infinitamente piccolo. Brevi seminari, dibattiti, dimostrazioni pratiche. A Ferrara decine di ricercatori effettueranno esperimenti scientifici per i più piccoli, per sperimentare le forze della fisica anche nella vita quotidiana.

    Le prossime due edizioni, a cura di Frascati Scienza previste a settembre 2016 e 2017, saranno all’insegna del MADE IN SCIENCE, la scienza come vera e propria ‘filiera della conoscenza’, capace di produrre e distinguersi per eccellenza, qualità, creatività, affidabilità, transnazionalità, competenze e responsabilità. MADE IN SCIENCE sarà il marchio che distingue la qualità, l’eccellenza e l’importanza della ricerca italiana e il filo conduttore degli appuntamenti in programma.

    Per il programma completo della manifestazione con il dettaglio dei giorni, orari e luoghi, visitare il sito:

    http://www.frascatiscienza.it

    Leggi anche l’articolo su Coelum 203 di settembre!

    La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto promosso dalla Commissione Europea. Il progetto coordinato da Frascati Scienza è realizzato in collaborazione con Regione Lazio, il Comune di Frascati, ASI, CNR, ENEA, ESA-ESRIN, INAF, INFN, INGV, ISS, CINECA, GARR, ISPRA, CREA, Sardegna Ricerche, con Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Università degli Studi Roma Tre, Università LUMSA di Roma e Palermo, Università di Cagliari, Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Università di Parma, Università Politecnica delle Marche, Università di Sassari, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
    L’evento vede la partecipazione di Accatagliato, Associazione Arte e Scienza, Associazione Culturale Chi Sarà di Scena, Associazione Eta Carinae, Associazione ScienzImpresa, Associazione Speak Science, Associazione Tuscolana di Astronomia (ATA), Associazione Tuscolana Amici di Frascati, Astronomitaly – La Rete del Turismo Astronomico, Dinosauri in Carne e Ossa, Engenie software innovation, Engineering, Explora il Museo dei Bambini di Roma, GEA, G.Eco, Giornalisti Nell’Erba, Gruppo Astrofili Monti Lepini (Osservatorio di Gorga), Libreitalia, RES Castelli Romani, L.U.D.I.S, Museo Tuscolano delle Scuderie Aldobrandini, Native, Quaelab, Science4Biz, Sotacarbo, STS Multiservizi, Tecnoscienza.it srl.
    Con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Regione Lazio, della Città Metropolitana di Roma Capitale, della Regione Campania, di Roma Capitale, del Comune di Monte Porzio Catone e del Parco Regionale dei Castelli Romani, Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini, Comune di Monte Porzio Catone, Comune di Napoli, Comune di Bari, Comune di Trieste, Comune di Cagliari, Comune di Gorga, Comune di Pavia.
    Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito della call MSCA-NIGHT-2016/2017 (Grant Agreement No. 722952).

    Le sei facce di Cerere

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    Il cratere Occator con i suoi white spot che tanto hanno incuriosito la comunità scientifica e non, a una risoluzione di 140 metri per pixel. I risultati sullo studio del cratere sono uno dei tanti aspetti affrontati negli articoli pubblicati su Science. — «Il cratere Occator, largo 92 km e situato a 19,9 gradi nord di latitudine e 239,1 gradi est di longitudine, in corrispondenza della nube di vapore acqueo osservata da Herschel. Il cratere si distingue per la presenza di numerose chiazze biancastre, che oggi sappiamo essere depositi di sale rimasti sulla superficie in seguito all'evaporazione di un bacino di acqua liquida esposto o dall'impatto che generò il cratere o da una serie di frane. Molte delle chiazze sono associate alla presenza di fratture lungo il fondale di Occator; tuttavia, l'area più luminosa è situata in un fosso largo 9 chilometri e profondo 1 situato al centro del cratere. Nel cuore del fosso si erge un rilievo di circa 400 metri. Simili strutture sono state osservate sia su Ganimede che Callisto; gli scienziati ritengono che siano dovute a un rialzamento del terreno durante l'impatto oppure a successive intrusioni criomagmatiche». (Polluce notizie, vedi link nella sezione "Per saperne di più").

    Sei inattese “facce” di Cerere illustrate in altrettanti studi pubblicati, tutti in un colpo solo, sull’ultimo numero di Science. Numero del quale il pianeta nano si è così aggiudicato anche la copertina. Dai risultati dei sei studi emerge il ritratto d’un mondo di roccia e ghiaccio nel quale si scorgono i segni di crateri, di fratture, di criovulcani, forse persino di una debole atmosfera e che, nel complesso, delineano l’attività geologica che ne ha caratterizzato il passato recente.

    I sei studi derivano tutti da dati raccolti grazie alla missione Dawn della NASA. Tutti gli articoli sono firmati anche da ricercatrici e ricercatori, o da associati, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma, e due in particolare sono specificatamente dedicati ai risultati delle osservazioni dello spettrometro italiano VIR (Visual and Infrared Spectrometer) a bordo della sonda: strumento chiave per la comprensione di un oggetto come Cerere, VIR è stato fornito dall’agenzia Spaziale Italiana (ASI) sotto la guida scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Partiamo dunque da questi ultimi per scoprire il volto inedito del più grande oggetto celeste fra quelli che popolano la cosiddetta “fascia principale”, la cintura d’asteroidi che si trovano fra le orbite di Marte e Giove.

    C’è ghiaccio d’acqua nel cratere Oxo

    Lo studio guidato da Jean-Philippe Combe del Bear Fight Institute di Winthrop (USA) dimostra la presenza di acqua ghiacciata in superficie. «Già si sapeva della presenza di ghiaccio d’acqua, ma ci si attendeva che su Cerere il ghiaccio in superficie fosse instabile lontano dai poli: trovarlo proprio lì è stata dunque una sorpresa», spiega Maria Cristina De Sanctis, coautrice dello studio e ricercatrice presso l’INAF IAPS di Roma, nonché responsabile di VIR. Gli scienziati del team se ne sono accorti utilizzando VIR in cinque occasioni, nel corso del 2015, per analizzare – nel visibile e nel vicino infrarosso – una zona estremamente riflettente del cratere Oxo, che si trova a circa 42° Nord (la latitudine di Roma, per intenderci). I dati rivelano, in un’area di meno di un chilometro quadrato, la presenza di materiali contenenti acqua: molto probabilmente ghiaccio d’acqua, scrivono gli autori, anche se potrebbe trattarsi di minerali idrati.

    Ora, le condizioni ambientali presenti su Cerere fanno sì che il ghiaccio d’acqua non riesca a permanere in superficie per più di qualche decina di anni a basse latitudini. Di conseguenza, i risultati di Dawn si potrebbero spiegare solo con un’esposizione o una formazione d’acqua in tempi recenti. Tra le varie ipotesi avanzate dagli autori dello studio – tra i quali, oltre a De Sanctis, anche altri tre ricercatori dell’INAF IAPS di Roma: Federico TosiFilippo Giacomo CarrozzoAndrea Raponi – quella ritenuta più plausibile è l’esposizione di materiali ricchi d’acqua, vicini alla superficie, a seguito d’un impatto o di uno smottamento.

