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Congiunzione Venere e Spica… con Luna

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Il primo appuntamento di settembre sarà quello del giorno 6 verso le 20:15, ora in cui Venere (mag. -4,0) apparirà bassa sull’orizzonte ovest-sudovest in compagnia di Spica (mag. +1,0 la stella alfa della Vergine), separate di soli 1,8°. Una visione fugace, perché ben presto i due oggetti (alti solo +7°) si perderanno tra la foschia e poi tramonteranno.

La sera dell’8 settembre, intorno alle 20:00, un sottile spicchio di Luna crescente raggiungerà i due astri, posizionandosi proprio tra il pianeta e la stella (1,4° da Spica e 2,1° da Venere).

All’ora consigliata per l’osservazione, i tre oggetti saranno alti soltanto +8° sull’orizzonte di ovest-sudovest, per cui sarà probabilmente necessario aiutarsi con un binocolo in caso di foschia, specialmente per riuscire a scorgere Spica.

Più in alto e a sinistra (nell’orientamento altazimutale), nella scena sarà presente e forse osservabile anche Saturno, mentre la possibilità di riuscire a scorgere il pur luminoso Mercurio in basso a destra sarà legata alle limpidezza del cielo.

N.B. Nell’immagine la Luna è più grande di quanto non sia in realtà.

Quanta acqua su GJ 1214b

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Una visione artistica di un'immagine in luce blu di GJ-1214b, rappresentato dal dischetto nero, in transito di fronte alla sua stella madre GJ-1214. Credit: NAOJ

La “super Terra” studiata dal Subaru Telescope

Una visione artistica dell'immagine in luce blu di GJ-1214b, rappresentato dal dischetto nero, in transito di fronte alla sua stella madre GJ-1214. Credit: NAOJ

Spesso gli astronomi si divertono a “giocare” con i diversi filtri delle ottiche montate sui telescopi. È il caso di alcuni ricercatori giapponesi che hanno isolato la luce blu ripresa dal Subaru Telescope per studiare l’atmosfera del pianeta extrasolare Gj 1214b. Quello che hanno scoperto è un’atmosfera probabilmente ricca di acqua.

La super-Terra si trova a circa 40 anni luce da noi, visibile nella costellazione dell’Ofiuco, e orbita attorno alla sua stella (una nana rossa). È stato scoperto nel dicembre 2009 ed è stato da subito classificato come una super-Terra dal diametro e massa ben definiti (circa 2,7 volte le dimensioni del nostro pianeta).

Gli astronomi del National Astronomical Observatory of Japan hanno potuto osservare nel dettaglio i transiti su GJ 1214, la stella attorno alla quale orbita il pianeta. I risultati ottenuti hanno confermato i dati raccolti nel 2010, quando altri ricercatori avevano già affermato che il pianeta fosse fatto principalmente di acqua, e quelli di Hubble del 2012, che aveva notato vapore nella spessa atmosfera. L’assenza di fenomeni di scattering della luce, rivelata dalle osservazioni con filtro blu, è considerata un “marchio” affidabile della presenza di acqua nell’atmosfera del pianeta.

Lo studio permette di conoscere meglio gli esopianeti simili alla Terra, in dimensioni e composizione. Con super-terra, infatti, ci si riferisce ai  grandi pianeti rocciosi che popolano gli altri sistemi planetari e che hanno una dimensione a metà strada tra quelli interni e quelli giganti del nostro sistema solare.

Particolarmente rilevante per i ricercatori è capire dove e come si formano le super-terre. Si ritiene che i pianeti nascano da un disco protoplanetario, o da una nube di gas, ghiaccio e detriti che circonda una giovane stella, all’inizio della sua vita. L’idrogeno è un elemento predominante di questo disco, così come il ghiaccio se ci si trova al di là della “linea della neve”, cioè la regione di un sistema planetario in cui la mancanza di calore rende possibile il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello solido.

Gli ultimi risultati fanno ben pensare che le atmosfere di queste super-terre contengano grandi quantità di vapore o di idrogeno. Il team spiega che non è ancora possibile escludere che l’atmosfera del pianeta sia fatta di idrogeno più che di acqua, ma che le ultime osservazioni unite agli studi precedenti fanno propendere decisamente per l’acqua.

Per saperne di più:

Pio & Bubble Boy – Coelum n.173 – 2013

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Pio e BubbleBoy - 173
Pio & Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 173
Pio e BubbleBoy - 173
Pio & Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 173

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.173 – 2013. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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7.09: Il cielo d’autunno di W. Marinello. Ogni venerdì, ore 21:00, apertura della Specola Cidnea (prenotazionial numero 030/2978672).

Tel. 348.5648190
osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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06.09: “In volo nella Via Lattea, sulle ali del Cigno“ di Roberto Ratti.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Astrofili Centesi

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06.09: “La storia della terra in 30 minuti”. Al telescopio: Venere, le prime costellazioni autunnali e la Galassia di Andromeda.

Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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06.09: La Costellazione della Lira.

www.uai.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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06.09: “Introduzione alla fotografia astronomica” di A. Soffiantini.

Tel. 348.5648190
osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Associazione Astrofili Centesi

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06.09: “Conosciamo il nostro Pianeta, i Dinosauri, ecco chi abitava la Terra 60 milioni di anni fa”.

Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Testimoni cercansi! Un “mega bolide” attraversa i cieli di Ferrara

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Un “mega bolide” così i ragazzi dell’IMTN (Italian Meteor and TLE Network) hanno chiamato la palla di fuoco che ha attraversato questa notte i cieli del Nord Italia.  La camera a colori TLE Tracker della stazione IMTN di Ferrara ha catturato questa bellissima immagine della fireball  che ha illuminato il cielo alle 2:12 in direzione nord-est.

Il bolide è stato avvistato in tutto il Nord Italia, già si rincorrono le note di agenzia, e dalle prime testimonianze, è stato seguito anche da un forte boato (in particolare dalla provincia di Treviso si parla di un boato durato tre secondi).

Il video della stazione IMTN di Ferrara da cui è stata estratta l’immagine

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L’IMTN cerca quindi testimoni dell’evento!
Commentate o inviate le vostre osservazioni alla Redazione (che aggiornerà questa pagina con tutte le segnalazioni pervenute) e al  Forum dell’IMTN Network


Aggiornamenti

Il video della stazione IMTN di Cuneo

Al Planetario di Ravenna

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03.09: “L’equinozio d’Autunno” di Massimo Berretti.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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03.09: Serata speciale: “I pianeti, vagabondi della sfera celeste” di I. Prandelli.

Tel. 348.5648190
osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Eclissi anulare di Sole su Marte

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Questa serie di tre immagini scattate ogni tre secondi da Curiosity, il rover della NASA, mostra la più grande delle due lune di Marte, Phobos, che transita davanti al sole il 17 agosto 2013. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems/Texas A&M University.
Le tre immagini scattate da Curiosity, grazie alla camera Mastcam, a tre secondi l'una dall'altra, che immortalano un'eclissi anulare di Sole ad opera di Phobos, la più grande delle due lune di Marte. Si tratta delle immagini più nitide in assoluto di una eclissi vista dal suolo marziano. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems/Texas A&M University.

Marte, sol 369. Qui sulla Terra era il  17 agosto, quando Curiosity ha interrotto il suo viaggio attraverso il suolo marziano per fermarsi nel posto migliore per fotografare Phobos, la più grande delle due lune di Marte, mentre transitava davanti al Sole dando luogo a una spettacolare eclissi di Sole.

Spettacolare anche perché, quella vista da Curiosity, è anche l’eclissi di Sole più vicina a una eclissi “totale” che è possibile vedere dal suolo marziano.

Phobos infatti è si la luna più grande di Marte ma non lo è abbastanza da coprire prospetticamente il disco del Sole, come avviene invece con la nostra Luna durante un’eclisse totale. Dal suolo marziano è possibile quindi assistere al più a delle eclissi anulari.

“L’evento si è verificato quasi a mezzogiorno, per la zona in cui si trovava Curiosity” ci spiega  Mark Lemmon della Texas A & M University, co-ricercatore nel team che utilizza la MastCam di Curiosity, il che ha favorito l’osservazione dell’eclissi, visto che “Phobos si è trovato nel punto più vicino al rover, cosa che l’ha reso di dimensioni apparenti più grandi che in qualsiasi altro momento”.

L’osservazione di questa eclissi aiuterà inoltre gli astronomi a capire qualcosa di più sulle due lune del Pianeta Rosso, in particolare sul loro movimento orbitale. Durante questa eclissi, ci racconta sempre Lemmon “la posizione di Phobos rispetto al Sole è risultata ancora più centrale di quanto i ricercatori avevano previsto, da questo sicuramente avremo qualcosa da imparare”.

