“Occhi su Saturno”, l’iniziativa che permetterà a migliaia d’italiani di scoprire, dal vivo attraverso i telescopi, il pianeta più bello del Sistema Solare avvicinandoli all’astronomia e alla scienza.
La sera del 18 Maggio cerca l’evento a te più vicino e scopri dal vivo Saturno, senza dubbio il più bel pianeta del Sistema Solare. Con tanti eventi in tutta Italia, potrai osservare il pianeta più bello del Sistema
Solare e soprattutto avvicinarti all’astronomia ricordando la figura di un grande astronomo italiano: Gian Domenico Cassini, grande studioso di Saturno ed a cui è dedicata la sonda spaziale che sta tutt’ora viaggiando intorno al pianeta con gli anelli..
L’iniziativa è organizzata dall’Associazione Stellaria di Perinaldo, paese natale di G.D.Cassini, in collaborazione con l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma e con il supporto di decine di osservatori astronomici, planetari e gruppi di appassionati di tutta Italia. Il sito web OcchiSuSaturno.it raccoglie tutti gli eventi locali e le relative informazioni per partecipare.
Patrocinato da Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Società Astronomica Italiana (SAIt) e Unione Astrofili Italiani (UAI).
www.occhisusaturno.it – www.astroperinaldo.it
In attesa di Occhi Su Saturno, la manifestazione che il 18 maggio prossimo metterà il Signore degli anelli al centro di una celebrazione collettiva e diffusa sul territorio italiano, Saturno sfrutta le telecamere della missione Cassini-Huygens per mettersi in mostra.
L’immagine, in tutto il suo splendore, è stata realizzata il 5 marzo 2013 dalla Wide-angle Camera a bordo della missione NASA-ESA-ASI mentre la sonda si trovava a 1.434 milioni di chilometri dal pianeta, quindi con una risoluzione di 82 chilometri per pixel.
In quel momento, la configurazione tra il Sole, la sonda e il pianeta aveva un angolo di fase di 85 gradi. Quindi Cassini si trovava nella condizione migliore per poter fotografare il pianeta con il magnifico sistema di anelli visto di piatto, illuminato lateralmente dalla luce del Sole. L’immagine è stata realizzata nella luce visibile ed è molto simile a quello che occhi umani avrebbero potuto vedere da questo punto di osservazione molto privilegiato.
Sulla superficie variegata degli anelli, in primo piano, l’ombra scurissima e netta gettata dal pianeta Saturno. Il fatto che nello spazio le ombre siano così nette dipende dalla mancanza di atmosfera a diffondere la luce. Lo stesso meccanismo alla base delle immagini molto contrastate degli astronauti sulla Luna, che proiettavano sulla superficie del nostro satellite ombre molto più nette di quanto non avrebbero fatto sulla terra.
Dall’ingresso in orbita intorno al pianeta, il sistema di anelli è uno degli argomenti più studiati dalla missione Cassini-Huygens, e quella di oggi è solo una delle ultime immagini in ordine di tempo, che vede come protagonista questa caratteristica del pianeta. Per ritracciare una breve carrellata delle ultime apparizioni, ricordiamoi recenti impatti di meteoroidi immortalati nei mesi scorsi o il raro ritratto del pianeta Venere che fa capolino tra gli anelli.
Per sapere di più sulle ultime scoperte riguardanti Saturno della missione Cassini-Huygens, lo IAPS Roma ha realizzato una serie di interviste a scienziati e ricercatori del team Cassini-Huygens che verranno distribuite in occasione di Occhi Su Saturno e di cui riportiamo una preview.
Il Dr. Jonathan Lunine, ricercatore di scienze planetarie, scienziato coinvolto nel team della missione Cassini-Huygens e professore presso la Cornell University di New York, ci offre il suo sguardo su Saturno e i suoi satelliti, invitandoci a partecipare all’iniziativa Occhi su Saturno, in programma il prossimo 18 maggio.
Per maggiori informazioni visitate: http://www.occhisusaturno.it
La sequenza illustra la mutevole configurazione della congiunzione che a fine mese vedrà coinvolti sull’orizzonte ovest-nordovest i pianeti Giove, Venere e Mercurio.
Dal 23 al 28 maggio, i riquadri descrivono ogni due giorni le posizioni dei pianeti come apparirebbero a un osservatore ad occhio nudo che, in quelle sere, guardasse verso ovest appena dopo il tramonto (l’orario prescelto è all’incirca quello delle 21:10, quando il Sole sarà sotto l’orizzonte di 6°). Come si può vedere, il 26 i tre pianeti assumeranno la formazione di un triangolo (quasi) equilatero, con Venere distante 1,8° da Mercurio e 2,2° da Giove, e Mercurio 2,5° distante da Giove. Considerando i massimi reciproci avvicinamenti, il 27 Venere sarà 1,3° a sud di Mercurio, mentre il 28 sarà 1° a nordovest di Giove (tutto in riferimento altazimutale).
Un pasto a base di gas caldo per il buco nero super massiccio al centro della Via Lattea, che si trova a 26 mila anni luce dalla Terra. Lo spuntino è stato spiato dall’osservatorio orbitante Herschel (NASA/ESA) poco prima che finisse la sua attività scientifica. Il gas in questione si aggira attorno ai 1000 gradi Celsius, di gran lunga più caldo di qualsiasi nube interstellare, che di solito non supera qualche decina di grado sopra lo zero.