    Il “team Dawn” all’INAF IAPS di Roma.
    Il “team Dawn” all’INAF IAPS di Roma. Da sinistra: Andrea Longobardo, Michelangelo Formisano, Francesca Zambon, Mauro Ciarniello, Teresa Capria, Marco Giardino, Andrea Raponi, Fabrizio Capaccioni, Maria Cristina De Sanctis, Gianfranco Magni, Alessandro Frigeri e Federico Tosi. Crediti: Elisa Nichelli / Media INAF

    Distribuzione dei diversi materiali sulla crosta

    In un secondo studio, guidato questa volta da Eleonora Ammannito dell’Università della California a Los Angeles, viene analizzata la distribuzione su Cerere dei minerali fillosilicati argillosi, che contengono magnesio e ammonio. In questo caso i ricercatori – fra i quali ben 14 dell’INAF IAPS di Roma: Maria Cristina De Sanctis, Mauro Ciarniello, Alessandro Frigeri, Filippo Giacomo Carrozzo, Andrea Raponi, Federico Tosi, Fabrizio Capaccioni, Maria Teresa Capria, Sergio Fonte, Marco Giardino, Andrea Longobardo, Gianfranco Magni, Ernesto Palomba e Francesca Zambon – hanno utilizzato la spettrometro VIR per determinare la composizione di questi fillosilicati da una parte all’altra del pianeta nano, risultata abbastanza uniforme, mentre è emersa notevole varietà nella loro abbondanza. Poiché questi minerali, per formarsi, richiedono la presenza di acqua, gli autori avanzano l’ipotesi che il materiale presente in superficie abbia subito alterazioni a seguito di un processo a larga scala nel quale l’acqua abbia avuto un ruolo fondamentale.

    Un’atmosfera per Cerere

    Dallo studio guidato dal principal investigator di Dawn, Christopher Russell, anch’egli dell’Università della California a Los Angeles, emerge un risultato sorprendente: Dawn sembra aver rilevato, attorno al pianeta nano, una debole e precaria atmosfera. I dati raccolti dallo strumento GRaND (Gamma Ray and Neutron Detector) mostrano come Cerere abbia accelerato a energie molto alte, per un periodo di circa sei giorni, gli elettroni del vento solare. Un fenomeno che, in teoria, potrebbe essere spiegato dall’interazione tra le particelle energetiche del vento solare e molecole atmosferiche. L’esistenza di un’atmosfera temporanea, notano gli autori dello studio, fra i quali di nuovo figura Maria Cristina De Sanctis dell’INAF IAPS di Roma insieme ad altri associati INAF, sarebbe fra l’altro coerente con la presenza di vapore acqueo registrata su Cerere quattro anni fa dal telescopio spaziale Herschel. Gli elettroni rilevati da GRaND potrebbero infatti essere stati prodotti dall’impatto del vento solare sulle molecole d’acqua osservate da Herschel, ma gli scienziati stanno anche cercando anche altre spiegazioni.

    Ahuna Mons
    Immagine ad alta risoluzione di Ahuna Mons (la larghezza dell’immagine corrisponde a circa 30 km). Crediti: NASA / JPL – Caltech / UCLA / MPS / DLR / IDA

    Criovulcanesimo, ghiacci e crateri

    Dei tre studi rimanenti, tutti con autori INAF o associati, uno riguarda l’attività criovulcanica, e in particolare una formazione geologica chiamata Ahuna Mons – una montagna con la base ellittica e la sommità concava – che secondo lo studio guidato da Ottaviano Ruesch, del Goddard Space Flight Center della NASA, rappresenterebbe appunto l’esempio di un criovulcano: un vulcano che erutta non silicati bensì un liquido fatto di sostanze volatili, come l’acqua.

    Un quinto studio, condotto da Harald Hiesinger dell’Università di Münster, in Germania, analizza i crateri da impatto presenti su Cerere, dai quali si evince che il guscio esterno del pianeta nano non è composto né di puro ghiaccio né di pura roccia, bensì di una combinazione dei due materiali.

    Infine, lo studio guidato da Debra Buczkowski, della Johns Hopkins University, rivolge l’attenzione alle diverse caratteristiche geologiche osservate in superficie, fra le quali crateri, cupole (o duomi), flussi lobati e strutture lineari. Se alcune di queste caratteristiche sono il frutto di impatti, altre sembrano piuttosto suggerire processi geologici quali la fagliazione subsuperficiale. Alcune poi sembrerebbero dovute a processi criomagmatici o ciovulcanici, prodotti dunque da ghiaccio fuso che fuoriesce dal sottosuolo.

    Guarda il servizio video su INAF-TV:

    Per saperne di più

    • Acqua, atmosfera, criovulcani: le nuove scoperte di Dawn su Cerere la notizia con tutte le immagini su Polluce Notizie

    • Report: Missione Dawn. Tutta l’attenzione su Cerere di Pietro Capuozzo, pubblicato su Coelum 203 di settembre 2016

    • Leggi su Science gli articoli:


    Coelum 203 di settembre 2016 è online!
    Semplicemente… clicca e leggi, è gratis!

    Nettuno in Opposizione

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    Sopra. L’immagine propone tre riprese di Nettuno realizzate dalla Voyager 2 nel 1989, dal Keck Observatory (sul Mauna Kea) nel 2000 e dal telescopio spaziale Hubble nel 1996.

    La cartina mostra il percorso angolare di Nettuno in settembre nella costellazione dell’Acquario. Il pianeta, in opposizione, potrà essere seguito 1,5° a sudovest della stella Lambda Aquarii (+4,7).

    Il 2 settembre Nettuno raggiungerà l’opposizione eliaca (diametro apparente 2,4″, mag. +7,8), ovvero la configurazione orbitale che si verifica quando un pianeta esterno si allinea con la Terra e il Sole. In tali condizioni, di conseguenza, si troverà nel momento più favorevole per l’osservazione e la fotografia (minore distanza, massimo diametro angolare e maggiore luminosità) anche se, da un punto di vista osservativo, a beneficiare maggiormente dell’opposizione sono i pianeti poco distanti e con un’alta eccentricità orbitale (come Marte e gli asteroidi) e non quelli più lontani.

    Le opposizioni di Nettuno si ripetono in media ogni 367,5 giorni, mentre la distanza raggiunta in tali occasioni è modulata dalla sua posizione lungo la sua orbita: se l’opposizione si verifica quando il pianeta è nei pressi del suo perielio (cosa che avviene ogni 165 anni), allora viene definita “perielica”, con il pianeta che raggiunge la distanza minima assoluta alla Terra.