Per approfondimenti sulla missione di Curiosity:  http://www.nasa.gov/msl e http://mars.jpl.nasa.gov/msl/

Potete seguire le imprese di Curiosity anche attraverso i social network: sulla pagina Facebook e su Twitter .

Acqua sulla Luna? Basta scavare

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Il cratere lunare Bullialdus, luogo della scoperta Crediti: NASA/GSFC/Arizona State University)

Il cratere lunare Bullialdus, luogo della scoperta Crediti: NASA/GSFC/Arizona State University)

È sempre più interessante e complesso, il quadro della presenza di acqua sulla Luna. Già da qualche anno sappiamo che il nostro satellite non è un sasso arido come si è creduto a lungo, ma che sulla sua superficie, in diversi punti, c’è un sottile strato di acqua creato dall’azione del vento solare. Ora, uno studio guidato da Rachel Klima della Johns Hopkins University dimostra per la prima volta che sotto la superficie lunare si trova acqua magmatica, formatasi nelle profondità del satellite. Lo studio, pubblicato su Nature Geophysics, è basato su dati raccolti dallo spettrografo Moon Mineralogy Mapper (meglio noto come M3), uno strumento di costruzione NASA montato sulla sonda indiana Chandrayaan-1.

I ricercatori si sono concentrati sulla zona del cratere di impatto Bullialdus, situato a circa 25 gradi di latitudine di distanza dall’equatore e quindi in una zona dove il vento solare non dovrebbe produrre quantità significative di acqua superficiale. “Le rocce sul picco centrale del cratere appartengono a un tipo chiamato norite, che di solito cristallizza quando il magma sale verso l’alto ma resta intrappolato nel sottosuolo anziché eruttare come lava sulla superficie” spiega Klima. “Il cratere Bullialdus non è il solo posto dove si trova questo tipo di roccia, ma il fatto che queste rocce siano esposte, assieme a una presenza generalmente bassa di acqua in quella regione, ci ha permesso di quantificare l’acqua presente all’interno di quelle rocce”.

Esaminando i dati sul cratere raccolti da M3, i ricercatori hanno scoperto che quelle rocce hanno una concentrazione particolarmente alta di ossidrile, molecola formata da un atomo di ossigeno e uno di idrogeno. Tutto fa pensare che quell’ossidrile sia legato a minerali magmatici portati in superficie dall’impatto che ha provocato il cratere. In passato erano state trovate tracce d’acqua su alcuni campioni di rocce lunari prelevati dalle missioni Apollo, ma la loro origine non era chiara. La scoperta di acqua lunare “nativa”, proveniente dall’interno del satellite, è di fondamentale importanza per lo studio della formazione ed evoluzione della Luna.

Per saperne di più

  • Leggi R. Klima, J. Cahill, J. Hagerty, D. Lawrence. Remote detection of magmatic water in Bullialdus Crater on the Moon. Nature Geoscience, 2013

Passato violento per il meteorite Chelyabinsk

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Il meteorite Chelyabinsk avrebbe avuto un precedente impatto prima di schiantarsi sulla Terra, nella regione russa degli Urali, lo scorso 15 febbraio. I ricercatori credono che possa essere in passato entrato in collisione con un corpo nel Sistema solare oppure essere passato pericolosamente  vicino al Sole.

I risultati dell’analisi di alcuni frammenti del meteorite sono stati presentati oggi a Firenze durante la conferenza Goldschmidt organizzata dall’Associazione Europea di Geochimica. I ricercatori dell’Istituto di Geologia e Mineralogia di Novosibirsk hanno ripescato dal lago Chebarkul, vicino Cheliabinsk, i frammenti, composti dallo stesso minerale riportanti i segni di un processo di fusione molto intenso, precedente alle temperature elevatissime che il meteorite ha incontrato al momento dell’ingresso nell’atmosfera terrestre.

“Il meteorite che si è schiantato vicino il lago di Chelyabinsk è molto primitivo e appartiene alla famiglia delle condriti LL5: per molti meteoriti di questo tipo è abbastanza comune avere incontrato un processo di fusione prima di cadere a Terra”, ha osservato l’autore della ricerca, Victor Sharygin.

Gli studi del suo tema si basano essenzialmente su colore e sulla struttura dei frammenti, che sono stati classificati in tre tipi: leggeri, scuri e intermedi. I più leggeri sono anche i più comuni, mentre i più scuri sono stati trovati in gran numero vicino al luogo dell’impatto. Questi frammenti sono stati prodotti dalla fusione causata dall’alta velocità durante l’ingresso nella nostra atmosfera prima che il meteorite cadesse sulla Terra. I ricercatori hanno trovato segnali evidenti di precedenti collisioni o fusioni causate dal Sole. Informazioni ulteriori potranno arrivare quando il corpo principale del meteorite sarà ripescato dal lago Chebarkul.

Nei frammenti scuri sono state individuate minuscole bolle sferiche che contengono cristalli di ossidi, silicati e metalli. Sono state anche trovate piccole quantità di elementi chimici del gruppo del platino, probabilmente formatesi in conseguenza di un processo chimico avviato nell’impatto con l’atmosfera terrestre. ”Elementi del gruppo del platino si presentano solitamente come tracce disperse nei minerali del meteorite, ma noi li abbiamo trovati come minerali di dimensioni nanometriche (100-200 nm) in un globulo di solfuro metallico nella crosta di fusione del meteorite Chelyabinsk”, ha spiegato il dottor Sharygin.

“Dei tanti frammenti che abbiamo analizzato – ha poi aggiunto – solo tre campioni scuri hanno mostrato le prove di precedenti fusioni. Purtroppo molti frammenti sono stati portati via dalle persone poco dopo l’impatto quindi è quasi impossibile stabilire le dimensioni reali del meteorite al momento dell’impatto”.

I ricercatori stanno utilizzando microscopi elettronici a scansione e la gascromatografia-spettrometria di massa per studiare nel dettaglio i frammenti raccolti.

Articoli correlati

Associazione Astrofili Centesi

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30.08: “Per raccontare la magia dell’Universo ai più piccoli”. Spettacolo per bambini e osservazioni al telescopio.

Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Dieci candeline per Spitzer

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I filamenti di gas e polvere nella Nebulosa della Carena, con al centro la stella Eta Car, ripresi da Spitzer (NASA/JPL-Caltech)

Il più giovane dei grandi osservatori NASA

Erano un po’ i Fantastici Quattro della NASA: quattro grandi osservatori orbitanti lanciati tra l’inizio degli anni Novanta e i primi anni del decennio scorso, per esplorare l’Universo in quattro lunghezze d’onda diverse. Il primo fu il telescopio spaziale Hubble nel 1990, per l’astronomia ottica, cui seguirono il Chandra X Ray Observatory nel 1999 e il Compton Gamma Ray Observatory nel 2000 (non più in orbita dal 2000, dopo che un guasto ne aveva interrotto le operazioni). Ultimo arrivato del “Great Observatories Programme” è il telescopio spaziale Spitzer, dedicato allo studio della radiazione infrarossa: lanciato il 25 agosto del 2003, ha appena festeggiato i suoi dieci anni in orbita.

I filamenti di gas e polvere nella Nebulosa della Carena, con al centro la stella Eta Car, ripresi da Spitzer (NASA/JPL-Caltech)

Per celebrare l’anniversario, il team di Spitzer ha rilasciato una nuova immagine visibile qui accanto, che è in realtà un collage di precedenti osservazioni già presenti nell’archivio della missione. L’immagine mostra le polveri e i gas nella nebulosa della Carena, una vasta regione di formazione stellare distante circa 7000 anni luce dalla Terra. La stella più luminosa al centro, Eta Carinae, emette radiazione così violenta che finisce per spazzare via la materia che la circonda. I filamenti ben visibili nell’immagine sono quanto resta dopo che i materiali più leggeri sono stati distrutti dalle radiazioni della stella. L’immagine è un perfetto esempio di come Spitzer riesca a rivelare la complessità e la bellezza delle strutture che si nascondono dietro alla coltre di polvere stellare, impenetrabile per gli osservatori in luce visibile.

Dieci anni, quelli di Spitzer, passati a studiare oggetti celesti di ogni genere: comete e asteroidi, stelle, pianeti extrasolari, galassie. La missione di Spitzer era di studiare gli oggetti troppo lontani, troppo freddi o troppo nascosti (da nubi di polvere, in particolare) per essere osservati nella altre lunghezze d’onda. La luce infrarossa supera infatti le polveri che schermano quella visibile, e che circondano molti oggetti della nostra galassia. E studiando l’infrarosso (che è, essenzialmente, calore) è possibile individuare anche quegli oggetti che riflettono pochissima luce visibile e di fronte a cui persino Hubble è “cieco”. In questo modo, Spitzer ha osservato la cometa Tempel 1 (obiettivo della missione NASA Deep Impact nel 2005), rivelandone la composizione e la probabile parentela con sistemi solari diversi dal nostro. Ha scoperto il più grande degli anelli di Saturno, troppo fioco per essere individuato in luce visibile.

