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Società Astronomica Fiorentina

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31.03: Serata osservativa alla scoperta del cielo con Claudio Filipponi. Presso la BiblioteCaNova
Isolotto che si trasforma in un vero Osservatorio per tutti i curiosi e gli appassionati del cielo! In caso di maltempo la serata si svolgerà al quarto piano all’interno della biblioteca. Via Chiusi, 4/3 A, Isolotto (Firenze).

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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29.03: “Le aurore boreali: un
fenomeno fantastico e bellissimo” di Claudio Balella.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Chi ha detto che lo spazio è vuoto?

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Avete presente Orione, la grande costellazione che domina le notti invernali?

Chi sa riconoscerla non può non rimanere affascinato dalla sua forma singolare, disegnata da stelle che brillano talmente luminose sullo sfondo nero del cielo da incutere un senso di vertigine per il grande vuoto che sembra spalancarsi di fronte agli occhi dell’osservatore…

Pare proprio che tra stella e stella non esista niente, tranne che il freddo e lo spazio desolatamente vuoto…

Per aiutarvi a ricordare l’aspetto di quel fantastico giardino d’inverno, dove sembrano esistere soltanto fiori (e niente steli, foglie, rami, cespugli e sottoboschi), vi proponiamo qui in alto sulla sinistra una foto di ciò che usualmente si può vedere (anche stasera, se volete, declinante sull’orizzonte sudovest) alzando gli occhi al cielo non appena fa buio, mentre a destra… beh, a destra portiamo alla vostra attenzione una straordinaria fotografia della stessa regione realizzata dall’amatore americano Matt Harbison (vedi anche la versione più grande qui sotto, e quella originale, con tutti i dati alla pagina www.astrobin.com/239186/).

Stupiti? Eppure non c’è dubbio, è proprio la stessa regione: potete riconoscerne le stelle una ad una!

Cliccare per ingrandire questa spettacolare ripresa di Matt Harbison. L'originale, con tutti i dati di acquisizione, lo trovate alla pagina www.astrobin.com/239186/

Vi rendete conto della differenza, dello sfolgorio di polveri e di gas che si cela nel buio in cui credevamo le stelle fossero avvolte? L’uso di una lunga posa, abbinata a particolari metodi di ripresa, rivela in questa immagine (per continuare con la metafora del giardino) il fitto intrico di arbusti su cui – visualmente – si appuntavano i fiori di Betelgeuse, Rigel, della Cintura, e anche quello della Grande nebulosa, l’unica porzione del sottobosco in qualche modo osservabile anche solo con l’aiuto di un binocolo…

In effetti, la nostra Galassia non è solo un insieme di stelle separate dal vuoto assoluto… c’è anche molto gas, idrogeno soprattutto, mescolato a particelle di polvere. Ed è proprio nelle nubi di gas più dense che si formano le stelle, anche se parlare di densità avendo sotto gli occhi una fotografia come questa, dove l’universo sembrerebbe saturato da una fitta nebbia multicolore potrebbe portare a conclusioni davvero sbagliate.

Le densità in gioco è infatti anche inferiore a quella del vuoto più spinto ottenibile nei laboratori terrestri… una nebbiolina indicibilmente tenue (solo una decina di atomi per decimetro cubo), che solo grazie alla smisurata profondità del campo fotografato (centinaia di anni luce) riesce ad impressionare il sensore della macchina da ripresa in un modo così spettacolare!

E la luce che illumina la scena, assolutamente invisibile ad occhio nudo, viene dalle stelle nate da quella polvere, in un ciclo di nascita e morte che si ripete ormai da 13 miliardi di anni.

P.S. Tutto ciò ha un nome… l’insieme di stelle, gas e polveri si chiama “Complesso molecolare di Orione”, un’incubatrice di stelle distante da noi circa 1500 anni luce.

Le macchie bianche di Cerere finalmente viste da “vicino”!

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Le misteriose macchie bianche di Ceres finalmente viste da vicino, questa immagine è solo la parte centrale, che inquadra le macchie al centro del cratere Occator, di un'immagine ad altissima risoluzione che potete scaricare, in vari formati, qui: http://dawn.jpl.nasa.gov/multimedia/images/image-detail.html?id=PIA20350. Il cratere ha un diametro di circa 92 km, e una profondità di circa 4 km. L'immagine è stata ripresa durante l'orbita bassa (LAMO) di Dawn a 385 km dalla superficie. L'immagine originale è di 7702 x 7702 pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI

Finalmente rilasciate le prime immagini ravvicinate delle macchie luminose di Cerere, scattate dall’ultima orbita della sonda attorno al pianeta nano, circa 385 chilometri al di sopra superficie grigiastra di questo mondo alieno.

Una proiezione di Mollweide di Cerere in blu (438 nm), verde (555 nm) e infrarosso (965 nm). Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Le macchie bianche sono situate al centro del cratere Occator, una cicatrice da impatto larga 92 chilometri e profonda quattro. La sonda Dawn le aveva avvistate già durante la fase di avvicinamento, in virtù della loro elevata luminosità – la più alta riscontrata finora da Dawn sulla superficie del pianeta nano.

La straordinaria risoluzione delle immagini rivela la presenza di una cupola geologica che si erge dall’interno di una fossa liscia situata nel cuore del cratere, in corrispondenza della macchia più centrale. Le propaggini a nord e ai lati della cupola sono tagliate da numerose fratture lineari.

Le macchie bianche di Occator in falsi colori, per evidenziare la struttura a cupola al centro. L'immagine è stata ottenuta dalla sovrapposizione delle ultime immagini ad alta risoluzione del cratere con quelle a colori del settembre 2015, a più bassa risoluzione. I colori poi sono stati esaltati per mettere in risalto la struttura e la serie di linee e fratture che la caratterizzano. credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI/LPI

“Prima che Dawn iniziasse le sue osservazioni dettagliate di Cerere, il cratere Occator sembrava un’unica area luminosa. Ora, con le nuove immagini ad alta risoluzione, riusciamo a vedere complesse strutture che ci forniscono nuovi misteri da investigare,” spiega Ralf Jaumann del DLR. “L’intricata geometria all’interno del cratere suggerisce un’attività geologica nel recente passato, ma dovremo completare una mappatura geologica dettagliata del cratere prima di poter ricostruire la sua formazione.”

Le prime stime suggeriscono che il cratere Occator sia uno dei più giovani su Cerere, forse risalente a soli 80 milioni di anni fa, ma non è l’unico: Dawn ha mappato più di 130 aree luminose sulla superficie di Cerere, la maggior parte delle quali sono associate a crateri da impatto. Secondo uno studio guidato da Andreas Nathues, del Max Planck Institute for Solar System Research, la composizione del materiale chiaro è compatibile con la presenza di un solfato di magnesio noto come esaidrite. Si pensa che le aree chiare ricche di sale si siano formate in seguito alla sublimazione di acqua ghiacciata.

“La natura globale dei punti luminosi di Cerere suggerisce che possa avere uno strato sotterraneo di ghiaccio d’acqua,” spiega Nathues. I puntini luminosi al centro del cratere Occator, in particolare, riflettono circa la metà della luce che ricevono.

Importanti novità arrivano anche dal resto della superficie di Cerere.

I conteggi di neutroni, dal minimo in blu al massimo in rosso. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF

“Nonostante i processi d’impatto dominino la geologia superficiale di Cerere, abbiamo identificato specifiche variazioni di colore sulla superficie indicando alterazioni chimiche dovute a una complessa serie di processi tra gli impatti e la composizione del sottosuolo,” spiega Jaumann. “Inoltre, ciò conferma la presenza di uno strato sotterraneo ricco di ghiaccio e materiali volatili.”

Ulteriori indizi a favore della presenza di tale strato sotterraneo emergono dai dati dello strumento GRaND, entrato in azione proprio nel corso di quest’ultima orbita. I conteggi di neutroni e raggi gamma effettuati dal rilevatore evidenziano importanti dettagli nella composizione chimica della superficie. I dati riguardano in media il primo metro di sottosuolo. Le analisi mostrano popolazioni di neutroni più modeste attorno alle regioni polari rispetto che alle regioni equatoriali, un risultato indicativo della maggiore concentrazione di idrogeno a latitudini più elevate. Trattandosi delle regioni polari, gli scienziati sospettano che l’idrogeno sia presente assieme all’ossigeno in forma di acqua allo stato solido.”Le nostre analisi metteranno alla prova l’ipotesi che il ghiaccio d’acqua possa sopravvivere appena al di sotto della gelida superficie polare di Cerere per miliardi di anni,” spiega Tom Prettyman del Planetary Science Institute.

Il cratere Haulani, largo 34 km, spiato da VIR. In blu, la luce a 1200 nm di lunghezza d'onda; in verde, 1900 nm; in rosso, 2300 nm. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF

La superficie di Cerere, a livello globale, è costituita perlopiù da carbonati e da fillosilicati. L’abbondanza relativa di questi materiali tra di loro risulta tuttavia piuttosto variabile. Il cratere irregolare Haulani, in particolare, con le sue strisce di materiale luminoso, ha catturato l’attenzione degli scienziati.”Le immagini in falsi colori mostrano che il materiale scavato dall’impatto è diverso dalla composizione generale della superficie di Cerere,” spiega Maria Cristina de Sanctis dell’INAF. “La diversità di materiali implica che lo strato sotterraneo è ben mischiato, oppure che l’impatto stesso ha alterato le proprietà dei materiali.”