    In pratica, ogni anno, durante una normale opposizione, la distanza Terra-Nettuno arriva in media a 4351 milioni di chilometri, valore che durante l’opposizione perielica si riduce fino ai 4310, come è accaduto nel 1875 e accadrà di nuovo nel 2041. Una differenza molto piccola, come si può vedere, in linea con una eccentricità orbitale (0,01) quasi dieci volte inferiore a quella di Marte; tanto che la differenza di diametro angolare tra le opposizioni al perielio e quelle all’afelio è praticamente impercettibile.

    Quest’anno, a 25 anni dal prossimo perielio, la distanza raggiunta durante l’opposizione del 2 settembre sarà di 4330 milioni di chilometri.

    Proviamo a Fotografare Nettuno di Daniele Gasparri

    Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


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    Ultimi sguardi a Giove e Venere

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    A cominciare dal giorno 2, all’ora del crepuscolo serale ci sarà la possibilità di seguire una bella ma difficile congiunzione planetaria sull’orizzonte ovest. L’ora consigliata è quella delle 19:45, quando il Sole sarà appena tramontato, consentendo così a Venere (mag. –3,8) e a Giove (–1,7) di rendersi osservabili anche in un cielo ancora molto chiaro. A quell’ora Venere sarà alta circa +10°, mentre Giove, distante 5,8° verso sudovest, sarà alto +7,5°. A movimentare un po’ la scena ci penserà tuttavia un’esilissima falce di Luna crescente situata a +5,5° di altezza, 3° a sudovest di Giove. L’allineamento formato dai tre oggetti permarrà anche la sera seguente, con la Luna che si sposterà però a est di Venere. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare è due o tre volte superiore alla giusta scala.

    Dopo aver dato spettacolo il 27/28 agosto mostrandosi in congiunzione stretta con Giove, nei giorni successivi Venere proseguirà la sua corsa, arrivando a formare i primi giorni di settembre un triangolo con Giove e Mercurio (quest’ultimo però inosservabile a causa della sua modesta mag. +1,5) sopra l’orizzonte ovest. Inutile dire che l’osservabilità della congiunzione sarà fortemente condizionata dalla trasparenza del cielo e dalla rapidità con cui verranno condotte le ricerche, magari assistite dall’uso di un capace binocolo.

    Triangolo che verso le 19:15 del 2 settembre, si arricchirà dell’arrivo di una sottilissima falce di Luna crescente. Molto più in basso (+2,8°) ci sarà anche Mercurio, ma con una magnitudine (+1,5) del tutto insufficiente a renderlo visibile.

    Se le condizioni meteo lo permetteranno, regalandoci un cielo limpido adatto all’osservazione di oggetti bassi sull’orizzonte, la sera del 3 settembre, verso le ore 20:00, una sottilissima falce di Luna (fase 6%) avvicinerà il pianeta Venere (la distanza tra i due corpi celesti sarà di circa 2,5°). Entrambi gli astri saranno già piuttosto bassi sull’orizzonte ovest (alti una decina di gradi).

    Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Settembre


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    Trasloco in vista per Dawn: rotta verso una nuova orbita attorno a Cerere

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    Dopo aver trascorso più di otto mesi parcheggiata 385 chilometri al di sopra della superficie di Cerere, la sonda americana Dawn è pronta a traslocare. Il 2 settembre, la sonda inizierà un trasferimento verso una nuova orbita a 1460 chilometri di quota.

    Portandosi a una distanza maggiore dal pianeta nano, Dawn potrà ridurre il suo consumo di idrazina, il propellente utilizzato per modificare l’assetto della sonda. L’idrazina, al momento, è l’unica risorsa che preoccupa gli scienziati. Essendosi Dawn aggiudicata un’estensione il 30 giugno, la priorità degli scienziati ora è far sì che la sonda possa sopravvivere il più a lungo possibile. Qualora dovesse esaurire la sua idrazina, Dawn non sarebbe più in grado di puntare i suoi strumenti verso la superficie di Cerere, i suoi pannelli solari in direzione del Sole o la sua antenna verso la Terra.

    «Molte sonde non sarebbero in grado di cambiare la loro altitudine orbitale con così tanta facilità», spiega Marc Rayman della NASA. «Grazie al sistema di propulsione a ioni di Dawn, possiamo manovrarla in modo da ottenere quante più misurazioni scientifiche possibile».

    Tra agosto e ottobre 2015, la sonda era nella cosiddetta High Altitude Mapping Orbit (HAMO, alta orbita di mappatura), a 1460 chilometri da Cerere. Nonostante sia più o meno alla stessa altitudine, la prossima orbita di Dawn sarà caratterizzata da una geometria diversa (nello specifico, cambierà l’angolo tra il piano orbitale e il vettore verso il Sole). Ciò consentirà alla sonda di avere un punto di vista del tutto inedito sulla superficie di questo mondo alieno.

    Leggi lo speciale dedicato alla missione Dawn, a Vesta e a Cerere nell’ultimo numero di Coelum Astronomia – come sempre, completamente gratuito e in formato digitale consultabile da qualsiasi dispositivo!


    Il cielo di settembre 2016

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    Cartina del cielo di settembre
    Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 settembre > 23:00 15 settembre > 23:00 30 settembre > 23:00
    Cartina del cielo di settembre
    Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 settembre > 23:00 15 settembre > 23:00 30 settembre > 23:00

    EFFEMERIDI

    Luna

    Sole e Pianeti

    Verso ponente saranno ancora visibili, ma ormai declinanti e prossime al tramonto, le estese costellazioni della tarda primavera (Boote con la brillante Arturo, Ofiuco, Ercole e il Serpente), mentre verso sudovest sarà già quasi tramontato lo Scorpione portando con sé Saturno e Marte (alti sull’orizzonte solo +10°).

    Con il passare del tempo il cielo muterà completamente aspetto: prima della mezzanotte saranno già visibili le Pleiadi sull’orizzonte nordest, e nella seconda parte della notte si potrà godere della presenza contemporanea della nebulosa M42 in Orione e della Nebulosa Velo nel Cigno. In mezzo, solo spazi silenti e rarefatti, ma anche imponenti visioni, come quelle di M31 in Andromeda e del Doppio Ammasso nel Perseo.

    IL SOLE

    L’evento più importante del mese per la nostra stella sarà ovviamente il passaggio al nodo discendente sull’equatore celeste il giorno 22, quando in pratica il Sole avrà declinazione pari a zero e si verificherà l’Equinozio d’Autunno, ovvero l’istante in cui inizia l’autunno astronomico (la primavera per l’emisfero Sud). Il punto di intersezione fra l’eclittica, nel suo ramo discendente (il percorso apparente del Sole sulla volta celeste), e l’equatore celeste prende anche il nome di punto omega, o “Primo punto della Bilancia” (così chiamato perché un tempo si proiettava in quella costellazione, mentre ora – a causa dei moti di precessione  – si trova nella regione occidentale della Vergine, tra le stelle eta e beta Virginis).

