26.05: APERTURA DELLA STAGIONE 2012. Prima serata della stagione 2012 dedicata a Marte e Saturno. Nella prima parte dell’osservazione ci sarà spazio per una veloce panoramica sulla Luna in prossimità del Primo Quarto e su Venere. Inizio ore 21:00 presso il Centro Civico Borella, Solzago.
Per informazioni: Tel 3280976491
astrofili_lariani@virgilio.it
www.astrofililariani.org
Coelum ripropone in digitale ad alta risoluzione l’interessantissimo volume pubblicato nel 2004 e aggiornato per l’occasione del nuovo transito di Venere sul Sole del 6 giugno 2012.
Uno straordinario intreccio di storia, uomini e scienza… il racconto dei transiti di Mercurio e Venere sul sole e tutti i consigli per seguire l’evento!
Edizione 2012
Per l’occasione del nuovo transito di Venere il libro è stato aggiornato con un nuovo capitolo dedicato al fenomeno del 6 giugno 2012:
CAPITOLO 10
10.1 – L’ultimo transito della nostra vita
10.2 – Il prossimo transito di Venere
(Tratto da Coelum n.159)
Attenzione
Il libro si legge online, esattamente come Coelum Digitale, ed è quindi necessario disporre del supporto ad Adobe Flash. Assicurati che il tuo dispositivo supporti Adobe Flash e di aver installato il plug-in Flash Player per il tuo browser (scarica Adobe Flash Player gratis – clicca qui)
Secondo corso di Astronomia per principianti tenuto dall’Associazione Socio-Culturale Sothis di Torre del Greco (Na) a partire da venerdì 25 Maggio che si concludera’ con un’osservazione del cielo in data da definirsi.
Per ulteriori informazioni: www.ascsothis.it
Condizioni meteo permettendo, avrà all’incirca questo aspetto la congiunzione larga (5,5°) tra Venere e il nostro satellite la sera del 22 maggio. Alle 21.30 la sottilissima falce di Luna sarà alta circa +6° sull’orizzonte ovest-nordovest.
Sabato 19/05/2012: Ore 9:00: conferenza dedicata al Sistema solare e osservazione del Sole con l’utilizzo di apposita strumentazione messa a disposizione dall’associazione
astrofili Legnago. La conferenza è aperta anche ai ragazzi delle scuole primarie. Ore 15:30: “La ripresa del pianeta Venere in alta risoluzione” relatore Daniele Gasparri. Ore 16:30: Presentazione in prima nazionale del nuovo dobson 16” NGC-N della RPastro.
In serata osservazione della volta celeste sino a tarda notte tramite i telescopi dei partecipanti.
• INFORMAZIONI:
Per info e contatti: cell. 3275933100
Mail: macri39@tiscali.it
lorenzo.daccordo@tiscali.it
astrofililegnago@hotmail.it
Venerdì 18/05/2012: Ore 18:00: ritrovo in agriturismo dei partecipanti alla manifestazione, seguirà una conferenza tenuta da Daniele Gasparri dedicata a Marte e Saturno che saranno osservati dalle 20:30 tramite i telescopi messi a disposizione dall’associazione.. Ore 22:30: INIZIO CONCORSO FOTOGRAFICO
• CONCORSO FOTOGRAFICO: Per questa edizione l’organizzazione ha optato per una formula innovativa: i partecipanti dovranno riprendere in loco con la propria strumentazione la sera del 18 maggio tra le 22.30 e le 00.30 in zone preposte, avranno poi a disposizione l’ora successiva per l’elaborazione dei filmati acquisiti che verranno quindi consegnati alla giuria.
Leggere i dettagli del Regolamento sul sito.
I PREMI:
1° Imaging Source DMK21.AS.618 USB2 mono o colore (a scelta del vincitore) del valore di 520 €!!! dotata del nuovo sensore Sony icx 618 offerto da Astrottica.
2° Buono acquisto di 100 € offerto da Geoptik
3° Buono acquisto di 50 € offerto da Cielosereno
4° Filtro H-alpha Astronomik offerto da DeepUniverse.
