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Lunar Orbiter riprende i “mitici” Lunokhod

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Il lander sovietico Luna 17 è sempre li, nel Mare Imbrium, dove, nel novembre 1970, fece scendere il rover Lunakohd 1. Cliccare sull'immagine per ingrandire. LROC NAC Image M114185541RE Cortesia NASA/GSFC/Arizona State University

Prima di Spirit ed Opportunity, prima di Curiosity e perfino anche molto prima di Sojourner ci fu il Lunokhod 1, prototipo di rover mobile automatico, spedito dai sovietici in giro per la Luna dal novembre del 1970 al settembre del 1971.

Il Lunokhod 1. I rover sovietici erano lunghi circa 2,3 metri e larghi uno e mezzo.

Proposto all’epoca come – l’improponibile – risposta dell’URSS della guerra fredda agli allunaggi americani con astronauti sul suolo lunare, il Lunokhod può essere a tutti gli effetti considerato l’archetipo dei rover automatici, inviati in seguito ad esplorare il suolo di Marte e destinati, almeno secondo i progetti dei principali enti spaziali internazionali, anche a più ambiziose missioni verso asteroidi e satelliti dei pianeti esterni del Sistema Solare.

Il lander sovietico Luna 17 è sempre li, nel Mare Imbrium, dove, nel novembre 1970, fece scendere il rover Lunokhod 1. Cliccare sull'immagine per ingrandire. LROC NAC Image M114185541RE Cortesia NASA/GSFC/Arizona State University

Operativo per oltre 300 giorni – quattro volte di più del previsto – tra le regoliti del Mare Imbrium, il Lunokhod 1 percorse in tutto 10540 metri, effettuando circa 500 campionamenti del suolo lunare, oltre a trasmettere 20000 immagini a Terra.

Il rover, che pesava 5600 Kg e come aspetto sembrava uscito da un racconto di Jules Verne o da un flm di Karel Zeman (ricordava una grossa pentola a pressione, sormontata su otto ruote simili a quelle dei range-rover usati dai colleghi americani degli Apollo, da cui spuntavano sensori, antenne e braccia meccaniche per i campionamenti) fu lanciato dall’URSS il 10 novembre 1970 assieme al lander Luna 17, raggiungendo la Luna 5 giorni dopo: entrò in operatività dopo il dispiegamento dei pannelli solari, realizzando molti esperimenti grazie al telescopio ed allo spettrometro a raggi X che trasportava, uniti ad un laser ed un rilevatore di raggi cosmici.

Il Lunokhod 1 nel suo punto di arrivo, dove è tutt'ora parcheggiato. LROC NAC Image M114185541RE. Cortesia NASA/GSFC/Arizona State University

Il Lunokhod 2. Da notare le tracce del suo passaggio verso sud. L'ingrandimento è particolarmente spinto per mostrare la forma del rover, l'area più luminosa è probabilmente il coperchio a conchiglia aperto. NAC Image M109039075LE. Cortesia NASA/GSFC/Arizona State University.

Il rover sovietico ebbe un solo successore – il Lunokhod 2, allunato il 15 gennaio 1973 sul fondale del cratere Le Monnier, nel bacino Serenitatis; rimase operativo fino al 4 giugno 1973, quando i suoi pannelli si surriscaldarono, a causa di un urto contro il bordo di un cratere nella Fossa Recta, accusato qualche giorno prima, che provocò una “pioggia” di polvere di regolite addosso al rover.

Percorse in tutto 37 Km sui basalti del Mare Serenitatis: era stato progettato in funzione del rilevamento di siti di allunaggio per missioni con cosmonauti a bordo, ma il ritardo ormai incolmabile accusato dai russi nei confronti della NASA, giunta per prima sul suolo lunare con dure ripercussioni sul prestigio dell’URSS, costrinse l’ente spaziale sovietico a cancellare il programma lunare deviando sullo sviluppo della stazione orbitale Salyut.

Nonostante la mancata prosecuzione per decisione politica – in effetti altri modelli di rover Lunokhod erano stati costruiti in URSS per altre missioni, ma non furono mai inviati sulla Luna – il progetto Lunokhod segnò un innegabile successo della tecnologia spaziale sovietica, capace di progettare e costruire un robot che avrebbe detenuto, per oltre 40 anni dopo la cessazione dell’attività di ricerca, il record di longevità sul suolo di un altro mondo, fino ai tempi dei Mars Exploration Rover.

Le immagini ad alta risoluzione sono state ottenute dalla telecamera del Lunar Reconnaissance Orbiter da una quota di 33 Km, nel quadro della survey dedicata a studi di posizione e geofisica lunare triangolando i siti lunari visitati da missioni storiche.

Trova i rover sovietici Lunokhod e le loro tracce nelle proiezioni cartografiche ad alta risoluzione ottenute dalle immagini LROC NAC: Lunokhod 1 e Lunokohd 2.

Al Planetario di Ravenna

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13.04: I Venerdì dell’A.R.A.R. “I primi strumenti per l’astronomo dilettante” di Paolo Morini. Ingresso libero.
La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Riconnessioni inattese su Venere

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Non la vediamo, ma è un preziosissimo ‘ombrello’, che ci protegge dagli effetti più pericolosi delle particelle energetiche che arrivano dal sole o da qualunque altra sorgente nella nostra galassia o addirittura oltre. È la nostra magnetosfera, sostenuta dal campo magnetico intrinseco di cui è dotata la Terra. Oltre a questa importante funzione, la magnetosfera gioca un ruolo determinante nel regalarci le spettacolari aurore polari che sono prodotte da fenomeni di riconnessione magnetica dovuti all’interazione del campo magnetico interplanetario con quello terrestre. Ci sono però pianeti nel sistema solare, tra questi Venere, che non possiedono un loro campo magnetico e quindi devono ‘accontentarsi’ di possedere una magnetosfera indotta. A generarla è l’urto con gli strati più esterni della sua atmosfera del vento solare e dei campi magnetici da esso trasportati, che vengono quindi deviati, seppure in maniera meno efficiente. E se visto che non c’è campo magnetico intrinseco, su Venere non dovrebbero verificarsi nemmeno fenomeni di riconnessione magnetica. Almeno questo era ciò che pensavano gli scienziati. Ora però a far ricredere gli astrofisici arrivano i sorprendenti risultati pubblicati online sul sito della rivistaScience, ottenuti grazie alle misure raccolte dalla sonda Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Rianalizzando i dati del magnetometro e del sensore di plasma registrati nel maggio del 2006, poche settimane dopo l’immissione nell’orbita venusiana del veicolo spaziale, il team di ricercatori guidato da Tielong Zhang, della University of Science and Technology di Hefei, in Cina, hanno individuato un evento di riconnessione magnetica avvenuto a circa 10.000 km dalla superficie del pianeta.

“Grazie ai dati del magnetometro (MAG) e del sensore di plasma (ASPERA) a bordo di Venus Express, è stato per la prima volta possibile stabilire che le similitudini tra pianeti con campo magnetico e quelli senza come Venere e Marte vanno ben al di là di quanto supposto” commenta Alessandro Mura, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma e Co Investigator di ASPERA. “Sorprendentemente, non solo questi ultimi posseggono una magnetosfera indotta (e sono quindi parzialmente schermati dal mezzo interplanetario), ma mostrano anche quei fenomeni di parziale riconnessione che, sulla Terra, permettono il temporaneo legame tra campo magnetico interplanetario e planetario e il conseguente travaso di energia e materia. Le misure di MAG e ASPERA hanno individuato degli indubitabili segnali della riconnessione anche su Venere che, data l’assenza di un campo magnetico intrinseco, è stata finora considerata immune da tali meccanismi di scambio. Questa misura getta nuove e interessanti luci sugli studi di perdita di massa atmosferica per corpi come Venere e Marte”.

L’opposizione di Saturno

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Opposizione Saturno

Opposizione SaturnoQuando un pianeta è in opposizione è nelle migliori condizioni di osservabilità, essendo nel punto più vicino alla Terra e diametralmente opposto al Sole, è visibile per tutta la notte e ha un diametro apparente e una luminosità maggiori che in altri periodi di visibilità… Nelle immagini a sinistra sono mostrate tre rappresentazioni di Saturno colte in differenti tipologie di opposizione. Sopra, Saturno durante un’opposizione perielica, quando il pianeta è alla minima distanza assoluta dalla Terra e gli anelli, molto aperti, arrivano a misurare quasi 47″ di diametro apparente. Al centro, Saturno come apparirà il 15 aprile prossimo, durante un’opposizione relativamente mediocre. In basso, Saturno durante un’opposizione afelica.