    Per quanto possa sembrare strano, la data “classica” del 21 settembre è proprio quella in cui l’equinozio d’autunno non si verifica mai (con due piccolissime eccezioni nel 2092 e 2096, calcolando però l’orario in Tempo Universale).

    Per il resto, le date canoniche dell’equinozio autunnale sono quelle del 22 e 23 settembre, anche se può sporadicamente accadere che l’autunno inizi addirittura il 24 settembre!

    L’ultima volta è successo da noi nel 1935 (equinozio alle 0:30 del 24), e per la prossima bisognerà aspettare addirittura il 2303. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, la data dell’equinozio non è quella in cui le ore di luce e di buio sono equamente divise… Per questioni principalmente legate alla rifrazione atmosferica – che all’alba anticipa il sorgere del Sole e al tramonto lo ritarda – alle nostre latitudini la parità viene infatti raggiunta solo due o tre giorni dopo l’equinozio di autunno (e prima di quello di primavera): quest’anno cade il 25 settembre.

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    Segnali da una civiltà extraterrestre?

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    Il radio telescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, da cui è stato rilevato il segnale. Credit: nat-geo.ru
    Il radio telescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, da cui è stato rilevato il segnale. Credit: wikipedia.org

    In questi giorni numerosissime fonti d’informazione di tutto il mondo hanno riportato — con termini spesso esagerati e talvolta assurdi — la notizia diffusa dal sito centauri-dreams.org del rilevamento da parte di un team russo di un potente segnale radio proveniente da una stella posta a un centinaio di anni luce di distanza da noi. Si tratta davvero del tanto atteso segnale che testimonia la presenza di una civiltà extraterrestre intelligente?

    Poiché, purtroppo, internet si è dimostrata molto spesso cassa di risonanza di informazioni errate, imprecise o di vere e proprie “bufale” (nella cui rete sono talvolta cadute anche prestigiose testate giornalistiche), risulta indispensabile fare delle precisazioni e chiarire la situazione per capire come stanno realmente le cose.

    Gli autori stessi della scoperta, guidati da Nikolai Bursov del Russian Academy of Sciences’ Special Astrophysical Observatory, hanno semplicemente dichiarato che «è necessario il monitoraggio permanente di questo obiettivo», chiarendo la natura di “candidato” del segnale e la necessità di ulteriori indagini.

    A venirci in aiuto, però, è il comunicato firmato da Seth Shostak, astronomo senior del SETI Institute (Search for Extra-Terrestrial Intelligence, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), con sede a Mountain View (California), istituto che dal 1974 si dedica alla ricerca di segnali intelligenti di origine extraterrestre, conducendo campagne sottoposte a protocolli rigorosamente scientifici.

    Tornando al “candidate signal”, la presunta scoperta è opera di un gruppo di astronomi russi, che avrebbero rilevato il segnale grazie al radiotelescopio RATAN-600 in Zelenchukskaya, alle pendici settentrionali della Catena del Caucaso. Il sistema solare origine del segnale è HD 164595, nella costellazione di Ercole e che dista da noi 94 anni luce, e che è diventato, tutto d’un tratto, il probabile candidato a ospitare esseri extraterresti intelligenti.

    Questo sistema solare presenta una stella di dimensioni e luminosità paragonabili a quelle del Sole, seppure risulti più vecchio di qualche miliardo di anni rispetto al nostro, ed è noto per ospitare un pianeta extrasolare dalle dimensioni simili a quelle del nostro Nettuno. Il pianeta è situato però in un’orbita molto vicina alla stella centrale, il che lo rende quindi un luogo poco adatto a ospitare la vita. Tuttavia, potrebbero esserci altri pianeti in questo sistema, ancora da scoprire.

    Anche se è stato reso noto soltanto ora, il segnale è stato ricevuto in realtà il 15 maggio 2015 alla lunghezza d’onda di 2,7 centimetri (cioè una frequenza di circa 11 GHz), con un’ampiezza stimata di 750 mJy.
    L’identificazione di questo segnale radio sarebbe stata comunicata in una presentazione alla quale hanno aderito diversi astronomi russi, nonché un ricercatore italiano, Claudio Maccone, presidente dell’Accademia Internazionale di Astronautica del Comitato Permanente SETI.

    Quello che ci si chiede è: potrebbe trattarsi davvero di una trasmissione proveniente da una società tecnologicamente avanzata? Per rispondere è necessario attenersi solo a ciò che è noto finora, e questo richiede ovviamente una spiegazione tecnica.

    In primo luogo, il segnale rilevato proviene effettivamente dalla direzione del sistema di HD 164595?

    Il RATAN-600, il radiotelescopio che lo ha captato, ha un disegno particolare (un anello sul terreno di 577 metri di diametro) e un’insolita “beam shape” (ossia la fascia di cielo su cui lavora), molto allungata in direzione nord-sud e stretta in direzione est-ovest. Considerando le caratteristiche del segnale rilevato (2,7 cm di lunghezza d’onda), la fascia risulta avere dimensioni di 20 secondi d’arco per 2 minuti d’arco.

    Il punto da cui il segnale sembrerebbe provenire è quindi posto in direzione est-ovest (la parte stretta della fascia) con le coordinate celesti corrispondenti a HD 164695, il che farebbe supporre agli scopritori che il segnale probabilmente arrivi proprio da quel sistema solare. Ma, naturalmente, potrebbe anche non essere esatto.

    In secondo luogo, si deve tener conto delle caratteristiche del segnale stesso.

    Le osservazioni sono state condotte con un ricevitore caratterizzato da una larghezza di banda di 1 GHz, un miliardo di volte più ampia rispetto alle larghezze di banda tradizionalmente utilizzate dalle ricerche SETI e 200 volte più ampia di quella di un comune segnale televisivo.

    Il segnale grezzo proveniente dalla zona di cielo del sistema HD 164595 rilevato dal team russo a confronto con quello atteso di una sorgente puntiforme posta alle stesse coordinate. Credit: Bursov et al.

    La potenza del segnale era di soli 0,75 Jansky, che, in parole povere, può essere definito “debole”. Ma è debole solo a causa della distanza di HD 164595 o la sua debolezza è dovuta alla “diluizione” del segnale causata dalla larghezza di banda del ricevitore russo? Un ricevitore a banda larga può infatti diluire l’intensità dei segnali a banda stretta, anche se inizialmente erano relativamente forti; un po’ come quando si prepara una piatto con numerosi ingredienti e nell’insieme risulta difficile distinguere il sapore dei singoli componenti.

