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Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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24.01: “Buchi neri con momento angolare; Fisica dei buchi neri”.
Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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Rassegna stampa e cielo del mese – Ogni quarto giovedì del mese. Ciclo di serate dedicate all’approfondimento delle principali notizie di attualità astronomica e all’anteprima degli eventi del cielo del mese, con Stefano Capretti.
24.01: Rassegna stampa di Gennaio e cielo di Febbraio.
http://telescopioremoto.uai.it/
www.uai.it

Cosa si vede nell’iperspazio

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Chi non ha mai sognato da bambino di poter viaggiare alla velocità della luce a bordo del Millennium Falcon con Han, Luke e Leila?

In realtà, come sappiamo, non è possibile raggiungere la velocità della luce (300.000 km/sec). Ma ammettiamo per un attimo che questa ipotesi si realizzasse: che cosa vedremmo dal “parabrezza” della nostra navicella? Sicuramente non quello che ci ha mostrato (come si vede nell’immagine qui accanto) George Lucas nei film della serie di Star Wars.

Alcuni studenti di fisica all’Università di Leicester hanno usato le leggi della relatività per descrivere un ipotetico viaggio nell’iperspazio, reso celebre da molti romanzi e film di fantascienza, e ciò che hanno concluso è lontano anni luce (è il caso di dirlo) dall’immaginazione dei più attenti sceneggiatori.

I quattro studenti, Riley Connors, Katie Dexter, Joshua Argyle e Cameron Scoular, hanno dimostrato che a quella velocità l’equipaggio della navicella spaziale non vedrebbe una scia infinita di stelle, ma semplicemente un disco di luce molto luminoso, come se le stelle si fondessero.

I risultati ottenuti dai quattro studenti di fisica si basano sulla teoria di Einstein della relatività speciale (relatività ristretta), una riformulazione successiva della meccanica classica a opera di Albert Einstein: è quella teoria, in contrapposizione a relatività generale, che si limita a considerare i sistemi di riferimento inerziali.

Lo studio è pubblicato sul Journal of Physics Special Topics, una rivista che l’Università di Leicester usa per pubblicare brevi articoli dei suoi studenti agli ultimi anni, anche su temi “non tradizionali”, per far prendere loro confidenza con i meccanismi della peer review e con la scrittura di articoli scientifici. I quattro hanno usato argomenti di fisica teorica per dimostrare che, dal punto di vista di una navicella che viaggiasse alal velocità della luce, non ci sarebbero tracce visibili di stelle a causa dell’effetto Doppler, quel particolare fenomeno fisico che spiega la variazione di frequenza delle onde emesse da una sorgente in moto rispetto a un osservatore. Per chiarire il concetto in modo banale basti pensare alla sirena di un’ambulanza, la cui frequenza aumenta con l’avvicinarsi all’ascoltatore, e diminuisce in caso di allontanamento.

Crediti: University of Leicester

L’effetto Doppler, in questo caso applicato alle onde elettromagnetiche, causerebbe il cosiddetto blue shift, lo spostamento verso il blu della luce: agli occhi di chi si trovasse nel Millenium Falcon, la lunghezza d’onda della luce emessa dalle stelle diminuirebbe, prima spostandosi verso il blu e poi uscendo dalla luce visibile per passare nello spettro dei raggi X, non visibili dall’occhio umano.

L’equipaggio percepirebbe un grande disco di luce bianca, creato nientemeno che dalla radiazione cosmica di fondo(Cosmic Microwave Background) che per lo stesso effetto Doppler finirebbe per essere percepita nello spettro del visibile. La radiazione cosmica di fondo è una radiazione elettromagnetica, a 2,7 gradi Kelvin, che permea l’universo in modo uniforme ed è ciò che resta del Big Bang.

Per saperne di più:

Curiosity pronto al primo scavo

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L’ immagine mostra la roccia pianeggiante scelta per la prima perforazione del rover Curiosity. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/MSSS

L’ immagine mostra la zona di roccia piatta, attraversata da fratture e venature, scelta per la prima perforazione del rover Curiosity; nei riquadri vengono evidenziate le caratteristiche formazioni della roccia: scalini, creste, venature, crepe e possibili infiltrazioni di sabbia. CREDIT: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Atterrato su Marte circa cinque mesi fa il rover della Nasa Curiosity si prepara, con il benestare degli ingegneri del progetto, a perforare la prima roccia marziana. L’ammasso roccioso scelto è piatto con venature chiare e potrebbe dimostrare la presenza, passata, di acqua.

Il rover Curiosity è al momento all’interno del cratere Gale di Marte per indagare se il pianeta ha mai offerto un ambiente favorevole per la vita microbica.

“La perforazione di una roccia per raccogliere un campione sarà l’attività più difficile di questa missione dopo l’atterraggio. Non è mai stato fatto su Marte”, ha dichiarato il manager del progetto Richard Cook del NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California. Che avverte “il trapano interagirà energeticamente con il materiale marziano in modi che non controlliamo del tutto. Non ci sarà da stupiris se alcune fasi del processo non andranno esattamente come previsto.”

Curiosity prima raccoglierà i campioni in polvere dall’interno della roccia e  li userà per pulire il trapano. Poi il rover dovrà forare e prendere più campioni di questa roccia, li esaminerà, per carpire informazioni sulla composizione chimica e minerale di questa.

La roccia scelta è in una zona dove la Mastcam di Curiosity e altre telecamere hanno rivelato diverse caratteristiche inaspettate, tra cui vene, noduli, doppie stratificazioni, un ciottolo brillante incorporato in pietra arenaria, e forse alcuni buchi nel terreno.

La roccia scelta per la perforazione si chiama “John Klein” in omaggio all’ex vice responsabile del progetto John W. Klein, morto nel 2011. La roccia si trova all’interno di una depressione poco profonda chiamata “Yellowknife Bay.” Il terreno di questa zona è diversa da quella del luogo di atterraggio, un corso d’acqua asciutto circa un terzo di miglio (circa 500 metri) a ovest. Il team del rover Curiosity ha deciso di cercare lì un target di foratura perché le osservazioni orbitali hanno mostrato terra fratturata che si raffredda più lentamente.

“Il segnale orbitale ci ha attirato qui, ma quello che abbiamo trovato quando siamo arrivati ​​è stata una grande sorpresa”, ha detto John Grotzinger scienziato del progetto Mars Science Laboratory, del California Institute of Technology di Pasadena. “Questa zona ha avuto un diverso tipo di ambiente umido rispetto al alveo in cui siamo atterrati.”

Una prova viene dalla ChemCam del rover che ha trovato livelli elevati di calcio, zolfo e idrogeno.

“Queste vene sono probabilmente composte da solfato di calcio idrato, come bassinite o gesso”, ha detto un membro del team ChemCam Nicolas Mangold del Laboratoire de Planetologie et de Nantes Geodynamique in Francia. “Sulla Terra, la formazione di vene come queste richiede la presenza di acqua che circola nelle fratture.”

I ricercatori hanno utilizzato il Mars mano Lens Imager (Macli) del rover per esaminare le rocce sedimentarie della zona. Alcune sono in pietra arenaria e in altre  vicinanze si trova la siltite. Queste differiscono in modo significativo dalle rocce di conglomerato di ghiaia nella zona di atterraggio.

“Tutte queste sono rocce sedimentarie e le diverse granulometrie ci racconteranno le condizioni di trasporto.” Ha detto Macli Yingst ricercatore Aileen del Planetary Science Institute di Tucson, in Arizona.

Cygnus OB212, la stella che brillerebbe come Deneb

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In alto. A sinistra, una mappa a campo medio fornisce la posizione (indicata dalla freccia all’interno del riquadro giallo) di Cygnus OB2-12, 2,2° a estnordest da gamma Cygni. A destra, l’ingrandimento del riquadro mostra in modo più accurato la locazione della stellina in un campo di 30 primi.

In alto. A sinistra, una mappa a campo medio fornisce la posizione (indicata dalla freccia all’interno del riquadro giallo) di Cygnus OB2-12, 2,2° a estnordest da gamma Cygni. A destra, l’ingrandimento del riquadro mostra in modo più accurato la locazione della stellina in un campo di 30 primi.

Avendo la fortuna di osservare la Via Lattea sotto un cielo scuro, anche il neofito o inesperto osservatore noterà come essa sia attraversata, divisa verrebbe più propriamente da dire, da lunghe aree scure dove la densità stellare sembra davvero minima; é ben noto che a produrre questo effetto selettivo, noto come estinzione della luce stellare, siano le vaste quantità di polveri interposte qua e la nel disco galattico, a volte disposte quasi come una vera muraglia che sembra impedire la visione di ciò che c’è oltre. L’effetto è ancor più evidente utilizzando un binocolo, tanto che a volte il passaggio tra le dense nubi galattiche e queste oscure fenditure polverose è netto; peraltro, numerose altre galassie come la nostra o ancor più esotiche come Centaurus A mostrano fenomeni di assorbimento della luce stellare anche più notevoli. E’ logico quindi pensare che molte delle stelle visibili ad occhio nudo tra quelle disposte lungo la Via Lattea potrebbero in realtà essere molto più luminose di come si presentano; a tutti gli effetti, esistono stelle, anche di eccezionale luminosità, la cui luce risente dell’estinzione al punto da sparire quasi del tutto alla vista. Ma come apparirebbero queste se il mezzo interstellare non avesse effetto? Considerando l’immenso numero di stelle presenti lungo la Via Lattea, sembrerebbe del tutto impossibile rintracciare tali campioni; la ricerca andrebbe ovviamente limitata a quelle che sono le stelle più luminose in assoluto, le supergiganti azzurre.

