Home Blog Pagina 168

La Cometa McNaught

1
cometa
Tempo di lettura: < 1 minute

Il filmato qui sotto ritrae la Cometa McNaught – the Grande Cometa del 2007 – mentre attraversa il Sistema Solare interno. I fotogrammi del filmato sono stati ripresi tra il 12 e il 16 Gennaio 2007 da un coronografo a bordo del satellite per l’osservazione solare SOHO. Si nota anche Mercurio splendere nel campo ripreso mentre il Sole rimane fisso al centro nascosto dal disco occultatore del coronografo. La cometa, che presenta una coda molto ampia, è talmente splendente da superare i limiti dei sensibili sistemi di SOHO, progettati per carpire anche le più tenui manifestazioni e strutture dell’atmosfera solare esterna. La Cometa McNaught’s si avvicina al Sole (al perielio il 12 Gennaio) a sole 0.17 unità astronomiche, o circa la metà della distanza tra il Sole e Mercurio.
Nota: per visualizzare il filmato è necessario aver installato QuickTime.

Video Cometa McNaught

Nascita e Morte di Cristo – Un mistero che neanche l’Astronomia può risolvere

0
Eclisse di luna a Gerusalemme
Eclisse di luna a Gerusalemme
Tempo di lettura: 10 minuti

Le 64 possibili date per la morte di Cristo

Crocefissione
Crocefissione

La determinazione delle date esatte di nascita e di morte di Gesù Cristo continua a rivestire da tempo un notevole fascino e induce ancora oggi molti appassionati a tentare di determinarle eseguendo complessi calcoli computistici i quali per forza di cose forniscono svariate date, generalmente riferite al calendario giuliano, le quali oscillano entro alcuni anni prima dell’anno zero secondo il computo di Dionigi il Piccolo, nel caso della nascita di Cristo e tra il 27 ed il 33 d.C., nel caso della crocifissione.
Quello che si continua ad ignorare è che queste date che sono fondamentali nell’ambito religioso e teologico, lo sono molto meno in ambito computistico ed astronomico a causa del fatto che, oltre ad alcune arbitrarietà compiute dal monaco Dionigi, non esistono, astronomicamente parlando, informazioni sufficienti a determinare esattamente tali date. Esistono però alcuni fatti abbastanza sicuri nel caso della data della crocifissione, mentre non ne esiste praticamente nessuno in relazione alla data della nascita di Cristo. Le sacre scritture affermano che la crocifissione avvenne quando Ponzio Pilato era procuratore in Giudea, quindi tra il 26 ed il 36 d.C. In realtà altre notizie storiche e bibliche tendono a ridurre il governatorato di Pilato all’intervallo più stretto, ma più sicuro, compreso tra il 28 ed 33 d.C.

Tutti e quattro i vangeli ufficialmente approvati dalla Chiesa pongono la morte di Gesù Cristo nel pomeriggio di un venerdì. Tre di essi ci indicano che tale giorno corrispondeva al primo giorno della festa della Pasqua ebraica, quindi nel 15-simo giorno del mese di Nisan del calendario ebraico. Il quarto vangelo, quello di Giovanni, pone la crocifissione un giorno prima della festa della Pasqua ebraica e quindi al 14 Nisan. Se la correlazione tra il giorno della settimana e la data del mese ebraico fossero note, le informazioni potrebbero essere sufficienti a risolvere il problema e ad indicare una data precisa, cosa che invece sembra vera solo a prima vista e ad un approccio superficiale alla soluzione del problema.
In realtà esiste tutta una serie di incertezze che rendono pressoché irrisolvibile il problema della cronologia di Cristo. In primo luogo esistono notevoli incertezze in relazione al modo in cui gli antichi ebrei gestivano il loro calendario. Tutti coloro che eseguono i calcoli in relazione alla cronologia di Cristo assumono tacitamente che lo Sabbath giudaico, al tempo di Cristo, cadesse in corrispondenza del nostro giorno di sabato; poi che da allora sia esistita una sequenza ininterrotta di cicli nei nomi dei giorni della settimana fino ad oggi. Invece è possibile siano avvenute alcune intercalazioni di giorni extra calendario aggiunti dagli Ebrei per migliorare l’accordo tra il loro calendario lunare ed il corretto computo solare, in modo da riportarlo in fase con l’andamento delle stagioni.

Un’altra fonte di incertezza è connessa con la metodologia utilizzata dai Giudei per determinare la data corretta dell’equinozio di primavera necessaria per la celebrazione della Pasqua ebraica e quindi con la sua accuratezza.

Luna_Gerusalemme

Un’ulteriore fonte di incertezza riguarda la determinazione del primo giorno del mese di Nisan (e di tutti i mesi del calendario ebraico) la quale avveniva mediante l’osservazione della visibilità ad occhio nudo della prima falce lunare dopo il novilunio: noi non sappiamo se i rabbini di quel tempo richiedevano l’esplicita osservazione sperimentale della prima falce lunare per stabilire l’inizio del mese, oppure la calcolavano in anticipo, oppure ancora si basavano su una combinazione di calcolo ed osservazione. A seconda di ciascuno di questi modi di determinare l’inizio del mese, si ottengono date diverse per la crocifissione.

