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È morto l’astronauta Edgar Mitchell

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di Paolo BaldoAstronautinews.it

Giovedì 4 febbraio si è spento, all’età di 85 anni, l’astronauta Edgar Mitchell, che proprio il 5 febbraio di 45 anni fa divenne il sesto uomo a mettere piede sulla Luna. I familiari hanno reso noto che la morte, avvenuta verso le ore 22, lo ha colto nel sonno mentre Mitchell si trovava in una casa di cura a Lake Worth, in Florida, a seguito di una breve malattia.
Nato il 17 settembre 1930 a Hereford, in Texas, Edgar Dean Mitchell fu selezionato dalla NASA nel 1966, con il quinto gruppo di astronauti. Nel 1964 aveva conseguito un dottorato in aeronautica e astronautica presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Ufficiale pilota della U.S. Navy dal 1954, prima di entrare alla NASA aveva svolto il ruolo di pilota collaudatore e ricercatore presso la base aerea di Edwards, in California.

Mitchell effettuò un’unica missione spaziale, in qualità di pilota del modulo lunare di Apollo 14, partita da Cape Canaveral alle 21:03 GMT del 31 gennaio 1971. Il 5 febbraio successivo, a bordo del modulo lunare Antares, Mitchell atterrò sulla Luna assieme al suo comandante Alan Shepard mentre Stuart Roosa, il terzo membro di equipaggio, rimase ad attenderli in orbita lunare a bordo del modulo di comando Kitty Hawk.

Fu un atterraggio estremamente movimentato in quanto per ben due volte gli astronauti si trovarono ad un passo dal dover abortire la discesa. Il primo problema si verificò durante l’ultima orbita di Antares prima della discesa finale quando si accese una spia di aborto. Pur trattandosi di un falso segnale, se la spia fosse rimasta accesa anche dopo l’accensione del motore di discesa, il computer lo avrebbe interpretato come un aborto reale e avrebbe comandato la risalita e l’annullamento dell’atterraggio. Con una corsa contro il tempo, Mitchell dovette digitare sulla tastiera di controllo una sequenza di oltre 80 caratteri per inviare al computer una serie di comandi per aggirare il problema software. La spia si spense appena 30 secondi prima dell’accensione del motore salvando la missione. Ma non era ancora finita.

Quando Antares fu a 6.000 metri dalla superficie non si attivò come previsto il radar altimetro necessario per atterrare in sicurezza. Se il radar fosse stato ancora inattivo sotto i 3.000 metri di quota il computer avrebbe ordinato la risalita immediata. Con meno di due minuti a disposizione, i controllori a Terra comunicarono agli astronauti di resettare il radar sperando in un suo ripristino. La manovra ebbe l’effetto sperato e con enorme sollievo il radar si mise a funzionare, permettendo ad Antares di continuare la discesa che terminò alle 9:18 GMT del 5 febbraio 1972, quando le sue quattro zampe toccarono il suolo lunare sull’altopiano di Fra Mauro.

Mitchell durante la prima EVA lunare. Credit: NASA

Cinque ore e 24 minuti dopo essere atterrati, Shepard e Mitchell iniziarono la prima delle due attività extra-veicolari (EVA) previste. La seconda venne effettuata alle 8:11 GMT del giorno successivo, al termine della quale i due astronauti stabilirono il nuovo record di EVA lunari con una durata complessiva di oltre nove ore. Nel corso delle due uscite, Shepard e Mitchell installarono diversi strumenti scientifici e raccolsero ben 43 kg di rocce (un altro record fino a quel momento) anche grazie all’utilizzo di un carrello trasportatore (chiamato MET – Modular Equipment Transporter) che venne impiegato per la prima, nonché unica, volta proprio durante Apollo 14.

Uno degli obiettivi della seconda EVA prevedeva il raggiungimento del bordo di un cratere (chiamato Cone Crater) di 300 metri di diametro, ma i due astronauti non riuscirono a trovarlo a causa di alcune pendenze del terreno che li trassero in inganno e nascosero il bordo alla loro vista. Dopo vari tentativi e con la riserva di ossigeno che andava esaurendosi, alla fine si decise di abbandonare le ricerche e tornare indietro. Osservando per mezzo della sonda LRO (Lunar Recoinassance Orbiter) le tracce lasciate dai due astronauti si è oggi appurato che arrivarono a soli 30 metri dal bordo!
Prima di risalire per l’ultima volta a bordo del modulo lunare, ci fu un fuori programma che sorprese tutto il mondo. Shepard aveva portato con sé due palline e una testa ferro 6 che agganciò al manico di un attrezzo costruendosi così un’improvvisata mazza da golf. Con questa, a suo dire, riuscì a spedire “miglia e miglia” lontano una pallina. La pallina non viaggiò in realtà “per chilometri” ma per tre o quattrocento metri al massimo… Ma tanto bastò per fare di Shepard il primo golfista sulla Luna. Anche Mitchell volle tuttavia lasciare un ricordo “ludico” e da parte sua lanciò a mo’ di giavellotto un’asta utilizzata per un esperimento e non più necessaria.
Alle 18:48 GMT del 6 febbraio si concluse l’esperienza lunare di Shepard e Mitchell, con Antares che decollò per ricongiungersi con Kitty Hawk. Mai prima di allora due uomini erano rimasti per così tanto tempo (33,5 ore) sulla Luna e i loro 3,3 km percorsi a piedi rimangono tutt’ora imbattuti (anche perché nelle successive missioni gli astronauti poterono spostarsi utilizzando un rover). La missione si concluse alle 21:05 GMT del 9 febbraio 1972 con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico meridionale e il successivo recupero da parte della portaelicotteri USS New Orleans. L’equipaggio di Apollo 14 viene ricordato anche per essere stato l’ultimo a doversi sottoporre alla quarantena successiva al rientro a Terra. Questo protocollo di sicurezza fu infatti ritenuto non più necessario e abolito per le successive missioni.

Mitchell durante la seconda EVA. Credit: NASA

Prima della missione che lo portò sulla Luna, Mitchell fece parte dell’equipaggio di supporto di Apollo 9 e fu la riserva del pilota del modulo lunare di Apollo 10. Durante la crisi di Apollo 13 Mitchell eseguì le prove al simulatore che portarono a sviluppare le procedure per poter pilotare il modulo lunare con il modulo di comando ancora agganciato. Per questo suo lavoro fu insignito dal Presidente Nixon della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti. Dopo Apollo 14 ricoprì ancora il ruolo di riserva del pilota del modulo lunare per la missione Apollo 16. Nello stesso anno, il 1972, Mitchell si ritirò dalla NASA e dalla U.S. Navy, dove raggiunse il grado di Capitano di Vascello.
Durante il viaggio di ritorno verso la Terra di Apollo 14, Mitchell effettuò su base strettamente personale (e senza informare i suoi compagni di missione) alcuni esperimenti di percezione extrasensoriale. Questo suo interesse in materia si concretizzò nel 1973, quando fondò l’Institute of Noetic Sciences per aiutare la ricerca in questo settore. Mitchell nel corso della sua vita ha più volte dichiarato di credere fermamente negli UFO sebbene ha ammesso di non averne mai visto uno di persona.
Autore di svariati libri e premiato con medaglie al merito, sia da parte della NASA che della U.S. Navy, Edgar Mitchell è stato inserito nella International Space Hall of Fame nel 1979 e nella U.S. Astronaut Hall of Fame nel 1997.

Con la sua scomparsa non rimane in vita più nessuno della missione Apollo 14, essendo Shepard e Roosa deceduti rispettivamente nel luglio 1998 e nel dicembre 1994. Delle undici missioni Apollo con equipaggio questa diventa perciò la prima a perdere tutti e tre gli astronauti, essendo ancora in vita almeno un membro di equipaggio per ognuna delle altre dieci missioni, con addirittura quattro di esse (Apollo 8, 9, 10 e 16) che vedono ancora fra noi tutti gli astronauti.
Con i suoi 85 anni, Edgar Mitchell è inoltre il secondo astronauta più anziano ad averci lasciato, superato solo da Scott Carpenter, scomparso nell’ottobre 2013 a 88 anni. Oltre alla moglie, Mitchell lascia cinque figli (un sesto è deceduto prima di lui), nove nipoti e un pronipote.

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http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=24775.0

Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

09.02: “Per non perdere la bussola: marinai e scienziati sulla stessa barca”.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Infini.to Planetario di Torino – Museo dell’Astronomia e dello Spazio

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09.02: Anche quest’anno Infini.to organizza la grande sfilata delle maschere astronomiche. I costumi e le maschere devono essere rigorosamente a tema astronomico e le più belle e originali verranno premiate.
Si può arrivare a Infini.to già mascherato oppure si può costruire il costume in Museo, nell’area appositamente dedicata. Non si effettuano prenotazioni per l’attività di costruzione del costume; l’attività si svolgerà al raggiungimento minimo di 5 partecipanti e sarà possibile iscriversi direttamente presso la biglietteria del Museo fino ad esaurimento posti.
Per orari e programma delle attività:
http://www.planetarioditorino.it/infinito/astrocarnevale-alplanetario/infinito

Plutone: nella Sputnik Planum il ghiaccio d’acqua galleggia in un mare di azoto congelato

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L'immagine mostra un dettaglio delle colline di ghiaccio d'acqua galleggianti nella Sputnik Planum. Copre un'area di circa 500 x 340 chilometri. Credit: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute

La scorsa settimana era stata presentata una nuova mappa della distribuzione del ghiaccio d’acqua sul pianeta nano, basata sui dati raccolti in infrarosso dal Ralph/Linear Etalon Imaging Spectral Array (LEISA). Ma nonostante il dettaglio raggiunto, la Sputnik Planum, la grande pianura che riempie il caratteristico “cuore” di Plutone, e la Lowell Regio più a nord, risultavano prive di tracce di ghiaccio d’acqua in superficie. Gli scienziati avevano supposto che fosse comunque presente ma sepolto sotto altri volatili ghiacciati – come il metano, l’azoto e il monossido di carbonio – e quindi difficile da identificare.

Ora, però osservando con attenzione le immagini inviate a Terra dalla sonda della NASA New Horizons durante lo storico fly-by del 14 luglio 2015, il team ritiene che alcuni rilievi presenti nella pianura, possano essersi staccati dalle imponenti montagne di ghiaccio d’acqua che circondano la Sputnik Planum, soprattutto sul confine occidentale. Dato che il ghiaccio d’acqua è meno denso del ghiaccio a base di azoto, questi blocchi galleggerebbero alla deriva in un mare alieno di azoto congelato (non a caso avevo intuitivamente associato più volte la Sputnik Planum al pack artico! N.d.A.).

VIENI A SCIARE SULLA SPUTNIK PLANUM Volete passare una settimana bianca su Plutone? Approfittatene il 18 febbraio 2016. In questo giorno, esattamente 86 anni fa, il piccolo pianeta veniva infatti scoperto da Clyde Tombaugh. Se telefoni subito, la vacanza è praticamente regalata! FORTI SCONTI!

Questa sarebbe solo l’ennesima prova della geologia attiva che caratterizza Plutone, con la sua esotica fisica dei ghiacci: lo stesso modello a cellule della pianura indicherebbe una lenta convezione termica e ciclica dei ghiacci di azoto.
Le colline della Sputnik Planum sarebbero perciò frammenti delle montagne più grandi, imprigionati nel terreno poligonale e lentamente trasportati dal flusso dei ghiacciai azotati: soggette ai moti convettivi, sarebbero spinti e raggruppati ai bordi delle cellule.

Nell’immagine in apertura, la caratteristica formazione chiamata “Challenger Colles”, in onore dell’equipaggio della navetta spaziale Challenger, appare come uno dei più importanti accumuli di colline, 60 per 35 chilometri. Si trova al confine con le alture, lontano dal pavimento poligonale della pianura: questo potrebbe essere uno dei luoghi in cui i frammenti di ghiaccio d’acqua vengono spinti dai moti moti convettivi.

© Copyright Alive Universe


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Una sottilissima falce di Luna incontra la coppia Venere-Mercurio… e un invisibile Plutone!

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Continuando la sua corsa sull’eclittica, la mattina del giorno 6, verso le 6:45, una Luna veramente sottile raggiungerà nel Sagittario la coppia VenereMercurio, avvicinando il primo fino alla distanza di 3,4° e il secondo di 5,5°. A quell’ora il triangolo formato dai tre oggetti avrà sull’orizzonte un’altezza media di circa +10°.

Per amor di verità bisognerebbe però dire che sono addirittura quattro gli oggetti coinvolti nella congiunzione… Il quarto è Plutone (mag. +14,2), ovviamente inosservabile in un cielo ormai così chiaro, situato appena un grado a nord di Venere.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedere il Cielo di Febbraio


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Un piccolo asteroide potrebbe sfiorare la Terra il 5 marzo

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Il grafico mostra tutte le possibili posizioni dell'asteroide 2013 TX68 durante il suo massimo avvicinamento alla Terra il 5 marzo 2016. Credit: NASA/JPL-Caltech

2013 TX68 era già passato vicino al nostro pianeta un paio di anni fa in completa sicurezza, alla distanza di 2 milioni di chilometri ma ora, il prossimo avvicinamento è avvolto dall’incertezza in quanto gli astronomi hanno potuto seguire la sua traiettoria solo un breve periodo di tempo dopo la scoperta.

Tuttavia, gli scienziati del Center for NEO Studies (CNEOS) del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA hanno chiarito che, anche se l’orbita è molto incerta, non esiste alcuna possibilità di impatto con la Terra, almeno non il 5 marzo. Una probabilità molto remota (1 su 250 milioni) potrebbe però presentarsi il 28 settembre 2017, oppure nel 2046 o nel 2097.

Le possibilità di collisione su una delle tre date dei futuri fly-by sono troppo piccole per qualsiasi preoccupazione reale“, ha detto Paul Chodas. direttore CNEOS. “Mi aspetto che le osservazioni future le riduranno ulteriormente“.

2013 TX68 è un asteroide di circa 30 metri di diametro.
Per un confronto la meteora che era piomata sopra a Chelyabinsk nel 2013 doveva avere un diametro di circa 20 metri. Pertanto, se 2013 TX68 dovesse entrare nell’atmosfera terrestre, rilascerebbe probabilmente il doppio dell’energia dell’evento russo.

2013 TX68 è stato scoperto dal Catalina Sky Survey il 6 ottobre 2013 mentre si avvicinava sul lato notturno della Terra. Dopo tre giorni di monitoraggio, l’asteroide passò nel cielo diurno e gli astronomi non riuscirono più a seguirlo.
L’orbita di questo asteroide è molto incerta e sarà difficile prevedere dove cercarlo“, ha detto Chodas. “C’è una probabilità che venga visto dai nostri telescopi il mese prossimo, fornendoci maggiori dati per definire con precisione la sua orbita attorno al Sole“.

In apertura, un grafico che mostra tutte le possibili posizioni dell’asteroide durante il suo massimo avvicinamento alla Terra il prossimo 5 marzo 2016.


