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Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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06.09, ore 17:00: “Fenomeni celesti visti da un fotografo” di Valter Binotto.

Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
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www.specolachiavacci.it

La Luna, le Iadi e Aldebaran

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Una delle poche congiunzioni che per essere vista non costringerà ad alzarsi poco prima dell’alba sarà quella del 5 settembre tra Luna e Iadi.

L’ora migliore per fotografarla sarà infatti quella prossima all’una del mattino, quando i due oggetti saranno ancora vicini all’orizzonte (+10°) e potranno essere inquadrati in un contesto paesaggistico. Verso le 0:30, la Luna (all’Ultimo Quarto e quindi ancora abbastanza luminosa, tanto che bisognerà sperare in una notte limpida e senza eccessiva umidità) avrà appena occultato gamma Tauri e si preparerà a fare la stessa cosa anche con Aldebaran. Purtroppo, troppo tardi, visto che la stella alfa del Toro verrà raggiunta dopo le sette del mattino, quando il Sole sarà già sorto.

N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare, in questa e nelle altre illustrazioni, è due o tre volte superiore alla giusta scala immagine.

Il Cielo di Settembre

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Verso ponente saranno ancora visibili, ma ormai declinati e prossime al tramonto, le estese costellazioni della tarda primavera (Boote con la brillante Arturo, Ofiuco, Ercole e il Serpente), ma con il passare del tempo il cielo muterà completamente aspetto: prima della mezzanotte saranno già visibili le Pleiadi sull’orizzonte nordest, mentre nella seconda parte della notte si potrà godere della presenza contemporanea di M42 in Orione e della Nebulosa Velo nel Cigno.

EFFEMERIDI

L’evento più importante del mese per la nostra stella sarà ovviamente il passaggio al nodo discendente sull’equatore celeste il giorno 23, quando in pratica il Sole avrà declinazione pari a zero e si verificherà l’equinozio d’autunno, ovvero l’istante in cui inizia l’autunno astronomico (la primavera per l’emisfero sud).

Per quanto riguarda le congiunzioni, settembre sarà un periodo abbastanza monotono. Ci saranno sì delle belle congiunzioni planetarie, ma abbastanza simili tra loro e tutte osservabili soltanto di mattina, verso est (tutti i pianeti osservabili ad occhio nudo avranno infatti elongazione ovest).

Il pezzo forte arriverà però a fine mese, il 28 settembre, con il verificarsi di un’Eclisse Totale di Luna; fenomeno che qui da noi mancava dal 2011, con la Luna in vicinanza del perigeo.

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Rosetta: la cometa dà spettacolo nel giorno del suo perielio

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Una delle ultime immagini rilasciate dall'ESA della cometa 67P, ripresa da Rosetta il 16/8/15, a soli tre giorni dal perielio, e rielaborata dallo staff di Coelum Astronomia. L'immagine ha una risoluzione di 28,2 m/px ed è stata ripresa a 331 km dal centro della cometa. Crediti: ESA/Rosetta/NavCam-CC BY-SA IGO 3.0/Coelum

Una delle ultime immagini rilasciate dall'ESA della cometa 67P, ripresa da Rosetta il 16/8/15, a soli tre giorni dal perielio, e rielaborata dallo staff di Coelum Astronomia per metterne in risalto la spettacolare attività. L'immagine ha una risoluzione di 28,2 m/px ed è stata ripresa quando la sonda si trovava a 331 km dal centro della cometa. Crediti: ESA/Rosetta/NavCam-CC BY-SA IGO 3.0/Coelum

Alle 4:03 del 13 agosto, ora italiana, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ha toccato il perielio della sua orbita, il punto della sua traiettoria attorno al Sole più vicino alla nostra stella. Al momento del perielio, il nucleo si trovava a 185 986 924 chilometri dal Sole, tra le orbite della Terra e di Marte, e a 265 138 407 km dalla Terra. Naturalmente, la sonda Rosetta, che ha raggiunto la cometa ormai più di un anno fa, si è potuta godere lo spettacolo in prima fila, dall’alto dei suoi 327 chilometri di quota.

Le ultime misurazioni, effettuate poche ore prima del perielio, indicano che il nucleo sta versando 1000 chili di polveri e altri 300 chili di vapore acqueo nello spazio ogni secondo – dieci volte in più rispetto ad Agosto dell’anno scorso, quando la cometa era a 750 milioni di chilometri dalla sua posizione attuale.

Animazione creata con immagni riprese poche ore prima del perielio. Riprese dalla camera OSIRIS Credits ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Le prime immagine pubblicate sono state scattate dalla fotocamera di navigazione (NavCam) e da quella scientifica (OSIRIS) tra le 19:35 del 12 agosto e le 3:04 del giorno del perielo, meno di un’ora prima. Le immagini sono state riprese da 327 chilometri di quota, una distanza di sicurezza resa necessaria dall’interferenza delle particelle di polvere con gli inseguitori di stelle, i dispositivi necessari a determinare ed eventualmente correggere l’assetto della sonda.

Nel corso degli ultimi mesi, la luce solare è riuscita a penetrare anche nell’emisfero meridionale della cometa dopo cinque anni e mezzo di completa oscurità, rivelando così nuovi paesaggi alieni e permettendo agli scienziati di individuare quattro nuove regioni. Le nuove regioni, che si vanno ad aggiungere alle 19 già catalogate, sono state chiamate Anhur, Khonsu, Sobek e Wosret, in onore di antiche divinità egizie. Le nuove regioni sono sparse su entrambi i lobi del nucleo. Fra meno di sette mesi, queste aree saranno nuovamente invase dall’oscurità.

Man mano che il nucleo della cometa si avvicinava al Sole, i termometri di Rosetta hanno rilevato un aumento delle temperature dai 70 gradi centigradi sottozero misurati un anno fa a circa zero gradi. Nelle prossime settimane, nonostante la cometa abbia già iniziato ad allontanarsi dal Sole, inaugurando così la sua scalata verso l’afelio, le temperature dovrebbe continuare ad aumentare fino a un paio di decine di gradi sopra lo zero.

Un frammento con dimensioni comprese tra 1 e 50 metri si stacca dal nucleo, in queste foto riprese il 30 Luglio a 185 km dalla cometa. Credits ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

I primi fuochi d’artificio erano già scoppiati qualche giorno fa. Il 29 luglio, in particolare, Rosetta aveva osservato un getto talmente potente staccarsi dalla cometa da risultare più luminoso del nucleo stesso, da alterare la composizione dei gas nella chioma – l’involucro gassoso che avvolge il nucleo – e da allontanare momentaneamente il vento solare in entrata, il flusso di particelle cariche provenienti dal Sole, creando una cavità diamagnetica mai osservata prima. Per tutti i dettagli su quel getto, vi rimandiamo a questo nostro articolo di pochi giorni fa (clicca qui).

Nonostante il perielio del 2015 sia ormai alle nostre spalle – e il prossimo non avverrà prima di altri 6.5 anni, ben oltre la “data di scadenza” della missione di Rosetta – le attività del nucleo dovrebbero continuare ad aumentare nell’arco delle prossime settimane, man mano che il calore solare penetra in profondità nella cometa e fa scattare la sublimazione dei ghiacci.

La coda della cometa ha già superato i 120 mila chilometri di estensione, ma dovrebbe continuare ad gonfiarsi per ancora un mese circa, dal giorno del perielio.
“Appena le attività rallenteranno, ci riavvicineremo al nucleo per mappare tutti i cambiamenti,” spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. Inoltre, non tutte le speranze sono perdute per il recupero del robottino Philae, la sonda adagiatasi sul nucleo della cometa a Novembre dell’anno scorso dopo un drammatico e sensazionale triplice atterraggio. La sonda si è risvegliata a Giugno e da allora ha trasmesso a intermittenza. Entro fine mese, Rosetta si riporterà a latitudini favorevoli per stabilire un ponte di comunicazione con Philae (tutte le ultime scoperte scientifiche da Philae sono disponibili cliccando qui, mentre gli ultimi aggiornamenti sul suo stato di salute sono disponibili qui).

Pio & Bubble Boy – Coelum n.195 – 2015

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Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 195

Stazione Spaziale, i più spettacolari transiti del periodo

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Nel mese di settembre, la ISS tornerà ad attraversare i nostri cieli al mattino, prima dell’alba. Per questo riportiamo i transiti maggiormente evidenti e luminosi visibili da gran parte del Paese, così da poter giustificare ogni sveglia. Il 10 settembre, dalle 05:44 alle 05:52, osservando da SSO a ENE, la Stazione sarà visibile da tutta Italia, con osservabilità migliore dal Centro-Sud e magnitudine di picco –2,7. Inoltre, la ISS passerà abbastanza vicino alla coppia Luna-Venere: una occasione fotografica da non perdere!

New Horizons è pronto per la Fascia di Kuiper

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Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute/Steve Gribben

Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute/Steve Gribben

Lo scorso 14 luglio, dopo 3462 giorni di volo, la sonda della NASA New Horizons (vedi Media INAF) è arrivata nell’orbita di Plutone per compiere una delle missioni più emozionanti della storia dei voli spaziali: osservare il pianeta nano da vicino. Dopo 50 anni, quindi, possiamo dire ufficialmente di aver esplorato tutto il Sistema solare, ma la missione della sonda (lanciata il 19 gennaio 2006 dalla base di Cape Canaveral) non è finita. La NASA ha infatti selezionato il possibile nuovo target di New Horizons, vale a dire un oggetto della Fascia di Kuiper (KBO) noto come 2014 MU69 che orbita a un miliardo di miglia da Plutone e dal suo sistema di lune ghiacciate.