La luce zodiacale

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Gli osservatori dell’ESO in Cile si trovano in luoghi così bui che di solito l’unica cosa che li illumina in una notte senza Luna è la debole luce che viene dai miliardi di stelle della Via Lattea. Ma anche il cielo più buio non è completamente buio. Questo ESOcast descrive lo splendido fenomeno luminoso noto come luce Zodiacale, che a volte diffonde un bagliore spettrale nei cieli sopra ai telescopi dell’ESO. Si tratta del bagliore della luce del Sole che viene riflessa verso di noi dalla polvere presente nel piano del Sistema Solare (l’eclittica), polvere che viene creata dalle collisioni tra asteroidi e dall’evaporazione delle comete. Un’altra ancora delle meraviglie naturali a cui gli astronomi hanno la fortuna di poter assistere agli osservatori dell’ESO; speriamo che anche voi possiate godervi lo spettacolo della luce Zodiacale!

Puoi iscriverti a ESOcasts su iTunes, ricevere i prossimi episodi su YouTube o seguirci su Vimeo.

Sono disponibili anche molti altri episodi di ESOcast.



Plenilunio con Giove

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Guardando verso sudovest la notte tra il 22 e il 23 marzo si potrà assistere all’ennesima congiunzione tra Luna e Giove di questo periodo.

L’ultima si era avuta il 24 febbraio e questa di marzo ne sarà quasi una ripetizione. La Luna, quasi piena e all’incirca nella stessa identica fase di allora, avvicinerà Giove fino a una distanza di 2,7° (in febbraio la separazione fu di 2,3°). La distanza minima sarà raggiunta alle 3:30 del mattino, a quell’ora i due oggetti saranno alti circa +20°.
Con un cielo trasparente e senza umidità dovremmo poter assistere a uno splendido scenario da plenilunio. La Luna sarà decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio.

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Marzo

Tutti gli eventi del cielo di marzo li trovi su Coelum Astronomia n.198

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Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Al Planetario di Ravenna

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22.03: “Einstein e la forma della
spazio: un secolo di Relatività” di Oriano Spazzoli.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Le strane macchie luminose di Cerere

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Questa rappresentazione artistica mostra una mappa dettagliata della superficie, compilata a partire dalle immagini ottenute dal satellite Dawn della NASA in orbita intorno al pianeta nano Cerere. Mostra le chiazze di materiale brillante nel cratere Occator. Le nuove osservazioni con lo spettrografo HARPS montato sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO a La Silla in Cile hanno rivelato cambiamenti inaspettati di queste macchie da un giorno all’altro, il che suggerisce che siano dovuti all’influenza della luce solare. Crediti: ESO/L.Calçada/NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/Steve Albers/N. Risinger (skysurvey.org)
In questa rappresentazione artistica una mappa dettagliata della superficie, ottenuta con le immagini dalla missione Dawn. Mostra le ormai famose macchie bianche nel cratere Occator che, dalle nuove osservazioni con lo spettrografo HARPS, hanno mostrato cambiamenti inaspettati. Crediti: ESO/L.Calçada/NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/Steve Albers/N. Risinger (skysurvey.org)

Lo spettrografo HARPS all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile ha osservato il pianeta nano Cerere, il più grande oggetto della fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Lo strumento montato sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO ha rivelato cambiamenti inaspettati nella luminosità delle macchie bianche. Queste osservazioni suggeriscono che la materia di cui sono composte possa essere volatile ed evapori grazie al calore della luce solare.

In questa immagine le macchie bianche nel cratere Occator riprese dalla sonda della NASA DAWN. Per ottenere l'immagine (a causa della forte brillantezza delle macchie) si è dovuta sommare, alla normale esposizione per riprendere la superficie di Cerere e i suoi dettagli, un'immegine con esposizione nettamente inferiore per raccogliere i dettagli delle macchie. Cliccare per vedere l'immagine a piena risoluzione (140 metri per pixel). Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

La sonda Dawn della NASA, a cui partecipa l’Italia attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana con lo strumento VIR dell’INAF, è in orbita intorno a Cerere da più di un anno e ne ha mappato la superficie in gran dettaglio. Una delle maggiori sorprese è stata la scoperta di macchie molto luminose, che riflettono molta più luce del resto della superficie circostante più scura. La più evidente di queste macchie si trova all’interno del cratere Occator e suggerisce che Cerere sia un mondo più attivo degli asteroidi vicini. Le macchie luminose erano state viste, anche se meno chiaramente, in immagini precedenti di Cerere ottenute dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA tra il 2003 e il 2004.

Secondo l’autore principale dello studio, Paolo Molaro, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste “mentre Cerere ruota, le macchie si avvicinano a Terra e poi si allontanano e questo ha un effetto sullo spettro della luce del Sole, riflessa dalla superficie, che arriva fino a Terra”.

Cerere ruota su se stesso ogni nove ore e i calcoli hanno mostrato che l’effetto dovuto al moto delle macchie in avvicinamento o allontanamento dalla Terra a causa della rotazione sarebbe stato molto piccolo, dell’ordine di 20 chilometri all’ora, ma abbastanza grande da essere misurabile tramite l’effetto Doppler con strumenti ad alta precisione come HARPS.

L’equipe ha quindi osservato Cerere con HARPS per poco più di due notti tra luglio e agosto 2015 e il risultato è stata una vera sorpresa, perché nello spettro sono state riscontrate si le variazioni attese, dovute alla rotazione di Cerere, ma con differenze considerevoli tra una notte e l’altra.

L’equipe ha concluso che i cambiamenti osservati potrebbero essere dovuti alla presenza di sostanze volatili che evaporano per effetto della radiazione solare. È stato suggerito che il materiale molto riflettente nelle macchie su Cerere possa essere ghiaccio d’acqua esposto di recente in superficie o solfato idrato di magnesio… purtroppo la fonte di questa continua perdita di materia dalla superficie non è ancora nota. Si sa che Cerere contiene al suo interno molte riserve d’acqua, ma non è ancora chiaro se le macchie luminose siano davvero legate a questa.

Ad ogni modo quando le macchie all’interno del cratere Occator sono sul lato illuminato dal Sole, si formerebbe una foschia che riflette la luce del Sole in modo molto efficiente. La foschia evaporerebbe poi rapidamente (nel giro di poche ore), perdendo riflettività e producendo i cambiamenti osservati, in modo diverso da notte a notte, con effetti casuali aggiuntivi osservati su tempi scala sia brevi che lunghi.

Se questa interpretazione venisse confermata, sarebbe un motivo in più per ipotizzare un’attività interna, Cerere si confermerebbe molto diverso da Vesta e dagli altri asteroidi della fascia principale, pur essendo relativamente isolato (la maggiorparte dei corpi del Sistema Solare con attività interna, come i grandi satelliti di Giove e Saturno, sono soggetti a forti effetti mareali a causa della vicinanza con i pianeti massicci).

Per saperne di più:

QUI l’articolo: “Daily variability of Ceres’ Albedo detected by means of radial velocities changes of the reflected sunlight”, di P. Molaro, A. F. Lanza, L. Monaco, F. Tosi, G. Lo Curto, M. Fulle e L. Pasquini

Tratto da “Un anno intorno a Cerere” di Marco Di Lorenzo (leggi l’articolo completo) – fonte: aliveuniverse.today

Di seguito una selezione (cliccare le immagini per ingradirle o sul link del nome per il formato originale) delle più belle immagini inviate ultimamente dalla sonda, sempre in attesa (spasmodica) della vista dettagliata di Occator e del suo “bright spot”.

Cominciamo la carrellata con questa suggestiva porzione di terreno nella regione polare settentrionale; l’illuminazione radente conferisce ulteriore drammaticità al terreno fortemente craterizzato (PIA20395.jpg – Image credit: NASA/JPL – Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA).

L’immagine a sinistra, di cui avevamo già pubblicato la versione 3D “a volo d’uccello”, è estratta da un mosaico che riprende la regione attorno alla celebre montagna Ahuna, con un diametro di circa 20 km e la cui altezza è stata recentemente corretta scendendo a 4 km rispetto alla pianura circostante. La genesi di questo rilievo, così isolato e diverso dal terreno circostante, rimane oggetto di speculazioni (Porzione di PIA20348.jpg – il Nord è a sinistra – Image credit: NASA/JPL-Caltech /UCLA/MPS /DLR/IDA – processing: M. Di Lorenzo (DILO)).

L’immagine qui a destra si riferisce invece alla zona a Nord-Est del grande cratere Yalode (il cui bordo con fratture è visibile in bassa a sinistra) e mostra una affascinante “bright spot” diffuso, apparentemente non legato a un evento di impatto come in genere avviene  (PIA20398 – Image credit: NASA/JPL -Caltech/UCLA /MPS/DLR/IDA).

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Associazione Ligure Astrofili Polaris

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Conferenze al Museo di Storia Naturale Aperte al pubblico e gratuite.

19.03: “Bosone di Higgs: i fisici sono piu’ appagati o delusi dalla scoperta?” di Corrado Lamberti.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Chi ha “morso” Plutone?