Ma non finisce qui poiché i computisti hanno il problema della corretta ed accurata determinazione del primo giorno del mesi lunari a quel tempo: è vero che disponiamo di buoni algoritmi di calcolo, ma è altrettanto vero che le date di inizio dei mesi lunari di allora che possiamo calcolare con i metodi attuali potrebbero fornire risultati diversi dalle date effettivamente assunte dai sacerdoti ebraici per l’inizio dei mesi del loro calendario. Gli algoritmi pratici per determinare la visibilità della Luna in area medio-orientale sono stati messi a punto dagli antichi astronomi mesopotamici, poi studiati da molti famosi astronomi islamici tra il 700 ed il 1300 d.C., ma anche in tempi moderni, con il risultato che le date fornite da tali algoritmi sono in disaccordo con le date fornite dall’applicazione delle tecniche che la Meccanica Celeste ci mette attualmente a disposizione.

Il disaccordo tra le date corrisponde ad un disaccordo nella esatta longitudine in cui il novilunio si verifica, per una data latitudine geografica, che supera i 100°. In realtà la visibilità della prima falce lunare dopo il novilunio non è solamente un problema astronomico, ma ha a che fare anche, e soprattutto, con la meteorologia locale e con gli effetti fisiologici connessi con l’osservazione visuale ad occhio nudo da parte degli esseri umani.

Il risultato pratico è che le date suggerite per la Pasqua ebraica nell’anno della crocifissione variano dal 23 Aprile 34 d.C. al 18 Marzo del 29 d.C., al 7 Aprile del 30 d.C. fino alla famosa 3 Aprile 33 d.C. data in cui si verificò la levata della Luna durante un’eclisse. Tali date sono riferite al computo di Dionigi il Piccolo che come sappiamo non è esatto.

Nell’intervallo compreso tra il 26 ed il 36 d.C. è possibile calcolare ben 64 possibili date utili a stabilire la cronologia della morte di Cristo. Infatti a causa dell’incertezza relativa alla determinazione sperimentale dell’equinozio di primavera e parimenti nell’incertezza in relazione al rispetto delle regole di intercalazione nell’antico calendario ebraico, vanno prese in esame tutte le lune nuove che capitano nei primi 4 mesi solari di ciascun anno, poiché non è chiaro quale lunazione sia stata utilizzata dai rabbini per stabilire il primo giorno del mese di Nisan: di fatto vanno considerate tutte le date in cui la prima falce lunare visibile dopo il tramonto del Sole aveva un’età compresa tra 0,5 e 2,0 giorni, comprese tra il 26 ed il 36 d.C. Le condizioni richieste dal calcolo sono: le coordinate geografiche di Gerusalemme (31°,8 N e 35°,2 E), il coefficiente di estinzione atmosferica stimato per quell’epoca, in quel clima ed in quel periodo dell’anno (K=0,28) e le posizioni reciproche del Sole e della Luna ottenute mediante il calcolo astronomico. La seguente tabella riporta in dettaglio le 64 possibilità. Le condizioni di miglior visibilità della Luna avvengono intorno a 40 minuti dopo il tramonto del Sole. Le date sono espresse utilizzando il calendario giuliano.