La missione deve ancora ricevere l’ok definitivo, che arriverà dopo aver valutato diversi dettagli di routine (tra cui i costi). «Mentre la sonda New Horizon si sta allontanando da Plutone dirigendosi nella fascia di Kuiper, siamo alla ricerca della prossima destinazione per questo intrepido esploratore», ha detto John Grunsfeld, astronauta e capo del Science Mission Directorate della NASA presso la sede dell’agenzia a Washington. «Ci aspettiamo che questa missione sia molto meno costosa rispetto alla prima, garantendo comunque risultati scientifici nuovi ed emozionanti». La proposta di prolungamento di missione dovrà essere consegnata entro il 2016 e verrà valutata anche in base alle disponibilità economiche della NASA.

In ogni caso, conoscere già da adesso il target è importante perché il team ha bisogno di direzionare la sonda quest’anno per permettere di estendere la missione in maniera efficiente e con il minor dispendio di combustibile. Per questo New Horizons effettuerà una serie di 4 manovre verso la fine di ottobre e l’inizio di novembre. L’arrivo a PT1 (Potential Target 1) è previsto per il primo gennaio 2019 ed eventuali ritardi costerebbero prezioso carburante e aggiungerebbero parecchi rischi per la missione.

Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute/Alex Parker

«2014 MU69 è una grande scelta», ha detto Alan Stern, Principal Investigator di New Horizons dal Southwest Research Institute (SwRI) a Boulder, Colorado. «Per raggiungere questo KBO è necessario meno combustibile rispetto ad altri obiettivi candidati, lasciandone delle scorte per il flyby, per gli esperimenti scientifici e per gli imprevisti», ha aggiunto. Al momento del lancio la sonda è stata fornita del combustibile necessario per affrontare un viaggio fino a Plutone e oltre, così come tutte le apparecchiature e i sistemi di comunicazione sono state progettate per funzionare nella Fascia di Kuiper per ancora molti anni, senza – si spera – interruzioni.

Identificare PT1 come eventuale nuovo obiettivo per New Horizons non è stato semplice e la ricerca è iniziata nel 2011, quindi molto prima che la sonda arrivasse su Plutone, utilizzando i telescopi a terra. I ricercatori hanno nel corso individuato dozzine di KBO, ma nessuno prima di PT1 soddisfava la richiesta di combustibile. Nel 2014 è stato Hubble a individuare 2014 MU69, insieme ad altri quattro oggetti: gli esperti stimano che PT1 sia grande circa 45 chilometri, quindi 10 volte più grande e 1000 volte più massiccio di una cometa (come 67P, ormai nota ai più per la missione Rosetta dell’ESA – vedi Media INAF), ma solo 1/10000° della massa di Plutone. Per questo si ritiene che PT1 sia uno dei “mattoni” che compongono i pianeti della Fascia di Kuiper, come lo stesso Plutone. A differenza degli asteroidi, gli oggetti della Fascia di Kuiper vengono riscaldati solo leggermente dal Sole e per questo si pensa che rappresentino un campione ben conservato (diciamo surgelato) di come appariva il Sistema solare esterno nei momenti successivi la sua nascita 4,6 miliardi di anni fa.

«C’è così tanto che possiamo imparare da queste osservazioni ravvicinate, come abbiamo visto con il flyby attorno a Plutone», ha detto John Spencer, membro del team di New Horizons. «Le immagini dettagliate e altri dati che New Horizons potrebbe ottenere da un flyby attorno al KBO rivoluzioneranno la nostra comprensione della Fascia di Kuiper«. La sonda New Horizons – attualmente a 4,9 miliardi di chilometri dalla Terra – ha appena iniziato a trasmettere la maggior parte delle immagini e altri dati.

Un anno di Gaia: i primi risultati

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Il primo diagramma H-R realizzato da Gaia. Credits ESA/Gaia/DPAC/IDT/FL/DPCE/AGIS
A poco più di un anno dall’inizio della sua missione scientifica, il satellite europeo Gaia sta operando alla perfezione. La sonda era decollata alla fine del 2013, imbarcandosi in un viaggio di sei mesi verso il punto lagrangiano L2, un milione e mezzo di chilometri al di sopra della superficie terrestre. L’obiettivo primario della missione è quello di mappare con estrema accuratezza la posizione, il moto proprio, la luminosità e il colore di un miliardo di stelle attraverso la Via Lattea.
La sonda ha inaugurato le operazioni scientifiche il 25 Luglio dell’anno scorso. Dopo 28 giorni di calibrazione, Gaia ha attivato la modalità di osservazione di tutta la volta celeste il 21 Agosto 2014. Da allora, il satellite ha registrato 272 miliardi di misurazioni astrometriche, 54.5 miliardi di dati fotometrici e 5.4 miliardi di analisi spettrali. Solo una porzione infinitesimale di questa mole di dati è stata finora analizzata dagli scienziati: i dati di Gaia li terranno impegnati per anni e anni anche dopo la fine della missione.
“Gli ultimi dodici mesi sono stati molto intensi, ma stiamo iniziando a prendere il controllo dei dati e aspettiamo con impazienza i prossimi quattro anni di operazioni nominali,” spiega Timo Prusti dell’ESA. “Siamo a solo un anno dalla prima pubblicazione dei dati di Gaia, un catalogo intermedio previsto per l’estate del 2016. Con il primo anno di dati nelle nostre mani, siamo a metà strada verso questa pietra miliare, e possiamo già presentare alcuni risultati preliminari per dimostrare che la sonda sta operando bene e che l’analisi dei dati procede come previsto.”
Un primo risultato è stata la misurazione del moto di un campione iniziale di due milioni di stelle, il moto causato dalla rivoluzione della Terra (e di Gaia) intorno al Sole. Questo metodo, detto parallasse, si basa su un movimento apparente, che le stelle in realtà non compiono. Più una stella è vicina alla Terra, maggiore sarà la sua parallasse, che quindi è indicativa della distanza dell’astro. E conoscendo la distanza di una stella, si può convertire la sua luminosità apparente in quella assoluta. Il moto reale delle stelle è invece detto moto proprio. Per ora, Gaia ha effettuato 14 misurazioni del moto proprio di ogni singola stella nel cielo – non ancora abbastanza per poter estrapolare numeri sicuri.
Gli scienziati hanno inoltre confrontato i primi dati raccolti da Gaia con il catalogo Tycho-2, stilato a partire dalle misurazioni effettuate tra il 1989 e il 1993 dal satellite europeo Hipparcos.
Il primo diagramma H-R realizzato da Gaia. Credits ESA/Gaia/DPAC/IDT/FL/DPCE/AGIS

Un altro importante risultato raggiunto da Gaia in questo primo anno è stato la creazione di un diagramma di Hertzsprung-Russell, che mette in relazione la luminosità assoluta delle stelle e la loro temperatura, stimata a partire dal colore. Tale grafico risulta molto utile per comprendere l’evoluzione stellare.

“Il nostro primo diagramma H-R, con le luminosità assolute misurate da Gaia durante il suo primo anno e dal catalogo Tycho-2 e con le informazioni sul colore raccolte da osservazioni terrestri, ci offre un assaggio di ciò che la missione ci darà nei prossimi anni,” spiega Lennart Lindegren dell’Università di Lund.
Naturalmente, Gaia osserva qualunque luce nel cielo, non solo quella di stelle lontane. La sonda ha osservato anche un gran numero di asteroidi che popolano la fascia tra Marte e Giove.
Un campione di 50 mila asteroidi osservati da Gaia. I colori indicano la differenza tra la posizione prevista e quella osservata (blu: differenza nulla, rosso: differenza notevole). Credits ESA/Gaia/DPAC/CU4, L. Galluccio, F. Mignard, P. Tanga (Observatoire de la Côte d'Azur)
I dati raccolti da Gaia verranno usati per ridefinire le attuali stime sulle orbite di questi corpi e per scoprire migliaia di nuovi oggetti.
Gaia ha osservato anche numerose variazioni nella luminosità delle stelle, tra cui centinaia di sorgenti transienti. Il satellite ha rilevato la sua prima supernova già il 30 Agosto 2014, ma un evento ancor più interessante è stato la scoperta di una variabile cataclismica, un sistema binario formato da una nana bianca che risucchia il materiale della stella compagna, rilasciando forti lampi di luce. In un improvviso e drammatico picco di attività, il sistema ha quintuplicato la sua luminosità. L’analisi preliminare dei dati raccolti da Gaia suggerisce inoltre che il sistema sia insolitamente privo di idrogeno e, in compenso, ricco di elio, aggiungendo un altro tassello a questo puzzle cosmico.
Gaia ha inoltre mappato le curve di luce di dozzine di variabili RR Lyrae nella Piccola Nube di Magellano, una delle tante galassie satelliti della Via Lattea.
La struttura dei filamenti della Nebulosa Occhio di Gatto. Credits NASA/ESA/HEIC/The Hubble Heritage Team/STScI/AURA (background image); ESA/Gaia/DPAC/UB/IEEC (blue points)

Un altro oggetto celeste che ha attirato l’attenzione degli occhi robotici di Gaia è stato la nebulosa planetaria Occhio di Gatto, o NGC 6543. Gaia ha osservato la nebulosa più di 200 volte, effettuando oltre 84 mila misurazioni della rete di filamenti gassosi che costituisce la trama della nebulosa.

Infine, Gaia ha anche raccolto le informazioni spettrali di un gran numero di stelle. Studiando gli spettri, gli astronomi possono misurare lo spostamento delle linee d’assorbimento dovuto all’effetto Doppler, e quindi risalire al moto proprio delle stelle. Misurando alcune precise linee d’assorbimento, infine, Gaia è in grado di mappare la distribuzione del materiale interstellare tra noi e le stelle.
“Questi primi studi dimostrano la qualità dei dati raccolti da Gaia finora,” prosegue Timo. “I prodotti finali non sono ancora pronti, ma stiamo lavorando duramente per offrirli alla comunità il prossimo anno.”

Hubble: ali di farfalla. Nuove immagini della nebulosa Twin Jet

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Crediti: ESA / Hubble & NASA.

