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Asteroidi – Laggiù tra Ofiuco e Scorpione Iris non al meglio, ma Pythia super

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mappa iris pythia
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.

Anche se… a guardar bene, qualcosa d’interessante ci sarebbe stato, come ad esempio la grande opposizione di (516) Amherstia. Ma il piccolo asteroide, come si può vedere dalla tabella “Gli ASTEROIDI in opposizione nel periodo” presente nelle pagine seguenti, si muoverà a declinazioni impossibili per gli osservatori italiani.

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Nel gruppo degli “oppositori” c’è poi anche il grande (511) Davida, che però incapperà in una delle sue apparizioni più sfavorevoli; e anche (241) Germania, pianetino inaspettatamente grande (180 km), ma anche molto scuro e distante, tanto da essere sconosciuto ai più a causa della sua sempre modesta luminosità. Alla fine, sfogliando la rosa, restano in mano solo due petali: la classica, grande e luminosa Iris e la piccola Pythia. Vediamo perché.

mappa iris pythia
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.

BALLE DI SCIENZA Storie di errori prima e dopo Galileo

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A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.

La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.

Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it

Una luna anche per Makemake

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Credit: NASA, ESA, and A. Parker and M. Buie (SwRI)

Il potente occhio del telescopio spaziale Hubble è riuscito a individuare una piccola luna in orbita attorno al pianeta nano Makemake. La luna, nota provvisoriamente come S/2015 (136472) 1 o MK 2, è circa 1300 volte meno luminosa di Makemake e dista 21 mila chilometri dalla superficie del pianeta nano. Gli astronomi ritengono che MK 2 abbia un diametro di circa 160 chilometri, il che la renderebbe quasi 9 volte più piccola del pianeta nano.

Rappresentazione artistica del sistema composto dal pianeta nano Makemake e il suo satellite. Crediti: NASA/ESA/A. Parker (Southwest Research Institute)

Makemake, scoperto nel 2005, è il terzo pianeta nano per luminosità e il secondo nella fascia di Kuiper dopo Plutone. Orbitando in media 46 volte oltre la Terra, Makemake si trova nella periferia del Sistema solare, popolata da altri tre pianeti nani – Plutone, Haumea ed Eris – e un gran numero di oggetti trans-Nettuniani minori.

Dei quattro pianeti nella fascia di Kuiper, Makemake prima d’oggi era l’unico di cui non erano conosciuti satelliti naturali. Le immagini che hanno portato alla scoperta di MK 2 sono state scattate nell’aprile 2015 dalla Wide Field Camera 3 a bordo del telescopio spaziale Hubble. Le osservazioni sono risultate particolarmente difficoltose, in quanto la luna era quasi del tutto nascosta dal bagliore di Makemake.

La tecnica che ha permesso agli astronomi di distinguere MK 2 è la stessa che aveva portato all’identificazione delle quattro lune minori di Plutone tra il 2005 e il 2012.

“Le nostre stime preliminari indicano che l’orbita della luna risulta di lato (vista dalla Terra),” spiega Alex Parker dell’SwRI. “Ciò significa che ci sono buone probabilità che, nelle osservazioni precedenti, la luna fosse semplicemente nascosta nell’alone luminoso di Makemake.”

Caratterizzare i parametri orbitali di questa nuova luna permetterà agli scienziati di effettuare una stima relativamente precisa della massa totale del pianeta nano e del sistema – un elemento chiave nel ricostruire la formazione e l’evoluzione dei due corpi.

“Makemake fa parte della piccola famiglia dei plutoidi, quindi trovare un compagno è una scoperta importante,” prosegue Parker. “La scoperta di questa luna ci offre l’opportunità di studiare Makemake molto più a fondo di quanto sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un satellite naturale.”

A detta degli scienziati, questa scoperta avvicina ulteriormente Makemake a Plutone. Su entrambi i mondi, infatti, sono state identificate le tracce spettrali del ghiaccio di metano. Studiare MK 2 permetterà agli scienziati di calcolare un profilo di densità per Makemake, il che consentirà un confronto tra la sua struttura interna e quella di Plutone per verificare se la somiglianza tra questi due mondi si estende anche al di sotto delle loro superfici ghiacciate.

“Questa scoperta apre un nuovo capitolo nella planetologia comparativa del sistema solare esterno,” commenta Marc Buie dell’SwRI. I dati preliminari indicano che la luna si trova in un’orbita circolare con un periodo di almeno 12 giorni. Tuttavia, ulteriori osservazioni saranno necessarie per confermare o eventualmente correggere questi dati.

Conoscere la forma dell’orbita è di particolare importanza per poter ricostruire lo scenario di formazione del satellite. Un’orbita circolare, infatti, sarebbe indicativa di una collisione tra Makemake e un altro oggetto della fascia di Kuiper. Un’orbita eccentrica, invece, suggerirebbe che la luna fosse in origine un oggetto indipendente, poi catturato dalla gravità del pianeta nano.

In passato, una serie di studi avevano individuato delle chiazze scure sulla superficie di Makemake. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, queste chiazze erano dovute alla sublimazione dei ghiacci provocata dal calore del Sole. Tuttavia, la scoperta di MK 2 suggerisce che le chiazze calde individuate nell’infrarosso potessero semplicemente essere dovute alla presenza della scura superficie della luna.

Gli astronomi stanno ancora cercando di comprendere come due oggetti così vicini possano essere così diversi – uno candido come la neve, e l’altro nero come il carbone. Una teoria preliminare prevede che la luna non eserciti un’attrazione gravitazionale sufficiente a trattenere i ghiacci una volta sublimati, il che risulterebbe nell’esposizione degli strati più interni e scuri.

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Cielo di maggio 2016

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 maggio alle 00:00 ♦ 15 maggio alle 23:00 ♦ 30 maggio alle 22:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Verso le 22:00 del 15 maggio il cielo si presenterà con le ultime costellazioni invernali (Cane Minore, Gemelli, Auriga…) ormai declinanti o prossime al tramonto, e con il Leone (in cui si muoverà ancora un maestoso Giove) a dominare tutta la parte ovest.
In meridiano si mostreranno invece le costellazioni primaverili (la Vergine e Boote, con la brillante Arturo), mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent, di mag. +2).
Più a est, l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il puntino rosso di Antares (e ancora più quello di un Marte brillantissimo) annuncerà l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco, Aquila) che già cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo.
Verso nordest sarà già osservabile anche la Lira con la fulgida Vega, seguita dappresso dal Cigno.

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Seconda stella a destra – III Edizione – Verona

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Nella nostra galassia quanti sono i pianeti simili alla Terra?
E nell’Universo?
C’è vita intelligente lassù?

Il programma dell'evento. Cliccare per ingrandire.

Domande alle quali si tenterà di dare una risposta mercoledì 27 aprile, durante una giornata dedicata all’argomento che, dopo incontri nelle scuole con esperti, terminerà con un appuntamento aperto a tutti alle ore 21, presso la Sala convegni del Palazzo della Granguardia di Verona dal titolo: “Pianeti extrasolari: vita ed intelligenza nel cosmo?”. Ad onorare la serata ci sarà il Maestro Eugenio Finardi, grande appassionato di astronomia e di ricerca della vita extraterrestre. Gli verrà consegnata una targa che attesta la dedica di un asteroide a memoria futura, donato dallo scopritore Vittorio Goretti, e la cui motivazione verrà esposta da Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia.

L’incontro della tavola rotonda, voluto e realizzato dall’Associazione Scientifico Culturale Empiricamente, in collaborazione con la web community EANweb, con il Patrocinio del Comune di Verona, della Società Astronomica Italiana e della Società Italiana di Astrobiologia sarà sviluppato da uomini di scienza e religiosi. Interverranno: Don Borgonovo, esegeta e arciprete  del Duomo di Milano, Ivano Dal Prete, storico della scienza, della Yale University, Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia e consulente della Nasa, dell’Università di Firenze, Massimo Mazzoni, fisico, Segretario della Società Astronomica Italiana, dell’Università di Firenze,Roberto Ragazzoni, astrofisico, dell’Università di Padova, Pietro Aliprandi; aspirante astronauta del Progetto MarsOne ed Eugenio Finardi, artista. L’incontro sarà moderato da Luigi Bignami, giornalista scientifico.

Durante la serata si osserverà in diretta il transito del pianeta extrasolare denominato HAT-P-22b davanti al disco della stella madre. Si osserverà una calo della luce della stella nel momento in cui il pianeta passerà di fronte ad essa. E’ questa una delle tecniche che si usano per cercare pianeti extrasolari. L’evento verrà realizzato in singergia con l’Osservatorio di Libbiano, grazie alla collaborazione di Alberto Villa e dell’Associazione Astrofili Valdera. In sala, l’evento sarà fatto seguire da Daniele Gasparri.

La serata aprirà la manifestazione “Seconda stella a destra – Terza Edizione” che si terrà negli spazi dell’Ex Arsenale di Verona dal 29 aprile al 4 maggio, grazie alla coorganizzazione della 2^ Circoscrizione – Comune di Verona. Il tema principale dell’evento sarà l’astronomia con lo scopo principale di divulgare conoscenza scientifica e culturale in generale. Durante le giornate si darà particolare spazio alle scuole, mentre nelle ore serali e nel fine settimana si apriranno le porte a tutti gli appassionati.

A disposizione del pubblico vi saranno diversi planetari che permetteranno ai visitatori di realizzare “viaggi” a tema proposti da esperti divulgatori. Ad affiancare l’attività dei planetari vi saranno dei laboratori ludico/didattici tenuti dalla Società Reinventore, dove le scolaresche potranno realizzare diversi esperimenti. Durante le giornate verranno programmate alcune conferenze su temi di interesse pubblico aperti a tutti, ma con particolare riguardo ad insegnanti ed astrofili. Durante il fine settimana saranno presenti esperti dell’Associazione Scientifico Culturale EmpiricaMente i quali, con la collaborazione di altri astrofili, daranno modo di osservare il cielo in diverse ore della giornata, di giorno il Sole con appositi filtri, di notte con vari telescopi. A coronare le attività saranno presenti vari stand con materiali di tipo diverso, dai libri ai telescopi, dai gadget ad altra strumentazione.

Info evento:
EMPIRICAMENTE associazione culturale:http://www.empiricamente.info/
info@empiricamente.info

Comunicato stampa:
http://www.eanweb.com/2016/verona-seconda-stella-a-destra-iii-edizione-pianeti-extrasolari-e-vita-nel-cosmo/

Haulani e Oxo, due luminosi e sorprendenti crateri di Cerere

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Il cratere Haulani in tutta la sua bellezza. Nell'immagine i colori sono stati esaltati per evidenziarne la struttura e i diversi materiali presenti sulla superficie (le parti in blue sono associate alle strutture più recenti). I dati utilizzati per creare l'immagine sono stati raccolti quando la sonda si trovava a 1470 km dalla superficie. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Dalla sua orbita bassa di mappatura, a soli 385 chilometri dalla superficie di Cerere (più o meno quanto la Stazione Spaziale dalla Terra), in queste nuove immagini ad alta risoluzione, Dawn ci mostra nuovi spettacolari scorci del pianeta nano. Due i crateri protagonisti di questa ultima realease, Haulani (accompagnato da una bellissima immagine a colori) e il piccolo sorprendente Oxo.