• INFORMAZIONI:
Per info e contatti: cell. 3275933100
Mail: macri39@tiscali.it
lorenzo.daccordo@tiscali.it
astrofililegnago@hotmail.it
18.05: Presentazione libro “Incontro con l’astronomia” e conferenza di Cristiano Fumagalli “La ricerca della vita nel cosmo”.
Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it
18-20 maggio: Star Party Nazionale UAI di Forca Canapine A 1.600 m slm nel cuore dell’Italia centrale in uno dei luoghi ancora non intaccati dall’inquinamento luminoso si svolge lo star party dell’Unione Astrofili Italiani. http://divulgazione.uai.it
Venere che attraversa il cerchio del Sole: uno spettacolo suggestivo e raro come pochi, quello in programma, a cavallo fra il 5 e il 6 di giugno, sui cieli della Terra. Per chi lo dovesse mancare, la prossima occasione si ripresenterà solo nel 2117, tra più d’un secolo. Troppo in là per la maggior parte di noi, anche a voler essere ottimisti. E allora come può fare chi proprio si troverà impossibilitato, nonostante tutta la buona volontà, a prendere parte allo show? Niente paura, ci s’ingegna. Dall’Italia, per esempio, non ci sarà modo di osservare il transito dal vivo. Ma grazie a tre telescopi delprogetto GLORIA (uno in Norvegia, uno in Giappone e un terzo in Australia) potremo comunque seguire tutte le fasi dell’attraversamento in diretta sul web.
E consoliamoci: per quanto possa sembrare paradossale, persino l’occhio più privilegiato di tutti, concepito per nient’altro che per osservare il cielo, non potrà assistervi direttamente: la pupilla dello Hubble Space Telescope, il principe dei telescopi spaziali, pur trovandosi nel luogo ideale per assistere allo storico fenomeno, è infatti troppo delicata – proprio come i nostri occhi — per puntare lo sguardo dritto verso il Sole. Sarebbe un rischio eccessivo per suoi strumenti ultra-sensibili, progettati per sondare il buio più nero. Ma gli scienziati del telescopio spaziale non si sono dati per vinti, e hanno trovato un escamotage: ne osserveranno il riflesso. Dove? Sulla superficie della Luna. Già. La Luna come un gigantesco specchio che riflette il transito di Venere verso un altro specchio, quello appunto del Telescopio spaziale Hubble.
A dire il vero, per il team di HST non si tratta solo di non mancare all’imperdibile appuntamento. Dietro all’intricato gioco di specchi appena descritto c’è in realtà un obiettivo scientifico, un esperimento che gli scienziatistanno mettendo a punto da mesi. Osservare la debole eco del transito del pianeta – in particolare, il riflesso della suaatmosfera attraversata dal Sole – sulla superficie della Luna permetterà agli astrofisici di collaudare e affinare tutta una serie di tecniche utilizzate nello studio dei pianeti extrasolari. Anche in quel caso, infatti, ciò che i telescopi osservano è – in molti casi – il transito dei pianeti davanti alle stelle che li ospitano. Ora, ciò che gli scienziati vogliono verificare è quanto il debolissimo segnale emesso dalle atmosfere di questi mondi alieni, analizzato con tecniche spettroscopiche, sia o meno un testimone attendibile della loro composizione chimica.
Ecco allora che il transito di un pianeta abbondantemente studiato qual è Venere si presenta come un’occasione ghiotta: il segnale ultradebole riflesso dalla Luna, acquisito da tre degli strumenti a bordo di Hubble (l’Advanced Camera for Surveys, la Wide Field Camera 3 e lo Space Telescope Imaging Spectrograph), verrà infatti messo a confronto con l’effettiva composizione chimica dell’atmosfera del pianeta. Atmosfera che gli astronomi conoscono perfettamente. Il confronto permetterà così di valutare quanto le tecniche e gli strumenti attualmente in uso siano adeguati per la caccia ad altre Terre.
Il corso, già iniziato nelle sedi di Bitetto e Altamura, dal 14 maggio inizia a BARI (presso Ass. ALTAIR – Via Redavid, 116; inizio lezioni ore 20.00). Per il dettaglio del programma e le modalità di partecipazione visitare il sito SAIt Puglia.