Crediti: ESA / Hubble / NASA

Hubble Space Telescope ci regala una nuova e straordinaria immagine: un ritratto a colori scintillanti della nebulosa Twin Jet. Lo scatto ci mostra con una capacità di dettaglio sorprendente come il gas vada espandendosi dal centro alla periferia disegnando apparentemente due gigantesche ali di farfalla. Un battito iridescente di materiali che vanno allontanandosi dal sistema centrale e composti da enormi getti di gas che si muovono a velocità superiori al milione di chilometri orari.

La nebulosa Twin Jet è conosciuta anche con la sigla PN M2-9, dove la M sta per Rudolph Minkwsli, l’astronomo cui si deve la sua scoperta nel 1947. Le lettere PN ci ricordano, invece, che M2-9 è una nebulosa planetaria. Le due ali incandescenti sono l’immagine più vivida della fine di una stella, che ha ormai espulso non solo i suoi strati più esterni, ma lo stesso nucleo, dando vita allo spettacolo a colori cui assistiamo osservando questa immagine (vedi MediaINAF).

Oltre a essere una nebulosa planetaria, Twin Jet è anche una nebulosa bipolare. Ha quindi avuto origine da un sistema binario di stelle. Che in questo caso hanno ciascuna una massa simile al Sole. La più piccola ha una massa compresa fra 0,6 e 1,0 masse solari. La maggiore fra 1,0 e 1,4. È questa seconda ad aver espulso i suoi gas nello spazio, mentre la prima si è ulteriormente evoluta in una nana bianca. La caratteristica forma ad ali di farfalla è invece causata con tutta probabilità dal moto rotatorio delle due stelle attorno al centro comune.

La nebulosa ha un’età approssimativa di 1200 anni. Il sistema binario ha un periodo di rotazione di circa 100 anni. Questo movimento reciproco delle due stelle è la causa principale dei due getti di materiale gassoso, come pure del disco di materiali che orbita intorno alle stelle e che si estende per una lunghezza nello spazio pari a 15 volte l’orbita d Plutone. Un disco gigantesco, e tuttavia non abbastanza grande da risultare visibile nell’immagine scattata da Hubble.

Prossima meta: Urano e Nettuno?

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La NASA inizia a studiare una missione verso Urano e Nettuno

Urano e Nettuno sono gli unici due pianeti del Sistema solare a essere rimasti inesplorati fino ad oggi, se si esclude il fugace sorvolo da parte di Voyager 2 alla fine degli anni ’80. Ma ciò potrebbe cambiare nei prossimi decenni: ieri, la NASA ha ufficializzato la richiesta diretta al Jet Propulsion Laboratory (JPL) di progettare due sonde da meno entro di 2 miliardi di dollari l’una per esplorare i due giganti ghiacciati. Le sonde decollerebbero tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 di questo secolo, iniziando una traversata interplanetaria che durerebbe circa un decennio.
«Vogliamo identificare possibili piani di missione in una vasta gamma di costi – ha spiegato Jim Green della NASA al meeting dell’OPAG che si sta tenendo in questi giorni – Il nostro ostacolo principale è l’enorme costo necessario a raggiungere il sistema solare esterno».
Si tratta del primo, importante passo in avanti, almeno sotto il profilo burocratico, per assistere al lancio di una missione verso Urano e/o Nettuno prima del 2040. Tutti i piani di volo ritenuti economicamente fattibili e scientificamente validi verranno valutati nei primi anni ’20 dal National Research Council, che ogni dieci anni ha il compito di selezionare le destinazioni celesti di massima priorità per il decennio successivo.
La missione verso Urano e Nettuno apparterrebbe alla categoria Flagship – letteralmente “nave ammiraglia” – la punta di diamante dei programmi di esplorazione planetaria della NASA. La prossima missione Flagship è il rover marziano del 2020 (clicca qui per gli ultimi aggiornamenti), seguito da una missione verso Europa, una luna ghiacciata di Giove forse potenzialmente abitabile (clicca qui per gli ultimi aggiornamenti).
Marte ed Europa erano proprio le due destinazioni evidenziate dal National Research Council nel 2011. A causa della natura multi-miliardaria di queste missioni, l’esplorazione di Urano e Nettuno dovrà attendere fino al lancio della missione verso Europa (non prima del 2022) per registrare i primi, importanti progressi.
Un orbiter da inviare verso Urano proposto nel 2011.

Urano era già stato indicato come terza destinazione di interesse dopo Marte ed Europa, ma sarà necessaria una conferma dell’attenzione della comunità scientifica alla prossima riunione del National Research Council per convincere definitivamente la NASA dell’importanza di tale missione. E la concorrenza non renderà questo compito facile: molti ricercatori stanno spingendo per una missione verso Titano, una luna di Saturno caratterizzata da un ambiente forse prebiotico; un’altra missione per riportare sulla Terra i campioni raccolti dal rover marziano del 2020 e una missione verso la superficie di Venere, un paesaggio rimasto inesplorato dagli anni ’80.

«Sono sicuro che [la missione verso Urano e/o Nettuno] sopravviverà alla selezione decennale» ha commentato Green. La missione potrebbe anche servirsi del SLS, il razzo più potente mai progettato attualmente in costruzione presso la NASA (clicca qui per gli ultimi aggiornamenti). L’utilizzo di un SLS per lanciare la sonda potrebbe abbattere i tempi di volo e i possibili rischi, oltre ad allargare notevolmente i limiti di massa.

Alla conquista dell’asteroide: pronti gli “occhi” di OSIRIS-Rex

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Rappresentazione artistica dell’OSIRIS-REx della NASA che raccoglierà campioni di roccia dall’asteroide Bennu. Crediti: NASA/Goddard
Rappresentazione artistica dell’OSIRIS-REx della NASA che raccoglierà campioni di roccia dall’asteroide Bennu. Crediti: NASA/Goddard

E’ l’asteroide Bennu l’obiettivo della missione della NASA OSIRIS-REx (missione coordinata dall’Università dell’Arizona) il cui lancio è previsto nell’autunno del 2016. Dopo due anni di viaggio arriverà sull’asteroide dal quale estrarrà campioni di materiale e li riporterà sulla Terra per analizzarli, dopo aver orbitato per un periodo previsto di sei mesi/un anno (potrà orbitare al massimo per un periodo di 505 giorni) durante il quale mapperà l’asteroide cercando il luogo migliore per il prelievo.

Un nuovo passo avanti nella realizzazione della missione è avvenuto di recente con la consegna al Lockheed Martin Space Systems di Denver delle tre camere che verranno montate sulla sonda – Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security-Regolith Explorer della NASA – che mapperanno la roccia gigante (circa 500 metri di larghezza).

L’array si chiama OCAMS (OSIRIS-REx Camera Suite) ed è stato progettato dal Lunar and Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona. La più grande di queste tre camere è la PolyCam, un piccolo telescopio che scatterà le prime immagini di Bennu da una distanza di “soli” 2 milioni di chilometri, fornendo anche dettagli ad alta risoluzione del sito da dove verrà prelevato il campione di roccia. La MapCam si dedicherà invece alla ricerca di satelliti e getti di polvere attorno all’asteroide, fotografando l’oggetto a colori per poi costruire una mappa topografica. Infine la SamCam documenterà l’acquisizione del campione.

«Si tratta di un altro grande passo in avanti nella preparazione della nostra missione», ha detto Mike Donnelly, il project manager di OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center di Greenbelt, Maryland. Dante Laurettaprincipal investigator della missione ha poi spiegato: «PolyCam, MapCam e SamCam saranno i nostri occhi su Bennu. Le OCAMS forniranno le immagini di cui abbiamo bisogno per completare la nostra missione mentre la sonda è ancora nell’orbita dell’asteroide».

La suite OCAMS: MapCam (sinistra), PolyCam e SamCam. Crediti: University of Arizona/Symeon Platts

«L’obiettivo principale di queste tre camere è quello di massimizzare la nostra abilità di raccogliere con successo un campione e riportarlo sulla Terra», ha aggiunto Bashar Rizk, scienziato che si occupa delle OCAMS. «Questa missione richiede molte attività per un solo viaggio – navigazione, mappatura, riconoscimento, selezione del sito di raccolta e la raccolta del campione. Mentre siamo lì, abbiamo bisogno di vedere continuamente cosa sta accadendo attorno all’asteroide, in modo da poter prendere decisioni in tempo reale».

OSIRIS-REx è la prima missione finalizzata alla raccolta di un campione di roccia da un asteroide e riporterà a casa il più grande campione dopo la missione lunare Apollo. Servirà anche a definire missioni future volte a prevedere, ed evitare, un impatto con un asteroide, qualora dovesse essere necessario.

Per saperne di più:

Associazione Astrofili Centesi

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28.08: “Come vivono le Stelle”. Al telescopio: il pianeta Saturno e l’ammasso stellare M13 nella costellazione di Ercole.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
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Cassini: ultimo appuntamento con Dione

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Dione e il suo volto screziato (foto scattata da Cassini l’11 aprile 2015). Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Questa immagine è stata scattata dalla camera a bordo della sonda Cassini durante il flyby del 17 agosto 2015 ed è arrivata a Terra il 18 agosto. L’immagine non è ancora stata calibrata né validata. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

IN ARRIVO LE PRIME IMMAGINI DAL FLYBY DELL’ADDIO

Il sorvolo ravvicinato della sonda Cassini su Dione, a 474 ​​km dalla sua superficie, è avvenuto ieri, lunedì 17 agosto, alle 20:33 ora italiana. I responsabili della missione prevedono l’arrivo di nuove immagini entro le 48 ore successive all’incontro.

Gli scienziati del team di Cassini hanno pianificato una serie di indagini grazie alle quali potremo conoscere meglio Dione, una delle lune più misteriose di Saturno. I dati scientifici e le informazioni gravitazionali raccolte durante il flyby di ieri permetteranno di svelare la composizione interna di questa luna e di confrontarla con gli altri satelliti di Saturno. Cassini ha potuto effettuare questo tipo di studio ravvicinato solo con una manciata delle 62 lune di Saturno.