Il cratere Haulani nell'immagine ripresa dalla Framing Camera in orbita bassa, a 385 km di distanza. credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Il cratere Haulani, con un diametro di 34 chilometri, mostra segni di frane ai bordi, mentre all’interno il fondo appare liscio con una cresta centrale. L’immagine in falsi colori (sopra) permette di evidenziare i diversi materiali di cui è composto e come si distribuiscono rispetto alla morfologia sulla superficie. In colore blu spicca il materiale più “giovane” espulso probabilmente in seguito all’impatto.

«Haulani mostra esattamente le proprietà che ci si aspetta da un impatto “fresco” sulla superficie di Cerere. Il fondo del cratere è in gran parte privo di segni, ed è in forte contrasto con il colore delle parti più antiche della superficie», ci spiega Martin Hoffmann, co-investigatore del team della Frame Camera di Dawn, con sede presso l’Istituto Max Planck (Germania).

Degna di nota è la natura poligonale del cratere, la cui forma sembra essere disegnata con una serie di segmenti retti, contrariamente alla maggior parte dei crateri di qualsiasi altro corpo planetario, inclusa la Terra, che risultano essere sempre praticamente circolari. Probabilmente, questa caratteristica presente anche in altri crateri di Cerere, deriva da difetti e formazioni preesistenti della superficie, dovuti a stress causati da meccanismi interni.

Il piccolo cratere Oxo, ripreso sempre dall'orbita bassa di mappatura, ma fin'ora trascurato a causa della sua posizione "limitrofa". Il cratere si è invece rivelato fonte importante per lo studio della superficie del pianeta nano. Si tratta del secondo più luminoso cratere ripreso su Cerere e il fondo, a differenza degli altri, presenta una depressione invece che creste o rigonfiamenti. Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Un tesoro nascosto si è rivelato essere Oxo, un cratere di soli 10 km di diametro, ma il secondo più brillante di tutto il pianeta nano. L’unica formazione a batterlo in luminosità è la famosa zona centrale del cratere Occator con i suoi “white spot”.

Oxo però si trova nei pressi del meridiano zero, al bordo delle mappe per le quali è sempre stato usato più come riferimento, e quindi sempre trascurato.

Grazie a queste nuove immagini, si è potuta invece evidenziare un’altra sua caratteristica che lo rende unico: una depressione al centro con i materiali che si trovano sul pavimento del cratere che sembrano essere di natura diversa rispetto al resto della superficie del pianeta nano. Ed ecco che Oxo si ritrova così ad avere una parte di enorme importanza nello studio della crosta superficiale di Cerere. Ne sentiremo parlare sicuramente ancora…


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Fermi osserva il bagliore che accompagna le onde gravitazionali

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Una simulazione della distorsione dello spaziotempo in prossimità di due buchi neri poco prima della loro fusione, vedi anche video qui in basso. Credit: NASA/J. Bernard Kelly (Goddard), Chris Henze (Ames) and Tim Sandstrom (CSC Government Solutions LLC)

Alle 10:51 ora italiana del 14 settembre 2015, gli astronomi hanno acquisito un nuovo senso per sondare le profondità più violente e misteriose del cosmo, con l’identificazione da parte dell’interferometro LIGO delle primissime onde gravitazionali.

Meno di mezzo secondo più tardi, il telescopio spaziale Fermi della NASA ha rilevato un debole lampo di luce ad alta energia provenire dalla stessa porzione di cielo delle onde gravitazionali. Le analisi degli scienziati mostrano che le probabilità che si tratti di una semplice coincidenza sono dello 0.2 percento. La scoperta è piuttosto inaspettata, in quanto i principali modelli prevedono che la fusione di due buchi neri come quella responsabile delle onde rilevate da LIGO non dovrebbe produrre radiazioni elettromagnetiche.

Nella simulazione, le increspature arancione rappresentano le distorsioni spazio-temporali causate dalle masse dei due buchi neri in collisione, che si disperdono e indeboliscono diventando onde gravitazionali (in viola). Le sfere nere rappresentano gli orizzonti degli eventi dei due buchi neri. Credits: Media INAF

Secondo la ricostruzione degli scienziati, le onde gravitazionali – increspature nello spaziotempo, il tessuto dell’Universo – sarebbero state prodotte 1.3 miliardi di anni fa dalla collisione di due buchi neri. Dotati di 29 e 36 masse solari e larghi circa 150 chilometri l’uno, i due buchi neri si sarebbero scontrati viaggiando a metà della velocità della luce, fondendosi in un unico buco nero 62 volte più massiccio della nostra stella. Le tre masse solari mancanti sarebbero state rilasciate sotto forma di un’onda gravitazionale, rilevata con sette millisecondi di differenza da due diversi esperimenti negli USA.
Mentre LIGO ha “ascoltato” la collisione, Fermi – sempre che i suoi dati non mentano – ne ha osservato il bagliore a raggi gamma e raggi X.

“Ci sono poche probabilità che questa interessante scoperta sia un falso allarme, ma prima di poter iniziare a riscrivere i libri di testo dovremo osservare altri lampi associati ad onde gravitazionali da fusioni di buchi neri,” spiega Valerie Connaughton, autrice dello studio riguardo i dati di Fermi.
In futuro, le osservazioni di Fermi potrebbero rivelare preziosi dettagli su questi drammatici eventi. Lo strumento GBM, responsabile della scoperta, opera ad energie comprese tra 8000 e 40 milioni di elettronvolt. La luce visibile, per confronto, va da 2 a 3 eV. GBM è progettato per analizzare i lampi gamma più brevi, che in media durano meno di due secondi. Si pensa che questi fenomeni siano dovuti allo scontro tra oggetti compatti, quali stelle di neutroni e buchi neri. Le stesse fusioni produrrebbero anche onde gravitazionali.
“Con un solo evento, i raggi gamma e le onde gravitazionali ci diranno esattamente cosa causa un lampo gamma,” spiega Lindy Blackburn di LIGO. “C’è una sinergia incredibile tra le due osservazioni: i raggi gamma ci rivelano dettagli sull’energia e sull’ambiente delle sorgenti, mentre le onde gravitazionali sondano le dinamiche che portano all’evento.”
Purtroppo, per quanto avanzati, gli interferometri come LIGO dispongono di una bassa risoluzione spaziale. L’incertezza sulla posizione celeste dello storico evento osservato a Settembre, ad esempio, è di circa 600 gradi quadrati.

Nel video come sono state sovrapposte le aree delle sorgenti dell’onda gravitazionale rivelata da LIGO e del raggio gamma individuato da Fermi, immaginando che provengano dalla stessa sorgente. In questo modo, l’area di ricerca LIGO è diminuita di due terzi.
Credits : NASA Goddard Space Flight Center

“È un pagliaio piuttosto grande da setacciare se il tuo ago è un lampo gamma veloce e debole, ma qui entra in gioco il nostro strumento,” spiega Eric Burns dell’Università dell’Alabama. “Identificare un lampo gamma ci permette di ridurre l’area di incertezza di LIGO e di sfoltire significativamente il pagliaio.”
Il lampo osservato da Fermi immediatamente dopo LIGO è durato circa un secondo. Purtroppo, il lampo ha colpito il rilevatore quasi di lato, complicando la ricostruzione della sua traiettoria. Tuttavia, il fatto che la Terra bloccasse parte dell’area di incertezza di Fermi ha consentito agli scienziati di migliorare le loro stime sulla posizione della sorgente del lampo.
Assumendo che il lampo gamma di Fermi e le onde gravitazionali di LIGO siano stati prodotti dallo stesso evento, i dati raccolti dal telescopio della NASA permetterebbero ai ricercatori di ridurre l’area di incertezza di due terzi, fino a meno di 200 gradi quadrati. In futuro, con un angolo di impatto un po’ più favorevole, Fermi sarà in grado di raggiungere una precisione ancora maggiore.

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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22.04: “Sarà possibile il viaggio interstellare? Prospettive, problemi, mito e realtà dietro un
antico sogno” conferenza di Monica Valli.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Luna, Marte e Saturno sotto lo sguardo di Antares

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Tra il 25 e 26 aprile ci sarà, come già in marzo, la congiunzione planetaria più “popolata” del mese. Ai pianeti Saturno e Marte, situati tra Scorpione e Ofiuco, si aggiungerà infatti la Luna che verso le 0:30 del 25 si troverà 5° a nord di Marte e 10° a nordovest di Saturno. Il giorno dopo, il nostro satellite si troverà invece 3,3° a est di Saturno e 10° da Marte. Uno spettacolo magnifico… senza contare la presenza di Antares e dello Scorpione stesso!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

Tutti gli eventi del cielo di aprile li trovi su Coelum Astronomia n.199

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Ghiaccio bollente su Europa

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La luna galileiana Europa subisce un continuo stress gravitazionale. Mentre orbita attorno a Giove, la sua superficie si solleva e ricade continuamente a causa del richiamo gravitazionale del pianeta. Gli scienziati concordano sul fatto che questo processo sia in grado di generare una quantità di calore sufficiente a produrre un oceano liquido sotto alla sua crosta ghiacciata.

Un’immagine a falsi colori mostra la superficie di Europa. L’inserto mostra alcune regioni in cui le placche si separano e si muovono. Crediti: NASA/JPL

Gli esperimenti condotti da due geologi delle università statunitensi Brown e Columbia suggeriscono che questa dissipazione mareale potrebbe creare molto più calore di quanto fosse stato ipotizzato in passato. Lo studio potrebbe aiutare i ricercatori a ottenere una stima più precisa dello spessore della crosta ghiacciata di Europa.

Le lune più massicce di Giove, chiamate Europa, Io, Ganimede e Callisto, sono state scoperte da Galileo durante le sue osservazioni all’inizio del 1600. Quando la NASA ha inviato le prime sonde nei pressi di Giove, negli anni ‘70, ed è riuscita ad osservare più da vicino anche le sue lune, queste hanno tutte mostrato caratteristiche inaspettate e sorprendenti.

«Gli scienziati si aspettavano di vedere mondi freddi e privi di vita, ma sono stati immediatamente smentiti e sconvolti da ciò che hanno trovato», dice Christine McCarthy, prima autrice dello studio e professoressa presso la Columbia University. «Era chiaramente in corso un qualche tipo di attività tettonica, e su Europa c’erano punti in cui il ghiaccio sembrava sciogliersi o assumere una consistenza fluida».

L’unico modo per ottenere abbastanza calore in una regione del Sistema solare così distante dal Sole è attraverso dissipazioni mareali. Si tratta di un effetto simile a quello che si ottiene piegando più volte una gruccia di metallo, spiega McCarthy. «Se si piega più volte avanti e indietro un pezzo di metallo, è possibile sentire calore nel punto in cui è stato piegato», dice. Tuttavia, i dettagli dei processi che avvengono sulla superficie ghiacciata di Europa non sono ancora chiari, e quando i ricercatori hanno effettuato delle simulazioni per comprendere meglio queste dinamiche i risultati sono stati sorprendenti.