I Venerdì dell’Universo 2012 – Incontri e seminari su Astronomia, Fisica e Scienze

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13.04: “La Cosmologia: dalle origini all’ inflazione” Dott.ssa. Isabella Masina.

Organizzati da: Dip. di Fisica Università di Ferrara, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Sociale Camelot.
In collaborazione con Arci Nuova Associazione.

Diretta streaming video: http://web.unife.it/unifetv/universo.html

Per informazioni e il programma completo:

Tel. 0532/97.42.11 – E-mail: venerdiuniverso@fe.infn.it

www.unife.it/dipartimento/fisicawww.fe.infn.it

Ricordiamo inoltre che, nel mese di Maggio 2012 si terrà presso le Valli di Ostellato (FE), CielOstellato 2012 Alta Risoluzione XV Meeting Nazionale Astrofili, organizzato dal Gruppo Astrofili Ferraresi “Columbia“ e Coop. Camelot. L’Osservatorio Astronomico “Paolo Natali“ del Columbia è inoltre aperto al pubblico da Aprile a Settembre tutti i venerdì sera, fatta eccezione per le serate de i “Venerdì dell’Universo”.

www.astrofilicolumbia.it

Planetario e Osservatorio di Ca’ Del Monte

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14.04, ore 21:00: “(G)ASTRONOMIA – Speciale Saturno” e Oss. notturna.

Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Circolo “Galileo Galilei”

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13.04: “La fisica in casa. La scienza nella quotidianità” relatore Emiliano Ricci.
Per informazioni: Tel 041 590 0657- 335 537 6859
E-mail: circolo.galilei@somsmogliano.it
http://circologalilei.somsmogliano.it

AstronautiCON6 – dal 3 al 22 aprile a Lecco – Convention Nazionale di Astronautica

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PROGRAMMA PROVVISORIO – In costante aggiornamento, verificare sempre sul sito. Ore 20:30.

13.04: “La fisica di Star Trek: scoprire la scienza attraverso la fantascienza”di Loris Lazzati.
Per le prenotazioni, il programma completo e altre informazioni consultare il sito:
www.astronauticon.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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12.04: Film di Fantascienza

Informazioni GAR: 3803124156 e 3332178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

AstronautiCON6 – dal 3 al 22 aprile a Lecco – Convention Nazionale di Astronautica

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PROGRAMMA PROVVISORIO – In costante aggiornamento, verificare sempre sul sito. Ore 20:30.

12.04: “Yuri’s Night” serata di celebrazione del primo volo umano nello spazio di Marco Zambianchi. Per chi lo desidera la serata proseguirà in pizzeria.

Per le prenotazioni, il programma completo e altre informazioni consultare il sito:
www.astronauticon.it

Al Planetario di Ravenna

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10.04: “Parliamo di stelle” di Oriano Spazzoli
La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Così ho ripreso Sirio B … quasi senza volerlo!

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Venerdì 24 febbraio è stata la sera della “Luna a barchetta”, evento ampiamente divulgato sul web. Per molti, anche non astrofili, è stata l’occasione per levare lo sguardo al cielo e ammirare un fenomeno poco frequente alle latitudini medie della Penisola e reso accattivante dalla presenza di due veri diamanti: i pianeti Venere e Giove. Purtroppo, ho goduto dello spettacolo celeste per pochissimo tempo, dopo le ore 18, approfittando della pausa GR all’interno della mia trasmissione radiofonica. In un cielo terso e blu cobalto, son restato alcuni minuti a scrutare ad occhio nudo quella visione evocante sentimenti ancestrali e la razionale Meccanica Celeste. Quel venerdì è stato anche il primo giorno di cielo sereno, dopo un lunghissimo periodo di maltempo che, giocoforza, ha costretto gli astrofili a riporre i propri strumenti.

Per mia consuetudine, sfrutto i periodi inclementi, per revisioni accurate delle ottiche e delle parti meccaniche, ma anche per la costruzione di cose semplici ed utili, talvolta però, anche più complesse.

Nel recente ho costruito una camera con sensore CMOS raffreddata, modificando una webcam cinese con sensore 1280×960, rivelatasi molto sensibile all’Infrarosso, tanto che pochi secondi di esposizione mi permettono di ottenere immagini molto interessanti deep-sky. La camera è talmente sensibile, da non essere utile per riprese planetarie e solari: pur con guadagno al minimo, restituisce immagini sempre sovraesposte anche con l’impiego di filtri neutri molto densi..

Nel frattempo, sfruttando un fine settimana, ho dotato il mio rifrattore, con doppietto ED di 127mm f/9 imbarcato nel tubo di un Konus 120/1000, di ben 13 diaframmi ricavati con del materiale plastico opacizzato con una vernice nera. Il contrasto è nettamente migliorato, azzerando la luce diffusa (poca in verità) che si percepiva in precedenza. L’intero strumento può, a buon diritto, definirsi autocostruito, almeno in parte.

Altra mia realizzazione è stata quella di assemblare una nuova camera complementare alla prima, sfruttando una vecchia digitale compatta di prima generazione (con sensore a colori 640×480), ormai ampiamente superata e inutilizzata da molto tempo.

L’elettronica di questa camera è enormemente più complessa di una comune webcam e le prove effettuate hanno rivelato un’eccellente risposta a tutti i colori nel visibile, una discreta sensibilità (comunque inferiore alla prima camera costruita) e un perfetto bilanciamento cromatico nativo (assenza di dominanti). Messi alla prova alcuni programmi di gestione e cattura, al fine di trovare quello con cui la camera s’interfacciasse meglio, testando Etron Webcam Videocap 1.0, ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire che questo software –  e soltanto con questa camera – mi permette di attuare, oltre che i normali controlli di settaggio, anche uno zoom digitale fino a 4x e una sorta di “autoguida al contrario”, sacrificando parte del sensore. Un soggetto, in lento movimento nel campo, viene costantemente riportato al centro dell’inquadratura (presumo sia lo stesso principio utilizzato dalle camere autoguida per comandare l’elettronica dei motori in una montatura equatoriale GoTo), quindi interessante per l’imaging planetario.

Non restava che assemblare lo scafo e attendere per la Prima Luce. La prima giornata utile è stata proprio il 24 febbraio. In mattinata ho catturato alcuni files AVI sul Sole con risultati molto promettenti, ma con seeing scarso e qualità finale appena sufficiente. Dopo il pomeriggio in studio, sono rientrato a casa con il crescente lunare già tramontato ma non ho rinunciato ad una Prima Luce ufficiale della camera con un soggetto importante.

La postazione da dove l’Autore dell’articolo (ritratto nella foto) è riuscito nella rilevazione di Sirio B e Procione B con il solo ausilio di una buona camera di ripresa autocostruita. Anche il rifrattore è stato ridisegnato; al tubo Konus di un vecchio 120/1000 è stato infatti montato un doppietto ED di 127 mm f/9, e all’interno sono stati applicati ben 13 diaframmi per azzerare qualsiasi traccia di luce parassita.

Dopo cena, ho portato fuori la strumentazione stazionandola sotto la veranda. Questa postazione, poco impegnativa e rivolta a Sud, offre diversi vantaggi: è sufficiente posizionare il treppiede in una determinata posizione per avere, con pochi aggiustamenti in azimuth, uno stazionamento equatoriale perfetto. Venere era già troppo basso per una seria prova, Giove nascosto dalla veranda, Marte era invece già abbasatnza alto ed in posizione favorevole. Quindi ne ho ripreso alcuni filmati a varie focali (nativa, con lente di Barlow 3x e anche con lo zoom digitale e/o insieme) ricavandone un’immagine molto piacevole che confortava le mie aspettative. Terminato con Marte ho rivolto il telescopio verso Sirio già oltre il passaggio meridiano.

Non è stato necessario perfezionare il fuoco, quindi ho iniziato a riprendere i filmati AVI di 30 sec a 8 fps (buon compromeso per l’abbattimento seeing e un minimo di sensibilità) con l’intento di ottenere giusto immagini della stella più luminosa del cielo e soltanto per saggiarne la risposta cromatica, pur sapendo che nell’alone si celasse la debole compagna Sirio B, ormai con una separazione angolare interessante, di poco inferiore ai 10″ d’arco. Già con l’inquadratura a monitor, ho notato la presenza di diversi guizzi di luce a varie distanze dalla stella, ma una piuttosto ricorrente si collocava sul bordo dell’immagine di Sirio.

Pensai si trattasse di una ben nota stellina collocata a circa 40″ che sovente inganna chi tenti l’osservazione visuale di Sirio B, però avendola vista più volte, ho escluso tale ipotesi.