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Nuove sorprese sulla massa degli anelli di Saturno

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In alto a sinistra si può vedere proprio sul bordo la piccola luna Teti. Foto scattata dalla wide-angle camera di Cassini il 19 agosto 2012. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Spesso, le nostre menti sono portate a pensare che un materiale opaco contenga più materia – ovvero abbia una densità maggiore – di un oggetto traslucido: a parità di volume, ad esempio, siamo portati a pensare che una brocca di acqua fangosa sia più densa di una stessa brocca di acqua limpida. Almeno in questo caso, l’opacità dell’acqua fangosa non mente: l’acqua pura, infatti, è davvero meno densa. Allo stesso modo, potremmo essere portati a pensare che gli anelli più opachi attorno a Saturno siano anche i più densi. Tuttavia, la sonda Cassini ha dimostrato che non vi è alcuna correlazione tra la “densità apparente” di un anello, in termini di opacità e riflettanza, e la quantità di materiale contenuta al suo interno.

Gli scienziati sono giunti a questa interessante conclusione analizzando l’anello B, il più luminoso e opaco tra tutti gli anelli di Saturno. Il risultato è in linea con quanto riscontrato da studi precedenti che si erano concentrati su altri anelli.

Nonostante l’opacità dell’anello B vari notevolmente lungo il suo spessore, la massa, ovvero la quantità di materiale, è quasi perfettamente costante. Gli scienziati sono stati in grado di calcolare la densità di varie regioni all’interno dell’anello tramite l’analisi delle onde di densità, strutture fini provocate dall’interferenza gravitazionale delle lune e di Saturno stesso sulle particelle che compongono gli anelli. La struttura di ciascuna onda dipende direttamente dalla massa della porzione d’anello in cui è situata.

«Siamo ancora molto lontani dal capire come regioni con la stessa quantità di materiale possano avere opacità così tanto diverse,» spiega Matthew Hedman dell’Università dell’Idaho. «Potrebbe essere qualcosa legato alle dimensioni o alla densità delle particelle individuali, o potrebbe avere qualcosa a che fare con la struttura degli anelli.»

«L’apparenza può trarre in inganno,» aggiunge Phil Nicholson della Cornell University. «Un esempio analogo è quello della nebbia, che, pur essendo molto più opaca dell’acqua di una piscina, è in realtà molto meno densa.»

Questa immagine è stata ottenuta combinando i frame rosso, verde e blu della Narrow Angle Camera ripresi dalla sonda Cassini il 5 febbraio 2014. Mostra il bordo dell'anello B e la Divisione Cassini. Notare come la sovrapposizione dei tre frame evidenzi una zona non perfettamente allineata e quindi perturbata al confine con l'anello B (in alto a destra). Credit: NASA/JPL/Space Science Institute - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Determinare la quantità e la distribuzione della materia all’interno degli anelli di Saturno è essenziale per ricostruirne l’età e l’evoluzione: un anello leggero, infatti, si formerebbe più velocemente di uno pesante, diventando opaco a causa di polveri meteoritiche più in fretta. Dunque, meno massa vuol dire anche meno età, almeno per quanto riguarda l’anello B. Le stime attuali oscillano notevolmente, andando da poche centinaia di milioni a qualche miliardo di anni.

«Avendo pesato il nucleo dell’anello B per la prima volta, abbiamo compiuto un importante passo in avanti verso il nostro obiettivo di comprendere l’età e l’origine degli anelli di Saturno,» spiega Linda Spilker, a capo della missione Cassini. «Gli anelli sono così magnifici e maestosi che è impossibile non voler sapere come si siano formati.» Qualunque sia la risposta, sarà essenziale anche per un’altra ragione, ovvero capire come i quattro giganti gassosi possano aver sviluppato una simile varietà di sistemi di anelli.

I dati raccolti da Cassini danno ragione a uno studio precedente che aveva suggerito che l’anello B potesse contenere meno materiale di quanto creduto. La nuova analisi, tuttavia, è la prima ad essere riuscita a misurare direttamente la massa dell’anello. I risultati indicano quindi che l’anello B sia solo 2-3 volte più massiccio dell’anello A, nonostante sia anche oltre 10 volte più opaco.

Una vista panoramica del sistema di anelli principali di Saturno. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

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Trovato il primo Sistema planetario multiplo in un ammasso stellare

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Una rappresentazione artistica del pianeta più interno Pr0211b, uno hot Jupiter con un periodo orbitale di 2 giorni. Nell’immagine l’artista ha rappresentato un possibile sfondo stellare estremamente denso tipico di un ammasso aperto. Il pianeta scoperto Pr0211c non è rappresentabile in scala perché, avendo esso un periodo di almeno 9 anni, sarebbe necessario disegnarlo a diversi metri di distanza dal primo. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Una rappresentazione artistica del pianeta più interno Pr0211b, uno hot Jupiter con un periodo orbitale di 2 giorni. Nell’immagine l’artista ha rappresentato un possibile sfondo stellare estremamente denso tipico di un ammasso aperto. Il pianeta scoperto Pr0211c non è rappresentabile in scala perché, avendo esso un periodo di almeno 9 anni, sarebbe necessario disegnarlo a diversi metri di distanza dal primo. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Finora, sono stati i pianeti extrasolari osservati attorno alle stelle di campo a far parlare di sé. Negli oltre 2000 pianeti confermati in 1300 sistemi planetari, solo una manciata sono i pianeti scoperti in orbita attorno a stelle appartenenti ad ammassi aperti. C’è un vantaggio nello studio di questo tipo di stelle rispetto a quelle di campo: trovandosi le stelle di un ammasso tutte alla stessa distanza da noi, ed essendo nate assieme dalla stessa nube molecolare (con la stessa età e composizione chimica quindi), è più facile stimarne la massa, il raggio e gli altri parametri fisici. Ciò si riflette in una più precisa determinazione dei parametri dei loro pianeti. Per questo motivo, un tale ambiente rappresenta un “laboratorio” ideale dove studiare la relazione tra proprietà fisiche dei pianeti e delle loro stelle ospiti e per comprendere l’evoluzione stessa dei sistemi planetari.

È iniziata quindi una campagna osservativa di alcune decine di stelle appartenenti agli ammassi M44 (Presepe), Iadi e NGC752, da parte di un gruppo di astronomi del programma GAPS-Global Architecture of Planetary Systems, di cui fa parte il primo autore di questa nuova ricerca, Luca Malavolta dell’Università degli Studi di Padova, associato INAF, e facente parte del team di ETAearth, progetto di collaborazione Europeo (7° Programma Quadro) per la caratterizzazione di sistemi planetari di tipo terrestre. Con lo spettrometro HARPS-N al Telescopio Nazionale Galileo (TNG, Isole Canarie), altrimenti noto come “il cacciatore di pianeti” per la precisione delle sue misure, e con i dati raccolti da un altro spettrometro, lo statunitense TRES, il team è stato in grado di scoprire il primo sistema planetario multiplo in un ammasso aperto. Si tratta di Pr0211 in M44, o Ammasso del Presepe (detto anche Alveare) nella costellazione del Cancro, a circa 600 anni luce da noi. Il nuovo pianeta scoperto è di circa 8 masse gioviane con un periodo di almeno 9 anni; l’altro membro del sistema planetario osservato, già noto dal 2012, è di circa 2 masse gioviane con un periodo di rivoluzione di poco più di 2 giorni.

Pur essendo, almeno intuitivamente, ambienti poco “adatti” alla ricerca di sistemi planetari stabili in quanto l’alta densità stellare induce sicuramente molte interazioni tra i corpi celesti presenti, è vero anche che, per gli astronomi impegnati in questo campo, è fondamentale effettuare osservazioni su stelle i cui parametri (come la composizione chimica, l’età e la massa) hanno valori simili e ben determinati. Questo, infatti, permette di caratterizzare al meglio i pianeti attorno a esse individuando quali proprietà siano più comuni di altre e fornendoci indizi importanti per comprendere i processi di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari. Inoltre, le stelle in questi ammassi sono giovani e quindi molto attive e, per questo, solitamente escluse dallo studio delle velocità radiali per il quale vengono privilegiate stelle più vecchie, meno attive e più facili da analizzare. E’ quindi molto importante raccogliere più dati possibile per superare gli effetti di selezione delle osservazioni, e poter iniziare a studiare, su una buona base statistica, la relazione tra pianeti e ambiente dove essi si formano e poi evolvono. In tali ambienti, densi di stelle, è lecito supporre che i processi di formazione ed evoluzione siano diversi da altri ambienti, ma è anche vero che, sebbene non si sappia con certezza, anche il nostro Sole potrebbe essersi formato in un ammasso aperto.

Se torniamo indietro di poco più di 400 anni, l’ammasso del Presepe fu il primo oggetto stellare che Galileo Galilei osservò col suo cannocchiale. Luoghi di formazione stellare, gli ammassi aperti sono composti da stelle giovani e l’ammasso del Presepe ha un’età stimata tra i 600 e gli 800 milioni di anni

Venendo al sistema osservato, Pr0211, esso ha una configurazione che solleva diverse questioni ancora aperte: come mai si osservano così frequentemente gli hot Jupiter, cioè pianeti massicci orbitanti molto vicini alla loro stella, e perché il compagno esterno ha un’orbita così eccentrica? Una delle teorie, detta di planet scattering, prevede che questi pianeti si formino a grande distanza dalla loro stella e che si spostino su orbite più interne a causa d’interazioni gravitazionali con altri pianeti nel sistema. A seguito delle interazioni dinamiche i loro eventuali compagni dovrebbero disporsi su orbite a lungo periodo e molto eccentriche, come nel caso del neo-scoperto Pr0211c. Una teoria alternativa di formazione prevede che i pianeti giganti migrino verso la stella madre mentre sono ancora immersi nel disco proto-planetario, che però avrebbe anche l’effetto di smorzare le interazioni tra pianeti disponendoli quindi su orbite circolari. La scoperta di Pr0211c è la pistola fumante che il sistema abbia subito una fase di planet scattering, insieme a una ristretta schiera di altri pianeti con caratteristiche simili. “Un altro punto ancora dibattuto nella comunità scientifica”, dice il primo autore dell’articolo Luca Malavolta, “è se queste interazioni tra pianeti siano frutto d’instabilità primordiale del sistema, o se siano invece conseguenza dell’incontro ravvicinato del sistema planetario con un’altra stella. In un ammasso le stelle sono molto più vicine tra di loro e gli incontri stellari sono molto più frequenti che per stelle di campo. Se quindi fosse vera la seconda ipotesi dovremmo osservare molti più sistemi come Pr0211 negli ammassi che in stelle di campo. Riuscire a chiarire questo punto sarebbe un bel traguardo per la scienza della formazione planetaria e per questo sono necessarie ancora molte osservazioni ma la strada intrapresa da GAPS sta, come in questo caso, già portando i suoi frutti.”

Il programma osservativo GAPS si è confermato vincente anche questa volta per due motivi in particolare. Il primo è che in GAPS si coordinano molti astronomi che hanno sì lo scopo comune di caratterizzare gli esopianeti, ma che provengono da campi diversi: da chi va a caccia di sistemi planetari attorno a stelle vecchie a chi, come in questo caso, si concentra su ambienti dove le stelle sono molto giovani. Questo apporta molta linfa vitale al dibattito scientifico all’interno del gruppo. Il secondo motivo è più pratico, ma altrettanto importante: grazie al cospicuo tempo osservativo a disposizione del programma e quindi all’ampia flessibilità della schedula, è possibile, per esempio, osservare le stesse stelle per una settimana di seguito anche per 2 o 3 mesi dentro un semestre.

Nel lavoro qui presentato quest’aspetto è stato fondamentale perché le stelle attive richiedono osservazioni continue per stabilire con certezza se le variazioni di velocità radiale siano dovute alla presenza dei pianeti piuttosto che all’attività stessa della stella. “Sulla base dei dati raccolti, si può affermare che tra i due pianeti gioviani non ci sono ulteriori pianeti.” Conclude Giampaolo Piotto, astronomo ordinario dell’Università degli Studi di Padova e coautore di questo lavoro. “Tra gli obiettivi futuri ci sono anche la ricerca e lo studio, negli ammassi aperti, di pianeti di massa più piccola per capire quanto tali sistemi planetari siano differenti dai pianeti attorno a stelle di campo.” E la ricerca, come sempre, continua!

Per saperne di più:

leggi l’articolo The GAPS programme with HARPS-N at TNG XI. Pr~0211 in M~44: the first multi-planet system in an open cluster di L. Malavolta et al., accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics

Leggi la terza parte dell’Inchiesta di Coelum sulla possibilità di cercare e trovare, nei prossimi dieci anni, tracce di vita in pianeti extrasolari.

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

05.02: “Stelle, ammassi e nebulose nel cielo di febbraio” di Franco Molteni.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Sulla Luna col coniglio…

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Una spettacolare formazione rocciosa lunare immortalata ad alta definizione, è quella che gli scienziati hanno ribattezzato “Piramide di roccia”. Crediti: Chinese Academy of Sciences/China National Space Administration/The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration/Emily Lakdawalla

Una spettacolare formazione rocciosa lunare immortalata ad alta definizione, è quella che gli scienziati hanno ribattezzato “Piramide di roccia”. Crediti: Chinese Academy of Sciences/China National Space Administration/The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration/Emily Lakdawalla

È piccolo, assai longevo e viene dal lontano oriente: è Yutu, o Coniglio di Giada come è più noto in occidente, il piccolo lander cinese allunato con la missione Chang’e-3 nel dicembre 2013. Coniglio sì, ma con un occhio di lince: è lui infatti che ha realizzato la serie di scatti della superficie lunare che ce la mostrano con una nitidezza mai raggiunta prima e diffusi in questi giorni dall’Agenzia Spaziale Cinese.

Un’immagine di Yutu, il rover conosciuto come Coniglio di Giada, scatta dal lander Chang’e 3 il 23 dicembre 2013 Credits: Chinese Academy of Sciences / China National Space Administration / The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration / Emily Lakdawalla

Yutu – che prende il nome da una creatura immaginaria presente nella mitologia di molti paesi dell’Estremo Oriente, in particolare di Cina e Giappone, un coniglio, appunto, che vivrebbe sulla Luna – è il primo rover spaziale ad allunare dai tempi della missione sovietica Luna 21, nel 1973, e detiene ad oggi il record di longevità ed operatività tra i rover lunari.

Il Coniglio di Giada però ha cominciato ad accusare i segni dell’età già a metà della sua missione, che sarebbe dovuta durare tre mesi. Nel gennaio 2014, a causa probabilmente di un guasto ai pannelli solari (che sarebbero dovuti entrare in stand-by per superare i 14 giorni della fredda notte lunare) ha iniziato ad avere difficoltà a muoversi e da allora è stato lasciato lì, fermo, sulla superficie della Luna. Ma la strumentazione del rover è ancora funzionante, ed è grazie ad essa che è riuscito ad inviare a terra le bellissime foto che sono state diffuse.

Il fatto che l’Agenzia Spaziale Cinese abbia preso questa decisione è già di per sé una notizia, infatti a differenza di NASA ed ESA, che pubblicano quotidianamente dati e immagini dall’Universo, la CNSA raramente procede alla stessa maniera, e il suo lavoro è molto più “segreto”. La differenza culturale fa la sua parte: il sito web dell’Agenzia, interamente in cinese, non è infatti di semplice utilizzo per gli utenti non cinesi.

Ma per fortuna le immagini, numerose e in alta definizione, sono state caricate da Emily Lakdawalla sul sito web della Planetary Society, dove tutti possono fruirne e ammirare nei colori reali la superficie della Luna a una definizione mai vista, le tracce dello stesso rover e impressionanti formazioni rocciose.