«Fino a ora erano stati utilizzati dei modelli meccanici semplici per descrivere le sollecitazioni subite dal ghiaccio», dice McCarthy. «Ma i calcoli suggeriscono che l’acqua liquida sotto la superficie di Europa non riceva i flussi di calore in grado di creare il tipo di tettonica osservato, così abbiamo eseguito una serie di esperimenti per cercare di comprendere meglio questo processo».

Insieme al professor Reid Cooper della Brown University, McCarthy ha sottoposto una serie di campioni di ghiaccio a carichi di pressione simili a quelli che agiscono sulla crosta di Europa. Quando tali carichi vengono applicati e rimossi, il ghiaccio si deforma e in una certa misura rimbalza. Misurando l’intervallo di tempo intercorso tra l’applicazione della sollecitazione e la deformazione del ghiaccio è possibile dedurre quanto calore viene generato durante il processo.

I modelli precedenti a questo esperimento avevano assunto che la maggior parte del calore generato provenisse dall’attrito tra i grani di ghiaccio. Questo implicherebbe che la dimensione dei grani influenza la quantità di calore prodotto. Gli esperimenti di McCarthy e Cooper hanno invece dimostrato che i risultati sono simili anche alterando in maniera sostanziale la dimensione dei grani. Questo indica che il processo attraverso il quale si genera calore è legato ai difetti formati all’interno del reticolo cristallino del ghiaccio a causa della deformazione. Tali difetti generano molto più calore di quanto stimato in precedenza.

«Christine ha scoperto che, rispetto ai modelli comunemente adottati dalla comunità scientifica, il ghiaccio sembra essere un ordine di grandezza più dissipativo di quanto pensavamo in passato», dice Cooper. Una maggiore dissipazione comporta maggiori quantità di calore, e questo potrebbe avere importanti ricadute sulla struttura interna di Europa.

«La fisica alla base del comportamento del ghiaccio che ricopre Europa è di fondamentale importanza per comprendere quanto la sua crosta sia spessa», spiega Cooper. «Lo spessore della crosta, a sua volta, ha implicazioni importanti sulla chimica e la dinamica interna della luna gioviana. E siccome ci sono numerosi indizi circa la possibile presenza di vita all’interno di Europa, la chimica dei suoi strati più profondi è un aspetto fondamentale da conoscere».

McCarthy e Cooper sperano che i teorici facciano tesoro del loro risultato, e che si arrivi presto a una conoscenza più approfondita degli oceani di Europa. «Il nostro studio fornisce ai teorici una nuova fisica da applicare ai loro modelli», conclude McCarthy.

Per saperne di più:

CONTEST! Realizza la visual identity della Notte Europea dei Ricercatori 2016/17

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Ora è ufficiale! Frascati Scienza organizzerà per l’undicesimo anno consecutivo la Notte Europea dei Ricercatori, progetto promosso dalla Commissione Europea. Frascati sarà l’epicentro di un grande evento nazionale che il 30 settembre 2016 vedrà protagonisti i ricercatori, i cittadini, i giovani, gli studenti contemporaneamente nelle città di Roma, Ferrara,Trieste, Bologna, Milano, Ferrara, Catania, Pisa, Bari, Cagliari, Pavia, Firenze, Napoli, Genova, Sassari, Parma, Palermo, Gorga, Grottaferrata, Monteporzio Catone e in centinaia di città europee.

La manifestazione è dedicata alla centralità della figura del ricercatore e all’importanza della ricerca scientifica. Lo Slogan delle prossime due edizioni previste a settembre 2016 e 2017 e’ “MADE IN SCIENCE”, con l’obiettivo di ribadire l’importanza della “filiera della scienza” che, come ogni eccellenza, si distingue per qualità, identità, creatività, sicurezza, transnazionalità, competenze e responsabilità.

La visual identity dovrà pubblicizzare la “Notte Europea dei Ricercatori 2016-17”, manifestazione destinata ai ricercatori, alle scuole e al pubblico generico di tutte le età. Il progetto vincitore riceverà un premio di 500 €.

Tra gli obiettivi da raggiungere:

  • • I ricercatori sono persone il cui lavoro di straordinaria bellezza, gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della società
  • • Fare ricerca è divertente ed eccitante
  • • Made in Science è la rete di enti di ricerca e università di alto valore scientifico che si distingue per qualità, identità, creatività, sicurezza, transnazionalità, competenze e responsabilità.

Possono partecipare al concorso tutti i creativi che lo richiedono. La partecipazione al concorso avviene per auto-candidatura da parte dei partecipanti, attraverso   la   compilazione   del   modulo   di   presentazione   allegato   al  regolamento. In caso di partecipazione di minori e’ necessaria anche la firma di uno dei genitori. La partecipazione al concorso è ammessa in forma individuale o di raggruppamento non legalmente costituito, allegando in quest’ultimo caso una autodichiarazione sottoscritta da tutti i componenti del gruppo dalla quale risulti il soggetto che ha la rappresentanza del gruppo stesso.

Ogni concorrente, sia singolo che in gruppo, può presentare un solo progetto.

La visual identity deve essere inviata in formato digitale su CD con annessa una copia stampata formato poster maggiore o uguale a 50 x 70 cm. Alla visual identity dovrà essere affiancato un documento di spiegazione della visual identity creata.

Il concorso termina il 10 maggio 2016.

Scarica il bando ufficiale del contest
Scarica il modulo di adesione

Polvere interstellare nel raccolto della Cassini

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Tra i milioni di particelle di polvere analizzate dalla missione ESA-NASA-ASI Cassini attorno a Saturno, trentasei provengono dall’esterno del nostro Sistema solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Tra i milioni di particelle di polvere analizzate dalla missione ESA-NASA-ASI Cassini attorno a Saturno, trentasei provengono dall’esterno del nostro Sistema solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La sonda americana Cassini, in orbita attorno a Saturno dal 2004, è riuscita a catturare delle particelle di polvere di origine interstellare. L’analisi di queste polveri ha permesso agli scienziati di ricostruire le condizioni della nube interstellare locale, la nostra attuale casa nella Via Lattea.

Nei suoi dodici anni trascorsi in orbita attorno al gigante gassoso, Cassini ha campionato milioni di granelli di polveri e ghiaccio, quasi tutti formatisi sui fondali oceanici della luna Encelado ed eruttati nello spazio profondo attraverso geyser e pennacchi. Tuttavia, una nuova analisi rivela che una minuscola popolazione di queste particelle – appena 36 granelli – è con ogni probabilità di origine extrasolare.

La prima identificazione in situ di granelli interstellari fu effettuata negli anni ’90 dalla missione Ulysses, seguita poco più tardi dalla missione Galileo. Le analisi dell’epoca avevano individuato nella nube interstellare locale la più probabile sorgente delle particelle campionate.

“In seguito a quella scoperta, abbiamo sempre sperato di poter rilevare questi intrusi interstellari anche con Cassini nel sistema di Saturno. Sapevamo che, se avessimo guardato nella giusta direzione, li avremmo trovati,” spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. “In media, abbiamo catturato una manciata di granelli ogni anno, viaggiando ad alta velocità e su una traiettoria abbastanza diversa da quella lungo cui raccogliamo i normali granelli ghiacciati attorno a Saturno.”

Eccetto per una ristretta popolazione di granelli caratterizzati da una composizione isotopica unica, gran parte del materiale originale della nebulosa che collassò a formare il Sole e i pianeti – il cosiddetto materiale presolare – è andato perduto o contaminato. Non è ancora chiaro se i pochi granelli presolari sopravvissuti fino a oggi siano simili, in dimensione e composizione, ai granelli che popolano il mezzo interstellare.

“Siamo molto emozionati per questo risultato, dato che il nostro strumento era progettato principalmente per misurare le polveri all’interno del sistema di Saturno,” spiega Marcia Burton della NASA.

Secondo la ricostruzione degli scienziati, le polveri provenienti dalla nube interstellare locale sarebbero entrate nel Sistema solare in un flusso più o meno allineato rispetto all’eclittica, a una longitudine e a una latitudine eclittiche eliocentriche di 79 e -8 gradi, rispettivamente.

L’analisi si è basata sui dati raccolti da Cassini nei suoi primi dieci anni di missione, da una distanza da Saturno compresa fra 9 e 60 raggi saturniani. L’arco temporale dei dati, secondo gli scienziati, è stato particolarmente favorevole per la raccolta di questi granelli, in quanto nel 2010 il vettore della velocità di Saturno risultava allineato alla direzione di scorrimento del flusso di particelle interstellari. La frequenza degli impatti misurati dalla sonda è indicativa di un flusso di 0.00015 particelle per metro quadrato per secondo (!), mentre la massa media dei granelli è di circa dieci femtogrammi, ovvero cento bilionesimi di grammo. Tenendo conto del fatto che il rilevatore di Cassini è progettato per studiare le polveri meno massicce, in realtà il flusso potrebbe essere fino al doppio del valore da loro calcolato. L’assenza di granelli meno massicci – il limite inferiore di Cassini è di 100 attogrammi – suggerisce che questi siano stati filtrati dall’eliopausa e dall’eliosfera interna.

A svelare la natura interstellare di questi granelli sono state le loro proprietà dinamiche, ovvero la loro direzione e la loro elevatissima velocità: al momento della cattura, i granelli stavano sfrecciando attraverso il sistema di Saturno ad oltre 72 mila chilometri orari. A causa della loro straordinaria velocità, i granelli sono stati polverizzati dall’impatto con il rilevatore.

A differenza di Ulysses e Galileo, Cassini è anche riuscita a ricostruire la composizione chimica dei granelli. Con grande sorpresa degli scienziati, la sonda ha osservato ben poco ghiaccio e, al contrario, una grande quantità di cationi di elementi come ossigeno, sodio, magnesio, potassio, calcio, ferro e rodio. Traducendo queste concentrazioni di cationi nei loro elementi originali, tenendo conto di un gran numero di fattori – ad esempio, il fatto che è cinque volte più probabile che il magnesio formi cationi rispetto al silicio – si è potuta individuare un’abbondanza di magnesio, silicio, ferro e calcio, tutti presenti in concentrazioni simili a quelle riscontrate nel resto del cosmo. Al contrario, i dati evidenziano una scarsità di zolfo e carbonio rispetto alla media cosmica.

“Le polveri cosmiche vengono prodotte quando le stelle muoiono, ma con l’ampia gamma di stelle nell’universo, ci aspettiamo di incontrare un’enorme vastità di tipi di polveri,” spiega Frank Postberg dell’Università di Heidelberg.

Le analisi di Cassini rivelano inoltre che le polveri, larghe in media 200 nanometri, sono particolarmente uniformi e omogenee. Si sta ancora indagando sul meccanismo che ha contribuito a renderle tali: una possibile spiegazione potrebbe essere che i granelli siano stati distrutti e si siano poi ricondensati più volte a causa delle continue onde d’urto rilasciate da stelle morenti.