Durante le riprese, Sirio è apparsa palpitante e cangiante per via del seeing non ottimale, però a tratti le immagini sono risultate molto buone. La montatura EQ3.2 (revisionata nella meccanica) ha fatto il suo dovere, inseguendo correttamente anche a forte ingrandimento, intanto ho proseguito nelle riprese con vari setup e provando anche la funzione di autotrekking real time, supportata da Webcam Videocap (i rettangoli gialli che si vedono nelle immagini). Le operazioni sono andate avanti senza intoppi in una serata insolitamente mite per il mese di Febbraio, fino a quando, dopo aver inserito la lente di Barlow a 3x, i miei tre gatti astrofili non hanno pensato bene di giocare ad assalti reciproci sotto il telescopio… Chi possiede gatti, non avrà bisogno di molte spiegazioni: nel comportamento felino c’è la ben nota e documentata “pazzia serale” che rende questi animali iperattivi con salti, agguati, ecc.  si ritiene sia un retaggio del loro passato selvatico.

Solitamente è una simpatica compagnia, però gli urti al treppiede son bastati ad alterare di pochissimo – tra benevole imprecazioni – lo stazionamento del telescopio e comprometterne il perfetto inseguimento, con una debole deriva, compensata dal sistema di autocentraggio della camera. Ho notato che Sirio restava comunque nel campo del sensore per tutti i 30 secondi di ripresa, quindi ho continuato a riprendere altri due filmati, supponendo che con Registax avrei allineato correttamente.

Rientrato in casa, ho visionato i filmati e mi sono accorto di aver ripreso quella che sembrava essere Sirio B in diversi fotogrammi: tenuto conto dell’Angolo Orario e del PA, tutto rinforzava la possibilità di essere riuscito nell’impresa di catturare l’elusiva nana bianca!

Il “Club dei 100 Asteroidi”

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Entra nel Club dei #100asteroidi!

Nel numero 157 di Coelum è stato pubblicato l’articolo 100 insignificanti puntini luminosi di Claudio Pra, in cui ci ha raccontato della sua inusuale maratona a caccia di asteroidi.
Partito con l’intento di collezionare l’osservazione dei primi 50 asteroidi catalogati, si è ritrovato invece a concludere l’impresa arrivando a collezionarne 100!

Il nostro Talib Kadori, colpito da tanta  costanza e determinazione, ha cosi’ rilanciato dalle pagine della sua rubrica una nuova sfida:

Talib KadoriNon posso che inchinarmi riverente di fronte alla prodigiosa impresa di Claudio Pra, probabilmente il più vecchio, se non il più assiduo, tra i proverbiali “sette lettori” della mia rubrica. Non è infatti cosa da poco l’essere riuscito a completare un programma così vasto, resistendo alle traversie e alle cadute d’interesse, immancabili in un periodo tanto lungo.

A proposito di questo mi sorge però un dubbio… saranno davvero necessari 13 anni per compiere l’impresa? Ovviamente no, il tempo impiegato da Claudio ha risentito di molti altri fattori… E allora, in quanto tempo potrebbe essere possibile fare il percorso netto? Bella domanda… operando in condizioni medie, con strumenti appropriati e con una buona programmazione, penso addirittura in un paio d’anni, o forse meno!

Anzi, sapete che vi dico? Anche per verificare questo, istituisco fin d’ora il “CLUB DEI 100 ASTEROIDI”. Un circolo esclusivo  che potrà premiare chiunque riuscirà a ripetere l’impresa.

Se posso permettermi, io direi di procedere così. Chiunque voglia entrare ufficialmente a far parte del Club dovrà aver completato (visualmente o fotograficamente) l’osservazione dei primi 100 asteroidi (quelli numerati in successione da 1 a 100).

Ovviamente (sarebbe difficile farlo), non ci saranno controlli su quanto affermato dagli aspiranti in merito alla veridicità delle osservazioni, e si dovrà quindi confidare nella correttezza di ognuno dei partecipanti.

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Questi i suggerimenti di Talib.

E voi cosa ne pensate, vi piace l’idea?

…e allora mandateci la vostra adesione! Per il momento abbiamo pensato di mettere online i progressi dei partecipanti che possono essere seguiti al link qui sotto, oltre ad una loro presentazione per conoscere la motivazione che li ha spinti ad intraprendere l’impresa (nella pagina successiva).

COME PARTECIPARE? Basta che inviate la vostra adesione e i vostri progressi all’indirizzo club100asteroidi@coelum.com, le mail verranno automaticamente girate a Claudio Pra che sta costruendo l’archivio con tutti i dettagli delle singole osservazioni.

C’è chi ci invia, o carica  su PhotoCoelum o sul suo sito personale, le immagini o i disegni dell’asteroide osservato, e chi semplicemente ci comunica i dettagli dell’osservazione (oggetto, luogo, ora, coordinate, strumento).

Claudio aggiornerà man mano i vostri progressi nel suo archivio e periodicamente dalla Redazione aggiorneremo il file qui sopra…

Buone osservazioni e… nella prossima pagina, scopriamo i primi candidati!

Al Planetario di Padova

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10.04: “Odissea nello zeptospazio. Un viaggio nella fisica del LHC” di Gian Francesco Giudice.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Planetario e Osservatorio di Ca’ Del Monte

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08.04, ore 15:00: “La Pasqua e l’astronomia” a seguire osservazione del Sole.

Info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Al Planetario di Ravenna

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17.04: ”L’ABC del cielo: guida all’osservazione delle stelle” di Paolo Morini.
La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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06.04: “La materia oscura” di U. Donzelli.
Ogni martedì, ore 21, escluso l’ultimo martedì del mese, apertura dell’Osservatorio Astronomico Serafino Zani. Per info: tel. 3485648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it www.astrofilibresciani.it

AstronautiCON6 – dal 3 al 22 aprile a Lecco – Convention Nazionale di Astronautica

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PROGRAMMA PROVVISORIO – In costante aggiornamento, verificare sempre sul sito. Ore 20:30.

06.04: “Nell’abisso extragalattico: dalla Vergine alla Chioma di Berenice” di Roberto Ratti.

Per le prenotazioni, il programma completo e altre informazioni consultare il sito:
www.astronauticon.it

Più che un’intervista, un referendum su ALH 84001

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E’ probabile che, su un tema così controverso come quello che riguarda il meteorite marziano più famoso di tutti, a qualche lettore sarebbe piaciuto sentire il parere autorevole degli addetti ai lavori.

Il rischio, reso davvero concreto dalle polemiche che hanno costellato questi 15 anni di diatribe su ALH84001, era però quello di trovarci risposte talmente tecniche e dettagliate da risultare indigeste e – magari – finire col disorientare ancor di più i nostri affezionati lettori.

Abbiamo pertanto optato per una strategia alternativa. Contattati dunque alcuni tra gli “esperti” che in passato hanno validamente collaborato con Coelum sui più disparati temi astronomici (planetologia, GRB, galassie, Sole, supernovae, cosmologia…), ben consapevoli che li stavamo stuzzicando su un tema non proprio inerente alla loro ricerca, abbiamo voluto sentire quale opinione si fossero fatti sulla faccenda ALH84001.

Inevitabile mettere in conto possibili risposte lapidarie e anche che qualcuno si chiamasse fuori dal gioco dichiarandosi “inesperto”, ma valeva la pena di correre il rischio. In fin dei conti – era questa l’idea di fondo del nostro progetto – i nostri interlocutori sono scienziati ben addentro ai delicati meccanismi della ricerca scientifica e l’argomento ben si presta anche a considerazioni sul metodo scientifico e sul significato di fare scienza.

Nel presentare le risposte ottenute ci piace sottolineare che, secondo noi, il bilancio di questa anomala intervista/referendum è assolutamente positivo. Confidiamo ovviamente che anche i nostri lettori condividano sia il metodo adottato sia il nostro giudizio finale.

Rinnoviamo il nostro grazie sincero agli intervistati che si sono lasciati coraggiosamente coinvolgere.

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CoelumQuale idea si è fatta della lunga diatriba sulle presunte tracce biologiche nel meteorite marziano ALH84001? E’ solo uno sterile cavillare oppure al fondo vi è qualcosa di importante?

Barbon – Ci tengo a sottolineare che non sono un esperto del campo (e, a dire il vero, non ho dato credito alla vicenda), dunque le mie risposte saranno necessariamente brevi e poco articolate. Venendo alla prima domanda, io sono scettico anche sul fatto che il frammento provenga da Marte. La probabilità che, a seguito di un impatto su Marte, un sasso arrivi sulla Terra mi sembra molto bassa. Se così non fosse, come mai non si sono trovati altri reperti, possibilmente in luoghi più accessibili?