Il team di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della NASA ha ipotizzato che le alte temperature potrebbero dipendere da forti shock a cui è sottoposto il gas nelle regioni centrali della nostra Galassia, generato da collisioni tra nubi di gas o materiale interstellare in movimento a grandi velocità.
Grazie alle osservazioni all’infrarosso di Herschel, un altro gruppo di astronomi ha notato un’altra nube di gas con una massa pari a quella di diverse Terre che sta spiraleggiando verso il buco nero e, secondo le previsioni, dovrebbe essere inghiottita nel corso di quest’anno. L’osservazione di questi eventi dovrebbe aiutare a comprendere meglio i meccanismi di accrescimento dei buchi neri.
Queste le conferenze, inizio ore 21:00: 10.05: “Alma ed E-Elt: i giganti del Cile scrutano le profondità dell’Universo” a cura di Elio Antonello.
Per info: Tel. 0341.367584
www.deepspace.it
Potrebbe essere il vento, e non l’acqua come molti pensavano, la causa di alcuni rilievi sulla superficie di Marte, a cominciare da quello nei cui pressi si sta aggirando il rover Curiosity. Lo sostiene un team di ricercatori dell’Università di Princeton e del California Institute of Technology con uno studio appena pubblicato su Geology .
I loro studi si sono concentrati sul Monte Sharp, un piccolo rilievo di 5 chilometri al centro del Cratere Gale, a sua volta largo 154 chilometri. Si ritiene che questo cratere possa essere il bacino di un lago prosciugato, e che il rilievo fosse dovuto all’accumulazione di sedimenti sul fondo del lago. Secondo i ricercatori, è possibile che il Gale ospitasse effettivamente un lago, ma il Mount Sharp non sarebbe mai stato sommerso: al contrario potrebbe essere il risultato dell’azione dei venti e dell’atmosfera marziani.
Le caratteristiche del rilievo, ricostruire in un modello al computer dai ricercatori, si sposano meglio con l’idea che Mount Sharp si sia formato per la deposizione progressiva di polveri spinte dal vento, piuttosto che per l’accumulazione di sedimenti sott’acqua. Al posto degli strati piani previsti dai depositi lacustri, si osservano infatti strati inclinati verso l’esterno di circa 3 gradi.
Il Monte Sharp, secondo gli studiosi, non sarebbe mai stato sommerso dall’acqua, anche se la base attorno al rilievo potrebbe aver contenuto acqua in passato. “I dati raccolti non precludono l’esistenza di laghi nel Cratere Gale, ma implicano che la maggior parte del materiale sia stata depositata dal vento”, ha detto Kevin Lewis, co-autore dello studio pubblicato lo scorso marzo sulla rivista Geology. E’ ancora possibile che la parte bassa del cumulo possa essere il risultato del prosciugamento di un lago, mentre è quasi sicuro che la parte alta del Monte Sharp sia stata scolpita dal vento.
Nonostante ciò, studiando i sedimenti e i diversi strati che compongono questo e altri rilievi e crateri del pianeta, i ricercatori potranno scoprire, come accade sulla Terra, la storia geologica e climatica di Marte.
I ricercatori hanno usato immagini ad alta risoluzione scattate dalla camera High-Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) montata a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter per misurare dall’alto l’orientamento degli strati rocciosi intorno alla base del monte. Edwin S. Kite, altro autore del paper, ha sviluppato al computer un modello matematico per studiare come il vento potrebbe aver depositato il materiale nel Cratere Gale.
Il compito di trovare una soluzione definitiva a questo mistero spetta ora al rover della NASA Curiosity, atterrato nell’agosto scorso proprio in prossimità del cratere. I ricercatori non hanno ancora escluso del tutto la speranza di trovare tracce di acqua sul pianeta e di strati di roccia di origine lacustre. Nel 2014 Curiosity raggiungerà la base del Monte Sharp e verificherà questa e altre ipotesi.
Il Congresso Nazionale annuale della SAIt è una autorevole occasione di presentazione, approfondimento e discussione di temi e risultati scientifici, progetti e attività di grande impatto e attualità o prospettiva per l’intera comunità, includendo in questo sia il mondo della ricerca professionale, sia quello didattico e formativo, sia quello della comunicazione e della divulgazione.
In tale contesto anche quest’anno il Consiglio Direttivo della SAIt ha ritenuto di coordinare con INAF l’organizzazione del congresso, pianificando un ricco programma di informazione e discussione
su un ampio spettro di problematiche legate alle eccellenze scientifiche e ai grandi progetti. Si svolgeranno anche due workshop dedicati a didattica, divulgazione, outreach, conservazione e
valorizzazione del patrimonio storico e museale. Per consultare il programma e procedere all’iscrizione si rimanda al sito del congresso.
Eventi Speciali gratuiti aperti al pubblico: 09.05, ore 21:00: “Cosa resta da scoprire” di Giovanni F. Bignami, Presidente INAF. Presso la Sala dello Stabat Mater, Biblioteca dell’Archiginnasio.