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L'immagine del "morso" è stata ripresa 14 luglio 2015, circa 45 minuti prima del massimo avvicinamento di New Horizons al pianeta. La risoluzione è di circa 200 m/px, per un'area complessiva di 450 km per 410 km. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI

Gli scienziati della missione New Horizons hanno scoperto uno strano marchio sulla superficie di Plutone tra le immagini inviate a terra dalla sonda. Sembra il “segno di morso”, come loro stessi lo hanno descritto nel report, e si trova nel lontano emisfero occidentale. Si ritiene che possa essere causato da un processo di sublimazione in atto, cioè dalla transizione di un elemento, probabilmente metano, direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Il gas si riverserebbe quindi nell’atmosfera, esponendo lo strato di ghiaccio d’acqua sottostante.

Il riquadro a sinistra (cliccare per ingrandire l'immagine) è stato ripreso dalla fotocamera LORRI da una 33.900 chilometri da Plutone, il nord è in alto. I dati di Leisa, a destra, sono stati raccolti, invece, da una distanza di 47.000 chilometri dal pianeta nano. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI

Questa immagine mostra l’altopiano Vega Terra in basso a sinistra, delimitato verso il centro da una scarpata frastagliata chiamata Piri Rupes che confina a sua volta con una giovane pianura quasi priva di crateri, Piri Planitia. In alto a destra, un taglio diagonale, chiamato Inanna Fossa, si estende per 600 chilometri fino al bordo della grande pianura ghiacciata Sputnik Planum, nel “cuore” del pianeta nano.

I dati del Ralph/Linear Etalon Imaging Spectral Array (LEISA), nel riquadro a destra, indicano che gli altopiani a sud delle Piri Rupes sono ricchi di ghiaccio di metano, rappresentato dal colore viola; mentre, la superficie di Piri Planitia è più ricca di ghiaccio d’acqua, colore blu (i dati di LEISA avevano già fornito una mappa della distribuzione del ghiaccio d’acqua sulla superficie di Plutone).

Osservando la topografia è evidente quindi che uno strato di metano ghiacciato ricopre le zone più elevate, mentre nelle quote inferiori è visibile solo la dura superficie di ghiaccio d’acqua (su Plutone, a causa delle basse temperature l’acqua, a differenza del metano, si comporta come se fosse roccia, dura e immutabile). Qui la sublimazione deve aver agito come un vero e proprio processo erosivo esponendo il substrato mentre, di contro, nelle aree ancora ricoperte di metano la transizione del gas ancora non si sarebbe verificata.

© Copyright Alive Universe

————————–Con fondino———————————-

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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CICLO “Il clima sulla Terra e su altri mondi”

18.03: “L’inesorabilita’ dell’astronomia: paleoclima ed evoluzione umana” di Elio Antonello.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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18.03: Osservazione al telescopio
della volta stellata (ingresso libero
– cielo permettendo).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Società Astronomica Fiorentina

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17.03: “Le lenti gravitazionali” di Andrea Antonini presso la biblioteca “Il punto lettura Luciano Gori” in via degli Abeti, Isolotto (Firenze).

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Ti porto la Luna – aprile e maggio 2016

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Se vi interessa organizzare un evento, una lezione universitaria o una conferenza dedicata a questa roccia, contattate l’organizzatore via mail presso presso info@collectionspace.it per tutti i dettagli organizzativi.

ATTENZIONE! Informazione per gli organizzatori: il
calendario sarà chiuso il 15 marzo 2016.

Durante gli appuntamenti pubblici, indicati nel calendario, potrete conoscere la storia geologica di questa roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi. Potrete inoltre osservarla da vicino e fotografarla.
Quest’anno il tour italiano sarà effettuato (in alcune località) in collaborazione con: Paolo Attivissimo,
Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.

Congiunzione Luna, Iadi e Aldebaran

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Verso le 19:15 di sera, una sottile falce di Luna crescente sarà nell’ammasso delle Iadi, circa 2° a est di Aldebaran (mag. +0,9)

La congiunzione tra Aldebaran (mag. +0,9), Iadi e Luna del giorno 14 potrà dare qualche soddisfazione in più se si avrà la pazienza di aspettare la discesa dei due oggetti verso l’orizzonte ovest, intorno alle 23:00.

Si riuscirà così a fotografare la scena sullo sfondo di un paesaggio convenientemente scelto, regalando fascino e profondità a un evento in sé abbastanza usuale. A quell’ora i due oggetti avranno un’altezza di +15° e la Luna disterà dalla stella circa 3,7°. Chi volesse coglierli ancora più vicini (circa 2°), dovrebbe invece puntarli verso le 19:00, quando però l’altezza sull’orizzonte (+55°) toglierebbe cornice all’inquadratura.

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Marzo

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ExoMars in orbita attorno alla Terra

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Questa mattina un Proton-M ha illuminato i cieli nuvolosi sopra le fredde steppe del Kazakistan. In cima al razzo, le prime due sonde del programma ExoMars hanno dato inizio alla loro lunga traversata interplanetaria che a ottobre le porterà a raggiungere Marte.

Il lancio è avvenuto con successo alle 10:31:42 ora italiana, con l’accensione dei sei motori RD-275M del primo stadio, alimentati da 419 tonnellate di dimetilidrazina asimmetrica e tetrossido di diazoto. Dopo 120 secondi circa, il testimone è passato ai quattro motori RD-0210 e RD-0211 del secondo stadio, entrati in azione a 43 km di quota e oltre 6000 chilometri orari di velocità. Dopo altri 240 secondi circa, il secondo stadio si è separato, permettendo al singolo motore RD-0123 del terzo stadio di accendersi a 129 km di quota e 16000 chilometri orari di velocità.

La separazione del terzo stadio è avvenuta in orario, 9 minuti e 42 secondi dopo il lancio. Al momento della separazione, il razzo si trovava a 153 km di quota, su una traiettoria balistica suborbitale. Poco più di un minuto e mezzo dopo, si è acceso anche il motore S5.98 dello stadio superiore, il Briz-M. La prima manovra, conclusasi poco fa, ha permesso al motore di parcheggiare le due sonde in un’orbita preliminare a 175 km di quota.

Ora, lo stadio viaggerà passivamente per più di un’ora, completando quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, prima di riaccendere il suo motore nei cieli della Russia meridionale e portarsi su una seconda orbita a 250 per 5000 km di quota, con un periodo di 2 ore. Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M completerà una terza manovra per alzare il proprio apogeo a oltre 21 mila chilometri e il periodo a 6 ore. Poi, tramite una quarta manovra, il Briz-M darà un’ultima spinta alle due sonde, spedendole alla volta di Marte.
Restate sintonizzati sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook per non perdervi gli ultimi aggiornamenti! La separazione delle due sonde è prevista per le 21:12 ora italiana di oggi.

Aggiornamento:

Dopo aver viaggiato passivamente per più di un’ora e aver completato quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, il Briz-M ha riacceso il suo motore nei cieli della Russia meridionale per portarsi su una seconda orbita a 292 per 5272 km di quota, con un periodo di 2 ore.

Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M ha completato anche la terza manovra, alzando così la propria orbita a 693 per 21079 km di quota.

Trascorse altre sei ore di relativa tranquillità (eccetto per l’espulsione di un serbatoio vuoto in modo da alleggerire lo stadio), il Briz-M si è riacceso sopra i cieli degli Stati Uniti. La quarta e ultima manovra è durata 12 minuti e 29 secondi.

Alle 21:12:45, le due sonde si sono liberate dalla presa del Briz-M, il quale ha così potuto completare il delicato compito che gli era stato assegnato. Poco dopo, lo stadio ha eseguito due manovre minori per annullare le probabilità di collisione con le due sonde o con Marte.

Altri 76 minuti più tardi, alle 22:29 ora italiana, la stazione radio keniota di Malindi, operata dall’Agenzia Spaziale Italiana, ha acquisito il segnale del Trace Gas Orbiter. Una manciata di istanti più tardi, il TGO ha aperto i suoi pannelli solari, generando una corrente di 15 Amp.

Nell’arco delle prossime settimane, le comunicazioni con il Trace Gas Orbiter verranno trasferite alle due antenne principali dell’ESA, in Argentina e in Australia. Fino al 24 Aprile, gli ingegneri saranno impegnati a verificare lo stato di salute di tutti i sistemi a bordo delle due sonde. Solo dopo potrà formalmente avere inizio la fase di crociera interplanetaria.

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Al Planetario di Ravenna

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15.03: “Le galassie interagenti” di
Massimo Berretti.
18.03: Osservazione al telescopio
della volta stellata (ingresso libero
– cielo permettendo).

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Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

SOS, Marte rischia la contaminazione?

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Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge
Un tecnico durante le ultime fasi di costruzione del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge

ALLA RICERCA DELLA VITA SUL PIANETA ROSSO

Manca davvero poco al giorno – possiamo dirlo – più importante per l’Europa degli ultimi anni, almeno per chi sul nostro continente si occupa di scienza e spazio. Perché? Il prossimo 14 marzo partirà da Baikonur, la base di lancio russa in Kazakistan, la sonda Trace Gas Orbiter di ExoMars2016, la missione dell’ESA che esplorerà, assieme al suo lander Schiaparelli, il pianeta Marte (dove arriverà verso il mese di ottobre dopo 7 mesi di “crociera” nel Sistema Solare). In realtà la missione prevede anche una seconda fase, forse ancora più emozionante, cioè ExoMars2018, quando un’altra sonda porterà sul Pianeta rosso un rover per l’esplorazione della superficie (cioè un robottino su 6 ruote che potrà unirsi alla già numerosa famiglia di rover marziani di altre agenzie spaziali).