Bedogni – Sicuramente ALH84001 fa storia a sé tra i rari meteoriti marziani. Ed è intrigante osservare delle strutture che sono state ragionevolmente identificate provenienti da un’area di impatto della superficie di Marte.

Berrilli – Le più antiche rocce terrestri sono vecchie di 4,28 miliardi di anni. L’età del meteorite marziano ALH84001 è stata valutata in 4,091 miliardi di anni. Si tratta quindi di una delle rocce del nostro Sistema solare più antiche a noi note. Personalmente credo che sia di estremo interesse la ricerca di tracce biologiche in meteoriti come ALH84001 perché l’epoca di formazione coincide con l’epoca in cui sulla Terra appaiono le prime cellule più semplici, i procarioti. Infatti, pur non essendo nota nel dettaglio la storia climatica di Marte, sia per l’incertezza sulla composizione chimica dell’antica atmosfera marziana che per gli effetti di un sole molto più debole di come lo conosciamo oggi (Paradosso del Sole debole), non c’è alcun dubbio che su Marte si siano verificate inondazioni catastrofiche, probabilmente prodotte da riserve di acqua ghiacciata presenti nel sottosuolo del pianeta. Questa presenza di acqua sarebbe compatibile con le strutture tubolari di carbonati osservati nel meteorite ALH84001, carbonati che si sarebbero formati in un ambiente acquoso vicino alla superficie e a una temperatura di circa 18 °C.

Bonoli – Non sono sufficientemente esperto nel settore per poter esprimere un’idea “seria”. Non credo comunque che si tratti di uno sterile cavillare, ma che sia una ricerca che vada approfondita, come sta avvenendo.

Capria – Non è assolutamente uno sterile cavillare, se non altro perché le implicazioni della dimostrazione dell’esistenza di vita, anche fossile, su Marte sarebbero enormi. Si tratta in ogni caso di una meteorite di enorme interesse, perché si è formata in un ambiente umido a temperature per noi “ragionevoli”. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, dimostra che un ambiente di questo tipo su Marte è esistito.

Covino – Importante di sicuro! Ma la sensazione che ho sviluppato è che non sia realmente agevole arrivare ad una risposta univoca. Anche sulla Terra l’identificazione di tracce fossili è un processo che coinvolge l’analisi dei reperti, ma anche dell’ambiente presumibile in cui il reperto si è trovato e della sua storia. Tutto questo su Marte, evidentemente, è piuttosto complesso.

D’Ercole – Sono personalmente convinto (è un mio pregiudizio) che non c’è motivo di credere che la vita si appannaggio della sola Terra. Dunque se veramente le tracce biologiche fossero veritiere sarei colpito, ma non particolarmente sorpreso. Esse sarebbero una prova straordinaria, ma di un fatto per me statisticamente assai probabile (mi riferisco alla vita extraterrestre, non necessariamente marziana).

De Paolis – Ritengo che questi studi siano delicati ed importanti e che, indipendentemente dal fatto che ALH84001 contenga veramente fossili di forme di vita marziane o meno, questo tipo di indagine possa insegnare molto.

Malesani – Nessuna diatriba scientifica è un “cavillo”, e al contrario la discussione, lo scrutinio, il dibattito, sono la linfa vitale che permette il progresso scientifico e che alla fine permette di raggiungere conclusioni con un certo grado di sicurezza. Se per di più consideriamo l’importanza dell’argomento, unita alle difficoltà oggettive del processo di misura e di analisi, si capisce come ogni discussione che non fosse approfondita sarebbe una grave mancanza di rigore. Non è poi detto che la chiave di lettura delle osservazioni ci sia sfuggita, ma che magari sia proprio dietro l’angolo e con la prossima diatriba ci si avvicini un po’ ad una comprensione più profonda.

D’altro canto, devo dire che risulta sempre difficile, dal punto di vista umano, fare ricerca su temi che ricevono così tanta visibilità mediatica, in seguito alla quale il grande pubblico si aspetta risposte nette e precise (c’è o non c’è la vita su Marte?) quando spesso la scienza procede a piccoli, se pur fondamentali, passi. Sotto l’occhio dei riflettori, ogni affermazione assume un significato molto più vasto dell’originale contenuto scientifico, favorendo naturalmente le prese di posizioni più estreme. E noi stessi, come scienziati, non siamo immuni al fascino della popolarità, che ci può mettere pressione nelle modalità in cui comunichiamo ciò che abbiamo scoperto.

Mitri – La presentazione da parte di alcuni ricercatori della NASA nel 1996 dei risultati dello studio del meteorite marziano ALH84001 ha fatto chiaramente sperare di aver trovato forme di vita su un altro pianeta. Le piccole strutture osservate all’interno del meteorite sembrano piccoli batteri che troviamo sulla Terra e questo sicuramente ha aumentato l’interesse ma anche l’immaginazione dell’opinione pubblica; ma le prove che queste strutture siano effettivamente dei fossili marziani si sono rilevate, con il tempo, deboli.

Vitagliano – Caratterialmente, non ho mai gradito avventurarmi nelle sabbie mobili delle congetture e delle speculazioni, preferendo di gran lunga il terreno più solido delle ipotesi confermabili o falsificabili con pochi esperimenti mirati. La risposta alla domanda di fondo “Marte ha ospitato la vita?” può essere solo binaria: sì o no. Il “forse” non mi pare molto costruttivo, perché rappresenta già la base da cui si parte… Di conseguenza o una prova è incontrovertibile, e in questo caso nessuno potrà confutarla, o non è una prova, e in questo caso, in un verso o nell’altro, rimarrà il dubbio.

CoelumEntrando nel merito, qual è la sua opinione? Propende per l’ipotesi biologica oppure per la spiegazione chimica/geologica?

Barbon – Dovrebbero essere gli esperti a darci la risposta se sono batteri o altro. E non so se lo abbiano fatto.

Bedogni – Le dimensioni delle strutture candidate ad essere resti di vita biologica sono troppo piccole per poter loro attribuire un’origine biologica.

Berrilli – Nel lavoro di ricerca propendo sempre verso la spiegazione più semplice. In questo caso, dovendo scommettere, direi che ci troviamo in presenza di strutture di carbonati prodotte dall’evaporazione dell’acqua che era presente negli interstizi della roccia marziana. Quindi nessuna impronta biologica.

Bonoli – Vale quanto ho detto prima: non sono né un biologo né un chimico né un geologo per poter avanzare opinioni scientifiche corrette. Attualmente ci sono numerosi gruppi di ricerca interdisciplinari che si stanno occupando del problema. Anche in questo caso, nella scienza non contano le opinioni personali, ma i fatti, cioè le osservazioni, le ipotesi e le loro verifiche: le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni! Prima di pensare agli “omini verdi”, lasciamo che gli scienziati portino avanti le loro ricerche in un settore molto delicato.

Capria – Non posso dare un parere da esperta perché l’esobiologia non è il mio campo. Mi pare, però, che l’ipotesi che le tracce siano di origine biologica non sia stata affatto spazzata via, e resista assai bene.

Covino – Tenderei per l’ipotesi chimica/geologica. Se non altro perché mi aspetto che sia molto improbabile, su Marte, trovare reperti con segni di attività biologica tenendo conto di quando poco della superficie abbiamo potuto studiare. A meno, naturalmente, di pensare a una contaminazione biologica del pianeta su larga scala di tipo terrestre, almeno nel passato. Immagino questo non sia impossibile, ma mi sembra che al momento non abbiamo evidenze di questo genere.

D’Ercole – Non mi pronuncio sull’aspetto tecnico delle presunte tracce biologiche perché non è il mio campo e non sono in grado di giudicare.

De Paolis – Nel caso di ALH84001 ritengo che sia più probabile la spiegazione chimico/geologica, ma naturalmente è importante continuare le ricerche di altri meteoriti che potrebbero contenere segni più convincenti della presenza di vita su Marte. Da questo punto di vista penso che lo studio dei meteoriti sulla Luna, in cui non dovrebbe essere presente il problema della contaminazione, potrebbe essere molto importante e potrebbe essere svolto in loco da veicoli opportunamente studiati da mandare sulla Luna.