    Visto che è possibile calcolare quanto potente dovrebbe essere un trasmettitore radio alieno, in grado di generare il segnale ricevuto, partendo proprio dal valore della sua intensità, considerando come luogo di origine della trasmissione una qualsiasi posizione in prossimità di HD 164595, volendo sostenere l’ipotesi aliena si presenterebbero due casi:

    1. Gli alieni decidono di trasmettere il segnale in tutte le direzioni.

    In questo caso la potenza richiesta risulterebbe di 10^20 watt, cioè 100 miliardi di miliardi di watt, ovvero centinaia di volte la quantità totale di energia solare che investe la Terra! Il che richiederebbe una fonte di energia ben al di là della nostra portata.

    2. Gli alieni scelgono deliberatamente di puntare la loro trasmissione verso di noi.

    Ciò permetterebbe di ridurre considerevolmente la richiesta di energia ma anche utilizzando un’antenna delle dimensioni del radiotelescopio di Arecibo (poco più di 300 metri di diametro), l’energia necessaria per l’alimentazione dell’apparecchio risulterebbe di un trilione di watt, comunque enorme, equivalente all’incirca all’intero consumo energetico di tutta l’umanità!

    Entrambi i casi presuppongono uno sforzo decisamente, e di molto, superiore a ciò che noi potremmo fare ma, soprattutto nel secondo caso, è difficile immaginare perché una civiltà aliena possa aver scelto proprio il nostro sistema solare come destinazione di un segnale di tale natura. La nostra stella è molto lontana da HD164595 e gli ipotetici alieni non avrebbero ancora potuto ricevere alcun segnale radio (TV o radar) proveniente dal nostro sistema, da poter dar loro un indizio della nostra presenza.

    La possibilità che quello rilevato sia realmente un segnale proveniente da una civiltà extraterrestre sembra pertanto piuttosto esigua e, per la verità, anche gli stessi scopritori sembrano piuttosto dubbiosi. Tuttavia, vista l’importanza dell’argomento, è giusto vagliare e controllare tutte le possibilità ragionevoli.

    L’Allen Telescope Array è un radiotelescopio multiplo interferometrico situato in California, frutto di una collaborazione tra il SETI e l’Università di Berkeley. Dopo la rivelazione della notizia, l’ATA è stato puntato in direzione di HD 164595 dal 28 agosto 2016. La campagna di analisi condotta non ha però rilevato alcunché, anche se è stata coperta (al 30 agosto) tutta la gamma di frequenze osservata dagli astronomi russi. Non è stato osservato alcun segnale di potenza superiore ai 0,1 Jansky nella banda dei 100MHz e pertanto si può affermare che non vi è conferma del segnale rilevato dal RATAN-600.

    Un fatto particolarmente degno di nota, che ha stupito la comunità scientifica in campo, è il ritardo nella comunicazione della scoperta del segnale. Secondo sia la pratica sia il protocollo scientifico, se un segnale sembra avere un’origine deliberata ed extraterrestre, una delle prime procedure da adottare è quella di informare gli altri ricercatori, per avere subito una conferma osservativa. Cosa che (essendo l’unico segnale rilevato nel maggio del 2015) in questo caso, non è stata fatta.

    Eric Korpela, astrobiologo e astrofisico, scienziato del progetto seti@home, ha commentato la notizia sul forum del progetto stesso, spiegando tra l’altro i requisiti minimi perché un segnale possa essere preso in considerazione come candidato:

    Deve essere persistente. Quindi apparire nello stesso punto del cielo in più osservazioni.

    Deve provenire da un solo punto specifico.

    Se ri-osservato il target, il segnale deve essere ancora lì.

    Altre considerazioni che possono aggiungere credibilità alla scoperta sono:

    • La frequenza/periodo/ritardo non corrispondono a frequenze di interferenze note.

    • L’effetto Doppler indica una frequenza stabile all’interno del centro di massa del sistema solare a cui viene associato il segnale.

    • Le sue proprietà (larghezza di banda, velocità, codifica) indicano un’origine intelligente.

    «Sfortunatamente — sottolinea Korpela — il metodo di osservazione utilizzato dalla squadra russa non soddisfa molti di questi punti: il segnale non era persistente; non è stato ritrovato quando il bersaglio è stato nuovamente osservato; la frequenza, il periodo o il ritardo non sono stati determinati; lo spostamento Doppler è sconosciuto; molte fonti di interferenza, anche satellitare, sono presenti nella banda di osservazione».

    In definitiva, qual è la conclusione che possiamo trarre? È plausibile che un società aliena stia effettivamente inviando un segnale verso di noi?

    Possiamo chiudere con le parole stesse di Seth Shostak: «Naturalmente si, è possibile. Tuttavia, ci sono molte altre spiegazioni per l’origine di questo segnale, incluso che si tratti di interferenza di origine terrestre. Senza un’ulteriore conferma della sua esistenza, l’unica cosa che possiamo dire a riguardo è che… è “interessante”».


    Leggi anche: SE L’UNIVERSO brulica di alieni… dove sono tutti quanti?

    Ovvero, una selezione delle migliori congetture formulate per rispondere al famoso interrogativo di Enrico Fermi. Ecco di seguito quelle pubblicate fino ad ora:

    non hanno avuto il tempo di raggiungerci,

    non abbiamo ascoltato abbastanza a lungo,

    non sono qui perché una civiltà tecnologica ha una vita molto breve,

    le stelle sono lontane,

    stanno inviando dei segnali, ma non sappiamo come ascoltare,

    stiamo sbagliando la strategia di ricerca,

    tutti ascoltano, e nessuno trasmette…

    il segnale è già in mezzo ai dati,

    stanno trasmettendo ma non riconosciamo il segnale



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    All’improvviso passò l’asteroide 2016 QA2

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    Animazione ottenuta da una serie di pose di 3 secondi dell’asteroide 2016 Q2A effettuate dal team del Gruppo Astrofili Montelupo guidato da Maura Tombelli
    Animazione ottenuta da una serie di pose di 3 secondi dell’asteroide 2016 Q2A effettuate dal team del Gruppo Astrofili Montelupo guidato da Maura Tombelli

    Non è il caso di dire che l’abbiamo scampata bella, ma una gocciolina di sudore freddo a imperlare la fronte ci può stare. Domenica 28 agosto 2016 l’asteroide denominato 2016 QA2 ha compiuto un passaggio in prossimità della Terra. Un passaggio che, nel momento del perigeo – cioè il punto più vicino al nostro pianeta – avvenuto alle 3:24 ora italiana, è stato molto ravvicinato, il più ravvicinato degli ultimi anni.

    Scoperto solo poche ore prima dall’osservatorio amatoriale SONEAR in Brasile, 2016 QA2 è passato sopra le nostre teste a circa 88 mila km di distanza, che corrispondono approssimativamente ad appena un quinto della distanza Terra-Luna. Le dimensioni del nuovo vagabondo spaziale, dedotte dalla sola magnitudine assoluta, sono stimate tra i 18 e i 57 metri. Un diametro presumibilmente almeno doppio, per fare un paragone, rispetto al bolide da 15 metri che scompigliò la vita agli abitanti di Čeljabinsk nel 2013.