Visibilità della prima falce lunare al tramonto tra il 26 ed il 36 d.C. a Gerusalemme = inizio del mese
del calendario Ebraico.
Y M D Q B1 B2 B3 B4 B5
1 26 1 8 1,0 12,0 11,6 4.1 48 0,5±0,3
2 26 2 7 1,5 17,8 I7,2 5,5 70 2,1±0,2
3 26 3 8 1,0 12,3 11,5 5,1 48 0,3±0,4
4 26 4 6 1,6 8,3 6,3 6,1 33 -2,0±0,4
5 26 4 7 1,7 21,3 19,7 8,7 84 2,6±0,1
6 27 1 27 1,1 12,9 12,0 5,4 53 0,6±0,3
7 27 2 26 1,5 18,3 17,0 7,3 72 2,1±0,2
8 27 3 27 1,0 12,9 11,1 7,2 5,1 0,2±0,4
9 27 4 25 0,7 9,1 6,8 6,6 36 -1,8±0,4
10 27 4 26 1,7 21,5 18,9 10,5 88 2,6±0,2
11 28 1 16 1,0 12,0 10,4 6,7 51 0,1±0,4
12 28 2 15 1,2 15,2 13,5 7,5 61 1,3±0,3
13 28 3 15 0,6 9,1 7,1 6,2 36 -1,7±0,4
14 28 3 16 1,6 19,7 18,1 8,2 78 2,3±0,2
15 28 4 14 1,1 14,4 12,6 7,3 58 0,9±0,3
16 29 1 4 0,9 11,7 9,2 7,7 50 -0,3±0,4
17 29 1 5 1,9 23,4 19,7 13,0 101 2,8±0,1
18 29 2 3 1,2 15,2 13,1 8,0 63 1,3±0,3
19 29 3 4 0,6 8,1 6,0 6,0 32 -2,2±0,4
20 29 3 5 1,5 18,4 16,9 7,7 72 2,1±0,2
21 29 4 3 0,9 11,3 9,9 6,1 45 -0,2±0,4
22 29 4 4 1,8 21,9 20,7 7,7 86 2,8±0,1
23 30 1 23 1,1 14,0 11,5 8,4 59 0,6±0,4
24 30 2 21 0,5 7,3 5,0 5,9 29 -2,6±0,4
25 30 2 22 1,4 17,9 16,4 7,5 71 2,0±0,2
26 30 3 23 0,8 10,7 9,5 5,6 42 -0,6±0,4
27 30 3 24 1,7 21,3 20,4 6,6 82 2,6±0,2
28 30 4 22 1,1 14.1 13,2 5.4 56 1,0±0,3
29 31 1 12 0,7 9,3 6,1 7,6 39 -1,9±0,4
30 31 1 13 1,8 22,1 18,7 12,0 94 2,7±0,2
31 31 2 11 1,2 15,3 13,6 7,5 62 1,3±0,3
32 31 3 12 0,7 9,2 8,0 5,2 36 -1,3±0,4
33 31 3 13 1,7 20,3 19,6 6,0 78 2,5±0,2
34 31 4 11 1,1 13,5 13.1 4.4 52 0,9±0,3
35 32 1 1 0,5 6,8 2,4 6,9 25 -4,1±0,7
36 32 1 2 1,6 19,9 15,2 13,1 86 2,1±0,2
37 32 1 31 0,7 9,5 6,9 7,0 39 -1,6±0,4
38 32 2 1 1,8 22,2 20,4 9,3 91 2,8±0,1
39 32 3 1 1,3 16,4 15,6 5,5 63 1,7±0,2
40 32 3 30 0,9 10,8 10,6 3.3 40 -0,2±0,4
41 32 3 31 1,9 22,6 22,4 4,2 83 2,8±0,1
42 32 4 29 1,4 17.1 16,9 3,5 64 1,9±0,2
43 33 1 20 1,1 13,9 11,4 8,3 59 0,6±0,3
44 33 2 18 0,7 8,9 7,8 4,9 36 -1,3±0,4
45 33 2 19 1,8 21,9 21,3 5,8 83 2,8±0,1
46 33 3 20 1,4 17,3 17,2 3.1 62 2,0±0,2
47 33 4 18 1,0 12,2 12,2 2,6 42 0,5±0,3
48 34 1 10 1,5 18,8 16,0 10,3 81 2,1±0,2
49 34 2 8 1,0 12,9 12,2 5,0 51 0,7±0,3
50 34 3 9 0,7 8,1 8,0 2,6 28 -1,4±0,4
51 34 3 10 1,8 21,8 21,8 2,8 76 2,8±0,1
52 34 4 8 1,4 17,4 17,4 -2,6 59 2,1±0,2
53 34 12 30 1,1 13,4 9,9 9,4 58 0,2±0,4
54 35 1 29 1,5 18,0 17,3 5,7 71 2,1±0,2
55 35 2 27 1,0 12,9 12,9 2,6 44 0,8±0,3
56 35 3 28 0,6 8,4 8,3 -3.1 24 -1,4±0,4
57 35 3 29 1,8 21,8 21,7 -2,7 73 2,7±0,1
58 35 4 27 1,4 17,5 17,5 2,7 63 2,1±0,2
59 36 1 18 1,2 14,7 13,9 5,4 60 1,3±0,3
60 36 2 16 0,6 7,7 7,7 -2,6 25 -1,5±0,4
61 36 2 17 1,6 19,3 19,3 2,7 67 2,4±0,1
62 36 3 17 1,1 14,0 13,9 -3,1 43 1,1±0,3
63 36 4 15 0,7 9,3 8,9 -3,5 25 -0,9±0,4
64 36 4 16 1,8 21,8 21,8 2,7 77 2,8±0,1

Legenda

Y = anno.
M = mese.
D = giorno.
Q = età della Luna.
B1 = arco di luce: distanza angolare tra i centri del Sole e della Luna.
B2 = “arcus visionis”: distanza angolare verticale tra i centri del Sole e della Luna.
B3 = differenza di azimut tra il Sole e la Luna (il segno negativo indica che la Luna è più a nord del Sole) lungo l’orizzonte astronomico locale.
B4 = ritardo tra il tramonto del Sole e quello della Luna, in minuti di tempo.
B5 = parametro di visibilità con il suo errore, definito come il logaritmo del rapporto tra la luminosità apparente della falce della Luna e la minima luminosità utile a distinguere l’astro ad occhio
nudo sullo sfondo del cielo illuminato dal tramonto.