Per vedere le altre immagini scattata da Yutu clicca qui.

La CNSA ha in programma altre missioni di esplorazione lunari: nel 2020 è previsto il lancio del razzo Chang’e-4, con una sonda che vorrebbe raggiungere la parte più lontana del nostro satellite.

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COSMOSCUOLA – La scuola di astronomia per ragazzi dagli 8 ai 14 anni!

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Dal 6 febbraio al 21 maggio

Ogni lezione è composta da una parte teorica e una più pratica dove i ragazzi lavoreranno in squadra e si cimenteranno in esperienze a diretto contatto con l’argomento trattato di volta in volta. La scuola avrà inizio il 6 febbraio 2016 e prevederà incontri della durata di circa due ore ed una Fiera finale allestita con modelli, esperimenti, lavori realizzati dai ragazzi. Per partecipare è obbligatoria una prenotazione online per tutti i ragazzi .
Luogo: Osservatorio Astronomico di Roma – via Frascati 33 Monte Porzio Catone (Rm)
Orari: 16:00-18:30 (il primo incontro inizierà alle 15:30)
www.estrellasplanetas.org

E’ nata ADAA

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luigi pizzimenti
Luigi Pizzimenti vicino a Casper, il mockup 1:1 del Modulo di Comando delle missioni Apollo
luigi pizzimenti
Luigi Pizzimenti vicino a Casper, il mockup 1:1 del Modulo di Comando delle missioni Apollo

I fondatori sono: il Presidente Luigi Pizzimenti, Storico delle Missioni Apolloe Curatore del Padiglione Spazio presso il Museo del Volo Volandia,(Presidente di ADAA), il Tesoriere e Segretario Roberto Crippa, ex Presidentedi Foam13, e Dario Kubler nel ruolo di Vice Presidente.I tre fondatori sono supportati da numerosi appassionati che hanno”sposato” il progetto. Uno dei primi incarichi ricevuti da ADAA sarà la gestione del Padiglione Spazio-Planetario del Museo del Volo (Volandia). L’attività di ADAA, comprenderà: programmi divulgativi nel Padiglione Spazio-Planetario, didattici con proposte per le scuole di ogni grado, conlezioni e laboratori, realizzazione di mockup spaziali come “Casper” il Modulo di Comando delle missioni Apollo, realizzato nel 2012 ed oggi esposto presso il Museo di Volandia, attività scientifiche nell’ambito astronomico e astronautico nonchè l’organizzazione di eventi come convegni, meeting, congressi, incontri con altri Osservatori Astronomici e Enti che si occupano di Astronautica, Università e Istituzioni Scientifiche.L’obiettivo di ADAA è quello di contribuire in modo concreto ed accessibile alla diffusione della cultura astronomica e astronautica e favorire la scoperta del cielo e l’ispirazione delle nuove generazioni.

IL PADIGLIONE SPAZIO / PLANETARIO
L’universo di Volandia: cammina tra Pianeti e satelliti, esplora la volta celeste con il Planetario e rivivi tutte le missioni spaziali umane, i grandi astronauti, le loro tute e la capsula Apollo in scala 1:1. Il padiglione Spazio- Planetario, gestito dall’Associazione per la Divulgazione Astronomica Astronautica (ADAA) e realizzato con la Collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’European Space Agency e di Finmeccanica. L’Associazione amplierà la già vasta proposta didattica del museo con una serie di nuovi laboratori e percorsi astronomico-astronautici, da proporre nel padiglione Spazio-Planetario di Volandia. Inoltre i Volontari e gli Esperti dell’ADAA effettueranno delle visite guidate al rinnovato padiglione.
http://assadastra.blogspot.it/

In volo su Cerere

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Questa immagine, che mostra una parte del cratere Messor, è stata la prima pubblicata nel catalogo ufficiale per l'orbita LAMO. E' stata ripresa il 19 dicembre 2015 da un'altitudine di 385 chilometri. La risoluzione è 35 metri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Questa immagine, che mostra una parte del cratere Messor, è stata la prima pubblicata nel catalogo ufficiale per l'orbita LAMO. È stata ripresa il 19 dicembre 2015 da un'altitudine di 385 chilometri. La risoluzione è 35 metri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Il video è stato realizzato dal team del Centro Aerospaziale Tedesco DLR, utilizzando le immagini raccolte dalla sonda della NASA Dawn durante l’orbita HAMO (High Altitude Mapping Orbit), durata da agosto a ottobre 2015, durante la quale la sonda ha mappato il pianeta nano da una distanza di 1470 chilometri.

I colori sono stati migliorati per evidenziare le sottili differenze compositive della superficie: gli scienziati ritengono che le zone blu siano le più giovani, formate da materiale più recente.

«Il sorvolo simulato mostra la vasta gamma di forme di crateri incontrati su Cerere. L’osservatore può vedere le pareti a strapiombo di Occator e anche di Dantu e Yalode, che sono molto più piatti», ha detto Ralf Jaumann, scienziato della missione presso il DLR.

La sonda Dawn, arrivata a Cerere a marzo 2015, sta ora percorrendo la sua orbita di mappatura più bassa, Low Altitude Mapping Orbit (LAMO), a soli 385 chilometri dalla superficie.

© Copyright Alive Universe

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Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

02.02: “L’astronomo e il matematico” di Oriano Spazzoli.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti.
Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi http://telescopioremoto.uai.it

Una sottile falce di Luna a passeggio tra Marte e Saturno

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Per assistere alla prima congiunzione celeste di febbraio sarà necessario alzarsi molto presto il giorno 1 e rivolgere lo sguardo verso sudest. L’ora consigliata è quella delle 5:45, quando il cielo sarà ancora sufficientemente scuro da mostrare il puntino luminoso di Marte (mag. +0,8) 2,9° a sud (riferimento altazimutale) dell’ultimo quarto di Luna.

Tre giorni dopo, sempre alla stessa ora, la Luna (molto più affilata) si sarà spostata verso l’Ofiuco, circa 6° alla sinistra di Saturno (mag. +0,5). Tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche, ma se la trasparenza dell’aria sarà buona come talvolta accade in febbraio, anche queste “normali” congiunzioni potranno regalare qualche piccola emozione all’osservatore mattiniero.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedere il Cielo di Febbraio

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Il Cielo di Febbraio

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EFFEMERIDI

Per quanto riguarda l’aspetto del cielo, nella prima parte della notte predomineranno ancora le costellazioni invernali; verso le 21:00 saranno infatti in meridiano il Cane maggiore e Orione, con l’Auriga alla zenit. A ovest staranno invece già tramontando Pegaso e la Balena, mentre ad est il cielo sarà già occupato dagli asterismi primaverili, tra cui saranno facilmente riconoscibili il Leone e le prime propaggini della Vergine. Più tardi sorgerà anche la brillante Arturo nel Boote, mentre a ovest comincerà ad essere evidente il declino di Orione verso l’orizzonte. Molto più in alto, quasi immobile a nord, il Grande Carro sembrerà in procinto di rovesciarsi.

Per ciò che riguarda i pianeti visibili ad occhio nudo, solo Giove, situato tra Leone e Cancro, sarà osservabile la sera, mentre per vedere Saturno e Marte, tra Scorpione e Libra, bisognerà attendere la seconda parte della notte.

Sole

Il 16 febbraio il Sole si sposterà dal Capricorno all’Acquario (ovviamente stiamo parlando di costellazioni, non di “segni astrologici”), proseguendo nel contempo la “risalita” dell’eclittica a una velocità media in declinazione di circa 20′ al giorno. Partendo dai -17°,4 di inizio mese, supererà i -10° alla fine, e da questo ne deriverà un corrispondente aumento dell’altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano. Aumenteranno così le ore di luce, tanto che la sera, in media, si potrà iniziare ad osservare con il massimo contrasto non prima delle 19:15, fino alle :30 del mattino dopo. La durata della notte astronomica, in continua diminuzione, in febbraio sarà in sostanza di poco superiore alle 10 ore.

Fenomeni e congiunzioni

Il mese che precede l’inizio della primavera offrirà poco più dell’ordinaria amministrazione agli infreddoliti spettatori in cerca di emozioni forti. Qualche congiunzione, sì, ma tutte abbastanza larghe, e per di più scomodamente posizionate nel cielo del mattino. Fra tutte si segnala però una suggestiva congiunzione a tre, anzi a quattro, tra un’esilissima falce lunare con Venere, Mercurio; più… un altro invisibile ospite.

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19 anni e non sentirli – Mostra di Astronomia a Santa Maria di Sala

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Villa Farsetti a Santa Maria di Sala
Villa Farsetti a Santa Maria di Sala

Al via la XIX edizione della Mostra dell’Astronomia e dell’Astronautica in Villa Farsetti a Santa Maria di Sala, Venezia, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “Galileo Galilei”. Sarà aperta dal 6 al 13 marzo, tutti i giorni. Aggiriamoci tra le varie sezioni per osservare le curiosità di quest’anno (su Coelum Free press n. 197 la storia della Mostra e l’intervista al presidente del Gruppo, Tino Testolina).

Andiamo a visitare le varie sezioni della mostra, raccogliendo le opinioni in libertà di uno scettico curioso incontrato lungo il suo percorso.

Villa Farsetti a Santa Maria di Sala
Villa Farsetti a Santa Maria di Sala

Nei duecento metri di prato davanti alla facciata della Villa settecentesca, le scolaresche fanno una passeggiata interplanetaria, sostando davanti al Sole fermandosi per una pausa, passando attraverso i vari pianeti, mangiando un panino o un frutto, e si avverte un ooohhhh nell’aria e il click di una foto ricordo di un bambino che sorride accanto agli anelli di Saturno.
Il Planetario è in funzione: un gruppo di ragazzini sta uscendo. Si sentono le loro urla, la loro fantasia è infiammata, dopo un viaggio lungo mezz’ora tra le costellazioni del cielo, frutto della fantasia degli uomini, e le stelle della nostra Galassia, che sono poi quasi tutto quello che possiamo vedere a occhio nudo. E’ un viaggio in un cielo senza inquinamento, quel cielo che ora abbiamo perduto e dove i nostri antenati avevano facilità a identificare i loro miti e tradizioni. Lo stupore di allora è quello di oggi, e si spera che non sia soltanto dentro a un Planetario.
Nel frattempo, un bambino, seduto accanto a Giove si è appisolato per la stanchezza, la sosta spaziale-ricreazione sta per concludersi, così alcuni suoi compagni lo scuotono. Hanno ragione, non è questo il momento per addormentarsi, ora altre curiosità li aspettano: il cielo al tempo dei Faraoni, il cielo visto dal Polo Nord e dall’equatore, l’esplosione di una supernova ricreata con effetti speciali, la formazione di nuove stelle. No, non c’è tempo per appisolarsi tra i pianeti.

Davanti all’ingresso della Villa, dei telescopi posizionati in semicerchio. E’ una bella giornata, cosa mai si riuscirà a vedere? “Le macchie solari”, mi dicono, ma cosa mai saranno? Comunque, sono tante e chiare con il loro alone, quasi il Sole fosse diventato una mela a puntini. E da questo telescopio non si vede nulla? “Guarda bene”, mi suggeriscono. Sì, ecco il Sole tutto rosso, mai visto così rosso, solo sui libri e sulle riviste, che meraviglia! Ma le macchie non si vedono più. “Guarda bene sul bordo” mi ripetono. Ed è lì che vedo le fiammate, le vampate con le eruzioni… Flare, brillamenti solari… All’improvviso, non sento più quello che mi si dice, me le godo tutte, sono una, due, tre, una minuscola e una gigantesca. Ora ascolto, mi dicono che sono grandi anche più della Terra! Noi… noi siamo nulla. Riprendo a guardare meglio, mi gira la testa, non vado più via. Voglio stare qui a contemplare il Sole. C’è, purtroppo, qualcuno che dietro di me aspetta il suo turno.
Così, a malincuore, decido che è il momento di entrare in Villa. Tutto sommato, capisco che il bello è appena all’inizio. Sezione pianeti extrasolari. Ma sono proprio tanti questi pianeti! Nuovi mondi scoperti attorno a stelle diverse dal nostro Sole, pianeti che fino a vent’anni fa avevamo soltanto immaginato e ipotizzato esistere ed ora, con una App nel telefonino, li posso contare, li posso immaginare, visitare e, ogni volta che ne scoprono uno, c’è un bip-bip che mi avverte. Chissà se qualcuno di questi mondi è abitabile…su qualcuno inospitale ci manderei tutta la gente cattiva, e su quelli ospitali, perché no, ci andrei a fare una vacanza inviando cartoline spaziali a tutti i miei cari amici con scritto: “Saluti da Kepler-16b! Qui tutto bene, mi trovo in orbita attorno a due stelle”. A me che piace Star Wars, questo sistema ricorda proprio Tatooine. Qui un esperto sta dicendo che di Tatooine ne sono stati scoperti oltre una decina, sono più comuni di quanto si pensasse. Se sia la fantascienza a superare la realtà o la realtà a superare la fantasia, ancora non l’ho capito. Forse mio nipote lo capirà, ma l’esperto ora rovina tutto, dice che non si sono ancora trovati pianeti ospitali e il viaggio per andarci è troppo lungo, anche una volta la transiberiana era inavvicinabile, non si sapeva neppure dove fosse, ma ora le cose non stanno più così.

La parte dedicata alla missione ExoMars, materiale dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana, sembra fantasia pura, eppure dicono che il giorno che si sbarcherà su Marte si avvicina sempre di più. La stessa astronauta Samantha Cristoforetti è disponibile ad andarci, mah! Questo modellino di Stazione Spaziale Internazionale mi fa pensare alla lattuga romana che hanno coltivato lassù e al primo fiorellino che è nato, Zinnia, dai petali arancioni e dal fogliame verde scuro. Dicono che queste mini-serre lassù a 400 chilometri di quota, sono fondamentali per l’alimentazione degli astronauti nelle future missioni spaziali umane, come quella su Marte. Ho sempre pensato che fare giardinaggio fosse importante anche a casa mia! Perbacco, anche una tuta spaziale! Guardiamola per bene, un domani potrebbe essere la mia.

Quei ragazzini che osservano ammirati il pendolo di Foucault forse non capiscono nulla, non solo loro, ma il dubbio desta l’attenzione… auguriamoci di diventare grandi e di capirlo veramente.

Con le costellazioni, la mitologia greca prende il sopravvento: si accende l’immaginazione e prendono vita draghi, orse; si sognano eroi, re, ancelle, animali e strumenti conosciuti e immaginari, a non finire.

Anche la precessione degli equinozi è un osso duro … ma se dicono che è così, ci crediamo … speriamo che non succeda l’irreparabile e ci caschi qualcosa addosso.

Ma ecco una vasca da bagno, cosa c’è? La Terra al centro e il Sole che gira attorno, forse ora mi dicono che Copernico ha sbagliato tutto e ritorniamo al Sistema Tolemaico, è dura la vita ragazzi !!
No, per fortuna è tutto regolare, proprio come mi hanno detto a scuola: Copernico, Keplero e Galileo hanno ancora ragione, però qui ne fanno una proprio grossa: è inaccettabile che i periodi dello Zodiaco me li stravolgano… Io dell’Ofiuco?!? Neanche per sogno! Mai sentito dire, è pura invenzione! Mi scardinano le uniche certezze che avevo! E ogni periodo dello Zodiaco ha cambiato momento dell’anno e durata, fino a 45 giorni, come la Vergine oppure solo 6 giorni come il Sagittario. Per me la durata di ogni periodo dello Zodiaco è sempre stata di un mese, dall’Ariete fino ai Pesci, sempre un mese… E’ incredibile come le cose siano cambiate in così poco tempo! L’avevo detto che non dovevo venire!