Tra gli obiettivi più importanti dell’intera missione (era da aspettarselo) c’è la ricerca della vita su Marte. Non aspiriamo al ritrovamento di astronavi di un lontano e glorioso passato della civiltà marziana, ma più che altro alla conferma della presenza di batteri marziani soprattutto in prossimità delle zone dove è stata trovata l’acqua.

Ma il lander e il rover di ExoMars sono pronti a questa ricerca? Gli strumenti ci sono, la tecnologia è la più avanzata che oggi possiamo immaginare, ma tutto potrebbe andare storto per qualcosa di minuscolo proveniente dalla Terra: i nostri microbi. Ebbene sì, la contaminazione del Pianeta rosso è uno dei rischi che si corre inviando un manufatto terrestre sulla superficie di un altro pianeta dove speriamo di trovare forme di vita (anche se in forma batterica). Per questo la sonda e soprattutto il lander sono stati sottoposti, negli ultimi mesi di costruzione e preparazione al lancio, a una lunga trafila di decontaminazione proprio nell’hangar di Baikonur. Lo standard di pulizia è elevatissimo per evitare ogni rischio. Ma la domanda sorge in ogni caso: e se a furia di inviare robottini su Marte per cercare la vita aliena, fossimo noi stessi a contaminare il pianeta distruggendo anche quei pochi batteri rimasti?

La prima parte della missione, come detto, prevedere la discesa sulla superficie marziana del modulo EDM (Entry and Descent demostrator Module) intitolato all’ingegnere e astronomo italiano Giovanni Schiaparelli. Ricordiamo tutti il fallimentare e rovinoso arrivo del lander europeo Beagle 2, per questo i 6 minuti di discesa che dovrà affrontare in autonomia il lander Schiaparelli saranno i più lunghi della carriera dei ricercatori che hanno lavorato al progetto. Se tutto andrà come previsto, il lander e i suoi 4 preziosi strumenti opereranno per poco tempo, dai 2 ai 4 Sol (giorni marziani), sperando di non contaminare il rosso suolo marziano.

John Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l'Osservatorio Astronomico di Arcetri

Ne parliamo con John Robert Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.

Quando pensiamo alla contaminazione nello spazio, di solito ci riferiamo ai rischi che corrono gli astronauti quando compiono missioni sulla ISS. In questo caso, però, con ExoMars a correre i rischi più elevati potrebbe essere lo stesso pianeta Marte. Il lander porterà batteri sul pianeta: possono sopravvivere a questo lungo viaggio?

Marte è il pianeta del Sistema Solare più simile alla Terra e non è escluso che nel sottosuolo ci possano essere forme di vita semplici come i batteri. Scoprire la presenza di vita su Marte è uno degli obiettivi più ambiziosi della missione ExoMars. Quindi bisogna prestare molta attenzione a non contaminare Marte con organismi viventi terrestri. Questo è il compito della Planetary Protection, cioè di una serie di procedure concordate tra tutte le agenzie spaziali mondiali che hanno lo scopo di evitare la contaminazione del corpo del Sistema Solare visitato da una missione spaziale, ma hanno anche il compito di evitare che si contamini la Terra con forme di vita extraterrestri, quando frammenti di suolo marziano verranno riportati a terra per essere analizzati.

Si è dimostrato che forme di vita come i batteri, i licheni e i bizzarri tardigradi, riescono a sopravvivere alle condizioni estreme dello spazio e quindi potrebbero intraprendere un viaggio interplanetario a bordo della missione ExoMars e colonizzare il pianeta Marte. Per questo motivo le missioni robotiche che atterrano sulla superficie marziana richiedono una maggiore attenzione dovendo superare gli innumerevoli test di sterilizzazione e di rimozione di contaminanti molecolari.

E allora quali i rischi per gli eventuali batteri marziani?

Le procedure di Planetary Protection sono molto accurate, richiedono impegno e risorse che incidono molto sul costo di una missione spaziale stessa. Tutto questo viene fatto per garantire una vita quanto più serena ai batteri marziani senza cioè invadere il loro ecosistema (sempre che esista) con la vita terreste creando, così, il cosiddetto “falso positivo”. Ovvero andiamo su Marte scopriamo che c’è vita, ma ci accorgiamo che è quella che abbiamo portato noi sul pianeta.

Sono state identificate alcune regioni di Marte chiamate “regioni speciali”. Luoghi in cui gli organismi terrestri possono essere in grado di replicarsi, o dove c’è un’alta probabilità di trovare vita marziana. Allo stato attuale le regioni speciali sono definite come aree all’interno delle quali l’attività dell’acqua è alta e in cui si trovano temperature medio-calde. Queste condizioni possono trovarsi, sulla Terra, in grotte o cavità, ovvero in nicchie in cui la vita si è annidata. La missione ExoMars che verrà lanciata lunedì prossimo atterrerà nella regione Meridiani Planum studiando l’atmosfera marziana grazie allo strumento DREAMS realizzato tra Napoli e Padova (Principal Investigator Francesca Esposito, INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte – ndr). Ad ogni modo, il modulo di atterraggio (EDM), nonostante abbia subito tutte le procedure di sterilizzazione, non verrà a contatto con le regioni speciali.

Le "regioni speciali" su Marte. Regioni in cui potrebbe esserci maggiore probabilità di trovare le vita, o in cui microorganismi terrestri potrebbero per le condizioni ambientali e la maggior presenza di ghiaccio d'acqua.
Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge

In ogni caso, si rischia di distruggere la “vita” batterica marziana portando la “vita” batterica terrestre. Come evitare questa possibilità?

La probabilità che questo avvenga è praticamente nulla. Ogni singolo elemento di ExoMars sia meccanico o che faccia parte dell’elettronica è stato sottoposto a un intenso trattamento di sterilizzazione alla temperatura di 120 °C e per molti giorni, in modo da portare praticamente a zero il contenuto biologico. Se esistono batteri su Marte questi hanno un solo compito, dovranno continuare a vivere ancora per un po’ mettendosi in bella mostra quando nel 2019 arriveremo con il rover europeo ExoMars.

Cosa cambierà con l’arrivo su Marte del rover di ExoMars2?

Il rover ExoMars compirà un notevole passo in avanti rispetto a tutti i rover presenti sul suolo marziano, riuscirà a penetrare la superficie fino ad una profondità di due metri grazie ad un trapano costruito in Italia. Questo trapano preleverà campioni incontaminati dal sottosuolo marziano, dove si pensa ci sia acqua, e li distribuirà al mini laboratorio di analisi posto sul rover.

Per saperne di più:

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ExoMars è pronto al lancio

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di Simone MontrasioAstronautinews.it

Con questa operazione, supervisionata dai tecnici russi della Khrunichev e da quelli italiani di Thales Alenia Space che hanno anche effettuato una verifica elettrica sullo stato della sonda, la missione russo/europea entra quindi nelle fasi finali. TGO e Schiaparelli erano stati precedentemente uniti già a metà dello scorso mese di febbraio.

Il video dell’incapsulamento nel fairing.

Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.

Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.

Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.

Tutte le fasi del viaggio di Exomars verso Marte.

Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.

Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.

Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.

Se il lancio avverrà in orario, la separazione di ExoMars dal Breeze-M avverrà alle 21.12 CET.

L’arrivo in orbita marziana è previsto per il prossimo 19 ottobre, ma già tre giorni prima il lander Schiaparelli si sarà separato dalla sonda madre TGO che, con una serie di manovre di aerobraking, si immetterà in un orbita circolare di 400 km.
La missione di TGO (Trace Gas Orbiter), sarà quella di analizzare i gas presenti in atmosfera, identificarne le fonti e mappare la superficie. La vita operativa dovrebbe essere di ameno 6 anni.

Schiaparelli invece entrerà diretto nell’atmosfera marziana e tenterà un atterraggio controllato nella regione di Meridiani Planum, la stessa del rover NASA Opportunity, diventando così la prima piattaforma europea operativa sulla superficie di Marte.
Essendo un dimostratore di atterraggio, la sigla EDM significa infatti Entry, Descent and Landing Demonstrator Module, Schiaparelli non avrà a bordo videocamere ma solo strumenti per la raccolta di dati riguardanti le condizioni ambientali.
La sua missione è quella di testare nuove tecnologie quali scudo termico, paracadute supersonico, radar doppler e controllo dell’assetto, in vista di una seconda missione con rover prevista per il 2018 o il 2020.
Alimentato solo da batterie, la sua vita operativa sarà di circa 8 giorni.

Infografica sulla missione, traduzione a cura di Polluce Notizie

Fonte: ESA

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ASTROINIZIATIVE UAI

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EVENTI NAZIONALI UAI
13.03
: Giornata internazionale dei Planetari
A cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. L’iniziativa ha lo scopo di far conoscere al pubblico di ogni età dove si trovano queste cupole spettacolari di grandi e piccole dimensioni.
http://www.planetari.org/it/

Al Planetario di Ravenna

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13.03, dalle 10:30 alle 19:00:
GIORNATA NAZIONALE DEI
PLANETARI Telescopi, laboratori,
Conferenze e molto altro ancora.
Ingresso libero.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Gruppo Astrofili Lariani

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L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser.
Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.