Per informazioni e prenotazioni:
Tel. 339-2929524., E-mail: info@saitpuglia.it www.saitpuglia.it
L’astronomia la fa da padrona, nel numero di Science di questa settimana. E il ruolo del protagonista, tra un Sole più lento del previsto, unrassicurante calendario Maya e un pianeta finora sfuggito ai supertelescopi, va a Vesta. I dati raccolti nel luglio 2011 dalla sonda “Dawn” della Nasa, durante il fly-by su questo asteroide gigante (che all’anagrafe si chiama, in realtà, “4 Vesta”) sono la base per ben sei articolifirmati da diversi team di ricercatori. Un pacchetto di analisi scientifiche che autorizzano a parlare di una promozione sul campo per Vesta. Da asteroide (è il secondo del sistema solare, per massa) a vero e proprio proto-pianeta in qualche modo sopravvissuto fino ad oggi, tanto che rappresenta una vera testimonianza “fossile” delle prime fasi del sistema solare.
“I ricercatori dell’INAF sono molto presenti nella missione Dawn e hanno ruoli di responsabilità a livello di gestione della missione e nell’analisi e interpretazione dei dati raccolti, oltre ovviamente alla guida scientifica dello spettrometro VIR. Una bella soddisfazione e un’ulteriore conferma dell’alto livello internazionale raggiunto dall’astrofisica e dalla tecnologia italiana” commenta Maria Cristina De Sanctis, dell’INAF-IAPS di Roma, team leader dello spettrometro VIR e autrice di uno degli articoli usciti su Science.
Il primo studio, quello che tira le somme, è firmato da Christopher Russell dell’Università della California a Los Angeles. Che incrociando i dati raccolti dai vari strumenti di Dawn, racconta come Vesta sia nato probabilmente durante i primi milioni di anni della formazione del sistema solare, evolvendo poi fino a formare un nucleo costituito da ferro, forse grande abbastanza da generare un campo magnetico. E indica proprio in quel “cuore” ferroso e nelle grandi dimensioni gli elementi che hanno permesso all’asteroide di soprvavvivere fino ai giorni nostri, anziché disgregarsi in corpi più piccoli sotto l’effetto della gravità e degli impatti con altri asteroidi.
Una parte importante nell’analisi è affidata proprio ai dati provenienti dallo spettrometro VIR. L’articolo di Maria Cristina de Sanctis e colleghi analizza la mineralogia di Vesta, e conferma l’antico sospetto degli astronomi che sia proprio lui la fonte di una classe di meteoriti, detti HED (howardite-eucrite-diogenite) che ogni tanto colpiscono la Terra. La superficie di Vesta mostra tracce degli stessi minerali contenuti nei “sassi” che ci scaglia addosso, e un gigantesco bacino dalle parti del suo Polo Sud sembra proprio essere il punto da cui si staccano. Più in generale, spiegano De Sanctis e colleghi, Vesta sembra aver avuto una evoluzione geologica complessa, con la progressiva differenziazione di un mantello e di una crosta superficiale. Insomma quello che succede di solito ai pianeti, piuttosto che agli astereoidi. Anche lo studio di Vishnu Reddi, sempre basato sui dati dello spettrometro, descrive una storia lunga e tormentata, evidente dalla presenza di quattro classi spettrali distinte sulla superficie del pianeta, che parlano delle diverse fasi di vita per cui Vesta è passato. Dall’iniziale bombardameno di altri corpi che ne ha scavato la superficie, fino a fasi più tranquille che le hanno permesso di consolidarsi.
Un altro gruppo di articoli (tra cui uno ancora di un nome italiano, quello di Simone Marchi del NASA Lunar Science Institute in Boulder, in Colorado), descrive invece uno per uno i crateri sulla superficie di Vesta. Il più grande, e il più giovane, è proprio quel cratere Rheasilvia, nei pressi del Polo Sud. Lungo circa 500 km, risalente a un miliardo di anni fa, e probabile fonte dei meteoriti HED. Nessuna evidenza, invece, che su Vesta vi sia mai stata attività vulcanica, altro punto di domanda a cui i ricercatori volevano rispondere.