Andiamo avanti. Il Sistema Solare in movimento, al buio, dove ogni pianeta va via per conto suo, un marchingegno straordinario ma per fortuna che è solo fino a Marte, sennò sarebbe uscito fino in mezzo al prato della Villa per venir completato con gli altri pianeti… è un bel tourbillon.

Finalmente vedo i colori, i colori della luce: un po’ di luce e un po’ di colore, riflessi strani e bellissimi, fosforescenti o bianchissimi, combinazioni di colori molto interessanti. Meno male, questa sezione è piacevole però qualche volta i colori combinati assieme danno il nero, qualche altra volta il bianco… Questi astrofili qui sono come i maghi: mi danno da bere qualsiasi cosa, eppure non usano trucchi, è tutto vero! Devo tornare e stare più attento a quello che dicono perché solo nelle parole c’è la magia di quello che osservo.

I modellini della Stazione Spaziale Internazionale, della base di lancio americana e dello Space Shuttle sono dei veri capolavori di miniaturizzazione: tutti a fare foto, non riesco neppure a vederli. Devo aspettare in coda il mio turno, come fossimo davanti a una star.

Una sezione di libri. Ancora libri, ora che c’è l’ebook? In effetti,il profumo della carta, l’emozione di guardare le immagini astronomiche in carta stampata non ha prezzo. Sono dei veri capolavori, non c’è elettronica che tenga …

Ecco la sezione delle bilance: finalmente mi peso sulla Luna, poi mi peso su Marte, ma non mi sognerò mai di farlo su Giove o su Saturno. Chissà mai perché la gravità aumenta e diminuisce! Resta un mistero? No, è solo tutta questione di massa del pianeta, mi dicono. Bè, io mi tengo la mia e procedo.

E poi, la stanza del cielo profondo: che fantasticherie! Ti fanno sedere su panchine, ti fanno sentire i suoni dell’universo, sì, una meraviglia. Le immagini, è vero, ci sono anche in alcuni libri, ma qui è tutto più sorprendente! Questo universo è veramente enorme!Oltre che difficile immaginarlo!

Qui vengono mostrati gli esperimenti del Gruppo Astrofili: le foto della Luna, delle macchie e protuberanze solari e delle nuove stelle variabili scoperte proprio da loro: è bello e interessante, chissà come faranno questi astrofili.. Che pazienza e poi, a che cosa serve tutto questo?

Altri esperimenti, questa volta di fisica: si riesce a capire qualcosa, gli astrofili si impegnano a spiegarci per bene, ma sono così tanti questi esperimenti e a capirli tutti ci vorrebbe una giornata! Ecco come si propagano le onde sonore e come si comporta la corrente. La corrente elettrica, proprio lei, che ci ha salvato dal buio pesto della notte, illuminando le nostre città, ma che ci ha sottratto anche la bellezza del cielo.

Più in là, viene spiegato il Teorema di Pitagora, che era così palloso quando andavo a scuola, lo imparavi a memoria, forse anche senza capirlo per davvero. Pensavo di non rivederlo più eppure è anche qui… allora vuol dire che è davvero importante!Qui ci sono palline che si muovono in modo strano e a volte impossibile, sembra sia tutto contro il senso comune, ma ecco la spiegazione: certo che è ovvio, non può essere altrimenti, le cose vanno così, ma certo che un’attenzione così lunga fa venire il mal di testa… Però sono bravi questi astrofili, battutine scherzose ed esilaranti, domande trabocchetto, escono risate e si sdrammatizza tutto! Meno male, non sono più tra i banchi di scuola, non mi sento interrogato, è un divertimento stare qui, anche se il capire come funzioni quella carrucola mi sembra piuttosto complesso,non ho mai provato, lo faccio ora.

Eccoci al“gran finale”, come lo ha definito un ragazzino mentre usciva da questa sala: il viaggio spaziale! Si va in orbita! Rumore assordante,su una rampa di lancio un razzo di un numero sterminato di tonnellate che si alza un po’ alla volta e sparisce nel cielo, ma no! Lo vediamo anche quando dalla Terra non si vede più, possiamo sederci alla guida e vedere strumentazione e comandi … è fantastico quello che si è riusciti a fare per esplorare lo spazio… A questo punto, bisogna andare a fare l’astronauta, ma anche no. Dicono che basterebbe essere ospiti o comprare un biglietto di andata e ritorno, ma chissà quanto costa e quando succederà!

Sabrina MasieroLa visita si è conclusa, non mi ero accorto che anche la giornata volge al termine. Sono stato qui dentro così a lungo? Sento che la testa è ancora su quel razzo, le onde che si propagano dentro il tubo sono davanti ai miei occhi ma in realtà sbircio il Pendolo di Foucault che nel frattempo ha descritto un piccolo archetto, A tutti noi che usciamo da questa mostra, ora toccherà affrontare il domani, come sempre, su questo piccolo puntino blu, un puntino divenuto sempre più affollato, e anche la bolletta che devo pagare è diventata sempre più … Eppure, questi astrofili sono bravi, chi avrebbe mai detto che in questo posto ci sarebbe stata una mostra così interessante… Aspetta che, prima di andare via, mi prendo un po’ di materiale-ricordo, non si sa mai; vediamo: mostra, corso, osservatorio, estate … Forse un pensierino vale la pena di farlo. Sono cose nuove, stupende, ti aiutano a superare alcune bassezze umane e a sentirti un gradino più su, dove non ci sono sconti per nessuno, dove lo spazio è così grande che ognuno può viaggiare libero nella sua galassia, dove non si può fare i furbi, o forse si, bè comunque il viaggio e le prospettive sono allettanti… Forse vale la pena di tener duro e andare avanti.

19°Mostra di Astronomia 2016
S.Maria di Sala Villa Farsetti
Inaugurazione sabato 5 marzo 2016, ore 16:00.
Visite:

Domenica 6, sabato 12 e domenica 13 marzo 2016: dalle ore 09:00 alle ore 20:00 con orario continuato.

Da lunedì 7 a venerdì 11 marzo: dalle ore 09:00 alle ore 13:00 particolarmente indicato per le scolaresche di ogni ordine e grado.

Per informazioni e prenotazioni: mob. 340 3450274 o www.astrosalese.it/informazioni

Costo:

Intero: 9,00 euro

Ridotto: 6,00 euro

www.astrosalese.it

Alba del 30 gennaio… Cinque pianeti in fila (per tacere della Luna)

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Una simulazione di quanto si potrà osservare la mattina del 30 gennaio guardando verso sud. Alle 6:45 il Sole (per una località posta a 42°N) sarà sotto l’orizzonte di -8° e già illuminerà debolmente l’orizzonte est, dove magari aiutandosi con un binocolo si potrà individuare Mercurio. Dopo di che, spostando lo sguardo verso ovest e salendo leggermente, troveremo Venere, poi Saturno, Marte e Giove.

Era dal gennaio 2005 che non succedeva, anche se allora fu più un assembramento che un allineamento…

Questa volta i 5 pianeti osservabili ad occhio nudo si disporranno invece sulla linea immaginaria dell’eclittica a intervalli assolutamente regolari, come tanti passeri su di un cavo della luce.

Ma per riuscire a osservarli, nel breve intervallo che passa dal momento in cui anche il più basso sarà uscito dall’orizzonte a quello in cui il cielo comincia a schiarire, sarà necessario fare un piccolo sacrificio alzandosi prima dell’alba. L’ora che consigliamo, come si può vedere anche dall’illustrazione, è quella delle 6:45.

La data? Beh, l’allineamento resisterà per parecchi giorni, divenendo tuttavia sempre più disordinato, ma il giorno migliore sarà senz’altro quello del 30 gennaio, quando a Mercurio, Venere, Saturno, Marte e Giove si aggiungerà (alla giusta distanza dagli altri, quasi a rispettare la cadenza!) anche un magnifico ultimo quarto di Luna.

Il primo febbraio la Luna, autentica mina vagante, si avvicinerà a Marte e il 4 febbraio a Saturno, per poi affiancarsi a Venere il 6. Una sottilissima falce sarà invece osservabile appena sotto Mercurio il 7 febbraio.

Di sfondo, saranno forse visibili (dipenderà dalla trasparenza e dall’oscurità del cielo) anche le stelle più luminose, come Antares nello Scorpione, Spica nella Vergine e Regolo nel Leone.

I cinque pianeti saranno di nuovo osservabili tutti insieme, ma nel cielo notturno, il prossimo agosto.

In realtà, 47’ a sud di Mercurio ci sarà anche il “passero” Plutone a tentare di unirsi al gruppo… ma sarà ovviamente inosservabile (e al momento anche privo della qualifica di pianeta, necessaria per entrare a fare parte del club).

Nei giorni a seguire la configurazione (a parte la Luna, che si sposterà velocemente verso est, divenendo anche sempre più sottile) rimarrà approssimativamente stabile, per cui i dati presenti in questa breve nota si potranno considerare validi almeno fino al 5 febbraio.

Ora del sorgere

Mag.

distanza

(milioni di km)

altezza

alle 6:45

Mercurio

06:03

+0,1

127

+7°

Venere

05:37

-3,8

201

+10°

Saturno

03:48

+0,6

1580

+23°

Marte

01:20

+0,9

208

+33°

Luna

23:12

-10,9

0,401

+35°

Giove

20:57

-2,1

699

+29°

Effemeridi di Luna e Pianeti

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Challenger 30 anni dopo

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Equipaggio del STS-51-L Prima fila da sinistra a destra: Michael John Smith, Dick Scobee, e Ronald McNair. Seconda fila da sinistra a destra: Ellison Onizuka,Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, e Judith Resnik. (NASA)
L'equipaggio della missione STS-51-L. Dall'alto da sinistra: Ellison Onizuka,Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, e Judith Resnik, Michael John Smith, Dick Scobee, e Ronald McNair (NASA).

La mattina del 28 gennaio 1986 la costa di Cape Canaveral, in Florida, è affollata di turisti, curiosi, appassionati. Migliaia di occhi, allineati lungo le strade,  sono puntati nella stessa direzione: la base di lancio del Kennedy Space Center da cui avverrà il lift-off.

All’accensione dei motori il silenzio è improvviso, ma dura pochissimi istanti: subito, mentre la sagoma maestosa del Challenger si alza verso il cielo per la decima volta, tra la folla si diffonde un gigantesco applauso.

L’entusiasmo dura poco: 73 secondi dopo il lancio è già finito, il silenzio cala di nuovo, improvviso, sulle strade di Cape Canaveral. La tragedia, vissuta in mondovisione, è trasmessa in diretta dalla CNN.

Il Challenger, coinvolto in quella che sulle prime sembra un’esplosione (si scoprirà dopo che la dinamica dell’incidente fu più complessa) finisce in pezzi e i resti precipitano nell’oceano, sparpagliati in un’area vasta quasi 2mila km quadrati. Per i sette membri dell’equipaggio non c’è nulla da fare. E’ il primo incidente di questa portata per il programma spaziale americano dai tempi dell’Apollo 1 nel 1967.


Più tardi verrà appunto appurato che lo Shuttle, il cui lancio era stato rinviato più volte, dal previsto 22 gennaio, per una serie di inconvenienti tecnici concatenati al maltempo, non era davvero esploso. La prima causa del disastro fu il guasto a una guarnizione (O-ring) del segmento inferiore del razzo a propellente solido, che provocò la disintegrazione del serbatoio esterno dello shuttle. Questo a sua volta ha causato il distacco della cabina dell’equipaggio, mentre i due razzi SRB continuavano separatamente a ‘volare’.

L’aspetto più terribile, appurato solo in seguito, è che almeno qualche membro dell’equipaggio doveva essere ancora vivo e cosciente dopo la rottura dello shuttle: lo dimostra l’attivazione di tre delle sette riserve di ossigeno di emergenza dei caschi degli astronauti. Ciò che invece è stato sicuramente fatale è l’impatto della cabina con l’oceano, uno schianto avvenuto a circa 333 Km/h.

La tragedia del Challenger segna una battuta d’arresto dello Space Shuttle Programme, che si ferma per oltre due anni.

Il Programma era iniziato nel 1981 con il lancio della navicellaColumbia, e per gli anni successivi era andato avanti a gonfie vele: prima l’inaugurazione del Challenger nell’83, poi delDiscovery e dell’Atlantis rispettivamente nell’84 e nell’85. Quella del 28 gennaio 1986 doveva essere la venticinquesima missione Shuttle, nome in codice STS-51L, ed era attesa con particolare trepidazione: si trattava della prima spedizione nello spazio di un civile, l’insegnante Sharon Christa McAuliffe.

Il governo americano puntava a sensibilizzare le nuove generazioni di studenti al tema dell’esplorazione del cosmo, e la McAuliffe era stata scelta tra centinaia di candidati per unirsi all’equipaggio del Challenger e dare una lezione di scienze direttamente dallo spazio.

30 anni fa:
La perdita della navetta Challenger

Lo Space Shuttle era una macchina meravigliosa, ma complessa e pericolosa. Pensare di inviare gli uomini e le donne nello Spazio e farli rientrare sulla Terra con un gigantesco e pesantissimo “Aliante” era un miracolo della tecnica, ma comportava rischi enormi…

Continua su “Pizzimenti Blog” di Luigi Pizzimenti.

La sua morte, insieme a quella del pilota Michael Smith, degli specialisti di missione Judith ResnikRonald McNair ed Ellison Onizuka e dello specialista di carico Gregory Jarvis, segna una profonda crisi nell’opinione pubblica americana. Le missioni successive vengono cancellate e inizia un biennio buio per la NASA, che oltre a indagare le cause della tragedia del Challenger deve rivedere la sua strategia nella corsa allo spazio.

Eppure l’arresto che molti si sarebbero aspettati non si verifica. Non solo: il Programma Shuttle riprende alla fine del 1988 con due lanci in soli tre mesi del Discovery e dell’Atlantis, che tornano così a superare l’atmosfera terrestre. Le missioni vanno a buon fine, altre cinque ne vengono programmate per l’anno successivo: si apre una nuova era per la conquista americana dello spazio.

Come si spiega una ripresa così rapida? Per provarci occorre fare un passo indietro, intorno alla fine degli anni ’50. Siamo in piena guerra fredda, e la rivalità tra il blocco americano e quello sovietico trova uno dei suoi culmini proprio nella corsa allo spazio.

L’URSS guadagna il record del primo satellite spedito in orbita, lo Sputnik 1, precedendo di un soffio gli USA in questa impresa. Ancora, riesce a mandare il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, che oltrepassa l’atmosfera terrestre nel 1961 a bordo della capsula spaziale Vostok 1.

Di fronte a questa doppia vittoria sovietica, gli USA cominciano a investire tutte le loro energie in un progetto ancora più ciclopico: spedire un uomo sulla Luna. Traguardo che raggiungono nel 1969, con il primo passo sul nostro satellite compiuto da Armstrong eAldrin.