Fuori dal Sistema solare, Spitzer ha avuto anche l’onore (imprevisto, perché questo non faceva proprio parte della sua missione iniziale) di essere il primo strumento a registrare direttamente la luce proveniente da due pianeti extrasolari, i “gioviani caldi” HD 209458b e TrES-1.

Al suo curriculum si aggiungono il censimento delle stelle in formazione nelle nubi di gas nei nostri dintorni galattici; una nuova mappa della struttura a spirale della Via Lattea; e la scoperta, in collaborazione con il “cugino” Hubble, che le galassie più distanti a noi conosciute sono più massicce e antiche di quanto si credesse.

La vita di un satellite in orbita ha i suoi imprevisti, e nel 2009 Spitzer ha dovuto affrontare il guasto di due dei suoi rivelatori di raggi infrarossi, che hanno esaurito il liquido refrigerante necessario a farli funzionare. Ma gliene restano altri due, perfettamente operativi, che bastano a farlo continuare a lavorare.

La missione Spitzer continua a dimostrarsi estremamente flessibile dal punto di vista scientifico, e da ottobre si dedicherà tra l’altro a uno studio apparentemente molto lontano dai suoi obiettivi iniziali: lo studio dell’asteroide 2009 DB, uno degli asteroidi candidati per la missione di cattura e posizionamento su un’orbita terrestre di un asteroide che la NASA sta studiando. Ancora una volta, per studiare le proprietà di mondi freddi che non emettono luce visibile propria, non c’è niente di meglio di un osservatorio per la luce infrarossa, in grado di rilevare anche il più debole segnale di calore solare riflesso dagli asteroidi.

Per saperne di più:

Al Planetario di Ravenna

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29.08: “TOUR OF THE SOLAR SYSTEM” di Sara Ciet, Vivienne Leech (Conferenza per bambini in lingua inglese).

Prenotazione consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html –
www.arar.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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29.08: “Forze celesti non gravitazionali”.

Informazioni GAR: 380.3124156 e 333.2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Una supernova in IC 1296! Chi l’ha vista?

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Un'immagine della SN2013ev esplosa nella piccola IC1296, vicina della più famosa M57. L'immagine è stata ottenuta con un Newton da 254mm e focale 1200mm e un tempo di posa di 14x300 secondi, pari ad un totale di 70 minuti! Credit: Sergio Bove

Nella costellazione estiva della Lyra, vicino alla stupenda e famosa nebulosa planetaria Ring Nebula (Nebulosa Anello – M57), c’è una piccola galassia a spirale barrata, IC 1296, non conosciuta da tutti perché sempre all’ombra della molto più fotogenica M57. Finalmente questa piccola galassia, distante circa 230 milioni di anni luce, è riuscita ad attirare su di se l’attenzione di chi fa ricerca di supernovae.

Un'immagine della SN 2013ev esplosa nella piccola IC 1296, vicina della più famosa M57. L'immagine è stata ottenuta con un Newton da 254 mm e focale 1200 mm e un tempo di posa di 14x300 secondi, pari ad un totale di 70 minuti! Cortesia Sergio Bove

Nella notte dell’11 agosto F. Ciabattari, E. Mazzoni e G. Petroni, con il telescopio Newton da 50 cm dell’Osservatorio di Monte Agliale (Lucca),  scoprono infatti una supernova di mag. +17,2 in IC 1296 ed analizzando immagini d’archivio si accorgono che la supernova era già presente in una loro precedente immagine del 3 agosto – appena visibile di mag. +18,7 e per questo non notata.

Lo spettro, ripreso la notte del 12 agosto da Asiago con il telescopio Copernico di 1,82 metri, ha evidenziato che si tratta di una supernova di tipo II scoperta poco dopo l’esplosione; le è stata assegnata la sigla SN 2013ev.

La scoperta indipendente è stata assegnata anche all’astrofilo tedesco Manfred Kliemke grazie a un’immagine ripresa l’8 agosto (quindi antecedente la scoperta di Monte Agliale) ma comunicata soltanto il giorno dopo la scoperta dei lucchesi.

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In una immagine del 1 agosto, ripresa da Fabio Martinelli dell’Osservatorio di Montecatini val di Cecina, la supernova non era visibile mentre, come abbiamo già detto, compare per la prima volta nell’immagine eseguita dal team dell’Osservatorio di Monte Agliale il 3 agosto (entrambi gli osservatori fanno parte dell’Italian Supernovae Search Project).

Sarebbe perciò utilissimo avere un’immagine ottenuta nella notte del 2 agosto per capire se l’esplosione è avvenuta in quella data. Sono comunque altrettanto utili immagini riprese nei primi dieci giorni del mese di agosto. Nel periodo estivo la Ring Nebula si trova allo zenit già in prima serata ed è uno dei soggetti più bersagliati da chi fa fotografia astronomica; perciò chiediamo ai lettori d’inviare eventuali immagini riprese in quel periodo al seguente indirizzo mail: fabiobriganti@libero.it

In questo mese di agosto la supernova si sta mantenendo come luminosità intorno alla mag. +17,0.
Non è perciò un oggetto notevole, ma vale la pena immortalare M57 e IC1296 con l’insolito ospite, perché chissà quando capiterà nuovamente questo raro terzetto!

Per maggiori informazioni:

Al Planetario di Ravenna

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27.08: “Quante stelle lassù: il cielo d’autunno” di Marco Garoni (conferenza adatta a bambini a partire da 6 anni).

Prenotazione consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html –
www.arar.it

Wave at Saturn. Ci siete anche voi?

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Earth Waves at Saturn and Cassini on July 19, 2013 From more than 40 countries and 30 U.S. states, people around the world shared more than 1,400 images of themselves as part of the Wave at Saturn event organized by NASA’s Cassini mission on July 19, 2013. The Cassini team created this image collage as a tribute to the people of Earth Credit: NASA/JPL-Caltech/People of Earth Read more: http://www.universetoday.com/104278/earthlings-wave-at-saturn-as-cassini-images-us/#ixzz2ciN7gNPb

La Terra saluta Saturno e la Cassini il 19 luglio 2013. Credit: NASA/JPL-Caltech/People of Earth
Cliccare qui per la versione a piena risoluzione (26 MB)

Il 19 luglio 2013 la sonda Cassini si è voltata verso la Terra per riprenderne l’immagine come parte di un più ampio mosaico del sistema di Saturno e, per festeggiare l’evento, la NASA ha dato il via alla campagna Wave at Saturn, invitando la popolazione a fotografarsi nello stesso istante, sorridendo e salutando Saturno.

Terrestri provenienti da oltre 40 paesi e da 30 stati degli Stati Uniti hanno risposto alla chiamata della NASA condividendo, tramite Twitter, Facebook, Flickr, Instagram, Google+ e via posta elettronica, più di 1400 scatti. Tutte queste immagini sono state ora riunite in un unico e spettacolare mosaico, a forma di Terra,  pubblicato il 21 agosto scorso dalla NASA e dal team della missione Cassini come “omaggio al Popolo della Terra”.

E’ stata la prima volta in cui è stato possibile venire a conoscenza in anticipo di una ripresa storica di questo tipo, il nostro pianeta e la sua luna fotografati da una sonda interplanetaria a 1,44 miliardi di chilometri di distanza, e la NASA non ha perso l’occasione per trasformarla in un evento planetario.

«Grazie a tutti voi, vicini e lontani, vecchi e giovani, che vi siete uniti alla missione Cassini per segnare questo storico momento», ha detto Linda Spilker, del team Cassini, in una dichiarazione. «Poiché la Terra è troppo piccola nelle immagini della Cassini per poter distinguere i singoli esseri umani, lo staff della  missione ha messo insieme questo mosaico per poter celebrare tutti vostri saluti, le zampe alzate, i volti sorridenti e le tante belle immagini arrivate».

Wave at Saturn anche dal Jet Propulsion Laboratory a Pasadena (California). Scienziati, ingegneri e visitatori del JPL salutano Saturno e la sonda Cassini mentre ci fotografa da 1,44 miliardi di chilometri, il 19 luglio 2013. Credit: NASA/JPL-Caltech

Il team scientifico Cassini sta ancora montando le centinaia di immagini di Saturno e la Terra scattate dalla sonda mentra la salutavamo, per arrivare a creare una vista panoramica del ‘pallido puntino blu’ e dell’intero sistema di Saturno. Per riuscire a inquadrarlo tutto la camera grand’angolare della sonda ha dovuto riprendere un mosaico in 33 parti.
«Per ogni parte, le immagini sono state scattate con diversi filtri spettrali per un totale di 323 immagini» dice Carolyn Porco, a capo del team Cassini Imaging (Space Science Institute di Boulder, Colorado).