13.03, ore 19:00: Oggetti da osservare: Luna al Primo Quarto, Giove con i satelliti galileiani, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso delle Pleiadi (M45), Doppio ammasso in Perseo (Ngc 869/884), Ammasso “Albero di Natale” nei Gemelli (M35), Ammassi nell’Auriga M36, M37, M38.

La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera!
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

ASTROINIZIATIVE UAI

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EVENTI NAZIONALI UAI
12-13.03
: Campagna nazionale “110 e Lode” – Grande Maratona Messier
Il più classico ed atteso appuntamento per gli astrofili amanti del deep sky: una maratona a caccia dei 110 oggetti del catalogo Messier.
La sfida osservativa, a cui partecipano astrofili di tutto il mondo, invita tutte le associazioni italiane a dedicare le notti di questo weekend alla Grande Maratona (data di riserva 2/3 aprile 2016).

http://divulgazione.uai.it

Nuove possibili tracce gravitazionali di un nono pianeta nel sistema solare

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Poco più di un mese fa, due astronomi avevano catturato l’attenzione della comunità scientifica, annunciando la scoperta di importanti indizi a favore della presenza di un massiccio pianeta nella periferia del Sistema Solare. Nonostante tale pianeta non sia ancora stato osservato — e perciò la sua natura rimane tutt’oggi quella di “pianeta ipotetico” — gli indizi a favore della sua esistenza si stanno facendo sempre più importanti.

Ora, altri tre ricercatori del Lunar and Planetary Laboratory presso l’Università dell’Arizona sostengono di aver osservato nuove tracce gravitazionali lasciate dal nono pianeta. La nuova analisi si è concentrata sui sei più lontani oggetti della fascia di Kuiper, o KBO. Analizzando i loro moti orbitali, i ricercatori sono giunti alla conclusione che questi sei membri della gelida periferia del Sistema Solare potrebbero essere intrappolati in una risonanza orbitale con il nono pianeta. Le ricostruzioni delle dinamiche orbitali suggeriscono che questi sei mondi abbiano partecipato a un numero limitato di incontri gravitazionali, ma che sarebbero stati sufficienti a spostare i sei KBO sulle orbite eccentriche e inclinate in cui si trovano oggi. Allo stesso tempo li avrebbero anche portati a orbitare in risonanza con il nono pianeta, escludendo così la possibilità di nuovi incontri più estremi che si sarebbero potuti concludere con la completa espulsione dei KBO dal Sistema Solare. Un meccanismo simile è all’opera tra Plutone e Nettuno, e impedisce che il gigante ghiacciato spedisca il pianeta nano su una traiettoria di fuga dalla nostra casa celeste.

I periodi orbitali dei sei KBO rispetto a quello dell'ipotetico nono pianeta. Source: arXiv:1603.02196v1

I ricercatori si sono concentrati su Sedna, 2010 GB174, 2004 VN112, 2012 VP113, (148209) e 2013 GP136. Questi sei lontani mondi sono tutti caratterizzati da semiassi maggiori di oltre 150 unità astronomiche. Le loro inclinazioni orbitali rispetto all’eclittica vanno da 11.9 a 33.5 gradi — numeri non particolarmente degni di nota per quanto riguarda la fascia di Kuiper. Tuttavia, questi mondi vantano eccentricità fuori dal comune — in tutti i casi maggiori di 0.7 — il che suggerisce che in passato siano stati oggetti di forti perturbazioni orbitali.

«Un sintomo dovuto alle risonanze orbitali è che i periodi orbitali dei KBO dovrebbero essere tra di loro pari a rapporti tra numeri interi piccoli,» scrivono i ricercatori. «Esaminando i periodi orbitali e ordinandoli dal più lungo a quello più corto (dunque ponendo il periodo di Sedna come primo), il rapporto tra il periodo di Sedna e quello degli altri cinque KBO risulta essere, rispettivamente: 1.596, 1.993, 2.666, 3.303, 6.115». Questi valori sono sufficientemente vicini ai rapporti 8/5, 2/1, 8/3, 10/3 e 6/1 da aver spinto i ricercatori a proseguire le loro analisi. I loro semiassi maggiori e l’incertezza associata sono i seguenti: 506.84 ± 0.51, 350.7 ± 4.7, 319.6 ± 6.0, 265.8 ± 3.3, 221.59 ± 0.16, 149.84 ± 0.47. Successivamente, sono stati valutati tre scenari di risonanza orbitale tra Sedna e l’ipotetico nono pianeta: 2/1, 3/2 e 4/3. Le simulazioni mostrano che il caso più interessante è senza dubbio quello di una risonanza orbitale 3 a 2, la quale produce risonanze 5/2, 3/1, 4/1, 5/1 e 9/1 per gli altri cinque oggetti.

Le due possibili orbite del nono pianeta: una inclinata di 18°, l'altra di 48°. Le aree nere sono quelle in cui il pianeta non si può attualmente trovare. Source: arXiv:1603.02196v1

Dati alla mano, gli scienziati hanno valutato le implicazioni di questi risultati sulla posizione attuale del pianeta fantasma. Le simulazioni hanno così permesso di ottenere le due più probabili orbite su cui si potrebbe attualmente trovare il nono pianeta, messo che esista davvero: una inclinata di 18 gradi rispetto all’eclittica (e quindi in pratica coplanare alle orbite dei sei KBO) e una inclinata i 48 gradi. In entrambi i casi, l’orbita avrebbe un semiasse maggiore di 665 unità astronomiche e un periodo orbitale di 17111 anni circa. Ciascuna delle due opzioni di inclinazione ha i propri vantaggi a livello di stabilità dinamica, il che le rende egualmente interessanti e plausibili.

I ricercatori concordano con la massa di dieci Terre indicata dagli studi precedenti, suggerendo però che, nel caso dell’inclinazione di 48 gradi, l’ipotetico pianeta potrebbe essere leggermente più massiccio. Riguardo la posizione attuale del nono pianeta, i dati hanno permesso ai tre ricercatori di escludere poco più della metà di ciascuna orbita. A seconda che il pianeta, sempre che esista, sia leggermente più massiccio o leggero, le aree escluse diventerebbero un po’ più grandi o piccole, rispettivamente. L’analisi, a detta degli stessi autori dello studio, si è rivelata particolarmente difficile a causa delle grandi incertezze nei parametri orbitali di questi lontani mondi. I risultati, pertanto, sono da prendere con le pinze. «Le nostre analisi supportano l’ipotesi di un distante pianeta, ma non dovrebbero essere considerate prove definitive della sua esistenza,» ammettono.  «I rapporti tra i periodi orbitali sono caratterizzati da significative incertezze, perciò le coincidenze osservate potrebbero essere semplicemente dovute al caso, visto il numero ridotto di oggetti analizzati. Nonostante ciò, la possibilità di risonanze orbitali potrebbe essere usata in futuro per prevedere e scoprire ulteriori pianeti massicci nel sistema solare esterno, fornendo un motivo in più per continuare a studiare le dinamiche del sistema solare».

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

11.03: “Galassie e ammassi: come ingrassano i giganti del cosmo” Sabrina De Grandi.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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11.03: “Preparazione alla Maratona Messier” con Mario Bertolotto.
11.03: Osservazione della Luna in Corso Italia.

Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066
info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Società Astronomica Fiorentina

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11.03: Corso di Osservazione del Cielo: “Fotografare Giove” con Guido Betti.

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Non di solo Giove…

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Due straordinarie immagini del transito di Io e della sua ombra su Giove, riprese da Damian Peach nel 2009 (www.damianpeach.com/jup_09.htm)

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Clicca qui sopra per leggere l'articolo completo con i consigli per osservare al meglio Giove, e le sfide "fotografa gli anelli di Giove" e "osservare a occhio nudo i satelliti medicei".

Il passaggio all’opposizione del pianeta maggiore del nostro Sistema Solare, di cui potete leggere i consigli all’osservazione nella puntuale guida curata da Daniele Gasparri in Coelum n. 198 (che, lo ricordiamo, è ora liberamente consultabile e scaricabile qui senza oneri), permette anche di seguire uno dei fenomeni più entusiasmanti della nostra corte di pianeti: il moto dei satelliti medicei.

Io, Europa, Ganimede e Callisto, nel loro veloce orbitare attorno a Giove, infatti, ne arricchiscono quasi quotidianamente il disco con le loro sagome e con le ombre che proiettano sul suo già variegato strato gassoso.

I fenomeni cui danno luogo sono suddivisi in quattro tipologie.

Le Eclissi: un satellite passa attraverso il cono d’ombra di Giove.

Le Occultazioni: un satellite è direttamente occultato dal disco di Giove.

I Transiti: un satellite transita davanti al disco di Giove.

I Transiti d’ombra: quando l’ombra di un satellite passa sul disco del pianeta.

Per agevolare l’osservazione delle lune, e dei fenomeni cui danno vita, in marzo troverete utili il grafico qui sotto e le tabelle in cui sono riportate giorno per giorno il loro moto, le dimensioni apparenti delle lune, la luminosità e le loro distanze dal centro del loro pianeta; infine l’elenco dei fenomeni osservabili in marzo e le animazioni degli eventi multipli.

