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Al momento tutto confermato per le DUE SUPER COMETE in arrivo

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comete 166
comete 166
Il percorso apparente della C/2012 S1 (Ison) durante il mese di gennaio. La cometa, che sta accendendo l’entusiasmo di milioni di appassionati, si muoverà nei Gemelli, e la sera del 16 si troverà 30 primi a sud di Castore.

Beh se avrete modo di leggere queste righe vuole dire che il 21 dicembre non è successo nulla di irreparabile… e pertanto possiamo sperare di dedicarci all’osservazione del Cielo per almeno altri 5300 anni. Mancando al momento comete in grado di arrivare almeno ad una magnitudine binoculare, non possiamo che centrare la rubrica sull’andamento fotometrico dei due “mostri” che si
stanno avvicinando alla parte interna del sistema solare.

tabella comete166

La prima metà di gennaio la C/2011 L4 (Panstarr) si muoverà nella coda  dello Scorpione, per poi passare nella ancora più meridionale costellazione della Corona Australe. Oltre ad essere molto bassa di declinazione sarà anche in congiunzione eliaca per cui inosservabile alle nostre latitudini; per vederla si dovrà aspettare la seconda metà di marzo. I dati osservativi raccolti nelle ultime settimane confermano che passerà il perielio il 10 marzo con una magnitudine NEGATIVA, per cui noi, con ogni probabilità, la potremo osservare a fine marzo, prima dell’alba, intorno alla magnitudine ZERO. L’altra super sorvegliata, la C/2012 S1 (Ison), si troverà in gennaio nei Gemelli, dove si muoverà mostrandosi all’incirca di mag. +16. Al momento viene prudenzialmente stimata a -4,5 per il perielio del 13 novembre.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 67 di Coelum n.166.

Nel Cielo – NELLA LUCE DELLA Nebulosa di Orione

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Nel Cielo
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.
Nel Cielo
Una bella ripresa fotografica dell’ammasso aperto NGC 1981 inquadrato in un campo di 40'. Disegnato da poche ma luminose componenti, è sicuramente uno degli oggetti più belli del suo tipo, specialmente se osservato a bassi ingrandimenti. Verso sud, nella foto appaiono già le propaggini più settentrionali della sottostante nebulosa NGC 1977, inosservabili visualmente.

Se parliamo di iconografie, la costellazione di Orione viene per lo più identificata con la grande nebulosa M42 (che ci riserviamo di trattare ampiamente nel prossimo numero), o con la Testa di Cavallo (vedi Coelum dicembre 2009) …due oggetti certamente straordinari, ma che non esauriscono di sicuro l’impressionante mole di nebulose e ammassi che quasi si
sovrappongono l’un l’altro nel cuore della costellazione. In questo numero ne proponiamo tre; i primi due abbastanza ovvi, il terzo un po’ meno.

NGC 1981 – Anche a un’indagine frettolosa risulta quasi impossibile non vederlo…
si tratta infatti di un ammasso di notevoli dimensioni angolari (grande quasi come il disco lunare) e di forte luminosità apparente (mag. +4,2). Stiamo parlando di NGC 1981, un gruppo di stelle visibile anche ad occhio nudo nelle notti più scure; le sue componenti più luminose sono infatti una decine di giovani (5 milioni di anni) stelle azzurre di magnitudine compresa fra la +6 e la +8. Malgrado la sua evidenza (è sufficiente un binocolo 10×50 per risolverlo completamente in nottate limpide), questo ammasso fu individuato soltanto il 4 gennaio 1827 da John Herschel, che lo descrisse al tempo come: “Molto brillante,
dalla forma irregolare. Una manciata di stelle brillanti, molto sparse”. Possibile che nessuno lo abbia mai notato prima? Beh, a parte che lo disegnarono in molti già alla fine del Seicento (e per primo Galileo nel Sidereus Nuncius), il fatto che sia stato “scoperto” così tardi potrebbe significare semplicemente che i predecessori non lo considerarono un ammasso, ma un semplice asterismo.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici,  le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 54 di Coelum n. 166.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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01.02: Proiezione “Cavalcata nella Via Lattea sul
cocchio dell’Auriga” a cura di Roberto Ratti.

Associazione Astrofili Centesi

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Prossimi appuntamenti:
28.12: Al telescopio: Luna e Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Associazione Astrofili Centesi

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28.12: Al telescopio: Luna e Giove.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Al Planetario di Padova

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Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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27.12: Argomento da decidere.

I Martedì della scienza. Sala conferenze-Cascina Grande, Biblioteca Civica, Via Togliatti, Rozzano.
Informazioni GAR: 380 3124156 e 333 2178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Al Planetario di Ravenna

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27.12, ore 15:00: “Vacanze sotto le stelle: il cielo delle feste”(attività adatta a bambini a partire da 6 anni). Ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Una caccia galattica

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Un esempio di immagini di due 'buchi' nello spazio (colonna a sinistra) e due nuvole di polveri fredde (colonna a destra). Le riprese di Spitzer sono riportate in blu, mentre la radiazione captata da Herschel, che evidenzia la presenza di polvere molto più fredda, è rappresentata in colore oro. Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/Hi-GAL Consortium ; NASA/JPL-Caltech

Avete una buona vista e ottimo spirito di osservazione? Vi sentite un po’ novelli Sherlock Holmes con la passione dell’astronomia? Se a queste domande la vostra risposta è sì, allora potreste essere le persone adatte a partecipare al progetto del portale web zooniverse.org che prende il nome di Milky Way Project.

Un esempio di immagini di due 'buchi' nello spazio (colonna a sinistra) e due nuvole di polveri fredde (colonna a destra). Le riprese di Spitzer sono riportate in blu, mentre la radiazione captata da Herschel, che evidenzia la presenza di polvere molto più fredda, è rappresentata in colore oro. Crediti: ESA/Herschel/SPIRE/Hi-GAL Consortium ; NASA/JPL-Caltech

La missione è tanto semplice quanto ambiziosa: confrontare le immagini della regione del piano della nostra galassia raccolte dagli osservatori orbitanti Spitzer della NASA ed Herschel dell’ESA, alla caccia di ‘buchi’ nelle zone dove di addensano fredde nubi di polveri. La questione è nata in seguito all’analisi delle immagini raccolte da Spitzer, che mostrano a volte zone scure proprio nel centro di nuvole di gas e polveri molto brillanti. Per gli astronomi questo fenomeno era dovuto alla presenza di ammassi di polveri ancora più fredde che la strumentazione del satellite non riusciva a identificare. La prova finale poteva darla proprio Herschel, che opera a lunghezze d’onda maggiori e che quindi avrebbe avuto le carte in regola per individuarle. Ebbene, dal confronto delle riprese ottenute nella campagna di osservazioni del piano galattico denominata Hi-Gal, è emerso che in alcuni casi le zone buie di Spiter lo erano anche per Herschel. E dunque, il ‘nero’ era dovuto proprio all’assenza di materia. In altre parole, in alcune nubi erano stati scoperti dei veri e propri buchi.

“Herschel è il solo strumento che possa chiarire senza ombra di dubbio se queste strutture in assorbimento viste da Spitzer sul Piano Galattico siano dense nubi oscure o solo buchi nel cielo: se sono brillanti nelle bande Herschel allora sono nubi dense, altrimenti no” sottolinea Sergio Molinari, dell’INAF-IAPS, che guida il team internazionale di scienziati coinvolti nel progetto Hi-Gal. “È semplice a dirsi, ma quando le posizioni da controllare sono decine di migliaia allora diventa indispensabile avere a disposizione una Survey come Hi-GAL che mappa in modo uniforme tutto il piano della Via Lattea nel lontano infrarosso dove queste nubi dense e fredde sono brillantissime. Con le sue 900 ore di tempo osservativo, ed unico a guida Italiana, Hi-GAL è il piu grande Key-Project Herschel in tempo aperto”.

Questo confronto, data la sterminata messe di dati raccolta dalle due missioni, finora è stato completato dai ricercatori solo per una piccolissima porzione del totale. A peggiorare le cose, l’analisi non può essere affidata, come in altre survey astrofisiche, ai computer. “Il problema è che le nuvole di polvere interstellare non si presentano in forme facilmente riconoscibili e codificabili” dice Derek Ward-Thompson, dell’Università del Central Lancashire, a capo di questo progetto. “Le immagini sono troppo ingarbugliate per le analisi dei computer e ce ne sono tantissime ancora da verificare. Un lavoro impossibile da completare noi soli”.

Ecco allora che scatta l’idea di coinvolgere anche altre persone inserendo la raccolta delle immagini ancora da analizzare nel sito Milky Way Project che, a due anni dal suo lancio e con il contributo di oltre 40.000 volontari, ha già prodotto il più grande catalogo astronomico di zone di formazione stellare e la mappatura di ammassi stellari, galassie distanti e molto altro. “È molto istruttivo vedere come per analizzare questa immensa mole di dati lo strumento più affidabile sia ancora l’occhio umano” continua Molinari. “Questo prova che sul piano dello sviluppo di algoritmi per analisi dati automatica c’è ancora tantissimo lavoro da fare”.

Se anche voi volete partecipare, il primo passo è quello di visitare il sito del Milky Way Project, sezione “clouds” e iscriversi. Buona caccia!

L’astronomia ebraica medievale nel Sefer Youhasin

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Il Libro delle discendenze, in ebraico Sefer Yuhasin, di Ahima’az ben Partiel è noto agli studiosi dal 1895, anno della scoperta di un manoscritto conservato nella Biblioteca Capitolare presso la Cattedrale di Toledo in Spagna. Esso fa parte di una raccolta di codici donata alla Biblioteca dal cardinale Francesco Saverio Zelada (Roma 1712-1801), personalità di gran prestigio ecclesiastico e di vasti interessi culturali, infatti, raccoglie una notevole biblioteca (ora nella Vaticana), una ricca collezione numismatica, varie opere d’arte e s’interessa pure di Scienza. Da Prefetto agli Studi presso il Collegio Romano, vi erige un Osservatorio astronomico. Zelada, nato e cresciuto a Roma, è memore delle proprie origini iberiche e nel suo testamento dispone che una trentina di manoscritti ebraici sia donata alla Biblioteca di Toledo. Esecutore delle disposizioni testamentarie è il card. F. A. Lorenzana.

Se per gli studiosi è stato agevole capire come il codice sia approdato in Spagna, molto più complesso è stato comprendere come questi manoscritti siano giunti nelle mani dello Zelada. Si possono formulare solo congetture tenendo presente la carriera ecclesiastica dell’alto prelato. Tra i molti importanti incarichi, sappiamo che, tra il 1780 e il 1798, Zelada è anche visitatore della Casa dei Catecumeni, la speciale istituzione che prepara al battesimo gli ebrei convertiti al cristianesimo. Con ogni probabilità, i manoscritti possono essere stati il dono di uno o più neofiti con una certa levatura sociale oppure legalmente acquistati dallo stesso cardinale. È, in ogni caso, certa la provenienza dall’ambiente giudaico romano, ma è assai probabile che la raccolta scaturisca dalle requisizioni operate dallo Stato della Chiesa.

Il Sefer è contenuto in un codice miscellaneo ottenuto dalla composizione di più manoscritti indipendenti databili tra i secoli XIV e XV, consta di 83 fogli pergamenacei ed è autenticato con lo stemma di Zelada. Nei fogli di guardia all’inizio del volume vi è un indice firmato da Giovanni Antonio Costanzi, un’ebraista convertitosi nel 1731 ed autore di un gran numero d’annotazioni contenute a margine di molti manoscritti giudaici. Nel volume, insieme alla Cronaca di Ahima’az, figurano tra i vari manoscritti un’interessante tavola d’effemeridi valida per 14 anni ad iniziare dal 5266 ebraico (cioè il 1506) con le date relative al novilunio nei mesi di Tishri (settembre-ottobre) nei quali cade il Capodanno ebraico e lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario in cui si osserva un rigoroso digiuno che inizia prima del tramonto e termina con l’apparizione delle stelle la notte successiva. Le effemeridi si basano sui calcoli di Isaaq ben Menahem, un esegeta romano vissuto a cavallo tra il XIII e XIV secolo. Molto interessanti anche i due quadernetti relativi a questioni attinenti il Calendario ebraico. Già questi elementi conferiscono al codice un certo motivo d’interesse in ambito strettamente astronomico, però è il Sefer, vale a dire la Cronaca, l’elemento di maggior richiamo perché il manoscritto in ebraico non è solo un componimento letterario, variamente romanzato, delle vicende di una stirpe, ma è il racconto di una dinastia d’astronomi/astrologi particolarmente importanti tra i secoli VIII e XI. Lo stesso autore del Sefer è, oltre che un profondo conoscitore delle Scritture e della mistica ebraica, anche prosecutore di antiche e dotte conoscenze.

Ahima’az nasce a Capua nel 1017 in seno ad una delle comunità ebraiche sorte in Italia dopo la deportazione romana, ma le sue origini sono pugliesi, nell’importante comunità di Oria in Terra d’Otranto.

La Cronaca inizia con un proemio in cui l’autore esprime la volontà di narrare le vicende della sua famiglia, formulando lodi e preghiere per la buona riuscita dell’opera. La narrazione prende l’avvio con l’insediamento degli antenati, giunti in Oria con la deportazione in Italia di migliaia d’ebrei, conseguente all’espugnazione di Gerusalemme operata da Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano, nel 70 d.C., ma, di fatto, la storia inizia con le vicende dell’avo Ammittai, poeta e sapiente vissuto tra la fine del VIII secolo e gli inizi del successivo, e quelle dei figli Shefatiah, Hananeel ed El’azar, tutti e tre “esperti di dottrine mistiche, compositori di rime, conoscitori di misteri, investigatori della Hochmah, indagatori della Binah, sussurratori dell’arcano”, studiosi della Torah e guide spirituali nella loro comunità. La storia dei tre fratelli s’intreccia con quella di tale Abu Aron di Bagdad, un esule che deve averla combinata veramente grossa nella sua terra per essere stato costretto ad un esilio così lontano. Questo personaggio è sicuramente Abu Aron ben Shamuel ha-Nasì, di cui si parla anche in altre fonti ebraiche medievali. Aron nelle fonti è descritto come un grande Maestro di mistica esoterica. L’autore del Sefer lo descrive come interprete di segreti divini, conoscitore del cielo, dotato di grande levatura dottrinale e alquanto radicale nella condotta morale, tanto da far condannare a morte diverse persone nella comunità oritana. Sicuramente la fama di Abu Aron nelle comunità ebraiche era notevole, l’attività nelle accademie documentata, ma non ci sono giunti testi che portino la sua firma. L’inserimento di episodi relativi a questo personaggio illustre nel racconto della genealogia dell’autore pone dunque qualche interrogativo. Gran risalto è posto nella figura di Shefatiah ben Ammittai che riesce a strappare all’imperatore Basilio I esclusivi privilegi per la sola comunità ebraica oritana, dopo aver guarito a Costantinopoli la figlia dell’imperatore da una malattia misteriosa che l’autore attribuisce ad una possessione diabolica. Le gesta di Shefatiah, pur possibili, non trovano riscontri oggettivi nelle vicende storiche e, con ogni probabilità, sono un’invenzione letteraria dell’autore della Cronaca.

Hananeel, secondogenito di Ammittai e avo diretto di Aima’az, è uno dei protagonisti nelle cui vicende sono maggiormente manifeste le conoscenze astronomiche dell’intera dinastia, infatti, nella Cronaca si racconta dell’insolita scommessa fatta da costui con il vescovo della Città, circa la comparsa in cielo del primo crescente lunare. La prima sottile falce lunare era di basilare importanza per il computo del calendario religioso ebraico perché il primo giorno del mese cadeva in quello del novilunio e nell’antichità la proclamazione dell’inizio del mese era fatta ufficialmente dal Sinedrio sulla base di testimonianze dirette ed affidabili. Già a metà del IV secolo, l’astronomo Rabbi Hillel II aveva definito un sistema basato sui calcoli astronomici, in grado di determinare l’inizio del mese liturgico senza dipendere dall’osservazione diretta della sottile falce lunare, però l’uso corretto di tali effemeridi era appannaggio di pochi specialisti e perciò erano frequenti gli errori.

Nella pregevole traduzione del noto ebraista Cesare Colafemmina [Sefer YuhasinLibro delle DiscendenzeVicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX – XI, Messaggi 2001], leggiamo nella Cronaca di quest’episodio nel quale Hananeel conversa con il vescovo della città intorno a questioni teologiche, però, ad un certo punto, la discussione s’incentra sul calcolo delle fasi lunari e siccome l’indomani sarebbe stato il primo giorno del mese, il vescovo chiede al sapiente interlocutore se sappia indicare, con la massima precisione, l’ora di comparsa del primo crescente. Hananeel, forse con troppa leggerezza, fornisce una risposta al quesito, però il vescovo (in base alle coordinate storiche dovrebbe trattarsi di Teodosio), preventivamente informatosi, contesta l’orario indicato dal rabbi e gli risponde: “Se questo è il tuo calcolo sulla Luna, non sei pratico in computi!…Oh mio sapiente Hananeel, se il novilunio avverrà secondo i miei calcoli, tu farai la mia volontà: ti convertirai alla mia legge e al libro del mio Vangelo, lasciando la tua fede e le ordinanze della tua Torah…Se invece avverrà secondo i tuoi calcoli, io adempirò la tua volontà: ti darò il mio miglior cavallo, quello riservato a me per il giorno del trono, del valore di 300 pezzi d’oro, oppure ti darò l’equivalente in denaro”. Entrambi accettano le condizioni e la scommessa è sancita alla presenza di notabili e magistrati. Il vescovo quindi ordina a vari uomini di appostarsi sulle torri più alte per avvistare la prima falce lunare e comunicarne tempestivamente l’orario esatto. Hananeel rientrato a casa, per scrupolo si applica al calcolo e, sgomento, si accorge di aver consultato effemeridi viziate da errori, quindi corre ad avvisare i parenti e gli altri della comunità per informarli della disavventura e a supplicarli affinché levino preghiere per far compiere dall’Altissimo un prodigio che lo salvi, perché preferirebbe piuttosto la morte anziché diventare un apostata. L’indomani sera Hananeel si porta sul tetto della sua dimora per implorare Dio e, all’orario calcolato per la comparsa del primo crescente, la Luna rimane miracolosamente nascosta fino il giorno successivo, inficiando la scommessa giacché anche gli osservatori posti dal vescovo non vedono nulla. Nel mattino seguente il vescovo, pur sapendo di aver avuto ragione, riconosce a Hananeel la vittoria nella disputa e gli consegna le 300 monete d’oro che il rabbino dispenserà totalmente in opere di beneficenza.