“I granelli passerebbero dalla calda nube interstellare, ovvero le regioni a bassa densità intagliate dalle supernove, al caldo mezzo diffuso, accessibile tramite osservazioni spettroscopiche, e infine alle fredde nubi molecolari, che sono regioni di formazione stellare,” scrivono i ricercatori. “Assumendo che il 5% del materiale di una nube molecolare sia consumato dai nuovi sistemi stellari e planetari, i granelli compierebbero un ciclo dal mezzo caldo a quello freddo in 125 milioni di anni. Nonostante i processi di distruzione e devolatilizzazione prevalgano nel mezzo caldo a causa delle elevate velocità dei granelli e delle onde d’urto delle supernove, la ricondensazione può avvenire nel mezzo freddo.”

In definitiva, “la lunga durata della missione Cassini ci ha consentito di usarla come un osservatorio di micrometeoriti,” conclude Altobelli, “offrendoci un accesso privilegiato alle polveri provenienti da oltre il Sistema Solare che non avremmo mai potuto ottenere in alcun altro modo.”

Per saperne di più:

Leggi l’articolo “Flux and composition of interstellar dust at Saturn from Cassini’s Cosmic Dust analyzer” di N. Altobelli et al., publbicato sulla rivista Science

Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it/), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Mille vele per Alpha Centauri

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Attraversare lo Spazio con minuscole e velocissime astronavi “a vela” (spaziale) capaci di raggiungere Alpha Centauri in appena 20 anni: è la fantascientifica scommessa appena lanciata a New York da Breakthrough Starshot. Dietro c’è uno dei più grandi fisici teorici del ‘900, Stephen Hawking, non nuovo a ‘stravaganze’ di ogni genere in questo scorcio di nuovo millennio; al suo fianco, il magnate ’emergente’ del web Yuri Milner (miliardario russo celebre per gli investimenti in aziende innovative come Facebook, Twitter e Spotify… e anche lui fisico).

L’idea di partenza è naturalmente proprio di Hawking, tra le altre cose anche ex-professore lucasiano di matematica della prestigiosa Università di Cambridge – la stessa cattedra occupata da Sir Isaac Newton. E la scommessa ha già radunato un buon numero di ‘puntatori’: al momento sono stati raccolti circa 100 milioni di dollari, ottenendo – tra gli altri – il supporto del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, su cui i media di mezzo mondo hanno subito ricamato i titoli della notizia.

Il concept prevede, infatti, l’uso di queste tre tecnologie per creare un nanocraft. Piccolo quanto un francobollo, un cosiddetto StarChip è in grado di portare con sè fotocamere, equipaggiamento di navigazione e trasmissione dati, propulsore e batterie. Sempre attaccato ad una vela spaziale, detta LightSail. “Questo è l’approccio alla ‘Silicon Valley’ del volo spaziale”, spiega Yuri Milner, “potendo essere prodotto in massa al costo di uno smartphone.”Questo ardito – a dir poco – progetto (raggiungere una meta distante 4,37 anni luce viaggiando ad una velocità pari a circa il 20% di quella, appunto, della luce) sarebbe possibile grazie ad alcuni recenti sviluppi in tre specifici ambiti tecnologici: la microfabbricazione di tessuti, la nanotecnologie e la fotonica.

Rappresentazione delle antenne che dovrebbero emettere i laser per alimentare il nanocraft Crediti: Breakthrough Initiatives

La spinta per viaggiare ad altissime velocità arriverebbe da numerosi raggi laser emessi dalla Terra. Installando una serie di antenne, si unirebbero tutti i raggi per creare un potente laser diretto sulla LightSail. Alimentata in questo modo, secondoHawking la nano-navicella riuscirebbe a raggiungere il 20% della velocità della luce (come cerca di spiegare questo video).

“Sarà 1000 volte più veloce rispetto a uno spacecraft odierno oun milione di volte più veloce di una macchina in autostrada”, continua Milner. Nulla a che vedere rispetto ai sistemi propulsivi di oggi, con i quali sarebbero necessari 30.000 anni per raggiungere Alpha Centauri.

In questo modo, invece, in 20 anni un viaggio interstellare di centinaia o migliaia di questi nanocraft raggiungerebbe la stella più vicina a noi, trasmettendo dati scientifici verso  la Terra suAlpha Centaurii suoi pianeti e i campi magnetici in un raggio di luce.

Rappresentazione del raggio laser che alimenta la vela spaziale del nanocraft Crediti: Breakthrough Initiatives

La tecnologia delle vele solari, alternativa al propellente chimico oggi utilizzato nei viaggi spaziali, è ancora in fase embrionale. Intanto la NASA, che studia come cavalcare il vento solare per raggiungere i limiti del Sistema Solare, ha recentemente mostrato un forte interesse per queste ricerche. E anche in Europa, Italia inclusa, non si sta a guardare.

Secondo Hawking & Milner si farebbe uso di tecnologie già esistenti, o disponibili nel breve periodo. Quel che è certo è che le ‘sfide’ tecnologiche non manchino. Sul sito del progetto sono presentate le 19 sfide ancora da superare, chiedendo al pubblico “una mano”. Trattandosi di un concept, è naturalmente fuori luogo ipotizzare una data di lancio.

Breakthrough Starshot è stata comunque presentata come una iniziativa globale, per tutto il pianeta Terra, un “grande balzo verso il futuro” (sic). Che, promettendo trasparenza open data access, ambisce ad unire gli sforzi di tutta la comunità internazionale per rendere il viaggio interstellare una realtà.

Editoriale del presidente ASI su La Stampa (14 aprile 2016): “Come restringere l’Infinito”


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La NASA sperimenta una nuova tecnologia di propulsione elettrostatica

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Una nuova tecnologia di propulsione che potrebbe consentire trasferimenti interplanetari rapidi senza bisogno di carburante è attualmente in fase di sperimentazione presso il centro spaziale Marshall della NASA nell’Alabama. Il sistema, noto come HERTS, consiste in una sonda dotata di una serie di aste di alluminio elettricamente cariche disposte in maniera radiale. Ad accelerare la vela, soprannominata E-Sail, sarebbe lo scambio di momento innescato dalla repulsione di natura elettrostatica tra i protoni del vento solare, il flusso di particelle cariche emesso dal Sole, e le aste.

“Il Sole rilascia protoni ed elettroni nel vento solare a velocità molto elevate, da 400 a 750 chilometri al secondo,” spiega Bruce Wiegmann, a capo del progetto. “La E-Sail userebbe questi protoni per accelerare la sonda.”
Il progetto attualmente prevede che E-Sail sia dotata di 10-20 aste di alluminio, spesse appena un millimetro e lunghe all’incirca 20 chilometri l’una. Le aste sarebbero mantenute in estensione dalla forza centrifuga generata dalla lenta rotazione della sonda – circa un giro ogni ora.
I test a cui la sonda sarà sottoposta nell’arco dei prossimi anni sono mirati a valutare la frequenza delle collisioni tra le particelle cariche del vento solare e le aste della sonda. Un parametro importante da misurare sarà la quantità di elettroni che, essendo dotati di una carica negativa, saranno attratti verso le aste. La sonda espellerà gli elettroni in eccesso attraverso un cannone elettronico, in modo da mantenere il voltaggio positivo delle aste e preservare dunque la loro capacità di generare una forza di spinta.

"High Intensity Solar Environment Test system" il sistema usato per testare il funzionamento della vela Credits: NASA/MSFC/Emmett Given

Un prototipo in miniatura di E-Sail si trova in questo momento in un ambiente controllato di plasma per simulare le condizioni dello spazio profondo. Il prototipo dispone di aste in acciaio inossidabile, che, pur essendo più denso dell’alluminio, è sufficientemente simile secondo i requisiti dei test. Le proprietà non-corrosive dell’acciaio inossidabile, inoltre, garantiscono una lunga vita operativa con minima degradazione del materiale.
Il programma di sperimentazione durerà all’incirca due anni, mentre dovremo attendere almeno un decennio prima di poter assistere al primo effettivo utilizzo di questa tecnologia, sempre che i test abbiano esiti positivi.

L’ostacolo principale è la vasta area di raccolta necessaria a generare una repulsione utile. A un’unità astronomica dal Sole, E-Sail dovrebbe avere un’area di circa 600 chilometri quadrati, corrispondenti a un raggio di quasi 14 chilometri. A cinque unità astronomiche dalla nostra stella, invece, l’area salirebbe a 1200 chilometri quadrati, ovvero un raggio di 19.5 chilometri.

Il principio alla base di questa tecnologia è simile a quello delle vele solari, le quali sfruttano la pressione delle radiazioni elettromagnetiche del Sole. Tuttavia, l’intensità delle radiazioni della nostra stella diminuisce drammaticamente man mano che si entra nel sistema solare esterno. Una vela alimentata dal vento solare, invece, sarebbe in grado di spingersi ben più in là.
“I protoni del vento solare non hanno quel problema,” prosegue Wiegmann. “Con il costante flusso di protoni, E-Sail continuerebbe ad accelerare fino a 16-20 unità astronomiche – almeno tre volte oltre le vele solari. Ciò le consentirà di raggiungere velocità molto più elevate.”

Nei suoi quasi 40 anni di missione, la sonda Voyager 1, la prima ad attraversare l’eliopausa ed entrare nello spazio interstellare, ha percorso circa 134 unità astronomiche. Secondo i calcoli degli ingegneri, E-Sail potrebbe coprire un tragitto di uguale lunghezza in un terzo o addirittura un quarto del tempo.
“I nostri studi hanno dimostrato che una sonda interstellare alimentata da una E-Sail potrebbe raggiungere i confini dell’eliopausa in poco meno di 10 anni,” prosegue Wiegmann. “Ciò potrebbe rivoluzionare i guadagni scientifici di queste missioni.”

Il progetto ha ricevuto 500 mila dollari di finanziamenti dalla NASA per lo sviluppo di questa promettente tecnologia.
“Studiando questo concetto, siamo rimasti convinti dalla sua flessibilità e dalla sua adattabilità,” continua Wiegmann. “I progettisti delle future missioni potranno regolare la lunghezza dei cavi, il numero di cavi e il loro voltaggio a seconda dei requisiti della missione.”


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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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Conferenze al Museo di Storia Naturale Aperte al pubblico e gratuite.

16.04: “La cacciatrice di nane rosse e pianeti extrasolari” di Giovanna Ranotto.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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CICLO “La Scienza non esatta: bugie, follie e fortuna nel cammino della conoscenza”

15.04: “Errori e serendipità: la forza del caso nel progresso dell’astronomia” di Loris Lazzati.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Ancora Luna e Giove!

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Altra congiunzione che converrà attendere che arrivi nei pressi dell’orizzonte sarà quella tra Luna e Giove del 17/18 aprile.

I due oggetti saranno ovviamente osservabili per tutta la sera, ma la più grande vicinanza (3,2°) e l’effetto scenico migliore si avranno verso le 3:30 del 18, quando saranno alti circa +14° sull’orizzonte ovest. Si riuscirà così a fotografare la scena sullo sfondo di un paesaggio convenientemente scelto, regalando fascino e profondità a un evento in sé abbastanza usuale.