Durante il sorvolo, le camere e gli strumenti scientifici a bordo di Cassini hanno ottenuto informazioni ad alta risoluzione del polo nord di Dione, arrivando a un dettaglio di pochi metri. Inoltre, lo strumento Composite Infrared Spectrometer (letteralmente “spettrometro composito negli infrarossi”) ha potuto studiare da vicino questa luna ghiacciata che presenta alcune anomalie termiche. Sulla superficie di Dione, infatti, sono presenti zone all’interno delle quali viene intrappolato con grande efficacia il calore. Nel frattempo, il Cosmic Dust Analyzer, lo strumento per l’analisi delle polveri, ha continuato la sua ricerca di particelle di polvere emesse da Dione.

Questo è il quinto incontro con Dione per la sonda Cassini. Questo tipo di attività richiede una serie di manovre che permettano di guidare con precisione la sonda lungo il percorso desiderato attorno alla luna. La sonda Cassini ha acceso i suoi propulsori per circa 12 secondi lo scorso 9 agosto, e questo è stato sufficiente a inserirsi nella traiettoria corretta.

Dione e il suo volto screziato (foto scattata da Cassini l’11 aprile 2015). Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Il flyby più ravvicinato di Cassini su Dione è avvenuto nel dicembre 2011, quando la sonda è passata a una distanza di 100 km dalla superficie della luna. Mettendo insieme i risultati raccolti da tutti i passaggi precedenti è stato possibile comporre delle immagini ad alta risoluzione dei brillanti filamenti presenti sulla superficie di Dione, già osservati durante la missione Voyager. La vista acuta di Cassini ha svelato che queste strutture sono canyon intrecciati tra loro e circondati da pareti, anch’esse molto chiare. Una possibilità è che questa struttura sia correlata all’evoluzione orbitale di Dione e alle sollecitazioni mareali. Gli scienziati sono inoltre ansiosi di scoprire se Dione abbia attività geologica, come si è osservato su Encelado con i suoi intensi geyser.

«Dione è un vero enigma: mostra cenni di processi geologici attivi, tra cui un’atmosfera variabile e la presenza di vulcani di ghiaccio, ma non abbiamo mai trovato la prova definitiva. Il quinto flyby di Dione sarà la nostra ultima possibilità», ha dichiarato Bonnie Buratti, membro del team scientifico di Cassini presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA a Pasadena, in California.

Cassini è in orbita intorno Saturno dal 2004. Dopo una serie di sorvoli ravvicinati delle lune, nella seconda metà del 2015, la sonda partirà dal piano equatoriale di Saturno per iniziare la messa a punto in vista dell’ultimo anno di attività della missione. Per il suo gran finale Cassini ha in programma di tuffarsi ripetutamente nello spazio tra Saturno e dei suoi anelli.

«Questa sarà la nostra ultima occasione per vedere Dione da vicino, almeno per molti anni a venire», ha dichiarato Scott Edgington, vice project scientist della missione al JPL. «Cassini ha fornito informazioni dettagliate di questa misteriosa luna ghiacciata, insieme a un ricco set di dati e una serie di nuove domande che terranno impegnati a lungo gli scienziati».

Pur non essendo attiva quanto la vicina Encelado, la superficie di Dione non è assolutamente noiosa. Alcune parti della superficie sono coperte da valli scoscese, dette chasmata, che creano un forte contrasto con le forme circolari dei crateri da impatto, molto più tipiche per una luna.

Per dare un’occhiata alle immagini di Dione in arrivo in queste ore è possibile visitare la pagina del JPL che raccoglie le immagini “raw”, ovvero ancora non sottoposte a calibrazione e validazione, della missione Cassini. Nei prossimi mesi le immagini saranno sottoposte ai processi di riduzione e analisi scientifica e verranno rese pubbliche tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016.

22 Agosto: Congiunzione tra la Luna e Saturno

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L’ultimo appuntamento del mese sarà per la sera del 22 agosto quando sull’orizzonte di sudovest il primo quarto di Luna si avvicinerà a Saturno (mag. +0,5) fino a una distanza osservabile di 1,8 gradi.

Inviateci le vostre immagini su gallery@coelum.com!!

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di luglio e agosto

16 Agosto: una sottile falce di luna crescente avvicina Mercurio

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Alle 20:30 del 16 agosto – sull’orizzonte ovest – Mercurio verrà avvicinato (circa 3° di separazione) da una sottilissima falce di Luna crescente. A quell’ora il Sole sarà sotto l’orizzonte di –3° e quindi il cielo sarà un po’ più scuro rispetto a quello del 7 agosto; così che i due oggetti (alti +5°) dovrebbero risultare osservabili con meno difficoltà.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di luglio e agosto

Associazione Astrofili Centesi

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10.08: Serata sotto le stelle: le “lacrime di San Lorenzo”. Osservazione del cielo e delle costellazioni estive. Si consiglia di portarsi un panno da stendersi a terra per non lasciarsi scappare neanche una meteora.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Associazione Astrofili Centesi

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07.08: “Oltre il visibile: l’Universo dalle onde radio ai raggi X”. Al telescopio: il pianeta Saturno e i suoi satelliti, l’ammasso stellare M13 in Ercole e le costellazioni estive.

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Le “ossa” della Churyumov–Gerasimenko!

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Rilasciate le immagini della superficie della cometa riprese da Philae da una distanza di pochi metri, simili a resti fossili abbandonati nel deserto. Qui sopra un dettaglio reso a colori tratto dalla foto rilasciata il 30/7/15 e ripresa da ROLIS durante la discesa sulla cometa quando il lander si trovava a una distanza di soli 9 metri dalla superficie (0,98 cm/px). Nella gif animata qui sotto la si può vedere a formato intero. Crediti immagine originale: ESA/Rosetta/Philae/ROLIS/DLR, elaborazione Coelum Astronomia.

Nuovi risultati da Philae: composti organici, escursioni termiche e un nucleo poroso

In questa gif animata le immagini della superficie della cometa man mano che il lander si avvicina al punto del primo rimbalzo. Per ogni immagine è indicato l'istante dell'acquisizione, la distanza a cui si trovava, il campo inquadrato e la risoluzione dell'immagine. Nell'ultimo fotogramma della sequenza il punto presunto dove avrebbe "toccato" il lander, con un incertezza di più o meno 20 cm (cliccare per ingrandire l'immagine).

Molecole prebiotiche, forti escursioni termiche e una complessa struttura interna: sono solo alcuni dei risultati scientifici conseguiti dal robottino europeo Philae, che il 12 novembre dello scorso anno ha completato lo storico atterraggio sul nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Gli strumenti a bordo della sonda hanno raccolto dati per tutta la durata della discesa verso il nucleo – circa sette ore – e poi anche durante i tre rimbalzi imprevisti che hanno portato Philae ad adagiarsi sul suolo con due ore di ritardo in una località sfavorevole dal punto di vista dell’illuminazione. Dopo 64 ore di attività sulla superficie della cometa, il piccolo robottino è entrato in un’ibernazione forzata interrottasi solo con il suo risveglio più di un mese fa.

I dati raccolti da COSAC subito dopo il primo rimbalzo hanno rivelato la presenza di ben 16 composti organici – quindi a base di carbonio – con forti concentrazioni anche di azoto. Quattro di questi composti – isocianato di metile, acetone, propionaldeide e acetamide – non erano mai stati osservati su un nucleo cometario. Le analisi condotte dallo strumento Ptolemy si sono invece concentrate sui gas presenti nella chioma e in prossimità della superficie. Nei dati raccolti dai sensori si legge la presenza di vapore acqueo, monossido di carbonio e anidride carbonica, con tracce di altri composti organici tra cui la formaldeide.

Alcuni dei composti organici riscontrati dai due laboratori sono di particolare interesse biologico, in quanto elementi chiave della sintesi prebiotica degli amminoacidi, degli zuccheri e delle basi nucleiche: in breve, i precursori della vita. La formaldeide, ad esempio, è alla base del ribosio, a sua volta pilastro portante di molecole quali il DNA.

L'ellisse di incertezza sulla posizione di Philae. Grazie ai dati di CONSERT e a dettagliati modelli della cometa, la zona dove dovrebbe essere Philae è stata ridotta ad un area di 34 x 21 m (indicata dai punti gialli). Il punto rosso indica la zona più probabile, mentre i punti bianchi indicano le zone scartate fin'ora. ESA/Rosetta/Philae/CONSERT

Nonostante i rimbalzi di Philae abbiano portato il robottino ad adagiarsi in un sito molto meno favorevole di quello selezionato, un vantaggio c’è stato: gli scienziati hanno potuto confrontare le fotografie ravvicinate scattate da ROLIS sopra il sito di atterraggio previsto, Agilkia, e quello finale, Abydos. Le immagini riprese in prossimità della prima località rivelano una superficie cosparsa di blocchi dell’ordine di qualche metro di larghezza, adagiati su uno strato di regolite composto da granelli di polvere larghi dai 10 ai 50 centimetri. Il masso più significativo raggiunge circa i cinque metri di altezza e presenta strutture sulla sua superficie probabilmente dovute a processi erosivi.

Le immagini scattate da ROLIS a più di un chilometro di distanza dal primo rimbalzo, nel sito Abydos, rivelano i dettagli su scala microscopica. Le foto sono state utilizzate anche per determinare l’assetto di philae, che risulta appoggiato sulle pendici di una collina alta circa un metro, mentre dalla parte opposta si apre un panorama in cui sono visibili strutture fino a sette metri di distanza.