Il racconto offre, se trattasi di fatti autentici, un vivace spaccato storico in seno all’importante comunità ebraica medievale di Oria, dei rapporti tolleranti e cordiali con il clero cristiano, ma anche dell’esistenza di persone preposte all’osservazione del cielo, benché per finalità non propriamente scientifiche, ma piuttosto funzionali alla regolazione del calendario. Questo racconto è anche importante perché contraddice, in modo manifesto, un luogo comune che vuole gli ebrei come un popolo poco interessato all’osservazione del cielo e ai calcoli astronomici. Le comunità ebraiche erano ambienti culturalmente chiusi in sé stessi, con scarsa propensione alla divulgazione delle proprie conoscenze e tradizioni verso quanti non fossero correligionari. Libri e trattati perciò restavano all’interno delle comunità e poche copie raggiungevano le scuole in altre città. Niente di strano se gran parte di questi manoscritti sia andata perduta o volutamente distrutta nei secoli. Sappiamo che l’antica astronomia ebraica ha attinto tantissimo dall’astronomia babilonese. Lo stesso calendario lunare era quello adottato, sin dalla metà del V secolo a.C., a Babilonia e nel quale era stato introdotto il Ciclo di Metone che prevedeva l’introduzione di 7 anni intercalari in un periodo ciclico di 19 anni. L’adozione di un siffatto calendario dovette comportare qualche problema perché era strettamente dipendente dall’osservazione diretta dei fenomeni celesti, cosa non sempre possibile per ragioni atmosferiche. Lo stesso Tolomeo, nel II secolo d.C., notava come le antiche osservazioni mediorientali nel loro insieme, non erano degne di fede proprio perché effettuate spesso in prossimità dell’orizzonte, ove si addensano le foschie e le polveri dei deserti. Il problema doveva essere già noto agli astronomi ebrei, perciò si ricorreva sovente alle tavole di effemeridi, come quella molto più tarda contenuta nel codice di Toledo o quelle inesatte consultate dallo sfortunato Hananeel. Per ottenere le effemeridi gli astronomi calcolavano con esattezza la posizione che il Sole, la Luna e i pianeti avrebbero assunto a intervalli regolari di tempo e, con i dati ottenuti, si compilavano liste di date relative alle fasi lunari, alla posizione dei pianeti ed eclissi, non di rado con diversi anni d’anticipo. Calcoli certamente non facili, frutto di secoli di affinamento delle formule, codificate in veri e propri prontuari ad uso dei sapienti della comunità e gelosamente tramandati dalle varie generazioni.

L’episodio della scommessa di Hananeel, nelle intenzioni di Ahima’az, non è soltanto quella di mettere in risalto l’importanza sociale e culturale dell’avo, ma principalmente quella di infondere nei lettori i valori della rettitudine morale, con il fermo rifiuto dell’apostasia a favore del cristianesimo in un momento di diffuso proselitismo, e di mettere in guardia dall’eccessiva fiducia in se stessi, sicurezza che aveva tradito il protagonista. Il tema della virtù morale caratterizza l’episodio successivo che vede come protagonista Abu Aron di Bagdad, indicato da Ahima’az come grande Maestro, valente astronomo e profondo conoscitore di misteri, però circa queste pratiche non ci racconta alcun episodio e si sofferma principalmente sugli insegnamenti religiosi.

La narrazione prosegue con altri episodi relativi a Shefatiah e Hanannel. Di un certo interesse è il capitolo relativo alle nozze di Cassia, figlia di Shefatiah, la quale ci è descritta come molto bella e già piuttosto avanti negli anni. Per evitare il rischio di vederla sfiorire, il padre decide di darla in sposa al cugino, non senza il disappunto della moglie che voleva come genero un giovane di pari rango e ricchezza. Shefatiah prende la decisione di far sposare la figlia dopo le preghiere della notte, cioè poco prima dell’alba. Sono proprio le lodi innalzate nel corso dell’orazione il motivo d’interesse del passo, offrendoci un saggio della cosmologia ebraica medievale.

Nella sua preghiera Shefatiah menziona i sette cieli interposti tra la Terra e il Trono della Gloria (Dio), iniziando con la sfera celeste più alta, le ‘Aravot, ove si trovano la giustizia e il diritto, la rettitudine, i tesori di vita e di pace, gli scrigni di benedizione e le anime dei giusti, gli spiriti dei nascituri nonché la rugiada che farà resuscitare i morti nel Giorno del Giudizio. Sempre in questo cielo c’è il Trono divino circondato da una corte infinita di angeli. Sotto segue Machon, in cui si trovano i depositi della neve e della grandine, della brina, della pioggia e delle tempeste. Ancora sotto Ma’on la residenza degli angeli officianti che cantano di notte e tacciono di giorno. Il cielo mediano si chiama Zevul, ove è collocata la Gerusalemme e il Santuario celeste. Seguono poi gli Shehaqim, sede dei mulini celesti che macinano la manna per i giusti e il cielo più basso Raqia’ sede del Sole, della Luna, dei cinque pianeti e delle stelle fisse. I sette cieli sono sostenuti da possenti pilastri, costituiti da maestose montagne, posti ai confini della Terra che, nella cosmologia ebraica, era totalmente circondata dal mare. Al centro vi è la Gerusalemme terrena. L’Inferno è collocato nelle viscere della terra e vi si accede attraverso profonde gallerie. Dove poggi la Terra è lecito domandarselo, ed Ahima’az ci tramanda che sia la forza divina a sostenere tutto l’Universo. Tutti i nomi usati da Shefatiah per designare i cieli hanno effettivo riscontro nei testi biblici.

Un altro personaggio degno d’approfondimento è Paltiel, un lontano parente privo di un’ascendenza diretta con Ahima’az. L’autore della Cronaca ci tramanda che fosse un ragazzino particolarmente esperto nel vaticinio astrologico e questa specializzazione fu anche la sua salvezza all’indomani dell’espugnazione musulmana di Oria, occorsa il 4 luglio 925, quando la città fu saccheggiata, incendiata e tutta la popolazione uccisa o fatta schiava. Partiel era dunque un astrologo, ma non è il caso di prenderne le distanze perché in antico l’astronomia ha percorso un lungo tragitto con l’arte divinatoria, anzi era la regola che le due discipline fossero esercitate simultaneamente, spesso insieme alla pratica medica. L’astrologia era considerata una disciplina molto seria ed ogni potente, di norma, si circondava di almeno un astrologo. Presso gli ebrei, al contrario di quanto sovente riportato in letteratura, l’astrologia non solo era coltivata, ma si fondava su basi astronomiche ed era esercitata attraverso l’osservazione diretta del cielo notturno al fine di trarne previsioni. L’astrologo era considerato un “sapiente e filosofo”, quindi figura di prestigio e degna di grande rispetto. Abbiamo più di un motivo per ritenere Partiel un profondo conoscitore della volta stellata e del movimento degli astri. Di lui, Ahima’az ci tramanda la figura di un uomo del IX secolo intento a scrutare il cielo notturno per trarne previsioni: immagine ben lontana dagli astrologi contemporanei.

In un episodio, pochi giorni dopo la cattura e presso l’accampamento non lontano da Taranto, il giovane Paltiel e il qait (capo, governatore, generale), uscirono di notte ad osservare le stelle e mentre le osservavano notarono che “l’astro del qait” stava ingoiando tre stelle in sequenza. L’astro del qait è chiaramente la Luna che occulta tre stelle e nell’interpretazione del giovane Paltiel il fenomeno celeste pronostica la vittoria militare in Sicilia, Africa e Babilonia. Di tale previsione il qait (secondo Ahima’az nientemeno che Al-Mu’izz, però è anacronistico) si compiace e promette al ragazzo grande autorità se si dimostrerà vera. La previsione si realizza entro poco tempo.

Nell’astrologia ebraica grande rilevanza era riposta nelle meteore, alle quali essi attribuivano un presagio di morte per regnanti e grandi dignitari. Un esempio in tal senso è presente nell’episodio in cui Paltiel, ormai vecchio, durante una conversazione con il suo re sotto un cielo stellato, alla visione di tre brillanti meteore, infatti, predice la morte di altrettanti regnanti entro l’anno. Il re arabo, che negli anni aveva maturato una certa esperienza astrologica grazie agli insegnamenti del sapiente consigliere, lo smentisce con tristezza, annunciandogli l’imminente morte perché egli era per prestigio pari ad un re. Nell’episodio, l’autore del Sefer usa l’espressione: “Osservavano il cielo, quand’ecco tre lucenti stelle si accesero e in un attimo il loro splendore svanì”. E’ probabile che non ci fosse un termine specifico per indicare il fenomeno, però è certo che essi collocavano le meteore nello stesso cielo delle stelle: il Raqia’.

La sezione del Sefer dedicata a Paltiel l’astrologo e quella storicamente meno attendibile ed è, con tutta probabilità, un’invenzione letteraria dell’autore per esaltare un personaggio particolarmente versato nell’interpretazione dei segni nel cielo. Paltiel non è un avo diretto di Ahima’az, perché mai gli ha destinato tanta attenzione e spazio nel Libro delle discendenze?

Questo Paltiel, secondo Colafemmina, è da identificare con Musa ben El’azar, un celebre medico riportato in varie fonti arabe, in una delle quali è specificato che fu catturato da Abu Ahmad Gia’far ibn Ubayd (il qait degli episodi?) proprio in Oria. Musa poiché medico poteva benissimo essere anche astronomo. Gli esempi in tal senso sono numerosi. Ad esempio, nella stessa comunità ebraica di Oria, suo contemporaneo e fatto schiavo nella stessa occasione del saccheggio nel 925, troviamo un altro illustre esempio di gran medico, scienziato, astronomo e filosofo, qual era Shabbetai bar Abram, detto Donnolo presso i bizantini, autore del Sefer Hammazalot (Libro delle costellazioni).

Nei restanti episodi riportati nel Sefer non si ravvisano ulteriori richiami all’astronomia ebraica in pieno Medioevo, però il cultore dell’astronomia può cogliere sfumature che allo storico e all’ebraista possono sfuggire ed è quanto cerchiamo di carpire appresso.

Quali sono state le motivazioni che hanno indotto l’autore a scrivere la Cronaca? In primis l’attesa per l’avvento del Messia, che Il Sefer Zerubabel (un breve componimento apocalittico databile al VII secolo che il nostro autore sembra conoscere) vuole molto prossimo, poiché nella tradizione esoterica ebraica, tale evento sarebbe occorso 990 anni dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (fatto risalire al 68 d.C. per un’errata datazione giudaica). Secondo questa previsione, perciò, l’anno dell’avvento doveva essere il 1058. Il Messia avrebbe chiamato a raccolta i dispersi nella Diaspora nonché, i nomi dei giusti tramandati nel Libro delle generazioni e ritornati nella Gerusalemme ricostruita. Altra finalità dell’autore era di tramandare, alle generazioni future, esempi di rettitudine morale e religiosa in modo da osteggiare il proselitismo cristiano.

Ahima’az iniziò la stesura del Libro delle discendenze agli inizi del 1054, precisamente nel mese di Adar (Febbraio-Marzo), probabilmente per scrivere con calma le gesta della sua ascendenza e terminare per tempo il lavoro entro il 1058, però sappiamo che la Cronaca fu terminata frettolosamente nella tarda primavera dello stesso anno nel mese di Sivan (maggio-giugno). Di questa fretta nel portare a termine il lavoro se ne meraviglia lo stesso Colafemmina, il quale, nelle note alla sua traduzione, lo rimarca e non ne trova una valida ragione. Di fatto, nella Cronaca si evince una discontinuità narrativa. Ad una prima parte caratterizzata da una dettagliata descrizione dei protagonisti (insieme con una ricchezza di particolari negli episodi) è contrapposta una seconda parte meno curata, in cui trova largo spazio la problematica figura di Partiel l’astrologo.

Il 1054 per uno storico è l’anno in cui si consuma lo scisma tra la Chiesa Romana e quella d’Oriente, un evento che segnerà in maniera rilevante vicende storiche posteriori, ma non può aver turbato più di tanto il rabbino di Capua che, anzi, deve aver avuto motivo per gioirne, in considerazione dell’astio che trasuda nei confronti del Cristianesimo per tutto il Sefer.

La Crab Nebula, ovvero il residuo della supernova del 1054. Credit: J.C. Cuillandre (CFHT), Giovanni Anselmi (Coelum)

Per uno storico dell’astronomia lo stesso 1054, invece, è l’anno della supernova nel Toro. Può l’autore aver visto l’apparizione di questo nuovo astro ed averlo interpretato come un eccezionale segno divino, tanto da averlo indotto ad accelerare il lavoro? La domanda è intrigante. Nel testo non troviamo espliciti riferimenti a quest’apparizione, tuttavia, leggendo nel proemio, Ahima’az nelle lodi profuse per propiziare la buona riuscita dell’opera ripete più volte ed esalta i prodigi che l’Altissimo realizza nel cielo per mostrare la sua potenza agli uomini. L’autore della Cronaca, giacché fervente credente e conoscitore dei passi biblici, può averne fatto cenno – come era consuetudine – parafrasando passi attinti dalle Sacre Scritture, in particolare dai Salmi, con espressioni del tipo: “ del Signore dei signori, del Signore che compie prodigi…”, “Nel nome di Colui che abita i cieli limpidi…”, “Giorno e notte mi delizierò nel glorificare Colui che compie gesta grandiose…” e poi “Narrerò le sue imprese possenti, rivelerò i suoi prodigi e la potenza della sua grandezza, lo splendore della sua magnificenza, la gagliardia della sua forza, la soavità delle sue lodi, l’immanità delle sue azioni terrifiche…”, “Egli stabilì i monti con la sua forza e mostra all’uomo il suo pensiero, con la sua sapienza creò la Terra e stabilì il mondo con la sua intelligenza. Chi può essere paragonato a Lui nei cieli?”.

Uno splendido disegno, tratto da un manoscritto del 1450, che raffigura l’imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico III (1017-1056) mentre indica la SN del 1054 ad alcuni dignitari di corte.

Con tutte le cautele del caso, supponiamo che Ahima’az sia stato testimone dell’evento. Come e quando può aver notato la supernova?

Della supernova nel Toro, le più antiche segnalazioni sono relative al primo mattino del 4 Luglio 1054 (astronomi cinesi e giapponesi), in pratica nei giorni immediatamente successivi la congiunzione eliaca della costellazione, con la “stella ospite” visibile poco prima dell’alba, quando questa era pressoché al massimo di luminosità con una magnitudine –6 circa. Sebbene gli avvistamenti tramandati siano relativi ai primi di Luglio, la stella poteva già essere esplosa da diverse settimane e non avvistata perché in congiunzione col Sole. Può Ahima’az aver notato la supernova nel mese ebraico di Sivan del 1054, prima della congiunzione con il Sole? Ricostruendo l’aspetto del cielo con un planetario, notiamo che nel giorno 11 maggio al crepuscolo un sottile crescente lunare si proietta vicinissimo all’attuale M1, il resto nebulare della supernova di quell’anno. Come abbiamo già scritto, il crescente lunare aveva un’importanza non secondaria per il computo del calendario ebraico, perciò il nostro Ahima’az poteva benissimo essersi appostato per scrutare il cielo alla ricerca della prima Luna e decretare, essendo rabbino, l’inizio del nuovo mese lunare, oppure solo per rivivere l’esperienza dell’avvistamento del crescente avendo da poco raccontato nella Cronaca l’episodio dell’avo Hananeel e della scommessa con il vescovo. Così come i suoi sapienti avi, avendo una buona conoscenza del cielo, Ahima’az può aver notato prossima all’orizzonte ovest quella nuova fulgida stella, in un crepuscolo alquanto affollato di pianeti i quali, secondo un’interpretazione astrologica che ignoriamo, potevano avere un certo importante significato in un contesto messianico presunto imminente. L’enfasi riposta da Ahima’az nei confronti delle figure di Aron di Bagdad e di Paltiel, non un avo diretto, ma grande esperto nell’interpretazione in chiave astrologica degli eventi celesti, a mio avviso, può essere un tentativo dell’autore di accreditarsi verso i posteri come prosecutore di analoga sapienza per insegnamenti ricevuti e per dote di stirpe, essendo stato un testimone in prima persona di un grandioso prodigio. Tale desiderio l’autore non lo nasconde nemmeno, infatti, in chiusura del Sefer egli scrive: “Io Ahima’az, figlio di Rabbi Paltiel (omonimo dell’astrologo), figlio di Rabbi Shamuel, figlio di Rabbi Hananeel, figlio di Rabbi Ammittai, servo di Dio, nel mese di Adar di tanti anni da quando furono distesi i cieli (formula che ricorre alla gematria, ovvero indicare un numero dalla somma delle lettere componenti una parola. In questo caso 4814 dalla Creazione, pari al 1054 del nostro calendario), pregai Colui che misura col suo pugno le acque di farmi la grazia di rendermi sapiente nella profondità dei misteri (cioè la capacità di interpretare gli astri, considerata dagli ebrei una grazia divina) che sono la delizia dei due giorni, per corroborarmi nella sua Torah perfetta, preesistente di duemila anni (l’universo), per guidarmi nella via retta ed essere a me di aiuto, perché ascoltasse la mia preghiera di assistermi nella ricerca della genealogia dei miei padri. Io levai a Lui i miei occhi, confidai nel suo Nome santo, invocai la sua misericordia e cercai la sua pietà. Ed egli mi concesse quanto avevo con ardore chiesto. (…) Ho terminato nel mese di Sivan, con la costellazione dei Gemelli, segno sotto il quale fu data la Torah, nell’anno del ‘termine maturato’, raddoppiando ‘nel mio desiderio’, l’ho completato nella sua interezza dall’inizio alla fine”. Ahima’az, esplicitamente quindi, scrive di aver ricevuto un segno ardentemente agognato ed interpretato come segnale di un “termine maturato” e di aver raddoppiato l’impegno per terminare l’opera. Gli astri, nella cosmologia ebraica, erano prodigiose emanazioni divine e media di comunicazione con gli uomini, perciò nulla di strano se l’Autore non indichi che cosa abbia visto levando al cielo le proprie suppliche, dando per scontato ai lettori che si riferisca alle stelle. Assai rilevante, inoltre, che Ahima’az specifichi di aver terminato quando in cielo è presente la costellazione dei Gemelli – ulteriore conferma della buona conoscenza della volta celeste – che la tradizione ebraica vuole legata alla Torah e nei confini della quale rientrava, all’epoca, la zona d’apparizione della supernova.