Caricate le vostre immagini su www.coelum.com/photo-coelum, ogni mese le più belle o particolari verranno scelte per la pubblicazione sulla rivista!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

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Kepler di nuovo operativo, risolta l’emergenza in orbita

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Il telescopio spaziale Kepler è nuovamente operativo, secondo quanto comunicato dalla NASA.

Quattro giorni fa, il cacciatore di pianeti era autonomamente entrato in modalità di emergenza, una particolare configurazione di volo che prevede il minimo consumo di energia, ma che in compenso comporta l’utilizzo di grandi quantità di carburante. Ieri mattina, i controllori di volo sono riusciti a mantenere un contatto radio stabile con il telescopio. Durante la finestra di comunicazione, gli ingegneri hanno scaricato una grande quantità di dati di telemetria che useranno per ricostruire le dinamiche del malfunzionamento che ha colpito il telescopio e per accertarsi della salute dei vari sistemi di bordo. Gli ingegneri hanno inoltre attivato una modalità di riduzione del consumo di propellente. Essendo uscito dalla configurazione di emergenza, il telescopio ha perso la priorità di comunicazione che aveva acquisito.

Secondo gli ingegneri, ci vorrà almeno una settimana affinché Kepler possa incominciare la tanto attesa campagna scientifica che lo vedrà puntare il suo telescopio in direzione del cuore della Via Lattea. Kepler tenterà di sfruttare il fenomeno di microlente gravitazionale per rivelare pianeti orfani o interstellari. La campagna si chiuderà il 1° luglio, quando il centro galattico non sarà più in una posizione favorevole alle osservazioni di Kepler.

Secondo le analisi preliminari dei dati scaricati finora, Kepler sarebbe stato colpito da un’anomalia circa 14 ore prima di eseguire la manovra che lo avrebbe portato a osservare il centro galattico. Questo dettaglio ha permesso agli ingegneri di escludere il sistema di propulsione e le ruote di reazione dalle possibili cause del guasto, la cui natura rimane ignota.

Le ruote di reazione, in particolare, erano la principale fonte di preoccupazione. Kepler infatti ha già perso due delle sue quattro ruote di reazione. In teoria, il telescopio necessita di almeno tre giroscopi per poter puntare verso un determinato campo di cielo con un’accuratezza e una stabilità sufficienti alla raccolta di dati utili. Tuttavia, in seguito al fallimento della seconda ruota di reazione, gli ingegneri erano riusciti a ideare una tecnica per bilanciare l’assetto del telescopio usando la pressione delle radiazioni solari. Il fallimento di una terza ruota di reazione, come si era ipotizzato in questi giorni, avrebbe però reso del tutto impossibile il proseguimento della missione.

Nei suoi sette anni di missione, il telescopio non era mai entrato in modalità di emergenza. Il recupero del satellite in un tempo così breve è stato consentito dalla rapida risposta e dal duro lavoro degli ingegneri della NASA.


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14.04: “Osservazione della Luna in Corso Italia.

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La cometa 67P cambia colore

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Copyright Spacecraft: ESA/ATG medialab; Data: ESA/Rosetta/VIRTIS/INAF-IAPS/OBS DE PARIS-LESIA/DLR; G. Filacchione et al (2016)
Una grafica dello studio che mostra la differenza di "colore" nelle zone osservate. ESA/ATG medialab; Data: ESA/Rosetta/VIRTIS/INAF-IAPS/OBS DE PARIS-LESIA/DLR; G. Filacchione et al (2016)

67P ha cambiato colore davanti agli occhi di Rosetta durante la fase di avvicinamento al Sole. Questo è quanto osservato dallo spettrometro italiano  VIRTIS che ha analizzato le regioni a nord e all’equatore della cometa subito dopo il rendez-vous della sonda nell’agosto del 2014.

Il risultato delle osservazioni è stato pubblicato sulla rivista Icarus e riguarda il periodo che va da agosto  fino a novembre 2014 quando Rosetta ha sorvolato 67P da una distanza variabile dai 100 fino a 10 chilometri dal nucleo, mentre la cometa compiva il suo avvicinamento al Sole passando da 542 a 438 milioni di chilometri di distanza.

È la prima volta che una sonda osserva la dinamica di una cometa nel suo moto attorno al Sole: «è una delle peculiarità di Rosetta – ha riferito Mario Salatti, responsabile ASI per la missione –  lo spettrometro ha così avuto modo di registrare il cambiamento della composizione della superficie della cometa nella sua fase di avvicinamento alla stella e conseguentemente del suo colore».

VIRTIS ha quindi  monitorato i cambiamenti di luce riflessa dalla superficie in un ampio intervallo di lunghezze d’onda del visibile e dell’infrarosso, utilizzandoli come indicatori dei cambiamenti nella composizione dello strato più esterno della cometa.

«Sembra che ci sia un’abbondanza di acqua-ghiaccio negli strati superficiali della cometa – ha commentato Gianrico Filacchionedell’INAF, autore principale dello studio – e ciò si traduce in una modifica delle firme spettrali osservate. È come se 67P stesse cambiando di colore davanti ai nostri occhi».

La cometa ripresa il 19 settembre 2014 da una distanza di 28,6 chilometri dalla superficie – NavCam

Al suo arrivo sulla cometa Rosetta, ha trovato davanti a sé un corpo celeste estremamente scuro che rifletteva solo il 6% della luce su di esso. La maggior parte della superficie, infatti, era ricoperta da uno strato di polvere scura e asciutta composta da una miscela di minerali e sostanze organiche.

Nel complesso 67P ha un colore rossastro grazie alla presenza di materiale organico mentre le zone più ricche di ghiaccio d’acqua appaiono blu. Già nell’agosto 2014 i ghiacci nascosti sotto la superficie della cometa stavano iniziando ad essere riscaldati dalla luce solare in modo graduale, per poi sublimare in gas sollevando polveri che avrebbero contribuito alla formazione della coda di 67P.

Un mosaico di sei immagini provenienti dalla camera OSIRIS di Imhotep, la zona in cui VIRTIS ha confermato per la prima volta la presenza di ghiaccio d'acqua esposto dall'attività della cometa. ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

VIRTIS ha ha infatti mostrato che il nuovo strato di materiale esposto era più riflettente del precedente, un fenomeno che ha reso la cometa più luminosa e ricca di ghiaccio: per questo motivo l’astro appariva più blu.

La luminosità della cometa è variata del 34% con punte che oscillano dal 6,4% al 9,7% in tre mesi di osservazione nella regione di Imhotep.

Altri inediti meccanismi verranno svelati quando sarà conclusa l’analisi dei dati raccolti da VIRTIS nella fase di allontanamento del Sole.


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Kepler in modalità di emergenza

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Il telescopio spaziale Kepler, secondo quando comunicato dalla NASA,  è stato vittima di un’anomalia sulla cui natura si sta ancora indagando. Il computer di bordo avrebbe attivato in maniera autonoma la modalità di emergenza, una particolare configurazione di volo che prevede il minimo consumo di energia, ma che in compenso comporta l’utilizzo di grandi quantità di carburante. Il telescopio ha informato i controllori di volo dell’attivazione di tale modalità nella finestra radio del 7 aprile.

I dati diagnostici scaricati durante il contatto precedente, risalente al 4 aprile, indicavano che tutti i sistemi stavano operando come previsto.

A complicare ulteriormente i tentativi di recupero, il telescopio si trova a ben 118 milioni di chilometri dalla Terra, ovvero circa 6,57 minuti luce, ovvero sono necessari 13 minuti perché un segnale possa arrivare alla sonda e la risposta tornare indietro . Tuttavia, l’attivazione della modalità di emergenza ha fatto sì le comunicazioni tra Kepler e il Deep Space Network della NASA abbiano acquisito la priorità assoluta, mettendo tutte le altre sonde in giro per il Sistema Solare in secondo piano.

Le analisi preliminari dei pochi dati di telemetria scaricati finora indicano che l’anomalia è avvenuta poco prima di una manovra che avrebbe cambiato l’assetto del telescopio, puntandolo in direzione del cuore della Via Lattea per una nuova campagna osservativa nell’ambito della missione K2.


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12.04: Evento speciale: Yuri’s night, in ricordo del primo volo umano nello spazio.

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Quel colossale buco nero vicino

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Questa simulazione mostra un buco nero supermassiccio al centro di una galassia. La zona nera al centro rappresenta l'orizzonte degli eventi. Crediti: NASA, ESA, and D. Coe, J. Anderson, and R. van der Marel (STScI)

C’è un gigantesco colosso nascosto nel nostro Universo. E come lui, potrebbero essercene molti altri: lo afferma uno studio pubblicato su Nature che rivela la presenza di un buco nero supermassiccio in una galassia non lontana dalla nostra, dove non ci si sarebbe aspettato di trovare oggetti così grandi.

La scoperta – che è stata possibile grazie alla combinazione dei dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble e dagli osservatori Geminialle Hawaii e McDonald in Texas – implica che i buchi neri potrebbero dunque essere molto più diffusi di quel che crediamo.

Ma facciamo un passo indietro. Un buco nero supermassiccio (o supermassivo) è il più grande tipo di buco nero conosciuto, con una massa milioni o miliardi di volte superiore a quella del Sole. Gli astronomi pensano che quasi tutte le galassie, compresa la nostra Via Lattea, ne contenga uno al centro.

Quello scoperto dal gruppo internazionale di astronomi è un buco nero da record, con una massa che contiene circa 17 miliardi di soli. Un vero gigante del cielo, che però non strappa ancora il primato al suo “fratello maggiore”: il buco nero nell’ammasso della Chioma, scoperto nel 2011, che con i suoi 21 miliardi di masse solari si è guadagnato un posto nel Guinness Book of World Records.

La new entry si distingue però per un altro motivo: la sua posizione. Il buco nero appena scoperto si trova infatti nella galassia NGC 1600, in una direzione del cielo opposta rispetto all’ammasso della Chioma, in quella che può essere considerata una zona di relativo deserto cosmico.

Immagine della galassia NGC 1600, e un ingrandimento ottenuto da Hubble del centro luminoso delle galassia, dove risiede il buco nero supermassiccio da 17 miliardi di masse solari. Crediti: ESA/Hubble, STScI.

E qui sta il fatto sorprendente: se trovare un buco nero supermassiccio in una zona dello spazio affollata è piuttosto prevedibile, decisamente meno comune è trovarlo nelle regioni più sgombre dell’Universo. Un po’ come immaginare le probabilità di trovare un grattacielo nel centro di Manhattan o in un piccolo paese di periferia.

“I gruppi più ricchi di galassie, come l’ammasso della Chioma – spiega  Chung-Pei Ma, dell’Università di Berkeley – sono molto, molto rari. Ma esistono alcune galassie delle dimensioni di NGC 1600 che risiedono all’interno di gruppi di media grandezza. Quindi adesso la domanda è: ‘si tratta solo della punta di un iceberg?’ Forse ci sono molti altri buchi neri mostro là fuori”.

È esattamente questo ciò che investigherà nei prossimi mesi la campagna osservativa MASSIVE, coordinata proprio da Chung-Pei Ma.