Lo zoom di questa porzione di roccia nel sito di atterraggio finale, ripresa dalla CIVA camera 4 e rilasciata sempre il 30/7/15, rivela le variazioni di luminosità della superficie della cometa fino a una scala di centimetri e millimetri. Nell'immagine di sinistra è visibile in primo piano una delle antenne del CONSERT, la cui dimensione, diametro di 5 mm e 693 mm lunghezza, aiuta a capire la scala dell'immagine. ESA/Rosetta/Philae/CIVA

Lo strumento MUPUS ha invece sondato la struttura interna del nucleo, rivelando uno strato soffice spesso circa 3 centimetri che cela una crosta molto più dura del previsto, tanto che il martello automatico di MUPUS non è riuscito a penetrare fino alla profondità desiderata.

Qui sopra un riassunto dei dati raccolti da MUPUS, nell'immagine evidenziati il trapano e il rilevatore di temperatura.

Le analisi radio condotte invece dall’apparato CONSERT hanno rivelato che il lobo minore del nucleo binario ha un’elevata porosità (75-85%), il che è indicativo di una struttura composta da materiale poco compatto. I dati mostrano inoltre che il rapporto tra la polvere e il ghiaccio all’interno del nucleo in termini di volume è pari a 0.4-2.6. Studiando le onde radio scambiate tra l’apparato CONSERT montato su Philae e quello a bordo di Rosetta, gli scienziati sono riusciti anche a confinare la probabile posizione di Philae all’interno di un’ellisse di 21 per 34 metri. Le misurazioni termiche rivelano forti escursioni che vanno dai 180 ai 145 gradi sotto lo zero in corrispondenza del periodo di rotazione della cometa, che è pari a 12.4 ore.

Purtroppo Philae non è più riuscito ad inviare dati sulla cometa, nonostante il timido risveglio e gli intermittenti tentativi di contatto successivi. L’ultimo segnale inviato da Philae alla nave madre Rosetta, in orbita attorno alla cometa, risale a ventun giorni fa. Da allora, il robottino non ha più riposto ai tentativi di comunicazione di Rosetta. Come se non bastasse, la sonda si sta spostando sopra l’emisfero australe del nucleo per studiarlo in prossimità del perielio e non sarà in grado né di ricevere né di inviare segnali a Philae per almeno due settimane.

PERSEIDI 2015: pioggia molto tranquilla, ma senza Luna

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Dopo un pessimo 2014, con le già deboli e rade scie delle meteore offuscate dalla presenza della Luna piena, quest’anno le circostanze osservative dello sciame delle Perseidi si presenteranno senz’altro migliori. La Luna, infatti, nel periodo del Massimo sarà praticamente Nuova e sorgerà in forma di sottilissima falce calante soltanto dalle cinque del mattino in poi.

Il picco di attività è previsto intorno alle undici del 13 agosto, quindi in pieno giorno per gli osservatori italiani, ma ovviamente si potrà seguire lo sciame a partire dalla sera del 12, fino alle prime luci dell’alba. Anche se quelle ore non coincideranno con il periodo migliore, ci sarà senz’altro la possibilità di contare o fotografare comunque un buon numero di meteore, senza trascurare quella di cogliere (come avvenuto spesso negli ultimi anni) estemporanee cadute di luminosissimi bolidi a qualunque ora della notte.

Come sempre, il segreto per godersi lo spettacolo, anche in assenza di disturbo lunare, sarà quello di uscire dalle città e di osservare da luoghi veramente bui e con poca umidità.

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Leggi l’approfondimento «La pioggia delle Perseidi»


Approfitta subito della promozione

Richiedi l’attivazione dal n. 194 di luglio/agosto.

Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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02.08, ore 17:00: “Lacrime di S. Lorenzo” di Luigi Marcon.
Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

8-9 agosto due incontri per la Luna, con Pleiadi e Aldebaran

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Verso le due del mattino dell’8 agosto si ripeterà la situazione del 12 luglio, con una falce di Luna (questa volta più piena) che farà compagnia alle Pleiadi durante il loro sorgere dall’orizzonte est-nordest. Il mattino dopo, poco prima delle 2:00, troveremo la Luna al sorgere in congiunzione strettissima (circa 40′ dal centro, 25′ dal bordo) con Aldebaran. La stella verrà addirittura occultata, ma purtroppo quando i due oggetti saranno ancora nascosti dall’orizzonte di est-nordest.

Il mattino dopo, 9 agosto, poco prima delle 2:00, troveremo la Luna in congiunzione strettissima invece con Aldebaran. La stella verrà addirittura occultata, ma purtroppo quando i due oggetti saranno ancora nascosti sotto l’orizzonte est-nordest.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di luglio e agosto

Gruppo Astrofili Lariani

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02.08, ore 10:00: Apertura straordinaria, in occasione della tradizionale festa degli Alpini, sezione Lenno. Sarà possibile osservare il Sole.
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Cassini visita tre lune di Saturno in un giorno

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La sonda Cassini ha fatto visita a tre diverse lune di Saturno in meno di 24 ore: si tratta di Rea, Encelado e Dione, alcuni tra i mondi più affascinanti del sistema solare esterno.

Un vasto sistema di canyon taglia la superficie di Dione in questa foto scattata da Cassini.

Il 26 Luglio, Cassini ha puntato il suo occhio robotico in direzione di Rea. Al momento dello scatto, la luna si trovava a circa 300 mila chilometri da Cassini. Poi, a cavallo tra il 26 e il giorno successivo, la sonda ha fotografato una falce di Dione da 65 mila chilometri di distanza. Dopo che la sonda ha raggiunto il periapside (223100 km) della sua orbita numero 219 alle 7:49 ora italiana del 27 Luglio, è stato il turno anche di Encelado, ripreso da una distanza di 111420 chilometri.

La luna Rea fotografata da Cassini. Le pianure visibili in questa foto sono probabilmente rimaste incontaminate (da processi geologici e geofisici) dall'alba del sistema solare.

Rea, con i suoi 1528 chilometri di diametro, è il secondo più grande satellite naturale di Saturno. Attualmente lo si considera un mondo perlopiù morto, freddo, piccolo e privo di atmosfera. La sua grande distanza da Saturno significa che il calore generato dalle forze di marea è scarso o del tutto assente. La temperatura superficiale va da -174 gradi Celsius nelle aree illuminate dal Sole a -220 gradi in ombra.

L’elevata riflettività della superficie suggerisce una composizione a base di acqua allo stato solido, che alle temperature di Rea si comporta più come la roccia che il ghiaccio come lo intendiamo noi. Le fratture visibili nelle foto, lunghe fino a decine di migliaia di chilometri e avvistate già dalle Voyager, suggeriscono che un tempo la superficie di Rea possa essere stata rimodellata da fenomeni di subsidenza.

Encelado visto da Cassini. L'esposizione è stata ridotta significativamente per evitare che la superficie risultasse abbagliante e priva di strutture: Encelado riflette quasi la totalità della luce che riceve dal Sole.

Encelado è affascinante per motivi diametralmente opposti: è un mondo straordinariamente attivo, con geyser che eruttano acqua e polveri nel cielo ancora oggi. Sulla sua superficie si contano almeno cinque diversi tipi di terreno, uno dei quali è completamente privo di crateri o strutture da impatto, un chiaro indizio di processi massicci e recenti che hanno rimodellato il territorio. La superficie di Encelado è estremamente luminosa, quasi abbagliante, e probabilmente cela un oceano liquido al di sotto del polo sud.

Dione fotografato da Cassini: sono visibili le vaste fratture dovute a fenomeni di subsidenza su larga scala.

Dione misura 1123 chilometri di diametro ed è per lopiù costellato di crateri, come Rea. Ma la particolarità di Dione è che l’emisfero contenente più crateri non è quello “guida” (Dione è in una rotazione sincrona con Saturno, ovvero gli rivolge sempre la stessa faccia), cioè quello rivolto verso la direzione di rivoluzione, ma quello opposto, quello che in un certo senso “segue” la luna durante la sua orbita. Ciò ha fatto ipotizzare che Dione abbia ruotato di esattamente 180 gradi sul suo asse di recente.

Un’immagine ravvicinata da Dione rivela la presenza di una serie di crateri. Il cratere più grande, posto quasi sul terminatore, ha un rilievo centrale.

Dione mostra anche una serie di fratture, probabilmente dovute a fenomeni di subsidenza su la rga scala. Il ghiaccio esposto sulle pareti le rende particolarmente brillanti. Inoltre, il satellite si trova in risonanza con Encelado: a ogni orbita di Dione, Encelado ne completa esattamente due.

Nuovi nomi per i crateri di Cerere

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Questa mappa in falsi colori realizzata sulla base dei dati della sonda Dawn della NASA mostra la topografia della superficie del pianeta nano Cerere. Sono indicati i nomi approvati dall’Unione Astronomica Internazionale. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Il team scientifico della sonda Dawn della NASA ha rilasciato nuove mappe di Cerere che mostrano una topografia estremamente varia, con differenze di quota tra le basi dei crateri e le cime più alte che arrivano fino a 15 chilometri. Gli scienziati stanno analizzando i dati mandati a Terra da Dawn, che sta attualmente iniziando la sua terza orbita di mappatura.

«I crateri che troviamo su Cerere, in termini di profondità e di diametro, sono molto simili a ciò che vediamo su Dione e Teti, due satelliti ghiacciati di Saturno che hanno circa le stesse dimensioni e densità di Cerere. Le caratteristiche sono coerenti con una crosta ricca di ghiaccio», ha detto Paul Schenk, membro del team scientifico di Dawn e geologo presso il Lunar and Planetary Institute di Houston.

Questa mappa in falsi colori realizzata sulla base dei dati della sonda Dawn della NASA mostra la topografia della superficie del pianeta nano Cerere. Sono indicati i nomi approvati dall’Unione Astronomica Internazionale. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Alcuni di questi crateri e altre formazioni presenti sulla superficie hanno ottenuto nomi ufficiali, ispirati a divinità provenienti da un’ampia varietà di culture e legate all’agricoltura. L’Unione Astronomica Internazionale ha recentemente approvato una serie di nomi per le strutture presenti su Cerere.