L’analisi delle 64 date possibili riportate nella tabella mostra alcuni fatti interessanti: il primo riguarda il rapporto tra B5 ed il suo errore, infatti più tale rapporto si approssima a 0 e maggiormente incerta sarà la predizione della data di inizio del mese ebraico basata sull’osservazione della Luna. Se il rapporto è dell’ordine di 2,5 allora la predizione è pressoché sicura. Ad esempio nella prima riga (8 Gennaio 26 d.C.) tale rapporto vale circa 1,7 questo significa che nella predizione la Luna sarà visibile senza particolare difficoltà, quindi a meno di condizioni atmosferiche particolarmente cattive, le quali vanno ritenute decisamente improbabili, la prima falce lunare sarà facilmente individuabile da un osservatore esperto.

Eseguendo alcuni calcoli statistici si perviene a stabilire che una buona predizione con un livello di probabilità pari almeno al 95% è possibile se il rapporto tra B5 ed il suo errore è maggiore di 1,7. Sulla base di queste considerazioni possiamo affermare che la prima falce lunare del 8 Marzo dell’anno 26 d.C., quella del 27 Marzo 27 d.C., 3 Aprile 29 d.C., 23 Marzo 30 d.C. e 30 Marzo 32 d.C., fu visibile con molto difficoltà da Gerusalemme, quindi l’inizio del corrispondente mese del calendario ebraico avrebbe potuto facilmente essere in errore di alcuni giorni.

Prendiamo ora in esame l’eclisse di luna del 3 Aprile del 33 d.C. la quale è stata da tutti associata alla crocifissione basandosi anche sulle profezie di Gioele (Gioele 2:31 a Atti degli Apostoli 2:20) in relazione alla Luna che avrebbe mostrato il colore del sangue e quindi messa in relazione alla morte di Cristo.

Eclisse di luna a Gerusalemme
Eclisse di luna a Gerusalemme

La colorazione rossastra è un fatto normale durante un’eclisse di Luna, ma le stesse fonti riportano anche che “il Sole si oscurò” quindi potrebbe essere avvenuta un’eclisse di Sole, ma tale fenomeno deve avvenire al novilunio, quindi non a metà del mese di Nisan e tanto meno nei pressi della Pasqua ebraica. L’eclisse di Luna del 3 Aprile 33 d.C. fu solamente parziale a Gerusalemme e l’ombra della Terra coprì il disco lunare per non più del 59% del suo diametro. Eseguendo il calcolo della visibilità dell’eclisse da Gerusalemme, il parametro vitale è l’altezza della Luna quando essa uscì dall’ombra della Terra. Il calcolo delle circostanze delle antiche eclissi non è così semplice come sembrerebbe a prima vista.

Ecco qui sotto i risultati del calcolo:

Sito: Gerusalemme
Latitudine: 31° 46′ 48″ N;
Longitudine: 35° 13′ 11″ E;
Altezza sul livello del mare: 10 mt.;
Time zone: 2h prima del UT.

Eclisse parziale.

Circostanze dell’Eclisse:

Entrata nella penombra: 3 aprile 33 14:00:12
Entrata nell’ombra : 3 aprile 33 15:23:03
Massimo dell’eclisse: 3 aprile 33 16:48:32
Uscita dall’ombra: 3 aprile 33 18:14:07
Uscita dalla penombra: 3 aprile 33 19:36:51

Magnitudine dell’eclisse (ombra): 0.583
Magnitudine dell’eclisse (penombra): 1.669

Durata della fase di ombra: 2h 51m 4s
Durata della fase di penombra: 5h 36m 40s

Altezza della Luna a Gerusalemme:

Entrata nella penombra: -47.3°
Entrata nell’ombra : -31.9°
Massimo dell’eclisse: -14.8°
Uscita dall’ombra: 2.9°
Uscita dalla penombra: 19.1°

Dionigi il Piccolo
Dionigi il Piccolo

Questi dati mostrano chiaramente che l’eclisse di Luna del 3 Aprile 33 d.C. fu visibile con estrema difficoltà da Gerusalemme. Durante la fase in cui parte dell’astro fu nell’ombra della Terra, esso fu visto così basso sull’orizzonte immerso nella luce del crepuscolo da non essere praticamente visibile ad occhio nudo. La Luna potrebbe essere stata notata solo dopo la sua uscita dall’ombra della Terra, ma gli effetti dell’estinzione atmosferica resero invisibile il suo oscuramente penombrale e quando il nostro satellite naturale fu sufficientemente elevato per permettere un’agevole osservazione visuale l’eclisse era già terminata. In parole povere a Gerusalemme l’eclisse del 3 Aprile 33 d.C. fu pressoché invisibile e parimenti invisibile fu la colorazione rossastra e quindi tale fenomeno non può essere invocato per stabilire con certezza la data della crocifissione di Cristo. Una simile incertezza sulla cronologia della vita di Cristo non può essere eliminata eseguendo semplici sottrazioni di anni con la calcolatrice e quindi dobbiamo prendere atto che allo stato attuale delle conoscenze e delle fonti disponibile è tecnicamente impossibile determinare le date esatte della nascita e della morte di Cristo, ma dobbiamo accontentarci della valutazione approssimata, entro alcuni anni di incertezza, che è comunque sufficiente dal punto di vista teologico e religioso. Teniamo presente anche che la funzione ed il significato delle Sacre Scritture è molto diverso da quello di semplici libri di storia. Un’ultima considerazione: non dobbiamo maltrattare troppo l’operato di Dionigi il Piccolo poiché anche lui disponeva delle stesse frammentarie informazioni che abbiamo noi per determinare la data della nascita di Gesù, ma con la differenza che le tecniche ed i mezzi di calcolo astronomico di cui egli disponeva erano ben diverse da quelle di cui disponiamo attualmente.