Le argomentazioni fin qui formulate, sebbene ragionevoli, possono apparire deboli per suffragare la tesi che Ahima’az sia stato un testimone oculare dell’apparizione della SN 1054. Provare quest’eventualità è tutt’altro che banale nell’ambiente della storiografia astronomica perché ne farebbe la prima testimonianza occidentale, benché non esplicita, di un fenomeno certamente appariscente, ma clamorosamente trascurato in un contesto culturale fortemente influenzato dalla concezione aristotelica dell’immutabilità dei cieli che confinavano comete, meteore e stelle nuove a fenomeni meramente atmosferici. Ci sono, sulla base dei dati disponibili, possibili conferme per un’apparizione in maggio/giugno della supernova? Forse sì.

Un indizio lo propongono F. Richard Stephenson e David A. Green i quali citano un riferimento alla supernova del 1054 contenuto nel Meigetsuki (Diario della Luna Piena) del poeta di corte Fujiwara Spadaie che così scrive:

“Secondo anno del periodo del regno Teki dell’imperatore Go-Reizei, quarto mese lunare, dopo il periodo mediano di dieci giorni. Alla doppia ora chou una stella-ospite è apparsa nei gradi di Zuixi e Shen. Fu vista a est ed emerse dalla stella Tianguan. Era grande come Giove”.

Gli autori ci informano che il quarto mese lunare va dal 10 maggio all’8 giugno e che la stella fu avvistata in un giorno imprecisato dell’ultima decade, di certo all’alba perché fu vista ad est. Forse con il “periodo mediano” il Fujiwara vuole intendere i giorni in congiunzione eliaca della costellazione occorsi proprio in quel periodo. Singolare, tuttavia, che questa segnalazione coincida proprio con il mese di Sivan dell’autore del Sefer.

Particolarmente interessante mi pare anche un passo in latino tratto dalla Cronaca di Rampona, una delle tante composte in età medievale, riportato in Medieval Chronicles and the Rotation of the Earth (R. R. Newton, John Hopkins University Press, Baltimore 1972, pag. 690): “Tempore huius stella clarissima in circuitu prime lune ingressa est, XIII Kalendas in nocte inizio”. La forma latina risente di influenze volgari, ma possiamo tradurre (con qualche libertà): “Al tempo in cui la stella fulgidissima entrò (in congiunzione) con il crescente lunare, all’inizio della notte del 13° giorno alle Calende”. In questo passo non è specificato il mese, però, supponendo si tratti della supernova, la congiunzione con il crescente lunare poteva avvenire soltanto nel mese maggio e la concordanza con la presunta data d’avvistamento di Ahima’az è veramente notevole. Questo passo è riferito al 1058, però non è da escludere un errore durante una delle trascrizioni.

Tre indizi, dunque, portano ad uno stesso periodo, vale a dire maggio-giugno del 1054.

Servono, ovviamente, ulteriori indizi per suffragare l’ipotesi della comparsa della supernova in una data anteriore al 4 luglio, però, se così fosse, il nome dell’ignaro Ahima’az sarà consegnato al Sefer degli astronomi come il primo avvistatore occidentale.


Giuseppe Donatiello è nato nel 1967 e vive ad Oria (Brindisi). Speaker professionista, lavora nell’emittenza radiotelevisiva privata sin dal 1979. Astrofilo da sempre, s’interessa a tutti gli aspetti dell’astronomia amatoriale con una predilezione per il deep sky.

L’Osservatorio di PIC du MIDI, la città dello Spazio di Tolosa, Cirque de Gavarnie, Provenza & Camargue

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L’Osservatorio di PIC du MIDI

la città dello Spazio di Tolosa

Cirque de Gavarnie

Provenza & Camargue

5/11 Giugno 2013

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1° giorno, mercoledì 05/06 – FERRARA-BOLOGNA-MODENA / AIX-EN-PROVENCE / ARLES (790 km)

ritrovo dei partecipanti e partenza in pullman GT per la Francia con sosta lungo il tragitto per il pranzo libero a carico dei partecipanti e per una breve visita libera di Aix-en-Provence, città d’arte ed antica capitale della regione. Nel periodo di fioritura della lavanda, indicativamente tra metà giugno e metà luglio e comunque prima della raccolta che può variare a seconda delle annate e delle condizioni stagionali, eventuale deviazione, tempo permettendo, verso Valensole per ammirare i campi coltivati dal caratteristico colore. All’arrivo nel tardo pomeriggio ad Arles, sistemazione nelle camere riservate in hotel, cena e pernottamento.

2° giorno, giovedì 06/06 – ARLES / SAINTES-MARIES-DE LA MER / AIGUES MORTES / CARCASSONNE / TOLOSA (370 km)

Dopo la colazione in hotel si parte verso la selvaggia regione meridionale della Camargue, dove i cavalli vivono ancora allo stato brado. Brevi soste per passeggiate libere a Les Saintes Maries de la Mer, pittoresco villaggio sul mare, e a Aigues Mortes, borgo fortificato medievale. Proseguimento verso Tolosa con sosta lungo il tragitto per il pranzo libero a carico dei partecipanti e per una breve visita libera di Carcassonne con i ponti levatoi, le torri e le mura. All’arrivo a Tolosa, sistemazione nelle camere riservate in hotel, cena e pernottamento.

3° giorno, venerdì 07/06 – TOLOSA / LOURDES / LA MONGIE (dintorni) (190 km)

Prima colazione in hotel e in mattinata ingresso e visita guidata alla Citè de l’Espace, parco a tema scientifico, orientato verso lo spazio, l’astronomia e la conquista spaziale. Il parco, enorme centro di divulgazione scientifica, ha al suo interno un magnifico planetario ed un simulatore 3D della Stazione Spaziale Internazionale. Permette di scoprire la replica a grandezza naturale del razzo Ariane 5 (53 metri di altezza), dell’astronave Soyuz e del satellite di osservazione della terra European Remote-Sensing Satellite (ERS). Si può anche visitare un modello ingegneristico della stazione spaziale Mir, completa di tutte le attrezzature. La Cité de l’Espace è anche dotata di numerose esposizioni, spesso interattive: la sala di controllo permette di preparare il lancio di un razzo, di assistere al suo decollo, al suo volo e quindi alla messa in orbita di un satellite artificiale. Pranzo libero a carico dei partecipanti all’interno del parco. All’uscita nel pomeriggio, immediata partenza per Lourdes con breve visita libera della cittadina dominata dalla famosa Basilica e dove si incontrano le 14 stazioni della Via Crucis. Proseguimento per La Mongie/dintorni, località del comune di Bagnères-de-Bigorre nei Midi-Pirenei, ai piedi del Pic du Midi, sistemazione nelle camere siservate in hotel, cena e pernottamento. Osservazioni astronomiche facoltative.

4° giorno, sabato 08/06 – PIC DU MIDI

Colazione in hotel e trasferimento fino alla base della funivia che, con un cambio a circa 2.100 mt. di quota, permtte di salire in una ventina di minuti fino a 2.877 mt s.l.m., sulla vetta del Pic du Midi e scoprire un panorama mozzafiato. Qui è arroccato il più grande telescopio in suolo francese (2 mt di diametro). Il viaggio in funivia è a dir poco spettacolare…mentre si sale i Pirenei cominciano a farsi vedere in tutto il loro splendore, e una volta in vetta il panorama è unico: ci si trova al centro dei Pirenei, si osservano vette, ghiacciai e le cupole dell’osservatorio. Pranzo libero a carico dei partecipanti e, nel pomeriggio, visita guidata interna dell’osservatorio con ingresso nella cupola che ospita il telescopio da 2 mt di diametro. Al termine, ridiscesa per la cena in hotel. Osservazioni astronomiche facoltative. Pernottamento.

5° giorno, domenica 09/06 – CIRQUE de GAVARNIE

Prima colazione in hotel ed intera giornata in escursione guidata al Cirque de Gavarnie, un circo naturale di tipo glaciale situato nel massiccio montagnoso dei Pirenei. Fa parte del Parco nazionale dei Pirenei ed è stato classificato nel 1997 Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO. Al centro del circo ci sono le cascate di Gavarnie, la maggiore delle quali, alta 422 mt, è la cascata più alta d’Europa. Pranzo libero a carico dei partecipanti in corso d’escursione, cena e pernottamento in hotel. Osservazioni astronomiche facoltative.

6° giorno, lunedì 10/06 – LA MONGIE / NIMES (480 km)

Dopo colazione, partenza per la ridiscesa verso Lourdes con proseguimento verso Nimes con sosta lungo il tragitto per il pranzo libero a carico dei partecipanti e, tempo permettendo, per una breve passeggiata libera a Sete. All’arrivo a Nimes, breve visita guidata panoramica della “Roma francese”, detta così per le numerose vestigia classiche. Sistemazione nelle camere riservate in hotel, cena e pernottamento.

7° giorno, martedì 11/06 – NIMES / AVIGNONE / MODENA-BOLOGNA-FERRARA (820 km)

Prima colazione in hotel e partenza, sostando brevemente a Pont du Gard ad ammirare il famoso ponte romano, parte di un acquedotto lungo 49km, per la visita guidata di Avignone con il Palazzo dei Papi (esterno), il Ponte, Place de l’Horloge e la Cattedrale. Al termine, proseguimento per l’Italia con sosta per il pranzo libero a carico dei partecipanti.

Quota di partecipazione

Quota individuale di partecipazione, minimo 35 partecipanti € 950,00
Quota individuale di partecipazione, minimo 30 partecipanti € 990,00
Quota individuale di partecipazione, minimo 25 partecipanti € 1.050,00
Supplemento camera singola € 250,00

La quota comprende: * viaggio in pullman GT (quotazione pullman effettuata nel rispetto del regolamento CEE nr. 561/2006 entrato in vigore in data 11/04/2007) * vitto e alloggio autista * sistemazione per 6 notti in hotels 3*** in camere doppie con servizi privati nelle località indicate/dintorni (1 notte ad Arles, 1 notte a Tolosa, 3 notti a La Mongie, 1 notte a Nimes) * trattamento di mezza pensione * visite guidate come da programma * salita in teleferica da La Mongie al Pic du Midi * ingressi (Citè de l’Espace a Tolosa / Osservatorio del Pic du Midi) * assicurazione medico-bagaglio e annullamento viaggio.

La quota non comprende: * pranzi * bevande ai pasti * altri ingressi a musei e monumenti non esplicitamente menzionati * mance, extra personali e tutto quanto non indicato alla voce “La quota comprende”.

Informazioni e prenotazioni al viaggio

CTM di Robintur spa Via Bacchini 15, Modena – Tel 059/2133701 ctm.gruppi@robintur.it –  www.robintur.it

Informazioni astronomiche

Sig. Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372 –  www.esploriamoluniverso.com
Sig. Ferruccio Zanotti 338/4772550 –  www.esploriamoluniverso.com
Società Astronomica Italiana – Sez. PUGLIA Sig. Paolo Minafra 339/2929524 –  www.saitpuglia.it

L’età “biologica” degli ammassi globulari

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un campionario di ammassi globulari, studiati con Hubble e con il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO all'Osservatorio di La Silla dell'ESO, in Cile. I dati mostrano che, nonostante si siano formati più o meno allo stesso tempo, gli ammassi sono invecchiati con tassi decisamente diversi, con le stelle più massicce che affondano verso il centro dell'ammasso con un processo simile alla sedimentazione. In alto: Messier 4 (ESO), Omega Centauri (ESO), Messier 80. Al centro: Messier 53, NGC 6752, Messier 13. In basso: Messier 4 (Hubble), NGC 288, 47 Tucanae
Una spettacolare immagine HST del globulare NGC 6388. Questo ammasso, situato a 35 mila anni luce da noi, nella costellazione dello Scorpione, presenta un'età dinamica intermedia. Crediti: NASA, ESA, F. Ferraro (UniBO).

Capita un po’ a tutti di rimanere sorpresi quando veniamo a sapere l’età di una persona che ci appare assai più giovane – oppure più vecchia – di quanto ci dica la sua carta d’identità. Una situazione analoga l’hanno gli astrofisici che studiano le proprietà degli ammassi globulari, agglomerati di stelle piuttosto compatti che possono raggiungere anche il milione di astri, distribuiti in modo approssimativamente sferico. Pur essendosi formati tutti circa 13 miliardi di anni fa, all’alba dell’universo, alcuni presentano caratteristiche evolutive significativamente diverse dagli altri. Un dilemma che è stato risolto grazie allo studio di un gruppo italiano di astrofisici che hanno individuato un metodo per riconoscere lo stadio evolutivo degli ammassi globulari. Un’informazione fondamentale per comprendere come e quanto velocemente questi gruppi di stelle invecchiano.

“Sapevamo già quanti anni avessero gli ammassi globulari, ma non eravamo in grado di stabilire a che punto della loro evoluzione dinamica si trovassero. Non sapevamo cioè quanto si fossero trasformati dal punto di vista morfologico, fisico e spaziale dal momento della loro formazione ad oggi. Un po’ come succede per gli esseri umani, per i quali possiamo distinguere un’età anagrafica ed una biologica” spiega Francesco Ferrarodel Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna (Unibo), che ha guidato il team internazionale nell’ambito del progetto Cosmic-Lab, finanziato con quasi 2 milioni di euro dall’Unione Europea.

Un campionario di ammassi globulari studiati da Hubble e dal telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO all'Osservatorio di La Silla dell'ESO, in Cile. I dati mostrano che, nonostante si siano formati più o meno allo stesso tempo, il loro tasso di invecchiamento è diverso, con le stelle più massicce che affondano verso il centro dell'ammasso con un processo simile alla sedimentazione. In alto, da sinistra: Messier 4 (ESO), Omega Centauri (ESO), Messier 80 (HST). Al centro (HST): Messier 53, NGC 6752, Messier 13. In basso (HST): Messier 4, NGC 288, 47 Tucanae.

All’interno degli ammassi stellari, le stelle si muovono continuamente ed interagiscono le une con le altre per effetti di reciproche interazioni gravitazionali, cosicché le loro posizioni e le loro velocità cambiano continuamente. Era già noto che questi processi determinano progressivi cambiamenti strutturali negli ammassi (una sorta di ‘invecchiamento dinamico’), ma non era mai stato scoperto un metodo capace di stabilirne un’esatta sequenza temporale. I ricercatori italiani sono riusciti a trovare la soluzione concentrandosi su alcune particolari stelle che popolano questi ammassi: le cosiddette “vagabonde blu” (blue straggler). Si tratta di stelle particolarmente massicce, perché frutto della fusione di più stelle e per questo motivo più luminose e calde, a cui è associato il tipico colore blu. Le blue straggler, per la loro stazza ‘oversize’ tendono nel tempo a sprofondare verso il centro dell’ammasso globulare. La ricerca, che viene pubblicata oggi sulla rivista Nature, ha permesso di associare il grado di ‘sprofondamento’ delle vagabonde blu al grado di invecchiamento ‘dinamico’ degli ammassi. Nonostante questi sistemi stellari abbiano all’incirca la stessa età cronologica, quelli in cui le blue straggler sono quasi tutte concentrate nel centro risultano molto più evoluti rispetto a quelli in cui questo processo di sprofondamento è più lento e, dal punto di vista dinamico, si sono mantenuti giovani più a lungo.

“Le blue stragglers sono tra gli oggetti stellari più esotici e sono una prova dell’importanza della dinamica nell’evoluzione degli ammassi stellari. Infatti, le blue straggler nascono dalla fusione tra due stelle, fusione che potrebbe essere il risultato di interazioni dinamiche estreme quali, ad esempio, collisioni tra stelle” sottolinea Michela Mapelli, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, che ha partecipato all’indagine. “Questo articolo mostra che l’evoluzione delle blue straggler, e in particolare la velocità con cui esse percolano verso il centro dell’ammasso, ci aiuta a gettare luce sull’età dinamica dell’ammasso stellare che le ospita. Per età dinamica di un ammasso non intendiamo la sua epoca di formazione, bensì il livello di evoluzione strutturale e morfologica che esso ha raggiunto. Quindi, conoscere l’età dinamica di un ammasso stellare e combinarla con quella cronologica permette di ricostruirne l’intera storia evolutiva”.

Sfruttando questo metodo è così possibile risolvere alcune incongruenze che sembravano mostrare certi ammassi globulari, per i quali era difficile dare una collocazione evolutiva certa. “Sono almeno due le ragioni per cui è così importante studiarli” spiega Barbara Lanzoni, dell’Università di Bologna, co-autrice della ricerca. “Da un lato rappresentano fossili dell’universo primordiale, poiché contengono stelle che sono nate nelle fasi iniziali della vita della nostra Galassia e del resto del cosmo. Capire come sono fatti e come si sono trasformati da allora può aiutarci a gettare nuova luce su come la Galassia in cui viviamo si sia sviluppata”. “In secondo luogo – aggiunge Ferraro – “gli ammassi costituiscono l’habitat ideale per l’osservazione di comportamenti stellari sorprendenti. Il loro centro è così denso che le stelle interagiscono le une con le altre in modi assai rari nell’universo. È qui che hanno luogo fusioni, collisioni, cannibalismo tra astri diversi. All’interno degli ammassi possiamo capire come le stelle, in genere piuttosto solitarie, si relazionano le une con le altre. Sono il laboratorio ideale per gettare le basi di quella che possiamo definire una sociologia stellare”.