Il grafico mostra l’aspetto reale (nord in alto, est a sinistra) dei satelliti rispetto a Giove nel periodo. Cliccare per ingrandire.

Di grande utilità anche questa applicazione della British Astronomical Association per calcolare le posizioni dei satelliti per qualsiasi orario.

Ed infine, alcuni suggerimenti di Daniele Gasparri e la sfida osservativa proposti in Coelum 198.

Disegnare il gigante gassoso e la corte dei satelliti è una delle attività osservative più interessanti e appaganti. Risolti ad almeno 200 ingrandimenti, le ombre dei satelliti sul disco non saranno più dei puntini ma dei cerchietti. I più coraggiosi possono provare a osservarli con ingrandimenti a partire dalle 250-300 volte.

Se la serata è davvero favorevole dal punto di vista atmosferico e il telescopio è ben collimato e in temperatura con l’ambiente esterno, le piccole lune mostreranno dei minuscoli dischetti estesi per poco più di un secondo d’arco. Il più grande, Ganimede, che è anche il satellite maggiore del Sistema Solare, potrebbe persino mostrare una macchia scura sulla sua superficie: si tratta della Galileo Regio, una regione identificata dalla sonda Galileo negli anni ‛90 e che adesso è alla portata degli osservatori più esperti.

Una bella sfida per testare la vostra capacità di osservazione e la qualità del vostro strumento. In fotografia, la Galileo Regio di Ganimede è alla portata di telescopi di 15 centimetri, forse anche meno.
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Una sfida osservativa

Desideriamo poi riproporre una difficile sfida ai lettori di Coelum. Si tratta di un mistero osservativo di cui si parla spesso, ma che ancora oggi non ha trovato una risposta definitiva: si possono scorgere a occhio nudo i satelliti di Giove?

È fuor di dubbio che la luminosità dei galileiani, con magnitudini medie comprese tra la +4,5 e la +5,5, dovrebbe in via teorica garantire la loro osservabilità anche senza l’ausilio di strumenti ottici. E anche le loro distanze angolari da Giove, a ben guardare, sembrerebbero più che sufficienti per una comoda separazione ad occhio nudo, almeno per quanto riguarda i due più esterni. La stessa teoria, ma soprattutto il buon senso, ci dicono infatti che Ganimede e Callisto dovrebbero essere i più facili (o se preferite, i meno difficili) da scorgere, mentre per Europa le probabilità calano di parecchio; pochissime o nessuna speranza, invece, di vedere il piccolo Io che si mantiene sempre troppo vicino al gigante gassoso (continua a leggere su Coelum 198).
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Tutte le risorse a disposizione:

I mari di Titano. Nuove foto e nuove ipotesi sulle misteriose “isole magiche”

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Credit: NASA/JPL-Caltech/ASI/Cornell

La sonda americana Cassini ha scattato nuove fotografie che documentano l’evoluzione di una misteriosa struttura transiente in Ligeia Mare, uno dei vasti bacini di idrocarburi liquidi che costellano la superficie di Titano, luna di Saturno. Le misteriose strutture sono caratterizzate da una luminosità molto variabile, tanto da scomparire del tutto in alcuni scatti. I dati raccolti da Cassini suggeriscono che queste variazioni possano essere dovute a onde, solidi galleggianti o bolle, escludendo invece la possibilità che si tratti di maree, variazioni del livello del mare o cambiamenti nel fondale.

Il radar di Cassini ha fotografato questa regione di Titano quattro volte: prima nel 2007, poi nel 2013, poi ancora nel 2014 e infine nel 2015. La struttura risulta visibile solo nelle immagini scattate nel 2013 e nel 2014. Cassini darà un’ultima occhiata a questa regione nell’Aprile del 2017, durante il suo ultimissimo incontro ravvicinato con l’affascinante luna di Saturno.

Nel corso degli anni, Cassini ha identificato una manciata di strutture simili, una delle quali è situata nel Mare Kraken. Secondo gli scienziati, queste strutture sono le prime prove della presenza di processi attivi nei mari e laghi di Titano. La loro natura transiente dimostra come i bacini di Titano siano ambienti tutt’altro che stagnanti.

Ligeia Mare è il secondo più vasto bacino di idrocarburi su Titano, coprendo una superficie totale di 130 mila chilometri quadri.

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Società Astronomica Fiorentina

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09.03: Osservazione pubblica e apertura Biblioteca. Nella stessa serata sarà possibile poter usufruire della biblioteca e i nostri esperti, tramite le attrezzature dell’associazione, permetteranno ai presenti di poter osservare i principali oggetti celesti del periodo.

Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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08.03: “8 Marzo…Le donne
dell’astronomia” di Gianfranco
Tigani Sava (ingresso gratuito per le
donne).

info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

Giove in opposizione: tutti i consigli e una sfida per i più esperti!

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Cliccare sull'immagine per l'articolo completo su Coelum 198, ora solo in formato digitale e completamente gratuito!

Giove, il gigante gassoso, il pianeta più bello da osservare e fotografare, sarà in opposizione l’8 marzo, puntuale dopo 13 mesi dalla scorsa apparizione. Si apre quindi ufficialmente il periodo più bello dell’anno per l’osservazione dei pianeti perché entro l’estate arriveranno Marte, Saturno e l’atteso transito di Mercurio sul Sole del 9 maggio!

Indice dei contenuti

Osservare Giove

Se avete un telescopio da poco tempo e aspettate l’occasione giusta per osservare qualcosa che vi faccia rimanere a bocca aperta, Giove fa al caso vostro.

Ricordo ancora molto bene la prima volta che lo trovai, casualmente, con il mio piccolo rifrattore da 80 mm. Al contrario di tutte le stelle che ingenuamente puntavo sperando di osservare chissà cosa, quella “stella”, così brillante nel cielo, all’oculare non si mostrava più puntiforme e dalla luce tremolante. All’inizio pensai a un errore di messa a fuoco ma poi, già a 70 ingrandimenti, quel piccolo batuffolo di luce divenne una palla visibilmente ovale, con sovraimpresse due nitide bande marroni che correvano parallele da una parte all’altra e puntavano nella stessa direzione di quattro stelline allineate lungo lo stesso piano. Non vidi altro in quella prima esperienza, ma tanto bastò per ripetere l’appuntamento con il gigante nei giorni e nelle settimane successive. E mai scelta fu più azzeccata perché Giove premia sempre i suoi assidui osservatori, mostrando via via nuovi dettagli. continua a leggere

Una sfida per astrofotografi esperti

Chi mi conosce sa che spesso mi piace concludere gli articoli osservativi lanciando qualche sfida che cerchi di sfruttare il grande potenziale della strumentazione amatoriale.

Per Giove ho in mente qualcosa da diversi anni, senza che abbia mai avuto la possibilità di provare sul campo la mia idea. Per questo motivo lancio una sfida agli astrofotografi esperti, ma non necessariamente di riprese planetarie, anzi. Giove ha un debolissimo sistema di anelli che, in condizioni normali, è impossibile da osservare e fotografare perché diverse migliaia di volte più debole del disco. Tuttavia, credo che sia ormai possibile riuscire a riprendere gli anelli di Giove anche con una strumentazione relativamente modesta, come un telescopio da 20-25 centimetri.

Per l’impresa − ripeto, quasi impossibile − si deve quindi usare una strumentazione e una tecnica tipiche delle riprese del profondo cielo: una camera CCD monocromatica, meglio se raffreddata, ma anche una camera planetaria può andare bene, una scala dell’immagine compresa tra 0,5 e 0,8 secondi d’arco su pixel (non si lavora ad alta risoluzione) e uno strumento luminoso (f4-6,3) aiuta senza dubbio. [continua a leggere]

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti nel Cielo di Marzo

Leggi l’articolo completo su Coelum 198 di marzo

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Hubble abbatte ogni record di distanza

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Questa immagine mostra GN-Z11 (nell’inserto): la galassia più distante scoperta fino ad ora. L’oservazione è stata realizzata grazie alla Wide Field Camera 3 a bordo del telescopio spaziale Hubble di NASA ed ESA, e ha permesso di datare l’epoca in cui si trova la galassia, ovvero quando l’Universo aveva appena 400 milioni di anni. Crediti: NASA, ESA, e P. Oesch (Yale University)

Utilizzando il telescoio spaziale Hubble di NASA ed ESA, un team internazionale di astronomi ha misurato la distanza di una nuova galassia, chiamata GN-Z11. Sebbene sia estremamente debole, la galassia è insolitamente brillante, considerata la sua distanza da Terra: quasi 13.5 miliardi di anni luce. La misura della distanza di GN-Z11 offre una forte evidenza a favore di altre osservazioni di galassie lontane e inaspettatamente luminose, dimostrando che ci stiamo avvicinando sempre di più alle prime galassie che si sono formate nell’Universo.

In precedenza, gli astronomi avevano stimato la distanza di GN-Z11 analizzando il suo colore nelle immagini raccolte con Hubble e con il telescopio spaziale Spitzer della NASA. Ora, per la prima volta nel caso di una galassia ad una distanza così estrema, il team è riuscito a sfruttare la Wide Field Camera 3 (WFC3) a bordo di Hubble per misurare con precisione la distanza di GN-Z11 grazie ai dati spettroscopici estremamente accurati.