Epifania

0
epifania
Tempo di lettura: 2 minuti

epifaniaAl centro della sala una scatola ingombrante, guardata con diffidenza dai familiari, che non nascondono un sentimento di compassione e benevola curiosità.
“È un lavoro da fare con calma” dichiaro.
Questo sembra il via: i familiari girano per casa affannati alla ricerca di attrezzi idonei per “squartare” il cartone che ha celato per troppo tempo il suo prezioso contenuto.
“La scatola deve restare intera!”.
Con calma taglio i nastri adesivi e finalmente apro la scatola.
Tolgo un pezzo di cartone, tre pezzi di polistirolo, una gamba, le altre due, altro polistirolo, un libretto, alcuni sacchetti in plastica trasparente, polistirolo, un contrappeso, un grosso tubo, altro polistirolo, la montatura, ancora polistirolo, un altro libretto, gli oculari, polistirolo.
A questo punto la sala sembra un campo di battaglia.
“Dobbiamo mettere via l’imballaggio”.
I familiari sono troppo occupati a guardare e incastrare tutto ciò che è uscito dalla scatola per ascoltare l’invito e, con una punta di invidia nei loro confronti, infilo velocemente tutto il polistirolo nel cartone, improvvisamente diventato molto piccolo, mettendo il tutto nell’entrata, davanti alla porta di casa.
“Il cielo è stupendo, stasera tutti ad osservare”.
Con grande entusiasmo afferro la montatura, per inserirvi il cavalletto. “Mi serve un aiuto per tenere le gambe”.
Come per incanto mi ritrovo con sei mani amiche che tengono le tre piccole gambe del treppiede, mentre altre mani tese distribuiscono una miriade di viti, bulloni, staffe, oculari, cercatore ed altri ammennicoli.
Tra noi, improvvisamente, scorgo un bambino, forse il figlio di qualche vicino venuto a dare manforte, che mi innervosisce dandomi con insistenza strane viti e bulloni certamente non idonei al lavoro intrapreso.
Nel trambusto dell’impresa noto il piccolo seduto in terra che legge un libretto con strani disegni, si alza, prende qualche pezzo e me lo porge senza dire una parola.
“Senti, piccolo, questo è un lavoro da grandi”.
Il piccolo si allontana con grande dignità, lasciando a terra il libretto.
Monta un pezzo, smontane due, inverti due particolari: la serata trascorre stancamente, gli aiuti pressanti dei primi momenti si diradano ed i familiari, con rassegnazione, un po’ alla volta abbandonano il campo.
Ormai solo, mi avvicino alla finestra, il cielo si è coperto di nubi.
“Domani è un altro giorno”.
Vado a letto con una sensazione di disagio, lasciando pezzi di strumento un po’ ovunque.
Non riesco a prendere sonno, gli occhi guardano, senza vederlo, il soffitto della stanza ed il mio pensiero va al piccolo ospite con cui sono stato sgarbato…
“Vado a mangiare qualcosa”.
Tutta la casa è al buio, l’albero di Natale, continua assonnato ad emettere luci lampeggianti, la porta di entrata è ancora bloccata dallo scatolone e… il telescopio…
Perfettamente montato, puntato verso un cielo che scintilla di stelle!
Avvicino l’occhio all’oculare e vedo una splendida cometa molto somigliante a quelle che si vedono nei cartoni animati.
Sul tavolo il libretto che il mio piccolo ospite leggeva avidamente: “Manuale di istruzioni”.
Domani, 6 gennaio, nessuno dei miei familiari, nonostante le mie pressanti domande, ricorderà la presenza di quel bambino, di cui rammento solo lo sguardo “da grande”.
E la cometa? Forse avrò sognato tutto. Ma chi ha montato il telescopio?