Ed è nello stesso anno che il Programma Space Shuttle viene concepito: la NASA apre alle industrie aerospaziali un bando per la progettazione di un “sistema di trasporto riutilizzabile”: il primo shuttle, appunto, che inizia a essere costruito negli anni ’70. Ci vorrà un altro decennio per arrivare al lancio della prima navicella, ma lo Space Shuttle Programme resta in qualche modo figlio della contrapposizione USA-URSS. Lo dimostra la reazione dell’Unione Sovietica, che poco dopo la partenza di Columbia  investe una grandissima quantità di denaro nel programma Buran, per certi versi molto simile a quello americano, anche se meno fortunato.

All’interno di questo contesto storico-politico si spiega meglio la “febbre” che accompagna la corsa allo spazio tra gli anni ’60 e ‘90: lo stesso spirito che spinge l’America a far ripartire il programma Shuttle dopo la tragedia del Challenger. Serve però un cambio di direzione. La NASA lo trova nel suo nuovo amministratore Daniel Goldin, che inaugura la politica del Faster, Better, Cheaper.

Le misure di sicurezza vengono incrementate, e allo stesso tempo i costi si riducono notevolmente: il Programma Shuttle arriva a far risparmiare fino a un terzo rispetto al budget iniziale. Questo approccio, che caratterizza la filosofia degli anni ’90 dell’agenzia spaziale americana, viene applicato con successo anche ad altri ambiziosi progetti NASA, come quello embrionale della Stazione Spaziale Internazionale.

Lo Space Shuttle Columbia, lanciato il 16 gennaio verso la Stazione Spaziale, missione STS-107, esplode sopra il Texas nella fase di rientro, il 1 febbraio 2003, uccidendo l'intero equipaggio.

All’inizio degli anni duemila la politica del Faster, Better, Cheaper viene però messa sotto accusa dopo un’altra grande tragedia che colpisce lo Shuttle: l’1 febbraio 2003, durante la missione STS-107, il Columbia esplode nella fase di rientro nell’atmosfera. Anche questa volta, i sette componenti dell’equipaggio perdono la vita.

Ma come nel caso dell’incidente del Challenger, il programma Shuttle viene soltanto sospeso. Altri due anni di pausa, poi un nuovo inizio in grande stile, con ben 22 missioni che si succedono fino al 2011. È questo l’anno di chiusura dello Space Shuttle Programme, che con luci e ombre ha contribuito a scrivere una delle più importanti pagine nell’esplorazione americana dello spazio.

135 voli, 355 uomini e 179 satelliti in 30 anni: sono questi i numeri dello Shuttle, il cui termine, cinque anni fa, non ha certo segnato la fine del sogno della NASA. L’era del “post-Shuttle” si è infatti aperta coi nuovi progetti di Space Transport, portando con sé una grandissima eredità in termini di scoperte scientifiche e tecnologiche. Eredità che, tra l’altro, riguarda anche il trasporto cargo. E che proprio oggi, nel trentennale dalla tragedia del Challenger, la NASA celebra con una giornata dedicata a quanti hanno perso la vita nella causa dell’esplorazione umana del cosmo.

Ma con uno sguardo sempre rivolto al futuro: è attualmente aperto il bando per la ricerca di nuovi astronauti, che saranno selezionati a partire dalla metà di febbraio. Primo obiettivo, Marte: la nuova grande sfida della NASA, che continua a portare avanti la sua missione di esplorazione del cosmo nonostante episodi come la tragedia del Challenger.

O forse proprio per questo.

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Ricordando Apollo 1 (27 Gennaio 1967)

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Edward White, Virgil Grissom e Roger Chaffee (NASA)

Edward White, Virgil Grissom e Roger Chaffee (NASA)

Tratto da Pizzimenti Blog del 26 gennaio 2016

La tragedia avvenne sulla rampa di lancio durante il test finale della missione inizialmente denominata Apollo 204.  Sarebbe stata lanciata il 21 febbraio 1967, ma gli astronauti Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee persero la vita nell’incendio del modulo di comando.

Gli astronauti erano entrati nella capsula alle ore 13 di Venerdì 27 Gennaio 1967. Il primo problema fu quando Gus Grissom entrato nella navicella dopo aver  collegato la sua fornitura di ossigeno al veicolo spaziale,  disse di aver sentito  uno strano odore nella tuta spaziale come un “odore acre”… L’equipaggio si fermò per vedere se l’aria tornava ad essere normale, il centro di controllo  dopo averne discusso con Grissom decise di continuare il test.

Il problema successivo fu un forte flusso di ossigeno che periodicamente attivava il master allarm. Anche in questo caso si continuò con la promessa che se ne sarebbero occupati dopo…

Un terzo problema sorse nelle comunicazioni. In un primo momento, le comunicazioni difettose sembravano essere unicamente tra il comandante  Grissom e la sala di controllo. Più tardi, la difficoltà si estesero a tutto l’equipaggio, alla sala di controllo e al complesso di lancio 34. Grissom disse: “Come pensate di comunicare dalla Terra alla Luna, se non riusciamo a comunicare a tre isolati di distanza!”.

Quest’ultimo problema nelle comunicazioni, spostò di circa 30 minuti il conteggio dalle 5:40 pm alle 06:31 pm, quando i controllori di volo stavano per far ripartire l’orologio, gli strumenti a terra mostrarono un aumento inspiegabile del flusso di ossigeno nelle tute spaziali. Uno dei membri dell’equipaggio, presumibilmente Grissom, si era spostato leggermente.

Quattro secondi dopo, l’astronauta Chaffee urlò:Fuoco, sento odore di fuoco“. Due secondi dopo, la voce diWhite si fece più insistente: “Fuoco nella cabina di guida!”

Le procedure per la fuga di emergenza richiedevano normalmente 90 secondi, ma in pratica l’equipaggio non aveva mai compiuto questa operazione in soli 90 secondi… Adesso si trattava di farlo con il fuoco e il fumo che avvolgeva i tre uomini!

Fiamme e spesse nuvole di fumo nero riempirono la white room. L’istinto fece allontanare molti uomini, ma altri cercarono di salvare gli astronauti. Il calore intenso e il denso fumo resero impossibile l’intervento, purtroppo era troppo tardi. Gli astronauti erano morti. Una commissione medica stabilì che gli astronauti erano  morti per asfissia da monossido di carbonio. L’incendio aveva distrutto il 70% della tuta spaziale di Grissom, il 20% della tuta di White e del 15% della tuta di Chaffee.

Dopo la rimozione dei corpi, la NASA sequestrò tutto ciò che al momento del lancio era nel complesso 34.

Il 3 febbraio, l’Amministratore della NASA Webb, istituì una commissione d’esame per indagare a fondo sulla questione. Gli ingegneri smontarono per per pezzo la navicella e  dimostrarono che l’incendio era divampato vicino a uno dei fasci di cavi proprio di fronte al sedile di Grissom sul lato sinistro della cabina.

Nella primavera del 1967, il dottor George E. Mueller, Amministratore associato per i voli con equipaggio della NASA, annunciò che la missione prevista per Grissom, White e Chaffee sarebbe stata denominata Apollo 1 per onorare la memoria dei tre astronauti scomparsi.
Il Programma lunare era appena iniziato, ed aveva già chiesto il suo tributo agli uomini.

Storico del Programma Apollo
Curatore del Padiglione Spazio del Museo del Volo “Volandia”

Chaffee, White e Grissom durante il training (NASA)
Quello che resta delle tute degli astronauti (NASA)
Apollo 1 durante l'indagine della NASA (NASA)

DECaLS: l’Universo è online

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Uno screenshot del software per l’analisi immagini in remoto. Crediti: Dustin Lang / University of Toronto.
Uno screenshot del software per l’analisi immagini in remoto. Crediti: Dustin Lang / University of Toronto.

La galassia lontana lontana è finalmente a portata di mano. E non c’è bisogno di un pericoloso salto nell’iperspazio per raggiungerla. È più che sufficiente avere una buona connessione internet.

Si chiama DECaLS (Dark Energy Camera Legacy Survey) la nuova mappa 3D dell’Universo, interamente navigabile online e che raccoglie la bellezza di 40 milioni di galassie e oltre 2,5 milioni di quasar. Grazie alle immagini a risoluzione 520 megapixel della Dark Energy Survey Camera si raddoppiano le dimensioni dell’Universo perlustrabile rispetto alla prima versione del progetto DESI(Dark Energy Spectroscopic Instrument) rilasciata lo scorso maggio e di cui abbiamo parlato anche noi di MediaINAF.

DESI è stato concepito per migliorare la comprensione e il ruolo che ha l’energia oscura nell’espansione dell’Universo. Gestito dal dipartimento Energia del Lawrence Berkeley National Laboratory, Stati Uniti, California, si sta adoperando alla costruzione del telescopio da 4 metri Mayall, presso il Kitt Peak National Observatory. L’obiettivo è ottenere una nuova mappatura 3D dell’Universo a una risoluzione senza precedenti, partendo dai “cieli” più vicini per raggiungere una distanza di 12 miliardi di anni luce.

Tutti i dati e le immagini raccolte sono comodamente fruibili da remoto, grazie a un software sviluppato da Dustin Lang, ricercatore dell’Università di Toronto, Canada. Attualmente DECaLS triplica in profondità le mappe della survey precedente, la Sloan Digital Sky Survey, e ampliano a un terzo del cielo l’area sottoposta a indagine.

«L’ultima versione di DECaLS raccoglie circa 370 milioni di oggetti fra stelle e galassie», spiega David Schlegel, co-responsabile del progetto al Berkeley Lab. «Quando avremo finito con il lavoro (presumibilmente nel 2018) avremo un paio di miliardi di oggetti con immagini in tre diverse bande di colore». Una profondità di dieci volte maggiore alla Sloan Digital Sky Survey.

Intanto, parallelamente allo sviluppo del progetto, procede il lavorio degli astrofisici per sviluppare algoritmi matematici buoni per identificare automaticamente gli oggetti “fotografati” nelle immagini raccolte.

L’interfaccia di Galaxy Zoo. Crediti: www.galaxyzoo.org

«Le immagini in RAW sono già disponibili a tutti e il codice che stiamo utilizzando è open source», spiega Schlegel. «Mi sembra corretto, dal momento che le risorse che ci consentono di lavorare al progetto arrivano direttamente dai contribuenti».

C’è un mondo di immagini tutto da studiare e potrebbe tornare utile il contributo della piattaforma di citizen science Galaxy Zoo, che da anni si avvale di bravi volontari e appassionati di scienza in collaborazioni con ricercatori e università. La piattaforma ha già importato un primo lotto di circa 30.000 galassie fra quelle “fotografate” da DECaLS, con l’obiettivo di raccogliere qualcosa come 1,2 milioni totali di classificazioni (40 per ogni galassia).

  • • Il sito della DECam Legacy Survey con l’archivio delle immagini e lo Sky Viewer per esplorare il cielo alla scoperta delle galassie
  • • Il sito in italiano del progetto di citizen science Galaxy Zoo, per la classificazione delle nuove galassie identificate da survey internazionali (Hubble, SDSS), alle quali ora si aggiungono le immagini di DECaLS

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Giano e Teti: lune a confronto

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Nell’immagine le lune di Saturno Giano e Teti riprese dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda Cassini della NASA il 27 ottobre 2015. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Dopo quasi dodici anni di attività la sonda Cassini della NASA non smette di regalarci emozioni. Le operazioni pianificate negli ultimi mesi e per tutto il 2016 riguardano soprattutto flyby (ovvero sorvoli ravvicinati) delle lune più interessanti. GianoTeti sono due satelliti naturali di Saturno e il 27 ottobre scorso sono stati immortalati dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda, regalandoci l’immagine spettacolare che potete ammirare qui sotto.

Nell’immagine le lune di Saturno Giano e Teti riprese dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda Cassini della NASA il 27 ottobre 2015. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Le due lune di Saturno mostrano in questo scatto una serie di differenze essenziali che distinguono tra loro le lune più piccole da quelle più grandi.

Le lune come Teti, ad esempio, che ha un diametro pari a 1.062 km, sono abbastanza grandi da poter essere state modellate dalla loro stessa forza di gravità. Il materiale di cui sono fatte (nel caso di Teti principalmente ghiaccio) è stato plasmato durante la sua formazione fino ad assumere una forma sferica. Vista da vicino, la superficie di Teti è ricca di crepe causate dalle numerose fratture del ghiaccio che la compone.

Giano appartiene invece alla classe delle lune più piccole. Con un diametro di appena 179 km e una superficie estremamente craterizzata (alcuni dei crateri più grandi arrivano fino a 30 km di diametro) presenta poche strutture lineari sulla superficie. La sua densità molto bassa e l’albedo relativamente alta fanno pensare che Giano sia un corpo ghiacciato e poroso. Come accade per tutte le lune di “piccola taglia”, anche Giano è un corpo non abbastanza massiccio da far sì che la sua forza gravitazionale riesca ad influenzarne la forma, e infatti si presenta con una morfologia irregolare.

Sovrapposti alle due lune ci sono anche, visti di taglio, l’anello F e il bordo esterno dell’anello A, che sembrano dividere l’immagine a metà. Questa inquadratura è stata ottenuta puntando la camera ad angolo stretto, uno degli strumenti a bordo della sonda Cassini, verso il lato non illuminato degli anelli a circa 0.23 gradi rispetto al piano degli anelli.

Questa visuale è stata ottenuta ad una distanza di circa 1 milione di km da Giano. La risoluzione, per quanto riguarda Giano, è di circa 6 km per pixel. Teti invece si trovava a una distanza di 1.3 milioni di km e la risoluzione, in questo caso, è pari a circa 8 km per pixel.

«Innanzitutto, l’immagine illustra il problema della prospettiva», ha dichiarato a media INAF Jonathan Lunine, professore della Cornell University e membro del team scientifico della missione Cassini,«Giano è piccolo rispetto Teti, ma si trova molto più vicino alla telecamera e questo ci fornisce un’impressione falsata delle loro dimensioni reciproche. In secondo luogo, Giano e le altre piccole lune che si trovano vicino agli anelli, grazie alle loro superfici polverose e alle forme strane che hanno, ci forniscono informazioni preziose circa l’ambiente che si trova dentro e intorno agli anelli: sono le nostre sonde naturali in questa regione estremamente interessante».

L’immagine di Giano e Teti assomiglia molto a uno dei tre obiettivi scientifici proposti per l’edizione di quest’anno del concorso Cassini Scientist for a Day rivolto ai ragazzi di scuole medie e superiori. Cassini Scientist for a Day è una gara internazionale, indetta dalla NASA e promossa in europa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), grazie alla quale i ragazzi dai 10 ai 18 anni hanno la possibilità di avvicinarsi al lavoro dello scienziato studiando tre immagini prodotte dalla missione Cassini. Per partecipare i ragazzi devono scegliere quale immagine tra le tre proposte è secondo loro la più interessante e motivare la loro scelta con un elaborato di massimo 500 parole. La scadenza di partecipazione per quest’anno è fissata alle 23:59 del 26 febbraio 2016.

Per aiutare studenti e insegnanti a documentarsi sui tre target proposti e a scoprire qualcosa di più sulla sonda Cassini Media INAF ha deciso di organizzare per mercoledì 3 febbraio alle ore 16:00 una chiacchierata in diretta con alcuni membri del team scientifico della missione. Jonathan Lunine è uno degli ospiti speciali ai quali potrete fare domande attraverso i nostri canali social. Rimanete in contatto: nei prossimi giorni vi daremo maggiori dettagli!