Il ritratto che emerge è insomma quello di un “anello mancante” nell’evoluzione del sistema solare. Vesta assomma caratteristiche tipiche degli altri asteroidi, della Luna e dei pianeti come la Terra, tanto che i ricercatori lo descrivono come un corpo celeste “di transizione”, dalle caratteristiche uniche. Una conferma che l’obbiettivo della missione Dawn era ben scelto (ma non è l’unico: c’è ancora l’asteroide Cerere, con cui la sonda ha appuntamento nel febbraio 2015). E che valeva la pena di “salvare” la missione dalle intemperie che, a un certo punto del decennio passato, ne hanno messo in dubbio la realizzazione, quando la Nasa considerava seriamente di cancellarla per ragioni di budget.
“Quando si progetta una missione ambiziosa vi sono sempre forze contrastanti e si formano un partito pro e uno contro” ricorda Simona Di Pippo, che ha coordinato la partecipazione italiana a Dawn durante la realizzazione e il lancio come responsabile per l’Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ruolo che ha ricoperto fino al 2008). “Ma posso dire che la partecipazione italiana ha avuto un peso importante nella decisione finale di mantenere la missione. L’Italia nel suo complesso ha sviluppato e consolidato da decenni un rapporto di credibilità con gli USA per la fornitura di strumenti scientifici. Iniziato con Cassini, continuato con Rosetta, su Dawn ci ha permesso di essere scelti e di far sentire la nostra voce al momento di prendere decisioni”. Quanto alla scelta degli asteroidi “bersaglio”, Di Pippo ricorda che “l’obbiettivo primario era andare a studiare le fasi primordiali del sistema solare, da cui il nome della missione, che sta per ‘alba’. Vesta e Cerere sono due corpi, molto diversi tra loro, che presi assieme sembravano fornire la maggior quantità possibile di informazioni sull’inizio del sistema solare”.
E parlando di esplorazione del sistema solare, impossibile non ricordare che si avvicina ormai l’appuntamento della missione Rosetta con la “sua” cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, che raggiungerà nel 2014. Un’altra missione (a guida ESA, questa volta) in cui l’Italia ha un ruolo centrale. “Ci aspettiamo moltissime informazioni da Rosetta, che combinate con quelle di Dawn ci permetteranno di progettare una nuova fase dell’esplorazione del Sistema Solare” commenta Di Pippo. Nuova fase di cui per il momento farà parte sicuramente Juice, appena selezionata dall’ESA per andare a studiare le lune di Giove, anche in questo caso con strumenti di costruzione italiana e ricercatori dell’INAF e di altri istituti italiani impegnati nell’analisi dei dati. “Il problema di queste missioni è che sono troppo lunghe. Dall’approvazione della missione passano tipicamente venti anni prima di avere dati su cui poi pianificare missioni successive. Dovremo trovare tecnologie per abbreviare il viaggio delle sonde, se vogliamo arrivare a capire davvero la storia del Sistema Solare. E come evolverà, che è l’altra grande domanda”.
Presentiamo una versione estesa dell’articolo di Stefano Schirinzi pubblicato a pag. 31 di Coelum 159, per la serie “Twinkle star: Storie di Stelle”, rubrica mensile di Coelum Astronomia. Come spesso accade infatti, nel formato cartaceo non sempre possiamo dare lo spazio che spetterebbe a ciascun intervento, rimediamo quindi pubblicando online approfondimenti ed eventuali aggiornamenti.
Non mancate pero’ di seguire la rubrica di Stefanoanche dalle pagine della rivista! 😉
Buona Lettura!
Vagando nella volta celeste capita spesso di imbattersi in anonime stelle designate da strane sigle la cui flebile luce non porta certo ad immaginare quali rilevanti particolarità esse posseggano; tra gli esempi più affascinanti, per storia ed eventi bizzarri annessi, troviamo Groombridge 1830. Anche se localizzata in una zona alquanto spoglia di astri luminescenti, trovarla non è difficile; utilizzando un comune binocolo e puntando esattamente a metà percorso tra la seconda stella dei Cani da caccia, Chara (β CVn) e la luminosa coppia Alula Borealis (ν UMa) e Alula Australis (ξ UMa), si noterà un triangolo formato da due stelle di sesta ed una appena più debole, di settima grandezza: quella posta sul vertice, tra l’altro rivolto verso nord, è proprio quella che andiamo ora a descrivere.