Da un pianeta all’altro

0
Tempo di lettura: 10 minuti


Non c’è niente da fare. Nonostante le meravigliose immagini inviateci da Hubble, seppur in trepida attesa delle rivelazioni di New Horizons su Plutone, e per quanto entusiasti dell’ormai acquisita “interstellarità” dei Pioneer, non ce la facciamo proprio. Sarà certo eccesso di romanticismo, ma per noi l’emozione vera, profonda e viscerale delle imprese spaziali rimane ancorata alla visione di esseri viventi che arrivano più vicini al cielo, di strane creature dalla chimica a base di carbonio che si staccano dalla superficie del pianeta, diretti “dove nessuno è mai stato prima”; con il calore del Sole e l’attrazione della Terra lasciati dietro le spalle.
Pur con la somma benevolenza che riserviamo a Spirit e a Opportunity e alla loro stoica resistenza all’ambiente marziano, queste meraviglie della tecnica ci ispirano infatti una simpatia non troppo dissimile da quella che nutriamo anche per l’automobile che con somma abnegazione ci riporta fedelmente a casa tutti i giorni da più di dieci anni.

Insomma, ci piacerebbe vedere il respiro vagare per le stelle. Ma oltre agli inevitabili rischi, il muovere uomini qua e là per la Galassia è diventato davvero un problema da quando Einstein ha imposto i suoi severi limiti di velocità. Basta guardare la fatica che fanno le migliori penne della fantascienza per aggirare le barriere relativistiche: non basta più prendere una bella battaglia della Guerra del Peloponneso e piazzarla in imprecisate zone “al largo di Orione”; e il guaio non è neanche quello di far scegliere ai personaggi se schierarsi tra la Federazione dell’Orsa Minore e la Gilda del Centauro. No, il problema su cui si scervellano gli autori è quello di farli arrivare in tempo sul campo di battaglia.
E spesso la soluzione diventa l’idea madre di un romanzo o addirittura di una serie, come in Dune, dove sin dal primo volume la celeberrima “spezia” è ingrediente indispensabile affinché i piloti non perdano rotta e accelerazione. In altri casi abbiamo soluzioni di tutti i tipi: da un non meglio precisato movimento “senza inerzia” all’applicazione del teletrasporto, con relativa distruzione del passeggero alla partenza e contestuale trasmissione dei dati necessari e ricostruzione nel punto di arrivo (metodo questo non troppo efficace dal punto di vista teorico, visto che anche la trasmissione dell’informazione deve soggiacere alle leggi della fisica). Per tacere dell’uso indiscriminato dell’iperspazio, che resta la scappatoia preferita degli scrittori da quando Albert di Ulm ci ha relegato in un Universo lento come un bradipo zoppo.

Insomma, dovrebbe essere ben evidente a tutti che siamo ancora legati al pianeta Terra come un cane alla catena della cuccia. E se neppure gli scrittori di fantascienza riescono ad inventare un sistema di trasporto ultraluce credibile, non possiamo far altro che ottimizzare gli ordinari sistemi di trasporto al momento disponibili.
Razzi e combustibile chimico, gente! Questo è il massimo di velocità che si può permettere la nostra povera biologia a base di carbonio. E allora, che almeno sia ben ottimizzata la logistica delle spedizioni!

Ipotizziamo allora di essere riusciti a mandare una missione su ognuno degli undici pianeti del Sistema Solare, pianeti nani inclusi, ma Terra esclusa (sembra che una missione umana vi si trovi già da tempo); e se il numero 11 vi sembra fastidioso, sappiate che l’abbiamo scelto apposta.
Occorre ora che le diverse spedizioni si scambino i risultati e i campioni geologici onde effettuare le analisi comparative. Insomma, da ogni pianeta partirà una sonda che andrà su un altro pianeta, lascerà un carico di campioni e ne imbarcherà un altro (ma, eventualmente, nel carico potrà anche stivare campioni già arrivati su quel pianeta inviati da altre spedizioni), per poi subito ripartire.
Il guaio è che, tra viaggio e manutenzione, ogni viaggio da un pianeta all’altro dura un mese, e ogni missione ha una e una sola astronave da dedicare a questo compito.
Quello che ci serve è allora l’organizzazione dei viaggi delle varie astronavi, fatta in modo tale da ridurre al minimo il tempo necessario per effettuare tutti gli scambi possibili, così che ogni pianeta abbia un campione proveniente da ognuno dei restanti.
Il bello è che, se il metodo funziona per il nostro Sistema Solare, sarà poi facile applicarlo anche su sistemi con un numero diverso di pianeti, quale che esso sia. Si tratta solo di generalizzare un po’…

Minatori d’Asteroidi

0
Tempo di lettura: 7 minuti


Una delle espressioni che più ci piacciono per alludere ai “bei tempi andati” si attira di solito gli strali degli estimatori del politically correct: “Quando gli Uomini erano veri Uomini, le Donne erano vere Donne, e i Matematici erano veri Matematici”. E proprio ai “bei tempi andati” ci capita di pensare spesso, ultimamente: perché ci pare che molte buone abitudini si stiano perdendo. Ad esempio, degradare Plutone e Caronte a “sistema binario” e promuovere Cerere a “pianeta nano” ci sembra soluzione di compromesso, ma questo termine, frequente nei dizionari politici, non dovrebbe esistere in quelli scientifici. Certe piccinerie da parte di chi dovrebbe ricordarsi di avere di fronte apertissimi orizzonti – “interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi” – non ci paiono un buon segnale.