Nelle sere dell’11 e del 12 maggio una sottilissima falce di Luna crescente si sposterà tra Venere, molto bassa sull’orizzonte, e Giove, situato una decina di gradi più in alto. Alle 20:45, l’orario figurato nell’illustrazione, Venere sarà alta +5° e Giove +16°. Con l’aiuto di un binocolo potrà forse essere visibile anche Aldebaran, che la sera dell’11 sarà meno di tre gradi ad est della Luna (in un riferimento altazimutale). N.B. Per esigenze grafiche la Luna è rappresentata tre volte più grande della sua reale dimensione angolare.
Il Congresso Nazionale annuale della SAIt è una autorevole occasione di presentazione, approfondimento e discussione di temi e risultati scientifici, progetti e attività di grande impatto e attualità o prospettiva per l’intera comunità, includendo in questo sia il mondo della ricerca professionale, sia quello didattico e formativo, sia quello della comunicazione e della divulgazione.
In tale contesto anche quest’anno il Consiglio Direttivo della SAIt ha ritenuto di coordinare con INAF l’organizzazione del congresso, pianificando un ricco programma di informazione e discussione
su un ampio spettro di problematiche legate alle eccellenze scientifiche e ai grandi progetti. Si svolgeranno anche due workshop dedicati a didattica, divulgazione, outreach, conservazione e
valorizzazione del patrimonio storico e museale. Per consultare il programma e procedere all’iscrizione si rimanda al sito del congresso.
Eventi Speciali gratuiti aperti al pubblico: 07.05, ore 11:00: “Spigolature sul futuro prossimo dell’astronomia” del Prof. Massimo Capaccioli. Presso Area della ricerca del CNR. 07.05, ore 21:00: “Il viaggio di Joe il fotone” concerto blues e spettacolo realizzato da astronomi e dottorandi in astronomia. La Scuderia, P.zza Verdi.
.
L’osservatorio spaziale Herschel dell’ESA ha esaurito, come previsto, la scorta di elio liquido raffreddante, portando a conclusione oltre tre anni di osservazioni pionieristiche dell’universo freddo.
“Herschel ha superato tutte le aspettative, fornendo un incredibile forziere pieno di dati che terranno gli astronomi occupati per molti anni a venire” ha detto il Prof. Alvaro Giménez, Direttore ESA di Scienza ed Esplorazione Robotica.
“Ci ha offerto una nuova visione dell’Universo finora celata, indicandoci processi prima sconosciuti di nascita delle stelle e di formazione delle galassie, e ci ha permesso di seguire le tracce d’acqua attraverso l’Universo: dalle nubi molecolari alle stelle appena nate, dai loro dischi di formazione planetaria alle cinture di comete”, spiega Göran Pilbratt, scienziato del progetto Herschel dell’ESA.
L’evento non è inaspettato: la missione è cominciata con oltre 2300 litri di elio liquido che è evaporato lentamente da quando fu effettuato il rifornimento finale il giorno prima del lancio di Herschel, avvenuto il 14 maggio 2009. L’elio liquido era essenziale per raffreddare gli stumenti dell’osservatorio spaziale ed avvicinarsi allo zero assoluto, dando modo ad Herschel di effettuare fino a ieri osservazioni scientifiche altamente sensibili dell’universo freddo.
La conferma che l’elio si è definitivamente esaurito è arrivata il 29 aprile, nel pomeriggio, all’inizio della sessione giornaliera di comunicazione della navicella con la stazione a terra nell’Australia occidentale, con un evidente aumento delle temperature rivelato in tutti gli strumenti di Herschel.
Ha effettuato oltre 35.000 osservazioni scientifiche, accumulando più di 25.000 ore di dati scientifici da oltre 600 programmi di osservazione. Ulteriori 2.000 ore di osservazioni di calibrazione hanno inoltre contribuito ad arricchire il set di dati, custodito presso il Centro Europeo di Astronomia Spaziale dell’ESA, vicino a Madrid, in Spagna.
L’archivio diverrà l’eredita della missione. Senza dubbio contribuirà ad un numero di scoperte maggiore di quante ne sono state effettuate durante il periodo di vita della missione.
Il telescopio spaziale in raggi X Chandra, della NASA, ha permesso a un gruppo di ricercatori (tra cui molti italiani) di comporre uno straordinario ritratto di un’enorme nube di gas caldo che avvolge due grandi galassie in collisione. Questo grande serbatoio di gas contiene materiale pari a circa 10 miliardi di masse solari, si estende per circa 300.000 anni luce, ed emette radiazioni ad una temperatura di oltre 7 milioni di gradi Kelvin.
Questa gigantesca nube di gas, che gli scienziati chiamano “halo”, alone, si trova nel sistema NGC 6240, già ben noto alle cronache astronomiche. Si sa da tempo che in quel punto si stanno fondendo due grandi galassie a spirale di dimensioni simili alla nostra Via Lattea. Ognuna delle due galassie contiene un buco nero supermassiccio al suo centro. I due buchi neri potrebbero finire per fondersi per formare un buco nero più grande.
Nell’immagine composita di NGC 6240, le rilevazioni in raggi X di Chandra, che rivelano la nube di gas caldo, sono di colore porpora. Questi dati sono stati combinati con i dati ottici del telescopio spaziale Hubble, che mostrano le lunghe “code” delle galassie si fondono, che si estendono nella parte inferiore destra e in quella inferiore dell’immagine.