Pur splendendo solo di magnitudine 6,4 essa venne tuttavia catalogata nel XIX secolo dall’astronomo inglese S. Groombridge, che utilizzando il telescopio meridiano da 3,5 pollici costruito da E. Througton, intraprese l’ambizioso progetto di catalogare tutte le stelle più luminose della magnitudine 8,5 presenti nell’emisfero celeste settentrionale, dal polo fino alla declinazione di +38°. La sua tenacia fu tale che per oltre 10 anni Groombridge riuscì ad effettuare circa 24 mila misure in ascensione retta e 26 mila in declinazione, ponendo fine a tale attività solo per gravi motivi di salute che solo cinque anni più tardi lo portarono purtroppo alla morte. Il suo “Nuova riduzione del catalogo di stelle circumpolari per il 1810″ venne pubblicato postumo, appena nel 1838, dall’astronomo G.B. Airy che ne prese a cura la prima edizione, l’ultima delle quali risale al 1905 per opera dell’osservatorio reale di Greenwich. Nel 1842 l’astronomo F.W.A. Argelander, durante la compilazione del suo “Bonner Durchmusterung”, che avrebbe compreso oltre 324 mila stelle, si imbatté proprio in questa stella che seguì per alcuni anni, scoprendo che si spostava alquanto velocemente tra le stelle di fondo; infatti, come egli descrisse: “L’anno scorso ho accidentalmente osservato una stella il cui moto proprio è superiore a quello di tutte le stelle note, e che ammonta a 7” l’anno. Questa stella di 7a magnitudine si trova al confine fra le costellazione dell’Orsa Maggiore e dei Cani da Caccia, ed è la stella numero 1830 del catalogo di Groombridge…”.
Tale inconsueta caratteristica era certamente indice della ridotta distanza dell’astro dal sistema solare, stimata oggi in quasi 30 anni luce (il che rende la sua magnitudine assoluta all’incirca uguale a quella apparente), tanto Gmb1830 da essere la terza stella dal moto proprio più veloce conosciuta, preceduta dalle Stelle di Barnard e Kapteyn. La sua velocità radiale, pari a 98.2 km/s in avvicinamento, permette di quantificare il reale spostamento nello spazio, equivalente a coprire 22 volte la distanza Terra-Luna in un solo giorno! Da un punto di vista fisico, Gmb1830 è una sub-nana giallo-arancione cosiddetta “di alone”, di tipo spettrale G8 e classe di luminosità VI; comparata al Sole, si stima abbia sei decimi della sua massa ed un terzo del suo diametro ma essendo più fredda essa emette solo il 19% della sua luminosità intrinseca. Il suo spettro indica una quantità di metalli (elementi più pesanti dell’idrogeno) almeno 10 volte minore del Sole; stranamente, stando ad analisi della sua cromosfera, essa sarebbe vecchia almeno 5,4 miliardi di anni, valore in contraddizione col fatto di essere una stella di alone, che moltiplica tale valore di almeno il doppio!
Gmb1830 appare nel nuovo catalogo di variabili sospette con la sigla 5374.
La storia sulla sua variabilità ebbe però inizio il 27 aprile 1939, allorché la sua luminosità incrementò di 0.6 magnitudini e in seguito il 17 febbraio 1968, quando P. van de Kamp osservò un aumento di splendore che egli attribuì alla presenza una compagna stimata di almeno 5-6 magnitudini più debole e separata da 1,7” d’arco. Questa stella venne nuovamente osservata al telescopio sia dallo stesso astronomo che da altri ancora ma successivamente di essa si perse ogni traccia giacché non solo le lastre fotografiche ma anche numerose osservazioni effettuate al di fuori dell’atmosfera terrestre non rilevarono più alcunché. Alcuni studi successivi sembrarono far definitivamente luce sulla natura di Gmb1830; in particolare, tramite la velocità radiale venne stabilito il periodo di rivoluzione della componente fantasma, valutato in circa 60 anni, concludendo che la sua orbita era vista esattamente di profilo ed inclinata di 90° rispetto all’equatore celeste. Inoltre, le variazioni luminose vennero spiegate ritenendo che la secondaria fosse una nana rossa, classe che mostra il tipico comportamento a “flare” e come tale venne classificata con la sigla CF UMa una trentina d’anni fa; il mistero è però capire in realtà quale delle due componenti abbia esibito il fenomeno.