Noi riteniamo che le definizioni siano certo importanti, ma che dovrebbero sempre contenere una dose generosa di buon senso. E se definire il termine “pianeta” è impresa complessa, forse dovremmo concentrarci su cose più piccole. Perfino i satelliti sono sistemi complessi; per dare all’Astronomia un nuovo glossario, occorre partire dal principio, dalle cose più semplici, come gli asteroidi.
Proponiamo subito una definizione operativa: “Si definisce asteroide qualsiasi cosa che possa essere scavata da un minatore di asteroidi”. Si noti come anche noi, come la IAU, abbiamo dato una definizione oggettiva, non antropomorfa; infatti non abbiamo specificato che il suddetto minatore debba essere umano. Per quel che ci riguarda, potrebbe benissimo rivestire il ruolo del matematico citato all’inizio di questo articolo.
Poco conta che in quasi tutti i romanzi di fantascienza che ne parlano, questi personaggi sembrino umani: qui l’ambientazione nella fascia degli asteroidi serve a solo a narrare le durezze della vita da pionieri, che è cosa che da sempre stimola l’immaginario collettivo americano: per dirlo a chiare lettere, quasi tutti questi racconti non sono altro che dei western con gli alieni al posto degli indiani e cave di ultratecnezio al posto delle miniere d’oro. Conta allora pochissimo che il minatore sia un vecchio astronauta, un clone o un robot positronico: l’importante è che sia onesto, giusto, amante dell’avventura e sprezzante del pericolo. Proprio come un cow-boy che, anche quando di pericoli non ce ne sono, se li procura partecipando ai rodei o fracassando saloon.
Se così non fosse, come classificare altrimenti l’episodio di corse e scavi spaziali di cui stiamo per rendervi partecipi?
Due minatori ottengono la concessione per lo sfruttamento di cento asteroidi. Per una curiosa combinazione questi asteroidi orbitano mantenendo le loro distanze relative costanti pari a 0.1, 0.2, …. 10.0 UA dalla base dei nostri eroi. Il carico di un asteroide occupa un’intera stiva di nave, il che significa che dopo ogni viaggio occorre tornare alla base per svuotarla e quindi ripartire. I nostri due soci, per ottimizzare il lavoro, decidono che il primo di loro (che chiameremo Zac) si dirigerà senza tema verso l’asteroide più vicino, mentre l’altro (che chiameremo Zeb) si lancerà direttamente verso il secondo, quello posto a 0.2 UA. Zac potrà poi dirigere il suo secondo viaggio verso il terzo asteroide in ordine di distanza, e così via.
Però stiamo semplificando troppo: le navi di Zac e Zeb sono splendide navi a vela solare, che sfruttano la pressione di radiazione; guidarle in uno slalom tra asteroidi è impresa davvero epica, e ci vorrebbero pagine solo per descrivere l’arduo procedere di bolina per risalire il vento solare. Se non lo facciamo è solo perché l’andatura di bolina nello spazio non è possibile, e ci piacerebbe molto che voi ce ne spiegaste la ragione. Un’altra domanda è già possibile, ma è così facile che Gauss seppe rispondere ad una molto simile quando andava alle elementari: quanto spazio percorrono in totale, i nostri Zac e Zeb?
Ma la realtà è sempre complicata. Le due navi, a ben vedere, non sono identiche: quella di Zac è infatti più veloce del 2.04% rispetto a quella di Zeb, e Zac non ha nessuna voglia di spaccare più asteroidi del compagno. Decidono allora che, prima di iniziare la corsa vera e propria, Zeb sceglierà uno dei cento asteroidi, lo lavorerà e tornerà alla base. A quel punto, consumato questo handicap, i due partiranno assieme, con il più veloce Zac che si dirigerà al primo asteroide e Zeb già verso il secondo.
È chiaro che l’handicap serve a garantire che entrambi lavorino un ugual numero di asteroidi, ma quel che ci piacerebbe sapere è: quale asteroide dovrebbe scegliere Zeb come handicap, per ottimizzare le sue possibilità di vincere finendo per primo i suoi asteroidi? È palese che se riuscirete a capire questo, sarà per voi una passeggiata capire anche quanta strada fa ciascuno di loro, nonché chi arriva primo, e con quale vantaggio. Naturalmente, il miglior solutore riceverà in premio il consueto abbonamento semestrale alla rivista.

Viaggio in MAROCCO

0
Tempo di lettura: 5 minuti

Leonidi 2006
Oasi, dune, deserto e osservazioni astronomiche dai Monti dell’Atlante

David Asher e Robert H. McNaught prevedono per il 2006 un ritorno delle Leonidi legato all’attraversamento da parte del nostro pianeta di una nube di meteoroidi rilasciata dalla Cometa Tempel–Tuttle nel 1932.
L’incontro è previsto per la mattina del 19 Novembre alle ore 04:45 UT e le zone favorite saranno l’Europa Occidentale e l’Africa con un tasso orario di circa 100 meteore all’ora.