Oltre al disfacimento della forma a spirale, un’altra conseguenza della collisione tra le due galassie è che il gas contenuto in esse è stato violentemente rimescolato, causando un “boom” di nascita di nuove stelle che dura da almeno 200 milioni di anni. Durante questa esplosione di nascita stellare, alcune delle stelle più massicce hanno avuto un’evoluzione accelerata, esplodendo in tempi relativamente brevi come supernove. Secondo i ricercatori, queste esplosioni hanno disperso grandi quantità di elementi come ossigeno, neon, magnesio, silicio nel gas caldo delle galassie, e questo gas arricchito si è lentamente espanso mescolandosi con il gas più freddo che già esisteva. Durante il baby boom prolungato, si sono verificate anche esplosioni più brevi di formazione stellare. Per esempio, la più recente esplosione di formazione stellare è durata per circa cinque milioni di anni, e si è verificata circa 20 milioni di anni fa. Ma gli autori non pensano che il gas caldo sia stato prodotto tutto in questa raffica più breve.
Primo autore dellostudio (pubblicato su The Astrophysical Journal) è Emanuele Nardini, al momento alla Keele University in Gran Bretagna ma laureatosi a Firenze. Tra gli autori anche Guido Risaliti dell’Osservatorio Astronomico di Arcetri dell’INAF, che spiega a Media Inaf: “la sorgente attorno a cui abbiamo trovato questo alone non è un oggetto qualsiasi. E’ un sistema di due galassie interagenti in cui si distinguono ancora molto bene i due nuclei, in entrambi i quali c’è un AGN attivo. E’ stato il primo caso in cui, nel 2003, si è osservato questo doppio AGN. Ora abbiamo visto anche questo enorme alone X, e viene naturale associarlo alla collisione in corso. La cosa che ci interessa di più è che quello che vediamo in questo oggetto dovrebbe essere il processo di formazione tipico delle galassie ellittiche. A lungo andare, la morfologia caotica che vediamo in questo momento dovrebbe rilassarsi e nascere una galassia ellittica. E siccome si stima che il tempo di raffreddamento dell’alone sia di miliardi di anni, esso dovrebbe esserci ancora quando la trasformazione nella galassia ellittica sarà completata.
Di certo, la collisione offre l’opportunità di assistere a una versione di un evento che era comune nell’Universo primordiale, quando le galassie erano molto più vicini e uniti più spesso relativamente vicino.
Ci sono oggetti deep-sky che pur senza avere molto da dire suscitano comunque rispetto negli osservatori, anche per il solo fatto di essere percepiti come una parte del grande romanzo cosmico; altri inducono invece a una stupefatta ammirazione, anche quando (come nel caso dell’oggetto di cui stiamo per parlare) l’osservatore si trova al cospetto di una galassia amorfa e praticamente “senza volto”, ovvero senza molti particolari su cui passare le notti. È il caso di M87, l’enorme ellittica che domina il grande ammasso della Vergine; impenetrabile nella sua maestosità, eppure unica nel suo genere per il fatto di nascondere qualcosa che solo in pochi riescono a vedere.
Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 54 diCoelum n. 170.
03.05: “La spettrometria: i colori delle stelle”. Al telescopio: Saturno, l’ammasso stellare M13 e le galassie nella Vergine.
Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, a cura di Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI).
Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo. 03.05: La Costellazione della Vergine
Quando una supernova esplode in una delle galassia incluse nel catalogo Messier – che raccoglie oggetti relativamente vicini – è una fortuna perché possiamo essere certi di poter quasi sempre ammirare un oggetto che raggiungerà una notevole luminosità.
Non tutte le galassie presenti nel catalogo di Messier (40, distanti dai 2500 ai 68 milioni di anni luce, di luminosità compresa tra la mag. +4,5 e +11,5) hanno però ospitato una supernova, per lo meno in tempi moderni, da quando cioè è iniziata l’osservazione sistematica di queste esplosioni. Dall’inizio dello scorso secolo, ad esempio, non sono mai state scoperte SN in M33 – la Grande Galassia del Triangolo – o in M64 nella Chioma di Berenice; mentre sono molte le galassie che hanno ospitato numerose supernovae: 25 le galassie Messier (su 40) in cui sono state finora scoperte 54 SN.
Le più prolifiche sono state M61 nella Vergine e M83 nell’Idra con il record di ben sei supernovae ciascuna, seguite in questa classifica celeste da M100 nella Chioma di Berenice con cinque eventi.
Eventi di tipo I possono infatti lasciare un ricordo indelebile in chi segue con passione questo tipo di ricerca. Anche eventi di tipo II, che si collocano un paio di magnitudini più in basso, sono comunque di notevole interesse. Basti pensare alla supernova dell’anno passato la SN2012aw esplosa nella galassia M95 (distante 33 milioni di anni luce) di tipo IIP che raggiunse la magnitudine +13. Non sempre però questa regola è rispettata in pieno.
Dallo scorso 21 marzo il numero di queste galassie ospiti è salito a 26: l’astrofilo giapponese Matsuo Sugano ha infatti scoperto la SN 2013am in M65 (NGC 3623) uno dei membri del Tripletto del Leone. Al momento della scoperta la supernova (di tipo II identificata pochi giorni dopo l’esplosione) mostrava una magnitudine pari a +15,6 che nelle settimane successive è salita a +16.