Risorse in rete

Così nascono i pianeti solitari

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Gli astronomi hanno scoperto che delle nuvole scure chiamate "globulettes" hanno le caratteristiche giuste per formare pianeti senza stella madre. L’immagine mostra alcune di queste piccole nubi presenti nella Nebulosa Rosetta. Nel riquadro: un’immagine scattata con luce infrarossa mostra alcune delle globulettes contrassegnate con anelli. Credit: Canada-France-Hawaii Telescope / 2003 e ESO / M. Mäkelä.

Un team di astronomi ha fornito una spiegazione per la formazione dei pianeti senza una stella madre, presenti nella Via Lattea. Precedenti ricerche avevano dimostrato che potrebbero esserci fino a 200 miliardi di pianeti che fluttuano liberamente nella nostra galassia, la Via Lattea. Per lo più gli scienziati credono che tali pianeti, che non orbitano attorno a una stella, siano stati espulsi da sistemi planetari esistenti. Ma nuove osservazioni di piccole nubi scure presenti nella galassia fanno pensare a un’altra possibilità: che alcuni pianeti che fluttuano liberamente si siano formati da soli.

Un team di astronomi provenienti da Svezia e Finlandia ha usato diversi telescopi per osservare la Nebulosa Rosetta, una enorme nuvola di gas e polvere a 4.600 anni luce dalla Terra, visibile nella costellazione dell’Unicorno.

Le osservazioni sono state effettuate con il radiotelescopio di Onsala dello Space Observatory in Svezia, con il telescopio APEX ad onde submillimetriche in Cile, e con il New Technology Telescope (NTT) a luce infrarossa dell’ESO di La Silla in Cile.

«La Nebulosa Rosetta ospita più di un centinaio di queste piccole nubi, noi le chiamiamo globulettes», dice Gösta Gahm, astronomo all’Università di Stoccolma, che ha guidato il progetto. «Sono molto piccole, ciascuna con diametro inferiore a 50 volte la distanza tra il Sole e Nettuno. Precedentemente eravamo stati in grado di stimare che la maggior parte sono di massa planetaria, meno di 13 volte la massa di Giove. Ora abbiamo misure molto più affidabili di massa e densità per un gran numero di questi oggetti, e abbiamo anche misurato con precisione la velocità con cui si muovono rispetto al loro ambiente».

«Abbiamo scoperto che le “globulettes” sono molto dense e compatte, e molte di loro hanno nuclei molto densi, che possono collassare sotto il proprio peso. La più imponente è in grado di formare una nana bruna», dice il membro del team  Carina Persson, astronomo presso Chalmers University of Technology.

Le nane brune, sorta di “stelle fallite”, sono corpi la cui massa è compresa tra quella dei pianeti e delle stelle. Lo studio dimostra che le piccole nubi si muovono verso l’esterno attraverso la Nebulosa Rosetta a velocità elevata, circa 80 000 chilometri all’ora.

«Pensiamo che queste piccole nuvole rotonde si siano formate da polverose colonne di gas che sono state scolpite dalla intensa radiazione di stelle giovani. Sono state spinte fuori dal centro della nebulosa grazie alla pressione delle radiazioni delle stelle calde nel suo centro», spiega Minja Mäkelä, astronomo presso l’Università di Helsinki.

«Se queste piccole nuvole rotonde formano pianeti e nane brune, questi vengono probabilmente sparati come proiettili nelle profondità della Via Lattea. Ce ne sono così tante che potrebbero essere una fonte significativa dei pianeti liberamente fluttuanti che sono stati scoperti negli ultimi anni» dice Gösta Gahm.

Lo studio è pubblicato su Astronomy & Astrophysics

Vedi anche:

Tour dell’Oman – Osservazioni astronomiche dal deserto

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1° giorno, lunedì 27/01 – MILANO Malpensa / ABU DHABI / MUSCAT

Ritrovo dei Signori Partecipanti all’aeroporto di Milano Malpensa in tempo per l’imbarco sul volo di linea Ethiad in partenza per
Muscat, via Abu Dhabi. All’arrivo in serata all’aeroporto di Muscat, sbarco e, dopo l’incontro con la guida locale parlante italiano,
successivo trasferimento privato in hotel. Sistemazione nelle camere riservate in hotel e pernottamento.

2° giorno, martedì 28/01 – MUSCAT

Prima colazione in hotel e, in mattinata, visita guidata di Muscat, la capitale del sultanato: inizio dalla Grande Moschea, la cui
costruzione durata 6 anni dal 1995 al 2001, vanta un enorme lampadario fatto interamente di cristalli Swarovski ed un enorme tappeto
persiano in pura seta. Proseguimento per il museo di Bait Al Zubai e sosta per la vista dall’esterno del palazzo del Sultano. Rientro in
hotel e tempo per il riposo. Pranzo/seconda colazione e, nel pomeriggio, visita del caratteristico souk di Muttrah e giro panoramico “by
night” della città. Cena in ristorante e pernottamento.

3° giorno, mercoledì 29/01 – MUSCAT / WAHIBA

Dopo la prima colazione in hotel, partenza per il deserto di Wahiba con prima sosta durante il tragitto a Ibra per la visita del famoso
“mercato delle donne” e del villaggio, i cui antichi resti testimoniano il suo grande passato. Si prosegue verso gli straordinari paesaggi
del Wadi Bani Khalid che con le sue acque blu è un naturale invito ad una breve siesta all’ombra delle palme che costeggiano le sue
rive (possibilità di fare il bagno). Pranzo/seconda colazione e, nel pomeriggio, partenza con i fuoristrada per le grandi dune dorate del
deserto di Wahiba. Sistemazione in campo tendato, cena e pernottamento.
Osservazioni astronomiche facoltative.

4° giorno, giovedì 30/01 – WAHIBA / JEBEL SHAMS

Dopo la prima colazione al campo, partenza con fuoristrada 4×4 alla volta di Jebel Shams la montagna più alta dell’Oman, famosa per
i suoi bellissimi scenari naturali tra cui il Wadi Gul ed il Gran Canyon con sosta per la visita del villaggio di Sinaw, famoso per il suo
suggestivo mercato. Si prosegue per la visita al castello di Jabreen risalente al 17° secolo e foto-stop dall’esterno al forte di Bahla, il più
antico tra quelli omaniti e protetto dall’Unesco. Pranzo/seconda colazione e, nel pomeriggio, si parte alla volta del villaggio “oasi” di Al
Hamra, immerso in un’oasi lussureggiante dove le antiche case sono fatte in fango, e al tipico villaggio arroccato sulla montagna di
Misfah Al Abreen. Arrivo al Jebel Shams, sistemazione nelle camere riservate, cena e pernottamento.
Osservazioni astronomiche facoltative.

5° giorno, venerdì 31/01 – JEBEL SHAMS / NIZWA

Prima colazione e successiva partenza con fuoristrada 4×4 alla volta di Nizwa con visita al villaggio di Birkat al Mauz ai piedi del Jebel
Akhdar. All’arrivo a Nizwa, pranzo/seconda colazione e, a seguire, visita del forte, strategicamente costruito sulla cima di una collina
per dominare la regione circostante e del suq. Sistemazione nelle camere riservate in hotel, cena e pernottamento.
Osservazioni astronomiche facoltative.

6° giorno, sabato 01/02 – NIZWA / MUSCAT

Dopo la prima colazione, partenza per la regione di Batinah: sosta a Nakhl e visita del forte recentemente restaurato e delle sorgenti
di acqua calda di Al Tahwra . Si continua per il villaggio di pescatori di Barka e proseguimento verso Muscat. Pranzo/seconda colazione.
Sistemazione nelle camere riservate in hotel, cena e pernottamento.

7° giorno, domenica 02/02 – MUSCAT / ABU DHABI

Prima colazione in hote e, in mattinata, escursione in barca per vedere i delfini. Camere a disposizione fino alle ore 12.00. Pomeriggio
a disposizione per lo shopping. Nel tardo pomeriggio trasferimento in aeroporto in tempo per l’imbarco sul volo di linea Ethiad in
partenza per Abu Dhabi.

8° giorno, lunedì 03/02 – ABU DHABI / MILANO Malpensa

Coincidenza notturna con volo di linea Ethiad in partenza per l’Italia. All’arrivo all’aeroporto di Milano Malpensa in primissima
mattinata, sbarco e fine dei servizi.