Ebbene, le più luminose tra queste si raggruppano nelle cosiddette associazioni OB, sigla che mette evidenza la loro appartenenza ai tipi spettrali più energetici; si tratta di veri e propri gruppi di giovani astri nati quasi contemporaneamente dalla stessa nube molecolare, stelle con masse 30 volte quella del Sole e temperature superficiali fino a 40.000°. Tali condizioni inducono loro un vita che generalmente non supera i 50 milioni di anni, al termine della quale deflagrano come supernovae; la loro breve vita potrebbe essere uno dei motivi per i quali le associazioni OB note nella Via Lattea sono non più di una settantina, davvero poche. Anche il numero delle componenti non è particolarmente elevato, variando mediamente tra le 10 e le 100 unità, sparse però su aree solitamente molto grandi, lunghe centinaia di anni-luce; è questo il motivo per cui l’estensione apparente di tali gruppi può rientrare in una singola costellazione o addirittura coprirne più d’una. Tra le associazioni OB più note, quella di Orione, centrata sulle tre stelle della cintura ed apprezzabile appieno con un binocolo, e Scorpione-Centauro, quest’ultima talmente estesa che molte delle stelle che delineano le costellazioni ne sono componenti effettive! Le associazioni OB furono per la prima volta catalogate a metà dello scorso secolo e da allora sono statti intrapresi approfonditi studi sulle singole componenti oltre che solo censirle.

Una delle più notevoli è Cyg OB2, situata nel mezzo dell’oscura fenditura del Cigno, l’area oscurata da polveri meglio visibile alle nostre latitudini, nettamente stagliata su una delle zone più luminose della Via Lattea. Al contrario di come si potrebbe pensare, lo spropositato numero di deboli stelle li presenti è tale impedirne l’immediato reperimento del gruppo stellare; tuttavia, l’ausilio di un buon binocolo assieme ad una buona dose di pazienza dovrebbe essere sufficiente a distinguere nei pressi di Sadr (γ Cyg), più precisamente ad 1/3 del percorso tra questa e la vicina Deneb (α Cyg), un gruppo di una quindicina di stelline sulla nona grandezza e dalla colorazione bianco-azzurrina, esteso non più di 2°; certo, non sfavillante in bellezza come altri ammassi stellari, ma sapendo quali mostri esso cela, nascosti dietro la muraglia di polveri del Cigno, varrà certamente la pena indagarlo, anche con l’aiuto di un modesto telescopio che ne permetterà di cogliere soprattutto le tonalità cromatiche delle componenti. Considerando la grande distanza, stimata in 4700 anni-luce, Cyg OB2 si estende per circa 195 anni-luce, ospitando al suo interno alcune delle stelle più calde e luminose conosciute della Galassia. Detiene il record di essere l’associazione OB col più grande numero di componenti presente in sistemi di questo tipo, tanto da annoverare circa 2600 componenti, 120 delle quali sono rare stelle di tipo O. Si tratta quindi dell’associazione OB più massiccia conosciuta: secondo stime recenti, Cyg OB2 include qualcosa come 30 mila masse solari, valore simile a quello delle più massicce regioni di formazione stellare sparse nella Galassia, massa distribuita non solo tra stelle gigantesche e luminosissime ma anche di piccola taglia, tutte non più vecchie di 3 milioni di anni! L’emissione energetica di queste e di altre associazioni OB vicine è talmente elevato da riscaldare i gas dell’enorme nube molecolare Cygnus-X, una delle più vaste regioni di formazione stellare presenti nella Galassia, le cui polveri sono proprio quelle ad affievolire molte delle stelle lungo quella visuale.

A tal proposito, osservando Cyg OB2 con attenzione sarà facile notare, non lontana dal centro geometrico di quello che a tutti gli effetti appare come un ammasso aperto molto sparso, una stella di undicesima grandezza dalla colorazione decisamente rossastra; essa indicata col numero 12 dall’astronomo Daniel H. Schulte in un catalogo del 1956 dettato dai risultati di osservazioni fotometriche e spettroscopiche effettuato su Cyg OB2, compiute con il famoso telescopio riflettore da 208 cm dell’Osservatorio McDonald. Al contrario di come essa appare, lo spettro di Cyg OB2 12, classificato come B3-B5Iae, corrisponde a quello di una supergigante azzurra dalla temperatura superficiale di 18.500° K e i cui valori di massa e raggio sono stimati rispettivamente in 110 e 246 volte quelli del Sole! Già i valori appena elencati sono da capogiro, ma è senz’altro quello relativo potere intrinseco ad essere letteralmente inimmaginabile, poiché alle –12,2 magnitudini assolute ad essa attribuite (quella del Sole è +4,75) corrisponde una luminosità assoluta pari a 6 milioni di volte quella solare! E’ proprio su questa stella che l’estinzione interstellare sferra il suo colpo migliore, tanto da indebolirne luminosità di ben 10,3 magnitudini, quantità finora ineguagliata; sono proprio le polveri interstellari ad assorbirne l’intensa luce azzurra riemettendola in seguito a lunghezze d’onda maggiori tanto da farle acquisire la tonalità rossastra con la quale si presenta all’osservazione telescopica. Non esistessero le polveri interstellari, Cyg OB2 12 splenderebbe nel bel mezzo della Via Lattea di magnitudine apparente 1,5, rendendosi appena più luminosa della vicina Deneb ed arricchendo la già splendida costellazione del Cigno di un’altra luminosa stella, dal color topazio!

Ebbene, abbiamo finalmente delineato quella che è in assoluto una delle stelle più luminose della Galassia, inferiore solo a R136a1, una stella del Dorado che detiene il record come la più massiccia conosciuta, la nota Pistol Star ed η Car durante il suo massimo del 1843! Non è certo facile idealizzare come un’anonima e debole stellina tra le sterminate abbia risposto alla nostra domanda iniziale. La natura di questa stella è comunque controversa, tanto da esibire anche irregolari variazioni spettroscopiche, spaziando tra B3 a B8 anche nel giro di un solo anno; il satellite IRAS, operante nell’infrarosso, mise in evidenza la presenza di materiale polveroso attorno ad essa, perso forse in un passato evento di tipo eruttivo. Tale fenomeno è tipico delle cosiddette variabili luminose blu (LBV), classe di variabili straordinariamente rare tanto che solo una ventina sono gli esemplari noti; queste presentano cambiamenti nella luminosità generalmente lunghi, interrotti da occasionali aumenti relazionati a sostanziali perdite di massa, come esibito da η Car e P Cyg: Cyg OB2 12 non ha mai mostrato variazioni luminose, ma la relazione tra la sua posizione nel diagramma HR, l’elevatissima luminosità intrinseca e le variazioni spettrali osservate ne fanno un ottimo candidato LBV. Ma c’è di più.

E’ ben noto, e lo abbiamo visto anche qui, che in astronomia l’aspetto di un determinato oggetto possa essere a volte ingannevole, anche in funzione di parametri come l’età e la distanza; a tal proposito, già negli anni ’60 dello scorso secolo fu proposta l’idea che l’associazione Cyg OB2 potesse essere in realtà un giovanissimo ammasso globulare, simile a quelli blu presenti in gran numero nella Grande nube di Magellano. La cosa certamente stupisce, d’altronde siamo portati a associare a questi oggetti sia rosse stelle vetuste che le enormi distanze che da loro ci separano, proiettandoli al di fuori del piano galattico; dimentichiamo invece che anch’essi erano popolati da giovani stelle azzurre in tempi remoti e che molti incrociano il piano galattico in un disegno non dissimile dalla classica rappresentazione di elettroni in moto attorno ad un atomo, proprio come Cyg OB2. D’altronde il suo numero di stelle è davvero al di fuori degli schemi per una comune associazione OB…

Sia come sia, lasciandosi trasportare ancora una volta dal pensiero, è bello immaginare come, in una futura notte, gli amanti del cielo alzeranno lo sguardo al cielo per ammirare due fari cosmici apparentemente vicini tra loro ma fortunatamente distanti da noi, maturati in diverso modo ma accomunati dalla stessa catastrofica, spettacolare fine che rischiarerà la notte con la loro bianca luce, il loro ultimo canto del Cigno.

Stelle in contromano

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La galassia a spirale controrotante NGC 5719 ottenuta con la camera a grande campo del Large Binocular Telescope. È visibile una parte del ponte di materia che collega NGC 5719 con la galassia compagna NGC 5713 e che alimenta la formazione delle stelle in rotazione retrograda. Crediti: A. Pizzella/Large Binocular Cameras Team

La galassia a spirale controrotante NGC 5719 ottenuta con la camera a grande campo del Large Binocular Telescope. È visibile una parte del ponte di materia che collega NGC 5719 con la galassia compagna NGC 5713 e che alimenta la formazione delle stelle in rotazione retrograda. Crediti: A. Pizzella/Large Binocular Cameras Team

Quando pensiamo ad una galassia a spirale ci immaginiamo una maestosa ed ordinata danza delle stelle che si muovono ordinatamente attorno al suo centro. L’esperienza accumulata dagli astronomi dipinge però un quadro non sempre così idilliaco. È stato infatti scoperto da tempo che alcune galassie a spirale contengono due distinti gruppi di stelle in rotazione con verso opposto l’uno rispetto all’altro. A prima vista queste galassie, dette “controrotanti”, sono del tutto simili alle altre e solo lo studio dettagliato della rotazione delle loro stelle e del loro gas permette di svelarne lo strano comportamento. Nei casi finora noti la frazione di stelle in moto retrogrado rispetto al resto della galassia varia dal 20 al 50 per cento. Un vero e proprio enigma per gli scienziati, ma ora il lavoro di un team di ricercatori italiani e dell’INAF in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics fornisce nuove informazioni per fornire una spiegazione convincente a questo comportamento.