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Scoperto un nuovo pianeta nel Sistema Solare? Non proprio

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Ha fatto rapidamente il giro del web e come al solito alcuni siti, anche importanti (per fortuna pochi), hanno cavalcato con grande entusiasmo la notizia appena diffusa ma l’hanno fatto, come solito, nel modo (o con tono) sbagliato. La notizia riportata da alcune parti (evito di fare nomi) è la seguente: è stato scoperto un nuovo pianeta nel Sistema Solare, molto distante e almeno 10 volte più massiccio della Terra, in pratica una via di mezzo tra il nostro pianeta e il gigante gassoso Nettuno. Detto in questi termini, però, l’annuncio trionfalistico è falso: non è stato scoperto nessun pianeta di questo tipo nel nostro Sistema Solare e con piacere noto che questa volta la gran parte dei mass media, soprattutto online, ha riportato la notizia in modo corretto.

La notizia in realtà è ben diversa da quanto è stato in più luoghi raccontato. Come faccio a saperlo? Sono il solito disfattista? Nient’affatto.

Quando si viene raggiunti da un annuncio scientifico, a maggior ragione se sembra incredibile, occorre sempre fare un minimo lavoro di ricerca e risalire alla fonte primaria. La cosa positiva è che tutte le scoperte scientifiche vengono pubblicate, con calcoli/osservazioni/dimostrazioni convincenti su riviste specializzate che passano al setaccio l’articolo prima che venga pubblicato per vedere se contiene errori, inesattezze o veri e propri strafalcioni. In pratica, questo evita la pubblicazione di bufale, il ché, nell’anarchia informativa di internet, è una bellissima cosa.
Nel nostro caso, la fonte primaria è un interessante articolo di Batygin e Brown, del Caltech (California Istitute of Technology) pubblicato sull’Astronomical Journal e disponibile a tutti per la letturaquesto link. Bene, ora che abbiamo a disposizione la fonte a cui si riferiscono tutte le notizie lette e sentite possiamo spendere mezz’ora del nostro tempo e leggere le 12 pagine per capire di cosa veramente si parla. Se vi fidate del sottoscritto vi faccio un piccolo e semplificato riassunto, così vi risparmio del tempo e un mal di testa assicurato nel cercare di decifrare quanto detto dai ricercatori; alla fine è proprio questo il ruolo di un divulgatore.

Bene, iniziamo dalla conclusione, poi risaliremo la china: non è stato scoperto alcun nuovo pianeta. Lo studio dei due ricercatori è meramente teorico; non è stato fisicamente osservato alcun nuovo pianeta. Sebbene quindi l’approccio sia puramente fisico-matematico, è comunque interessante e insieme possiamo cercare di capire meglio la situazione.
Negli ultimi anni si sono continuati a scoprire nuovi corpi celesti remoti. Molti di questi fanno parte della grande famiglia chiamata fascia di Kuiper (detti KBO, Kuiper Belt Objects): un serbatoio di oggetti ghiacciati, delle vere e proprie potenziali comete giganti, il cui capostipite è Plutone. Altri corpi celesti sono ancora più interessanti perché sembrano essere un collegamento tra la fascia di Kuiper e il gigantesco alone che circonda tutto il Sistema Solare, fino a oltre un anno luce di distanza, chiamato nube di Oort. Il capostipite di questi oggetti è Sedna, un corpo celeste alquanto misterioso che ha un’orbita molto allungata che lo porta fino a quasi 146 miliardi di km dal Sole.

Il numero crescente di corpi celesti, in particolare di nuovi KBO, ha permesso ai ricercatori del Caltech di cominciare a fare uno studio statistico approfondito sulle loro proprietà orbitali. In pratica hanno tracciato le orbite di tutti questi corpi celesti e hanno cercato di capire se ci fosse qualcosa che li accomunasse. Con un po’ di sorpresa hanno scoperto che i corpi della fascia di Kuiper finora conosciuti tendono ad avere un’orientazione delle orbite concentrata attorno ad alcuni valori particolari. Poiché la fascia di Kuiper si pensa essere costituita da milioni di corpi celesti che possiedono orbite differenti e che non dovrebbero avere alcun collegamento le une alle altre, il fatto che invece queste sembrano avere delle proprietà comuni ha fatto venire più di un sospetto. Inoltre, Batygin e Brown hanno scoperto (e dimostrato) che non solo questi corpi celesti hanno orbite con orientazioni simili ma non sono neanche disposti in modo uniforme nello spazio, preferendo raggrupparsi in determinate regioni.

Insomma, i KBO, come gli esseri umani, preferiscono stare in gruppi. Se per noi è una cosa normale, per degli oggetti grandi decine o centinaia di chilometri, non dotati di cervello, non è scontato, anzi. Calcoli alla mano, infatti, la probabilità che questi corpi celesti abbiano assunto in modo casuale questa disposizione orbitale è dello 0.007%. Esagerando un po’, in pratica è come mischiare un mazzo di 52 carte e sperare che casualmente queste si dispongano tutte in fila: difficile, molto difficile. Se quindi dovessimo trovare un mazzo in cui tutte le carte fossero messe in ordine crescente e divise per semi, cosa ci verrebbe da pensare? Che non c’entra il caso: qualcuno le ha ordinate di proposito.

A una conclusione del genere sono arrivati i due ricercatori del Caltech: qualcosa, molto probabilmente, ha ordinato le orbite altrimenti disordinate degli oggetti della fascia di Kuiper. Bene, chi è stato a mettere ordine in questa remota stanza del Sistema Solare e a mantenerlo per miliardi di anni?

In viola sono indicate le orbite anomale dei sei oggetti della Fascia di Kuiper analizzate nello studio, mentre in giallo è indicata quella che sarebbe l'orbita del "nono pianeta" in grado di far "tornare i conti". Crediti: Caltech/R. Hurt (IPAC)

Dopo complesse simulazioni al computer,  Batygin e Brown sono arrivati a una possibile soluzione. Se si inserisce nel Sistema Solare esterno un pianeta 10 volte più massiccio della Terra e lo si colloca nella giusta orbita, questo può svolgere la mansione che mia madre, per 19 lunghi anni, ha sperato io facessi con la mia stanza. Da qui la previsione, del tutto teorica, che nella periferia del Sistema Solare potrebbe trovarsi un altro pianeta, che è sfuggito a tutte le osservazioni fatte fino a questo momento. Tra tutti gli scenari esplorati, questo sembra essere quello che, sulla base delle attuali conoscenze delle periferie del Sistema Solare, appare più probabile.
Come potete vedere, la scoperta trionfale con cui è stato annunciato il nuovo corpo celeste si è ridimensionata, anche se lo studio effettuato è molto intrigante e non fa che confermare le sensazioni di molti planetologi. Il nuovo pianeta spiegherebbe in modo naturale il flusso di nuove comete dalla nube di Oort, il comportamento bizzarro delle orbite di Sedna e della famiglia che si porta appresso e anche la presenza di alcuni oggetti della fascia di Kuiper con orbite fortemente inclinate. Insomma, mettendo ad hoc un pianeta con queste caratteristiche per giustificare l’allineamento orbitale degli oggetti della fascia di Kuiper, molte delle anomalie presenti e passate dei corpi celesti remoti si spiegherebbero in modo relativamente semplice.

Naturalmente, tra l’ipotizzare qualcosa che riesce a spiegare delle anomalie di un gruppo di oggetti che conosciamo a malapena (e a cui mancano ancora migliaia, se non milioni, di corpi all’appello) e parlare di scoperta c’è di mezzo il metodo scientifico, ovvero l’osservazione di questo fantomatico pianeta. Sono gli stessi Batygin e Brown a concludere il loro articolo con una chiamata alle armi, come per dire: “Signori, questi sono i nostri calcoli, ora cerchiamo il pianeta e vediamo se c’è o no”.

Il pianeta ipotizzato potrebbe essere una superterra, un oggetto che si pensa sia una via di mezzo tra un corpo roccioso e un pianeta gassoso. Di superterre ne conosciamo diverse in altri sistemi stellari ma non abbiamo idea delle loro caratteristiche perché non ne abbiamo a disposizione (a questo punto FORSE) nel Sistema Solare. Un simile oggetto non dovrebbe essere difficile da rivelare con i moderni grandi telescopi date le sue, ipotetiche, generose dimensioni e un’orbita che non dovrebbe essere troppo diversa da altri, remoti KBO (e qui lancio un dubbio che tra poco proverò a spiegare: abbiamo scoperto oggetti di qualche centinaio di km di diametro con un’orbita simile, come ha fatto a sfuggire un pianeta che risulterebbe migliaia di volte più brillante?).

Il grosso problema sarà riconoscerlo tra le milioni di stelle del cielo. Come si fa infatti a distinguere una stella da un pianeta tanto lontano che risulterebbe sempre un punto indistinto? L’unico modo è osservarlo per un intervallo di tempo sufficientemente lungo e rivelare il lento moto attraverso le stelle, segno che si tratta di un corpo celeste molto più vicino che orbita attorno al Sole. Il problema è che questo pianeta, se davvero esistesse, si troverebbe così lontano dal Sole che si muoverebbe molto, molto lentamente nel cielo. La scienza moderna, purtroppo, non ama le osservazioni prolungate nel tempo e senza la minima garanzia di successo, perché di mezzo ci sono gli esseri umani e la smania di produrre risultati per ottenere (o continuare a mantenere) preziose risorse economiche. L’ipotetico pianeta potrebbe avere un’inclinazione orbitale elevata, quindi disporsi un po’ ovunque nel cielo (e il cielo è grande!), oppure, a causa della forte eccentricità orbitale, potrebbe trovarsi nel punto più lontano dal Sole, a centinaia (o migliaia) di miliardi di chilometri dal Sole e risultare molto debole. Resta ancora l’alternativa che il pianeta non è stato trovato fino a questo momento perché semplicemente non c’è.

Qualunque sia la verità, si è riaperto in modo fragoroso un interessante campo della ricerca. Con l’articolo di Batygin e Brown sono sicuro che a molti planetologi verrà la curiosità di approfondire la questione e molti enti di ricerca saranno di certo più propensi ad accettare una campagna osservativa di lunga durata, la cui posta in gioco ora sembra più concreta rispetto a qualche giorno fa.

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I Venerdì dell’Universo 2017

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venerdi Universo

venerdi UniversoTornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.

03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.

10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.

24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.

10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.

24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.

31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.

Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.itwww.fe.infn.it

Le conferenze possono essere seguite anche in streaming dal sito dell’Università: www.fe.infn.it/venerdi/streaming

Congiunzione Luna-Giove

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Il carnet dei migliori fenomeni celesti del mese si chiude la sera del 27 con una nuova congiunzione tra la Luna e Giove, sempre sull’orizzonte est. Questa volta, rispetto all’incontro del 1 gennaio, la fase lunare sarà più luminosa e i due oggetti più vicini tra loro (circa 2°).

Per effemeridi di Luna e Pianeti vedi il cielo del mese di dicembre

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Tutti gli eventi del mese di gennaio li potete trovare anche sul nuovo Coelum Speciale 2016
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Premio Letterario Galileo 2016 per la divulgazione scientifica

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“Il 10 è la somma data dai primi quattro numeri naturali che insieme formano la tetraktis. 10 Hygea è il nome di un asteroide. Il 10 corrisponde al numero atomico del Neon. Il 10 è considerato un numero “felice”. E felici siamo noi di potervi annunciare la decima edizione del Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica!”

La Giuria scientifica della decima edizione del Premio Galileo, presieduta per il 2016 dallo psichiatra, scrittore e sociologo Paolo Crepet, il 15 gennaio scorso a Padova ha selezionato la cinquina finalista delle opere da sottoporre al giudizio della Giuria popolare, formata da circa 2.500 studenti delle IV superiori di tutte le Province italiane. Sarà questa Giuria a scegliere il libro che il prossimo 6 maggio riceverà il Premio Galileo 2016 in una cerimonia presso il Palazzo della Ragione di Padova.

Questi i cinque volumi scelti:

  • Umberto Bottazzini con “Numeri. Raccontare la matematica”, Il Mulino, 2015;
  • Dario Bressanini-Beatrice Mautino con “Contro Natura. Dagli OGM al “bio”, falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola”, Rizzoli Editore, 2015;
  • Paolo Gallina con “L’anima delle macchine. Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale”, Edizioni Dedalo, 2015;
  • Till Roenneberg con “Che ora fai? Vita quotidiana, cronotipi e jet lag sociale”, Edizioni Dedalo, 2015;
  • Lucia Votano con “Il fantasma dell’Universo. Che cos’è il neutrino”, Carrocci Editore-Città della scienza, 2015.

I cinque libri verranno presentati in alcuni incontri pubblici che si svolgeranno nei prossimi mesi a Padova.  Per informazioni: premiogalileo@comune.padova.it, www.padovacultura.it

Incontri con gli autori finalisti
Centro culturale Altinate/San Gaetano, via Altinate, 71 – Padova

I cinque finalisti del Premio letterario Galileo presentano le loro opere durante un ciclo di incontri. Gli orari per gli incontri sono alle 11:30 per le scuole e alle 20:00 per il pubblico.

  • 1 marzo Dario Bressanini e Beatrice Mautino presentano ControNatura
  • 11 marzo Lucia Votano presenta Il neutrino
  • 17 marzo Paolo Gallina presenta L’anima delle macchine
  • 21 marzo Umberto Bottazzini presenta Numeri
  • 5 maggio Till Roenneberg presenta Che ora fai?

Quest’anno le consuete conferenze con gli autori verranno accompagnate da più incontri in collaborazione con il CICAP, voluti per i dieci anni del Premio Galileo:

28 febbraio, alle ore 21:00 Indagare misteri con la lente della scienza. Incontro con Massimo Polidoro

12 aprile, alle ore 21:00 Scienza e Misteri. Incontro con Luigi Garlaschelli

6 maggio, alle ore 21:00 “A cosa serve la scienza?”. Incontro con Piero Angela, conduce Marco Motta (Radio3 Scienza).

Nelle pagine che seguono le schede dei cinque libri in concorso. Invitiamo tutti i lettori a leggerli e a esprimere la propria opinione.


Confermato: la Cina sbarcherà sul lato “lontano” della Luna

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La prima foto del lato opposto della Luna, ripresa dalla sonda russa Luna 3 il 7 ottobre 1959. A = Mare Moscoviense, B = cratere Tsiolkovsky, C = Mare Smythii Credit: Roscosmos
La prima foto del lato opposto della Luna, ripresa dalla sonda russa Luna 3 il 7 ottobre 1959. A = Mare Moscoviense, B = cratere Tsiolkovsky, C = Mare Smythii Credit: Roscosmos

L’emisfero lunare opposto alla Terra è stato fotografato per la prima volta nel 1959 ma non è mai stato visitato direttamente. Per questo, forse, ha sempre suscitato curiosità, racconti e fantasie.

La sonda cinese Chang’e-4 verrà lanciata nel 2018 e sarà il primo pioniere inviato in un angolo ancora inesplorato del nostro satellite.

Qui si trova il Bacino Polo Sud-Aitken, il più grande cratere meteoritico conosciuto nel Sistema solare che, con i suoi 2.500 chilometri di larghezza e 13 chilometri di profondità, potrebbe mostrare materiale esposto del mantello e della crosta lunare svelando la storia della sua formazione.