Iniziato nel 2014, il programma MASSIVE è stato finanziato dallaNational Science Foundation per ottenere stime di massa per le stelle, la materia oscura e i buchi neri centrali appartenenti a 100 galassie massicce e vicine. In particolare, studia le galassie più grandi di 300 miliardi di masse solari, e a una distanza inferiore a 350 milioni di anni luce dalla Terra.

L’ospite inatteso trovato nella galassia NGC 1600 è uno dei primi successi del progetto e dimostra il valore della ricerca sistematica del cielo notturno, contro quella focalizzata soltanto sulle regioni più dense dello spazio.

Congiunzione Luna Mercurio

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N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare è due o tre volte superiore alla giusta scala immagine.

Verso le 20:15, scandagliando con attenzione l’orizzonte ovest (magari aiutandosi con un binocolo), non dovrebbe risultare impossibile scorgere una finissima falce di Luna crescente (appena un giorno d’età alta circa +8°) affiancata – 5,7° verso ovest – da un Mercurio decisamente luminoso (mag. −1).

Tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche, ma se la trasparenza dell’aria sarà buona, anche una congiunzione apparentemente trascurabile come questa potrà regalare spunti per delle suggestive riprese fotografiche comprensive del paesaggio.

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In difesa della Luna

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Mosaico di 52 frame ripresi da Jukka-Pekka Metsävainio
Mosaico di 52 frame ripresi da Jukka-Pekka Metsävainio. Cliccare per l'immagine a piena risoluzione.

Ennesima delusione dell’anno. In pochissimi infatti sono riusciti a seguire ieri mattina l’occultazione di Venere da parte della Luna… così come del resto era capitato in passato per altri appuntamenti astronomici: comete, eclissi, asteroidi, congiunzioni sul filo dell’orizzonte… quasi tutti falcidiati da condizioni meteo del tutto o in parte sfavorevoli. Eventi per i quali sarebbe stato magari necessario spostarsi di parecchi chilometri o salire in quota tra le montagne per goderne appieno.

Beati i nostri progenitori, verrebbe da dire, che vivevano in un mondo in cui ogni notte serena era una festa per gli occhi! Adesso quelle azzurre cupole cristalline sono state cancellate da inquinamenti di ogni tipo e le stelle per la maggior parte di noi si mostrano soltanto a loro capriccio, pochissime volte l’anno.

E allora che fare se non si è della razza di quelli che viaggiano, migrano con i loro grandi strumenti oppure addirittura catturano gli straordinari paesaggi celesti del Nuovo Messico o dell’Australia, fotografando in remoto da casa loro?

Ebbene, io dico che ci resta solo la Luna. Pensateci…Un mondo che solo le nuvole più spesse riescono a nascondere, e abbastanza grande da essere democraticamente alla portata di chiunque abbia un binocolo, o un sia pur minimo telescopio. Un piccolo pianeta tutto per noi, parcheggiato qui in orbita terrestre, a disposizione almeno tre settimane su quattro. Una fonte inesauribile di giochi d’ombra, chiaroscuri, luci improvvise, albe e tramonti su crateri profondissimi o cime innevate dalla luce del sole.

Da passarci gli anni, a voler osservare tutto. Come in effetti hanno fatto in tanti, prima di noi, quando ancora il cielo profondo – e adesso profondissimo – era fuori portata e senza il digitale ci si accontentava – si fa per dire – di misurare l’altezza delle montagne lunari, di arrovellarsi sull’imperscrutabile mistero del Ponte nel Mare Crisium, o di aspettare l’attimo in cui all’interno del cratere Hesiodus si sarebbe sprigionato il tanto vagheggiato “raggio lunare”, ovvero la luce del sole che improvvisamente prorompe nella platea da una apertura delle pareti.

Insomma, la Luna sa essere bella in cento maniere diverse, e misteriosa quanto basta per invogliare chiunque a seguirla sera dopo sera. Luminosa e sempre diversa in ogni suo minuto particolare: una fonte inesauribile di divertimento per chi vuole fotografare, guardare, disegnare, pensare. Eppure…

Eppure in questi anni è stata abbandonata un po’ da tutti, considerata forse troppo facile e provinciale. Poche e distratte osservazioni visuali, qualche foto di tanto in tanto, nessun disegno.

Sarebbe forse ora di tornare a guardarla; non perché è rimasto l’ultimo target astronomico per gli appassionati di città, ma semplicemente perché è la terra celeste più vicina a noi.

G. A.


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ASTROVEN: amatori e professionisti insieme per la divulgazione in Veneto

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Padova, sabato 16 aprile, presso l’aula Rosino del Dipartimento di Fisica e Astronomia

La neonata sezione Veneta della Società Astronomica Italiana organizza una giornata di incontro tra gli “attori” protagonisti sul territorio dell’astronomia fruibile dal pubblico, per fare il punto dell’astronomia amatoriale nel Veneto.

Rappresentanze di Gruppi Astrofili, Osservatori Astronomici e Planetari, ma anche singoli con una particolare passione astronomica, sono invitati a far conoscere la loro esperienza e le loro idee con l’obbiettivo primario di conoscersi e di consentire uno scambio di idee e arricchirci con una contaminazione culturale che accomuni l’astronomia a una trasversalità che va da chi si occupa esclusivamente di divulgazione, di chi osserva e fa osservare il cielo per il puro stupore della bellezza della volta celeste, a chi studia e scopre supernove, comete, meteoriti, a chi costruisce, od insegna a costruire, nuovi telescopi.

Ad ogni partecipante verrà rischiesto di presentare la propria attività, o della propria associazione, i progetti ed eventualmente le difficoltà che si riscontrano nel portarli avanti. Il formato prevede interventi che vogliamo lasciati alla disponibilità ed all’estro dei partecipanti: chi vorrà parlare a braccio, chi porterà una o tante fotografie da mostrare, chi vorrà articolare una presentazione specifica, in un tempo che dipenderà in dettaglio da quanti di voi vorranno intervenire, ma che ipotizziamo tra i 10 ed i 20 minuti. Il filo conduttore: la passione per l’astronomia.

Non mancheremo di mostrare gli ultimi sviluppi della astronomia professionale ma vogliamo dare la precedenza alla vitalità e alle idee degli intervenuti.

La registrazione è gratuita ma obbligatoria, poiché la partecipazione è limitata a 60 persone per la limitata capienza dell’Aula Rosino del Dipartimento di Fisica e Astronomia. Si pregano i responsabili di ciascun gruppo di limitare a 1 o 2 i partecipanti all’incontro.

Sarà comunque possibile seguire gli interventi via streaming tramite il canale youtube: www.youtube.com/user/UniPadovaAulaRosino/

Per ogni informazione:  saitveneto@oapd.inaf.it

Per registrarsi e per il programma completo: www.ict.inaf.it/indico/event/340/

Organizzato da:

  • SAIt Veneto
  • INAF Osservatorio Astronomico di Padova
  • UNIPD Dipartimento di Fisica e Astronomia

Comitato organizzatore:
Roberto Ragazzoni,  Simone Zaggia, Gabriele Umbriaco

Indirizzo:
Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova
Aula Rosino
Vicolo dell’Osservatorio, 3
35122 Padova

Gruppo Astrofili Lariani

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L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser. Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.

08.04, ore 21:00: “Diamo del tu al cielo” Serata di osservazione
pubblica. Oggetti da osservare: Luna, Giove con i satelliti galileiani, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso Presepe (M44), le galassie in Leone e Orsa Maggiore.

La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera! Per informazioni: Tel 347.6301088 info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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CICLO “Il clima sulla Terra e su altri mondi”

08.04: “Il clima sui pianeti solari ed extrasolari” di Stefano Covino.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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08.04: “Gli spettri stellari e il diagramma H-R” di Luigi Pizzimenti.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Il New Shepard vola e atterra per la terza volta

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DI ROBERTO MASTRIAstronautinews.it

Come preannunciato da Jeff Bezos nel marzo scorso, durante il suo incontro con la stampa, il New Shepard è tornato a volare. Ieri, 2 aprile, poco dopo le 17 (ora italiana) il veicolo suborbitale è decollato dal sito di test di Blue Origin nel deserto del Texas, ha raggiunto la quota record (rispetto ai voli precedenti) di 103,37 km di apogeo ed è rientrato, dopo essersi separato nei suoi componenti: la capsula, giunta integra a terra, grazie all’azione frenante dei suoi tre paracadute, e il modulo propulsivo, atterrato nel luogo previsto a seguito di una cronometrica riaccensione del propulsore BE-3.

Credit: Jeff Bezos

In casa Blue Origin il riutilizzo dei veicoli spaziali è già una routine. Per la crew capsule si trattava del quinto volo, essendo stata impiegata per la prima volta nel 2012 in occasione del Pad Escape Test (il collaudo del sistema di fuga di emergenza); ieri la storia dei voli precedenti era rappresentata da quattro tartarughe, con data, dipinte sul portello della capsula. Il booster NS2, cosa ben più importante, era già al terzo decollo e al terzo tentativo di atterraggio completato con successo.

Il terzo decollo del booster NS2. Credit: Blue Origin

Cosa c’era di nuovo

L’intenzione di Blue Origin è quella di testare la resistenza e le performance del veicolo, facendolo volare ripetutamente fino a che non andrà distrutto o non sarà più in condizioni di decollare. Ma ogni lancio, come è facile immaginare, è anche l’occasione per sperimentare nuovi dispositivi o nuove tecniche. In questo caso Bezos aveva annunciato che l’azione frenante del BE-3 sarebbe stata ritardata fino alla quota di 1100 metri (nei precedenti atterraggi l’accensione era programmata a 1500 metri). Il modulo propulsivo si sarebbe schiantato in 6 secondi, se il motore non si fosse riacceso in tempo, raggiungendo rapidamente la massima spinta, com’è regolarmente avvenuto.

Scienza a bordo

Un’altra novità dell’ultima missione era la presenza di esperimenti a bordo. Nella capsula del New Shepard si rimane in condizioni di assenza di peso per poco meno di 3 minuti, un tempo sufficiente per fare un po’ di scienza. Gli esperimenti di ieri erano due.

Il Box of Rocks Experiment (BORE), elaborato dal Southwest Research Institute, era volto a studiare l’interazione in assenza di peso di frammenti di roccia racchiusi in una scatola, con l’obiettivo di comprendere come si muove il suolo roccioso dei piccoli asteroidi.

Il Collisions Into Dust Experiment (COLLIDE) a cura della Central Florida University, intendeva esaminare l’impatto in microgravità di un oggetto compatto contro uno strato di polvere.

I voli del New Shepard che porteranno carichi a scopi di ricerca, senza equipaggio a bordo, saranno tra i primi viaggi commerciali del sistema suborbitale e potrebbero cominciare già quest’anno. In vista di tali sviluppi e dell’inizio dell’attività “turistica” Blue Origin sta realizzando altri veicoli. Almeno altri sei New Shepard sono in costruzione nella fabbrica di Kent.

A quando un lancio in diretta?