“Trovarsi in una galassia controrotante sarebbe come stare nel bel mezzo di una strada a una sola corsia in cui metà delle automobili viaggia in una direzione e metà nell’altra,” spiega Lodovico Coccato dell’European Southern Observatory che ha recentemente condotto uno studio sulla struttura delle galassie controrotanti grazie ai dati raccolti con il Very Large Telescope in Cile. “Per fortuna, al contrario di quanto accadrebbe in un’autostrada priva di corsie distinte per senso di marcia, le distanze tra le stelle di una galassia sono così grandi da rendere praticamente impossibili gli scontri frontali,” continua Coccato che con i suoi collaboratori dell’Università e dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova è finalmente riuscito a raccogliere le prove utili per capire come si formano le galassie controrotanti. Si pensa infatti che si tratti di sistemi in cui inizialmente le stelle ruotavano tutte nello stesso verso. Se nel corso del tempo la galassia cattura dall’esterno una certa quantità di gas, che ruota in senso inverso rispetto alle stelle preesistenti, allora le stelle che si formeranno da questo gas si muoveranno anch’esse in direzione opposta alle stelle preesistenti dando vita ad una galassia controrotante.

Per provare definitivamente la validità di questo scenario di formazione era necessario verificare che le stelle controrotanti ruotassero nella stessa direzione del gas e fossero più giovani del resto delle stelle della galassia. Questo è proprio quanto scoperto con il Visible Multi Object Spectrograph montato sul Very Large Telescope, che ha mappato i moti delle stelle in rotazione inversa e ne ha misurato l’età in tre diverse galassie controrotanti: NGC 3593, NGC 4550 e NGC 5719. In tutti e tre i casi le stelle controrotanti sono di almeno un miliardo di anni più giovani delle stelle del resto della galassia. Inoltre, le proprietà chimiche delle stelle controrotanti sono diverse da quelle delle altre stelle, segno che le due popolazioni stellari sono nate da nubi di gas con caratteristiche differenti. “Nel caso di NGC 5719 la cattura di materiale dall’ambiente esterno sta continuando ancora oggi,” spiega Enrico Maria Corsini, ricercatore dell’Università di Padova e associato INAF. “Questa galassia a spirale è infatti collegata alla galassia compagna NGC 5713 da un ponte di idrogeno neutro, che si estende per circa 100 milioni di anni luce e alimenta la formazione delle stelle controrotanti nel disco di NGC 5719.” Contrariamente a NGC 5719, le altre due galassie studiate, NGC 3593 e NGC 4550, sono relativamente isolate e non presentano segni evidenti di interazione né con altre galassie né con materiale intergalattico. Questo significa che il processo di cattura del gas in rotazione inversa e la successiva formazione delle stelle controrotanti si conclusero molto tempo fa.

La presenza di gas, stelle o entrambi in controrotazione è stata rilevata in decine di galassie di tutti i tipi. Oltre ai casi appena considerati ci sono anche i nuclei stellari controrotanti, che si sono formati al centro di alcune galassie ellittiche a seguito della cattura di una galassia satellite, o quelle galassie lenticolari in cui il gas è di origine esterna e ruota in direzione opposta alla componente stellare. Sono tutti esempi dell’importanza del ruolo giocato dai processi di interazione nel plasmare la struttura delle galassie come oggi le osserviamo.

Per saperne di più:

  • L’articolo Spectroscopic evidence of distinct stellar populations in the counter-rotating stellar disks of NGC 3593 and NGC 4550 di L. Coccato, L. Morelli, A. Pizzella, E. M. Corsini, L. Buson e E. Dalla Bontà in pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics

Mingus la remota.. su Urania di questa settimana

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Si chiama Mingus, in onore del musicista jazz Charles Mingus, ed è una tra le supernovae più lontane mai scoperte finora.

Le supernovae sono stelle che al termine della loro evoluzione esplodono in modo violento. Mingus è tra le più lontane mai individuate, ad oltre dieci miliardi di anni luce di distanza. Averla scoperta è come aver visto una lucciola lontana 5.000 chilometri.

In realtà la supernova non è stata vista ma trovata analizzando alcune immagini dell’Universo lontano ottenute nel 2004 dal telescopio spaziale Hubble. All’epoca non si aveva la certezza della sua vera natura. Si è così dovuto attendere il 2009, quando una nuova camera è stata montata a bordo di Hubble. A quel punto il telescopio spaziale è tornato a osservare in quella direzione, fornendo immagini più dettagliate rispetto alle precedenti. Immagini che hanno confermato che laggiù era esplosa una stella.

Mingus è un tipo di supernova che permette di calcolarne la distanza con buona precisione. Più supernovae così scopriremo, più riusciremo a calcolare quanto variano con il tempo le distanze nell’Universo.

Al momento sembra che lo spazio si stia espandendo sempre più velocemente, come fosse gonfiato da una misteriosa energia oscura che però nessuno riesce a individuare. Ma che l’Universo stia accelerando la sua espansione è una conclusione che si basa sulle misure delle distanze degli oggetti celesti più lontani. E’ quindi necessario che queste misure siano le più accurate possibili e supernovae come la Mingus sono e saranno ciò che serve per raggiungere la massima precisione possibile.

Queste le notizie su URANIA di questa settimana:

  • Mingus la remota

  • Uno sguardo ad Apophis

  • Dove nascono i Giganti

URANIA è il notiziario settimanale realizzato da Luca Nobili ed Elena Lazzaretto.
Con Urania è davvero facile tenersi aggiornati sulle ultime news dell’astronautica e dell’astrofisica! Visita il sito: www.cieloblu.it

Gruppo Astrofili Lariani

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18.01: “I rilevatori di particelle” a cura di Marco Gorza sugli ultimi sviluppi nel campo della rilevazione delle particelle che sono alla base della materia.

Per info: tel. 328/0976491
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Una piccola webcam puntata su Marte

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Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.

Una camera ordinaria in un posto straordinario: così la descrive l’ESA. In un mondo mediatico fatto di telecamere nascoste che spiano e ritrasmettono online una quotidianità spesso inutile, quasi sempre scontata, ce n’è una, di webcam, che merita tutta l’attenzione possibile. E’ lontana da noi centinaia di milioni di chilometri, ha una storia travagliata, e si chiama Visual Monitoring Camera, VMC o Mars Webcam per gli amici. E’ a bordo della sonda Mars Express, in orbita intorno a Marte dal 2003. Come una vera webcam, VMC spia il pianeta rosso, e da qualche tempo pubblica senza filtro e in tempo reale le immagini scattate, in un account Flickr aperto al pubblico.

Un montaggio delle immagini della Webcam di Mars Express scattate nel 2012. Copyright: ESA- VMC Mars Web cam – Elaborazione: Emily Lakdawalla, Planetary Society.

Le singole immagini che compongono il mosaico di oggi sono state realizzate da maggio a dicembre 2012, a intervalli di tempo non costanti, e processate per creare questo magnifico poster da Emily Lakdawalla, della Planetary Society.
Tutte le foto sono state scattate da una altitudine di circa 10 000 Km dal pianeta ma con un punto di vista che cambia nei mesi, in funzione dell’orbita della sonda Mars Express. Nella loro sequenza, si possono leggere i cambiamenti climatici che avvengono sul pianeta Marte al passare dei mesi. Nelle prime immagini, realizzate a Maggio, è inquadrata l’estate e il ghiaccio si è ritirato intorno al polo nord del pianeta. In quel momento, l’orbita della sonda viene modificata per supportare l’arrivo di Curiosity, inquadrando la zona dell’atterraggio. A fine settembre, la traiettoria seguita dalla sonda fa perdere di vista il polo nord e l’attenzione si focalizza, nelle immagini realizzate tra maggio e giungo, sulle impressionanti strutture di nubi che si iniziano ad avvistare.

Malgrado la bassa risoluzione, tipica di una webcam, alcune di queste immagini meritano decisamente di essere ingrandite e osservate in dettaglio. Ma per questa operazione non è necessario far parte del team dell’ESA, scaricare software particolare o aspettare i tempi storici di un embargo. Basta digitare l’indirizzo del Blog, diventare fan dell’account Flickr o follower del loro account twitter. Perché da qualche settimana, VMC è l’unica camera attualmente esistente che condivide in tempo reale raw data con il pubblico.