“Il lander ed il rover Chang’e-4 effettueranno un atterraggio morbido sul lato opposto della Luna e lavoreranno ad indagini sul posto e nei dintorni”, ha dichiarato Liu Jizhong, capo del programma cinese di esplorazione lunare.

A settembre 2015, lo State Administration for Science, Technology and Industry for National Defense (SASTIND) aveva annunciato che il modulo di servizio della missione Chang’e 5-T1 aveva ripreso ad alta risoluzione il sito del futuro l’allunaggio ma senza svelare troppi dettagli: la zona era rimasta enigmatica e priva di riferimenti topografici. E sempre con il dovuto riserbo, un articolo uscito sul Daily Today riporta che un satellite per le comunicazioni verrà lanciato a giugno 2018 e si posizionerà nel punto di Lagrange L2, da dove sarà in grado di vedere sia il lato lontano della Luna che la Terra. D’altra parte, la Cina ha già sperimentato orbite in L2 con il modulo di servizio della missione dimostrativa Chang’e-5-T1.

Non si hanno informazioni sul payload se non che “Chang’e-4 sarà molto simile a Chang’e-3 nella struttura ma potrà gestire più strumenti”, come citato da Xinhua news. L’articolo del Daily Today, inoltre, sembra accennare ad un coinvolgimento pubblico di Enti, Università, aspiranti scienziati… sicuramente un approccio nuovo per gli standard cinesi.

Nel 2013 Yutu, il piccolo rover della missione Chang’e 3, era sbarcato nella Baia degli Arcobaleni (Mare Imbrium), toccando di nuovo il suolo lunare dopo quasi quarant’anni.

I basalti del sito di atterraggio si sono rivelati diversi da qualsiasi altri analizzati fino ad oggi grazie alle missioni Apollo.

I dati sono stati studiati da due gruppi di scienziati, della Shandong University di Weihai (China) e della Washington University di St. Louis, ed i loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications il 22 dicembre 2015.

Questo successo per la Cina, che punta anche a realizzare una stazione spaziale orbitante permanente entro il 2020 e a far tornare l’uomo sulla Luna, è una grande dimostrazione della sua forza militare, del suo progresso tecnologico e del suo crescente affermarsi a livello mondiale.

“La Cina vanta già una scienza e una tecnologia avanzata per l’invio di una sonda sulla faccia nascosta della Luna ed è aperta alla cooperazione con la società internazionale”, scrive Xinhua citando Liu.

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PLUTONE: La prima foto a colori di quello che potrebbe essere il più grande criovulcano del Sistema solare.

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La prima foto a colori del più grande criovulcano del Sistema solare? Se confermato si tratta di un'immagine di STRAORDINARIA bellezza ma anche di straordinaria importanza. Crediti: NASA / JHUAPL / SWRI.

Plutone: possibile criovulcanismo

Wright Mons a colori. A più di sei mesi dallo storico flyby di Plutone, avvenuto lo scorso 14 luglio, la sonda NASA New Horizons ci regala una nuova e straordinaria immagine del pianeta nano. Nell’obiettivo dello strumento LORRI (Long Range Reconnaissance Imager) montato su New Horizons si compongono una serie di immagini a risoluzione di 450 metri per pixel e scattati da un’altezza di quasi 50mila chilometri sulla superficie di Plutone. Immagini arricchite dai dati “a colori” raccolti da un altro strumento montato sulla sonda NASA, il Ralph / Multispectral Visible Imaging Camera, che invece ha osservato la stessa area da un’altezza di 34mila chilometri e con una risoluzione di 650 metri per pixel.

Uno scatto che dunque abbraccia 230 chilometri in tutto e che fornisce nuove e importanti informazioni su uno dei due potenziali vulcani di ghiaccio osservati dagli scienziati fin dalle prime rilevazioni del luglio 2015.

Il criovulcanismo, ovvero l’estrusione di ghiaccio dalla superficie di un corpo celeste, è un fenomeno piuttosto diffuso all’interno del Sistema Solare. Questo è vero. Ma se il Wright Mons (così battezzato in onore dei fratelli Wright, pionieri del volo umano) fosse confermato come criovulcano ci troveremmo di fronte al più grande del suo genere, almeno per quanto concerne l’intero Sistema Solare esterno: con il suo diametro di 150 chilometri e uno sviluppo in altezza di 4 chilometri, davvero enorme.

Il gruppo di ricerca di New Horizons è incuriosito dalla scarsa distribuzione di materiale rosso nell’immagine e si interroga sul perché non sia più abbondante. È altrettanto strano che sull’intera superficie dell’ipotetico vulcano sia stato avvistato un unico e grosso cratere, come a dire che la sua formazione e la crosta sottostante è di relativa recente formazione. E che la sua attività deve essersi concentrata nella tarda storia del pianeta nano.

La regione dove trova il Wright Mons, nel contesto generale di Plutone. Crediti: NASA / JHUAPL / SWRI.

Onde gravitazionali, fra rumors e “big dogs”

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Simulazione 3D di onda gravitazionale prodotta da due buchi neri orbitanti. Crediti: Henze, NASA
Simulazione 3D di onda gravitazionale prodotta da due buchi neri orbitanti. Crediti: Henze, NASA

C’è grande fermento, da qualche mese, nella comunità degli astrofisici che si occupano di onde gravitazionali: tutta colpa di un tweet del settembre scorso, subito ripreso sulle pagine di Nature, nel quale il cosmologo Lawrence Krauss accennava a rumors – voci non confermate, dunque, indiscrezioni ufficiose non meglio attribuite – secondo le quali LIGO, il più grande osservatorio al mondo per le onde gravitazionali, avrebbe captato un segnale. Indiscrezioni, dicevamo, ribadite da un secondo tweet di lunedì scorso, di nuovo dello stesso Krauss e di nuovo non attribuite.

Ora, se davvero LIGO ha intravisto qualcosa, la tensione all’interno della collaborazione dev’essere altissima, ed è comprensibile. Da una parte c’è la pressione mediatica sempre più insistente, con il clima divenuto rovente dopo quest’ultimo tweet. Dall’altra c’è l’incubo dell’abbaglio, temutissimo sempre, ma se possibile ancor di più dopo le recenti figuracce internazionali con i neutrini superluminali di Opera e dell’impronta di onde gravitazionali – in quel caso, addirittura primordiali – nei dati di Bicep2. Ma rispetto alla già complicata situazione di tutti gli altri esperimenti al limite delle possibilità tecnologiche, i ricercatori della collaborazione LIGO/Virgo hanno un precedente in più con il quale fare i conti: Big Dog. Più precisamente, l’eventualità che – se davvero le voci di corridoio fossero confermate e dunque l’interferometro avesse captato un segnale – a generarlo non sia stato uno scontro fra buchi neri o qualche altro evento di portata cosmica, bensì una cosiddetta blind injection.

«Le blind injections sono dei segnali che riproducono i segnali gravitazionali che noi ci attendiamo, e che vengono inseriti, all’insaputa di tutti (da cui appunto blind), nelle osservazioni», spiega a Media INAF Marica Branchesi, ricercatrice all’Università di Urbino, associata INAF e membro della collaborazione LIGO/Virgo. «È una procedura che è già stata utilizzata in passato, in una circostanza poi ribattezzata “Big Dog” [ndr: dal nome della costellazione nella quale avrebbe avuto origine la “finta onda”, quella del Canis Major]. Nel 2010 fu inserito nei dati di LIGO e di Virgo un evento che riproduceva il segnale di una coalescenza di una stella di neutroni e di un buco nero. Nessuno se ne accorse, e per un po’ di mesi la collaborazione ci lavorò sopra: sono state fatte le analisi, le interpretazioni ed è stato scritto addirittura un paper. E solo alla fine di questo duro lavoro è stata rivelata l’identità – falsa – dell’evento».

Insomma, una verifica rigorosa al limite del masochismo, come potrebbe essere una prova delle procedure antincendio che ci facesse restare in pigiama, al gelo e sotto la pioggia, per un’intera notte – anzi, per parecchi mesi. Non ci fu un’insurrezione, fra le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione? «No, perché siamo consapevoli che si tratta d’una procedura estremamente utile, soprattutto nel nostro caso: permette di testare procedure di analisi dati estremamente complicate. Poi non dimentichiamo che si parla di rilevazione diretta di onde gravitazionali: qualcosa di davvero importante, che confermerebbe dopo cento anni le predizioni di Einstein e aprirebbe un nuovo modo d’osservare l’universo. Quindi bisogna essere certi di avere rivelato veramente un’onda gravitazionale. Queste procedure servono proprio a questo. E devo dire che anche il mondo astronomico lo ha capito», garantisce Branchesi.

Già, perché a essere investiti dalle conseguenze di un’eventuale blind injection non sarebbero solo i fisici di LIGO-Virgo ma anche i tanti astronomi della collaborazione, fra i quali molti dell’INAF. «Nell’aprile del 2014, INAF ha firmato un accordo grazie al quale, quando un possibile segnale gravitazionale viene rivelato dagli interferometri di LIGO e Virgo, i ricercatori di INAF vengono avvisati e hanno accesso ai dati sulla stima della posizione in cielo da cui proviene l’eventuale onda gravitazionale. Su questa base si è avviato il progetto INAF Gravitational Wave Astronomy with the first detections of adLIGO and adVIRGO experiments», ricorda il principal investigator del progetto stesso,Enzo Brocato, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Roma.

«In caso di “alert” il nostro team INAF», spiega Brocato, «che lavora H24 (ed è composto da ricercatori di Napoli, Roma, Pisa, Urbino, Bologna, Padova e Milano), è in grado di recepire l’informazione e attivare le osservazioni ai telescopi, primo fra tutti il VST, che è in grado di ottenere rapidamente immagini profonde e dettagliate su un campo di 1 grado quadrato.  Nel caso in cui questo telescopio, o altri di gruppi con cui collaboriamo, individuino degli oggetti (non noti) che abbiano variato la loro luminosità in modo significativo nelle ultime ore/giorni, siamo pronti ad attivare i telescopi della classe 4/8 metri e ottenere gli spettri per caratterizzarne la natura ed eliminare i tanti ‘falsi’ candidati che ci si aspetta di trovare in un’area di cielo cosi vasta. Nel caso venisse identificato un candidato importante, si seguirebbe la sua evoluzione in tutte le bande elettromagnetiche, per ricavare tutti i dati possibili per studiare la fisica dell’evento combinando le misure gravitazionali ed elettromagnetiche».

Ma anche questo imponente dispiegamento di forze, rapidissimo e su scala globale, potrebbe venire innescato da una blind injection? Ebbene sì, conferma Brocato: «Naturalmente, nel siglare l’accordo con la collaborazione LIGO/Virgo se ne accettano le condizioni. Dunque, anche quella della blind injection, che garantisce l’efficienza e l’affidabilità dell’apparato sperimentale e dei relativi canali di analisi dati. Questa procedura non dovrebbe sorprendere», osserva Brocato, «perché è utilizzata in diversi settori scientifici. Nel nostro caso, l’attivazione degli alerts avviene nel giro di poche ore dall’eventuale rivelazione dell’onda gravitazionale e dunque, come i colleghi di LIGO/Virgo, tutta la comunità internazionale degli astrofisici che ha siglato l’accordo non può sapere se si tratta o meno di una blind injection».

Voci infondate, vere onde gravitazionali o il ritorno del Big Dog? Al momento non possiamo fare altro che attendere.

Per saperne di più:

Un nuovo record per Juno

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Mai nessuna sonda alimentata a pannelli solari si era avventurata così lontano dal Sole come la sonda americana Juno, in rotta verso Giove, che si è aggiudicata il primato alle 20 ora italiana di ieri, 13 gennaio 2015. La sonda si trova attualmente a 793 milioni di chilometri dalla nostra stella, avendo appena superato la massima distanza dal Sole raggiunta ad Ottobre 2012 dalla sonda Rosetta, che deteneva il record prima di Juno.

“L’essenza di Juno è spingere i limiti della tecnologia per aiutarci a risalire alle nostre origini,” spiega Scott Bolton dell’SwRI. “Useremo ogni tecnica conosciuta per penetrare attraverso le nubi di Giove e rivelare i segreti sull’origine del sistema solare. Mi sembra giusto che sia il Sole a permetterci di comprendere l’origine di Giove e degli altri pianeti.”

Decollata nel 2011, Juno è stata progettata per andare dove nessuna sonda a pannelli solari si era mai spinta. La sonda è alimentata da tre pannelli solari di silicio e arseniuro di gallio lunghi 9 metri l’uno, per un totale di 18698 celle solari e 24 metri quadri di superficie.

“Giove è cinque volte più lontano dal Sole della Terra, e la luce solare che lo bagna è 25 volte meno potente,” spiega Rick Nybakken della NASA. “Anche se i nostri massicci pannelli solari genereranno solo 500 W presso Giove, Juno è stata progettata per essere molto efficiente, e 500 W saranno più che sufficienti.”

Nella storia dell’esplorazione spaziale, solo altre otto sonde oltre a Juno – tutte alimentate a energia nucleare – si sono spinte fino all’altezza dell’orbita di Giove. Nel corso della sua missione di 16 mesi, la massima distanza di Juno dal Sole sarà di circa 832 milioni di chilometri.

“È bello avere già un record,” prosegue Bolton, “ma il meglio deve ancora venire. Ci stiamo avventurando così lontano per un motivo – comprendere il più grande mondo nel sistema solare e capire da dove veniamo.”

Juno raggiungerà Giove il 5 Luglio ora italiana, diventando la prima sonda a inserirsi in un’orbita polare attorno al gigante gassoso. La manovra di inserimento durerà poco più di mezz’ora e permetterà alla sonda statunitense di calarsi in un’orbita preliminare estremamente ellittica. Dopo una manovra di correzione, il 19 Ottobre Juno riaccenderà per l’ultima volta il suo motore principale, un Leros 1b, e si calerà nella prima delle sue 33 orbite scientifiche, passando a meno di 5000 chilometri dalle nubi di Giove ogni 14 giorni.

Nell’arco della sua missione, Juno studierà l’ambiente magnetico, il campo gravitazionale, la struttura interna, le aurore e l’atmosfera di Giove.

Una bella infografica con tutti i risultati conseguiti ad oggi dalle sonde alimentate a energia solare. Cliccare l'immagine per aprirla alla massima risoluzione. NASA/JPL-Caltech

Nuovi dettagli dei crateri di Cerere dall’ultima orbita di Dawn

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La sonda Dawn ha trasmesso nuove foto dalla sua ultima orbita intorno a Cerere, circa 385 chilometri al di sopra della superficie del pianeta nano. Le immagini, scattate tra il 19 e il 23 Dicembre 2015, rivelano sempre più dettagli nei crateri, nelle montagne e nelle pianure costellate di cicatrici da impatto.

Il fondale del cratere Dantu. Nella prima foto, il cratere Kupalo. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Una delle immagini ritrae il cratere Kupalo, uno dei più recenti tra quelli studiati finora da Dawn, fotografato a una risoluzione di 35 metri per pixel. Lungo i bordi del cratere si notano striature di materiale chiaro che gli scienziati sospettano essere sale. Sarà interessante capire se vi è o meno un collegamento tra queste striature chiare e i famosi puntini bianchi all’interno del cratere Occator. Kupalo misura 26 chilometri di diametro e si trova in prossimità del tropico australe.