Un’ulteriore differenza rispetto ai voli passati è stata la maggiore pubblicità data all’evento. Nelle scorse occasioni l’unico indizio dei lanci erano le restrizioni al traffico aereo sull’area di test diramate dallaFederal Aviation Administration.

Recupero della capsula dopo l’atterraggio. Credit: Blue Origin

Questa volta Jeff Bezos, via twitter, ha presentato il volo e ne ha fatto una cronaca sintetica, promettendo entro breve tempo la pubblicazione di un video che si preannuncia particolarmente spettacolare, potendosi avvalere anche delle riprese effettuate in aria da droni. Ci si domanda, tuttavia, quando il CEO di Blue Origin manterrà la promessa di invitare la stampa ad un lancio e cosa gli impedisca di effettuarne la ripresa in diretta streaming. Probabilmente gradatim, per piccoli passi, nello stile di Bezos, arriveremo a vederla.

In attesa del video ufficiale, le uniche immagini in movimento del lancio sono quelle “rubate” da un reporter texano:

[AGGIORNAMENTO]

Ecco anche il video ufficiale del volo, spettacolare come di consueto:

Fonte: Blue Origin

Copyright immagine: Blue Origin, Jeff Bezos

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(C) Associazione ISAA – Licenza CC BY-NC Plus Italia



Due luminose supernovae nell’Orsa Maggiore

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La cartina indica la posizione delle due galassie in cui sono esplose le supernovae di cui si parla nell'articolo. Cliccare per ingrandire.

Le supernovae extragalattiche più belle e luminose della storia sono ovviamente quelle esplose in galassie Messier… ed è ancora vivo il ricordo del record raggiunto nel 2014 con ben quattro scoperte in oggetti del famoso catalogo.

Purtroppo, dopo un 2015 assai avaro di questo genere di supernovae, nemmeno il 2016 sembra prediligere le galassie di Messier, o almeno fino ad ora. Tuttavia, in marzo si è verificata una fortunata coincidenza, ovvero l’esplosione, a pochi giorni di distanza, di due stelle appartenenti a galassie che nulla hanno da invidiare a quelle catalogate da C. Messier, entrambe situate nella costellazione dell’Orsa Maggiore a soli 16 gradi l’una dall’altra.

Una ghiotta occasione per immortalarle insieme con poco sforzo. In questo periodo dell’anno infatti la costellazione dell’Orsa Maggiore si trova già alta in cielo subito dopo il tramonto e quindi l’orario per la ripresa sarebbe davvero comodo.

La supenova SN 2016bau sovrapposta a una immagine di Marco Burali della bellissima NGC 3631. Nella cartina in apertura la posizione in cui trovare la galassia.

La prima delle due supernovae è la SN2016bau scoperta il 13 marzo dal veterano cacciatore di supernovae inglese Ron Arbour (72 anni) giunto alla sua scoperta n. 34. La galassia ospite è la bellissima spirale vista di faccia NGC 3631, posta a circa 40 milioni di anni luce.

Al momento della scoperta la supernova mostrava una luminosità pari alla mag.+17,8 ma in netto aumento nei giorni seguenti. Lo spettro ripreso il 14 marzo dall’osservatorio di Asiago con il telescopio Copernico da 1,82 metri ha permesso di classificare la supernova di tipo Ib scoperta circa 10 giorni prima del massimo, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 16.800 km/s. Il massimo di luminosità di questa supernova si è verificato intorno al 24 marzo, raggiungendo la mag.+14,9. La conferma che si tratta proprio di una supernova molto giovane è venuta dal programma di ricerca professionale ATLAS che, circa due giorni prima della scoperta, aveva ripreso un’immagine della galassia in cui la supernova non era presente.

NGC 3631 ha già ospitato altre tre supernovae: la 1996bu, la 1965L e la 1964A.

Una ripresa della SN2016bkv nella galassia NGC 3184 ottenuta da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 ed esposizione di 25x75 secondi.

La seconda supernova è la 2016bkv scoperta il 21 marzo dal mitico ricercatore del Sol Levante Koichi Itagaki (vedi articolo) che con questo successo raggiunge l’invidiabile quota di 117 scoperte.

La galassia ospite è un’altra spirale vista di faccia, la NGC 3184, forse ancora più bella della precedente. Anche la sua distanza è inferiore e si attesta intorno ai 30 milioni di anni luce. Al momento della scoperta la supernova mostrava una luminosità pari alla mag.+15,9. Lo spettro ripreso nella notte del 23 marzo dal Haleakala Observatory nelle isole Hawaii con il Faulkes Telescope Nord di 2 metri di diametro, ha permesso di classificarla di tipo II, scoperta circa quattro giorni prima del massimo di luminosità, che puntualmente si è verificato il 25 marzo raggiungendo la mag.+14,6.

Anche NGC 3184 è una veterana di supernovae avendone già ospitate altre quattro: la 1921B, la 1921C, la 1937F e la 1999gi oltre alla 2010dn che si è rivelata successivamente essere una Luminous Blue Variable (LBV, una classe di oggetti noti anche come “Supernova Impostore”.

Abbiamo perciò a portata di telescopio due luminose supernovae in due stupende e fotogeniche galassie a spirale, vicine fra loro e per di più facili come orario di ripresa perché già alte in cielo appena fa buio e senza il disturbo della Luna. Cosa desiderare, quindi, di più?

Vi invitiamo a condividere come sempre le vostre immagini anche su www.coelum.com/photo-coelum dove già si trova un’immagine della SN2016bkv ripresa da Yuri Puzzoli! Aspettiamo anche le vostre!

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Meraviglia! La 67P/Churyumov-Gerasimenko sorpresa in controluce

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Dopo mesi passati a fotografare la cometa da un’orbita molto prossima alla sua superficie, la
settimana scorsa la sonda Rosetta si è allontanata fino ad una distanza di un migliaio di chilometri
per studiare l’ambiente circostante, il plasma e i getti della coda.
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Durante la manovra di allontanamento Rosetta è venuta a trovarsi quasi nel cono d’ombra della cometa e il 27 marzo, da una distanza di 329 km, la NavCam a bordo della sonda è riuscita a riprendere con 4 secondi di esposizione questa straordinaria fotografia (cortesia: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0), dove si vede il doppio nucleo incoronato dai getti di gas stagliarsi nel chiarore accecante del Sole. La scala è di 28 m/pixel).

La sonda tornerà a circa 200 km dal nucleo all’inizio della prossima settimana e il 9 aprile scenderà
di nuovo fino a circa 30 km di altezza.
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Un disco protoplanetario a una risoluzione da record

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No, questa volta non è un'impressione artistica, ma è La migliore immagine ALMA di un disco protoplanetario fino ad oggi. Questa immagine della stella giovane e vicina TW Hydrae mostra i classici anelli e i vuoti che indicano la presenza in questo sistema di pianeti in formazione. Crediti: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)
No, questa volta non è un'impressione artistica, ma è la migliore immagine ALMA di un disco protoplanetario ottenuta fino ad oggi. Questa immagine della stella giovane e vicina TW Hydrae mostra i classici anelli e i vuoti che indicano la presenza in questo sistema di pianeti in formazione. Crediti: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Il potente occhio del radiointerferometro ALMA ha spiato il disco protoplanetario che avvolge TW Hydrae, una giovane stella simile al Sole distante circa 175 anni luce dal nostro pianeta. La straordinaria risoluzione di ALMA – le nuove immagini del disco sono di gran lunga le più dettagliate scattate finora – ha permesso agli astronomi di individuare tre fasce vuote all’interno della struttura. Secondo gli scienziati, a formare le tre corsie sarebbero stati altrettanti pianeti in formazione, i quali, accumulando il materiale verso di sé e spingendo via il resto delle polveri, avrebbero ripulito le loro orbite. La più interna delle tre corsie, in particolare, è tanto distante dalla propria stella quanto la Terra dal Sole, suggerendo che, in futuro, il giovane pianeta potrebbe evolversi in un mondo simile al nostro. Secondo la ricostruzione degli scienziati, il disco si sarebbe formato appena 10 milioni di anni fa.

La fascia vuota più interna. Credits: S. Andrews (Harvard-Smithsonian CfA); B. Saxton (NRAO/AUI/NSF); ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

“Studi precedenti avevano confermato che TW Hydrae ospitasse un notevole disco con strutture create da pianeti in formazione al suo interno,” spiega Sean Andrews dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. “Le nuove immagini di ALMA mostrano il disco a una risoluzione senza precedenti, rivelando una serie di anelli luminosi e di corsie scure concentriche, comprese delle intriganti strutture che indicano che un pianeta con un’orbita simile a quella della Terra si stia formando.”Le due corsie vuote più esterne distano circa tre e sei miliardi di chilometri dalla loro stella madre – distanze paragonabili a quelle di Urano e Plutone dal Sole, rispettivamente.Le immagini sono state ottenute osservando le deboli emissioni radio provenienti dalle particelle millimetriche che popolano il disco di TW Hydrae. La risoluzione senza precedenti è stata consentita dalla particolare configurazione di ALMA, con le antenne del radiotelescopio posizionate a 15 chilometri di distanza tra di loro.”Abbiamo raggiunto la migliore risoluzione spaziale per un disco protoplanetario con ALMA, e non sarà facile battere questo primato in futuro,” commenta Andrews. ALMA ha già osservato altri dischi protoplanetari, tra cui alcuni molto più giovani, come quello di HL Tauri, risalente a meno di un milione di anni fa. Confrontare le varie strutture di questi dischi permetterà agli scienziati di ricostruire la loro evoluzione e di risalire ai primi capitoli della storia del nostro stesso sistema solare.La risoluzione angolare delle immagini di HL Tauri è simile a quella delle immagini di TW Hydrae; tuttavia, essendo TW Hydrae quasi 275 anni luce più vicina alla Terra, i suoi ritratti sono di gran lunga più dettagliati.”TW Hydrae è speciale,” aggiunge David Wilner, sempre del CfA. “Si tratta del disco protoplanetario più vicino alla Terra e potrebbe assomigliare parecchio al nostro sistema solare quando anch’esso aveva 10 milioni di anni.”

6 aprile: La Luna occulta Venere

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A sinistra. Il percorso apparente di Venere rispetto alla Luna osservato da tre diverse località della penisola. L’orientamento è equatoriale, con il nord in alto e l’est a sinistra. Gli orari relativi ad altre località sono tabulati nella Tab. 2.
Il percorso apparente di Venere rispetto alla Luna osservato da tre diverse località della penisola. L’orientamento è equatoriale, con il nord in alto e l’est a sinistra. Gli orari relativi ad altre località sono tabulati nella tabella sotto.

L’evento in assoluto più importante del mese avverrà il giorno 6, quando verso le 9:12, dunque in pieno giorno, il nostro satellite (fase 1%) occulterà Venere (mag. –3,7).

Il fenomeno è più raro di quanto si possa pensare. Ogni anno in qualche parte del mondo si verificano in media due occultazioni di Venere da parte della Luna (da zero, fino ad un totale – molto raramente – di sei volte per anno), ma da una data località l’evento è osservabile, nella media del lungo periodo, soltanto una volta ogni 4 anni.