Tra queste ad esempio c’è Occator, il “cratere misterioso” che ospita le macchie bianche brillanti, i cosidetti “spot”, con un diametro di circa 90 km e una profondità di circa 4 km. Nella mitologia romana, Occator è il nome di un aiutante di Cerere che si occupava dell’aratura.

Il cratere più piccolo, in cui sono state avvistate le famose macchie e per questo precedentemente chiamato “Spot 1″, è ora identificato con il nome di Haulani, coma la dea delle piante della mitologia hawaiana. Haulani ha un diametro di circa 30 chilometri e i dati di temperatura ottenuti dallo spettrometro VIR (Visual and InfraRed Spectrometer) dell’INAF-IAPS a bordo di Dawn mostrano che sembra avere una temperatura inferiore rispetto al terreno che lo circonda.

Questa immagine dello spettrometro ad immagini a bordo di Dawn (VIR) evidenzia una regione brillante su Cerere conosciuta con il nome di Haulani, dea delle piante nella mitologia hawaiana. Crediti: mage credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF

Dantu, il cratere che prende il nome della divinità ghanese associata alla coltivazione del mais, ha una dimensione di circa 120 chilometri ed è profondo circa 5 chilometri, come Ezinu, dal nome della dea sumera del grano. Entrambi sono grandi meno della metà di Kerwan, che prende il nome dallo spirito Hopi che presiede la germinazione del mais, e Yalode, dedicato alla dea africana del Dahomey, adorata dalle donne durante i riti di raccolta.

«I crateri da impatto Dantu e Ezinu sono estremamente profondi, mentre i bacini di Kerwan e Yalode mostrano profondità molto minori, il che indica un aumento della mobilità del ghiaccio con le dimensioni e l’età del cratere», ha dichiarato Ralf Jaumann, membro del team scientifico di Dawn presso il German Aerospace Center (DLR) di Berlino.

Poco più a sud di Occator c’è Urvara, un cratere che prende il nome dalla divinità indiana e iraniana delle piante e dei campi. Urvara, con circa 160 km di larghezza e 6 km di profondità, ospita un imponente picco centrale di 3 km di altezza.

Dawn sta attualmente spiraleggiando verso la sua terza orbita scientifica, a meno di 1.500 km dalla superficie, circa tre volte più vicina a Cerere rispetto all’orbita precedente. La sonda raggiungerà questa orbita verso metà agosto e comincerà immediatamente a raccogliere nuove immagini e ulteriori dati.

Questa animazione mostra una mappa a colori ottenuta dai dati della sonda Dawn della NASA e mostra i rilievi e i crateri presenti sulla superficie del pianeta nano Cerere.

7 Agosto: notevole congiunzione tra Mercurio e Giove.

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Alle 20:30 del 7 agosto il Sole sarà appena tramontato (–0,5°) sull’orizzonte ovest, ed il cielo sarà quindi ancora molto chiaro. Forse non tanto, però, da impedirci di scorgere una congiunzione tra Mercurio (mag. –0,7) e Giove (–1,7) che in quel momento risulteranno separati soltanto di 52′.

I due pianeti saranno alti solo +6°, il che significa che l’osservazione potrà andare a buon fine (aiutandosi con un binocolo) solo in condizioni di visibilità eccellenti.

Solo a livello di curiosità facciamo notare che l’incontro tra Mercurio e Giove avverrà a pochi primi di distanza da Regolo, che a causa della sua magnitudine (+1,3) risulterà tuttavia praticamente inosservabile.

Aspettiamo le vostre immagini su gallery@coelum.com

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di luglio e agosto

Gruppo Astrofili Lariani

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01.08: Osservazione di Luna e Saturno. A seguire le meraviglie del cielo estivo: nebulose, ammassi aperti e globulari.
Per informazioni: Tel 347.6301088
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Associazione Astrofili Centesi

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31.07: “La nascita del Sistema Solare”. Al telescopio: il pianeta Saturno e i suoi satelliti, l’ammasso stellare M13 in Ercole e la stella Antares.31.07: “La nascita del Sistema Solare”. Al telescopio: il pianeta Saturno e i suoi satelliti, l’ammasso stellare M13 in Ercole e la stella Antares.

Per info: cell. 346 8699254
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Alla ricerca del quarzo marziano

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Un frammento di roccia ribattezzato “Lamoose”, di circa 10 cm, ripreso dalla camera MAHLI del rover Curiosity l’11 luglio 2015. Come la vicina roccia “Elk”, possiede un’inaspettatamente alta concentrazione di silice. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Un frammento di roccia ribattezzato “Lamoose”, di circa 10 cm, ripreso dalla camera MAHLI del rover Curiosity l’11 luglio 2015. Come la vicina roccia “Elk”, possiede un’inaspettatamente alta concentrazione di silice. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
MARCIA INDIETRO PER CURIOSITY

Si avvicina il terzo anniversario del suo atterraggio su Marte per il rover Curiosity della NASA, che recentemente ha trovato qualcosa di diverso da tutto ciò che aveva analizzato in precedenza: una roccia contenente livelli inaspettatamente alti di silice. La silice è un componente alquanto comune delle rocce terrestri, dove può essere trovata sotto forma di quarzo.

Nelle sue esplorazioni programmate, Curiosity aveva recentemente esaminato una zona target denominata “Elk” (alce) vicino al “Marias Pass”, ai piedi del Monte Sharp. Successivamente, era stato avviato verso un altro obbiettivo. Quando i ricercatori a Terra hanno avuto l’opportunità di analizzare i dati di due strumenti utilizzati da Curiosity, la ChemCam (Chemistry & Camera) – dotata di laser per vaporizzare le rocce e ottenere lo spettro della loro composizione – e il DAN (Dynamic Albedo of Neutrons), che mostravano, rispettivamente, elevate quantità di silicio e idrogeno, hanno deciso di far tornare indietro il grande robot marziano per dare un’occhiata più da vicino.

La marcia indietro è stata giustificata dalla considerazione che, con tali caratteristiche, l’affioramento “Elk” potrebbe contenere delle sorprese: alti livelli di silice nella roccia rappresentano infatti le condizioni ideali per la conservazione di materiale organico, se mai è stato qui presente.

«Non si sa mai cosa aspettarsi su Marte, ma il target “Elk” era sufficientemente interessante per decidere di tornare indietro e indagare», conferma Roger Wiens, del Los Alamos National Laboratory in New Mexico, responsabile scientifico dello strumento ChemCam. Il quale ChemCam, per inciso, sta per raggiungere la soglia dei 1.000 obbiettivi analizzati, avendo già sparato il suo laser più di 260.000 volte da quando Curiosity è atterrato su Marte il 6 agosto 2012.

Una volta tornato sui suoi passi, il rover è stato in grado di studiare in dettaglio un affioramento simile a “Elk”, chiamato “Lamoose”, utilizzando due strumenti presenti nella ricca dotazione del braccio robotico estensibile, l’analizzatore di spettro APXS (Alpha Particle X-ray Spectrometer) e la fotocamera MAHLI (Mars Hand Lens Imager).

Una zona larga 40 cm circa dell’affioramento denominato “Missoula”, che ha attirato l’attenzione del team di Curiosity, è rappresentata in questo mosaico ottenuto dal rover l’1 luglio 2015. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

La stessa macchina da ripresa che Curiosity stava utilizzando prima del repentino cambio di programma, mentre era tutto intento a passare al setaccio una zona di contatto geologico vicino a “Marias Pass”, dove una roccia sedimentaria argillosa chiara incontra un’arenaria più scura.

«Abbiamo trovato un affioramento di nome “Missoula” dove i due tipi di roccia si sono riuniti, ma era piuttosto piccolo e in prossimità del suolo. Abbiamo usato il braccio robotico per acquisire una vista ravvicinata con la fotocamera MAHLI: è come averci ficcato il naso dentro», dice Ashwin Vasavada, scienziato del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California.

Stazione Spaziale, i più spettacolari transiti del periodo

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Per il mese di agosto, la ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli a orari serali, quindi senza l’obbligo della sveglia al mattino prima dell’alba. Avremo sei transiti notevoli, con magnitudini elevate, durante il corso dell’ultimo mese estivo.

Giorno Ora Inizio Direzione Ora Fine Direzione Magnitudine
01 21:56 OSO 22:07 NE -3.2
02 21:03 SO 21:14 ENE -3.3
04 20:53 OSO 21:04 NE -2.8
16 21:34 NO 21:40 E -3.2
18 21:24 ONO 21:31 SSE -3.0
19 20:31 NO 20:40 ESE -3.3
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite a un punto centrato sulla penisola, nel Centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto di ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

Si inizierà il giorno 1 agosto, dalle 21:56 alle 22:07, osservando da OSO a NE. La ISS sarà ben visibile da ogni zona del paese. La magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.2, quindi il transito sarà individuabile senza alcun problema, meteo permettendo.

Ancora al giorno 2 agosto, sempre di sera, dalle 21:03 in direzione SO alle 21:14 in direzione ENE. Anche questo sarà un buon transito, visibile al meglio dal Centro e Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.3. Sperando come sempre in cieli sereni.

Il transito del 4 agosto sarà di nuovo ottimale, restando visibile in tutto il territorio. La Stazione Spaziale Internazionale transiterà nei nostri cieli dalle 20:53 alle 21:04, osservando da OSO a NE. La magnitudine massima sarà di -2.8, ma la difficoltà maggiore sarà costituita dal cielo non ancora completamente scuro, quindi bisognerà aguzzare la vista.

Facciamo un salto di circa dodici giorni fino al 16 agosto, quando la Stazione Spaziale ‘taglierà in due’ quasi tutta la nostra penisola, rimanendo quindi avvistabile da tutto il paese. L’orario è dalle 21:34 alle 21:40, guardando da NO a E. La magnitudine sarà di -3.2, decisamente elevata.

Il giorno 18 agosto sarà l’occasione per le isole maggiori, che verranno attraversate in pieno dalla traccia della ISS. Dalle 21:24 in direzione ONO alle 21:31 in direzione SSE. Anche questo sarà un transito comunque osservabile da tutto il paese, con magnitudine di -3.0.