PIANO VOLI

27/01 MILANO Malpensa (h. 10.55) – ABU DHABI (h. 19.55) EY 088
27/01 ABU DHABI (h. 21.55) – MUSCAT (h. 23.00) EY 388
02/02 MUSCAT (h. 23.50) – ABU DHABI (h. 00.55*) EY 381 * arrivo la mattina successive, lunedì 03/02
03/02 ABU DHABI (h. 02.55) – MILANO Malpensa (h. 06.25) EY 081

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE minimo 15 partecipanti € 1.770,00
QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE minimo 10 partecipanti € 1.990,00

Supplemento camera singola € 410,00

Tasse aeroportuali € 320,00 (soggette a riconferma fino all’atto dell’emissione del biglietto aereo)

La quota comprende: * voli di linea come da prospetto in in classe economica * franchigia bagaglio come da regolamentazione della
compagnia aerea in vigore alla partenza * tour su base privata ed esclusiva * sistemazione per un totale di 6 notti in camere doppie
con servizi privati * trattamento di pensione completa come da programma, dalla prima colazione del 2° giorno alla prima colazione
del 7° giorno * tutte le visite, gli ingressi ed i trasferimenti menzionati nel programma con pullman locale (coaster bus) e con
fuoristrada 4×4 * guida locale parlante italiano a disposizione per tutta la durata del viaggio (al seguito del gruppo) *
capogruppo/guida astronomica * assicurazione medico/bagaglio e annullamento viaggio.

La quota non comprende: * visto Oman (circa € 10,00 da versare all’arrivo in loco) * tasse aeroportuali (€ 320,00 circa ad oggi e
soggette a riconferma ad emissione biglietti) * eventuali adeguamenti tasse aeroportuali e security charges * peso eccedenza
bagagli rispetto ai kg. indicati (da pagare direttamente alla compagnia aerea all’imbarco) * eventuali adeguamenti tariffari della
quota volo, dovuti all’incremento/decremento di posti oltre a quelli inizialmente riservati per il gruppo alla stampa del programma di
viaggio * eventuali adeguamenti della tariffa volo in conseguenza della mancata conferma del gruppo entro i termini stabiliti di
scadenza opzione * pasti non esplicitamente menzionati nel programma * bevande ai pasti * escursioni ed attività facoltative * altri
ingressi a musei, chiese, monumenti o siti d’interesse non menzionati * bagaglio extra, acquisti ed extra personali in genere * mance
* tutto quanto non specificato alla voce “La quota comprende”.

NOTE

· Cambio applicato: 1 USD = 0,76 €. Eventuali adeguamenti saranno effettuati tra 30 e 21gg prima della partenza
· Le quote del volo e dei servizi a terra sono state calcolate in base alle migliori tariffe disponibili ad oggi, pertanto sono soggette a
riconferma in vista di eventuale variazione del costo del trasporto, del carburante, dei diritti e delle tasse di imbarco o sbarco.
· Abbiamo OPZIONATO n° 16 posti volo + 8 camere doppie
· Le iscrizioni si raccolgono entro e non oltre lunedì 28/10/2013 con contestuale versamento di acconto pari al 25% della quota di
partecipazione

PASSAPORTO E VISTO: il passaporto deve essere valido per almeno sei mesi ed avere due pagine libere. Per l’ingresso a DUBAI e in OMAN è
sufficiente il passaporto in corso di validità; il visto verrà rilasciato all’arrivo.

FUSO ORARIO: negli EMIRATI ARABI e OMAN+ 3 ore (+ 2 ore durante l’ora legale).

VACCINAZIONI: nessuna vaccinazione è richiesta. Si consigliano le normali precauzioni su cibo e acqua. Portare con sè una scorta di medicinali contro dissenteria e infezioni intestinali.

ELETTRICITÀ: 110/220 volts. È consigliabile munirsi di un adattatore per prese di tipo americano.

VALUTA: in questi paesi è consigliabile portare dollari USA ma anche l’Euro è ormai cambiato ovunque; le carte di credito sono accettate ovunque negli Emirati Arabi la valuta è il Dihram (AED): 1 Euro = 4,7 Dihram circa. In OMAN è il Rial = 2 Euro.

STAGIONI E CLIMI: negli EMIRATI ARABI e OMAN il clima ideale è tra Ottobre ed Aprile, caldo secco con temperature calde ma gradevoli; durante l’estate la temperatura raggiunge punte molto alte. Clima monsonico nel sud dell’OMAN.

CUCINA: negli alberghi viene servita cucina internazionale. Negli hotel degli EMIRATI e OMAN prevale una cucina internazionale anche se ovviamente è possibile gustare ovunque cibo tipicamente arabo.

NORME DI COMPORTAMENTO: è consigliabile che le turiste evitino di indossare minigonne e shorts. Durante il periodo di Ramadan si raccomanda un atteggiamento il più possibile rispettoso nei confronti di una intera popolazione osservante il digiuno.

SHOPPING: nei bazar e suq di Emirati Arabi e Oman ci si imbatterà nei prodotti occidentali più alla moda (specialmente hi-fi, computers, macchine fotografiche a Dubai) oltrechè in gioielli in oro, perle, manufatti artigianali quali tappeti, oggetti in ottone e legno etc.

DIFFICOLTÀ DEL VIAGGIO: negli EMIRATI ARABI e OMAN la buona qualità delle strutture alberghiere e turistiche in genere è una garanzia. Le guide locali parlanti italiano non sempre hanno un’adeguata preparazione culturale.

Informazioni e prenotazioni:

CTM di Robintur spa – Via Bacchini 15, Modena – Tel 059/2133701 ctm.gruppi@robintur.it

www.robintur.it

Informazioni astronomiche:

Sig. Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372
Sig. Ferruccio Zanotti 338/4772550

www.esploriamoluniverso.com

Le lune nel cielo di Marte

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Le dimensioni apparenti in cielo della nostra Luna e delle due lune di Marte, Phobos e Deimos. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems/Texas A&M Univ.

Non importa se poeti, studiosi, innamorati, navigatori o semplici amanti del cielo. Lo facciamo tutti. Siamo tutti abituati ad alzare lo sguardo sul cielo notturno in cerca del disco pallido e familiare della nostra sorella Luna. E come noi tutti, lo faranno sicuramente anche i primi uomini che nei prossimi decenni poseranno il piede sul suolo di Marte, magari in cerca di conforto o di ispirazione. Il cielo che si aprirà sopra le loro teste sarà uno spettacolo contemporaneamente familiare e alieno, in cui una coppia di Lune bitorzolute sorge e tramonta ogni notte, in un balletto complesso e difficile da immaginare. Per avere un’idea di questo spettacolo, ci viene in aiuto il prezioso rover Curiosity, che quando non è intento a percorrere chilometri, scavare rocce, misurare o effettuare test, si concede dei rari momenti di riposo, osservando e fotografando lo spettacolo naturale sopra la sua testa (meccanica).

Il filmato qui sopra, ultimo esempio di questi fruttuosi momenti di riposo, è un montaggio di quello che ha visto la Mastcam del rover guardando verso l’alto, nella notte del 1 agosto, 351esimo giorno di missione, inquadrando il balletto delle due lune marziane che sorgono e corrono lungo i loro percorsi a velocità diverse. Il filmato è stato realizzato rimontando a velocità accelerata, in una sequenza di pochi secondi, le 41 immagini raccolte in circa un minuto di riprese della luna Phobos, la più grande, che raggiunge e occulta la piccola Deimos.

Le dimensioni apparenti in cielo della nostra Luna e delle due lune di Marte, Phobos e Deimos. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Malin Space Science Systems/Texas A&M Univ.

Le immagini ad alta risoluzione danno un’idea di come la bitorzoluta Phobos apparirebbe, con il dettaglio dei suoi crateri, a un osservatore abituato a scrutare nel cielo terrestre la nostra Luna. Avendo un’orbita molto ravvicinata al pianeta Marte, Phobos ha una grandezza apparente in cielo di appena la metà del disco lunare, malgrado abbia un diametro di appena un centesimo del nostro satellite naturale (vedi immagine).

E se l’opportunità di ritrarre contemporaneamente le due lune di Marte in una stessa inquadratura è cosa rara (si contano solo due casi precedenti, catturati da Mars Express nel 2009 e da Sipirt nel 2005 ), ben più usuale può considerarsi lo spettacolo ripreso dallo stesso Curiosity il 28 giugno scorso, 317esimo giorno di missione (filmato in basso). In questa occasione, il rover si è limitato a puntare la sua camera di navigazione verso l’alto appena dopo il tramonto del Sole e a riprendere per circa mezz’ora il sorgere della luna Phobos nel cielo marziano.

Malgrado la poca nitidezza e l’inquadratura lontana, le 86 immagini scattate hanno permesso alla NASA di realizzare questo filmato accelerato che mostra, per la prima volta, quello che nei prossimi anni diventerà uno spettacolo familiare: il sorgere di una luna su un altro pianeta.