Solo una quindicina d’anni fa invece, tramite l’ausilio di nuove e più sofisticate osservazioni, venne suggerito un nuovo modello che è oggi ritenuto il più attendibile, e cioè che le fantomatiche apparizioni della compagna siano imputate ad imponenti fenomeni di espulsione di massa stellare chiamati “superflares”; l’ulteriore novità è l’associazione di tali eventi a stelle di tipo solare. E’ noto infatti come i flares che si sviluppano sulla fotosfera del Sole producano variazioni luminose di modesta entità e siano fenomeni usuali soprattutto su fredde stelle di sequenza principale quali le nane rosse. Tuttavia fino ad oggi sono stati identificati nove casi di superflares sviluppati su stelle di tipo solare. Queste grandi espulsioni di massa coronale si differenziano per la quantità di energia rilasciata, da 100 a 10 milioni di volte maggiore di un tipico flare solare e non si pensava potessero svilupparsi anche su stelle di classe spettrale compresa tra F8 e G8; si riteneva anzi che questi potessero essere tipici solo di stelle molto giovani. Secondo un’ipotesi formulata di recente, tali superflares su stelle di tipo solare potrebbero essere causati dall’interazione del campo magnetico di un pianeta gigante in orbita molto stretta con il campo magnetico della stella. Questi eventi impressionanti, che durano da qualche ora fino ad una settimana, incrementerebbero la luminosità totale della stella su cui si sviluppano di almeno un migliaio di volte; nel caso il Sole producesse uno di questi fenomeni estremi, non solo l’ozono presente sulla Terra verrebbe distrutto ma molto probabilmente anche il ghiaccio su lontani satelliti di Giove o Saturno verrebbe liquefatto in poco tempo, producendo vaste alluvioni, per poi congelare nuovamente alla fine del superflare! Fortunatamente, nel nostro sistema solare non sono state trovate tracce passate di tali eventi.
Tra le stelle visibili ad occhio nudo ad aver esibito mediamente una volta al secolo eventi del tipo superflares troviamo ο Aql, κ Cet e π1 UMa; ma anche le più deboli UU CrB, S For, MT Tau, BD+10 2783 e la stessa Gmb1830. Nessuna di esse possiede una rotazione veloce sul proprio asse né forma sistemi binari stretti, per non parlare dell’età che è solitamente grande, messa in evidenza dal basso contenuto di metalli; si ritiene che sub-nane di questo tipo, come la vicina Stella di Kapteyn e Gmb1830, si siano formate almeno 10miliardi di anni fa, quando la Galassia era molto più giovane e soprattutto in un’epoca nella quale le supernovae che disperdevano i metalli prodotti nelle loro immani deflagrazioni non erano ancora tante. La maggior parte delle stelle dell’alone galattico, così come quelle degli ammassi globulari, sono molto vecchie, tanto da possedere lo 0,1-0,2% di metalli rispetto alle stelle del disco; queste sono distribuite sfericamente attorno al nucleo galattico su orbite molto eccentriche anche se la maggior parte è distribuita molto al di sopra o sotto il piano galattico.
Data la regolare frequenza di questi superflares, è alquanto improbabile che su un pianeta roccioso vicino ad una simile stella si possa sviluppare la vita; per quanto riguarda Gmb1830, la fascia di abitabilità andrebbe localizzata a sole 0,44 UA, che equivale all’orbita di Mercurio, che però a tale distanza qualsiasi pianeta sarebbe impossibile da rilevare anche con moderne strumentazioni astronomiche. Non solo: data la scarsa abbondanza di elementi più pesanti dell’idrogeno è forse più reale l’ipotesi dell’esistenza di giganti gassosi in orbite esterne ed immersi in un freddo perpetuo. Secondo alcuni calcoli, Gmb1830 raggiungerà la minima distanza dal Sole nel 11200 circa, aumentando però di poco la sua luminosità apparente. Spostandosi verso l’emisfero australe, fra 100 mila anni sarà ancor più debole, un’anonima stellina di nona grandezza nella costellazione del Lupo, mentre fra 1 milione di anni essa si confonderà tra le milioni di debolissime stelle di fondo della Via Lattea e più precisamente di quella parte stagliata nella costellazione della Norma, portando con sè false congetture ed erronei pensieri della mente umana sulla sua reale natura.