La storia di VMC, che ha permesso alla camera di conquistare questo brillante primato, è particolare, fatta di impegno, di imprevisti, di fallimenti e di enormi successi. Un destino che testimonia la vita travagliata e avventurosa di una missione spaziale. All’inizio, VMC è nata come il più piccolo tra gli strumenti scientifici a bordo di Mars Express, tra cui brillano gli italiani Marsis e PFS. Anzi a dire il vero, VMC non è mai stata un vero e proprio strumento scientifico. Era stata pensata come una camera low cost, montata a bordo della sonda con l’obiettivo di scattare delle immagini del distacco della sonda Beagle 2 nel 2003. Ignara del triste destino che attendeva Beagle 2, VMC compie lo scopo per cui è stata costruita fotografando la separazione del lander. Dopo quel momento di gloria, la camera viene spenta e non se ne sente più parlare per diversi anni.

Nel 2007, il Flight Control Team della missione, di base all’ESOC (European Space Operations Centre) a Darmstadt, in Germania, ha una idea brillante e inizia una campagna di test per verificare se è possibile riaccendere quella piccola camera per realizzare delle immagini globali di Marte. E’ una vera scommessa, il team non ha idea se dopo tre anni di inattività la camera possa essere riaccesa. Inoltre il Flight Control Team è un team composto da ingegneri e tecnici e di solito non si occupa degli obiettivi scientifici della missione. Il team deve imparare un altro lavoro e, nei pochi momenti liberi, inventare un nuovo modo di utilizzare una piccola, semplice camera, nata per fare altro.

Ma VMC si riaccende, eccome. E nei rari momenti in cui non hanno la priorità gli strumenti scientifici di Mars Express, gli ingegneri imparano ad utilizzare la camera e, di errore in errore, riescono a realizzare i primi ritratti del pianeta. Tra vari problemi tecnici che focalizzano l’attenzione del team su altri aspetti della missione e lunghi periodi di spegnimento della webcam, la VMC diventa completamente operativa da maggio 2012. Da quel momento, e nel rispetto degli altri task scientifici, l’uso di VMC è inserito nelle campagne osservative di Mars Express e la webcam adempie al compito, unico nel suo genere, di realizzare foto globali di Marte da una prospettiva unica. E da qualche tempo,  inviarle direttamente sul web in tempo reale e in formato raw.

Ma le sorprese non sono finite, e grazie all’inventiva del Flight Control team i fans del pianeta rosso non si dovranno accontentare di godere di queste meraviglie in tempo reale, ma potranno partecipare in prima persona all’avventura marziana. Identificare crateri, vulcani e altre strutture geologiche, studiare il post processing delle immagini, proporre usi didattici e perché no, artistici delle immagini stesse: queste sono le scommesse lanciate dal team della missione e la sfida è lanciata a tutti gli aspiranti esploratori spaziali, invitati a iniziare il proprio viaggio verso Marte da una semplice (e molto terrestre) pagina web.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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18.01, ore 21: “L’effetto dei fenomeni astronomici sul presente e il futuro dell’umanità” di Elio Antonello.
Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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18.01: “Invito al firmamento“.

Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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17.01: “Diagrammi spazio-tempo; Buchi neri con carica elettrica; Buchi neri con momento angolare“.
Per info: tel. 348 5648190.
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Le Torri Cosmiche, un Parco Europeo del Tempo

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Ivan Coccarelli durante la realizzazione del suo Parco del Tempo, le Torri Cosmiche, accanto alla Meridiana Aurora

Molti anni fa leggendo un testo di astronomia rimasi estremamente affascinato dai racconti sui culti sothiaci dell’Antico Egitto legati all’alba eliaca della stella Sirio; essi svelavano agli occhi di un bambino l’antico legame esistente tra cielo e terra, tra  l’uomo e il cosmo…

Inoltre, le mie prime esperienze di astronomia pratica, realizzate con un piccolo rifrattore, avvenivano di frequente  in campagna dai nonni e le emozioni all’oculare spesso si fondevano con gli odori agresti del fieno o, in autunno, del mosto. Ciò, molto probabilmente, instillò in me l’interesse nei riguardi delle relazioni intercorse nei tempi tra il mondo agricolo e le “cose” celesti.

Negli anni, ispirato da quelle lontane esperienze, ho proposto, nell’ambito di varie progettazioni, tematiche poste all’interfaccia delle dimensioni cielo e terra.

L’ultima delle fatiche è stato il progetto delle “Torri Cosmiche”. L’idea progettuale nasce nel 2009, in occasione dell’IYA2009 indetto dall’UNESCO, e l’opera è stata finanziata dalla Regione Lazio.

Torri Cosmiche

“Le Torri Cosmiche” come tipologia di opera rientrano nei parchi pubblici a carattere tematico.

Tale opera in particolare vuole essere parte di un sistema progettuale più ampio e complesso definito  PET : “Parchi Europei del Tempo”.  I PET a loro volta vogliono essere una rete europea di parchi in cui il tema principale risulti il “tempo” nei suoi svariati aspetti, dal suo significato etimologico al concetto di storia, memoria collettiva, ecc. Il  primo  parco  PET  è  stato realizzato  nel  2001,  finanziato dalla  Comunità  Europea  e nato dal recupero di una ex cava di materiale lapideo (Parco Astronomico Sothis).

Ma torniamo alle “Torri Cosmiche”, il nome del parco trae origine dagli elementi architettonici principali : tre torri in acciaio corten.

Esse sono dei calendari astronomici, veri e propri gnomoni/menhir che, tramite fenditure che li attraversano, permettono ai raggi solari di colpire in certi giorni dell’anno (solstizi ed equinozi) delle lastre in marmo poste ai piedi delle torri stesse e sulle quali sono incise alcune costellazioni e simboli zodiacali. Le figure incise sulle lastre marmoree rappresentano la costellazione passante al meridiano celeste del luogo intorno alla mezzanotte vera di quel giorno in cui al mezzodì il raggio di luce solare aveva illuminato la specifica lastra.

Particolarte Solstizio Invernale
Un particolare della lastra marmorea che viene illuminata dal sole il giorno del solstizio invernale

Le costellazioni scelte, che vogliono essere (a nostro parere) quelle che rappresentano il cielo notturno nei periodi d’ingresso alle quattro stagioni, ricordano le immagini dell’Atlante astronomico di Hevelius e rispetto alla posizione reale sulla sfera celeste  risultano in posizione speculare.

Ciò, non solo per sublimare il fatto che, quando a mezzodì la costellazione rappresentata sulla lastra viene illuminata, essa si localizza realmente sulla sfera celeste in posizione diametralmente opposta a quella del Sole, ma anche per aver immaginato di guardare le costellazioni come riflesse in uno specchio d’acqua.

Equinozio - Particolare
Particolare della lastra marmorea dell'equinozio.

Il riferimento all’elemento “acqua” non risulta casuale ma come vedremo coerente con le prospettive progettuali complessive.

Le Torri inoltre raccoglieranno la luce della nostra stella (Il Sole) e, quando al tramonto il cielo svela i segreti del cosmo, emetteranno segnali elettromagnetici verso l’equatore celeste.

Il flusso energetico solare attraversando le Torri si trasformerà in segnali vitali verso il cosmo.

L’accensione e lo spegnimento del sistema di trasmissione sarà gestita utilizzando un codice ASCII ricavato dal testo del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (Galileo Galilei, 1632). Tali segnali in codice binario rappresenteranno un tentativo simbolico di inviare un messaggio verso altri mondi utilizzando il linguaggio della matematica: l’opera di Galileo trasformata in sequenza binaria!

Infine le torri emetteranno delle vibrazioni acustiche secondo modalità dettate da un sistema semi-randomico che esegue una catena di Markov producendo una sorta di “sinfonia” (non ripetitiva) della durata di 100 anni! …in attesa del 500° anniversario del telescopio galileiano (IYA2109).

Oltre alle Torri in acciaio in questo Parco del Tempo si svilupperà un percorso didattico-scientifico integrabile e sviluppabile nel tempo, anche in possibile connessione con altri siti europei, avente come tema “La misura del tempo nella storia dell’uomo”.

Inoltre la presenza nel settore di elementi rispetto ai quali il progetto PET risulta molto sensibile, ha indotto a tracciare e sviluppare nel contesto delle Torri Cosmiche interventi di recupero finalizzati alla “Valorizzazione degli ambienti ipogei, delle risorse idriche sotterranee e dei punti di emergenza (fonti) e della facies culturale connessa (Mundus Cereris)”.

In questo settore della Valle Latina in particolare, durante gli scavi TAV nei pressi di una fonte scavata nel tufo, sono venuti alla luce i resti di un santuario dedicato alla dea Demetra nel quale si svolgevano ritualità stagionali a partire dal IV sec. a.C. ed in particolare il rito del “porcellino” come testimoniato dalla stratigrafia dei pozzi votivi rinvenuti.

La presenza  in questi ultimi di ossa di animali (tipicamente maialini) e resti di semi carbonizzati testimoniano un culto centrato su rituali propiziatori delle attività agricole durante i quali le parti solide venivano affidate alla terra e offerte al mondo ctonio, mentre il fumo degli arrosti sacri e delle piante aromatiche s’innalzava invece verso il cielo ed era offerto agli dei celesti. Menhir posti in questi luoghi poi rappresentavano un ancestrale ponte eretto tra il cielo verso cui maestosamente si protendevano e la terra in cui erano infissi, archetipi di lorenziani “attrattori caotici” e d’imperscrutabili fantasie sintropiche, erano gli elementi architettonici perfetti all’ombra dei quali riunirsi e celebrare questi riti stagionali di ricongiunzione degli uomini col mondo divino degli inferi e dei cieli.