Saltiamo di circa una decina di giorni per trovare l’ultimo passaggio notevole del mese, il 19 agosto. Sarà parziale, ma nonostante questo molto luminoso, con una magnitudine di -3.3. Sarà visibile dalle 20:31 alle 20:40 da NO ad ESE. Anche in questo caso i cieli non del tutto bui potrebbero causare difficoltà nell’avvistamento.

Seguite la rubrica di Giuseppe Petricca tutti i mesi su Coelum Astronomia!

La ISS è apparsa giusto per inserirsi in una vista astronomica favolosa: la falce di Luna Crescente, il brillante Venere, e i deboli Marte e Mercurio (al centro in basso, tra il cipresso e gli alberi a destra dello stesso) e la Torre Pendente di Pisa! Non penso che serva aggiungere altro in quanto la foto parla da sola. Ho utilizzato una Canon EOS 700D con obiettivo 18-55 IS STM. La foto è del 20/04/15 alle ore 21:00 circa. Credit: Giuseppe Petricca

Associazione Astronomica Feltrina Rheticus

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31.07: “La Regina della notte”. I mutevoli aspetti della Luna.
info: www.rheticus.it

Le ultime da New Horizons: foschia e movimenti glaciali su Plutone

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Un addio mozzafiato quello che Plutone manda alla New Horizons. Il sottile alone in controluce dell'atmosfera del pianeta ripreso attorno alla mezzanotte (EDT) del 15 luglio quando la sonda era già a 2 milioni di distanza da Plutone. Credits: NASA/JHUAPL/SwRI

Sono già passati dieci giorni dallo storico appuntamento tra New Horizons e Plutone. Il pianeta nano è ormai poco più che un puntino distante 12 milioni di chilometri nello specchietto retrovisore della sonda americana, ma, per noi terrestri, la missione è appena incominciata. La memoria robotica della sonda custodisce ancora più del 95% dei dati raccolti durante il flyby e le nuove foto rilasciate oggi dalla NASA ci permettono solo di sognare quali altre, fantastiche scoperte si nascondano nei circuiti elettrici di New Horizons.

Atmosfera: le scoperte già presentate

Grandi sorprese sul fronte degli studi atmosferici sono arrivate ancor prima dell’incontro, con nuove misurazioni del diametro di Plutone, che risulta una trentina di chilometri superiore al previsto. Ciò significa che la troposfera, lo strato atmosferico a contatto con il suolo all’interno del quale avvengono quasi tutte le attività, dev’essere spesso al massimo un paio di chilometri. In compenso, il resto dell’atmosfera è ben più esteso del previsto: il suo confine è aumentato dai 270 km osservati tramite le occultazioni dalla Terra ai 1600 misurati da New Horizons.

Un’altra importante scoperta è stata l’individuazione, circa un’ora e mezza dopo il flyby, di una cavità nel vento solare, una regione ricca di azoto freddo e denso in fuga dall’atmosfera di Plutone e ionizzato dalla radiazione ultravioletta del Sole. Trascinate dal vento solare, le molecole di azoto formano una coda di plasma che si estende tra i 77 e i 109 mila chilometri dalla superficie di Plutone.

I due strati di foschia su Plutone.

I dati presentati oggi: due strati di foschia!

Le nuove immagini rilasciate oggi dimostrano quanto Plutone sia un mondo inaspettatamente complesso. Queste foto, scattate sette ore dopo l’incontro, mostrano una densa struttura di foschia nei cieli di Plutone fino a 130 km di quota. Un’analisi preliminare rivela la presenza di due strati distinti: uno a 80 km di quota e l’altro 30 km più in basso.

“La mia mascella è caduta al suolo quando ho visto la prima foto di un’atmosfera aliena nella fascia di Kuiper,” spiega Alan Stern, responsabile della missione. “La foschia visibile in questa foto è la chiave per comprendere la formazione dei complessi composti di idrocarburi visibili sulla superficie rossastra di Plutone,” aggiunge Michael Summers.

Si pensa che questi strati di foschia abbiano avuto origine dall’interazione tra la radiazione ultravioletta del Sole e il metano già presente nell’atmosfera di Plutone. La rottura delle molecole di metano creerebbe gli ingredienti indispensabili per formare idrocarburi più complessi, come etilene e acetilene, già rilevati da New Horizons. La foschia quindi non sarebbe altro che il risultato della condensazione di questi composti negli strati inferiori dell’atmosfera.

Secondo gli studi precedenti, la temperatura atmosferica era eccessiva per permettere la formazione di qualunque strato di foschia sopra i 30 km di quota. Con questa incredibile scoperta, è chiaro che c’è qualcosa di sbagliato nei nostri modelli.

L’atmosfera si è dimezzata in due anni

I dati sulla pressione (in microbar) dell'atmosfera di Plutone, in blu, con quella riscontrata da REX, indicata dalla freccia rossa.

In questi giorni sono arrivati anche i primi dati dall’antenna REX, che ha osservato l’occultazione radio Plutone-Terra. Anche se per ora abbiamo un solo dato, la sua importanza è enorme: infatti pare che la pressione esercitata dall’atmosfera sulla superficie si sia dimezzata nell’arco di un paio di anni, invertendo la tendenza che l’aveva vista aumentare negli scorsi decenni. La causa è probabilmente il progressivo allontanamento di Plutone dal Sole: il pianeta nano, infatti, sta viaggiando verso l’apogeo della sua orbita, e l’atmosfera sta collassando sulla superficie in forma di ghiaccio.

“Per la prima volta abbiamo veri dati sulla pressione atmosferica di Plutone,” spiega Ivan Linscott della Stanford University. “Questa misurazione cruciale potrebbe indicare che Plutone è sul punto di un tanto atteso cambiamento globale.”

La superficie di Plutone
Che Plutone fosse un mondo straordinariamente diverso rispetto a ciò che ci aspettavamo l’avevamo capito già dando una rapida occhiata alle primissime foto trasmesse da New Horizons dopo l’incontro. Per 85 anni, nella letteratura scientifica Plutone era stato quasi sempre descritto come un mondo geologicamente morto, forse attivo in un lontanissimo passato in seguito all’impatto che formò il suo satellite principale, Caronte. Ma oggi, avendo avuto dieci giorni per analizzare i primi materiali raccolti da New Horizons, siamo costretti ad ammettere che ci sbagliavamo di grosso.
Per avere un’idea della sorprendente varietà di terreni su Plutone basta confrontare le prime due foto ricevute dalle antenne del Deep Space Network. La prima ritrae i Norgay Montes, una catena montuosa che raggiunge i 3500 metri di quota. La presenza di questi rilievi – probabilmente composti quasi del tutto di acqua allo stato solido, in quanto è l’unico materiale osservato su Plutone in grado di sostenere strutture così massicce – implica che qualcosa, una qualche attività geologica o geofisica, li abbia innalzati. Il fatto poi che nell’intera immagine non sia visibile nemmeno un cratere – la “scusa” che nel sistema solare esterno gli scontri non avvengano con la stessa frequenza che in quello interno non basta per spiegare questa totale assenza di strutture da impatto – suggerisce che questa attività, qualunque sia la sua natura, debba essere avvenuta in tempi recenti, o che addirittura sia ancora all’opera.
La seconda immagine rilasciata dalla NASA, al contrario, ritrae una vasta pianura ghiacciata, battezzata Sputnik Planum, all’interno di Tombaugh Regio, l’ormai celebre struttura a forma a cuore. Anche qui, nessun cratere. Anzi: il terreno appare diviso in poligoni delimitati da piccoli solchi, interrotti qua e là da cumuli di materiale più scuro e da rilievi evidentemente formati da materiale resistente all’erosione. L’origine di questi poligoni non è ancora chiara, ma si sospetta che possano essere il risultato della contrazione della superficie oppure di meccanismi convettivi in prossimità del suolo. Ai confini della foto si estende una regione dall’aspetto bucherellato, forse a causa di intense attività di sublimazione. Ingrandendo l’immagine si notano perfino delle striature nerastre tutte orientate nella stessa direzione, un indizio di possibili venti. Insomma, tutt’altro che un sasso morto vagante per il cosmo.

La superficie di Plutone

Che Plutone fosse un mondo straordinariamente diverso rispetto a ciò che ci aspettavamo l’avevamo capito già dando una rapida occhiata alle primissime foto trasmesse da New Horizons dopo l’incontro. Per 85 anni, nella letteratura scientifica Plutone era stato quasi sempre descritto come un mondo geologicamente morto, forse attivo in un lontanissimo passato in seguito all’impatto che formò il suo satellite principale, Caronte. Ma oggi, avendo avuto dieci giorni per analizzare i primi materiali raccolti da New Horizons, siamo costretti ad ammettere che ci sbagliavamo di grosso.

Per avere un’idea della sorprendente varietà di terreni su Plutone basta confrontare le prime due foto ricevute dalle antenne del Deep Space Network. La prima ritrae i Norgay Montes, una catena montuosa che raggiunge i 3500 metri di quota. La presenza di questi rilievi – probabilmente composti quasi del tutto di acqua allo stato solido, in quanto è l’unico materiale osservato su Plutone in grado di sostenere strutture così massicce – implica che qualcosa, una qualche attività geologica o geofisica, li abbia innalzati. Il fatto poi che nell’intera immagine non sia visibile nemmeno un cratere – la “scusa” che nel sistema solare esterno gli scontri non avvengano con la stessa frequenza che in quello interno non basta per spiegare questa totale assenza di strutture da impatto – suggerisce che questa attività, qualunque sia la sua natura, debba essere avvenuta in tempi recenti, o che addirittura sia ancora all’opera.