    Tra i primi a confermare l’avvistamento di questo NEO (near-Earth object, come vengono definiti gli oggetti del Sistema solare la cui orbita può intersecare quella della Terra) anche gli appassionati del Gruppo Astrofili Montelupo, capitanati da Maura Tombelli, che Media INAF ha intervistato.

    Allora Tombelli, ci racconti com’è andata…

    «Nell’ambito del nostro programma osservativo sui NEA (near-Earth asteroids), consultando la pagina del Minor Planet Center dell’Unione astronomica internazionale sugli oggetti da confermare, abbiamo visto questo asteroide di magnitudine 14 che avremmo potuto osservare tranquillamente anche noi. Solo che era nell’emisfero sud, allora abbiamo attivato il telescopio remoto MPC Q62 a Siding Spring, in Australia, a cui abbiamo possibilità di accedere e con il quale, appunto, abbiamo confermato l’asteroide 2016 QA2. Sulla circolare di scoperta compaiono infatti le nostre misure».

    Ma non è finita qui, vero?

    «Sì, è stata una doppia sorpresa. Per coincidenza avevamo stabilito di fare proprio quella sera le prime osservazioni in astrometria dal nostro nuovo osservatorio di Montelupo, per potere ottenere il codice dal Minor Planet Center. Visto che tutto funzionava bene e visto che l’asteroide era diventato visibile anche da nord, l’abbiamo puntato, ottenendo una serie di immagini “da paura”, dalle quali stiamo ancora misurando le posizioni».

    Crediti: Gruppo Astrofili Montelupo

    Perché è importante questo asteroide?

    «È importante perché è passato molto vicino. Era un sasso di qualche decina di metri che, se ci avesse preso, sarebbe stato non dico devastante, però dove cascava sicuramente faceva dei danni. Le misure effettuate serviranno per determinarne l’orbita precisa, per vedere se questo asteroide sarà pericoloso nel futuro».

    Che cos’è l’astrometria?

    «Fare astrometria vuol dire misurare la posizione assoluta in cielo all’ora esatta per determinare l’orbita degli asteroidi. Io, prima, principalmente scoprivo asteroidi, e mi piaceva perché, visto che all’epoca non lo faceva nessuno, mi sono ritrovata con un grosso numero di asteroidi scoperti. Gli asteroidi venivano scoperti su lastre fotografiche ottenute all’osservatorio di Asiago, poi con il mio telescopio da 30 cm da casa riuscivo a fare il follw-up di quasi tutti quelli che scoprivo».

    Dov’è il vostro osservatorio?

    «L’Osservatorio Astronomico “Beppe Forti” si trova in località Camaioni a Montelupo Fiorentino, a 7 km da Empoli, in provincia di Firenze. Lo stiamo completando; ora come ora, cerchiamo soldi per fare la cupola».

    Leggi anche:

    Sull’osservazione di asteroidi e sugli asteroidi pericolosi: Asteroid Day – La Maratona degli Asteroidi e il Club degli Asteroidi illustri su Coelum 203 di settembre 2016

    Sul caso Čeljabinsk: Pioggia di meteoriti in pieno giorno sul cielo della Russia


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    A CIELO NUDO… D’ARTISTA

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    cielo nudoLa mostra “A cielo nudo. Gli astri con l’occhio d’artista” prende spunto dai corpi e dai fenomeni celesti visibili ad occhio nudo. A questi astri e a questi eventi si sono ispirati gli artisti che espongono le loro
    opere nel secondo allestimento di “Arte e astronomia” organizzato dall’Osservatorio astronomico Serafino Zani (Lumezzane). La mostra è allestita all’Osservatorio fino al 17 settembre ed è aperta ogni sabato (escluso l’ultimo sabato del mese) dalle ore 21.
    È possibile visionare la raccolta completa delle opere attraverso la proiezione power point dedicata all’intera esposizione disponibile sul sito www.tesorivicini.it.
    Le opere sono disponibili anche per mostre in altre sedi. Gli enti interessati possono scrivere a:
    osservatorio@serafinozani.it

    Festival della mente 2/3/4 settembre 2016 a Sarzana (La Spezia)

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    festival della mente

    festival della mentePromosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, il festival animerà il centro storico della cittadina ligure con una quarantina di incontri: scrittori, fotografi, scienziati, psicanalisti, psicologi, architetti, filosofi, storici e sociologi approfondiranno, attraverso un linguaggio accessibile a tutti, le tematiche della creatività e dei processi creativi, ricollegandosi tutti al
    tema dello spazio, filo conduttore di questa edizione del festival.

    Tra i numerosi eventi in programma segnaliamo:
    02.09, ore 21:30: “La nascita dello Spazio (e del tempo)” con Guido Tonelli.
    03.09, ore 16:45: “Dalle stelle alla vita: una, cento, mille Terre” con Giovanni Fabrizio Bignami.

    Per il programma completo e la mappa delle location visitare il sito.
    http://www.festivaldellamente.it/it/

    Juno completa con successo il suo primo sorvolo operativo di Giove

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    Jupiter's north polar region is coming into view as NASA's Juno spacecraft approaches the giant planet. This view of Jupiter was taken on August 27, when Juno was 437,000 miles (703,000 kilometers) away. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS
    Le regioni del polo nord di Giove in vista di Juno, mentre si avvicina per il primo (di 36 programmati) flyby orbitale del 27 agosto. Questa immagine è stata presa proprio il 27, ma quando la sonda si trovava ancora a 703 mila chilometri dal pianeta. Nelle ore successive si avvicinerà fino a 4200 chilometri! Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

    La sonda americana Juno ha doppiato con successo il primo perigiovio operativo della sua missione. Alle 15:44 ora italiana del 27 agsoto, la sonda ha sorvolato Giove, calandosi fino a 4200 chilometri dalla sommità delle nubi e sfrecciando a 208 mila chilometri orari.

    Mai la sonda si era avvicinata così tanto al pianeta — la manovra di inserimento orbitale del 5 luglio, infatti, era stata eseguita 460 chilometri più in alto — e mai si riporterà a distanze così ravvicinate nell’arco della sua missione primaria.

    «I primi dati di telemetria indicano che tutto ha funzionato come previsto», spiega Rick Nybakken della NASA. Quello di ieri è stato il primo perigiovio di Juno a strumenti accesi; gli scienziati hanno così potuto ottenere un’anteprima del genere di misurazioni che Juno sarà in grado di realizzare una volta inaugurata la sua campagna scientifica vera e propria. La fase operativa di Juno inizierà con la manovra di riduzione del periodo orbitale, prevista per il 19 ottobre.

    Da qui alla fine della missione, programmata per febbraio 2018, Juno eseguirà altri 35 sorvoli di Giove.