Tale vocazione di questo territorio a ritualità stagionali, che si svolgevano tipicamente nei pressi delle fonti e di ambienti tufacei (il tufo vulcanico è contemporaneamente relativamente facile da lavorare e scavare ma abbastanza solido ed autoportante), ha portato in particolare in fase progettuale a sviluppare la valorizzazione di una fonte d’acqua che si localizza topograficamente ad Est delle Torri Cosmiche.

La scelta del sito, oltre alle sue peculiarità e valenze idrologiche intrinseche, è motivata dal valore simbolico che assume nel  contesto  di questo  parco del  tempo:  all’equinozio i raggi del Sole nascente, prima di attraversare la porta equinoziale che verrà realizzata nelle vicinanze delle Torri, si bagneranno simbolicamente nelle acque della fonte. Luce, acqua, terra; elementi dal cui abbraccio nasce la vita.

Il sito della fonte è strutturato inoltre come se fosse una porta aperta nell’ambiente ipogeo; tale “porta” sembra essere rivolta verso l’esterno nella direzione in cui il Sole sorge al Solstizio d’estate (nord-est): in quel periodo dell’anno i raggi del  Sole penetrano nel varco aperto sul mondo sotterraneo per illuminare il Mundus Cereris .

Sothis
Il mito di Sothis svela l’antico connubio tra le attività rurali e le stelle: per migliaia di anni i ritmi dei fenomeni celesti scandirono le attività di uomini perfettamente integrati nell’ecosistema naturale. Essi sapevano ascoltare i lievi ed impalpabili messaggi del cosmo e trarne profitto anticipando i mutamenti naturali; cioè impararono, a differenza dell’uomo moderno, a “progettare” per prevenire ed ottimizzare le interazioni con la natura, o meglio a “sintonizzarsi” con i fenomeni naturali

Ulteriori interventi proposti in questo ambito progettuale riguarderanno la “Valorizzazione del mondo agricolo e della facies culturale connessa (Museo dell’agricoltura e Faro della memoria – Antiche ritualità dionisiache – Rapporti tra astronomia e civiltà agricola : il mondo di Sothis e Demetra)”.

Si propone in particolare la realizzazione di un’area museale (Museo della civiltà agricola) all’interno di un futuro complesso polifunzionale; quest’ultimo si qualificherà come “faro” sul territorio: il “Faro della Memoria” (Complesso polifunzionale e Centro per la promozione di attività e prodotti locali) come luogo in cui le dimensioni Spazio, Tempo e Memoria s’intrecciano in modo virtuoso.

Così come la quercia, che ha bisogno di affondare sempre più le radici nella terra per poter elevare i propri rami al cielo, il nostro territorio deve immergere le sue radici nel fiume sotterraneo della memoria per poter disegnare nuove linee sull’orizzonte degli eventi.

Nei PET si propone, quindi, un viaggio nelle proprie tradizioni, ripercorrendo i sentieri di antiche ritualità alla ricerca del Deus Loci. In questo viaggio nella memoria dei luoghi si apriranno e si dispiegheranno orizzonti antichi, ora velati dal tempo, capaci di interagire in modo attivo con il nostro orizzonte storico.

Inevitabile è  in questo viaggio l’incontro con la madre di tutte le discipline scientifiche: l’Astronomia.

Il cielo e le sue stelle furono riferimenti fondamentali per le primitive civiltà stanziali ed agricole, particolarmente per scandire il tempo delle loro attività.

Il Quadrante astronomico Sothis

Riti stagionali, culti, divinità traevano origine dall’interazione di problematiche pratiche (semina, raccolto agricolo, ecc.) con l’osservazione dei cicli naturali (giorno, notte, equinozio, solstizio, lunazione, ecc.) e delle forze naturali alle quali gli umani sembravano assoggettati in modo indecifrabile. In quel mondo lontano molte ritualità si svolgevano “all’ombra dei menhir” e nelle vicinanze di corsi d’acqua e fonti ; quest’ultime assumevano un notevole valore simbolico essendo all’interfaccia tra il mondo superficiale e quello ipogeo.

Con il tempo le fonti hanno perso questo profondo “rispetto” che gli uomini del passato avevano per questi luoghi  e questo viaggio nella memoria ha proprio lo scopo di ristabilirlo e di tentare di farlo per tutti gli elementi del territorio.

Le tre Torri Cosmiche rappresenteranno  quindi il “futuro” tracciato dall’uomo dal ritorno da quel viaggio nel passato accompagnati dalla Musa Urania e la tensione di tutto il territorio verso un domani più sintonizzato con i ritmi naturali e le dinamiche complesse del cosmo, assiomi indispensabili per un serio “sviluppo sostenibile”.

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Dove siamo : Torrice (FR)

Lat.    41° 37’ 55’’
Long. 13° 23’ 51”

Contatti : parco.astronomico@alice.it

Siti internet : www.webalice.it/parco.astronomico/index.html

http://facebook.com/ivan.coccarelli

http://letorricosmiche.blogspot.it

http://torricosmiche.myblog.it

Il Parco verrà inaugurato il 18 aprile 2015:

Herschel prende le misure ad Apophis

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Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory)

Apophis visto da Herschel nelle tre bande di 70, 100 e 160 micron. Crediti: ESA/Herschel/PACS/MACH-11/MPE/B.Altieri (ESAC) and C. Kiss (Konkoly Observatory)

Così come aveva già fatto nel novembre 2011 per l’asteroide 2005 YU55, lo scorso fine settimana il telescopio spaziale Herschel dell’ESA ha fotografato l’asteroide 99942 Apophis,  che proprio in questi giorni si è avvicinato alla Terra fino a una distanza minima di 14,5 milioni di km.  I dati ottenuti dall’osservazione hanno permesso di stabilire che Apophis è un po’ più grande  di quanto in precedenza stimato, e un po’ meno riflettente.

In particolare, il diametro è ora indicato con buona precisione attorno ai 325 metri, una misura di poco superiore ai 270 metri  precedentemente stimati. “Il 20% di incremento in diametro si traduce in un aumento del 75% delle nostre stime del volume e della massa dell’asteroide”, precisa  Thomas Müller del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics in Germania, lo scienziato che sta conducendo le analisi dei nuovi dati.

L’asteroide Apophis, come si sa, è un sorvegliato speciale: nel 2029 passerà ad appena 36.000 km dalla superficie terrestre, una distanza paragonabile a quella dei satelliti geostazionari, tanto da poter diventare visibile ad occhio nudo. Tornerà nei paraggi della Terra nel 2036, ma quanto vicino è ancora presto per dirlo con assoluta certezza. Conoscere con la massima precisione i parametri fisici dell’asteroide è quindi cruciale per prevederne la traiettoria futura in maniera accurata.

Modello della temperatura di Apophis - Crediti: ESA/Herschel/MACH-11/T.Müller MPE (Germany)

Analizzando il calore emesso da Apophis, le osservazioni di Herschel hanno anche permesso una nuova stima dell’albedo dell’asteroide, ovvero della sua capacità di riflettere la luce ricevuta. Il nuovo valore è 0,23 (quello stimato precedentemente era 0,33) e indica che il 23% della luce solare che colpisce il corpo celeste viene riflessa, mentre il resto viene assorbito e contribuisce a riscaldare l’asteroide. Anche questo dato contribuirà a prevedere il comportamento futuro dell’asteroide. Il ciclo di leggerissimi riscaldamenti e raffreddamenti del piccolo corpo spaziale, dovuti alla sua rotazione e alla diversa distanza dal sole, induce infatti nel lungo periodo dei piccoli cambiamenti nell’orbita dell’asteroide, un fenomeno noto come effetto Yarkovsky.

A questo proposito vale la pena di ricordare che, proprio basandosi su questo effetto e sulle caratteristiche di Apophis, lo scorso anno uno studente del Massachusetts Institute of Technology aveva avuto un’idea per eventualmente deviare la traiettoria dell’asteroide: dipingerlo di bianco. Questa originale strategia è risultata vincitrice del 2012 Move an Asteroid Technical Paper, una competizione annuale  sponsorizzata dallo Space Generation Advisory Council delle Nazioni Unite. Niente imbianchini spaziali: le 5 tonnellate di “vernice” necessarie sarebbero lanciate verso l’asteroide sotto forma di paintball.

Una bella congiunzione tra Luna e Giove

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Congiunzione tra Luna e Giove

Congiunzione tra Luna e Giove
Un’altra bella congiunzione tra Luna e Giove la notte tra il 21 e il 22 gennaio. Il massimo avvicinamento si avrà verso le 2:30 del mattino, quando la Luna sarà sotto il pianeta (in un riferimento altazimutale) di circa 2° e i due oggetti saranno prossimi all’orizzonte ovest. Meraviglioso il campo di stelle circostante (le Iadi, le Pleiadi…), anche se un po’ offuscato dall’eccesso di luminosità del nostro satellite.

Scene dall’inverno marziano

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Alcune immagini dell'inverno marziano scattate da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Una candida coperta di neve trapuntata di pini scuri, una distesa di dune rosate increspate dalla brina mattutina, la superficie ghiacciata di un lago dove sono visibili i primi segni di scongelamento. Potrebbero sembrare immagini scattate dall’alto di meravigliosi paesaggi invernali raccolti in vari punti del nostro sorprendente pianeta. Ma la verità è che le immagini che state guardando non vengono dal nostro pianeta. Protagonisti dei ritratti di oggi sono Marte e i cambiamenti sulla sua superficie causati dal passare delle stagioni, ripresi dall’alto dalla camera ad alta risoluzione della missione Mars Reconnaissance Orbiter.