Malesani – Mi sento davvero non qualificato per avere un’opinione. Posso solo tentare dei paralleli con altre scoperte e col metodo scientifico in generale. Per prima cosa, per affermazioni di importanza così straordinaria, sono richieste prove altrettanto straordinarie. E’ chiaro che lo scrutinio diventa molto più severo quando si tratta di una scoperta così fondamentale. Non dobbiamo poi dimenticare come la natura abbia mille e mille modi per realizzare i fenomeni che osserviamo, sempre di più di quelli che vengono in mente alla nostra immaginazione. Anche se il fenomeno osservato sul meteorite marziano mostra le tracce di un’opera biologica, come possiamo escludere che non esista un altro processo, non biologico, cui al momento non abbiamo ancora pensato, magari per la mancanza di un fenomeno simile sul nostro pianeta? Insomma, da quel poco che capisco dell’argomento, non mi sento di concludere (o, forse, credere) che le prove presentate siano conclusive. Devo dire che in questo sono influenzato, pericolosamente, dall’opinione della comunità scientifica in cui sono immerso. Dopo tanti anni, penso che se la scoperta avesse un fondamento robusto e oltre ogni dubbio, si sarebbe raggiunto un consenso al di là delle opinioni e rivalità personali degli scienziati del campo. Al contrario, non mi sembra di percepire questo consenso, il che mi lascia dubbioso sulla validità “oltre ogni ragionevole dubbio” della scoperta. Naturalmente, è ben possibile che il risultato sia esatto, ma semplicemente non credo che sia stato provato con la necessaria sicurezza.

Mitri – Come dicevo, le evidenze presentate per sostenere l’ipotesi di fossili nel meteorite marziano ALH84001, come ad esempio la presenza di idrocarburi policiclici aromatici o la presenza di piccoli cristalli di magnetite, possono essere in realtà spiegate come dovute ad origine non biologica. Inoltre c’è la seria possibilità che l’interno del meteorite sia stato contaminato una volta arrivato sulla Terra. In sostanza non abbiamo alcuna prova forte e convincente, ma solo una serie di indizi che le strutture osservate all’interno del meteorite ALH84001 siano veramente dei fossili marziani.

Vitagliano – Se dovessi scommettere, propenderei per la spiegazione chimica/geologica.

CoelumRecenti scoperte dell’esistenza sul nostro pianeta di forme di vita che prosperano in condizioni estremamente proibitive (l’ultima in ordine di tempo è quella di colonie di batteri a due metri di profondità nell’aridissimo deserto cileno di Atacama) stimolano la fantasia. E’ lecito appoggiarsi a queste scoperte per ipotizzare forme di vita su Marte?

Barbon – Dato che, come si ricorda nella domanda, si sono trovate forme di vita in ambienti estremamente diversi, proprio non mi sorprenderebbe che un giorno se ne trovassero anche su Marte.

Bedogni – Quest’argomento apre in effetti nuove prospettive sulle caratteristiche del “brodo primordiale” da cui è sorta la vita sulla Terra e di conseguenza sugli altri corpi del Sistema solare. Su Marte nell’era primordiale del “Noachiano” era presente un’atmosfera densa che manteneva acqua in superficie allo stato liquido. In seguito l’attività geologica si è manifestata con eruzioni vulcaniche di cui l’Olympus Mons è l’esempio più eclatante. In questa fase le condizioni per la formazione degli “estremofili” potrebbero essersi realizzate.

Berrilli – Certamente si. Il crescente numero di organismi cosiddetti “estremofili”, cioè adatti alla vita in condizioni tanto estreme da essere mortali per la maggior parte degli organismi viventi, ci insegna che la “vita” può apparire e conservarsi in condizioni estremamente difficili. Va anche sottolineato che sono state recentemente ipotizzate forme di vita molto più esotiche sulla superficie di una delle lune di Saturno: Titano. Nel caso di Titano si tratterebbe di forme di vita basate sul metano e non sul carbonio, come avviene per le forme biologiche terrestri o per quelle ipotizzate nel meteorite marziano.

Bonoli – Tutte queste recenti scoperte confermano che la vita è in grado di adattarsi a condizioni molto più estreme di quanto si pensava fino a non molti anni fa. Di conseguenza lasciano aperta la possibilità (e sottolineo la “possibilità”) che la vita si possa essere formata o possa essere in qualche modo sopravvissuta anche in condizioni quali quelle che si trovano/trovavano su Marte.

Capria – Sicuramente è lecito fare riferimento alla recenti scoperte su forme di vita terrestri in ambienti giudicati impossibili per ipotizzare forme di vita su Marte (e simili). Aggiungerei anche che, quando ragioniamo su forme di vita extraterrestre, noi continuiamo a pensare a forme di vita in qualche modo simili a quelle che conosciamo. Questo potrebbe rivelarsi sbagliato!

Covino – Direi di sì, ma senza farsi fuorviare. Le forme di vita a cui si accenna sono solo in apparenza “distaccate” dall’ecosistema terrestre. E non è affatto banale pensare a fenomeni analoghi in contesti diversi. Quello però che queste scoperte ci indicano è di non essere troppo vincolati agli ecosistemi che ci sono familiari perché, ribaltando un noto modo di dire, la natura è più fantasiosa dei nostri teorici.

D’Ercole – Anche qui non sono in grado di dare un giudizio tecnico. Sono convinto che vi sono più cose in cielo che nella nostra filosofia. Penso che la vita ha forme di adattamento assolutamente imprevedibili “a tavolino” (a maggior ragione per un’ipotetica vita non basata sul carbonio). Dunque la mia risposta è si.

De Paolis – E’ ormai chiaro che la vita può svilupparsi nelle condizioni più varie e proibitive e ciò legittimamente spinge a pensare che non sia così improbabile che la vita si sia potuta sviluppare anche su Marte. Questo, ovviamente non costituisce però una prova che la vita si sia effettivamente sviluppata su Marte o su altri pianeti.

Malesani – E’ naturale che si parta da quello che abbiamo sotto i nostri occhi e che possiamo studiare in dettaglio per esplorare territori vergini, dove abbiamo molta meno informazione. Le scoperte dei batteri in condizioni estreme e diverse da quelle dove prospera più comunemente la vita portano senz’altro ad essere ottimisti e ad espandere lo spettro delle possibilità in cui la vita può manifestarsi. Riutilizzando in senso positivo un’affermazione che ho fatto sopra, la natura ha mille modi di esprimersi e di creare possibilità, e questo include anche la generazione delle specie viventi nelle condizioni più disparate. Dal punto di vista scientifico, sappiamo che se una certa modalità della vita si è realizzata sulla Terra, abbiamo una prova del concetto che si possa sviluppare anche altrove e ciò permette di aprire la nostra mente a soluzioni ancora più ardite. Se posso dire una mia opinione, del tutto personale, sospetto fortemente che la vita non sia una caratteristica unica del nostro pianeta, a maggior ragione limitandoci alle forme più semplici come i batteri. Sarei molto sorpreso del contrario, e bisogna lasciare ampio spazio all’ottimismo. Detto questo, però, rimane sempre la necessità di raggiungere prove obiettive ed inoppugnabili per poter concludere l’esistenza di batteri extraterrestri e, purtroppo, tutto l’ottimismo del mondo non ha alcun valore come dimostrazione!

Mitri – Sappiamo che la vita, anche nelle forme più complesse, si può adattare ad ambienti ostili. Quello che ancora non sappiamo è se la vita riesca a sostenersi in ecosistemi ristretti ed isolati. Su Marte abbiamo chiare evidenze della presenza di antichi fiumi e laghi ormai disseccati, luoghi che in passato potrebbero aver favorito lo sviluppo di forme di vita. Se mai fosse esistita vita su Marte, potrebbe ora essere isolata in limitati ecosistemi-oasi. Quindi dobbiamo prendere in considerazione anche la possibile presenza di vita su altri corpi del Sistema Solare come Europa, il satellite di Giove, con il suo oceano sotto-superficiale e Titano, il satellite di Saturno, con i suoi laghi di idrocarburi nelle regioni polari. A tale proposito lo studio del lago Vostok in Antartide è di straordinaria importanza per capire se piccoli ecosistemi-oasi rimasti isolati per milioni di anni possano mantenere nel tempo forme di vita.

Vitagliano – A mio parere è lecito appoggiarsi a queste scoperte per ipotizzare la possibilità di forme di vita su Marte, magari in un passato nel quale le condizioni non fossero così estreme come oggi. Tuttavia il fatto che qualcosa sia possibile non significa che sia anche probabile…

CoelumQuali conseguenze potrebbe portare, secondo lei, la scoperta di una prova decisiva dell’esistenza di forme di vita (anche solo in un remoto passato e per un periodo limitato) sul Pianeta rosso?

Barbon – Avrebbe la stessa conseguenza della scoperta di vita negli oceani di Europa o nell’atmosfera di Titano. Mi spiego meglio: le condizioni fisico-chimiche del nostro Universo sono abbastanza favorevoli all’esistenza di forme SEMPLICI, monocellulari, di vita. Per quanto riguarda l’esistenza di forme più complesse – parlo di specie che hanno sviluppato cognizione e intelligenza, come quella umana – io rispondo con il paradosso di Fermi:

“Dove sono tutti quanti?”.