«Le nostre osservazioni spettroscopiche rivelano che la galassia si trova ancora più lontano di quanto avevamo inizialmente ipotizzato, proprio al limite degli oggetti che possono essere visti da Hubble», spiega Gabriel Brammer dello Space Telescope Science Institute, co-autore dello studio.

Il risultato ottenuto pone GN-Z11 a una distanza che si pensava sarebbe stata raggiunta solo dall’imminente James Webb Space Telescope (JWST), il progetto frutto della collaborazione tra NASA, Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Spaziale Canadese. JWST è stato indicato il successore di Hubble e il suo lancio è previsto per il 2018.

«Abbiamo fatto un enorme viaggio indietro nel tempo, ben oltre quello che ci saremmo mai aspettati di poter fare con Hubble», dice Pascal Oesch della Yale University, primo autore dello studio. «Siamo riusciti a guardare così lontano da arrivare a misurare la distanza di una galassia che si trova nell’epoca in cui l’Universo aveva solo il 3 percento della sua età attuale».

Per determinare distanze così grandi gli astronomi calcolano il redshift dell’oggetto, ovvero lo spostamento verso il rosso della sua luce. Questo fenomeno è la conseguenza dell’espansione dell’Universo: ogni oggetto distante sembra allontanarsi da noi, e di conseguenza la sua luce viene stirata verso lunghezze d’onda maggiori, che nello spettro ottico sono quelle rosse.

La galassia che deteneva il record precedente si chiama EGSY8p7 e ha un redshift di 8.68. Per GN-Z11 il valore confermato da questo ultimo lavoro è pari a 11.1, che corrisponde a 400 milioni di anni dopo il Big Bang.

Illustrazione della linea temporale in cui sono indicate le fasi principali di vita dell’Universo: da oggi (a sinistra) fino al Big Bang, 13.8 miliardi di anni fa (a destra). La galssia appena scoperta, GN-Z11, si trova a un redshift di 11.1, che corrisponde a 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Nell’immagine viene segnalata anche la galassia che deteneva il record precedente, e che si trova a un redshift di 8.68. Crediti: NASA, ESA e A. Field (STScI)

«La galassia EGSY8p7 si trova immersa nell’epoca in cui la luce delle stelle nelle galassie primordiali ha cominciato a riscaldare e mettere in moto nubi di idrogeno gassoso e freddo», spiega Rychard Bouwens dell’Università di Leiden, co-autore dello studio. «Questo periodo di transizione è noto con il nome di “epoca della reionizzazione”. GN-Z11 è stata osservata 150 milioni di anni prima, quando questa transizione dell’Universo stava avendo inizio».

La combinazione delle osservazioni raccolte da Hubble e Spitzer ha mostrato che la giovanissima galassia è 25 volte più piccola della Via Lattea e ha solo l’1% di massa sotto forma di stelle, in confronto alla nostra galassia. Tuttavia, il numero di stelle nella galassia neonata è in rapida crescita: sta sfornando stelle a un tasso 20 volte superiore a quello attuale della Via Lattea. Questo tasso di formazione stellare altissimo rende la galassia luminosa, seppure remota, e per questo Hubble ha potuto osservarla e analizzarla in dettaglio.

La scoperta di questa galassia, però, pone anche nuovi dilemmi, poiché l’esistenza di un oggetto così luminoso e relativamente grande non era previsto dalla teoria. «È incredibile che una galassia così massiccia sia esistita solo 2-300 milioni di anni dopo che si sono iniziate a formare le prime stelle. Occorre una crescita molto rapida, una produzione di stelle ad un tasso enorme, per poter ottenere una galassia da un miliardo di masse solari in un’epoca così lontana», spiega Garth Illingworth dell’Università della California a Santa Cruz.

Marijn Franx, membro del team che ha effettuato la scoperta e ricercatore presso l’Università di Leiden, sottolinea: «La scoperta di GN-Z11 è stata una grande sorpresa per tutti noi, poiché un nostro lavoro precedente indicava che galassie così luminose non potevano esistere in epoche tanto remote della vita dell’Universo». Il suo collega Ivo Labbe aggiunge: «GN-Z11 ci ha dimostrato che la nostra conoscenza dell’Universo primordiale è ancora molto limitata. Come questa galassia si sia potuta creare rimane un mistero, per ora. Stiamo forse vedendo le prime generazioni di stelle che si formano intorno ai buchi neri centrali delle galassie?».

Questo risultato fornisce un’allettante anteprima di ciò che potremo ottenere con il JWST. «Questa scoperta dimostra che JWST potrà sicuramente scovare molte di queste galassie primordiali, risalenti all’epoca in cui l’Universo stava formando le prime galassie», conclude Illingworth.

Per saperne di più:

Leggi l’articolo pubblicato su The Astrophysical Journal “A Remarkably Luminous Galaxy at z=11.1 Measured with Hubble Space Telescope Grism Spectroscopy” di P. A. Oesch, G. Brammer, P. G. van Dokkum, G. D. Illingworth, R. J. Bouwens, I. Labbe, M. Franx, I. Momcheva, M. L. N. Ashby, G. G. Fazio, V. Gonzalez, B. Holden, D. Magee, R. E. Skelton, R. Smit, L. R. Spitler, M. Trenti e S. P. Willner
Guarda il servizio video su INAF-TV:

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FRASCATI SCIENZA: a cavallo delle onde, ascoltando lo Spazio-Tempo

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La prova che lo spazio-tempo possa essere curvato stimola la fantasia degli addetti ai lavori. Finalmente l’Universo può essere ascoltato attraverso nuovi strumenti aprendo l’orizzonte a spazi di conoscenza inaspettati. Ma quali gli scenari e le implicazioni che derivano dalla registrazione del segnale generato dalla fusione di due buchi neri? Come impiegare le onde gravitazionali? E a quale scopo?

Se ne parlerà venerdì 11 marzo, alle ore 17:00, presso il SAPERmercato di Frascati, durante l’eventoAscoltando lo Spazio-Tempo dedicato alle onde gravitazionali e alle loro possibili applicazioni.

L’incontro, organizzato dall’Associazione Frascati Scienza è parte degli eventi di lancio della Notte Europea dei Ricercatori 2016progetto promosso dalla Commissione Europea, coordinato e realizzato da Frascati Scienza.

Ospite d’eccezione, Paola Puppo, ricercatrice dell’INFN di Roma, membro della collaborazione internazionale LIGO-Virgo che ha annunciato la scoperta delle onde gravitazionali rivelate dagli interferometri statunitensi LIGO. In particolare, la Dott.ssa Puppo fa parte del team che si occupa delle sofisticate sospensioni degli specchi dell’interferometro Virgo di Cascina (Pisa), che ne attenuano le vibrazioni sismiche e termiche. È questo un punto di forza delle antenne gravitazionali che ha permesso di raggiungere sensibilità tali da captare il flebile segnale dell’onda gravitazionale proveniente dalla ‘danza’ finale di due buchi neri che si uniscono fino a formare un unico buco nero di massa più grande.

Ma oltre la scoperta, che dimostra accora una volta la validità della più bella teoria mai pensata dall’uomo, e alla magnificenza della tecnologia che ha permesso di raggiungere la sensibilità necessaria alla scoperta, cosa ci riservano le onde gravitazionali nel futuro?

L’incontro si svolgerà presso il SAPERmercato, ex mercato coperto di Frascati, una vera e propria installazione urbana della scienza e della conoscenza. Una realtà che è nata durante l’ultima edizione della Notte Europea dei Ricercatori e che rappresenta un sistema innovativo per diffondere contenuti scientifici ai cittadini, il ‘Saper Comune’ in un luogo inconsueto per la scienza.

L’evento è GRATUITO.

Clicca qui per iscriverti

info: www.frascatiscienza.it
tel: 06 83390544
email: info@frascatiscienza.it

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Congiunzione Luna Venere nel crepuscolo del mattino

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Verso le 6:15 del giorno 7 ci sarà l’occasione di mettere alla prova la propria acuità visiva cercando Venere nei pressi della Luna. A quell’ora, una sottilissima falce di Luna calante sarà appena sorta sull’orizzonte di est-sudest e avrà un’altezza di +7,5°, mentre Venere si troverà circa 3° più a sud alta solo +4,5°.

La difficoltà consisterà nel riuscire a vedere i due oggetti in un cielo già praticamente diurno, con il Sole sotto l’orizzonte di appena −4°. Sarà probabilmente necessario aiutarsi con un binocolo.

Tutte le effemeridi di Sole, Luna e pianeti sul Cielo di Marzo

Tutti gli eventi del cielo di marzo li trovi su Coelum Astronomia n.198

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Kelly e Kornienko sono tornati: conclusa la missione “One Year”

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di Marco ZambianchiAstronautinews.it

L’astronauta NASA Scott Kelly e il collega russo Mikhail Kornienko sono tornati sulla Terra questa mattina, mercoledì 2 marzo, alle ore 05:26 italiane, concludendo la missione One Year dopo 340 giorni a bordo della ISS. Nella Soyuz TMA-18M si trovava anche un secondo cosmonauta, il russo Sergey Volkov, che era arrivato sulla Stazione lo scorso 4 settembre.

Il trio ha toccato il suolo a sudest della città di Dzhezkazgan, una località al centro del Kazakistan.