Giuseppe D’Angelo, nato a Catania nel 1962 è dottore in scienze agrarie. E’ docente di Scienze Naturali e Direttore del Laboratorio di Chimica e Biologia presso il Liceo Scientifico “Leonardo” di Giarre (Catania).
E’ una osservazione che si fa spesso spontaneamente e alla quale tacitamente e altrettanto spontaneamente si risponde: evidentemente non sono così numerose! Tuttavia un’analisi più attenta del problema puntualizza alcuni aspetti generando addirittura un paradosso del quale si sono occupati già nel passato molti astronomi e di cui solo oggi sono state suggerite alcune convincenti spiegazioni.
In questo breve lavoro da tavolo ho voluto riesporre le spiegazioni proposte e fare alcune considerazioni aggiuntive.
La cartina è centrata sulla piccola costellazione della Chioma di Berenice, la cui caratteristica principale è quella di ospitare il Polo Nord Galattico (il cerchietto giallo) e di essere popolata da grandi ammassi di galassie. Il suo nome, legato a quello di una antica regina egiziana, prende spunto dalla presenza (nei pressi della stella gamma) di un ammasso di stelle molto debole e disperso, che nella notte richiama il fluire di una chioma femminile. La costellazione contiene 7 oggetti del catalogo Messier, e
due di questi sono le galassie M88 e M91 (nel rettangolo giallo), descritte nella rubrica. Qui sopra gli oggetti consigliati questo mese con la mappa generale per trovarli e i loro dati principali (cliccare sull’immagine e sulla tabella per una migliore lettura). Per approfondire leggi tutti i dettagli, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 48 di Coelum n.159
11.05: “100 anni di superconduttività” con Marina Putti.
Per informazioni: Tel 041 590 0657- 335 537 6859
E-mail: circolo.galilei@somsmogliano.it
http://circologalilei.somsmogliano.it
Il percorso apparente della Garradd in maggio. Dopo aver toccato i mesi scorsi le estreme regioni boreali, la cometa continuerà a dirigersi verso sud, tanto che non sarà più circumpolare e a metà mese tramonterà poco prima delle 3:00. Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 73 di Coelum n.159
Il grande asteroide si muoverà tra Ofiuco e Serpente e raggiungerà l’opposizione geometrica (e quindi la massima luminosità) il giorno 19, mentre il 20 arriverà alla minima distanza. I primi giorni del mese sarà facilmente identificabile tra le stelle delta ed epsilon Ophiuchi.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.159.
Da Lunedì 7 maggio , alle ore 21, presso il CSI (centro Don Bosco, Viale Guglielmo Marconi, 3 – Rovigo) inizia il Corso di astronomia di cui segue il programma delle lezioni.
1) Conoscere il cielo: costellazioni e coordinate celesti (Mattia Negrello).
2) Principi di ottica: come funziona la luce? (Roberto Ragazzoni).
3) Le stelle: cosa sono e classificazione per magnitudine e colore (Mattia Negrello).
4) Il telescopio: cos’è e come funziona (Roberto Ragazzoni).
5) Fotografia astronomica: introduzione alle tecniche di analisi scientifica (Mattia Negrello).
Per info: giorgio@astrofilipolesani.net
www.astrofilipolesani.net
La sera del 6/7 maggio si potrà osservare un’altra bella congiunzione “stella-pianeta”, con protagonisti questa volta Venere e beta Tauri (conosciuta anche come el Nath, mag. +1,6) che dopo le 21:00 si mostreranno con una separazione minima di circa 50′.
06.05, ore 15:00: Visita archeoastronomica a S. Alberto di Butrio e oss. del Sole.
Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it
05.05: …un pomeriggio al Planetario, ore 16:30:
“Che cielo farà? Il cielo delle vacanze” (attività adatta a bambini a partire da 7 anni) di Marco Garoni.
La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it
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