Bedogni – Comprendere le condizioni in cui si è formata la vita ma più in particolare le strutture caratteristiche materiale genetico, proteine e come si sono aggregate in RNA e DNA è fondamentale per comprendere l’insorgere della via sulla Terra. L’altro elemento è legato ad un eventuale contribuito, secondo me poco probabile, proveniente dalla spazio secondo l’ipotesi della panspermia.

Berrilli – Abbiamo detto di come la vita si sia sviluppata sulla Terra non appena le condizioni fisico-chimiche del pianeta lo abbiano permesso. Se avessimo la prova dell’esistenza di forme di vita, anche passata, su Marte avremmo la conferma che il processo che porta allo sviluppo della vita è un processo altamente probabile. Le conseguenze a questo punto sarebbero molto rilevanti per la concezione che noi abbiamo dell’uomo nell’universo. Non dimentichiamo infatti che, a dispetto del grande numero di esopianeti scoperti, al momento conosciamo un solo luogo nell’universo in cui la vita si sia sviluppata e sia possibile: si tratta del pianeta Terra orbitante attorno alla stella Sole.

Bonoli – Che la Terra non è l’unico luogo nell’universo nel quale la vita si è potuta formare e/o si è potuta evolvere, portando un’ulteriore prova al cosiddetto “principio copernicano”, secondo il quale la Terra non presenta particolari privilegi né rispetto alla posizione nell’universo né rispetto alla sua struttura complessiva, vita compresa.

Capria – Le conseguenze sarebbero enormi sotto tutti i punti di vista, non solo legati alla scienza. Avremmo la prova che davvero la vita si sviluppa rapidamente come e dove può, e che quindi, da qualche parte, lo stadio dei batteri deve essere stato oltrepassato. Cosa che, considerando quanto sono numerosi i pianeti extrasolari e ragionando da un punto di vista statistico, a me sembra certo.

Covino – Qui il tema è più sociologico che scientifico. Di solito si assume che tutto questo, anche nel caso minimale di forme di vita molto semplici, potrebbe avere conseguenze dirompenti sul nostro modo di pensare e di posizionarsi rispetto all’universo. Ritengo in realtà che questa sia un posizione per certi versi figlia di alcuni stereotipi. Non c’è dubbio che si tratterebbe di una delle scoperte più importanti in assoluto della storia dell’umanità. Ma non immagino alcuno scenario millenaristico. Sarebbe più che altro la conferma di quanto già ampiamente divulgato in varie forme, ovvero che ci si aspetta che il “fenomeno vita” sia una conseguenza logica delle leggi della fisica laddove le condizioni lo permettano. Affascinante senza dubbio, ma non rivoluzionario. Nemmeno, mi pare, se affrontato dal punto di vista religioso o filosofico.

D’Ercole – Penso che al pari del famoso marziano di Flaiano a spasso per Roma, la stragrande maggioranza dell’umanità, dopo un iniziale interesse, tornerebbe alle sue beghe esattamente come prima. Si solleverebbe forse un interessante quesito teologico (almeno per i cattolici): se veramente, come si sostiene, Dio si è incarnato una sola volta qui sulla Terra, come fanno a salvarsi eventuali forme di vita intelligente sviluppate altrove?

De Paolis – Il ritrovamento di organismi viventi o di tracce fossili attribuibili con certezza ad organismi viventi non terrestri

rappresenterebbe un evento di straordinaria importanza non solo scientifica ma psicologica e filosofica perché dimostrerebbe – cosa di cui la maggior parte degli scienziati è convinta, ma non vi sono prove dirette – che la vita su altri pianeti è possibile.

Malesani – La scoperta di forme di vita marziane o extraterrestri avrebbe secondo me un’importanza intellettuale e scientifica enorme. Ovviamente siamo tutti interessati a capire come la vita si sia venuta a formare, non mi stupirei se questo fosse la prima curiosità di ogni essere vivente cosciente. La vita extraterrestre ci permetterebbe di capire da un’altra angolazione il processo che ha portato alla nostra formazione. Dal punto di vista concettuale, sarebbe un passo per rimuovere questa “singolarità”, in cui siamo limitati ad osservare la vita solo sul nostro pianeta. Di principio, pensiamo che il resto dell’Universo, della nostra galassia, le altre stelle siano, pur con la loro individualità, fondamentalmente simili al nostro sistema solare. Ci sono miliardi di stelle, come mai la nostra sarebbe così unica e diversa da poter ospitare la vita? Ovviamente questa nostra incertezza è dovuta alla mancanza di osservazioni e strumenti sufficientemente sensibili per verificare (o refutare) la presenza di vita su altri oggetti celesti. La scoperta di vita marziana sarebbe quindi un primo passo, piccolo ma estremamente significativo, per porre l’umanità in un contesto più universale. Magari c’è chi ci rimarrebbe male a scoprire che non siamo gli unici, ma alla fine credo che sapere sia sempre meglio che non sapere.

Mitri – E’ difficile sapere quali possano essere le conseguenze di una tale scoperta. La mia speranza è che possa chiarire come la vita si sia formata sulla Terra e capire meglio perché un giorno della materia inerme abbia “deciso” di organizzarsi in molecole via via più complesse per dare inizio alla vita.

Vitagliano – Domanda interessante. Attualmente non sappiamo se la vita sulla Terra sia autoctona, ossia da attribuirsi ad una spontanea evoluzione prebiotica in-situ, oppure sia una conseguenza di una “inseminazione” dallo spazio. Anche qui siamo nel campo delle congetture e delle speculazioni, e vi è chi propende per l’una o per l’altra ipotesi. Dal momento che su Marte le condizioni per una (oggi impossibile) evoluzione prebiotica, anche in un lontano passato quasi certamente sono state alquanto meno favorevoli che sulla Terra, nel caso fosse trovata una prova decisiva di vita marziana, ciò dovrebbe far pendere la bilancia delle congetture dal lato della panspermia.

Interviste raccolte da Claudio Elidoro

Hanno partecipato:

Roberto Barbon – Studioso di supernovae, oggetti blu e galassie compatte, dal 1992 al 2008 è stato responsabile dell’Osservatorio astrofisico di Asiago e fino al 2010, anno di messa in quiescenza, ha tenuto corsi istituzionali per la laurea in Astronomia all’Università di Padova.

Roberto Bedogni – Ricercatore astronomo dell’Osservatorio astronomico di Bologna, si occupa di idrodinamica unidimensionale e bidimensionale (simulazione numerica di nebulose planetarie, resti di supernova e turbolenza del mezzo interstellare).

Francesco Berrilli – Docente di Calcolo numerico e Fisica solare presso l’Università di Roma Tor Vergata, da circa quindici anni si occupa di sistemi di acquisizione immagini, variabilità solare e dinamica della fotosfera e cromosfera.

Fabrizio Bonoli – Vicepresidente della Società Astronomica Italiana, è docente di Storia dell’astronomia presso l’Università di Bologna.

Maria Teresa Capria – Ricercatrice presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziali di Roma, si interessa dei corpi minori del Sistema solare. Membro del team dello strumento VIR a bordo della sonda Dawn, è attualmente impegnata nello studio di Vesta.

Stefano Covino – E’ ricercatore astronomo presso l’Osservatorio astronomico di Brera a Milano. Membro del team del satellite Swift, da qualche anno si sta dedicando allo studio e al follow-up dei GRB.

Annibale D’Ercole – E’ astronomo associato presso l’Osservatorio astronomico di Bologna e si occupa di simulazioni numeriche di idrodinamica applicate alle nebulose, ai resti di supernova e al gas interstellare.

Francesco De Paolis – E’ docente di Astrofisica Teorica e ricercatore presso l’Università del Salento. Si occupa principalmente di astrofisica relativistica e di microlensing gravitazionale (compresa la ricerca di pianeti extrasolari con questa tecnica).

Daniele Malesani – Astrofisico, attualmente è post-doc presso il Dark Cosmology Centre (Niels Bohr Institut – Università di Copenhagen). Si occupa principalmente dell’analisi dei GRB (gamma-ray burst) e dello studio delle galassie in cui esplodono.

Giuseppe Mitri – Staff Scientist presso l’University of Arizona, ha in precedenza lavorato presso il NASA/JPL e il California Institute of Technology. I suoi interessi scientifici includono la struttura interna, formazione ed evoluzione di pianeti e satelliti del Sistema Solare. Ultimamente si sta dedicando in modo particolare allo studio di Titano.