M65 è una stupenda galassia a spirale barrata con una rilevante formazione lenticolare centrale e sottili braccia a spirali, oltre ad un’evidente banda di polveri; ha un diametro di circa 100.000 anni luce, paragonabile a quindi quello della nostra Via Lattea, da cui dista circa 35 milioni di anni luce: perciò, se la luce della SN 2013am non fosse stata assorbita dalle polveri presenti lungo la linea di vista, questa supernova avrebbe potuto raggiungere una luminosità decisamente superiore di un paio di magnitudini.
Questa supernova inoltre avrebbe potuto vestire anche i colori italiani. Nella solita notte della scoperta, poco meno di sei ore dopo il giapponese, il toscano di Montalcino Maurizio Cecchini riprendeva la galassia con la supernova, ma poiché il Cecchini si interessa principalmente di deep sky (con ottimi risultati) ma non fa ricerca di supernovae, non aveva controllato immediatamente l’immagine lasciando passare un paio di giorni. Peccato perché un’immediata segnalazione della presenza della supernova gli avrebbe fruttato l’assegnazione della “indipendet discovery” e siamo sicuri che avrebbe brindato al successo con un buon bicchiere di Brunello. Rimane comunque per lui la soddisfazione di avere ottenuto la seconda immagine in assoluto di questa importante supernova.
Ad onor di cronaca, una scoperta indipendente c’è stata davvero ed anche di alto valore.
Nella stessa notte in cui Sugano e Cecchini riprendevano M65 il programma professionale denominato “Intermediate Palomar Transient Factory” che vede impegnate numerose università americane, svedesi, israeliane e taiwanesi riprendeva la galassia con il telescopio Oschin Schmidt di 1,20 metri al Palomar Observatory ed il software automatico di ricerca segnalava la presenza della supernova oramai scoperta ufficialmente dal giapponese. Dimostrazione questa che con la costanza e la rapidità gli astrofili anche se muniti di piccole strumentazioni possono battere sul tempo i professionisti.
Nella notte del 4 aprile S.Leonini, L.M. Tinjaca Ramirez, G. Guerrini e P. Rosi dell’Osservatorio di Montarrenti (SI) uno degli otto osservatori che compongono il programma di ricerca amatoriale ISSP, scoprono con un Ritchey-Chretién da 53 cm una supernova nella piccola galassia a spirale PGC 50171 distante circa 400 milioni di anni luce da noi, nella costellazione della Vergine, pochi gradi a ovest di Spica.
Essendo la supernova di luminosità intorno alla mag. +18, appena visibile in una singola immagine della sessione osservativa, gli amici di Siena chiedono aiuto all’astrofilo australiano J. Brimacombe che ottiene una ulteriore immagine di conferma. Perciò nella notte del 6 aprile decidono di riprendere un’immagine di conferma in remoto con un telescopio di 43 cm posto a Mayhill nel New Messico.
Il 12 aprile, con il telescopio di 2,3 metri del Siding Spring Observatory in Australia, è stato ripreso lo spettro classificando la supernova di tipo II scoperta ben 5-6 settimane dopo il massimo di luminosità.
Un fenomeno abituale, che avviene in tutto il sistema solare. Tuttavia, fino ad oggi i ricercatori erano riusciti ad osservarlo in diretta solo sulla Terra, sulla Luna e su Giove. Nessun altro impatto di meteoroide (come si chiamano i piccoli frammenti rocciosi o metallici che vanno in giro per il sistema solare) era stato osservato dal vivo. Come dire, con la pistola ancora fumante. Grazie ai dati catturati dalla sonda Cassini negli ultimi anni, arrivano le prime immagini che immortalano dal vivo il fenomeno tra gli anelli di Saturno. Ecco le meravigliose fotografie realizzate dalla sonda NASA-ESA-ASI, su cui si basa un articolo pubblicato lo scorso 25 Aprile sulla rivista Science.
Nelle immagini del montaggio, raccolte a diverse riprese, sono chiaramente visibili le nuvole di polvere sollevate dagli impatti tra i piccoli meteroidi e le minuscole particelle che compongono gli anelli (le frecce evidenziano il fenomeno, qui la versione originale). Da sinistra in alto, in verso orario: 2 diverse immagini scattate nel 2009, a un giorno e due giorni di distanza da un impatto avvenuto nell’anello A. A seguire, sempre del 2009, le immagini scattate a qualche ora di distanza da due impatti nell’anello C e nell’anello B. L’ultima immagine infine, è stata realizzata nel 2012 e ritrae un evento avvenuto poche ore prima nell’anello C (vedi a questa pagina la disposizione degli anelli di Saturno).
La preziosità di queste immagini è anche dovuta alla difficoltà di riuscire a vedere gli effetti dell’impatto di un meteroide, un oggetto che in prossimità di Saturno si stima abbia dimensioni che vanno da qualche centimetro a pochi metri.