Gruppo Astrofili Rozzano

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22.08: “Risonanze nel sistema solare”.

Informazioni GAR: 380.3124156 e 333.2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Al Planetario di Ravenna

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22.08: “L’astronomia …musica! Dalle arie barocche a David Bowie” di Sara Ciet.

Prenotazione consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html –
www.arar.it

Asteroidi d’asporto

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Identificati i 12 migliori “EROs”

Imbrigliare un intero asteroide come se fosse un cavallo imbizzarrito. E portarselo in laboratorio, o quanto meno su un’orbita controllata dove poterlo trivellare con agio. È già da qualche anno che le agenzie spaziali ci fanno un pensierino, a un’impresa del genere. Ed è dell’aprile scorso l’annuncio, da parte della NASA, di volerla mettere in atto (vedi l’articolo su Media INAF). Nome della missione – “Asteroid Initiative” – e sito web sono già pronti, la tecnologia pure, i dollari prima o poi arriveranno… praticamente si tratta solo di decidere quale pietrone andare a scomodare.Detto fatto: a stilare l’elenco di quelli che hanno definito EROs (Easily Retrievable Objects, dunque oggetti recuperabili facilmente), vale a dire i migliori asteroidi d’asporto del Sistema solare, ci hanno pensato tre ingegneri spaziali dell’Advanced Space Concepts Laboratory dell’Università di Strathclyde, in Scozia. Il loro studio, pubblicato sul numero di agosto di Celestial Mechanics and Dynamical Astronomy, dopo aver illustrato le caratteristiche dei candidati ideali, individua i 12 più adatti fra quelli conosciuti.

Qual è dunque l’identikit di questi bersagli designati per il primo take away spaziale d’un intero corpo celeste? Piccoli, vicini ed economici da trasportare. Certo, trattandosi d’asteroidi, piccolo e vicino sono concetti relativi: non stiamo parlando di prodotti tascabili, insomma, né di chilometro zero. La distanza minima all’intersezione orbitale del più prossimo alla Terra, quello identificato dalla sigla 2008 UA202, è di appena 0,00025 unità astronomiche, vale a dire poco più di 37 mila chilometri. E il più piccolo, 2006 RH120 (che è anche il primo della lista, il più adatto fra i più adatti), ha un diametro compreso fra i 2,3 e i 7,4 metri: nel migliore dei casi, poco meno di una Smart.

Ma è il terzo parametro quello decisivo: l’economicità del trasporto, o più precisamente il transfer cost. Trattandosi di oggetti spaziali ai quali è necessario imprimere una nuova orbita, il transfer cost è rappresentato da una variazione impulsiva di velocità, ed è espresso in metri al secondo. Ed è proprio il transfer cost a definire chi è EROs e chi no: la soglia da non superare per rientrare nella ristretta élite è quella dei 500 m/s. Ma per il primo in classifica, 2006 RH120, il transfer cost è quasi dieci volte inferiore, appena 58 m/s.

Insomma, non resta che partire. Sperando che il bottino si riveli, se non prezioso dal punto di vista economico, quanto meno interessante da quello scientifico. E, soprattutto, augurandosi che il colpo di stecca spaziale assestato all’asteroide per deviarne l’orbita non finisca per spedirlo dritto verso la Terra. Anche se, per sassolini così piccoli, l’atmosfera dovrebbe garantirci una protezione più che sufficiente.

Per saperne di più:

Magnetar fuori norma

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Un campo magnetico mai registrato

Un campo magnetico mai visto. È quello che hanno registrato scienziati italiani grazie al telescopio spaziale XMM –Newton. Un campo magnetico milioni di miliardi di volte più intenso di quello della Terra. Appartiene a una magnetar, oggetto celeste che si forma dopo la morte di una stella di grandi dimensioni.

La scoperta, appena pubblicata su Nature, è stata guidata dagli astrofisici della Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Grazie al lavoro degli scienziati italiani è stato infatti possibile per la prima volta misurare direttamente il campo magnetico della magnetar SGR 0418+5729, collocata a 6500 anni luce dal sistema solare, la cui intensità è risultata milioni di miliardi di volte superiore a quella terrestre, al punto di essere la più alta mai registrata nell’universo.

I ricercatori sono riusciti a stabilirne la forza, misurando l¹energia dei raggi X emessi dalla magnetar e rilevati dal telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA.

La ricerca apre importanti prospettive nello studio delle magnetar e delle potenti emissioni di raggi X e gamma che si verificano sulla superficie di queste stelle, così intense da interferire, in alcuni casi, con le telecomunicazioni terrestri. Si ipotizza infatti che alla base di queste esplosioni cosmiche ci siano proprio i forti campi magnetici come quello misurato per la prima volta dagli scienziati italiani.

La ricerca, di cui è primo autore Andrea Tiengo, ricercatore in astronomia e astrofisica alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e associato INAF, annovera tra gli autori anche Giovanni Bignami, professore ordinario di astronomia allo IUSS e presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica INAF.

Lo studio è frutto di un lavoro che ha coinvolto anche scienziati dell’Università di Padova, dell’University College di Londra, del laboratorio di astrofisica interdisciplinare (AIM) appartenente al centro di ricerca francese CEA (Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives) e dell’Istituto di Scienze dello Spazio (ICE) di Barcellona.

La scoperta degli scienziati italiani rappresenta la prima dimostrazione diretta e lampante della teoria delle magnetar, elaborata oltre vent’anni fa dagli astrofisici Robert Duncan e Christopher Thompson.

“Negli ultimi decenni – commenta Andrea Tiengo – la teoria delle magnetar è stata confermata da diverse osservazioni e sono state scoperte nella nostra galassia circa venti stelle di neutroni di questa specie, ma nessuno, prima d’ora, era mai riuscito a misurare direttamente l’intensità del campo magnetico di questi oggetti celesti. La scoperta rappresenta pertanto un passo in avanti importante verso la comprensione più approfondita di questi eventi cosmici”.

Tutte le stelle seguono un percorso evolutivo che, dopo la loro nascita, le porta a spegnersi e implodere. Questo processo assume caratteristiche diverse a seconda della massa delle stelle: gli astri simili al Sole si trasformano in nane bianche, stelle di dimensioni paragonabili a quelle della Terra, ma con una concentrazione di materia (densità) più elevata di qualunque oggetto si possa trovare sul nostro pianeta; le stelle di massa superiore, compresa tra le 10 e le 25 volte quella del Sole, si trasformano in stelle di neutroni, caratterizzate da un raggio di appena una decina di chilometri, una densità di gran lunga superiore a quella delle nane bianche e un campo magnetico elevato.

Duncan e Thompson tuttavia avevano immaginato l’esistenza di stelle di neutroni con campi magnetici ancora più intensi, le magnetar. Secondo i due scienziati, infatti, solo la presenza di stelle con campi magnetici potentissimi poteva essere all’origine di alcune violente esplosioni cosmiche che si verificano nell’universo, così forti, in alcuni casi, da disturbare perfino le telecomunicazioni terrestri pur originandosi a migliaia di anni luce dal nostro pianeta.

Gli scienziati italiani sono riusciti a misurare il campo magnetico di questi oggetti celesti analizzando le emissioni di raggi X della magnetar SGR 0418+5729, grazie a osservazioni effettuate nell’estate del 2009 con il telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea.

Dall’analisi della frequenza dei raggi X i ricercatori hanno ricavato la frequenza delle particelle che si muovono all¹interno del campo magnetico, un dato particolarmente importante perché è direttamente proporzionale proprio all’intensità del campo magnetico. In particolare, gli astrofisici italiani hanno identificato una piccola zona sulla superficie della magnetar con un campo magnetico di straordinaria intensità, pari a un milione di miliardi di Gauss. Per avere un’idea della sua potenza basti pensare che la Terra ha un campo magnetico inferiore a 1 Gauss.

Il “motore” delle esplosioni cosmiche. La scoperta ha fatto emergere un aspetto ancora più importante sul comportamento delle magnetar. La misurazione, infatti, ha dimostrato l’esistenza sulla superficie della stella di una regione con un campo magnetico più intenso rispetto a quello complessivo della magnetar.

Questo aspetto è fondamentale perché proprio la presenza di più campi magnetici di diversa intensità nella stessa stella è ritenuta una delle principali cause delle esplosioni cosmiche, in analogia a quanto è stato già osservato, ad esempio, con le esplosioni (i cosiddetti brillamenti) solari.

Leggi l’articolo di Giovanni Bignami su La Stampa

Nettuno mai così vicino

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Era più di un secolo, dai primi anni del 20° secolo, che non si registrava una distanza tra la Terra e Nettuno minore di quella che si verificherà durante l’opposizione del 27 agosto prossimo alle 03:40 (dist. minima dalla Terra 28,973 UA; m = +7,8; diam. = 2,4″; el. = 179°).