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Questo video mostra il moto delle “vagabonde blu” negli ammassi globulari in funzione del tempo. Le “vagabonde blu” sono stelle brillanti e blu, con una massa maggiore della media in un ammasso, e ci si aspetta che nel tempo si muovano verso il centro dell’ammasso. Quelle più vicine al nucleo dell’ammasso sono le prime a migrare, mentre le più distanti iniziano a mano a mano a muoversi verso il centro. Un nuovo studio che usa dati del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA e del telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO ha mostrato che non tutti gli ammassi globulari hanno lo stesso tasso di invecchiamento. Anche se tutti gli ammassi globluari sono vecchi (più di 10 miliardi di anni), la distribuzione delle stelle di alcuni rimane più “giovane”, con le “vagabonde blu” sparse in tutto l’ammasso. Altri invece sono invecchiati prematuramente, con tutte queste stelle già raggruppate al centro. Crediti: ESO/NASA/ESA, L. Calçada, F. Ferraro (University of Bologna)

Altro che i Maya… la vera attesa per la FINE DEL MONDO ci fu nel 1910

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Indice dei contenuti

“Ormai siete nella coda della cometa, ma non abbiate paura. Se questa sarà l’ultima edizione del Times, allora vi arrivi il nostro più sentito addio.”

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Cento anni fa, la cometa di Halley sconvolse la Belle Epoque, precipitando il mondo nella follia

Tutti i maggiori Osservatori del mondo, con l’ausilio della nuova tecnica fotografica e di una strumentazione ben più sofisticata di quella a disposizione durante il passaggio del 1835, si adoperarono in concorrenza per strappare alla Halley tutti i suoi secolari segreti. Questa immagine è stata ripresa il 21 aprile 1910 a Arequipa (Perù) nel corso di una spedizione organizzata dalla Harvard University. Trenta minuti di esposizione al fuoco di un astrografo da 8". La coda appare lunga circa 6°.

È davvero curioso pensare che Giovanni Schiaparelli, l’astronomo che dedicò parte della sua vita allo studio delle comete, nacque nel 1835 e morì nel 1910, in corrispondenza di due ritorni della cometa di Halley. Come pure lo scrittore americano Mark Twain (vedi Coelum n. 73, pag. 84), che addirittura in vita scrisse più volte di essere sicuro che la sua scomparsa sarebbe coincisa (come in effetti fu) con la riapparizione della Halley. Del resto, la cometa più famosa del mondo si ripresenta proprio ogni circa 75 anni, un periodo simile per durata a quello della vita umana, così che viene reputato fortunato chi nel corso della propria esistenza riesce ad assistere a due passaggi.
Esattamente cento anni fa, dunque, mentre si spegneva la vita di Schiaparelli, la Halley tornava a frequentare i cieli di un occidente sempre più positivista, liberatosi ormai dalle antiche paure legate alle apparizioni degli astri chiomati…
Ma proprio in quell’anno accadde qualcosa di assolutamente imprevisto, tale da riportare indietro di secoli le lancette dell’orologio e scatenare un’ondata planetaria di isterica rassegnazione alla “fine del mondo”.

Come si ricorderà (vedi Coelum n. 124, “Natale 1758”), il primo ritorno della Halley previsto dai calcoli di meccanica celeste aveva avuto luogo nel 1759, in un’Europa in cui il pensiero illuminista aveva trasformato l’evento nel simbolico trionfo della ragione umana.
Superati gli eccessi ideologici del “secolo dei lumi”, al passaggio successivo, quello del 1835, la Halley era ritornata ad essere quello che era: un semplice oggetto celeste su cui molto bisognava ancora indagare, e che tra l’altro sembrava alle prese, come scrisse in quell’occasione anche l’astronomo francese Philippe Gustave de Pontécoulant (1795–1874), con un problema di “perdita di spettacolarità”:
“Le prime apparizioni di questa cometa furono caratterizzate da spettacoli straordinari… Da allora essa ha progressivamente perduto il suo carattere spaventoso; le sue dimensioni sono diminuite, la sua luce si è affievolita, e nel suo ultimo ritorno essa non aveva che le apparenze di una cometa ordinaria”.

Nonostante ciò, le aspettative per il ritorno del 1910 aumentarono a dismisura, anche se per circostanze che 76 anni prima potevano a malapena essere immaginate. I decenni intercorsi, infatti, avevano assistito a uno dei più grandi sconvolgimenti economici, tecnologici e sociali della storia: la rivoluzione industriale.  Nata in Inghilterra tra sette e ottocento, aveva valicato i confini dell’isola estendendosi a buona parte dell’Europa e anche nella più importante propaggine esterna del vecchio continente, gli Stati Uniti d’America, che nel 1835 era un paese rurale i cui rarissimi astronomi potevano contare come massimo strumento sul rifrattore Dollond da 5″ dello Yale Observatory, e i suoi giornali si limitavano per lo più a ristampare quanto veniva pubblicato in Inghilterra.
Gli Stati Uniti del 1910 erano invece già da tempo la massima potenza economica del pianeta, in cui la scienza non mancava di generosi mecenati; osservatori come Lick o Yerkes erano provvisti dei più grandi rifrattori di tutti i tempi e i dibattiti sui canali di Marte avevano abituato l’opinione pubblica a seguire da vicino l’astronomia.
Lo stesso concetto di opinione pubblica era ormai ben diverso da quello di 76 o 150 anni prima: anziché a una élite ristretta dominata da valori aristocratici, l’informazione scientifica si rivolgeva ora a decine di milioni di persone ed aveva già assunto i caratteri di un’industria di massa; la strada era dura ma l’opportunità di conoscere, informarsi e progredire non si negava a nessuno.
La stessa astronomia era stata radicalmente rinnovata dal sorgere dell’astrofisica: ancora nel 1844, il filosofo Auguste Comte poteva citare la composizione di stelle e pianeti come un esempio di conoscenza a cui non saremmo mai giunti; ora l’astronomia cometaria, tradizionalmente legata al calcolo di moti orbitali e al raffinamento della meccanica celeste, era pronta a raccogliere informazioni sulle caratteristiche fisiche e chimiche dell’astro. Come scrisse anni dopo l’astronomo americano Nicholas Bobrovnikoff:
“Lo sviluppo delle tecniche osservative, specialmente l’introduzione dell’emulsione fotografica e dello spettroscopio, fecero sperare che l’apparizione del 1910 avrebbe fornito molte più informazioni sulla cometa stessa e sulle comete in generale che tutte le precedenti apparizioni messe insieme”.

Insomma, nel 1910 l’interesse mediatico non sarebbe mancato; le risorse economiche e tecnologiche per la ricerca nemmeno. C’era da aspettarsi un passaggio memorabile, e stampa e pubblico non erano meno pronti degli astronomi.
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Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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23.11: “I colori dell’astronomia” a cura di Davide Trezzi.
Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

ASTROINIZIATIVE UAI – Unione Astrofili Italiani

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Ne siamo assolutamente certi, così come siamo certi che nessuna mediazione (e internet ne offre veramente tante) può sostituire l’osservazione diretta della Luna al telescopio: entrare in contatto con i mari e i crateri del nostro satellite, con quella “certezza data dagli occhi” tanto cara a Galileo Galilei, è un’esperienza davvero unica.
Per condividere con tutti questa emozione, il Planetario di Ravenna e l’Unione Astrofili Italiani invitano tutte le associazioni e gli appassionati a organizzare un’osservazione pubblica della Luna la sera di sabato 22 dicembre 2012. Il nostro satellite, nella fase fra il primo quarto e la Luna piena, sarà alto sull’orizzonte dalle 17 alle 23, e il pianeta Giove sarà nelle vicinanze della Luna, ancora più alto, e
quasi per l’occasione ci mostrerà tutti e quattro gli Astri Medicei, o Lune Galileiane: Io, Europa, Ganimede e Callisto. L’osservazione può essere organizzata nel miglior stile della Sidewalk Astronomy da qualunque sito: parcheggi, centri commerciali, piazze, feste, la Luna non teme le luci e si fa ammirare in qualsiasi condizione! http://divulgazione.uai.it/index.php/Sidewalk_Astronomy

A Ravenna l’osservazione si terrà nei pressi della tomba di Dante, che attorno alla Luna ha scritto uno dei canti più belli della Divina Commedia.
www.arar.it

Contatti:
http://divulgazione.uai.it/index.php/Pagina_principale
Per registrare le proprie iniziative:
http://divulgazione.uai.it/index.php/AstroIniziative
www.uai.it

Merry Christmas from Hubble

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Il telescopio spaziale HUBBLE augura a tutti un Buon Natale con una straordinaria immagine della nebulosa planetaria NGC 5189 la cui struttura ricorda un gigante e colorato fiocco, quasi una decorazione natalizia.

Scoperta da John Herschel nel 1835, la Nebulosa Planetaria NGC 5189 è un oggetto di circa 3 primi di diametro, visibile dall'emisfero australe nella costellazione della Mosca (vedi video in basso). NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

Hubble, nel corso della sua carriera nello spazio, ha più e più volte fotografato le nebulose planetarie, che altro non sono che lo stadio finale di stelle di luminosità simile a quella del Sole. Al termine della loro vita, queste stelle si disgregano formando strutture intricate che gli astronomi stanno ancora in parte cercando di capire, come quella di NGC 5189.
Studiando questi oggetti celesti, soprattutto grazie a Hubble, i ricercatori possono prevedere il futuro del Sole, il quale si trasformerà in una nebulosa quando esaurirà la sua energia, ma questo solo fra circa 5 miliardi di anni.

Download immagine originale NGC 5189 (25,7 Mb)

La particolare forma a S della nebulosa presenta una serie di nodi, dense nuvole di gas caldo che fluttua attorno al centro creando delle onde a forma di fiocco. La stella al centro della nebulosa è una nana bianca, troppo piccola da analizzare nel dettaglio, e grande più o meno come la Terra.

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Release originale: “A swoosh in space: Merry Christmas from Hubble”

Associazione Astrofili Centesi

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Prossimi appuntamenti:
21.12: “La notte più corta dell’anno: il solstizio d’inverno”. Al telescopio: Luna e Giove.
Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Corso di ASTRONOMIA PER TUTTI – 2012 “L’Universo come non l’hai mai visto”

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Le lezioni, tenute dagli esperti del Gruppo Divulgatori della Società Astronomica Italiana Sezione Puglia, si svolgeranno presso il:
Punto vendita Salmoiraghi & Viganò di Bari – Via Piccinni 92 – ogni mercoledì alle ore 20,00 a partire dal 14 novembre 2012

22.12: Lezione di orientamento astronomico e riconoscimento delle costellazioni di astrofotografia teorica e pratica.
*La data del 22 dicembre potrebbe variare a causa delle condizione metereologiche poichè comprometterebbero l’osservazione del cielo.

Le iscrizioni saranno raccolte direttamente nel negozio di Via Piccinni, versando una quota individuale pari a 60,00 euro che comprende l’abbonamento alla rivista Coelum
Astronomia (semestrale cartacea o annuale on line), materiale didattico e gadget. Il limite massimo è di 20 partecipanti per corso, al termine del quale verrà rilasciato un diploma
di partecipazione e la possibilità di accedere in via esclusiva a sconti.
Per informazioni e prenotazioni:
www.saitpuglia.it – www.thelunarsociety.it – www.salmoiraghievigano.it

Al Planetario di Ravenna

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21.12: Osservazione della volta stellata (cielo permettendo,
giardini pubblici).

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Gruppo Amici del Cielo di Barzago

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21.12: “A che ora è la fine del mondo?” Serata speciale: programma in fase di preparazione.

Per informazioni sulle attività del gruppo:
didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Al Planetario di Padova

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Il venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 17:30 e 21:00, la domenica alle ore 16:00 e 17:30. Per il programma di ottobre consultare il sito del Planetario.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Sole, ricercato speciale

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Due ritratti del sole realizzati dalla missione NASA STEREO. Crediti: NASA/STEREO

Studiare il Sole in 3D. Questo il target dichiarato dal team della NASA che gestisce STEREO (Solar Terrestrial Relations Observatory). Per raggiungere l’obiettivo, la missione ha adottato una tecnica osservativa della nostra stella originale e di tutto rispetto, che permette risultati sorprendenti. I ritratti della nostra stella realizzati in occasione di una recente eruzione solare, e per alcuni versi simili alle foto segnaletiche di un vero “ricercato speciale”, ne sono una chiara dimostrazione.

Due ritratti del sole realizzati dalla missione NASA STEREO. Crediti: NASA/STEREO

A prima vista potrebbero sembrare due immagini del Sole ottenute in momenti diversi della sua attività. In realtà le due immagini sono state scattate quasi contemporaneamente, dai due spacecraft che compongono la missione STEREO e da due punti di vista diversi, il 14 ottobre scorso, nel momento di una eruzione solare. Come in una stazione di polizia spaziale, STEREO ha “schedato” la nostra stella con una foto segnaletica composta da due ritratti complementari, uno di fronte e uno di profilo, scattati in contemporanea allo stesso, irrequieto, soggetto: il Sole.

Questo permette di spiegare l’apparente diversità delle due immagini realizzate in contemporanea. A prima vista, la prominenza solare che dirompe dall’atmosfera, visibile nell’immagine a destra realizzata da STEREO-A, sembra del tutto assente dall’immagine a sinistra. In realtà, questo secondo scatto, opera di STEREO-B, è stato realizzato da una posizione “di fronte”. E guardando meglio, è chiaramente identificabile una linea verticale piu scura, appena a sinistra del centro del disco, che corrisponde all’eruzione ripresa dal primo spacecraft.

L’idea è semplice ma, come dimostrano queste immagini, molto efficace.

Le due sonde tracciano due orbite progettate per studiare al meglio il Sole: i percorsi dei due spacecraft sono molto simili a quello compiuto dalla Terra intorno alla sua stella. L’unica differenza è che STEREO A si trova su un’orbita di raggio leggermente più piccolo del nostro pianeta, compiendo dunque un giro più veloce (in un’orbita, raggio e periodo sono legati dalla terza Legge di Keplero). STEREO B percorre invece un’orbita leggermente piu grande di quella terrestre e quindi più lenta.

La geometria osservativa creata da queste due orbite è di assoluto interesse. Approssimando, si potrebbe dire che i due STEREO e la Terra percorrono la stessa orbita intorno al Sole (visto che le differenze di raggio sono trascurabili rispetto alla distanza terra-sole) ma con velocità diverse, potendosi disporre contemporaneamente in punti diversi dell’orbita terrestre. Come dire che per la prima volta, STEREO permette di vedere simultaneamente tutte le facce del sole. Questa capacita è fondamentale per fenomeni per loro natura tridimensionali, come le eruzioni solari che sparano materia nello spazio, fenomeni del tutto invisibili per un osservatore situato nel punto di visuale sbagliato.

La speciale strategia di missione permette inoltre delle configurazioni osservative speciali. Come quella assunta nel febbraio del 2011, quando i due STEREO si sono ritrovati ad osservare il Sole da estremità opposte dell’orbita (in opposizione, cioè con una separazione di 180°), permettendo così di realizzare il primo ritratto a 360° della nostra Stella. O a settembre 2012 quando i due STEREO e SDO, il telescopio terrestre puntato sul sole, si sono trovati nella giusta posizione per formare un triangolo equilatero, fornendo immagini in parte sovrapponibili del Sole.

E se, come si dice, nel prossimo futuro l’attività solare continuerà ad intensificarsi dopo i minimi degli ultimi anni, STEREO è solo uno dei tanti progetti che la ricerca mondiale sta mettendo in campo per studiare la nostra stella in molti modi diversi. Buone notizie quindi, per tutti gli appassionati che possono aspettare con fiducia un futuro con molto di nuovo, sotto al Sole.

Per sapere di più sulla missione STEREO:

http://www.nasa.gov/mission_pages/stereo/news/6th-anniversary.html

Associazione Astrofili Centesi

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21.12: “La notte più corta dell’anno: il solstizio d’inverno”.
Al telescopio: Luna e Giove.

Per info: cell. 3468699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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21.12: “Le stelle di Natale… in attesa della fine del mondo” di Marco Zambianchi.
Dopo le conferenze serali, meteo permettendo, si potranno osservare gli oggetti del cielo con i telescopi del Gruppo.

Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it

“6 scenari per la fine del mondo” – I Maya, i calendari e la fine del mondo (?).

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aab

aabVENERDI’ 21 DICEMBRE

Parco del DopoLavoro Ferroviario, ore 21
Da ottobre 2012 a marzo 2013 sei appuntamenti in città, ogni serata un argomento-guida con conferenza e, meteo permettendo, vi guideremo alla conoscenza del firmamento con l’aiuto dei telescopi.
E’ gradito un contributo volontario di 5 euro dai visitatori adulti

dlfPer info:
Associazione Astrofili Bolognesi
Via Serlio 25/2 – Parco DLF – Bologna
Parcheggio interno e gratuito da Via Stalingrado 12
Autobus n. 21
www.associazioneastrofilibolognesi.it – telefono: 348 2554552
info@associazioneastrofilibolognesi.it

Congiunzione Giove – Luna la notte del 26 Dicembre

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26dicembre

26dicembreLa sera di Natale chi ne avrà voglia e tempo potrà seguire il lento avvicinamento della Luna a Giove, che raggiungerà la minima separazione (circa 50’) alle 2:10 del 26 dicembre.
La Luna sarà però quasi piena e la troppa luce diffusa non aiuterà di certo il lavoro degli astrofotografi.

Al Planetario di Ravenna

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18.12: “Il Sole, le aurore, le stelle, l’Orsa Maggiore:
leggende degli indiani d’America” di C. Balella.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Australia 2012: un’eclisse fortunata!