La seconda immagine rilasciata dalla NASA, al contrario, ritrae una vasta pianura ghiacciata, battezzata Sputnik Planum, all’interno di Tombaugh Regio, l’ormai celebre struttura a forma a cuore. Anche qui, nessun cratere. Anzi: il terreno appare diviso in poligoni delimitati da piccoli solchi, interrotti qua e là da cumuli di materiale più scuro e da rilievi evidentemente formati da materiale resistente all’erosione. L’origine di questi poligoni non è ancora chiara, ma si sospetta che possano essere il risultato della contrazione della superficie oppure di meccanismi convettivi in prossimità del suolo. Ai confini della foto si estende una regione dall’aspetto bucherellato, forse a causa di intense attività di sublimazione. Ingrandendo l’immagine si notano perfino delle striature nerastre tutte orientate nella stessa direzione, un indizio di possibili venti. Insomma, tutt’altro che un sasso morto vagante per il cosmo.

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Venerdì dell’Universo 2015 – Incontri e seminari su Astronomia, Fisica e Scienze

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27.03: “LCH. Come risponderealle domande di Gaugin” di JOHN ELLIS.
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Kepler scopre il fratello maggiore della Terra

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Terra 2.0? Secondo la NASA, Kepler-452b è il più simile alla Terra tra gli esopianeti scoperti finora.

Terra 2.0? Secondo la NASA, Kepler-452b è il più simile alla Terra tra gli esopianeti scoperti finora.

Il telescopio spaziale Kepler della NASA ha raggiunto un’importante pietra miliare nel lungo percorso verso la scoperta di un pianeta simile alla Terra, con l’individuazione di Kepler-452b, un pianeta extrasolare simile al nostro ma ancora più vecchio.

Il pianeta orbita intorno a una stella molto simile al Sole, mantenendosi per tutta la durata della sua rivoluzione, lunga 385 giorni, all’interno della zona abitabile – cioè a una distanza tale per cui l’acqua risulterebbe stabile allo stato liquido sulla sua superficie. Il pianeta è più grande della Terra di circa il 60% e dista 430 parsec nella direzione del Cigno.

Rappresentazione artistica di Kepler. Dopo i problemi ai giroscopi, il telescopio ora opera lungo l'eclittica, mentre prima era limitato a una piccola porzione di cielo tra il Cigno e la Lira.

Purtroppo, gli scienziati non sono ancora stati in grado di misurare direttamente la massa di Kepler-452b, un parametro essenziale per poter confermare che si tratti davvero di un pianeta roccioso. I modelli sviluppati al computer suggeriscono che l’esopianeta sia circa cinque volte più massiccio della Terra.

La stella Kepler-452 si è formata circa 6 miliardi di anni fa, cioè 1.5 miliardi di anni prima del nostro Sole, e, come parte del suo ciclo evolutivo, sta diventando sempre più calda e luminosa. Nel suo stadio attuale, la stella ha la stessa temperatura della nostra, è il 20% più luminosa e il 10% più grande.

L’età avanzata della stella suggerisce che il pianeta abbia avuto sufficiente tempo per sviluppare eventuali forme di vita, qualora risultasse davvero abitabile. I tentativi di ascolto promossi dall’istituto SETI non hanno trovato attività nella regione del cielo in corrisponde di Kepler-452.

Lanciato nel 2009, una quindicina di anni dopo la scoperta del primo esopianeta in orbita attorno a una stella simile al Sole, il telescopio Kepler ha rivoluzionato la ricerca di altri sistemi solari, un concetto che fino a pochi decenni prima apparteneva al regno della fantascienza. Da quando è entrato in servizio, Kepler ha scoperto più di un migliaio di pianeti, con oltre tremila candidati in attesa di conferma. Il telescopio ha finora identificato una quindicina di esopianeti situati nelle fasce abitabili dei loro sistemi stellari, cioè alla giusta distanza dalla propria stella per cui l’acqua liquida – il mezzo in cui avvengono le reazioni chimiche alla base della vita – risulta stabile.

A causa di un problema alle sue ruote di reazione, i giroscopi responsabili della stabilizzazione dell’assetto, Kepler ha dovuto interrompere la sua missione primaria, che consisteva nel monitorare un centinaio di migliaio di stelle tra le costellazioni del Cigno e della Lira. Ma il telescopio non si è dato per vinto ed è rinato sotto la missione K2, che prevede anche molte osservazioni entro il nostro stesso sistema solare – ad ottobre, ad esempio, il telescopio punterà il suo occhio robotico in direzione di Plutone. Nonostante lo scetticismo di molti, già alla fine dell’anno scorso Kepler aveva dimostrato di essere in grado di rilevare nuovi esopianeti anche con gli acciacchi che l’hanno colpito negli ultimi mesi.

Sull’argomento vita extratterestre leggi anche l’Inchiesta di Coelum: “Entro dieci anni troveremo TRACCE DI VITA ALIENA” di Filippo Bonaventura (Coelum 193, 194 le prime due puntate pubblicate).

New Horizons scopre una seconda catena montuosa su Plutone

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Un'immagine di Plutone scattata da 77 mila chilometri di distanza a una risoluzione di 1 km per pixel.
Un'immagine di Plutone scattata da 77 mila chilometri di distanza a una risoluzione di 1 km per pixel.
New Horizons ha individuato una seconda catena montuosa sulle propaggini di Tombaugh Regio, l’ormai celebre struttura a cuore sulla superficie di Plutone. Le immagini mostrano rilievi alti in media 1-1.5 chilometri situati a 110 chilometri dai Norgay Montes, la catena visibile già nelle primissime foto trasmesse dalla sonda.
A destra delle montagne è visibile un lembo di Sputnik Planum, una pianura glaciale caratterizzata dalla presenza di poligoni irregolari lunghi circa 20 chilometri delimitati da solchi poco profondi, interrotti qua e là da materiale scuro e da rilievi – chiari indizi di intense attività di sublimazione ed erosione.
Dalla parte opposta, a sinistra della catena montuosa, si trova invece una regione scura punteggiata di crateri. Mentre Sputnik Planum ha un’età geologica stimata intorno ai 100 milioni di anni, questa regione più scura risale probabilmente a miliardi di anni fa, come sembrerebbe suggerire l’elevata presenza di crateri da impatto.
L’aspetto scuro della regione a ovest dei rilievi è probabilmente dovuta alla presenza di toline, molecole di idrocarburi originate dall’interazione tra i ghiacci già presenti, tra cui il metano, con le radiazioni ultraviolette del Sole e i raggi cosmici provenienti dallo spazio profondo.
“La transizione tra le giovani pianure ghiacciate a est e il terreno scuro e costellato di crateri a ovest è molto pronunciata,” spiega Jeff Moore del team di New Horizons. “L’interazione tra i materiali scuri e quelli chiari è molto complessa e ancora oggetto di grande studio.”
Gli scienziati sospettano che le montagne avvistate finora sulla superficie di Plutone siano composte in larga parte da acqua allo stato solido. Nessun altro dei ghiacci individuati finora sul pianeta nano, infatti, sarebbe in grado di supportare strutture così massicce.
La presenza di una seconda catena montuosa, seppur meno pronunciata dei Norgay Montes (alti in media 3.5 chilometri), assieme all’aspetto completamente privo di crateri di Sputnik Planum, sembra suggerire che Plutone sia un mondo ancora molto attivo dal punto di visto geologico, o almeno che lo sia stato in tempi recenti. Il mistero è quale sia la sorgente dell’energia necessaria ad alimentare tali attività: l’unica conosciuta su Plutone è il calore generato dal decadimento radioattivo di elementi quali torio e uranio, ma secondo i nostri modelli attuali non dovrebbe essere sufficiente ad alimentare una simile “vivacità” geologica.
Secondo alcuni scienziati, la natura di questa elusiva sorgente energetica sarebbe da ricercarsi nella relazione sincrona che lega Plutone a Caronte e viceversa: anche il semplice ciclo stagionale che vede i ghiacci di metano, azoto e monossido di carbonio sublimare dalla superficie di Plutone e poi depositarsi in regioni più fredde potrebbe causare una redistribuzione asimmetrica della massa sufficiente a causare a sua volta un’alterazione nell’assetto della relazione tra Plutone e Caronte e quindi portare a uno sbilanciamento nell’equilibrio del sistema. Spingendoci ancora più in là, si potrebbe speculare che le perturbazioni che si verrebbero a creare nel sistema potrebbero addirittura sfociare in un feedback positivo che porterebbe a un ulteriore aumento nelle attività geologiche dei due corpi.

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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24.07: Osservazione della Luna in Corso Italia.
Le attività riprendono dopo la pausa estiva a partire dall’11 settembre. Per il programma completo di luglio consultare il sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Associazione Astronomica Mirasole

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25.07: “Il pianeta Marte: dal mito dei canali di Marte alle più recenti scoperte delle sonde, alla ricerca di acqua e vita” di Cesare Guaita.
ufficio.stampa@astromirasole.it
www.astromirasole.it

Associazione Astronomica Feltrina Rheticus

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25.07: “Plutone, finalmente! La sonda New Horizons all’ultima frontiera del Sistema solare”.
info: www.rheticus.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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24.07: Osservazione dal piazzale della funivia per i Piani d’Erna.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Cascinese Astrofili

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23.07, ore 21:30: PALASPORT 360°. In via Guelfi, 149 a Casciavola (PI). Per informazioni contattare il numero 348 3836421 (Sig. Leonardo).
ore 10:30: Lezione di astronomia al campo estivo.
ore 21:30: “Con gli occhi al cielo…” osservazione con i telescopi (solo se meteo OK).
Attività al CAMS (Centro Astronomico del Monte Serra), presso Agriturismo Serra di Sotto, Strada Prov. Monte Serra a Buti (PI). Per prenotare la cena presso l’agriturismo:
Simone oppure Giulio 392.0297877.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Cascinese Astrofili

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21.07, ore 21:30: “Campi Stellari”. Osservazione pubblica presso la sede ACA. In caso di maltempo l’Associazione organizzerà un dibattito su temi recenti di Astronomia.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

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