Naturalmente, per effetto di una eccentricità orbitale molto piccola (e=0,009), la differenza tra le opposizioni afeliche e perieliche del remoto pianeta è molto ridotta. Come si può vedere dalla tabella in basso, la distanza più elevata raggiunta durante un’opposizione è di 29,326 UA (26 aprile 1959), contro una distanza minima assoluta di 28,814 UA (29 ottobre 2041).

Anche il diametro angolare, nonostante la curiosità del record numerico, avrà quindi delle variazioni quasi inapprezzabili.

Data       Dist.(UA)  Decl.    Note
26/04/1959   29,326   –11° 40'    Ultima opposizione più distante
22/08/2011   28,995   –12°        Per la prima volta sotto le 29 UA
27/08/2013   28,973   –10° 41'    Distanza minima record da un secolo a questa parte
29/10/2041   28,814   +12° 44'    Distanza minima assoluta

Forse un impatto nel mare Crisium

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Dalla Luna alla Nomentana

Sono 301 gli avvistamenti candidati a impatti lunari registrati dal Meteoroid Environment Office della NASA dal 2005 a oggi

Piovono pietre, di questi giorni, da queste parti del Sistema solare. E se qui sulla Terra l’effetto è quello pirotecnico delle stelle cadenti, su altri corpi celesti meno fortunati – sprovvisti di quel giubbotto antiproiettile che è l’atmosfera – i bolidi celesti arrivano indenni fino al suolo, generando crateri da impatto più o meno grandi. Come avviene sulla Luna, bersagliata praticamente ogni giorno da meteoroidi di peso superiore al chilo: granate vaganti a velocità comprese fra i 20 e i 70 chilometri al secondo e oltre.

A tenerne sott’occhio gli effetti distruttivi sulla superficie della Luna c’è il Meteoroid Environment Office della NASA, che dal 2005 a oggi ha già registrato oltre trecento “brillamenti”. L’ultimo ufficialmente riconosciuto risale al 17 marzo scorso, ne abbiamo parlato anche qui su Media INAF.

Ma la NASA non è sola, in quest’impresa: ad affiancarla nell’opera di ricognizione continua del volto lunare ci sono appassionati da un po’ tutte le parti del mondo, Italia compresa. Ed è proprio dall’Italia che Danielle Moser, l’addetta del Marshall Space Flight Center della NASA che si occupa di raccogliere le segnalazioni, ha ricevuto, nei giorni scorsi, una mail con la descrizione dettagliata d’un avvistamento avvenuto alle 02:21:55.7 UT (ora universale) del primo agosto. Un avvistamento molto particolare, spiegano gli autori: a fotografare l’improvviso flash sulla superficie della Luna – firma caratteristica d’un impatto – sono stati infatti, in contemporanea, tre osservatori a parecchi chilometri di distanza l’uno dall’altro: Andrea Manna da Cugnasco, in Svizzera, nel Canton Ticino; Stefano Sposetti da Gnosca, sempre nel Canton Ticino; e da Roma, dunque a oltre 500 chilometri di distanza dai due colleghi svizzeri, l’italiano Raffaello Lena con il suo telescopio da 130 millimetri.

«Un piccolo strumento e una telecamera usati da Roma, vicino a Montesacro, sulla via Nomentana! Da Italiano ne sono fiero», esulta Lena. E ha motivo di esserlo: se la NASA – usando per esempio LRO, il Lunar Reconnaissance Orbiter – riuscisse a confermare che il triplice avvistamento è davvero dovuto a un meteorite, si tratterebbe del primo impatto lunare registrato in Italia.

A rendere ancora più suggestiva l’osservazione sarebbe poi il luogo dell’impatto, già teatro d’un memorabile botto: quel Mare Crisium nel quale il 21 luglio del 1969 – con gli astronauti dell’Apollo 11 ancora lì sul nostro satellite, reduci dallo storico passo – andò a schiantarsi la sonda sovietica Luna 15. Una missione disastrosa, quella di Luna 15, offuscata dallo straordinario successo dei rivali americani, ma a suo modo storica anch’essa: rappresentò uno fra i primi esempi di cooperazione USA-URSS nell’avventura spaziale. In quell’occasione, infatti, l’allora presidente Richard Nixon acconsentì a uno scambio diretto fra la NASA e gli scienziati dell’Unione sovietica al fine di confrontare i parametri orbitali delle missioni, così da scongiurare il rischio d’interferenze.

Per saperne di più:

Qui sotto, le immagini con il “lampo” registrato da Andrea Manna, Raffaello Lena e Stefano Sposetti:


Gruppo Astrofili Rozzano

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15.08: “Astronomia e computers”.

Informazioni GAR: 380.3124156 e 333.2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

All’apice del ciclo solare

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Il Sole fa flip… periodicamente

Il Sole sta per invertire i poli del proprio campo magnetico, un evento periodico che ha ripercussioni sul campo magnetico interplanetario. L’annuncio è venuto dalla NASA, più precisamente da alcuni scienziati dell’Agenzia Spaziale Americana che lavorano alla Stanford University.

L’evento avviene all’incirca ogni 11 anni, nel mezzo di un ciclo solare completo e fa parte del suo ciclo naturale. Ovviamente questo non basta a giustificare che la sua periodicità non produce nessun effetto catastrofico sul nostro pianeta.

“Si tratta di un evento fisiologico, non patologico”. È con questo concetto che il fisico solare Mauro Messerotti, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, interpellato dalla trasmissione Start di Radio 1, ha spiegato la ciclicità del fenomeno e che gli eventi ad esso collegati non saranno catastrofici.

“Possiamo immaginare il Sole come una barretta magnetica, con i due poli agli estremi che venga lentamente girata di 180 gradi – ha detto lo scienziato rispondendo alle domande della conduttrice Annalisa Manduca – e non è evento occasionale ma avviene ogni 11 anni circa. Dal momento della sua nascita il Sole ha già compiuto 418 milioni di cicli, e solo a 24 di questi abbiamo potuto studiare, il che fa comprendere quanto poco ancora conosciamo della nostra stella”.

Messerotti ha poi spiegato come questo processo di inversione sia piuttosto lento e che attualmente si è completato nell’emisfero Nord, mentre per quello Sud ci vorrà ancora qualche mese, e dipende dal movimento del plasma solare dalle regioni dove ci sono le macchie agli emisferi.

“Sebbene questo processo influenzi il campo magnetico interplanetario, questo non comporta nessun evento catastrofico per il nostro o altri pianeti, perché siamo di fronte ad un processo fisiologico del nostro sistema solare e non patologico” sottolinea il ricercatore dell’INAF, docente di fisica solare all’Università di Trieste.

“Anche il nostro pianeta – conclude Messerotti – ha registrato cambi di polarizzazione nel corso della sua storia, ogni milione di anni circa, a significare che tale processo appartiene al comportamento fisiologico dei corpi celesti dotati di campo magnetico”.

Ascolta l’intervista radiofonica di Mauro Messerotti a Start su Radio 1.

Dolomites Curiosity Observatory

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14/15.08, dalle 17:00 del mercoledì a giovedì a pranzo: a spasso per l’Agner, con guida alpina per l’escursione in notturna, fotografando paesaggi illuminati dalla Luna.

Info e prenotazioni: 0437.67010 e 348.7391001
E-mail: aron.lazzaro@gmail.com
www.rifugioscarpa.it

Al Planetario di Ravenna

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13.08: “Viaggio al centro della Via Lattea” di Massimo Berretti.

Prenotazione consigliata.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html –
www.arar.it

Dolomites Curiosity Observatory

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12.08: “Stelle cadenti, non tutti sanno che…” a cura di Claudio Pra. Osservazioni a seguire.

Info e prenotazioni: 0437.67010 e 348.7391001
E-mail: aron.lazzaro@gmail.com
www.rifugioscarpa.it

A caccia di vita su Europa

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La superficie di Europa ripresa dalla sonda Galileo (credit: NASA)

La superficie di Europa ripresa dalla sonda Galileo (credit: NASA)

La NASA ipotizza un atterraggio

Atterrare su Europa, la grande luna ghiacciata di Giove? Chissà, un giorno forse sì. Per ora le missioni verso quel mondo lontano prevedono di effettuare dei flyby, dei passaggi ravvicinati in orbita per raccogliere dati sulla superficie e l’atmosfera. é quanto farà la missione JUICE dell’Agenzia Spaziale Europea (lancio previsto nel 2022), dedicata a tutto il sistema gioviamo. Ed è quanto dovrebbe fare, se il progetto proseguirà, una missione americana che invece si concentrerà su Europa, ancora allo studio ma che potrebbe partire poco prima di quella europea.