“La missione One Year di Scott Kelly sulla ISS ci ha aiutato a far progredire il programma americano di esplorazione dello spazio profondo e di esplorazione umana di Marte”

ha dichiarato l’amministratore della NASA Charles Bolden.

“Scott è diventato il primo americano a passare un intero anno nello spazio, aiutandoci a compiere un enorme balzo verso l’obiettivo di sbarcare su Marte.”

Durante la missione da record, l’equipaggio ha compiuto circa 400 attività di ricerca per conto della NASA, a beneficio dell’intera umanità. Kelly e Kornienko hanno specificamente partecipato ad una serie di studi per raccogliere informazioni relativamente ad una spedizione verso Marte, con particolare riguardo a come il corpo umano si adatta all’assenza di peso, all’isolamento, alle radiazioni ed allo stress di un volo spaziale di lunga durata. Il gemello di Scott, Mark Kelly, ha partecipato in parallelo a studi sulla Terra per aiutare gli scienziati a comparare gli effetti dello spazio sul corpo a livello cellulare, così come sulla mente.

Una particolare ricerca ha esaminato come i fluidi corporei si ridistribuiscono nella parte superiore del corpo in assenza di peso. Questi cambiamenti si possono associare a cambiamenti fisici osservabili e anche ad un possibile incremento della pressione intracranica, due sfide che vanno ben comprese prima che gli esseri umani possano lasciare l’orbita terrestre bassa. Lo studio ha fatto uso del dispositivo russo Chibis per “spingere” nuovamente i fluidi verso le gambe, mentre gli occhi dell’astronauta-cavia venivano esaminati per captare ogni cambiamento. NASA e Rososmos sono già al lavoro per continuare congiuntamente esperimenti sulla redistribuzione dei fludi corporei con i prossimi partecipanti a missioni sulla Stazione Spaziale.

L’equipaggio ha sfruttato la particolare orbita della ISS, che passa sopra il 90% circa delle zone abitate della Terra, per monitorare e fotografare il nostro pianeta. Ha dato il benvenuto ad un nuovo strumento scientifico per gli studi sulla materia oscura e condotto dimostrazioni tecnologiche volte al sempre maggiore sviluppo di innovazioni, inclusi test su sistemi di controllo di veri e propri sciami di satelliti.

Kelly e Kornienko hanno visto l’avvicendarsi di ben sei veicoli cargo durante il loro volo. In particolare Kelly è stato coinvolto nella cattura di due veicoli cargo di contraenti NASA, la Dragon CRS-6, di SpaceX, e la quarta missione Cygnus, di Orbital. Un cargo giapponese HTV e tre Progress russe hanno poi completato la consegna di svariate tonnellate di rifornimenti.

Kelly ha poi condotto tre attività extraveicolari nella prima si è adoperato alla stesura di cavi utili al nuovo portello di attracco del lato USOS, che verrà usato dalle navette dei contraenti NASA. Nella seconda ha effettuato manutenzioni al circuito di distribuzione dell’ammoniaca del sistema di raffreddamento della ISS. La terza EVA lo ha visto impegnato nel ripristino del funzionamento del “carrellino” MTS, che scorre sul traliccio (Truss) della ISS.

Durante la missione One Year sono stati dieci in totale gli astronauti a bordo della Stazione, in rappresentanza di sei nazioni diverse: USA, Russia, Giappone, Danimarca, Kazakistan e Inghilterra.

Al termine di questo volo il “ruolino” di Kelly è arrivato a ben 520 giorni di permanenza nello spazio, il record per gli astronauti americani. Kornienko ha invece passato in volo 516 giorni, con Volkov che ha invece toccato quota 548.

Ad occuparsi della ISS sono ora i ragazzi di Expedition 47, al comando dell’americano Tim Kopra. Il trio Tim Kopra, Tim Peake e Yuri Malenchenko continueranno a lavorare nella Stazione fino all’arrivo del loro cambio, previsto tra un paio di settimane: il prossimo 18 marzo infatti Jeff Williams della NASA, insieme ai russi Alexey Ovchinin e Oleg Skripochka partiranno da Baikonur, Kazakhstan, a bordo di una nuova missione Soyuz.

Le statistiche, a cura di Paolo Baldo

Questo è stato anche l’atterraggio numero 300 nella storia dei voli orbitali con equipaggio. Questa stessa Soyuz (TMA-18M) era stata protagonista del lancio numero 300.

Volkov, con i suoi 548 giorni passati nello spazio, entra nella Top Ten di tutti i tempi inserendosi proprio al decimo posto e scalzando il connazionale Vinogradov, fermo a 547 giorni.

Kornienko invece si issa al terzo posto assoluto considerando la media di giorni passati nello spazio in ogni missione, con 258 giorni (di media appunto) in ognuna delle sue due missioni. In questo è superato solo dai connazionali Polyacov e Manarov (anche loro con due missioni).

Kornienko diventa inoltre l’astronauta russo più anziano di sempre ad essere rientrato dal suo secondo volo spaziale (55,9 anni) superando i 53,4 anni di Tokarev.

Sempre a proposito di età, questo è stato l’equipaggio più anziano (50,3 anni di media) ad essere rientrato a Terra nel mese di marzo, superando i 48,8 anni dell’equipaggio della navetta Discovery (STS-133) rientrato il 9 marzo 2011.

In ambito ISS, con il passaggio del comando da Kelly a Kopra, per la prima volta tre Expedition consecutive sono comandate da astronauti americani (Kelly la 45 e 46 e ora Kopra la 47). Curiosamente Malenchenko, attualmente alla sua quarta missione di lunga durata sulla ISS, ne ha comandata solo una, la prima che ha fatto (Expedition 7). Nelle altre tre occasioni è stato comandato da Peggy Whitson, Sunita Williams e ora Timothy Kopra. Per confronto, Padalka ha comandato tutte e quattro le sue missioni di lunga durata.

Tutti e tre gli astronauti rientrati oggi sono nella Top Ten per giorni di permanenza complessiva sulla ISS. Volkov è al terzo posto con 541 giorni (ed al primo fra coloro che ci sono saliti “solo” tre volte), Kornienko e Kelly rispettivamente all’ottavo e nono posto. Kornienko inoltre è al primo posto fra quelli che sono saliti a bordo solo due volte.

Volkov è il più giovane astronauta ad aver lasciato per la terza volta la ISS con i suoi 42,9 anni superando i 43,6 anni di Stephanie Wilson.

La Soyuz TMA-18M è stato il veicolo che ha passato il maggior tempo agganciato al boccaporto di Poisk (180 giorni), superando i 174 giorni della TMA-18 stabiliti fra aprile e settembre 2010. Curiosamente a bordo di quella Soyuz, sia al lancio che all’atterraggio, ci fu lo stesso Kornienko.

Immagine in evidenza: (C) NASA Tv

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http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=24892.0

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MAVEN spia una luna marziana nell’ultravioletto

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Tra fine novembre e inizio dicembre 2015, la sonda americana MAVEN in orbita attorno a Marte ha effettuato una serie di passaggi ravvicinati accanto a Phobos, calandosi fino a una distanza di soli 500 chilometri dalla luna del Pianeta Rosso. La sonda americana ha puntato quasi tutti i suoi sensori in direzione dell’enigmatica luna, nel tentativo di far luce sulla sua misteriosa origine. La fotocamera IUVS, in particolare, è riuscita a spiare la superficie di Phobos nell’ultravioletto, raccogliendo preziose informazioni sulla sua composizione.

Credits: CU/LASP and NASA

Le immagini mostrano la luce solare riflessa dalla superficie di Phobos nel medio ultravioletto, reso in arancione. Sullo sfondo, il colore blu rivela la luce ultravioletta emessa a 121.6 nanometri di lunghezza d’onda, corrispondente alle radiazioni elettromagnetiche disperse dall’idrogeno che popola gli strati esterni dell’atmosfera marziana.

Confrontando le analisi spettrali della superficie di Phobos con quelle di asteroidi e meteoriti, gli scienziati potranno confermare o meno la sospetta origine asteroidale della luna: non è ancora chiaro, infatti, se Phobos sia un asteroide catturato dalla gravità di Marte oppure se si sia formato già in orbita attorno al Pianeta Rosso. Secondo gli scienziati, i dati raccolti da MAVEN nell’ultravioletto saranno anche in grado di smascherare eventuali molecole organiche sulla superficie, la cui presenza è stata suggerita dai dati raccolti dalla sonda europea Mars Express.

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Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”

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Dal 6 al 13 marzo a Villa Farsetti, S. Maria di Sala (VE)
Alla mostra potrai trovare: un Planetario della capienza di oltre 50 persone; la simulazione di un viaggio spaziale; la ricostruzione in scala, sul parco, del Sistema Solare;
Ricostruzione tridimensionale della costellazione del Grande Carro; un Pendolo di Foucault; una Mostra di strumenti di osservazione osservazione; una Mostra del libro scientifico e pubblicistica specializzata (per una descrizione più dettagliata vedi anche qui).
E ancora, una serie di postazioni interattive e con la guida dei nostri soci su: i messaggi della luce; quanto pesiamo sugli altri Pianeti?;
Immagini e suoni dallo spazio del profondo cielo; Giocando con la Fisica; Macchie e protuberanze solari; Le costellazioni dello zodiaco e la precessione degli equinozi …e tante altre cose curiose e interessanti!
www.astrosalese.it

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