Alcune immagini dell'inverno marziano scattate da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Proprio come sulla Terra, la causa primaria di questi paesaggi più o meno invernali è il cambiamento di temperatura dovuto all’avvicendarsi delle stagioni. All’arrivo dell’inverno, l’abbassamento della temperatura causa la precipitazione dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera marziana, provocando vere e proprie nevicate di ghiaccio secco e altri fenomeni associabili agli inverni terrestri. Questi fenomeni sono stati recentemente osservati e descritti da un interessante articolo pubblicato nel Journal of Geophysical Research. Tuttavia, la spiegazione scientifica del fenomeno non rende meno stupefacenti i paesaggi raccolti in questo album e inviati recentemente dalla MRO, la missione NASA lanciata nel 2005 e tuttora in orbita intorno a Marte.

Grazie alle indicazioni del team del JPL, possiamo descrivere il contenuto delle immagini, partendo dall’angolo in alto a sinistra e procedendo in senso orario.

Nella prima immagine, l’anidride carbonica presente nell’atmosfera marziana si è condensata in ghiaccio per l’arrivo dell’inverno e si è depositata sulla superficie, formando una distesa innevata simile ad una pista da sci non battuta. Il ghiaccio secco sublimerà di nuovo in primavera.

La seconda fotografia è realizzata al polo sud, dove le temperature sono tali da far sopravvivere del ghiaccio in forma solida per tutto l’anno marziano. Le strutture circolari dell’immagine possono essere interpretate come dei particolari iceberg marziani, delle pozze dal fondo piatto i cui bordi appaiono brillanti a causa dello scongelamento del ghiaccio.

Nella terza immagine, realizzata al polo nord, è invece visibile l’arrivo della primavera. Quelli che potrebbero sembrare pini scuri sulla neve non sono altro che tracce lasciate dall’anidride carbonica che, sciogliendosi, evapora e lascia intravedere il terreno scuro al di sotto.

L’arrivo della primavera è protagonista anche della quarta immagine, dove la crosta di ghiaccio che ricopre le dune durante l’inverno inizia a fessurarsi. La sabbia viene soffiata sopra al ghiaccio formando dei depositi o lasciando tracce scure in corrispondenza delle fessure.

Infine nell’ultima immagine sono inquadrate le dune ondulate della terra Aonia nell’emisfero sud all’arrivo dell’inverno, quando il ghiaccio inizia appena a ricoprire il lato delle dune rivolto verso il polo sud.

Per gli appassionati, altri spettacoli invernali sono presentati in questo imperdibile album del JPL. Uno dei souvenir più interessanti che sia mai stato riportato da una vacanza invernale nell’intero sistema solare.

Montecatini Val di Cecina Astronomical Association

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11/12.01: Apertura area astrofili. Osservazione cielo invernale.
Email: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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10.01: “Introduzione; Buchi neri aventi solo massa; Diagrammi spazio-tempo”.
Per info: tel. 348 5648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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SKYLAUNCH – Ogni secondo giovedì del mese.
Partiremo a bordo dei razzi che hanno dato il via alle principali missioni di esplorazione del Sistema Solare ripercorrendone il lancio, fino alle scoperte, con Stefano Capretti.

10.01: “L’avvio dell’era spaziale: la Terra vista da fuori”.
http://telescopioremoto.uai.it/
www.uai.it

Dal Sahara un frammento di crosta marziana

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Un meteorite così, da Marte, non era mai arrivato. NWA 7034 (le lettere stanno per North West Africa, visto che è stato raccolto in Marocco) è infatti diverso da ognuno dei 110 campioni di meteoriti provenienti dal pianeta rosso finora raccolti sul nostro pianeta. In compenso, assomiglia molto a quelli analizzati dai rover che hanno raggiunto Marte negli ultimi anni.

I ricercatori che lo hanno analizzato, guidati da Carl Agee dell’Università del New Mexico, scrivono su Science di questa settimana che NWA 7034 proviene probabilmente dalla crosta marziana (lo strato più esterno del pianeta, a contatto con l’atmosfera) a differenza degli altri campioni finora raccolti sulla Terra.

La scheda di NWA 7034

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NWA 7034 ha un contenuto d’acqua che è di un ordine di grandezza superiore a quello di tutti gli altri meteoriti marziani (noti come SNC, dalle località di Shergotty, Nakhla, e Chassign dove sono stati rinvenuti i rappresentanti più significativi): circa 6000 parti di acqua per milione, acqua che potrebbe venire da una sorgente vulcanica o da una falda superficiale. In ogni caso, doveva esserci acqua in superficie su Marte fino al momento in cui questo meteorite ha interagito con l’atmosfera, circa 2,1 miliardi di anni fa (quello che si chiama “primo periodo amazzoniano” nella storia geologica marziana). Inoltre, come spiega Andrew Steele della Carnegie Institution (uno degli autori), “la sua composizione è diversa da quella di tutti i meteoriti SNC. È fatto di frammenti di basalto cementati, un tipo di roccia che si forma dal rapido raffreddamento della lava in presenza di attività vulcanica. Questa composizione è molto comune nei campioni lunari, ma non in quelli marziani. La sua composizione chimica insolita suggerisce che provenga dalla crosta. L’analisi del carbonio suggerisce anche che il meteorite abbia subito processi secondari sulla superficie marziana, il che spiegherebbe la presenza di macromolecole di carbonio organico”.

Di certo, notano gli autori,  NWA 7034 è  il primo meteorite ad avere una composizione coerente con le misurazioni fatte sulla superficie marziana da rover come Spirit, o dallo spettrometro della missione Odissey; cosa che non si può proprio dire ti tutti i meteoriti SNC, che devono provenire o da altre zone del pianeta o da altri strati.

La “nostra” Andromeda in primo piano sulla copertina di Nature!

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La copertina di Nature del 3 gennaio 2013 con, in primo piano, la galassia di Andromeda by Jean-Charles Cuillandre (CFHT) e Giovanni Anselmi (Coelum Astronomia).

L’anno è iniziato con un bellissimo regalo per la nostra Redazione!

Jean-Charles Cuillandre, l’astronomo del Canada-France-Hawaii Telescope (CFHT) con cui collaboriamo da anni per la realizzazione del calendario e dei poster astronomici, ci ha fatto una graditissima sorpresa annunciandoci la pubblicazione nella copertina di Nature di questa settimana (Volume 493, Number 7430, pp62-65, 3 January 2013 > About the cover) dell’immagine della galassia di Andromeda che trovate anche nel nuovissimo Calendario CFHT/Coelum 2013 e, in versione più grande, nei Poster CFHT/Coelum.

L’occasione della pubblicazione dell’immagine di M31 in copertina della prestigiosa rivista è stata data dallo studio di una equipe dell’Osservatorio di Strasburgo (PAndAS team), che grazie allo strumento MegaCam del CFHT ha condotto una survey su Messier 31 i cui risultati sono contenuti nell’articolo su Nature e riassunti in questa comunicazione del CFHT: A vast rotating disk of dwarf galaxies surrounding the Andromeda galaxy (disponibile a breve anche in italiano sul nostro sito).

Congiunzione tra Luna e Venere il 10 Gennaio

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Congiunzione Luna Venere

Congiunzione Luna Venere
Verso le 7:30 del 10 gennaio il cielo sarà già chiaro, ma non tanto da impedire di scorgere, poco al di sopra dell’orizzonte di sudest, la Luna e Venere distanti circa 3° l’una dall’altra. L’orario non è certamente di quelli che invitano alla rilassata contemplazione del cielo, ma un’occhiata dalla finestra, magari muniti di binocolo, si potrà dare anche facendo colazione…

Ma il Sole fa davvero paura?

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Il famigerato 21 dicembre 2012, con buona pace dei peggiori catastrofisti, è ormai solo un ricordo. Come c’era da attendersi, nessuno dei paventati disastri su scala planetaria si sono verificati. Tra questi, uno dei più ‘gettonati’ era quello associato a una super tempesta solare che avrebbe investito la Terra, cancellandone ogni forma di vita. Per quelle che sono le nostre conoscenze, un evento così estremo non dovrebbe proprio verificarsi. Ma situazioni in cui la nostra stella può creare seri problemi, se non alla vita, alle infrastrutture tecnologiche di cui oggi disponiamo, quelle sì che potrebbero presentarsi, e magari anche in tempi relativamente brevi.

Su questi argomenti e in particolare sullo sviluppo di metodologie di previsione dell’attività solare e dei suoi possibili impatti sulla Terra discuteranno i ricercatori che parteciperanno al “Second Annual SWIFF Meeting”, un congresso internazionale che si terrà a Torino dal 14 al 16 gennaio prossimi e organizzato dal locale Osservatorio Astronomico dell’INAF. In particolare, nelle sessioni in programma verranno discussi i risultati del progetto europeo di ricerca SWIFF (Space Weather Integrated Forecasting Framework), finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del Settimo Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (FP7).