Il fenomeno è stato sapientemente messo in evidenza grazie alla scelta di realizzare le immagini in particolari condizioni di illuminazione degli anelli. Le prime 4 immagini sono infatti state scattate nel 2009, all’equinozio di Saturno quando la luce del Sole colpiva gli anelli quasi perfettamente di taglio. Un fenomeno che si ripete per il pianeta Saturno solo ogni 14,5 anni terrestri (metà anno del pianeta). L’ultima immagine, invece, è stata realizzata nel 2012 sfruttanto una particolare geometria di illuminazione, con un grande angolo tra la direzione Sole-Saturno e quella Saturno-Cassini. Un po’ come quanto si guarda un piano in controluce e la polvere su di esso diventa visibile.
I dettagli di queste e di altre osservazioni, avvenute tra il 2005 e il 2012 per un totale di 9 meteororidi osservati, sono stati raccolti in un recente articolo comparso sulla rivista Science, con prima firma Matt Tiscareno, della Cornell University e Participating Scientist di Cassini. L’importanza dello studio è evidente ed è sottolineata da Linda Spilker, Project Scientist di Cassini, che parla di una tecnica che ha trasformato gli anelli di Saturno in un efficace ed enorme “rivelatore di meteoroidi”, grande 100 volte la superficie della Terra, che ha permesso di stimare il tasso di impatti in un periodo relativamente breve.
Le ricadute scientifiche sono sorprendenti. Dice ancora Spilker: “I risultati di questo studio suggeriscono che il numero di impatti di piccole particelle deve essere confrontabile in prossimità della Terra e di Saturno, due luoghi molto diversi del sistema solare.” Un dato che sarà fondamentale per comprendere meglio i meccanismi di formazione degli anelli di Saturno, che alcuni scienziati, a causa della loro brillantezza, ritengono molto più giovani del pianeta stesso.
L’accensione di una nuova stella è sempre accompagnata da un certo sconquasso nel suo ambiente circostante. Venti stellari e una intensa radiazione ultravioletta ‘spazzano’ letteralmente via i resti della culla di gas e polveri in cui si è formato l’astro. Capita però che, in certe galassie particolarmente attive, di nuove stelle se ne formino quasi contemporaneamente a milioni. È allora chiaro che questi venti, sommandosi, possono acquistare energie enormi, propagandosi in tutta la galassia ospite e interagendo con essa. E addirittura spingendo i suoi effetti anche oltre, arrivando a ionizzare il gas fino a 650.000 anni luce dal suo centro, ovvero più di venti volte più lontano della dimensione visibile della galassia stessa.
Sono questi in sintesi i risultati di un nuovo studio realizzato da un team internazionale di ricercatori in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal. È questa la prima prova osservativa degli effetti prodotti dalla forsennata accensione di nuove stelle – un processo che gli addetti ai lavori chiamano starburst – sul gas circostante la galassia che le ospita. Una interazione che può essere decisiva per regolare i processi evolutivi della galassia e sul tasso con cui continuerà a produrre nuovi astri.
“La materia che si estende oltre le galassie è davvero difficile da studiare, poiché è estremamente tenue” dice Vivienne Wild, dell’Università di St. Andrews, che ha partecipato al lavoro. “Tuttavia è estremamente importante, in quanto può rivelarci come le galassie si accrescono, trasformano massa ed energia e infine si estinguono. Stiamo davvero esplorando una nuova frontiera nell’evoluzione delle galassie!”
Il team ha analizzato con il Cosmic Origin Spectrograph (COS) a bordo del telescopio spaziale Hubble la luce proveniente da 20 galassie vicine, alcune delle quali note per la loro intensa attività di starburst. E proprio queste galassie sono state quelle dove più marcato è il fenomeno della ionizzazione nel gas che compone il loro alone, interpretato dai ricercatori come il risultato dell’impatto degli intensi venti stellari prodotti da giovani stelle.
Scontri così violenti, estesi e prolungati possono avere conseguenze notevoli nell’evoluzione delle galassie ospiti, che si accrescono fagocitando il gas presente nello spazio attorno ad esse e trasformandolo infine in nuove stelle. Poiché i venti stellari ionizzano quelle che sono le ‘riserve’ di gas attorno alle galassie, si riduce drasticamente la disponibilità del principale costituente delle nuove stelle, con la conseguenza di un crollo della natalità stellare.
“Gli starburst sono fenomeni fondamentali che non solo regolano l’evoluzione di una singola galassia, ma influenzano il ciclo della materia e dell’energia nell’intero universo” sottolinea Timothy Heckman, della Johns Hopkins University. “I gusci delle galassie sono l’interfaccia tra queste strutture e il resto dell’universo e stiamo iniziando ad esplorare in dettaglio quello che succede al loro interno”.
Mi dicono che lì da voi il tempo è stato talmente brutto da rovinare quasi completamente il passaggio della Pan-STARRS; figuriamoci quindi se qualcuno nei rari sprazzi di sereno si sarà dato pena di cercare anche i miei asteroidi… Comunque sia, come si dice qui da noi, “le stelle di ieri non ci sono mai state”; così, cerchiamo di pensare con ottimismo a quanto ci sarà da vedere in maggio, un mese in cui ci saranno ben sei asteroidi in opposizione più brillanti della mag. +11.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.170.
30.04: “I favolosi anni ’50: satelliti, astrofili, fantascienza e rock’n’roll” di Paolo Morini.
Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it
maggioCorso Astronomia Gruppo Astrofili di Padova. Quattro incontri su vari temi di Astronomia
con Relatori diversi. Limena (Padova).
www.astrofilipadova.it
Che quell’acqua presente nella stratosfera di Giove fosse dovuta all’impatto della Cometa Shoemaker-Levy sul pianeta gassoso avvenuto nel 1994, lo aveva già ipotizzato uno studio condotto nel 1994 da Cristiano Cosmovici e Stelio Montebugnoli. Ora la conferma di quell’ipotesi giunge dal satellite dell’ESA, Herschel.
La sonda, lanciata nel 2009, ha utilizzato le sue accurate misure nell’infrarosso per mappare la distribuzione verticale e orizzontale della ”firma chimica dell’acqua” nell’atmosfera di Giove, fornendo i dati che hanno permesso agli astrofisici del Laboratoire d’Astrophysique de Bordeaux, di giungere alla definitiva conclusione che il 95% di quell’acqua è arrivata con la caduta della cometa nel 1994.
“Le osservazioni di Herschel a 18 anni di distanza sono una prima conferma della validità delle nostre pioneristiche osservazioni” ci dicono Cristiano Cosmovici, dell’INAF – IAPS e Stelio Montebugnoli, dell’INAF-IRA. “La scoperta – continuano – fu resa possibile grazie alla realizzazione a Medicina di uno spettrometro digitale che si basava sul calcolo diretto della FFT (Fast Fourier Transfom) dei dati ottenuti digitalizzando direttamente il segnale a radiofrequenza. Un approccio molto particolare per quei tempi, viste le grandi velocità di calcolo che erano richieste dal pre-processing on line, che permise una alta risoluzione temporale.
Le osservazioni vennero eseguite nel Luglio 1994 a 22 GHz, riga MASER dell’acqua, e hanno mostrato che l’esplosione dei 21 frammenti cometari nell’alta atmosfera liberava le molecole di acqua cometaria che venivano poi eccitate in modo da presentare una intensa emissione MASER”. Era questa la prima evidenza di emissione MASER, ben conosciuta nel mezzo interstellare, ma mai osservata nel sistema solare. Le osservazioni si protrassero per 3 mesi evidenziando il fatto che l’acqua si era distribuita nella zona di impatto andando man mano a diminuire di intensità.
Questa scoperta è stata poi usata come mezzo di diagnostica per la ricerca di acqua in esopianeti dato che a grandi distanze nella galassia solo una riga di intensità MASER sarebbe stata rilevabile con i radiotelescopi.
Altri articoli su impatti di comete e asteroidi su Giove:
Nel mese di maggio, mentre la Pan-STARRS starà più o meno concludendo la sua controversa apparizione, la C/2012 F6 (Lemmon) si appresterà finalmente ad esibirsi anche nel nostro emisfero, sia pure già notevolmente affievolita rispetto ai trascorsi australi. La Lemmon è arrivata al perielio il 24 marzo, avvicinando il Sole fino a una distanza di 0,73 Unità Astronomiche e tagliando nel frattempo l’equatore celeste,
dopo di che ha continuato la sua risalita verso nord mantenendosi intorno alla quinta magnitudine. In maggio sarà finalmente possibile avvistarla anche da qui, nelle ore precedenti l’alba.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 66 di Coelum n.170.
È un fitto intrico di crinali e depressioni ghiacciate quello che ci appare la superficie di Encelado, la più enigmatica tra le lune di Saturno. Questo panorama mozzafiato, ripreso dalla sonda Cassini il 31 gennaio del 2011, è il risultato della tremenda forza di attrazione gravitazionale esercitata da Saturno che deforma il guscio esterno della luna, modellandolo in ripidi promontori che si stagliano al di sopra di profonde fratture.
La netta cicatrice scura che si vede sulla superficie di Encelado nella zona meridionale raggiunge in vari punti profondità anche di un chilometro e nel suo percorso taglia altre strutture morfologiche. Un indizio della sua relativa giovinezza. In contrasto, la regione butterata di crateri a nord viene interpretata come una superficie molto più antica che sinora sembrerebbe sfuggita al processo di rimodellamento visibile nelle zone circostanti.
Ma l’immagine di Encelado ci mostra quella che è la sua caratteristica più spettacolare: lungo parte del bordo meridionale, pennacchi di particelle ghiacciate mescolate a vapor d’acqua, sali e materiali organici vengono letteralmente sparati nello spazio a velocità superiori a 2000 chilometri all’ora. La composizione chimica di questi pennacchi suggerisce che sotto la crosta ghiacciata di Encelado potrebbe celarsi un oceano liquido in grado addirittura di ospitare forme elementari di vita.
26.04: “Primavera: un firmamento di galassie” a cura di Franco Molteni.
Dopo le conferenze serali si potranno osservare gli oggetti del cielo con i telescopi del Gruppo.
Per info: Tel. 0341.367584
www.deepspace.it
L’Associazione Tuscolana di Astronomia “Livio Gratton” invita tutti i cittadini a partecipare agli eventi della manifestazione Storie di Terra e Cielo, che si terranno dal 27 aprile al 12 maggio 2013 in una delle località – i dintorni del Lago di Nemi, lo Speculum Dianae – più caratteristiche dei Castelli Romani. In un territorio che presenta un’altissima concentrazione di Istituti Scientifici e di Ricerca, e nello stesso tempo è uno dei patrimoni archeologici e storici più importanti del Lazio, con le radici albane della millenaria storia della Città Eterna, l’ATA vuole presentare un percorso ideale tra Cielo e Terra, tra Astronomia e Archeologia,
tra Scienza e Storia Antica.