    «Stiamo ottenendo dei primi dati molto interessanti proprio in questo momento», spiega Scott Bolton, a capo della missione. «Ci vorranno un po’ di giorni per scaricare tutti i dati raccolti durante il sorvolo e molti altri per comprendere ciò che Juno sta tentando di dirci. Siamo in un’orbita su cui nessuno è mai stato, e queste immagini ci daranno una prospettiva del tutto nuova su questo mondo gigante».

    In attesa che arrivino le prime immagini dal sorvolo, la NASA ha pubblicato una foto del polo gioviano immortalato dal punto di vista inedito di Juno a 703 mila chilometri di quota.

    Risorse online

    Leggi anche Missione Juno. Nuovo incontro ravvicinato con Giove in vista su Coelum 203 di settembre.

    Coelum 202 luglio agosto

    A questo link potete trovare tutte le immagini raw che verranno rilasciate durante la missione

    Il sito della missione

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    Domani il primo perigiovio di Juno a strumenti accesi

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    Nell'immagine, Giove visto da Junocam il 23 agosto da 4,4 milioni di chilometri di distanza. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS
    Nell'immagine, Giove visto da Junocam il 23 agosto da 4,4 milioni di chilometri di distanza. Sulla sinistra l'immagine composita a colori in luce visibile, sulla destra quella ripresa in luce infrarossa, sensibile all'abbondanza di metano nell'atmosfera Gioviana (le parti più chiare sono quelle più alte nell'atmosfera, che subiscono di meno l'assorbimento di radiazione da parte del metano, come la Grande Macchia Rossa). Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

    La sonda americana Juno sta per tornare nelle immediate vicinanze di Giove. Alle 14:51 ora italiana di domani, la sonda si calerà fino a 4200 chilometri dalla sommità delle nubi gioviane, raggiungendo così il secondo perigiovio della sua missione, dopo quello della manovra di inserimento orbitale del 5 luglio. Stavolta, però, gli otto strumenti scientifici a bordo di Juno — più la fotocamera Junocam — saranno del tutto operativi, e potranno così raccogliere i loro primi dati in prossimità del gigante gassoso.

    Doppiando il perigiovio della sua orbita, Juno viaggerà a una velocità relativa rispetto a Giove pari a 208 mila chilometri orari. Il piano di volo prevede oltre 35 perigiovi; quello di domani, tuttavia, sarà il più ravvicinato.

    «Sarà la prima volta che saremo così vicini a Giove da quando siamo entrati in orbita il 4 luglio,» spiega Scott Bolton, a capo della missione. «In quell’occasione, tutti i nostri strumenti erano spenti per assicurare che il motore rallentasse Juno in un’orbita attorno a Giove. Da allora, abbiamo analizzato la sonda da cima a fondo più volte. Abbiamo ancora degli ultimi test da completare, ma siamo fiduciosi che tutto stia lavorando alla perfezione; per questo prossimo flyby, dunque, gli occhi e le orecchie di Juno saranno tutti aperti».

    Il flyby consentirà agli scienziati di avere un assaggio delle indagini scientifiche che Juno svolgerà una volta inaugurata la sua campagna scientifica vera e propria. Juno si porterà sulla sua prima orbita scientifica il 19 ottobre, in seguito a una manovra di riduzione del periodo orbitale.

    «Questa sarà la nostra prima opportunità per dare un’occhiata davvero ravvicinata al re del sistema solare e iniziare a capire come funzioni,» prosegue Bolton.
    L’orbita attuale di Juno è molto ellittica, con un periodo di 53,5 giorni, un apogiovio di 8 029 000 chilometri e un’inclinazione di 89,8 gradi.

    «Nessun’altra sonda ha mai orbitato intorno a Giove a distanze così ravvicinate, o sorvolato i poli,» spiega Steve Levin della NASA. «Questa sarà la nostra prima opportunità ed è inevitabile che troveremo delle sorprese. Avremo bisogno di un po’ di tempo per accertarci della validità delle nostre conclusioni.»

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    Leggi anche Missione Juno. Nuovo incontro ravvicinato con Giove in vista su Coelum 203 di settembre.

    Coelum 202 luglio agosto

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    Venere raggiunge Giove nella congiunzione più interessante del mese

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    Verso le 20:00 del 27 e 28 agosto, poco dopo il tramonto del Sole, Venere completerà la sua lunga rincorsa e raggiungerà Giove, avvicinandosi fino a una distanza osservabile di 12' il giorno 27 e di 49' il 28. A quell’ora, l’altezza dei due oggetti sull’orizzonte ovest sarà però soltanto di +8° e come al solito bisognerà sperare in condizioni meteo molto favorevoli. Come i lettori ricorderanno, lo scorso anno, il 30 giugno, si verificò una congiunzione simile, ma quella volta la separazione minima tra Giove e Venere si fermò a 22'.
    Verso le 20:00 del 27 e 28 agosto, poco dopo il tramonto del Sole, Venere completerà la sua lunga rincorsa e raggiungerà Giove, avvicinandosi fino a una distanza osservabile di 12' il giorno 27 e di 49' il 28. A quell’ora, l’altezza dei due oggetti sull’orizzonte ovest sarà però soltanto di +8° e come al solito bisognerà sperare in condizioni meteo molto favorevoli. Come i lettori ricorderanno, lo scorso anno, il 30 giugno, si verificò una congiunzione simile, ma quella volta la separazione minima tra Giove e Venere si fermò a 22'.

    Tra il 27 e 28 agosto, infatti, grazie al suo più veloce moto apparente Venere raggiungerà Giove, avvicinandosi il giorno 27 fino a una distanza osservabile di 12′ alle ore 20:00.
    La luminosità dei due pianeti sarà molto buona, ma l’altezza sull’orizzonte ovest sarà soltanto di +8°, il che significa che l’osservazione potrà andare a buon fine (aiutandosi con un binocolo o anche con un telescopio) solo in condizioni di visibilità eccellenti. La sera dopo, sempre alla stessa ora, Venere sarà passato a est di Giove, superandolo di 49′.

    Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedi il Cielo di Luglio e Agosto

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    Un pianeta potenzialmente abitabile attorno a Proxima Centauri

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    Usando il potente occhio robotico del telescopio cileno di La Silla (il telescopio ASH2 all’Osservatorio Celestial Explorations di San Pedro de Atacama in Cile e aiutati dalla rete di telescopi dell’Osservatorio di Las Cumbres), un gruppo di astronomi è riuscito a rilevare gli effetti gravitazionali dovuti alla presenza di un pianeta roccioso situato nella fascia abitabile attorno al sistema stellare di Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole.