“Oggi conosciamo molti dei segreti del Sole, la nostra stella” dice Alessandro Bemporad, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino, membro del comitato scientifico del congresso. “Sappiamo per esempio che la sua attività segue un andamento ciclico e che circa ogni 11 anni il Sole si ‘risveglia’ per poi tornare nel suo stato di quiete apparente. Sappiamo anche che nei periodi in cui l’attività è al massimo, il Sole è capace di produrre enormi esplosioni dalla sua superficie che espellono in poche decine di minuti un’energia pari a circa 10 miliardi di bombe di Hiroshima. Questa enorme energia viene emessa sotto forma di radiazione (raggi X e ultravioletti), particelle subnucleari (protoni ed elettroni che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce) ed enormi bolle di plasma che trasportano miliardi di tonnellate di plasma solare a velocità di circa 1000 km al secondo. Tutto questo genera una tempesta spaziale.

“La vita sulla Terra per fortuna è parzialmente protetta – prosegue Bemporad –  grazie all’atmosfera che assorbe i raggi X e ultravioletti e grazie al campo magnetico terrestre, che deflette come uno scudo le particelle ed i plasmi solari. Tuttavia, l’uomo oggi dipende molto dall’uso della tecnologia e questo lo rende più vulnerabile: una tempesta spaziale di grande intensità può per esempio danneggiare anche permanentemente i satelliti per le telecomunicazioni e la rete GPS, può indurre correnti sugli elettrodotti e provocare gravi black-out di intere regioni, disturbare per ore i segnali radio ed avere effetti gravi per la salute degli astronauti eventualmente in orbita. Per questo, oggi diventa sempre più importante riuscire a prevedere l’arrivo di una tempesta spaziale ed i suoi possibili effetti sulle tecnologie umane: di questo si occupa la Meteorologia Spaziale”.

E a chiusura del convegno, il 16 gennaio alle ore 18, presso l’Hotel ‘Principi di Piemonte’ di Torino, si svolgerà una conferenza aperta al pubblico proprio su questi argomenti, tenuta da Mauro Messerotti (ricercatore INAF ed esperto di fisica solare) dal titolo “Tempeste solari: dobbiamo preoccuparci?”.

…e per conoscere meglio il Sole:

Montecatini Val di Cecina Astronomical Association

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05.01: Osservazione della Via Lattea invernale e
delle galassie.

Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org

Al Planetario di Padova

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06.01, ore 16:30 e 17:30: “Le stelle dei pirati dello spazio”.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Associazione Astrofili Bolognesi

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L’AAB organizza il ciclo di conferenze Astronomia in Città 2012 presso il Parco del DopoLavoro Ferroviario di Bologna, fino a marzo 2013 sei appuntamenti in città, ogni serata (inizio ore 21) un argomento-guida con conferenza e, meteo permettendo, osservazioni del cielo con l’aiuto dei telescopi.
Per dettagli e informazioni: tel. 348 2554552
info@associazioneastrofilibolognesi.it
www.associazioneastrofilibolognesi.it

Associazione Astrofili Centesi

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Prossimi appuntamenti:
04.01: “Oltre la via Lattea: le galassie”. Al telescopio: Giove, Pleiadi e la galassia di Andromeda.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

L’asteroide che parla cinese

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Il fato ha voluto che sucedesse tutto qualche giorno prima del fatidico 21 dicembre, comportando solo un numero limitato di articoli allarmisti e annunci della fine del mondo. Il sorvolo ravvicinato di Toutatis (leggi anche l’articolo “Due asteroidi in visita alla Terra l’11 dicembre 2012“) è avvenuto in modo silenzioso, tra l’11 e il 12 dicembre, giorno in cui il Near Earth Asteroid è passato a una distanza relativamene vicina alla Terra, ad appena 7 milioni di chilometri da noi (leggi anche l’articolo “Le olimpiadi di Toutatis“). E se l’evento non ha suscitato particolare clamore nei media, non si può dire lo stesso per il mondo scientifico. Osservatori e radar astronomici sono stati tutti puntati nella direzione dell’asteroide per sfruttare l‘occasione. Ciliegina sulla torta, le immagini inattese di una poco conosciuta sonda riprogrammata dalla Agenzia Spaziale Cinese per passare a una distanza ravvicinatissima dall’asteroide e realizzare le spettacolari immagini di oggi.

Il flyby di questa missione denominata Chang’e 2 è stato avvincente di per sé. Il 13 dicembre 2012, la sonda è arrivata ad appena 3,2 km dalla superficie dell’asteroide, viaggiando con una velocità di 10,7 km/s. Queste prime immagini diffuse sono state scattate in fase di avvicinamento, da una distanza compresa tra 93 e 240 km. In un prossimo futuro, si attendono fotografie ad altissima risoluzione, in cui saranno molto probabilmente visibili particolari di poche decine di centimetri. Queste fotografie diffuse dall’agenzia spaziale cinese, ancora poco propensa a rilasciare dati e informazioni sulle proprie missioni, sono rimbalzate sui media asiatiaci fino ad arrivare in occidente, dove fino a quel momento, si sapeva ben poco della nuova fase della missione Chang’e.

A posteriori, potremmo dire che la storia della sonda cinese è la storia di un triplo successo. Chang’e 2 è stata lanciata nel 2010 come seconda tappa del Chinese Lunar Exploration Program, compiendo egregiamente il proprio compito primario. Primo successo. Alla conclusione di questa prima fase di studio della Luna, la sonda è stata diretta verso il punto Lagrangiano L2, il punto di equilibrio del campo gravitazionale del sistema Terra-Sole, per testare le capacità cinesi di navigazione e controllo di missione. L2 è un punto di estrema importanza per le missioni spaziali, posizionato a 1.5 milioni di Km dalla Terra, sempre in direzione opposta al Sole. L’obiettivo è stato raggiunto il 25 agosto 2011, facendo della Cinese, dopo la NASA e l’ESA, la terza agenzia spaziale a conquistare questa ambiziosa orbita. Secondo successo. Invece che mantenere questa posizione, ad aprile Chang’e è stata diretta quasi in segreto verso un terzo obiettivo, un asteroide sconosciuto fino a poco tempo fa. La Cina è stata cosi’ il quarto paese ad aver compiuto il flyby ravvicinato di un asteroide. Terzo successo.
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Ma veniamo al protagonista del flyby, il NEO Toutatis. Le immagini realizzate dalla sonda cinese (video in alto), insieme ai fondamentali dati del radar Goldstone (in basso il video ricavato dai 64 frame ripresi il 12-13 dicembre scorso) mostrano l’asteroide che prende il suo nome da una divinità celtica come un grande sasso dal diametro medio di circa 5 km. O per meglio dire, come due grandi sassi di densità diversa, saldati insieme. Dalle prime analisi, il sasso più piccolo sembrerebbe essere il 15% più denso rispetto a quello più grande e i due lobi sembrerebbero avere dei nuclei più densi rispetto alla superficie.
Questi dati potrebbero  indicare che Toutatis è in realtà un insieme di rocce e detriti provenienti da qualche collisione avvenuta in passato nella fascia principale. Inoltre, essendo così irregolare, Toutatis viaggia nello spazio come una palla da rugby colpita a una delle estremità, rotolando su se stessa e rendendo la sua traiettoria difficilmente prevedibile.
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Una difficoltà aggiuntiva nello studio e monitoraggio di questo asteroide, uno dei più grandi tra quelli potenzialmente pericolosi per la Terra e contemporaneamente, una vecchia conoscenza per il nostro pianeta. Toutatis, infatti, nel percorrere il suo giro attorno al Sole, passa una volta ogni 4 anni ad una distanza minima dalla Terra, rendendo questi passaggi ravvicinati del nostro pianeta degli appuntamenti periodici.
Intendiamoci. Sappiamo già che Toutatis non colpirà la Terra per altre centinaia di anni, ma le nuove osservazioni permetteranno ai ricercatori di prevedere la sua traiettoria con più sicurezza e per un futuro più lontano. Oltre ad avere informazioni scientifiche sul passato del sistema solare.

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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04.01: Serata di astronomia in sede e osservazione cielo coi telescopi sociali.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Al Planetario di Padova

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05.01, ore 16:00: “Le Favole Celesti. L’origine dell’Universo e la vita sulla Terra”.
05.01, ore 17:30: “Le Favole Celesti. Stelle/Stars”.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Associazione Astrofili Centesi

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04.01: “Oltre la via Lattea: le galassie”. Al telescopio: Giove, Pleiadi e la galassia di Andromeda.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Montecatini Val di Cecina Astronomical Association

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03.01: Osservazione dello sciame meteorico delle
Quadrantidi.

Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org

Al Planetario di Padova

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04.01, ore 21:00: “Storie e stelle del cielo di Gennaio” e proiezione di “Due piccoli pezzi di vetro”.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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Una Costellazione sopra di Noi – Ogni primo venerdì del mese, Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI) vi condurrà in un viaggio attorno a una costellazione del periodo. Osservazioni in diretta con approfondimenti dal vivo.

04.01: “La costellazione di Orione”.

http://telescopioremoto.uai.it/
www.uai.it

Mercurio: trova le differenze!

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Due immagini di Mercurio realizzate da Messenger in diverse condizioni di illuminazione. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington

Sembra un gioco per bambini. Stesso pianeta, stesso strumento, stessa inquadratura. Eppure, trovate delle differenze tra le due immagini? Basta modificare le condizioni di illuminazione per vedere comparire, come per magia, una enorme dirupo di 400Km di lunghezza. A parte i giochi, il concetto celato nelle immagini è semplice: per studiare un pianeta in remoto è fondamentale pianificare le osservazioni e usare intelligenza e furbizia nel definire le migliori condizioni di misura.