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IMG_6545modLa Ocean Spirit, il nostro battello, viaggia veloce saltando sulle onde di un mare forza 5, abbiamo appena lasciato il porto di Cairns nel nord del Queensland in Australia, per percorrere i 27 km che ci separano da Green Island, la nostra meta per l’osservazione dell’eclisse totale australiana. Il cielo è nero, pesantemente coperto e ogni tanto siamo bersagliati da scrosci di pioggia che certo non inducono all’ottimismo, nonostante le previsioni meteo confortanti controllate anche la sera prima dall’hotel. Al largo di Cairns, infatti ci sono più probabilità di sereno che sulla costa, in cui la condensazione dell’umidità dell’oceano crea frequenti annuvolamenti e piovaschi, situazione che si è verificata con regolarità negli ultimi 3 giorni, costituendo un vero incubo per i numerosissimi astrofili accorsi da tutto il mondo per assistere all’ evento.

Barcollo in precario equilibrio cercando di consumare la colazione e osservo i 14 compagni di avventura avvolti nelle giacche a vento e oltremodo assonnati, sono le 4 del mattino del 14 Novembre 2012, fra poco capiremo se la scelta di osservare l’eclisse da Green Island è stata azzeccata, ormai ci siamo, non si può più tornare indietro. Guardando la schiuma bianca delle onde che si infrangono contro la prua, riavvolgo il nastro dei ricordi di questi ultimi intensissimi 13 giorni in terra australiana e rivedo uno a uno gli splendidi panorami, le città e le tappe di questo incredibile viaggio organizzato ancora una volta con la rivista Coelum in collaborazione con Coop Camelot, CTM Robintur e Sait Puglia.

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 120Tutto inizia l’1 Novembre quando ci ritroviamo in 12 all’aeroporto di Malpensa per la lunga odissea, oltre al sottoscritto e al collega Ferruccio Zanotti, il gradito ritorno di Davide Andreani, con noi in Austria, Norvegia, Cile ed Egitto e di Vanna Civolani ( Marocco, Algeria e Armenia ), poi tutta gente nuova, Sara Vatrella, Stefania Montaldo, Adelina Friedmann, Elisabetta Ionna, Mirco Girotti, Maurizio Ferri, Maura Dodi e Maria Giovanna Martelletta. Come in tutti i viaggi astronomici che si rispettino, arriva il momento di affrontare l’addetto al check in, sperando che chiuda un occhio sugli eccessi di peso e sul mio bagaglio supplementare contenente il Dobson, ma questa volta al banco della British Airwais troviamo un personaggio inflessibile, che non vuole assolutamente saperne di conteggiare un bagaglio cumulativo suddividendo il peso totale del nostro gruppo, in modo da compensare le eccedenze di chi ha più peso.

Niente da fare, dovrò sobbarcarmi 100 euro di extra baggage… Voglio sperare che quelli della Quantas siano più comprensivi ( abbiamo 13 voli! ) e mestamente mi preparo per affrontare un altro classico aeroportuale, ovvero il passaggio sotto il metal detector dei bagagli a mano contenenti telescopi e quant’altro e conseguenti e approfonditi controlli degli addetti alla sicurezza con infinite domande sulla natura della strana strumentazione che ci portiamo appresso. A Londra traslochiamo sull’immenso Airbus 380 della Quantas che dopo 12 ore ci deposita a Singapore per uno scalo tecnico, solo un’ora di pausa, prima di procedere con altre 8 ore di volo e arrivare a Sydney, un viaggio infinito all’altro capo del mondo!

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20121103_120753Al nostro arrivo, il 3 Novembre, sono passati 2 giorni dalla partenza, anche a causa delle 10 ore in più di fuso orario e all’aeroporto troviamo un’addetta della Naar World Wide Tours, tour operator che ci seguirà in Australia e un pullman che ci conduce al nostro Grace Hotel in centro città, il cielo è molto nuvoloso e tira un vento freddo. Un po’ stralunati andiamo a fare un’ottima colazione e ci riposiamo qualche ora prima di fare nel pomeriggio un giro per la città con una sosta all’Acquario, che si trova nella zona portuale di Darling Harbour, ricca di locali e ristoranti.

20121103_120503VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 122

Qui abbiamo il primo impatto con la straordinaria fauna ittica australiana, con pesci multicolori della barriera corallina, squali, granchi giganti e addirittura strani mammiferi come dugonghi e ornitorinchi, poi, con una camminata di una mezzoretta ci trasferiamo al quartiere detto The Rocks, il quartiere più antico, in stile Vittoriano, in cui visitiamo l’osservatorio astronomico di Sydney, eretto nel 1850 e oggi adibito a museo. Conserva alcuni tra i primi strumenti astronomici portati in Australia, come un antico rifrattore del 1874 ancora in uso per scolaresche e visitatori, che ci viene mostrato dall’astronoma Katrina Sealey, coadiuvata da Davide nell’apertura e chiusura a manovella della cupola.

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VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 210Passeggiamo un po’ tra le pittoresche vie dei Rocks, con le sue birrerie con musica dal vivo e mercatini con spezie profumate e quindi ritorniamo di nuovo per la cena a Darling Harbour, con una breve sosta in hotel in cui facciamo conoscenza con gli ultimi componenti della nostra spedizione, Enzo Pincini, Gaetano Mensitieri e Dora Lodi di Ancona, partiti prima di noi per visitare anche Melbourn e la Great Ocean Road con i faraglioni chiamati “12 apostoli”, di cui ci riportano entusiastici commenti.
Sydney è una città di 4 milioni di abitanti, una città cosmopolita e multirazziale, ricca sopratutto di giovani asiatici, che vediamo perfettamente integrati con i coetanei europei e americani nella passeggiata serale a Darling Harbour.

Confederazione italiana agricoltori - Ue: il “pacchetto qualità” va nella direzione giusta. Così si rafforza il “made in Italy” agroalimentare

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 150Il giorno dopo, 4 Novembre, esce finalmente il sole e facciamo conoscenza con Willya la nostra allegra e simpatica guida che ci accompagnerà alla scoperta di Sydney. La prima tappa la facciamo nelle vicinanze del gigantesco Harbour Bridge, capolavoro d’ingegneria ultimato nel 1932, da cui scorgiamo in lontananza l’inconfondibile sagoma dell’Opera House, che avremo modo di apprezzare anche dopo aver attraversato il Giardino Botanico, alla Woolloomollo bay e al Lady Macquaire Point, con una magnifica vista sulla baia. Poi attraversiamo la periferia orientale della città, con le sue esclusive abitazioni, da King Kross a Vaucluse, ammirando le splendide Walsh Bay e Double Bay, il Municipio, il Queen Victoria Building, la Sydney Tower, la cattedrale cattolica di St Mary, fino alla famosa spiaggia di Bondy Beach e alla storica Paddington ricca di villette con caratteristiche ringhiere in ferro e giardini con alberi lilla di Jacaranda, Ficus giganteschi e cespugli di Gelsomino.

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 181VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 155

Poi è il momento di salire sulla nave, la Magistic Cruises, dal porto di King Street Wharf, per la mini crociera nella baia di Sydney con incluso ottimo pranzo, devo dire il modo migliore per vedere Sydney e la sua skyline di moderni grattacieli e l’occasione per festeggiare a dovere i compleanni di Maurizio e Davide con tanto di torta con candeline preparata dallo staff.
Passiamo vicino all’Opera House, ammirando il suo avveniristico design da diverse angolazioni e stupendoci di un’opera concepita nel lontano 1956 dall’architaetto danese Jorn Utzon e ancora oggi attuale, anzi futuristica, con le sue enormi conchiglie bianche che racchiudono imponenti e spettacolari sale da concerto che visiteremo nel pomeriggio, dopo una breve passeggiata a Circular Quay, il luogo di nascita di Sydney.

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Qui nel lontano 1778 sbarcò il capitano James Cook, con un carico di deportati, soldati e ufficiali, proclamando la nascita della colonia britannica del Nuovo Galles del Sud e qui un gruppo di aborigeni, quasi a rivendicare la legittima proprietà di questa terra, si esibisce in balli tribali al suono lugubre del Didgeridoo.

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A cena siamo di nuovo nelle vicinanze dell’Opera House e cominciamo ad imbatterci nelle stranezze della cucina australiana, io in particolare mi confronterò nel corso del viaggio con piatti veramente discutibili, a cominciare da questa sera con un improbabile pollo al crème caramel! All’uscita, qualche squarcio nelle nubi ci permette di dare se pur in mezzo alle luci,la prima occhiata al cielo australe con Fomalhaut del Pesce Australe allo zenit, e Achernar dell’Eridano altissima, a precedere il sorgere di Canopo, Sirio ed Orione.

20121107_0804545 Novembre, Willya ci conduce all’aeroporto al primo dei numerosi voli interni, la destinazione è Adelaide, questa volta il Dobson passa senza problemi, sarà così anche per tutti i voli successivi, meno male! Una volta ad Adelaide, incontriamo Paolo, un compassato siciliano non troppo entusiasta di essere emigrato in Australia, dove, ci dice, tutto è efficiente, ma dove si cena alle 18.30 e dove molti giovani sono preda dell’alcool.

Fra una lamentela e l’altra ci conduce con il pullman ad una visita veloce della città, con le sue aree residenziali, il Festival Centre e i Giardini Botanici in cui un forte vento e qualche pioggerella ci consigliano di tornare rapidamente all’aeroporto per il successivo volo per Kangaroo Island. Paolo ci aiuta nel trasferimento dello stretto necessario dal bagaglio principale a quello a mano, per ragioni di spazio, sul piccolo aereo bimotore per Kangaroo, ricordandoci di ricuperare i bagagli più voluminosi al nostro ritorno ad Adelaide.

Una volta sull’aereo assisteremo sorridendo ai ripetuti rimproveri della severa hostess nei confronti di Ferruccio seduto di fianco all’uscita di sicurezza e non del tutto pronto in caso di emergenza, fuori il vento sta crescendo e si teme uno Storm, una tempesta. Fortunatamente, a parte qualche scossone e qualche vuoto d’aria, arriviamo sani e salvi dopo una mezz’ora di volo a Kangaroo Island, la terza isola per dimensioni d’Australia ( 155km X 55 ).

All’aeroporto di Kingscote ad accoglierci troviamo un’altra guida, Lio, che vestito da ranger, ci fa immediatamente salire su un mezzo tecnico adatto a tutti i tipi di strade, guidato dall’esperto Mark, per la prima tappa sull’isola: Pennington bay.

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Il mare azzurro- verde smeraldo dell’oceano contrasta incredibilmente con i nuvoloni grigi e bianchi di una perturbazione che ci sta seguendo dalla terraferma e l’isola rivela il suo lato più selvaggio con grosse onde che si infrangono sulla spiaggia. Poco dopo avviene il nostro primo incontro con l’animale simbolo dell’Australia, il canguro, in un’area protetta chiamata Conservation park. All’inizio ne vediamo alcuni dietro i cespugli, poi in una radura questi animali spuntano come funghi a decine, ci sono anche famigliole con i piccoli e alcuni si lasciano avvicinare fino a breve distanza. Siamo fortunati, ci dice Lio, la temperatura fresca li ha fatti uscire, di solito stanno al riparo della vegetazione.

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Ammiriamo così in tutto il loro splendore questi famosi marsupiali, il loro strano modo di camminare a quattro zampe e i loro incredibili lunghi balzi, quando dopo l’ennesima foto e ripresa cominciamo a diventare troppo invadenti. Riprendiamo il pullmino mentre sopra di noi svolazzano svariati cacatua dal petto rosa e arriviamo alla foce dell’ American River in cui se ne stanno tranquillamente a mollo svariate specie di uccelli, come spatole, egrette, pellicani, cigni neri e ibis, qui Mark ci prepara un buon te’ al riparo di una tettoia in legno, fuori infatti sta iniziando a piovere.

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Nel viaggio di ritorno verso Kingscote, si scatena un temporale con potenti fulmini che, ci dice Lio, sono frequentissimi in Australia e la principale causa di incendi sull’isola. Arriviamo al nostro Aurora Ozone hotel, un vecchio edificio in stile coloniale in cui a causa del temporale manca per qualche ora la corrente.

Poco dopo andiamo a cena di fronte, dall’altra parte della strada nel buon ristorante dell’hotel. Fuori il cielo sta un po’ migliorando e uno strano tramonto crea una luminosità rosata sull’oceano al di là della bella vetrata panoramica. Cominciamo a pensare all’eclisse, certo l’Australia è grande, ma queste perturbazioni ci mettono un po’ di apprensione, speriamo…Dopo cena siamo stanchi e nessuno di noi compie l’escursione notturna alla ricerca dei timidi pinguini minori blu, solo Adelina e Stefania li vedranno la mattina dopo nella zona del porto. Usciamo comunque a fare due passi, la cittadina è buia e deserta, il cielo cupo, il vento freddo che fa cigolare le porte di isolati capannoni, ci ricordano i film dell’orrore di John Carpenter. Meglio andare a dormire.

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L’indomani , 6 Novembre, la situazione meteo è migliorata, il cielo è variabile e a folate gelide si alterna un sole caldo, qui in Australia sta infatti iniziando l’estate. Il nostro mezzo ci porta verso sud alla Seal bay, famosa per ospitare numerose colonie di Leoni marini, che vediamo placidamente distesi a prendere il sole sulla riva, i maschi più grossi si stiracchiano, guardando in cagnesco i loro rivali, mentre svariate femmine sono intente ad allattare i propri piccoli.

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VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 298Tra i cespugli notiamo anche un Wallaby, un piccolo canguro. Poi, passando per la splendida Vivonne bay, entriamo in un’altra riserva naturale ricca questa volta di Koala, buffi e sonnolenti marsupiali aggrappati ai numerosi alberi di Eucalipto e ghiotti delle loro foglie.

Dopo il pranzo, preparatoci direttamente nella foresta di eucalipti e casuarina, arriviamo a Cape de Couedic, sulla punta sud est dell’isola, altra zona in cui è possibile avvistare le otarie. Si tratta questa volta di otarie Orsine della Nuova Zelanda, che ammiriamo dall’alto promontorio, prima di scendere al suggestivo Admirals Arch, un arco di roccia scavato dalle onde nel corso dei millenni ai piedi di un faro costruito nel 1909.

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Da qui l’Antartide dista poco più di 4000 km e i suoi venti gelidi spazzano la costa indisturbati non trovando ostacoli nel loro percorso. Ne abbiamo una prova anche alle Remarkable Rocks, nel grande Fliders Chase National Park ,un affioramento roccioso di granito molto simile all’”Orso” di Palau in Sardegna, costituito da rocce arrotondate dall’erosione del vento in bilico su una scogliera a 75 m dall’oceano.

Successivamente, mentre ci rechiamo al Kelly Hill Conservation Park, un velenosissimo serpente black tiger ci attraversa la strada, ricordandoci che in Australia sono presenti tantissime specie di rettili ed insetti velenosi, tra cui ben 2000 specie di ragni. La riserva ricorda molto un parco africano e ci gustiamo il tè con dolcetti preparato come al solito da Mark, sul far del tramonto, in totale relax, tra i colori vividi della vegetazione in cui pascolano svariati canguri. Magnifico!

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20121106_135824Lio ci saluta e ci ricorda l’appuntamento di domani all’alba con il pullman, mentre ci conduce al nostro lodge in mezzo alla natura, il Kangaroo Island Wilderness Retreat, assolutamente isolato l’ideale per osservazioni astronomiche se non fosse che il cielo si è di nuovo coperto e che il Dobson è rimasto ad Adelaide. Dopo una cena sempre prematura, proviamo comunque a osservare qualcosa ed in mezzo alle nubi scorgiamo Achernar e un’inedita e altissima Grande Nube di Magellano ( ci troviamo a -36° di latitudine! ), mai vista così alta, è infatti la prima volta che vedo il cielo australe in questo periodo e alcuni del gruppo, come Sara, vedono queta galassia per la prima volta in assoluto, entusiasmandosi. Ma è solo un piccolo aperitivo rispetto a quello che ci attenderà più avanti nel viaggio, quando saremo nel deserto!

All’alba del 7 Novembre siamo svegliati dai versi di numerosi uccelli e da un piccolo Wallaby che famigliarizza con il nostro gruppo. A est Venere e a Ovest Giove salutano l’arrivo di un nuovo autista che ci porta a Kingstone ove riprendiamo il piccolo bimotore per Adelaide per ricuperare i nostri bagagli in attesa del volo successivo per Alice Springs, cittadina del cosiddetto Red Center, il Centro Rosso australiano.

IMG_6074Quando l’aereo sta per decollare avviene però un imprevisto, uno dei due motori si ferma e costringe il pilota a farci scendere in attesa di risolvere il guasto. Caspita! Davide segue con attenzione il movimento dei tecnici affaccendati alla turbina dal finestrone del gate e quando vede tornare i piloti e le hostess tira un sospiro di sollievo. “L’hanno riparato!”. Questa volta ci siamo, l’aereo decolla senza problemi e per far perdonare il disagio ai passeggeri, le hostess si prodigano a portare snack e bevande. Decido di concedermi un Muffin, ho voglia di qualcosa di dolce. Addento il presunto dolcetto ma con orrore mi accorgo che me ne hanno servito uno al peperone! No comment.

Dopo 3 ore di volo circa siamo ad Alice Springs e veniamo accolti dalla nostra nuova guida Marcel, di origine svizzera, con forte accento tedesco. Il clima è molto caldo e umido, ieri ha piovuto abbondantemente ci dice Marcel, erano mesi che non pioveva, un bene per questa zona, un male per le osservazioni astronomiche, il cielo è infatti ancora una volta coperto.

Marcel ci porta a visitare il Royal Flying Doctors Service, i cosiddetti medici volanti, realizzato dal reverendo John Flynn con un servizio continuativamente attivo, dalla fine degli anni ’20, per raggiungere persone in difficoltà e risolvere emergenze mediche nelle aree più remote dell’Australia, mediante l’utilizzo di comunicazioni radio e aerei. Qui assistiamo ad’una proiezione video sul lavoro svolto dai medici e visitiamo l’annesso museo con la radio a pedali e uno dei primi aerei impiegati.