Intanto però un gruppo di esperti della NASA è stato incaricato di studiare quali obiettivi scientifici, e quali potenzialità, avrebbe una futura missione che prevedesse un atterraggio morbido su Europa, per portarci un lander ed eseguire analisi che dall’orbita sarebbero impossibili. I risultati del lavoro, coordinato da Robert Pappalardo del Jet Propulsion Laboratory della NASA, sono appena stati pubblicati sulla rivista Astrobiology, e parlano chiaro. Europa è un mondo potenzialmente abitabile, e varrebbe davvero la pena di inviarci un lander, che sarebbe l’unico modo per confermare senza ombra di dubbio se abitabile lo è davvero.

Ciò che rende Europa così interessante per chi cerca vita su altri pianeti sono i molti indizi della presenza di un oceano di acqua liquida al di sotto dello strato di ghiaccio che ricopre la superficie. Missioni come Juice potrebbero appurare l’effettiva presenza e le dimensioni di questo oceano, ma per rendere il pianeta effettivamente adatto alla vita occorrerebbe trovare almeno altre due condizioni: una fonte di energia che consenta di creare e mantenere molecole complesse e processi biochimici su cui si basa la vita (sulla Terra è la luce visibile e infrarossa che arriva dal Sole); e le materie prime della biosintesi, ruolo che sulla Terra è affidato a carbonio, ossigeno, idrogeno, fosforo e zolfo.

Un lander a caccia di vita su Europa dovrebbe prima di tutto studiare composizione e chimica dell’oceano di acqua, sulla carta un ambiente ideale per la comparsa di vita, ma solo col giusto mix di salinità e presenza di altri elementi utili alla biochimica; dovrebbe poi capire quanta energia arrivi effettivamente all’oceano di acqua, e se lì venga in qualche modo immagazzinata in specie chimiche che la mettano a disposizioni per processi biologici, come fanno gli ossidanti sulla Terra. Quanto alla chimica, si pensa che tanto il processo di formazione di Europa quanto il bombardamento di oggetti esterni subito in seguito abbiano messo a disposizione gli elementi fondamentali che consentirebbero la comparsa di vita simile a quella terrestre, ma anche questo si potrebbe verificare solo con un lander.

In ogni caso, la principale priorità del lander sarebbe quella di raccogliere campioni di acqua non ghiacciata ad almeno due profondità diverse (sotto i 2 centimetri e tra i 5 e i 10 centimetri) per studiare in dettaglio composizione e chimica, salinità, presenza di materiali organici. Altra priorità sarebbe effettuare misure sismologiche e del campo magnetico per stimare spessore e dimensioni del manto ghiacciato e dell’oceano liquido. Infine, un lander potrebbe perlustrare un’area ristretta di particolare interesse geologico per studiare quali processi (il movimento delle acque piuttosto che gli impatti di asteroidi) abbiano determinato le caratteristiche superficiali della luna. Anche questo fattore, infatti, è decisivo per comprendere se Europa sia o meno abitabile, visto che un pianeta troppo “movimentato” potrebbe risultare inadatto alla comparsa della vita, anche in presenza delle giuste condizioni chimiche.

Per saperne di più:

PERSEIDI 2013: pioggia tranquilla ma senza Luna

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Quest’anno lo sciame meteorico delle Perseidi potrà finalmente essere seguito dall’Italia in condizioni osservative decisamente molto favorevoli, almeno per quanto concerne il disturbo lunare. Il massimo teorico dello sciame è previsto per la sera del 13 agosto, e in quella data la Luna crescente (un Primo Quarto scarso) tramonterà prima della mezzanotte.
perseidi 2013
La figura mostra la posizione del radiante delle Perseidi come apparirà verso le 2:00 del mattino del 14 agosto. A quell’ora la costellazione sarà alta circa +40° sull’orizzonte di nordest e la Luna sarà ancora sotto l’orizzonte. Sebbene il picco massimo di attività sia previsto per la sera precedente, riteniamo che sarà questo l’orario più adatto per gli osservatori del nostro paese, ma pure indicata sarà la notte del 12/13, sempre tenendo a mente che lo sciame sarà comunque attivo per un periodo molto più lungo; e che nei giorni a cavallo del massimo sarà sempre possibile la caduta di grandi bolidi isolati.

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Quella strana coppia di nubi di gas

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Crediti: Eso

Il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO ha colto questa immagine di una regione di formazione stellare molto interessante nella Grande Nube di Magellano – una delle galassie satellite della Via Lattea. Questa fotografia così nitida rivela due particolari nubi incandescenti di gas: NGC 2014, in rosso, e NGC 2020, la sua vicina blu. Sono molto diverse tra di loro, ma entrambe sono state scolpite dai potenti venti stellari di stelle caldissime appena nate che risplendono all’interno del gas facendolo brillare.

L’immagine è stata ottenuta con lo strumento FORS2 (FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph), che lavora nella banda del visibile e del vicino ultravioletto, nell’ambito del programma Gemme Cosmiche dell’ESO.

Anche senza l’aiuto di un telescopio come il VLT, uno sguardo verso la costellazione australe del Dorado (identificata con un pesce spada o una lampuga, dorado in spagnolo) in una notte buia e limpida svela una macchia sfuocata che a prima vista sembra proprio una nube nell’atmosfera terrestre.

Crediti: Eso

Almeno, questa è probabilmente stata la prima impressione dell’esploratore Ferdinando Magellano durante il suo famoso viaggio nell’emisfero australe nel 1519. Anche se Magellano stesso fu ucciso nelle Filippine prima del suo ritorno, i superstiti del suo equipaggio annunciarono l’esistenza di questa nube e della sua sorella minore al ritorno in Europa, così che queste due piccole galassie furono poi chiamate in onore di Magellano. Non c’è dubbio che debbano essere state viste anche da altri esploratori europei prima di lui e da osservatori dell’emisfero australe, anche se ciò non risulta sia mai stato segnalato.

La Grande Nube di Magellano (LMC per Large Magellanic Cloud) produce attivamente nuove stelle. Alcune della regioni di formazione stellare sono visibili a occhio nudo, per esempio la famosa Nebulosa Tarantola. Ci sono anche altre regioni più piccole, ma non meno interessanti, che i telescopi rivelano nei loro dettagli più intricati. Questa nuova immagine del VLT esplora la coppia di nubi formata da NGC 2014 e NGC 2020.

La nube rosata a destra, NGC 2014, è una nube incandescente formata soprattutto da idrogeno gassoso. Contiene un ammasso di stelle giovani e calde. La radiazione energetica prodotta da queste nuove stelle strappa gli elettroni dagli atomi dell’idrogeno circostante, li ionizza e produce il caratteristico bagliore rosso.

Oltre a questa forte radiazione, le giovani stelle massicce producono importanti venti stellari che alla fine fanno disperdere e fluire via il gas intorno a loro. A sinistra dell’ammasso principale, una singola stella brillante e molto calda sembra aver dato inizio a questo processo, creando una cavità che sembra attorniata da una struttura a bolla, chiamata NGC 2020. Questa stella è un esempio della rara classe nota come stelle di Wolf-Rayet. Questi oggetti dalla vita molto breve sono caldissimi – la superficie arriva a dieci volte la temperatura del Sole – e molto brillanti e perciò dominano le regioni circostanti. Il distintivo colore bluastro di questo oggetto misterioso è prodotto dalla radiazione della stella calda – questa volta ionizzando atomi di ossigeno invece che di idrogeno.

I colori così soprendentemente diversi di NGC 2014 e NGC 2020 sono il risultato della diversa composizione chimica del gas circostante e della temperatura delle stelle che fanno risplendere il gas. Svolge un ruolo importante anche la distanza tra le stelle e le nubi di gas.

Immagine a largo campo di NGC 2014 e NGC 2020 nella Grande Nube di Magellano

LMC è a soli 163 000 anni luce dalla nostra galassia, la Via Lattea, e perciò è molto vicina su una scala cosmica. Questa vicinanza la rende un obiettivo importante per gli astronomi, poichè può essere studiata in maggior dettaglio rispetto ai sistemi più lontani. È stata anche una delle motivazioni che portarono a costruire telescopi nell’emisfero australe, e che alla fine condussero alla fondazione dell’ESO più di 50 anni fa. Anche se enorme su scala umana, la Grande Nube di Magellano contiene meno di un decimo della massa della Via Lattea e si estende per appena 14 000 anni luce – la Via Lattea al contrario copre circa 100 000 anni luce. Gli astronomi definiscono la Grande Nube una galassia nana irregolare; la sua irregolarità, combinata con la prominente barra centrale di stelle, suggerisce che le interazioni con la Via Lattea e con l’altra galassia vicina, la Piccola Nube di Magellano, abbiano prodotto questa forma caotica.

[Fonte: Eso]

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