“Questo cratere e i suoi recenti depositi saranno un ottimo primo bersaglio per il team, mentre Dawn continua a esplorare Cerere nella sua fase finale di mappatura,” spiega Paul Schenk del Lunar and Planetary Institute.

Un cratere a ovest di Dantu. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

La Framing Camera, l’occhio robotico di Dawn, ha ripreso anche una rete di fratture che solcano il fondale del cratere Dantu, largo 126 chilometri. Un’ipotesi preliminare avanzata dagli scienziati è che le fratture si siano formate in seguito al raffreddamento post-impatto o a un rialzamento del terreno.

Un altro cratere largo 32 chilometri e situato poco più a ovest di Dantu è invece costellato di scarpate e creste curvilinee, simili a quelle osservate nel cratere Rheasilvia sull’asteroide Vesta, esplorato proprio da Dawn tra il 2011 e il 2012. Si pensa che queste strutture geologiche abbiano avuto origine dal parziale collasso del cratere durante la sua formazione.

Il cratere Messor, largo 40 km. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Mentre la Framing Camera continua a scrutare la superficie di Cerere, gli altri strumenti a bordo di Dawn hanno acquisito la priorità scientifica. Il rilevatore GRaND, in particolare, sta mappando la distribuzione degli elementi sulla superficie di Cerere, rivelando importanti tasselli del puzzle dell’evoluzione del pianeta nano. Lo spettrometro sta invece analizzando la superficie a varie lunghezze d’onda nel visibile e nell’infrarosso.

La fine della missione primaria è prevista per il 30 Giugno 2016. La sonda resterà nella sua orbita attuale per tutta la durata della missione, e oltre. In questo momento, l’unica risorsa che sta incominciando a scarseggiare è l’idrazina, diventata indispensabile per il controllo dell’assetto dopo il fallimento delle ruote di reazione.

“Quando abbiamo lasciato Vesta alla volta di Cerere, ci aspettavamo nuove sorprese dalla nostra nuova destinazione. Cerere non ci ha delusi,” commenta Chris Russell, a capo della missione. “Ovunque guardiamo, vediamo incredibili formazioni geologiche che testimoniano il carattere unico di questo sorprendente mondo.”

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Una rara congiunzione da non perdere: Venere Saturno

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Osservando i due oggetti con un telescopio si riuscirà ad apprezzarne l’aspetto reale (Venere in fase e Saturno con anelli e satelliti) mantenendoli in un campo di una decina di primi d’arco. L'immagine qui sopra rappresenta la visuale attraverso l'oculare del telescopio. Cliccare l'immagine per ingrandirla.

Due giorni dopo il verificarsi della congiunzione a triangolo, grazie al suo veloce moto apparente, Venere raggiungerà Saturno, avvicinandolo fino a una distanza di circa 5′.

Questa congiunzione è storicamente interessante in quanto sarà la più stretta che si sia potuta osservare dall’Italia da almeno 130 anni a questa parte. Tutte le altre verificatesi nel corso di questi anni, più o meno strette, si sono infatti verificate sotto l’orizzonte o con il cielo troppo chiaro.
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L’esplorazione del Sistema solare nel 2016

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Abbiamo dato l’addio a un anno davvero sensazionale per l’esplorazione spaziale.

Abbiamo effettuato la prima ricognizione di un pianeta nano, con l’inserimento orbitale della sonda Dawn attorno a Cerere. Ci siamo goduti, seppur di sfuggita, i panorami ghiacciati di Plutone, l’ultimo dei pianeti classici ad essere rimasto inesplorato, grazie a New Horizons. Abbiamo trovato tracce di acqua liquida sulla superficie marziana con MRO, abbiamo scortato una cometa attraverso il suo perielio con Rosetta, abbiamo iniziato a far luce sui meccanismi della perdita atmosferica di Marte con MAVEN, ci siamo disintegrati nell’atmosfera di Venere con Venus Express e poi siamo tornati in orbita con Akatsuki, ci siamo schiantati contro la superficie di Mercurio con MESSENGER, abbiamo assaggiato le acque dell’oceano alieno che si nasconde sotto la crosta ghiacciata di Encelado con Cassini, abbiamo scoperto nuovi pianeti abitabili oltre i confini del nostro sistema solare con Kepler, abbiamo preparato il terreno per la propulsione a raggi solari con LightSail, e molto altro.

Per fortuna, il 2016 promette di essere un anno altrettanto importante per l’esplorazione del sistema solare: ecco tutti gli eventi spaziali dei prossimi 365 giorni da non perdersi, pianeta dopo pianeta.

Mercurio

Purtroppo, il pianeta più interno del sistema solare rimarrà da solo per tutto il 2016. Il lancio della missione euro-giapponese BepiColombo, inizialmente previsto per Luglio 2016, è stato rimandato a Gennaio 2017. L’arrivo delle due sonde a destinazione è invece programmato per l’inizio del 2024, quindi non c’è fretta.

Venere

Per tutto il 2016, Venere potrà godersi la compagnia della sonda giapponese Akatsuki, che recentemente ha avuto successo nel suo secondo e disperato tentativo di inserimento orbitale. Il 26 Marzo, la sonda abbasserà la sua orbita e potrà iniziare a raccogliere i dati previsti, concentrandosi soprattutto sulle dinamiche della complessa atmosfera venusiana.

Luna

Nessuna missione lunare è prevista per il 2016. Tuttavia, la sonda americana Lunar Reconnaissance Orbiter continuerà a raccogliere dati. La missione era stata cancellata dalla Casa Bianca ma è stata salvata all’ultimo minuto dal Congresso.

Marte

La flotta di sonde già in orbita e sulla superficie marziana che continueranno a esplorare il Pianeta Rosso per tutto il 2016 – in orbita, le americane MRO, MAVEN e Mars Odyssey, l’europea Mars Express e l’indiana Mars Orbiter Mission; sulla superficie, i rover americani Curiosity e Opportunity – sarà raggiunta dalle prime due sonde del programma euro-russo ExoMars. Il Trace Gas Orbiter (TGO) e il modulo sperimentale Schiaparelli partiranno alla volta di Marte in cima a un razzo Proton nella finestra di lancio tra il 14 e il 25 Marzo 2016. Le due sonde, che hanno raggiunto il sito di lancio pochi giorni fa, raggiungeranno Marte a Ottobre, concludendo una crociera interplanetaria di sette mesi. Schiaparelli tenterà uno storico atterraggio in Meridiani Planum il 19 Ottobre 2016. Il Trace Gas Orbiter invece si inserirà in un’orbita preliminare e, tramite una serie di manovre di aerofrenaggio, inizierà la sua campagna scientifica a Dicembre 2017. Con l’arrivo di TGO e Schiaparelli (che purtroppo opererà sulla superficie marziana solo tre o quattro giorni), il numero delle missioni attive sul Pianeta Rosso salirà a nove — un record.

Asteroidi

La sonda giapponese Hayabusa 2, che recentemente ha eseguito con successo una manovra di fionda gravitazionale con la Terra, continuerà il suo cammino verso l’asteroide Ryugu. Hayabusa raggiungerà Ryugu nel 2018 e farà rientro sulla Terra tra il il 2020 e il 2021 con dei campioni prelevati dall’asteroide. Tra il 3 Settembre e il 12 Ottobre 2016, un’altra sonda decollerà su un viaggio di andata e ritorno verso un asteroide: si tratta dell’americana OSIRIS-REx, che raggiungerà l’asteroide Bennu nel 2018 e rientrerà sulla Terra nel 2023. Poche settimane fa, la sonda della NASA ha ricevuto il suo ultimo strumento.

Comete

Il 2016 vedrà la fine di una delle più straordinarie missioni spaziali di sempre: la sonda europea Rosetta, che sta scortando il nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko nel suo viaggio in giro per il sistema solare già da un anno e mezzo, continuerà a risalire a distanze sempre più lontane dal Sole, dove i suoi pannelli solari avranno sempre più difficoltà a generare energia sufficiente ad alimentare i sistemi vitali. Proprio per questo, a Settembre 2016 la sonda concluderà la propria missione appoggiandosi sul nucleo della cometa, facendo così compagnia al semivivo robottino Philae. Conoscendo Rosetta, però, ci aspettano ancora molte altre sorprese scientifiche prima della fine della missione!

Giove

Il 2016 sarà l’anno di Giove: il re dei pianeti verrà visitato dalla sonda americana Juno, che si inserirà in orbita nella notte tra il 4 e il 5 Luglio 2016. Juno sarà la prima sonda alimentata a pannelli solari a esplorare Giove, e la prima a inserirsi in un’orbita polare. Juno, che in questo momento sta proseguendo la sua crociera interplanetaria senza difficoltà, si concentrerà in particolare sulla struttura interna di Giove, indispensabile per ricostruire la formazione e l’evoluzione dell’intero sistema solare, e sulla magnetosfera del gigante gassoso.

Saturno

Come sempre, il gigante con gli anelli potrà godersi la compagnia della sonda Cassini. La missione, che terminerà nel 2017, continuerà ad aumentare gradualmente l’inclinazione della sua orbita, portandosi sempre più al di sopra dei poli di Saturno. A metà anno, poi, inizierà il gran finale della missione: la sonda si tufferà attraverso gli anelli interni di Saturno ben 22 volte – una manovra rischiosissima, che però gli ingegneri sono disposti a compiere vista l’imminente fine della missione. Ogni anno, Cassini ci regala incredibili sorprese da Saturno e dalle sue esotiche lune, ma il 2016 promette un tocco di azione in più.

Urano e Nettuno

Purtroppo, i due giganti ghiacciati del sistema solare resteranno inesplorati anche nel 2016.

Plutone

La sonda New Horizons, che ha sfiorato Plutone a Luglio di quest’anno, è già più di 200 milioni di chilometri alle spalle del pianeta nano, ormai in rotta verso la sua seconda destinazione, un piccolo KBO che raggiungerà nel 2019. Tuttavia, la sonda continuerà a esplorare i suoi dintorni e soprattutto a trasmettere i dati raccolti durante l’incontro con Plutone. Con ancora più della metà dei dati custoditi gelosamente a bordo del computer di New Horizons e con la maggior parte di quelli già arrivati ancora da analizzare, l’esplorazione di Plutone continuerà senza sosta per tutto l’anno. La missione primaria di New Horizons terminerà a fine 2016, ma gli scienziati e gli ingegneri del progetto chiederanno alla NASA di estendere la missione per esplorare anche la seconda destinazione.

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Aperitivo con le stelle 2 – Trieste

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Parte il secondo ciclo di appuntamenti della serie Aperitivo con le Stelle a Trieste, organizzati dal Circolo Culturale Astrofili Trieste sotto la coordinazione di Laura Pulvirenti.

In “APERITIVO CON LE STELLE 2” ci saranno numerose novità, prima tra tutte tra i relatori, oltre ai soci del Circolo quest’anno avremo numerosi astrofisici di fama.
Il primo di questi nuovi appuntamenti, che si terrà Sabato 9 Gennaio p.v., avrà come relatore Mauro Messerotti con “Tempeste spaziali e società: nuovi aspetti”, in cui l’astrofisico triestino relazionerà sulle interazioni dinamiche tra Sole e Terra esponendo, tra l’altro, alcune importanti novità in questo campo di studio.

Altre novità presenti in questa seconda edizione comprendono:

  • > mostra fotografica “RITRATTI DEL COSMO”, di David Kralj;
  • > esposizione di quadri surreali “SPACE – ART”, di Adriano Janezic;
  • > esposizione di modellini inerenti l’Astronautica, di Giovanni Chelleri;
  • > “Accenno alla radioastronomia amatoriale”, con materiale audio e video esplicativi da parte di Franco Tedeschi;
  • > “Viaggio nel cielo stellato con il Planetario”, di Stefano Schirinzi
Vi aspettiamo nell‘accogliente atmosfera dell’Hotel NH TRIESTE (in Corso Cavour 7).

aperitivoconlestelle@libero.it

Congiunzione Luna Venere e Saturno

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La mattina del 7 gennaio, sempre alle ore 6:00, una sottilissima falce di Luna calante sipresenterà sull’orizzonte sudest in congiunzione con Saturno e Venere, poco alla sinistra dello Scorpione e della sua brillante Antares.

I tre oggetti, mediamente alti una decina di gradi, formeranno un triangolo isoscele con il vertice in basso. Venere disterà da Saturno un paio di gradi, e dalla Luna poco meno di quattro.

Uno spettacolo davvero mozzafiato, specialmente in presenza di un cielo cristallino come solo il mese digennaio sa di solito offrire.

Caricate le vostre immagini su Photocoelum e potreste vederle pubblicate sul prossimo numero della rivista!
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Le Quadrantidi

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Ogni inizio anno è caratterizzato dalmanifestarsi più o meno discreto dello sciamedelle Quadrantidi, il cui nome deriva dalladimenticata costellazione del QuadranteMurale (introdotta da Lalande nel 1795 eabolita nel 1922) che un tempo occupava laregione situata nella parte nordorientale di Boote (dove quindi è situato il radiante).
Le Quadrantidi hanno in genere una velocità dicirca 40 km/s (piuttosto lente se paragonatealle Perseidi, capaci di sfrecciare a più di 70km/s), e le tracce, di colore prevalentementeblu, sono discretamente brillanti (anche semolte sono telescopiche). L’attività sarà ditutto rispetto: mediamente lo ZHR è di 70, manel recente passato ha toccato anche punte di200.
Il massimo dell’attività, favorito anchedall’assenza del disturbo lunare, si avràquest’anno nelle prime ore del 4 gennaio. Aquell’ora il radiante, che è circumpolare, saràvisibile a nordest, alto una trentina di gradi.

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ASTROINIZIATIVE UAI

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Tutti i primi lunedì del mese:

UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.ituai.it

Congiunzioni falce di Luna e pianeti

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La mattina del 3 gennaio guardando verso sud-sudest ci sarà la possibilità di assistere ad un autentico spiegamento di oggetti planetari lungo l’eclittica. Verso le 6:00, ora per la quale è statacostruita l’illustrazione, molto bassi sull’orizzonte sudest (rispettivamente +6° e +11°) ci saranno Saturno e Venere, situati nello Scorpione; più sulla destra, nella Vergine, spiccherà Marte, alto già+35°; e ancora più su (a +50°) e a sud, nei pressi della stella stella beta Virginis, Giove chiuderà la lunga teoria.
Ad impreziosire lo scenario, ci sarà anche la presenza di una falce di Luna sempre piùsottile, che dal 3 al 7 gennaio percorrerà l’eclittica dando luogo a svariate congiunzioni, la piùspettacolare delle quali sarà quella “a triangolo” con Venere e Saturno del giorno 7.

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Congiunzione di Capodanno: Luna e Giove

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La prima congiunzione celeste dell’anno, per chi avrà la possibilità di affacciarsi a una terrazza subito dopo i brindisi per il nuovo anno, sarà osservabile verso est, dovemolto bassi sull’orizzonte (in media +10°) e distanziati di 4°, Luna e Giove sorgeranno l’uno sopral’altra nei pressi della stella beta Virginis (mag. +3,6). Il nostro satellite si presenterà all’ultimoquarto, mentre Giove brillerà di mag. -1,9.

Per effemeridi di Luna e Pianeti vedi il cielo del mese di dicembre

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