Poi è la volta dell’Alice Springs Desert Park, con esibizioni di uccelli rapaci organizzata dai rangers e con diversi punti in cui osservare esemplari di fauna di questa parte di Australia, in particolare molto bella risulterà la sezione dedicata ai rettili e agli animali notturni.

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Al termine della visita veniamo depositati al nostro Hotel Lasseters con annesso Casinò in cui sperimentiamo un curioso modo di ordinare la cena, con un dischetto in plastica che viene consegnato ai clienti e che si illumina quando il piatto è pronto per il take away, questa volta sperimenteremo il canguro, una carne rossa non male. Ancora una volta sfumano però per maltempo le osservazioni notturne e ne approfittiamo allora per riposare e dosare le forze per le prossime serate.

L’8 Novembre ci svegliamo con il caratteristico fischio delle gazze australiane simile alla suoneria di un cellulare e dopo una colazione sotto un cielo nuvoloso, il meteo finalmente ci viene incontro e un deciso vento sgombra la coltre di nubi rivelando un cielo blu limpidissimo. La terra rossa ora risalta prepotentemente tra la rada vegetazione arbustiva: il nostro pullman ci sta portando nel cuore dell’Outback australiano e quando ci fermiamo per una sosta pranzo notiamo che il sole a picco rivela un’ombra quasi inesistente attorno alle persone, siamo infatti quasi esattamente al Tropico del Capricorno.

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 365La nostra meta è il Kings Canyon, che raggiungiamo nel primo pomeriggio e che esploriamo in un’impegnativa escursione, sotto la guida dell’agile Marcel, che zompetta sicuro sul ripido sentiero. Ci troviamo nel parco nazionale di Watarrka, un luogo sorprendente per i panorami spettacolari che ci offre, gole, crepacci e pareti di arenaria alte più di 300 m di un colore ocra intenso, il tutto incorniciato da un cielo blu, solcato da cumuletti bianchi.

Arriviamo in cima al cosiddetto Giardino dell’Eden, un’oasi sfumata di felci, acacie, eucalipti e antiche palme da cui abbiamo una vista spettacolare sul canyon.

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Ma il cammino è ancora lungo e seguiamo Marcel in canaloni, passaggi impegnativi e pianure di sabbia, passando tra pinnacoli di roccia ( la cosiddetta lost city), pozze d’acqua e tracce fossili di increspature di un antico mare, molti, ci dice Marcel, sono i luoghi che hanno un forte significato spirituale per gli aborigeni locali.

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Il sole è basso all’orizzonte quando torniamo al pullman, che ci conduce poco dopo al nostro bellissimo Kings Canyon Resort in cui sistemiamo i bagagli. Ci si ritrova poco dopo per ammirare un giallo tramonto da una collinetta in un bel punto panoramico, che dovremo purtroppo scartare per le osservazioni notturne: troppo lontano logisticamente dal nostro bungalow per il trasporto a mano della strumentazione e troppo vicino alla parte più illuminata del Resort.

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Il nostro alloggio si trova invece alla periferia del complesso, e possiede un bel giardino con ampia visibilità verso sud, ci posizioneremo lì dopo cena, così è deciso. Andiamo intanto a mangiare qualcosa. Dobbiamo camminare parecchio per raggiungere il ristorante e qui mi imbatto in un nuovo bizzarro piatto australiano, la pizza con carne di dromedario, condita con tartufo e ketchup!
Sono il primo ad essere servito e consumo velocemente lo strano pasto per correre a montare il Dobson, gli altri mi raggiungeranno.

IMG_5984Si è fatto buio e valuto le condizioni del cielo sul retro del nostro bungalow e non appena i miei occhi si abituano all’oscurità, mi appare una visione incantevole: da ovest si alza una vistosa luce zodiacale che si incrocia con la Via Lattea, che sta tramontando parallela all’orizzonte, assieme a Sagittario, Scorpione, Croce del Sud e ad Alfa e Beta Centauri, ad est sono invece già alte le due Nubi di Magellano, evidentissime. Ma anche il resto del cielo è uno spettacolo, uno dei più bui mai visti, a riprova di ciò alcune nubi che transitano velocemente e si frappongono alla volta stellata appaiono nerissime, vellutate, era dal viaggio in Mongolia che non assistevo ad uno spettacolo simile.

D’altronde oggi abbiamo attraversato centinaia di km senza trovare traccia di insediamenti urbani, a testimonianza che l’Australia, pur essendo un continente enorme, grande due volte l’Europa, ha la densità di popolazione più bassa al mondo, 2 abitanti per kmq! In lontananza dalle rocce del Canyon inizia a sorgere Orione ribaltato a testa in giù. Mi devo affrettare, l’operazione di montaggio del Dobson è sempre lunga e laboriosa, devo cercare di fare presto. Vite dopo vite, le varie placche di legno e i lunghi sostegni in alluminio prendono forma, posiziono il prezioso specchio principale, il secondario, il cannocchiale di puntamento e ancora una volta mi stupisco della robustezza del vecchio Dobson, sottoposto da ormai 15 anni a sballotamenti e sforzi ai 4 angoli del globo: dai salti sulle jeep in Cile e Mongolia, all’ascesa a dorso di mulo sul Tassili algerino, dalla sabbia del deserto libico, alla salsedine del mare delle Maldive…E ora l’Australia! Mentre procedo con la delicata collimazione entrano in stanza Ferruccio e Davide, vittime al ristorante di incredibili lungaggini nella consegna del pasto, quasi un matrimonio! Pure loro iniziano a preparare la strumentazione visuale e fotografica.

Siamo raggiunti nel nostro giardino anche da Gaetano, Adelina, Sara e Giovanna, che subito sbigottiscono di fronte alla visione di un cielo super.
Decido tanto per incominciare di puntare col Dobson l’ammasso globulare 47 Tucanae, di fianco alla Piccola Nube, un’ esplosione di stelle con un centro densissimo. Lo mostro soddisfatto al resto del gruppo e subito iniziano le urla di meraviglia. Poi passo alla Grande Nube e alla nebulosa Tarantola, un vero e proprio ragno cosmico che risalta quasi tridimensionale su una quantità inverosimile di piccoli ammassi e nebulose in questa galassia satellite della Via Lattea. A proposito di ragni ogni tanto controllo il terreno, non si sa mai, tra l’altro siamo posizionati tra cespugli di piante spinose che spesso si impigliano nei vestiti e negli strumenti. Proseguiamo con l’ammasso aperto nella Carena IC 2602 ( le Pleiadi Australi ), visibile anche ad occhio nudo, così come le più famose colleghe boreali, basse a nord ovest e naturalmente rovesciate.

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E’ sorta anche la nebulosa di Orione, perchè non darle un’occhiata? Sara, che fino ad allora si era mostrata scettica sulle potenzialità del Dobson si deve ricredere, dichiarando di non aver mai visto M 42 così bene in Italia, anche con strumenti più grossi. In efetti con l’oculare da 40 mm sembra una foto in bianco e nero, con tenui e delicate nebulosità che si estendono ben oltre i confini della nebulosa principale coinvolgendo anche le altre stelle della “spada”. A quel punto la stanchezza prende il sopravvento sulla stragrande maggioranza del gruppo osservativo, le fatiche della scarpinata pomeridiana con Marcel si fanno sentire, pure Ferruccio si ritira nelle sue stanze, rimaniamo solo io e Davide. Decido allora di andare a caccia di oggetti elusivi e mai visti in precedenza come un gruppetto di galassie nella costellazione del Dorado a nord della stella alfa.

Trattasi nella fattispecie di NGC 1553-1549-1566-1533 e 1617. La prima è una spirale di magnitudine 9,6 e dimensioni 3′X2′, appare piccola e leggermente allungata, la seconda è invece più debole e tondeggiante ( mag. 10,2 e dimensioni analoghe alla precedente. Poi la NGC 1566 decisamente più bella delle compagne, le dimensioni sono infatti di 8′ e la luminosità è di 9,6, appare decisamente allungata e sfumata ai bordi. Fra un’osservazione e l’altra mi metto a contemplare il cielo, qualche luminosa Tauride si fa strada dal nostro Toro fino alle strane e inedite costellazioni australi come il Pittore o la Mensa, oggi infatti è il giorno del massimo di questo sciame di meteore.

A quel punto la nostra attenzione viene attirata da una strana luce azzurrina che filtra dalla grande vetrata del nostro bungalow. E’ Ferruccio, che in quel momento decide di fare un bagno nella vasca con idromassaggio che si affaccia direttamente sul nostro giardino, indossando purtroppo solo una torcia legata attorno alla testa. La visione del nostro compare rischia di rovinare la poesia di questa incredibile notte osservativa, ma fortunatamente egli ha il buon gusto di spegnere la torcia e di proseguire il bagno nel buio più assoluto(NDR:illuminato solo dalla luce della spettacolare via lattea australe e di fronte al sorgere della nebulosa Eta Carinae visibile ad occhio, un idromassaggio astronomico non capita tutti i giorni ).

Riprendo le osservazioni mostrando anche a Davide le tenui galassiette, che proseguono con la NGC 1533, allungata, sottile e con qualche chiaroscuro e la 1617, proprio sopra la Alfa, la più debole della serata, ( mag.11,5) piccola e ovale. Sorge Eta Carinae, è ormai l’una e trenta, ma è ancora troppo bassa per puntarla col telescopio, Davide , che si è cimentato con svariate foto a grande campo getta la spugna, comincia a far freddo, lo seguo pure io a malincuore aiutandolo a riporre la strumentazione sul balcone della stanza, proseguiremo domani. In lontananza si odono i dingo. Le stelle brillano luminosissime quando entriamo nella nostra camera tripla dove troviamo Ferruccio in pigiama ancora entusiasta dell’idromassaggio con lo sfondo del cielo stellato.

9 Novembre, facciamo una buona colazione prima di caricare di nuovo sul pullman i nostri bagagli e il Dobson che ripongo in piedi tra i sedili posteriori, la nostra prossima tappa è una comoda passeggiata chiamata Kings Kreek walk , nei pressi dell’omonimo ruscello. Seguiamo Marcel, che ci porta in una nuova zona sacra agli aborigeni ed inizia a raccontarci alcune leggende relative al “Tjukurpa”, la creazione del mondo. Le storie del “Tempo dei Sogni” narrano di grandi spiriti che, assumendo forme animali ed umane, modellarono con il loro passaggio e con l’uso dei “canti” la Terra allora sterile.

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Montagne, fiumi, pozze d’acqua, esseri animali e vegetali, deriverebbero dai viaggi nel tempo del sogno di queste esseri creatori. Ci fermiamo davanti ad un oscuro laghetto alimentato da una sorgente, un luogo particolarmente sacro agli aborigeni ,qui secondo la leggenda dimora il Serpente Arcobaleno, che lega il cielo con la terra. Esseri ancestrali, ci dice Marcel, hanno indicato la legge secondo cui l’universo è stato creato, il serpente arcobaleno lega lo spirito con la materia, rappresenta la discesa dello spirito in quest’ultima, da quel momento uno non può esistere senza l’altra. Con un po’ di azzardo e di fantasia trovo un’analogia con il bosone di Higgs, prima del suo intervento la materia non esisteva…Adelina annuisce, state dicendo la stessa cosa con parole diverse…Maurizio invece è perplesso.

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 427Torniamo sui nostri passi riflettendo sulla saggezza degli antichi aborigeni, che ancora oggi non si definiscono padroni, ma custodi di questa terra che è stata affidata loro dagli antenati per essere preservata.
Una volta sul pullman, puntiamo dritti verso il mitico Ayers Rock! La vegetazione ora si fa più rada, il sole è cocente ma l’aria non troppo calda, sui 28 -30 gradi, il cielo anche oggi limpidissimo. In lontananza notiamo numerosi dust devils, turbini di sabbia, Marcel ci racconta che poco tempo fa in questa zona si è formato un turbine proprio sopra un incendio generando il rarissimo fenomeno del tornado di fuoco, che è durato svariati minuti e che è stato ripreso dalle tv di tutto il mondo.

Verso l’ora di pranzo prendiamo possesso delle nostre stanze al gigantesco Desert Gardens Hotel, con tanto di piscina, centro commerciale e ristoranti vari. Dalla nostra stanza abbiamo il primo impatto con l’Ayers Rock o Uluru, che nella lingua aborigena significa “strano”, il gigantesco monolito simbolo dell’Australia è visibile in lontananza dietro una fila di alberi. Siamo ancora una volta nella parte periferica del Resort, speriamo che le luci anche questa sera non disturbino le osservazioni.

Nel pomeriggio ci avviciniamo all’impressionante monolito e ci fermiamo per una breve sosta al centro Culturale Aborigeno, in cui svariati pannelli e filmati introducono il visitatore sulle leggi, la religione , la filosofia, l’arte ed il modo di vita locali. E’ assolutamente vietato fare foto. Poi ecco uno dei momenti più emozionanti del viaggio: siamo condotti alla base di Uluru, il monolito di arenaria rossa ( Arkose) più grande del mondo che si staglia sulla pianura desertica, è lungo 3,6 km , largo 2,4 e alto 348 m , ha un diametro di 8 km, e si estende addirittura per 5km sotto la superficie.

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VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 441La cosa che più impressiona sono gli strati di sedimentazione verticali, disposizione che hanno assunto 100 milioni di anni fa dopo violente scosse sismiche contrapposte, che ne hanno causato la fuoriuscita in verticale dal terreno. Avvicinandoci all’immensa roccia si notano scanalature, concavità gole e grotte che visitiamo assieme a Marcel, alla scoperta di altre leggende tramandate dagli Anangu, gli aborigeni locali, che gestiscono l’accesso ad Uluru e al resto del parco nazionale che comprende anche i monti Olgas.

Secondo gli Anangu a Uluru è nata la donna- serpente Kuniya, la cui impronta si può notare in una scanalatura scura della roccia e qui ha avuto luogo una feroce battaglia fra Kuniya e l’uomo- serpente Liru, reo di averne ucciso il nipote, testimoniata da fenditure e spaccature nelle rocce dovute alla violenza dello scontro.
Al di sotto di una roccia che rappresenta Kuniya arrotolata su se stessa, mentre guarda Liru appena ucciso, si apre una cavità sulle cui pareti gli aborigeni hanno inciso petroglifi e dipinto pitture rupestri, che raccontano antiche storie e racconti interpretabili però solo dagli anziani Anangu, molto infatti è tenuto segreto ai non iniziati.

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Chiedo a Marcel a quel punto il rapporto degli aborigeni con l’universo ed eventuali storie legate alle costellazioni ed egli risponde che come in tutte le antiche culture il cielo notturno era molto importante per gli aborigeni, al punto che lo stesso Serpente Arcobaleno, doveva la sua nascita ad un’altra entità molto più grande rappresentata dalla lunga nube scura di polveri che taglia a metà la Via Lattea. Marcel racconta poi una leggenda curiosa che riguarda le Pleiadi ( Makara), incredibilmente simile a quella tramandata dalla mitologia greca: anche per gli aborigeni erano sette sorelle che scappavano dalle mire di un personaggio ( Kidili o uomo della Luna ), identificabile con la costellazione di Orione! Icredibile!

Proseguiamo quindi la nostra escursione tra anfratti e caverne, accompagnati dal racconto di altre leggende come quelle dei Mala ( piccoli wallaby) o dei Panpanpalala, nome con cui vengono chiamati gli uccelli Campanari crestati, dal caratteristico verso e particolarmente suggestiva risulterà una grande roccia a forma di onda.

Siamo quasi al tramonto, è giunto il momento di recarci in un punto panoramico per ammirare Uluru ed i suoi cambiamenti cromatici al calar del sole. Qui vi troviamo una folla in attesa, sembra quasi il Kennedy Space Center il giorno del lancio dello Shuttle, gente di tutte le nazionalità che armeggia con cavalletti e macchine fotografiche, per immortalare al meglio il fantastico monolito che sta già assumendo un colore rosso acceso.

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Guardandolo da qui , Uluru incute un senso di timore e rispetto, dovuto forse al suo troneggiare antico sulla pianura, ci ricorda come tutta l’Australia sia un territorio geologicamente molto antico, un luogo in cui si trovano le rocce più antiche del pianeta 3,8 miliardi di anni fa ed anche i fossili dei primi esseri viventi, le stromatoliti, alghe azzurre risalenti a 3 miliardi di anni fa.
Ci viene offerto un aperitivo con stuzzichini presso alcuni tavoli imbanditi e mentre il colore del monolito dal rosso scuro vira al violetto sento una pacca sulla spalla accompagnata da una voce familiare: è Deni, nostro vecchio compagno di viaggio in compagnia della mitica Esther in piedi su un tavolo con un bicchire di prosecco in mano.

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Ci si saluta affettuosamente e si festeggia l’avvenuto incontro, loro mi dice Esther fanno un giro un po’ più lungo del nostro osservando infine l’eclisse dalla terraferma vicino a Cairns. Ci facciamo reciprocamente gli in bocca al lupo e visto che anche loro si fermeranno due sere presso l’Ayers Rock, in un Resort vicino al nostro, li invito alle osservazioni col Dobson presso la nostra stanza.
Verremo domani sera promette Deni.
Dopo cena, Sara ci raggiunge sul retro della stanza e ci aiuta a rendere innocui alcuni faretti di cortesia, in modo da poter disporre alla fine un cielo analogo a quello della sera precdente e poter quindi iniziare le osservazioni.

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Questa volta prendo di mira l’anonima costellazione del Reticolo, in cui individuo la galassia irregolare NGC 1313, piuttosto evidente e dalla forma a stella con 4 punte, le dimensioni sono 3′ e la mag 9,5 e sempre nella stessa costellazione, la debole galassia NGC 1543 tondeggiante e di undicesima. Torno nel Dorado, dove mi era rimasta una galassia in sospeso, la NGC 1672 ( mag 10,7 dim 4′), un ovale pronunciato con i bordi frastagliati e mi sposto infine nell’Orologio, con il bel globulare NGC 1261 di ottava magnitudine, piccolo ma ben risaltabile sul fondo del cielo nerissimo e ricco di stelle.