La manifestazione prevede diverse attività che copriranno i Comuni di Genzano di Roma, Ariccia e Nemi. In particolare le Conferenze-Spettacolo
e i Caffè Scientifici al Planetario si svolgeranno presso il Museo delle Navi Romane, sito nel Comune di Nemi ma prossimo e molto ben raggiungibile anche da Genzano di Roma. Gli Star party pubblici si svolgeranno nelle piazze principali dei Comuni di Genzano di Roma, Ariccia e Nemi.
Il programma completo è disponibile online su:
www.ataonweb.it
22.04: Serata di Osservazione della Luna.
Per informazioni: D. Antonacci 347.4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici 329.6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it
Un’equipe di astronomi ha usato il nuovo telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) per individuare l’ubicazione di più di 100 galassie tra le più feconde di formazione stellare nell’Universo primordiale. La fase più feconda di nascita di stelle nell’Universo primordiale ha avuto luogo in galassie lontane che contenevano molta polvere cosmica.
Queste galassie sono fondamentali per comprendere la formazione delle galassie e la loro evoluzione nel corso della storia dell’Universo, ma la polvere le oscura e rende difficile la loro identificazione con i telescopi ottici. Per trovarle, gli astronomi devono usare telescopi che osservano la luce a lunghezze d’onda maggiori, intorno al millimetro, come ALMA: è così potente che, in sole poche ore, ha catturato tante osservazioni di queste galassie quante ne erano state ottenute da telescopi simili in tutto il mondo nell’arco di più di un decennio.
“Gli astronomi hanno atteso dati come questi per più di un decennio. ALMA è così potente che ha rivoluzionato il modo di osservare queste galassie, anche se il telescopio non era ancora completo quando sono state effettuate le osservazioni”, ha detto Jacqueline Hodge (Max-Planck-Institut für Astronomie, Germania), prima autrice dell’articolo che descrive le osservazioni di ALMA.
La miglior mappa finora realizzata per queste lontane galassie polverose è stata ottenuta con il telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment), gestito dall’ESO, che ha osservato un pezzetto di cielo della dimensione della Luna piena e trovato 126 galassie di questo tipo. Ma nelle immagini di APEX ogni zona di formazione stellare appare come una macchia indistinta, così grande da coprire più di una galassia nelle immagini più nitide fatte ad altre lunghezze d’onda. Senza sapere esattamente quale delle galassie sta producendo stelle, gli astronomi avevano alcune difficoltà ad interpretare la formazione di stelle nell’Universo primordiale.
Identificare la galassia giusta richiede osservazioni più risolte e per fare osservazioni più risolte serve un telescopio più grande. APEX ha una sola antenna parabolica da 12 metri di diametro, mentre i telescopi come ALMA usano molte antenne simili a quella di APEX sparpagliate su grandi distanze. I segnali di tutte le antenne vengono combinati e l’effetto è quello di un unico telescopio gigante grande come l’intera schiera di antenne.
L’equipe ha usato ALMA per osservare le galassie della mappa di APEX durante la prima fase di osservazioni scientifiche di ALMA, con il telescopio ancora in costruzione. Usando meno di un quarto del totale di 66 antenne, distribuite su distanze fine a 125 metri, ALMA ha impiegato appena due minuti per ogni galassia per identificarle all’interno di una regione molto piccola, più di 200 volte minore delle grandi macchie di APEX e con una sensibilità tre volte maggiore. ALMA è tanto più sensibile degli altri telescopi del suo genere che in sole poche ore ha raddoppiato il numero totale di osservazioni di questo tipo.
Non solo l’equipe ha identificato senza ambiguità quale galassia conteneva regioni attive di formazione stellare ma in circa la metà dei casi ha scoperto che più galassie con formazione di stelle erano confuse in una sola macchia nelle osservazioni precedenti. La vista acuta di ALMA ha permesso di distinguere le singole galassie.
“Pensavamo che le più brillanti tra queste galassie formassero stelle mille volte più vigorosamente della nostra galassia, la Via Lattea, il che le poneva a rischio di frantumarsi. Le immagini di ALMA rivelano la presenza di galassie multiple, più piccole, che formano stelle a tassi in qualche modo più ragionevoli”, ha detto Alexander Karim (Durham University, Regno Unito), uno dei membri dell’equipe e primo autore di un secondo articolo sullo stesso argomentoo.
I risultati costituiscono il primo catalago statisticamente affidabile di formazione stellare in galassie polverose nell’Universo primordiale e forniscono un fondamento indispensabile per ulteriori indagini sulle proprietà di queste galassie a diverse lunghezze d’onda senza rischio di erronea interpretazione a causa della confusione tra le galassie.
Nonostante la vista acuta di ALMA e la sua sensibilità senza pari, telescopi come APEX continuano ad avere un ruolo importante. “APEX pu coprire una vasta area di cielo più in fretta di ALMA e perci è ideale per scoprire queste galassie. Quando sappiamo dove guardare possiamo usare ALMA per identificarle esattamente”, ha concluso Ian Smail (Durham University, Regno Unito), coautore del nuovo articolo.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.