Qui da noi a parte l’eccezione siciliana del 2010 l’evento mancava addirittura da 8 anni.

Orari di inizio e fine occultazione

Località Ingresso Uscita
Torino 9:15 10:12
Milano 9:17 10:15
Venezia 9:20 10:21
Bologna 9:17 10:19
Firenze 9:15 10:18
Roma 9:11 10:19
Cagliari 9:02 10:10
Ancona 9:16 10:22
Napoli 9:10 10:22
Bari 9:14 10:27
Catania 9:04 10:20
Palermo 9:03 10:17

Non sarà però un’osservazione “per tutti”, nel senso che non basterà alzare gli occhi al cielo per vederla… L’occultazione, infatti, avverrà verso le nove del mattino, con il Sole già sopra l’orizzonte, e sarà quindi da affrontare muniti di uno strumento ottico, come un binocolo o un piccolo telescopio, opportunamente schermati. La cosa potrebbe risultare strana a un profano, ma chi ama l’astronomia sa che durante il giorno si possono effettuare diverse osservazioni astronomiche interessanti.

Continua a leggere su Coelum n. 199, troverai tutte le tabelle, i consigli per l’osservazione e le animazioni dell’evento! E’ gratis!

Effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Aprile

Tutti gli eventi del cielo di aprile li trovi su Coelum Astronomia n.199

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Il cielo di aprile 2016

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 aprile > 22:00 - 15 aprile > 21:00 - 30 aprile > 20:00

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Giove e satelliti medicei

Dando un’occhiata al cielo verso l’inizio della notte astronomica di metà aprile (ovvero poco prima delle 22:00), vedremo Orione e Toro – le prime costellazioni del cielo invernale a scivolare verso la congiunzione eliaca – ormai prossime all’orizzonte ovest. Solo l’Auriga e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, alle 23:00 il Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote. Sull’orizzonte di est-nordest, comincerà ad alzarsi la grande figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno. Lo zenit sarà invece dominato dalla grande figura dell’Orsa Maggiore

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Ordinaria amministrazione anche in aprile per ciò che riguarda i fenomeni del mese. Quello più intrigante, un’occultazione di Venere che manca in Italia dal dicembre 2008 (per la verità ce ne fu una anche nel maggio 2010, ma si vide solo dalla Sicilia), si verificherà però di giorno… il che restringerà di molto la cerchia di quanti sapranno o potranno seguirla, ma ecco, cliccando qui, la lista completa degli eventi che secondo noi varrà la pena di osservare e fotografare.

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Trovato un altro KBO: una nuova prova dell’esistenza del Nono Pianeta?

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Il twit con l'annuncio di Mike Brown.

Dopo un anno e mezzo di simulazioni, Brown e il collega Konstantin Batygin, assistente in scienze planetarie, si sono convinti che deve esserci un importante pezzo del Sistema Solare là fuori, ancora sconosciuto.
Il Nono Pianeta avrebbe un’orbita molto eccentrica di 10.000-20.000 anni attorno al Sole. Secondo gli scienziati questo spiegherebbe alcune curiose caratteristiche osservate negli oggetti della remota Fascia di Kuiper, la regione che si estende dall’orbita di Nettuno cioè dalla distanza di 30 UA (Unità Astronomiche) fino a 50 UA dal Sole.

In questo schema sono rappresentate le orbite dei sei oggetti noti più distanti del Sistema Solare e quella del Nono Pianeta. Credit: Caltech/R. Hurt (IPAC)

In particolare, sono le orbite di 6 corpi transnettuniani (TNO Trans Neptunian Object), sui 13 noti, a destare sospetti: queste sembrano puntare nella stessa direzione dello spazio fisico, con un’inclinazione quasi identica rispetto al piano geometrico su cui si muove il Sistema Solare.

Ora, mentre ricerche parallele cercano di definire la posizione dell’ipotetico mondo, secondo Brown il nuovo KBO – denominato uo3L91, appena scoperto grazie al Canada France Hawaii Telescope nell’ambito del programma Outer Solar System Origins Survey (OSSOS) – sarebbe un importante pezzo del puzzle in grado di “ridurre la possibilità di un errore di matematico a circa lo 0,001 per cento“.

uo3L91 sembra condividere il comportamento orbitale degli altri sei oggetti, suggerendo che deve essere stato spinto da un grande pianeta a circa 149 miliardi chilometri dal Sole (75 volte più lontano di Plutone), o anche di più.

Tuttavia, anche se le dichiarazioni di Brown sembrano ottime congetture, lo studio non è ancora stato sottoposto a peer-review e i dettagli del nuovo oggetto ancora non sono stati rilasciati.

Un’indagine completa dovrà cercare le conferme necessarie studiando un numero maggiore di KBO per verificare se i dati sono davvero coerenti con la presenza di un pianeta lontano o se può esserci qualche altra spiegazione.
© Copyright Alive Universe

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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01.04: “Il re della foresta e il suo regno: il cielo di primavera” proiezione con commento di Mery Ravasio.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

BALLE DI SCIENZA Storie di errori prima e dopo Galileo

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A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.

La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.

Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it

Un asteroide impatta (di nuovo) su Giove

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L'impatto scoperto dall'austriaco Kernbauer
L'impatto scoperto dall'austriaco Kernbauer

Giove ha da poco passato l’opposizione e si trova quindi nel periodo migliore dell’anno per essere osservato. Grazie alla numerosa schiera di appassionati di astronomia e di fotografia planetaria, il gigante gassoso è continuamente monitorato con un’ottima risoluzione e può quindi regalare sorprese inaspettate.

Lo scorso 17 Marzo, alle ore 00:17 UT (Tempo Universale) è arrivato il momento di una di quelle sorprese che ogni appassionato spera di ricevere e che di certo ci fanno ben comprendere come l’Universo non sia affatto un luogo statico e pacifico come potremmo erroneamente pensare.

Almeno due osservatori indipendenti hanno registrato un breve flash proveniente dal bordo del pianeta gassoso, che ha raggiunto una luminosità superiore a quella dei satelliti medicei. L’evento è stato scoperto per primo dall’astronomo dilettante austriacoKernbauer e poi confermato da John McKeon, a nord di Dublino.

L'impatto confermato da John McKeon

Con molta probabilità il flash, della durata dell’ordine di un secondo, è associabile all’impatto di un piccolo asteroide o di una cometa con l’atmosfera del gigante gassoso.

Non sono ancora disponibili stime delle dimensioni del corpo celeste che ha deciso di soccombere all’enorme forza di gravità di Giove e nemmeno una stima precisa della posizione, anche a causa del fatto che l’evento si è verificato proprio nei pressi del bordo, laddove la determinazione esatta della posizione presenta grossi problemi, all’altezza della banda equatoriale nord. L’impatto è comunque reale perché è stato registrato dalle camere planetarie che molti astronomi dilettanti utilizzano per catturare splendide immagini in alta risoluzione dei pianeti, quindi su un supporto di certo ben più oggettivo dell’occhio umano. I due video che mostrano il flash sono stati pubblicati su YouTube e sono visualizzabili quiqui.

Osservando a occhio i filmati disponibili è ragionevole stimare che il corpo impattante potrebbe avere avuto un diametro massimo di qualche decina di metri, probabilmente non troppo dissimile dal meteorite di 17 metri di diametro che nel Febbraio del 2013 solcò i cieli della Siberia, portandosi dietro una lunga scia di danni causati dalle onde d’urto generate dall’impatto con gli strati atmosferici più densi, a circa 30-50 km di altezza. Si tratta tuttavia di una rozza stima, perché l’evento potrebbe essere avvenuto nella porzione di Giove non visibile dalla Terra in quel momento. Se questa ipotesi si rivelasse vera, l’energia liberata potrebbe essere stata maggiore, quindi l’asteroide (o la cometa) aumentare di dimensioni.

Sarà interessante notare l’eventuale presenza di cicatrici nell’atmosfera di Giove, che potrebbero presentarsi come delle zone molto scure, quasi come l’ombra lasciata dal passaggio di un satellite mediceo, ma dalla forma più irregolare. Queste cicatrici sono lasciate dagli impatti più violenti che hanno un’alta penetrazione nell’atmosfera gioviana, al punto da bloccare in modo temporaneo i possenti moti convettivi che mantengono sempre in movimento i gas atmosferici. Se il corpo celeste era più grande di 10-20 metri potrebbe aver lasciato una traccia visibile anche con telescopi di piccolo diametro (10 cm).

Assistere in diretta all’impatto di un asteroide, o una piccola cometa, con un corpo celeste che si trova a una distanza che non ha bisogno di scomodare l’anno luce per essere espressa, e che orbita attorno alla nostra stessa stella, rappresenta di certo una forte emozione ma anche un piccolo campanello d’allarme perché ci rende partecipi in prima persona, e quasi in diretta, di quanto sia affollato il Sistema Solare, quindi potenzialmente pericoloso.

Chi ha un telescopio, quindi, osservi il pianeta gassoso in questi giorni, alla ricerca di eventuali tracce scure nei pressi della banda equatoriale nord, tipiche degli impatti più violenti.

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Una zona più affollata del previsto

L’impatto registrato lo scorso 17 Marzo non è infatti che l’ultimo di una lunga serie.
L’evento più spettacolare e violento è avvenuto nell’estate del 1994 con una ventina di frammenti della cometa Showmaker-Levy 9 che hanno lasciato profondi e duraturi segni nell’atmosfera di Giove, grandi fino al diametro del nostro pianeta. Fu la prima volta che l’essere umano osservava un oggetto schiantarsi contro un pianeta.

Tutti gli altri impatti registrati risalgono agli ultimi 7 anni e sono opera di astronomi dilettanti.

Il 19 Luglio 2009 l’australiano Anthony Wasley ha scoperto per primo le cicatrici lasciate da un probabile impatto asteroidale, simili a quelle prodotte dai frammenti cometari del 1994. Nessuno, però, aveva assisito in diretta all’evento vero e proprio, che si è stimato essere stato prodotto da un asteroide compreso tra 200 e 500 metri di diametro.

Il 3 Giugno 2010 il famoso imager planetario Christopher Go ha registrato per la prima volta il flash prodotto dall’ingresso nell’atmosfera Gioviana di un asteroide o una cometa dal diametro di una decina di metri.

Il 20 Agosto dello stesso anno sempre Go, con la conferma di altri osservatori, registrò un altro flash associabile a un nuovo impatto.

Il 10 Settembre 2012 un altro flash associato a un impatto è stato avvistato questa volta visualmente dall’astronomo dilettante Dan Petersen e poi confermato da una ripresa di George Hall. Erano quindi quattro anni e mezzo che non si osservavano più eventi di questo tipo, che ora molti planetologi ritengono più frequenti di quanto si pensasse prima del prezioso aiuto arrivato dalla comunità amatoriale nel corso degli ultimi 10 anni.

Capire quanto sia affollato il Sistema Solare e il ruolo che ha Giove nel proteggerci attirando su di sé molte comete e asteroidi sono attività fondamentali per ogni abitante della Terra che spera che la sua e le altre specie possano sopravvivere ancora per molto tempo.

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