Due immagini di Mercurio realizzate da Messenger in diverse condizioni di illuminazione. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington

Le due immagini sono state realizzate da Messenger sul pianeta Mercurio. L’artefice delle fotografie è lo strumento MDIS (Mercury Dual Imaging System) in due fasi diverse della missione. Malgrado le due fotografie siano state realizzate da una distanza simile, quando lo strumento inquadrava la stessa porzione del pianeta, la differenza è ben evidente anche per l’occhio più inesperto.

Nella fotografia a destra, molti crateri risultano più profondi, alcuni sembrano comparire dal nulla, ma soprattutto fa bella mostra di sé la Discovery Rupe, un immenso dirupo di oltre 400km che sembra praticamente invisibile nella inquadratura di sinistra. In realtà, la differenza tra le due immagini è molto più importante di quanto possa sembrare. I due scatti sono stati realizzati con due diverse illuminazioni, con angoli di incidenza del sole (angolo tra la verticale al suolo e la posizione del sole) di 62° e di 85.6°. L’immagine  a destra è stata quindi scattata quando la luce era molto radente, per intenderci, al tramonto, quando il sole proietta lunghe ombre al suolo, evidenziando strutture altrimenti invisibili. Una condizione che conosciamo bene anche sulla Terra ma che, nell’osservazione di altri pianeti, può risultare particolarmente utile.

Le due immagini permettono di evidenziare uno dei task scientifici della “extended phase”, fase estesa della missione. Tra gli obiettivi scientifici della fase principale, conclusasi a Marzo 2012, c’era la realizzazione di una mappa morfologica con risoluzione media di 250 metri per pixel che coprisse più del 90% della superficie del pianeta. Una volta completato questo task primario, l’asticella è stata spostata più in alto. Grazie a una raffinata e complessa pianificazione delle osservazioni, Messenger sta oggi realizzando immagini della superficie del pianeta con una risoluzione di 200 metri per pixel e soprattutto, con l’illuminazione del sole vicino all’orizzonte. Le immagini realizzate in queste condizioni sono già oltre 80.000 e continueranno ad aumentare in questa extended fase di circa un anno, permettendo di identificare crateri, montagne, dirupi e altre strutture geologiche altrimenti invisibili.

Per saperne di piu: Leggi l’articolo

Gruppo Astrofili Rozzano

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Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri i venerdì e sabato: 07/08, 14/15 e 30/31 dicembre.

I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.166 – 2013

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vignetta166

vignetta166

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.166 – 2013. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

VESTA ancora brillante nel Toro (451) Patientia si incontra con la cometa ISON

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Asteroidi
Il percorso apparente di Vesta durante il mese di gennaio. L’asteroide si muoverà in senso retrogrado tra le corna del Toro, mantenendo sempre una luminosità tale da essere facilmente trovato anche con un binocolo. La vicinanza a Giove, e il campo stellare ricco e variegato faranno di Vesta l’asteroide più fotogenico del momento.
Asteroidi
Il percorso apparente di Vesta durante il mese di gennaio. L’asteroide si muoverà in senso retrogrado tra le corna del Toro, mantenendo sempre una luminosità tale da essere facilmente trovato anche con un binocolo. La vicinanza a Giove, e il campo stellare ricco e variegato faranno di Vesta l’asteroide più fotogenico del momento.

Qualche settimana fa mi è capitato di vedere a tarda notte un vecchissimo film risalente addirittura al 1931; il primo mai realizzato intorno alla figura del conte Dracula… La cosa singolare è che a un certo punto della vicenda, il conte si trasferisce dalla Transilvania in Inghilterra viaggiando a bordo di una goletta di nome… Vesta! Subito mi si è accesa una luce… Sapevo che il racconto da cui era stato tratto il film era stato scritto da John Polidori, il medico personale di Byron, nel 1816 (e pubblicato nel 1819). Vuoi vedere, mi sono detto, che il dottor Polidori aveva un qualche interesse per l’astronomia, tanto da chiamare Vesta la goletta in onore dell’asteroide scoperto nel 1807, solo qualche anno prima? O magari, chissà, era un buon amico di Olbers, lo scopritore? Recuperato il testo originale di Polidori (che non avevo mai letto) mi sono però accorto con raccapriccio che nel suo “Il vampiro”, non c’era assolutamente traccia di una goletta di nome Vesta! Riavutomi dalla sorpresa, ho appreso che il film del 1931 non era stato tratto dal lavoro di Polidori, ma dal romanzo “Dracula” dell’irlandese Bram Stocker, pubblicato più tardi, nel 1897. Va bene, mi sono detto, vorrà dire che era Stocker ad avere interesse per l’astronomia! Così, mi procuro il romanzo, lo sfoglio, e… maledizione, della imbarcazione di nome Vesta non c’era traccia nemmeno lì! Per farla breve, alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza che la storia della goletta con quel nome doveva essere stata una trovata del regista Tod Browning. Tanto che per la terza volta mi ritrovai a pensare… “Forse era lui l’appassionato di astronomia”! No, nemmeno un po’. Nella sua biografia non ho trovato il benché minimo accenno alla cosa. Però… sono forse riuscito a scoprire il motivo che potrebbe averlo spinto a scegliere quel nome. Narrano le cronache che nel 1836, una goletta che portava il nome dell’asteroide scoperto da Olbers era naufragata sulle coste inglesi perdendo misteriosamente l’intero equipaggio di sette uomini. Una vicenda assai simile a quella descritta nel film, dove l’imbarcazione che trasportava Dracula arrivò in Inghilterra senza traccia dei sette marinai a bordo. Insomma, probabilmente Browning si era servito di un tragico fatto di mare per risvegliare con l’assonanza del nome il senso di tragedia che si doveva respirare nel film…

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.166.

Al momento tutto confermato per le DUE SUPER COMETE in arrivo

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comete 166
comete 166
Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di gennaio. La cometa, che sta accendendo l’entusiasmo di milioni di appassionati, si muoverà nei Gemelli, e la sera del 16 si troverà 30 primi a sud di Castore.

Beh se avrete modo di leggere queste righe vuole dire che il 21 dicembre non è successo nulla di irreparabile… e pertanto possiamo sperare di dedicarci all’osservazione del Cielo per almeno altri 5300 anni. Mancando al momento comete in grado di arrivare almeno ad una magnitudine binoculare, non possiamo che centrare la rubrica sull’andamento fotometrico dei due “mostri” che si
stanno avvicinando alla parte interna del sistema solare.

tabella comete166

La prima metà di gennaio la C/2011 L4 (Panstarr) si muoverà nella coda  dello Scorpione, per poi passare nella ancora più meridionale costellazione della Corona Australe. Oltre ad essere molto bassa di declinazione sarà anche in congiunzione eliaca per cui inosservabile alle nostre latitudini; per vederla si dovrà aspettare la seconda metà di marzo. I dati osservativi raccolti nelle ultime settimane confermano che passerà il perielio il 10 marzo con una magnitudine NEGATIVA, per cui noi, con ogni probabilità, la potremo osservare a fine marzo, prima dell’alba, intorno alla magnitudine ZERO. L’altra super sorvegliata, la C/2012 S1 (Ison), si troverà in gennaio nei Gemelli, dove si muoverà mostrandosi all’incirca di mag. +16. Al momento viene prudenzialmente stimata a -4,5 per il perielio del 13 novembre.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 67 di Coelum n.166.

Nel Cielo – NELLA LUCE DELLA Nebulosa di Orione

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Nel Cielo
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.
Nel Cielo
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.

Se parliamo di iconografie, la costellazione di Orione viene per lo più identificata con la grande nebulosa M42 (che ci riserviamo di trattare ampiamente nel prossimo numero), o con la Testa di Cavallo (vedi Coelum dicembre 2009) …due oggetti certamente straordinari, ma che non esauriscono di sicuro l’impressionante mole di nebulose e ammassi che quasi si
sovrappongono l’un l’altro nel cuore della costellazione. In questo numero ne proponiamo tre; i primi due abbastanza ovvi, il terzo un po’ meno.

NGC 1981 – Anche a un’indagine frettolosa risulta quasi impossibile non vederlo…
si tratta infatti di un ammasso di notevoli dimensioni angolari (grande quasi come il disco lunare) e di forte luminosità apparente (mag. +4,2). Stiamo parlando di NGC 1981, un gruppo di stelle visibile anche ad occhio nudo nelle notti più scure; le sue componenti più luminose sono infatti una decine di giovani (5 milioni di anni) stelle azzurre di magnitudine compresa fra la +6 e la +8. Malgrado la sua evidenza (è sufficiente un binocolo 10×50 per risolverlo completamente in nottate limpide), questo ammasso fu individuato soltanto il 4 gennaio 1827 da John Herschel, che lo descrisse al tempo come: “Molto brillante,
dalla forma irregolare. Una manciata di stelle brillanti, molto sparse”. Possibile che nessuno lo abbia mai notato prima? Beh, a parte che lo disegnarono in molti già alla fine del Seicento (e per primo Galileo nel Sidereus Nuncius), il fatto che sia stato “scoperto” così tardi potrebbe significare semplicemente che i predecessori non lo considerarono un ammasso, ma un semplice asterismo.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici,  le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 54 di Coelum n. 166.

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