Poco più di un mese fa, il 12 aprile scorso, si chiudeva malamente il sogno israeliano di raggiungere la Luna. Un’impresa comunque straordinaria date le premesse… Beresheet infatti nasceva come prima missione privata, organizzata da una compagnia non governativa e senza scopo di lucro, la SpaceIL, che avrebbe dovuto raggiungere la superficie lunare in seguito alla partecipazione al Lunar X Prize di Google.
Purtroppo, come sappiamo, è andato tutto bene, anzi alla perfezione, compreso il difficile inserimento in orbita lunare, fino all’ultimo tratto della discesa. La sonda ha perso il controllo e si è schiantata sulla superficie lunare.
Tutte informazioni, però, ricavate solo dalla telemetria di bordo (quella serie di dati inviati dalla sonda per informare il centro controllo del suo stato, ve ne parleremo nei prossimi numeri della rivista!). Le ultime immagini dalla sonda sono infatti arrivate quando ancora si trovava ad alcuni chilometri dalla superficie.
Il sito prescelto per la discesa era il Mare della Serenità, e solo dieci giorni dopo, il 22 aprile, l’orbiter della NASA LRO – il Lunar Reconnaissance Orbiter, che dal 2009 mappa incessantemente ad alta risoluzione il suolo lunare – si è trovato a passare proprio sopra la zona del sito di atterraggio e ha ripreso anche quello che potrebbe essere il punto di impatto, individuando quel che è rimasto della sonda israeliana.
La fotocamera dell’orbiter (LROC) è composta da tre imager: una camera grandangolare a sette colori (WAC) e due videocamere ad angolo stretto in bianco e nero (NAC). E sono queste ultime che hanno catturato quella che sembra essere l’immagine di Beresheet. L’immagine è stata ripresa da 90 chilometri di altezza, e ci mostra una macchia scura, larga circa 10 metri, circondata da un alone più chiaro.
Non è possibile da queste immagini capire se si tratta davvero di un cratere e per di più artificiale, creato quindi dalla sonda israeliana, ma gli indizi sono tanti. Oltre al fatto che sapevamo, anche se non con precisione, dove dovrebbe essere caduta, le caratteristiche della macchia fanno pensare proprio all’impatto di una sonda.
Il cratere potrebbe essere troppo piccolo per essere evidenziato nella foto. Osservando la simmetria e l’elongazione della macchia verso sud, sarebbe coerente con il rientro della sonda, che viaggiava a una velocità decisamente più bassa rispetto a un meteroite delle stesse dimensioni, e inclinata di 8,4° rispetto alla superficie. L’alone chiaro potrebbe essere dovuto a un rilascio di gas a causa dell’impatto, ma anche a particelle sottili soffiate all’esterno del luogo di impatto dalla discesa della sonda.
Inoltre, abbiamo 11 immagini della zona riprese prima dell’impatto (inclusa una 16 giorni prima dell’incidente), e tre riprese dopo, e questa è l’unica traccia abbastanza evidente compatibile con lo schianto. Difficile che sia caduta senza lasciare segni visibili.
Le immagini sono poi state confrontate con una serie di simulazioni matematiche che hanno aiutato i ricercatori ad avere una stima di dimensioni e forma del cratere che si sarebbe creato se una sonda della massa e della velocità di Beresheet fosse precipitata sulla Luna.
Un ulteriore confronto è stato effettuato con tracce analoghe di eventi simili, come ad esempio il caso delle missioni GRAIL e LADEE – che alla fine del loro lavoro sono state fatte impattare sulla superficie lunare – o per il programma Ranger, una serie di sonde inviate dalla NASA, negli anni ’60, a schiantarsi appositamente sulla superficie lunare per riprenderne immagini il più ravvicinate possibili (solo 3 su 9 raggiunsero con successo lo scopo). Le velocità di impatto di queste missioni erano simili a quelle di Beresheet, e la forma delle tracce lasciate sulla superfice lunare consistente con queste ultime immagini.
A conti fatti sembra che, quella ripresa nell’immagine, sia proprio lei, la sfortunata Beresheet.
Per quanto riguarda la NASA, il ritrovamento della sonda ha anche un altro interesse. A bordo della Beresheet, proprio sopra la cima della sonda, c’erano anche dei piccoli specchi cubici, costituenti il Laser Retroreflector Array fornito alla missione proprio dalla NASA, e che avrebbe dovuto aggiungersi ai già numerosi specchi catarifrangenti, sparsi da varie missioni sulla superficie lunare, per l’esperimento Lunar Laser Ranging, che monitora dai tempi delle missioni Apollo gli spostamenti della Luna. Dal JPL si sta cercando di verificare se questi piccoli catarifrangenti si siano salvati dall’impatto, inviando degli impulsi laser sulla zona, sempre grazie a LRO, per studiarne il segnale di ritorno.
La Foto del Secolo
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Coelum Astronomia di Maggio 2019
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