Aldo Vitagliano – Docente di Chimica generale e inorganica presso l’Università “Federico II” di Napoli, si occupa di chimica metallorganica. Il suo interesse per l’astronomia lo ha spinto a dedicarsi alla meccanica celeste realizzando Solex, un software di simulazione della dinamica del Sistema solare.

La semplice OPPOSIZIONE di FIDES e SIRONA

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Tabella Asteroidi
In aprile, due degli asteroidi più luminosi tra quelli in opposizione saranno (116) Sirona e (37) Fides, che nel corso del mese si sposteranno su tracce parallele partendo dalla regione interessata dalla presenza di Saturno (anch'esso in opposizione) e Spica. Per poterli osservare al meglio sarà necessario attendere le prime ore della seconda parte della notte.

In aprile, due degli asteroidi più luminosi tra quelli in opposizione saranno (116) Sirona e (37) Fides, che nel corso del mese si sposteranno su tracce parallele partendo dalla regione interessata dalla presenza di Saturno (anch’esso in opposizione) e Spica. Per poterli osservare al meglio sarà necessario attendere le prime ore della seconda parte della notte. Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.158.

Tabella Asteroidi

Al Planetario di Padova

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05.04: “Il biologo furioso” di Carlo Alberto Redi.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 049 773677
E-mail: info@planetariopadova.it
Web: www.planetariopadova.it

Gruppo Amici del Cielo

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06.04: “Le ombre del tempo” a cura di Carlo Bertolini.
Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Valanghe di ghiaccio su Giapeto

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Long-runout landslides on Iapetus: A) Malun crater blocky landslide; B) Multiple lobate landslide in Engelier Basin; C) Lobate landslide in Gerin Basin. Credit: McKinnon et. al, LPSC, 2012.
Le due immagini di Giapeto mostrano le differenze della superficie della luna, occupata per il 40% circa da un terreno scuro (albedo 0,03–0,05) e per il resto da uno molto brillante (albedo 0,5). Cortesia Cassini Imaging Team- NASA/JPL/Space Science Institute

Estesi fronti di franamento formati da valanghe di detriti e ghiaccio sono stati individuati sui pendii di alcune formazioni geologiche di Giapeto – la terza luna di Saturno per dimensioni (1471 km di diametro) – a forma di nocciolina e divisa in un emisfero chiaro ed un emisfero scuro.

Le slavine, che si presentano a blocchi compatti o lungo fronti lobati, sono state rilevate sul cratere Malun (riquadro A) e sui bacini Engelier (B) e Gerin (C): sono fenomeni particolari, generati da rotolamenti di materiali per lunghe distanze in lunghi periodi di tempo, capaci di alterare significativamente la morfologia dei terreni attraversati.

Nonostante questi smottamenti ricordino gli analoghi fenomeni che si osservano sui pendii delle montagne terrestri all’arrivo del disgelo o quando l’accumulo del manto nevoso diventa di peso eccessivo, l’ampiezza e la portata delle valanghe di Giapeto non trova al momento riscontri sul nostro pianeta; neanche le slavine riprese in azione nei dirupi dei canyon della Valles Marineris di Marte raggiungono l’intensità mostrata da queste valanghe.

Cortesia: McKinnon et. al, LPSC, 2012.

Le valanghe si formano per fluidizzazione (formazione di letti liquidi o bolle di vapore all’interno di strati solidi) della parte a contatto col suolo di una massa di detriti: la diminuzione della densità provoca il crollo dei materiali sovrastanti e, se i detriti si trovano sulle pareti scoscese di una scarpata, ne deriva il caratteristico slittamento verso il basso con formazione di fronti di avanzamento e tendenza ad autorigenerarsi, amplificandosi fino all’esaurimento della massa detritica.

Poiché il suolo di Giapeto, data la bassa densità media del satellite, è probabilmente costituito per la maggior parte di ghiaccio d’acqua (circa 80% di ghiaccio e 20% roccia) i ricercatori pensano che il sottosuolo della luna produca una certa quantità di calore, capace di sciogliere il ghiaccio superficiale, con fluidizzazione conseguente: l’evidenza di numerosi fenomeni periodicamente ricorrenti nelle medesime aree confermerebbe la sistematicità di questo processo.

Non è però assolutamente chiaro come una quantità di calore tale da fluidizzare, o almeno rendere scivoloso, il ghiaccio superficiale possa essere prodotta dalla piccola luna: il periodo di rotazione sull’asse è molto lento (79 giorni), quindi l’emisfero “scuro” del satellite potrebbe teoricamente avere il tempo di assorbire il calore solare per rilasciarlo verso l’emisfero “ghiacciato”, innescando il disgelo e gli smottamenti. Ma le temperature medie stimate per le regioni equatoriali dei due emisferi sono troppo basse: – 143°C sul lato chiaro, e – 173°C sul lato scuro…un nuovo rompicapo per i planetologi, che hanno contemporaneamente annunciato la scoperta di evidenze di fenomeni simili in atto anche su Callisto e Phoebe.

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L’articolo originale Massive Ice Avalanches on Iapetus, and the Mechanism of Friction Reduction in Long-Runout Landslides

La GARRADD? Conviene tenerla stretta

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Tabella Comete 158
La tabella a lato riporta il sorgere, la culminazione, l’altezza sull’orizzonte astronomico dell’osservatore raggiunta dalla cometa all’istante del transito in meridiano, e il tramonto. Sono quindi indicate: la magnitudine visuale (la magnitudine totale indicata è quella teorica calcolata in base a dei parametri fisici e geometrici; l’effettiva magnitudine visuale delle comete può risultare a volte decisamente diversa da quella tabulata), la distanza dalla Terra (in Unità astronomiche), l’elongazione dal Sole – occidentale “W” (la cometa è visibile alla mattina prima del sorgere del Sole), od orientale, “E” (la cometa è visibile alla sera dopo il tramonto del Sole) – l’Ascensione Retta, la Declinazione e la costellazione in cui si trova. Gli istanti sono topocentrici e calcolati per le 00:00 TMEC per una località situata a 12° di longitudine Est e 42° di latitudine Nord.

Il percorso apparente della Garradd in aprile, lungo circa 20°. Dopo aver toccato il mese scorso le estreme regioni boreali, la cometa tornerà a dirigersi verso sud, rimanendo tuttavia circumpolare nelle prime due decadi del mese, e quindi osservabile per tutta la notte. Notevole nei giorni 13-14 il suo transito tra le stelle kappa e iota dell’Orsa Maggiore.

Il percorso apparente della Garradd in aprile, lungo circa 20°. Dopo aver toccato il mese scorso le estreme regioni boreali, la cometa tornerà a dirigersi verso sud, rimanendo tuttavia circumpolare nelle prime due decadi del mese, e quindi osservabile per tutta la notte. Notevole nei giorni 13-14 il suo transito tra le stelle kappa e iota dell’Orsa Maggiore.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 65 di Coelum n.158

Tabella Comete 158
La tabella a lato riporta il sorgere, la culminazione, l’altezza sull’orizzonte astronomico dell’osservatore raggiunta dalla cometa all’istante del transito in meridiano, e il tramonto. Sono quindi indicate: la magnitudine visuale (la magnitudine totale indicata è quella teorica calcolata in base a dei parametri fisici e geometrici; l’effettiva magnitudine visuale delle comete può risultare a volte decisamente diversa da quella tabulata), la distanza dalla Terra (in Unità astronomiche), l’elongazione dal Sole – occidentale “W” (la cometa è visibile alla mattina prima del sorgere del Sole), od orientale, “E” (la cometa è visibile alla sera dopo il tramonto del Sole) – l’Ascensione Retta, la Declinazione e la costellazione in cui si trova. Gli istanti sono topocentrici e calcolati per le 00:00 TMEC per una località situata a 12° di longitudine Est e 42° di latitudine Nord.

Nel Cielo – Due fuggevoli incontri al buio nella coda del Drago

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Costellazione del Drago
La cartina del mese abbraccia un campo di circa 12° centrato sulla parte occidentale del Drago, costellazione che ospita la galassia spirale NGC 4236 e le ellittiche NGC 4125 e 4121.
Costellazione del Drago
La cartina del mese abbraccia un campo di circa 12° centrato sulla parte occidentale del Drago, costellazione che ospita la galassia spirale NGC 4236 e le ellittiche NGC 4125 e 4121.