    Le analisi preliminari indicano che il pianeta, conosciuto come Proxima b, è caratterizzato da una massa minima di 1,09 – 1,45 masse terrestri (in media, 1,27), il che suggerisce che si tratti di un pianeta roccioso. Proxima b risulta inoltre situato nella fascia abitabile del proprio sistema, orbitando a una distanza media di 7 milioni di chilometri dalla stella (appena però 0,0485 unità astronomiche, quindi molto più vicino in realtà alla sua stella rispetto a quanto la Terra al Sole). La fascia abitabile di un sistema planetario è definita come l’intervallo di distanze a cui un pianeta si deve trovare dalla propria stella per avere temperature tali da rendere l’acqua liquida stabile sulla sua superficie.

    La scoperta è stata consentita dal metodo delle velocità radiali, una delle tecniche di individuazione planetaria più usate negli ultimi decenni. La tecnica si basa sulla misurazione delle oscillazioni che una stella —lievemente strattonata di qua e di là dalla gravità di un pianeta in orbita — compie attorno al baricentro gravitazionale del proprio sistema.

    Il metodo delle velocità radiali. Credits: Polluce Notizie

    Non è del tutto esatto, infatti, dire che un pianeta orbita intorno a una stella: in realtà, entrambi i corpi orbitano attorno a un punto comune, il baricentro del sistema, il quale è spesso contenuto all’interno della stella stessa (essendo solitamente di massa molto più grande), pur non coincidendo con il suo centro fisico.

    La curva di velocità radiale di Proxima Centauri. Credit: ESO/G. Anglada-Escudé

    Questa oscillazione da parte dell’astro si traduce in continui cambiamenti nella frequenza delle sue radiazioni; tramite accurate analisi spettroscopiche, questi continui spostamenti — prima verso il blu, quando la stella si avvicina alla Terra, e poi verso il rosso, quando si allontana — possono essere usati per smascherare la presenza di un oggetto di massa planetaria in orbita attorno alla stella. Tali spostamenti spettrali sono dovuti al cosiddetto effetto Doppler. Nel caso di Proxima Centauri, l’oscillazione risulta di 1,4 metri al secondo (circa 5 chilometri orari), e si ripete periodicamente ogni 11,186 giorni — che coincide con il periodo orbitale di Proxima b.

    Il metodo delle velocità radiali ha un’unica limitazione, di natura prettamente tecnologica. Rilevare le oscillazioni di una stella, infatti, è un’impresa assai ardua: le oscillazioni del nostro Sole dovute alla presenza gravitazionale della Terra, ad esempio, ammontano ad appena 9 centimetri al secondo (!). Non deve sorprendere, quindi, il fatto che molti dei pianeti individuati con questo metodo appartengono alla famiglia dei gioviani caldi, ovvero siano pianeti simili in massa a Giove ma su orbite paragonabili a quella di Mercurio. Nel caso di Proxima Centauri, la vicinanza della stella — appena 4,23 anni luce dalla Terra — ha contribuito enormemente alla capacità degli strumenti di rilevare un pianeta così leggero.

    Le analisi non sono state ancora in grado di escludere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie. Nel caso di una rotazione sincrona, tali bacini potrebbero trovarsi sul volto perennemente illuminato del pianeta; oppure, nel caso di una rotazione 3:2, attorno alle fasce tropicali.

    "Terra gemella" è ancora presto a dirsi, le dimensioni in gioco nel sistema, che possono determinare formazione, evoluzione e stato del pianeta, sono nettamente diverse. In questa grafica vediamo paragonate le dimensioni del nostro Sole e alcuni suoi pianeti, e quella che dovrebbe essere la dimensione di Proxima b e del suo sole, Proxima Centauri.

    Orbitando attorno a una stella particolarmente irrequieta, inoltre, è probabile che il clima di Proxima b sia molto diverso da quello della Terra.
    Le abbondanti radiazioni elettromagnetiche che inondando costantemente il pianeta, soprattutto alle lunghezze d’onda dei raggi-X e dell’ultravioletto, potrebbero aver plasmato nel tempo un’atmosfera molto diversa da quella che avvolge la Terra, secondo i ricercatori. Attualmente, il pianeta riceve 60 volte più radiazioni della Terra; nell’arco della sua storia, potrebbe averne ricevute da 7 a 16 volte più del nostro pianeta.

    E non è ancora chiaro il meccanismo che ha portato alla formazione del pianeta: i modelli, infatti, prevedono che i dischi protoplanetari attorno a una stella come Proxima Centauri contengano meno di una massa terrestre di materiale nel raggio di un’unità astronomica dalla stella. Gli scienziati sospettano che il pianeta si sia formato a distanze maggiori e che si sia poi spostato verso Proxima Centauri, oppure che a migrare siano stati gli stessi embrioni planetari o planetesimi, che poi si sarebbero aggregati a formare il pianeta.

    Proxima Centauri appartiene a un sistema stellare triplo, assieme alla coppia di Alpha Centauri. La stella si trova a 0,24 anni luce dalle due compagne, e i suoi legami gravitazionali all’interno del sistema non sono ancora del tutto chiari. Nel 2012, l’ESO aveva annunciato la scoperta di un pianeta attorno a Proxima Centauri B, anche in quell’occasione in seguito ad analisi delle velocità radiali. Nel 2015, altri ricercatori avevano dimostrato che, rimuovendo l’attività stellare dai dati, il già debole segnale del pianeta scompariva quasi del tutto, indicando che molti altri scenari dinamici avrebbero potuto ricreare le condizioni osservate dagli scienziati tre anni prima.

    Come sempre, saranno necessari ulteriori osservazioni per aggiungere dettagli al quadro ancora incompleto di Proxima b. Osservare il pianeta con altri metodi — quello dei transiti, ad esempio — rivelerebbe le sue dimensioni, che, unite alla massa che già conosciamo, permetterebbero agli astronomi di verificare la composizione del pianeta. Purtroppo, l’inclinazione del piano orbitale di Proxima b non è ancora stata determinata (infatti il limite di 1,3 masse terrestri è un valore minimo), quindi non è chiaro se sia possibile o meno osservare un suo transito dal punto di vista di noi terrestri.

    Il pianeta dista soli 39 milliarcosecondi dalla propria stella, ma essendo proprio “dietro l’angolo” i grandi telescopi del futuro (il terrestre E-ELT e gli spaziali James Webb e WFIRST, tra i molti) potrebbero avere la risoluzione angolare necessaria a scovarlo nell’accecante bagliore della propria stella. Eventuali studi spettrali dell’atmosfera, poi, ci aiuterebbero a stabilire la sua reale abitabilità.

    L’unica cosa certa, a questo punto, è che Proxima b sarà uno dei protagonisti assoluti della ricerca astronomica nei prossimi anni.

    Risorse online

    Il sito del progetto “Pale Red Dot” e la sua pagina facebook

    Lo studio “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri”, di G. Anglada-Escudé et al., pubblicato dalla rivista Nature il 25 agosto 2016 (qui il PDF)

    Il comunicato stampa dell’ESO

    Guarda il servizio video su INAF-TV:



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