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Ferruccio e Davide si sono cimentati in diverse foto spettacolari e saremmo rimasti volentieri tutta notte sotto questo cielo meraviglioso, ma Sara ci ricorda la sveglia delle 4.30, ovvero fra poche ore visto che andremo a vedere l’alba sui monti Olgas, con successiva scarpinata. Il nostro è un programma veramente densissimo, un’ultima occhiata alla nebulosa Eta Carinae, sempre bellissima e poi dormiamo quelle poche ore che ci separano dalla partenza.

VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 480!0 Novembre, come degli zombie arriviamo nella hall in cui si sono radunati già gli altri compagni di viaggio, raccogliamo il cestino con la colazione che consumeremo più tardi e saliamo sul pullman salutando un Marcel già fresco e vispo.
I monti Olgas o Kata Tjuta, nome che in aborigeno significa molte teste, sono 36 cupole rocciose situate a 45 km a Ovest di Uluru, sono anche queste un luogo sacro, qui in passato erano ammessi solo gli uomini anziani, una specie di senato in cui venivano prese importanti decisioni per i clan.

Arriviamo ad un punto panoramico per ammirare l’alba che tinge di rosa questi rilievi, immersi nell’ombra della Terra, mentre un limpido sole sorge accanto all’inconfondibile sagoma di Uluru. Rimaniamo un po’ in questo incantevole luogo mentre consumiamo la nostra colazione per poi seguire Marcel nella successiva e impegnativa escursione sui monti Olgas, alla “Valle dei venti”. A dir la verità ci dividiamo in due gruppi, al primo e più tosto trekking parteciperanno oltre al sottoscritto, Ferruccio, Davide, Sara, Adelina, Stefania, Giovanna, Vanna ed Enzo mentre i rimanenti percorreranno un altro sentiero meno faticoso chiamato ” Gola dei Venti”.

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Saliamo e scendiamo per più di 3 ore i giganteschi macigni, in un percorso spettacolare, ma rigorosamente stabilito dagli aborigeni per i visitatori. Il vento fresco soffia impetuoso tra queste gole mentre ci arrampichiamo sulle rocce rosse di conglomerato, che presenta strati di sedimentazione orizzontali, la vegetazione è scarsa, notevoli alcuni alberi del “legno di ferro”, da cui si ricava come dice il nome un legno dalla consistenza incredibilmente dura e compatta.

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Scarpinando Marcel pone ancora una volta l’accento sulla filosofia e lo stile di vita aborigeno. L’aborigeno dice, ritiene se stesso, la natura e la terra come qualcosa di inscindibile, è grazie a questa concezione di unità che ha raggiunto un perfetto equilibrio con l’ambiente, cosa purtoppo ben lontana a noi occidentali.

Scendiamo su un sentiero pianeggiante e Marcel si adombra, ha visto una serie di montagnole di sassi fatte dai turisti e inizia a demolirle con decisione. Questo è un atto di offesa verso gli aborigeni, che danno tutt’altro significato ai cumuli di sassi, lo dirò ai ranger! Prontamente lo aiutiamo nella sua opera di demolizione chiedendogli come mai non si vedono aborigeni in giro.
Ci risponde che sono una comunità molto chiusa e non hanno molto piacere di condividere la vita dei loro clan con gli stranieri, alcuni dei loro riti sono severamente vietati agli occidentali.

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Proseuiamo il giro e rivediamo qualche canguro che si nasconde nel folto del bush.
Ci ricongiungiamo quindi col resto del gruppo che era stato guidato dal nostro barbuto autista e torniamo al Resort salutando Marcel e ringraziandolo per tutto quello che ci ha raccontato su questa incredibile terra e sul suo popolo.

Oggi pomeriggio e domattina avremo tempo libero per rilassarci, con la possibilità di fare un tuffo in piscina o di dedicarci all’acquisto di souvenir negli appositi market, molto gettonati risulteranno i boomerang in legno dipinto e i gioielli di opale, la pietra preziosa più diffusa in Australia dal caratteristico colore verde-azzurro.

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Al tramonto, mentre consulto lo Sky Atlas sul nostro balcone sgranocchiando qualche biscotto e un po’ di frutta come cena, Ferruccio imbraccia cavalletto e montatura e si dirige a piedi verso l’Ayers Rock, vuole provare qualche foto coreografica del cielo che ritragga anche il monolito.
Io con il peso del Dobson non posso purtroppo seguirlo e attendo che faccia buio e che il cielo stellato esploda come nelle due sere precedenti rivelando i suoi fulgidi tesori australi.
Appena la Grande Nube diventa evidente, mi perdo letteralmente girovagando con il Dobson al suo interno fra le decine di condensazioni stellari e nebulari.

Poi riordino le idee e punto la nebulosa planetaria NGC 1360 nella Fornace, quasi allo zenit, anche questo un oggetto che vedo per la prima volta. E’ molto vasta, addirittura 6′ e luminosa, appare di forma ovale e vi si possono notare due cerchi concentrici dai bordi più luminosi e la stella centrale, che diventa visibile con l’oculare da 16mm.
Arriva Davide a cui mostro l’oggetto e di seguito, una nutrita delegazione del nostro gruppo, Adelina, Stefania, Vanna, Maurizio, Maura e Sara, tutti desiderosi di mettere l’occhio all’oculare. Poco dopo sento bussare alla porta : sono Deni ed Esther, che hanno mantenuto la parola, entrano scavalcando le valigie e il perenne disordine della nostra stanza e si mettono pure loro in coda allo strumento.

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Torna Ferruccio, attirato dall’atmosfera di festa e dagli schiamazzi e inizia a mostrare un po’ di costellazioni con il laser. Ci racconta che dal luogo in cui era stato a fare foto, si vedeva nettamente la luce zodiacale ed il Gegenshein, la contro luce zodiacale, collegata alla precedente dalla sottile e debolissima fascia zodiacale attraverso tutto il cielo. Ha pure fatto una foto al Gegenshein.

Guardo il cielo e pur essendo le 23, c’è ancora traccia di quanto ha detto il collega. Si sentono altre voci in avvicinamento in cui emerge quella inconfondibile di Elisabetta, è appena stata assieme al marito Mirco e gli altri compagni Gaetano, Dora ed Enzo al Sound of Silence Experience, la cena nel deserto, prenotata già dall’Italia a cui la maggior parte del gruppo ha rinunciato, ritenendola una cosa un po’ troppo turistica. Ci racconta ridendo la loro lotta con numerosi insetti che svolazzavano sul cibo attirati dalle luci e i brindisi sonori di un gruppo di allegri astrofili veneti.

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Quando sto per mostrare anche a loro qualcosa col Dobson si accende la luce del bungalow di fianco al nostro che si riempie di ragazzi inglesi ben forniti di birre e decisi a far baldoria fino a tardi. Fine delle osservazioni. Tutto il gruppo alla spicciolata prende la via delle proprie stanze salutandoci e ringraziandoci per le spiegazioni, ma non Sara che poco prima si è allontanata dal villaggio in un punto osservativo eccezionale, occorre però camminare per 20 minuti per raggiungerlo. Io Ferruccio e Davide decidiamo di seguirla, loro con la strumentazione, io no per ovvi motivi. Non appena siamo sufficientemente lontani dal villaggio imboccando una strada laterale il cielo diventa stupefacente, ci eravamo “accontentati”del cielo accanto al bungalow, ben al di sopra degli standard italiani, ma qui il discorso si fa impressionante.

La volta celeste sembra pioverti addosso tanto le stelle sono luminose e vicine e salendo su una collinetta, lì di fronte a noi, ci appare la sagoma inconfondibile ed inquietante di Uluru, con appoggiata sopra Eta Carinae!

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Rimaniamo diversi minuti in silenzio in contemplazione, come per imprimerci bene nella memoria un cielo che chissà quando rivedremo. Nuove Tauridi si fanno strada tra le costellazioni, ma…è un’impressione o attorno a noi si vede l’Airglow? Chiedo conferma ai compari che sottoscrivono questa difficilissima osservazione che nessuno di noi aveva mai fatto prima. Ci appare come una debole fascia lattea parallela a tutto l’orizzonte, in pratica un breve tratto in cui il cielo diventa più luminoso, prima di scurirsi di nuovo, dovuto alla ricombinazione degli atomi di ossigeno con quelli di azoto della nostra atmosfera, processo che produce monossido di azoto e fotoni, in pratica l’inquinamento luminoso naturale del cielo!

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Per un attimo mi viene l’insana idea di andare a prendere il Dobson, ma me la faccio subito passare pensando al peso da trasportare e ai diversi viaggi per portare tutto il materiale, e poi rifare tutto il procedimento al contrario al termine delle osservazioni. No meglio di no, penso imprecando un po’. Chissà, forse gli inglesi si sono decisi ad andare a dormire e posso proseguire con qualche altro oggetto deep sky. Abbandono i tre temerari che rimarranno lì mi dicono fino a quando le forze lo consentiranno e mi avvio solitario sulla strada del ritorno, una situzione in cui un non astrofilo si sentirebbe a disagio, probabilmente impaurito. Ma gli astrofili non hanno paura del buio, anzi, lo cercano. Trovo conforto e compagnia del cielo stellato, della Via Lattea e delle splendenti Nubi di Magellano, che in questa landa desolata illuminano i miei passi, non ho nemmeno bisogno di usare la torcia, tanto le pupille sono dilatate e perfettamente adattate al buio.

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Urla sguaiate rompono l’incantesimo, sono ormai nei pressi del nostro bungalow e gli inglesi non hanno nessuna intenzione di concedermi un ultima decente osservazione. Mi ritiro in camera, sopraffatto dalla stanchezza. Sentirò come in un sogno il ritorno degli altri che mi racconteranno di aver visto un luminosissimo bolide verde-azzurro e di aver fatto foto memorabili fin quasi all’alba, fino al sorgere della Croce del Sud sopra al monolito!

11 Novembre, una mattina sonnolenta precede la nostra partenza nel pomeriggio dall’aeroporto di Ayers Rock con destinazione Cairns, sulla costa nord occidentale, l’ultima importante tappa della nostra epopea in terra australiana. Arriviamo a Cairns al tramonto e dall’aria secca del deserto dobbiamo confrontarci col caldo umido di queste zone, siamo più a nord e quindi più vicini all’equatore e la differenza climatica si sente. Un pullman ci preleva e ci porta al nostro Novotel Cairns Oasis Resort sul quale svolazzano una quantità incredibile di volpi volanti, enormi pipistrelli che si cibano di insetti, ma fortunatamente di zanzare neanche l’ombra.

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Facciamo conoscenza con il simpatico Sergio la nostra ultima guida, un italiano da 15 anni in Australia e ben integrato, che ci aiuta nella prenotazione delle escursioni facoltative dei prossimi due giorni, una nella foresta pluviale ed una alla famosa barriera corallina, la Great Barrier Reef.
Nella notte piove abbondantemente e al mattino il cielo è grigiastro, con una decisa cappa di umidità; arriva Sergio che preleva una parte del nostro gruppo, oltre me e Ferruccio, Sara, Vanna, Adelina e Stefania,( gli altri faranno altre escursioni ), per condurci al Wooroonooran National Park, in cui ci immergeremo nella natura selvaggia del Queensland.

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La prima tappa è la foresta di Eubenangee Swamp, che attraversiamo lungo un sentiero che si fa strada tra liane, palme, felci e rampicanti di tutti i tipi, sotto la guida di Sergio che ci spiega di volta in volta il tipo di piante incontrate e i loro strani frutti, sempre molto tossici. Ci fa osservare una fila di formiche verdi che transitano su un ramo, ne prende una e la assaggia ” Sono buone, dice, sanno di limone! Ne volete una?” Ferruccio si ferma ad annusare il profumo di limone ma non cede alla tentazione di assaggiarle, così faranno anche gli altri. Usciamo dalla foresta in un’ampia radura costellata di specchi d’acqua, l’habitat ideale per i coccodrilli ci dice Sergio, ma purtroppo non ne vedremo nemmeno uno, solo qualche uccello acquatico come spatole, cormorani e Martin Pescatori.

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Abbandoniamo la zona e arriva il momento sicuramente più emozionante della giornata, il bagno nel ruscello delle Josephine Falls, nel bel mezzo della foresta, un’esperienza mai provata. Una volta in costume Sergio ci spiega come affrontare i macigni scivolosi, come mettere i piedi e dove passare per affrontare la forte corrente del ruscello, che davanti a noi spumeggia dopo due salti fragorosi giu’ dalle rocce levigate.

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Osserviamo Sergio, si dà una decisa spinta e con poche bracciate arriva sull’altra sponda, ma lui ha il fisico e chissà quante volte ha fatto questa operazione. Parto io, l’acqua gelida mi sveglia rapidamente ed inizio a nuotare come ha detto Sergio senza mai fermarmi, altrimenti la corrente potrebbe prendere il sopravvento e trascinarmi a valle, operazione riuscita.
Seguono Ferruccio e Stefania chi più chi meno con stile, le altre 3 non ci pensano minimamente a seguirci. “Ora, dice Sergio, non ci resta che scendere a mo’ di scivolo da questa alta roccia, proprio sotto alla cascata e mi raccomando quando arrivate in acqua non date una capocciata sulle rocce sottostanti, iniziate a nuotare e non fermatevi fino all’altra riva, un gioco da ragazzi!”

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Sergio si lascia andare sulla roccia levigata, prende velocità e atterra sull’acqua col sedere facendo due rimbalzi prima di nuotare in bello stile fino alla salvezza. Mah, sono un po’ perplesso. Vinco gli indugi e mi lascio scivolare aprendo le braccia come suggerito per mantenere l’equilibrio e non rotolare rovinosamente e penosamente contro le rocce. Vado sott’acqua, annaspo qualche attimo vinto dalla corrente, poi mi concentro e trovo la mano di Sergio che mi issa al sicuro sulla riva. Anche Ferruccio e Stefania vengono tratti in salvo.

Sulla strada del ritorno Sergio ed Adelina sono oggetto dell’attenzione di sanguisughe, tenacemente ancorate alle dita dei piedi. “Può succedere dice Sergio, siamo nella foresta!” Tolte le sanguisughe veniamo condotti per il pranzo in un ottimo ristorante italiano, il Roscoe’s Restaurant, in cui ci ritempriamo dal nostro primo impatto con la foresta tropicale, prima di proseguire verso l’estuario del fiume Johnstone e verso una zona pianeggiante ricca di bananeti in cui avvistiamo un Casuario, un raro uccello simile allo struzzo con una vistosa cresta azzurra.

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Poi è la volta delle Millaa Millaa falls, cascate più imponenenti delle precedenti, in cui però decidiamo di non tuffarci e infine arriviamo sulla sommità delle Tablelands , in un’area in cui crescono giganteschi alberi ( qui non arrivano i cicloni a demolirli ), tra cui Pini millenari e una vera e propria meraviglia della natura, un gigantesco Fico, ricoperto di radici, liane e felci arboree, con una circonferenza di 60 m ed un’altezza analoga, che pare abbia ispirato James Cameron, per il ciclopico albero del film Avatar sul pianeta Pandora. Trascorriamo un bel po’ di tempo presso questa vera e propria cattedrale vegetale, arrampicandoci anche tra le sue impressionanti radici aeree.

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Il tour termina e ringraziamo Sergio per averci fatto trascorrere una splendida giornata e ci ritroviamo con gli altri per la cena, alcuni hanno già sperimentato con grande soddisfazione la barriera corallina, altri hanno visitato il giardino botanico di Cairns. A cena assaggeremo un tris di carni tipiche: canguro, Emù e Coccodrillo!
Si ragiona un po’ sul meteo, al largo sulla barriera il clima era sereno al contrario di Cairns e anche dell’interno in cui ci trovavamo noi, caratterizzato da molte nuvole e da qualche pioggerella, le previsioni via internet indicano un aumento dell’alta pressione, sarà sufficiente per consentirci tra due giorni di vedere l’eclisse?

Il 13 Novembre, la vigilia dell’eclisse partiamo sotto un cielo piovoso e con un mare decisamente mosso diretti alla barriera corallina, siamo solo io Ferruccio e Sara, gli altri ancora una volta si sono divisi su vari tour. La Grande barriera corallina australiana è la più grande del mondo, oltre 2300 km, l’unico elemento vivente visibile dallo spazio, c’è grande attesa per andare ad esplorare le meraviglie sottomarine, lo staff della nave fornisce infatti, maschere con boccaglio e pinne per lo snorkeling e attrezzatura subacquea per i più esperti.

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Dopo un’oretta dalla partenza ci fermiamo ed il cielo inizia ad aprirsi, facendo uscire un sole che và ad illuminare i magnifici colori della barriera.
Sara si tuffa, seguita a ruota da Ferruccio e dal sottoscritto, ma il mare è mosso ed è complicato nuotare, ciò non ci impedisce comunque di avvistare tantissimi pesci colorati, un barracuda con sguardo inquietante, enormi coralli blu e una conchiglia Tridacna gigante.

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VIAGGI: AUSTRALIA 2012 - 589Torniamo nel tardo pomeriggio a Cairns rimasta sotto le nuvole e bersaglio di frequenti acquazzoni, convincendoci se ce ne fosse ancora bisogno, che Green Island, al largo, lontano dalla costa, sia la meta ideale per l’osservazione dell’importante fenomeno celeste.
La speranza e l’apprensione si mescolano, manca solo l’ultimo tassello, la ciliegina sulla torta per rendere questo viaggio memorabile.
Andiamo a letto presto, anche perchè ci aspetta un’alzataccia, alle 2.45 e in quell’orario disumano scendiamo nella hall dove ci aspetta Glenn Sweet, il corrispondente della Naar, che ci fa salire su un pullmann assieme a svariati americani e ci conduce al porto ad attendere la nostra nave, la Ocean Freedom. Piove.