Dopo la visita di alcuni anni fa (vedi Coelum n. 118) torniamo questo mese a occuparci della tortuosa costellazione del Drago. Qualcuno chiederà: in cerca di oggetti straordinari e pieni di fascino? Forse sì, ma anche no… A pensarci bene, uno dei momenti più emozionanti che può offrire lo studio del cielo non è forse quello in cui ci si trova improvvisamente in campo una sperduta e anonima galassietta, che subito perdiamo, senza più ritrovare?
Qualche volta fa bene allontanarsi dai sentieri più battuti!

tabella_nel_cielo_158
Qui sopra gli oggetti consigliati questo mese con la mappa generale per trovarli e i loro dati principali (cliccare sull’immagine per una migliore lettura). Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 47 di Coelum n.158

Gruppo Amici del Cielo

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04.04: “Dalle Stelle alle Stalle: l’Energia” a cura di Dino Pezzella presso Casa Delle Associazioni, Viale Cavour 22 a Trezzano Sul Naviglio.
Per info: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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05.04: “La formazione dei sistemi stellari e stelle massive” di Filippo Di Salvo.

Informazioni GAR: 3803124156 e 3332178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Al Planetario di Ravenna

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03.04: “Il mondo della galassie …verso l’infinito” di Marco Marchetti.
La prenotazione è sempre consigliata.
Per info: tel. 0544-62534, E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.158 – 2012

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Vignetta 158

Vignetta 158
Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.158 – 2012. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Congiunzione tra Venere e le Pleiadi

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Congiunzione Venere Pleiadi
Congiunzione Venere Pleiadi
Una ricostruzione naturalistica di ciò che potremo osservare la sera del 3 aprile verso le 21:00, quando il progressivo scurirsi del cielo rivelerà la brillantissima Venere circondata dalle stelle dell’ammasso delle Pleiadi.

Il fenomeno celeste più importante del periodo, che accadrà in aprile, sarà sicuramente la congiunzione tra Venere e le Pleiadi, evento che si ripete esattamente ogni 8 anni (vedi su Coelum n. 71, l’articolo “La congiunzione perfetta” di Aldo Vitagliano). La particolarità che spiega questa affascinante regolarità sta nel fatto che i periodi di rivoluzione di Venere e Terra stanno tra loro quasi esattamente come il rapporto 13/8.

Congiunzione Venere - Pleiadi
Percorso seguito dal pianeta durante l’attraversamento dell’ammasso.

In pratica, nel tempo in cui la Terra compie 8 rivoluzioni (impiegando 2922,1 giorni), Venere ne compie 13, impiegando quasi altrettanto: 2921,1 giorni. Ciò significa che, ogni 8 anni, Venere vista dalla Terra assumerà quasi la stessa identica posizione rispetto alle stelle fisse, proiettandosi nella medesima zona di cielo.

Astrofili Alta Valdera

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02 aprile, ore 21:15 Osservazione pubblica presso l’Osservatorio del Centro Astronomico, prenotazione obbligatoria.

Per informazioni sulle attività della AAAV:
www.astrofilialtavaldera.it

AstronautiCON6 dal 3 al 22 aprile a Lecco – Convention Nazionale di Astronautica

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PROGRAMMA PROVVISORIO – In costante aggiornamento, verificare sempre sul sito.
Ore 20:30.
03.04: Concerto bandistico “Musica dallo spazio” Le colonne sonore dei film di fantascienza. Presso il Cineteatro De Andrè di Mandello del Lario.

Per le prenotazioni, il programma completo e altre informazioni consultare il sito:
www.astronauticon.it

La prima mappa geologica di Io: 425 vulcani, nessun cratere

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Il Planetary Science Institute, in collaborazione con l’Arizona State University, ha realizzato la prima mappatura geologica completa di Io, la “vulcanica” luna di Giove: un planisfero che mostra le posizioni e le caratteristiche, con le relative età geologiche, di alcune tra le più peculiari ed imponenti strutture vulcaniche e colate laviche del Sistema Solare.

La mappa, risultato di sei anni di lavoro sui dati trasmessi dalle sonde automatiche che hanno visitato il sistema di Giove, tra tutte la Galileo, mostra 19 diverse tipologie di strutture vulcaniche: patere (depressioni simili a caldere), bacini di colmata, fronti di colata, domi vulcanici, depositi di ceneri e sedimenti sulfurei, assieme ad alte montagne di forma e dimensioni varie. Sono presenti 425 diversi centri attivi, distribuiti su una superficie totale pari al 3% della superficie di Io, mentre i campi di colate laviche rappresentano il 28% della superficie, ma contengono soltanto il 31% delle bocche eruttive.

La mappatura è stata ottenuta combinando e sovrapponendo i dati acquisiti nel 1979 dai Voyager 1 e 2, con i dati dei fly-by della Galileo tra il 1995 ed il 2003, insieme con le rilevazioni della New Horizons effettuate nel passaggio del 2007: data l’estrema dinamicità geologica di Io, è interessante notare come non si veda alcun grosso bacino da impatto.

I crateri vengono infatti cancellati dal rimodellamento superficiale causato dal vulcanismo continuo della luna, 25 volte più attiva della Terra. La mappa, quindi, non è in senso pieno significativa della situazione geomorfologica attualmente presente sul satellite, né di quella futura: costituisce una sorta di prezioso database storico, che consentirà di ricostruire nel tempo l’evoluzione dinamica del vulcanismo di Io, quando si renderanno disponibili i dati trasmessi da future missioni esplorative o ripresi dagli osservatori spaziali ad alta definizione.

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Geologic Map of Io (download)

Museo del Balì

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22.03: “Il satellite Planck” di Reno Mandolesi.
Per gli orari di apertura, Info e contatti dal lunedì al venerdì orario 9:30 – 13:00:
Tel. 0721 892390, E-mail: info@museodelbali.org
www.museodelbali.org

Scoperta LEDA 074886, galassia “smeraldo”

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LEDA 074886 è una galassia nana dalla rara forma rettangolare. Cortesia L. Spitler – Swinburne University of Technology

L’oggetto, una galassia nana dalla forma davvero singolare, si trova a 70 milioni di anni luce dalla Terra, e fa parte di un ammasso formato da altre 250 galassie collocato prospetticamente al centro della costellazione di Eridano. È stato “scovato” tra le immagini riprese a largo campo in una survey del Telescopio giapponese SUBARU e scoperta dall’astrofisico Lee Spitler.

Un'immagine in falsi colori e molto contrastata permette di evidenziare la struttura a disco centrale. Cortesia L. Spitler – Swinburne University of Technology

Si pensa che la stranissima morfologia derivi dal processo di collisione tra due galassie, forse satelliti della maggiore NGC 1407, la più luminosa dell’ammasso. Al momento sembra meno probabile un effetto deformante causato da forze di interazione mareale dovute alla gravità dell’Ammasso.

All’interno è presente un disco di stelle che ruota alla velocità di 33 km/s, anche se non si sa se è a forma di spirale, perché si proietta lungo la linea di vista da Terra. Nonostante la sua forma sia più unica che rara, anche “noi” – o, meglio, i nostri più remoti discendenti – potremmo in futuro abitare in una galassia a rettangolo: è la forma che potrebbe risultare, secondo alcune simulazioni al computer, dal processo di collisione, già praticamente iniziato, tra la nostra stessa Via Lattea e la grande spirale di Andromeda.

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L’articolo originale in formato pdf Leda 074886: A Remarkable Rectangular-Looking Galaxy” di A.W. Graham et al.

ASTROINIZIATIVE UAI

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Aprile: II Meeting della Sezione di Ricerca Luna Dopo un periodo di inattività, la Sezione di Ricerca
Luna dell’Unione Astrofili Italiani riprende la propria funzionalità. Il secondo meeting della SdR Luna UAI vuole fare il punto della situazione sulla ricerca e sui programmi osservativi del nostro Satellite. Data e luogo da definire
http://luna.uai.it
www.uai.it

Gruppo Astrofili Rozzano

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Escursioni in montagna, a Pian dell’armà (PV), per l’osservazione degli astri nei venerdì e sabato di marzo: 16/17, 23/24 e 30/31.
Informazioni GAR: 3803124156 e 3332178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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30.03: “Fotografia dei pianeti”

Per informazioni: tel. 3485648190.
E-mail: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Gruppo Astrofili Lariani

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30.03: SERATA OSSERVATIVA. Osservazione della Luna all’esterno della sede, accompagnata da una
proiezione del planetario dal titolo: la Luna e le sue fasi.
Per informazioni: Tel 3280976491
astrofili_lariani@virgilio.it
www.astrofililariani.org

Gruppo Astrofili Rozzano

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29.03: “Il cielo Primaverile” di Alessandro Re.

Informazioni GAR: 3803124156 e 3332178016
E-mail: info@astrofilirozzano.it
www.astrofilirozzano.it

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