Ci riagganciamo a questo punto al racconto iniziale, ovvero al momento in cui stiamo navigando al largo di Cairns, basculando sul mare agitato e con mille dubbi meteorologici.
La sorte sta però per volgere a nostro favore…

Sara scende la scaletta del ponte superiore in cui sfidando le intemperie ha monitorato il cielo e ci porta la notizia di svariati squarci: si vedono le stelle, ci dice e anche Venere basso a est! Pure i numerosi americani presenti sul nostro battello si sono accorti del miglioramento climatico e un velato ottimismo comincia a farsi strada, i volti diventano più sorridenti e fiduciosi. Albeggia quando attracchiamo al pontile di Green Island, recuperiamo telescopi e attrezzatura fotografica e di corsa cerchiamo una spiaggia che faccia al caso nostro, abbiamo mezz’ora prima che inizi l’eclisse, ci guardiamo attorno, il cielo è miracolosamente quasi tutto sgombro, rimane una densa nuvolaglia verso ovest in direzione di Cairns e qualche piccola nuvoletta che transita veloce sull’orizzonte est, dai che ce la facciamo!

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Troviamo un posto incantevole lontano dalla calca del popolo astrofilo, Davide e Ferruccio montano velocissimi la strumentazione ( un rifrattore da 105 mm F 500 mm e un 200 mm con duplicatore ) e io, dopo aver montato il fedele Tansutzu ( 114/1000) vado a ricuperare il resto del gruppo, che si era aggregato agli americani e ai giapponesi.
Sono le 5.25 ora locale, il sole sorge a Green Island, fra poco più di un’ora ci sarà la totalità, speriamo che in quei due importantissimi minuti che valgono un viaggio, una delle innocue nuvolette non decida di piazzarsi proprio sopra il sole.

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La tensione è alta quando alle 5.44 abbiamo il primo contatto parzialmente nascosto da una di queste nuvole, ma è solo un attimo e osserviamo l’avanzare del disco lunare sopra le numerose macchie solari senza troppi patemi. Il nostro gruppo si alterna agli strumenti osservando con sempre maggior entusiasmo lo spicchio di sole che via via si assottiglia ed ecco che puntualmente i colori del paesaggio iniziano a cambiare, un fenomeno che si ripete regolarmente ad ogni eclisse, ma che coglie sempre di sorpresa. Gli occhi non sono abituati a questa strana luce polarizzata, che ti fa sembrare su un altro pianeta e lo splendore del sole appena sorto lascia di nuovo il posto ad un prematuro crepuscolo.

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Ormai manca pochissimo e osserviamo con orrore l’approssimarsi al sole di una delle famigerate nuvolette, tutto il gruppo è in trepidazione… Ma la fortuna è dalla nostra e la nuvoletta, forse per le particolari condizioni climatiche indotte dall’eclisse, rallenta e si sfrangia passando un po’ sopra e un po’ sotto al sole che in un colpo da teatro proprio in quel momento si eclissa totalmente riducendosi ad un puntino luminoso e rivelando infine un enorme disco nero circondato da una corona stellata dal colore leggermente rosato, un incredibile fiore cosmico che si schiude per poco agli occhi di noi miseri mortali . Splendido!

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Sono le 6.38 ed il sole è alto 14° sull’orizzonte. Vinco la paralisi che inchioda davanti ad uno spettacolo così sublime e metto l’occhio al Tansutzu: ecco una gran quantità di protuberanze rosse e viola luminosissime e la corona madreperlacea che rivela la sua struttura filamentosa.

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foto di Sara Vatrella

Chiamo gli altri che rapidamente si alternano all’oculare. Enzo è commosso, alcuni urlano, altri sono semplicemente senza parole. Vado da Adelina facendole notare la colorazione giallastra che ha assunto l’orizzonte nord, quando ecco che il sole esce di nuovo, illuminando la spiaggia e l’Oceano Pacifico. Ancora una volta è sembrato un attimo, anche se sono passati 2 minuti e 6 secondi.

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Ce l’abbiamo fatta! E’ la mia settima eclisse totale e considerate le statistiche meteo del periodo e la criticità del sole basso sull’orizzonte , non era un risultato così scontato, ma ancora una volta Coelum viaggi ha trionfato sul meteo!

Mentre si festeggia l’avvenuta osservazione, solo Davide continua a fare foto completando il fenomeno fino all’uscita del sole dal disco lunare che avviene alle 7.40, con la marea che nel frattempo si è alzata a lambire i nostri cavalletti. Trascorriamo alcune ore sull’isola, chi come Ferruccio, Adelina e Vanna tuffandosi nelle acque azzurre e invitanti (solo in seguito scopriremo essere infestate da velenosissime cubo-meduse ), chi andando alla ricerca di testuggini marine e coccodrilli, chi semplicemente rilassandosi in un caffè all’aperto, ricordando con incredulità i meravigliosi istanti appena vissuti.

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Mangiamo qualcosa mentre rapidamente l’adrenalina lascia il posto alla spossatezza di questo lungo ed impegnativo viaggio, condito di lunghissime trasvolate e numerosi voli interni e cominciamo a ragionare sul prossimo obiettivo, l’eclisse totale del 2013 in Uganda. Ma arriva il momento del ritorno e una volta a Cairns l’equipaggio del battello si mette in fila salutandoci rispettosamente uno per uno, il nostro aspetto stanco, i volti in parte bruciati dal sole e coperti di sabbia corallina, i cavalletti in spalla e gli strumenti provati dai numerosi viaggi in giro per il mondo ci fanno assomigliare più a reduci dal fronte che a una spedizione astronomica.

Stringo la mano al capitano, che sorridendo ci congeda: “Lucky Eclipse!” Guardo i compagni di viaggio e le nuvole sopra Cairns. “Yes…Lucky Eclipse!”

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Fine corsa per GRAIL: Ebb e Flow si preparano all’impatto

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Di certo se ne vanno con stile. Meno di due settimane dopo essersi guadagnate le prime pagine dei giornali grazie alle loro analisi della gravità e composizione lunare, le due sonde gemelle che compongono la missione GRAIL della NASA si preparano a chiudere la loro avventura. Oggi iniziano infatti la manovra che le porterà, lunedì 17 dicembre, a schiantarsi sulla superficie della Luna. L’impatto è previsto su una formazione montagnosa nei pressi del Polo Nord lunare, attorno alle 23:30 del 17 (ora italiana).

Ebb e Flow (così si chiamano le due sonde) hanno infatti quasi esaurito il loro carburante, e la loro orbita si è ormai abbassata troppo per consentire misure scientifiche significative. “Sarà difficile dirgli addio” commenta Maria Zeuber, responsabile scientifica della missione GRAIL e prima autrice degli studi pubblicati proprio la scorsa settimana su Science, che hanno disegnato la più accurata mappa gravitazionale della Luna mai ottenuta, permettendo di migliorare molto la conoscenza della crosta del nostro satellite. “Queste due piccole gemelle robotiche si sono comportate in modo esemplare, e la scienza planetaria è avanzata molto grazie ai loro contributi”.

La mappa (in basso, una simulazione dell'impatto) della regione lunare scelta per l'impatto delle sonde gemelle Ebb e Flow della missione Gravity Recovery and Interior Laboratory (GRAIL) d'impatto di GRAIL. Credit: NASA/GSFC

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Ebb, la prima a raggiungere l’orbita lunare nel gennaio 2012, sarà anche la prima a cadere. Flow la seguirà di circa 20 secondi. Al momento dell’impatto viaggeranno a circa 1,7 km al secondo, e dell’evento non vi saranno immagini, perché in quel momento quella regione della Luna si troverà in ombra.
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Prima del botto, Ebb e Flow daranno ancora un contributo alla NASA: accenderanno i loro motori fino a svuotare del tutto le riserve di carburante, permettendo ai tecnici di missione di convalidare con maggiore precisione i modelli informatici che stimano il consumo del carburante, usati dalle missioni spaziali.

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La release NASA: Twin Probes Prepare for Mission-Ending Moon Impact

Congiunzione Marte – Luna il 15 Dicembre

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Congiunzione difficile quella tra Marte e Luna la sera del 15 dicembre. La falce di Luna sarà probabilmente osservabile senza alcuna difficoltà a sudovest, mentre solo condizioni del cielo ottimali permetteranno di cogliere nel cielo del crepuscolo il puntino luminoso di Marte. Alle 17:30 il Sole sarà infatti sotto l’orizzonte di –9°, e il cielo sarà quindi già abbastanza scuro, ma l’altezza del pianeta sarà di soli +10° (e la sua magnitudine non elevatissima non ne garantirà l’osservabilità).

Hubble e le sette sorelle

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I rombi colorati identificano la posizione delle sette galassie individuate da Hubble e i relativi redshift. In alto le immagini ingrandite dei sette oggetti (NASA, ESA, R. Ellis - Caltech, HUDF 2012 Team)

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Un’intera cucciolata di galassie giovanissime, la cui luce arriva a noi dalla notte dei tempi, da quando l’Universo aveva appena 600 milioni di anni. Per scovarle, Richard Ellis e RossMcLure (rispettivamente del California Institute of Technology e dell’Università di Edinburgo) hanno usato la Wide Field Camera 3 dello Hubble Space Telescope, “addestrata” a concentrarsi su una limitata porzione di cielo chiamata Hubble Ultra Deep Field. Hanno così ottenuto una visione straordinariamente profonda dell’Universo nella banda di frequenza del vicino infrarosso. Lì hanno fatto un vero e proprio censimento delle galassie nell’Universo primordiale, confermando e al contrario escludendo dal conto alcuni oggetti che in passato altri ricercatori avevano indicato come possibili galassie distanti. E soprattutto, hanno trovato sei galassie in precedenza sconosciute, tutte con un redshift (uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali causato dall’effetto Doppler) superiore a 8, che significa che si sono formate più di 13 miliardi di anni fa.

A queste si aggiunge una galassia già intravista in passato dai ricercatori, ma ora confermata definitivamente da Hubble, e che potrebbe meritarsi (o meglio riprendersi) il titolo di galassia più antica e distante mai osservata. Si tratta di UDFj-39546284. Finora le veniva attribuito un redshift di 10, ed era stata per un certo tempo considerata la nonna della galassie finché un’altra più distante non le aveva soffiato il record. Ora però i nuovi calcoli le attribuiscono un redshift di 11,9, che corrisponde a una distanza di 13,9 miliardi di anni luce e che la riporta decisamente in testa.

Uno dei principali obbiettivi di questo tipo di osservazioni è capire quanto rapidamente il numero di galassie esistenti sia aumentato durante le prime fasi di vita dell’Universo. Misura che a sua volta dipende da quanto rapidamente quelle galassie formavano le stelle che le compongono. “La scoperta di una popolazione significativa di galassie a redshift superiore a 8, abbinata alla nuova analisi del numero e proprietà di altre a redshift tra 7 e 8, avvalora l’idea che le galassie si siano formate in modo regolare nel corso del tempo” spiega McLure. Man mano che si va indietro nel tempo e ci si avvicina al Big Bang cioè, il numero di galassie scende, ma in modo regolare e senza scalini bruschi.

Lo studio, presentato ieri presso la NASA, sarà presto pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

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L’immagine HST è disponibile anche a piena risoluzione (13,6 MB) o nella versione zoomabile

La release HST Hubble census finds galaxies at redshifts 9 to 12″

Il buco nero medio non esiste?

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Un’emissione luminosissima di raggi X proveniente da un buco nero nella galassia Andromeda. È quello che ha registrato un team internazionale di astronomi, tra cui due ricercatori dell’INAF, monitorando, con il satellite XMM dell’ESA la più grande galassia del nostro “Gruppo Locale” che comprende, oltre la Via Lattea, le Nubi di Magellano e un’altra quarantina di galassie meno note.

L'immagine è una composizione della registrazione X del satellite XMM-Newton X-ray sovrapposta a ua ripresa nell'ottico della galassia Andromeda con ULX evidenziato dal cerchietto. I colori nell'immagine XMM corrispondono a differenti energie negli X: da 0.2 a 1 keV (in rosso), da 1 a 2 keV (verde) e 2-4.5 keV (blu). Crediti: Bill Schoening, Vanessa Harvey/REU program/NOAO/AURA/NSF

Scarica l’immagine HiRes (2,7 Mb)

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È la prima volta che viene registrato una così intensa luminosità da un buco nero di un’altra galassia. Cosa questo implichi lo spiega Massimo Della Valle, Direttore dell’Osservatorio Astronomico Di Capodimonte dell’INAFe tra gli autori della ricerca pubblicata da Nature.

“A Gennaio di quest’anno – dice Della Valle —  abbiamo scoperto una sorgente luminosissima che non era presente nei nostri archivi.  Nel breve volgere di poche settimane la sorgente raggiunse una luminosità X straordinaria, simile a quella delle cosiddette sorgenti ULX (UltraLuminous sources X). Gli astronomi per anni hanno dibattuto se questa luminosità fosse dovuta dall’accrescimento di materiale, ad un tasso elevatissimo, di un buco nero “stellare”, cioè inferiore alle 10 masse solari, o piuttosto dall’accrescimento, ad un tasso più basso di un buco nero di massa intermedia (100-1000 masse solari). Le nostre osservazioni – conclude il direttore dell’osservatorio di Napoli — supportano il primo scenario e tendono a ridimensionare il ruolo dei buchi neri di massa intermedia se non addirittura ad escludere la loro esistenza. Questi oggetti saranno i “banchi di prova” ideali per studiare l’accrescimento vicino al limite di Eddington, che è ben lungi dall’essere compreso”.

E di limite di Eddington parla il principale autore della ricerca, Matt Middleton del Dipartimento di Fisica dell’Università di Durham, in questi giorni a Napoli per una conferenza all’osservatorio e che abbiamo per l’occasione  raggiunto: “Queste osservazioni, per la prima volta, hanno offerto l’opportunità di  studiare l’accrescimento in condizioni limite e straordinarie, vicino al limite di Eddington per l’appunto. Se comprendiamo appieno questo fenomeno sarà possibile capire come alcuni dei primi oggetti formatisi nell’Universo, circa 13 miliardi di anni fa immediatamente  dopo il Big Bang,  come i quasars abbiano potuto accrescere materia tanto rapidamente, per poi ridistribuirla nell’Universo “giovane”. Materia dalla quale si sono successivamente formate stelle e galassie”.

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Del perché della scelta di Andromeda quale galassia da tenere sotto osservazione, risponde Marina Orio dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova: “La relativa vicinanza di Andromeda, a  soli due milioni e mezzo di anni luce di distanza, offre un’occasione unica di  studiare un intero sistema di popolazioni stellari a diverse lunghezze d’onda.  Abbiamo – continua la ricercatrice italiana — iniziato questo programma con  il principale obiettivo di  seguire, nella banda X, le esplosioni di stelle novae,  cioè di stelle binarie formate da una nana bianca e una stella, di norma più piccola del Sole, che viene “cannibalizzata” poco alla volta. In particolare seguiamo le fasi immediatamente successive all’outburst, spesso caratterizzate da un’emissione X “soft” (meno di 10keV) dovuta al bruciamento residuo dello strato di idrogeno trasferito dalla stella di piccolo massa  alla nana bianca”.

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NASA: Astronomers Catch Jet from Binge-Eating Black Hole
ESA: A new ultra-luminous X-ray source in Andromeda

Al Planetario di Ravenna

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15.12, ore 16:00: “LUOGHI DA FAVOLA…Le stelle
di Natale” Festival del lettore e lettrice volontari
al termine merenda offerta dallo “Chalet”
(attività adatta ai più piccoli).

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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15.12: “MAYA – Archeoastronomia: il cielo degli antichi” e Osservazione notturna (aspettando il 21-12-2012).

Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Nuovo Osservatorio Astronomico Una terrazza sulle Alpi

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Il prossimo 15 dicembre, inaugurazione del nuovo Osservatorio del gruppo Astrofili Agordini – Cieli Dolomitici presso il rifugio Scarpa, ai piedi del monte Agner.

Info su: www.rifugioscarpa.it

GEMINIDI: l’appuntamento è per la mezzanotte del 13

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A sinistra, la posizione del radiante delle Geminidi rispetto alle stelle della costellazione da cui lo sciame prende il nome. Verso la mezzanotte del 13/14 dicembre, orario previsto per il massimo, il radiante sarà già alto circa +60° sull’orizzonte est. A destra, una splendida ripresa fotografica di un fireball delle geminidi realizzata dall’americano Wally Pacholka nel dicembre 2009 dal deserto del Mojave.
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A sinistra, la posizione del radiante delle Geminidi rispetto alle stelle della costellazione da cui lo sciame prende il nome. Verso la mezzanotte del 13/14 dicembre, orario previsto per il massimo, il radiante sarà già alto circa +60° sull’orizzonte est. A destra, una splendida ripresa fotografica di un fireball delle geminidi realizzata dall’americano Wally Pacholka nel dicembre 2009 dal deserto del Mojave.

Lo sciame delle Geminidi, forse il più attivo e costante negli ultimi anni, si manifesta in genere nel periodo che va dal 7 al 17 dicembre, ed è l’unico (tra quelli conosciuti) che sembra essersi generato da un asteroide (3200 Phaethon, che è probabilmente il residuo di una cometa estinta) e non da una cometa. Sembra inoltre che abbia cominciato a manifestarsi solo dopo l’anno 1750 e che già dalla fine di questo decennio la Terra potrebbe non attraversare la parte più densa della nube di detriti. Il radiante è situato circa 2° a nordovest di Castore, la stella alfa della costellazione dei Gemelli. L’attività di quest’anno, con un massimo previsto verso le 23:30 TU del 13 dicembre (le 0:30 del 14 in Italia) sarà favorita dalla completa assenza del disturbo lunare. Le stime più recenti parlano di un picco di attività di circa 120 meteore osservabili in un’ora.

Montecatini Val di Cecina Astronomical Association

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14.12: Notte dello sciame delle Geminidi.

Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org

Montecatini Val di Cecina Astronomical Association

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14.12: Osservazione del cielo invernale e dello
sciame meteorico delle Geminidi.

Per informazioni e per osservazioni in altre date
scrivere a: info@astronomicalcentre.org
www.astronomicalcentre.org

Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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14.12: “Racconti di stelle sotto il cielo d’inverno (miti e costellazioni)” e osservazione notturna (apice delle Geminidi).

Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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14.12: “Pan Starrs, la grande cometa in arrivo” di Loris Lazzati.

Per info: Tel. 0341 367 584
www.deepspace.it

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