Dal punto di vista climatico unito alla limpidezza del cielo, all’ assenza di inquinamento luminoso e alla bellezza dei luoghi, il Marocco è il luogo ideale per osservare questo ultimo exploit delle Leonidi prima del 2033.

Programma 1° giorno, mercoledì 15/11
MILANO MXP/CASABLANCA/MARRAKECH
Ritrovo dei partecipanti (secondo gli orari che verranno comunicati). Operazioni d’imbarco su volo di linea Royal Air Maroc per Casablanca. Cambio aeromobile e proseguimento per Marrakech. All’arrivo, incontro con la guida e trasferimento in pullman in hotel. Sistemazione nelle camere, cena e pernottamento.

2° giorno, giovedì 16/11
MARRAKECH
Trattamento di pensione completa. Intera giornata in visita a Marrakech, la citta rossa denominata “la perla del sud”, capitale imperiale nell’ XI secolo i cui monumenti, riccamente ornati di fini stucchi, mosaici e marmi, testimoniano la ricchezza del passato di questa citta. La medina è racchiusa da possenti mura color ocra, che risaltano sullo sfondo mozzafiato della catena montuosa dell’Atlante e spiccano tra il verde lussureggiante dei palmeti. Si visiteranno le tombe Saadiane, il Palazzo della Bahia, i giardini della Menara, il Minareto della Koutoubia, la Medersa Ben Youssef (antica scuola coranica dalla splendida architettura) e la famosa piazza Djeema el Fna, la piazza più conosciuta del Maghreb. In serata cena al ristorante Chez Ali sotto le tende con spettacolo folcloristico “Fantasia” (spettacolo equestre e danza del ventre). Pernottamento in hotel.

3° giorno, venerdì 17/11
MARRAKECH/BOUMALNE (km 350 di cui 40 su pista)
Prima colazione in hotel. In mattinata partenza per Boumalne di Dades via Taddert e il passo di Tizi-n-Tichka a 2.260 mt di altitudine, attraversando foreste di pini lecci. Lungo il viaggio si lascia la strada principale e si percorre un sentiero che conduce alla kasbah di Telouet, feudo della potente famiglia Glaoui, Signori del Grande Atlante. Si prosegue attraverso una pista con numerosi tornanti che scende verso la vallata del Ouadi Maleh sino alla kasbah di Aid Benhaddou, imponente kasbah risalente al XII secolo. Pranzo e proseguimento per Skoura e El Kelaa M’gouna (villaggio delle rose). In serata è previsto l’arrivo nella vallata di Dades. Sistemazione in una kasbah situata sull’altopiano desertico che domina la citta di Boumalne o l’Ouadi di Dades. Pernottamento in albergo (sistemazione in camera standard, in camera troglodita o in tenda secondo disponibilita). In serata Osservazioni Astronomiche facoltative

4° giorno, sabato 18/11
BOUMALNE/TINEGHIR (km 188 di cui 105 su pista)
Prima colazione in hotel. In mattinata passeggiata a piedi alla scoperta della più ricca valle del paese. Partenza per Ait Oudinar, si prosegue poi lungo una pista che sale sino a 2.800 mt, quindi, passando dalle gole di Dades, si attraversano i villaggi di Msemrir e Tamtattouche (la pista in caso di forti piogge diventa impraticabile e nel caso potrebbe essere annullata). Si scende poi alle gole di Todra, dove impressionanti muraglie alte più di 300 mt si innalzano come pilastri di una porta monumentale. Pranzo in ristorante. Arrivo a Tineghir in serata. Sistemazione in hotel, cena e pernottamento. In serata Osservazioni Astronomiche facoltative

5° giorno, domenica 19/11
TINEGHIR/MERZOUGA (km 217 di cui 56 su pista)
Prima colazione in hotel. In mattinata partenza per Erfoud via Tinejad, attraversando lussureggianti oasi e palmeti. Lungo il percorso è prevista una sosta a Rissani, villaggio famoso per il suo mercato di datteri e per la prossimita delle rovine di Sijilmassa, mitica capitale del Tafilalet e culla della dinastia reale degli Alaouites. Dopo il pranzo si prosegue attraverso una pista sabbiosa sino a Merzouga. Arrivati al campo tendato si attende il tramonto dietro le magnifiche dune che si estendono a vista d’occhio. Cena e sistemazione nelle tende ammirando il cielo stellato. In serata Osservazioni Astronomiche facoltative

6° giorno, lunedì 20/11
MERZOUGA/ZAGORA (km 234 di cui 94 su pista)
Prima colazione in hotel. Partenza per Tazarine via Alnif. Dopo la seconda colazione si prosegue su pista e si attraversa un altopiano desertico costellato da verdeggianti villaggi: Ait Ouaazik e Beni Zoli in cui, a seconda delle stagioni, si possono scorgere alcune tende nomadi. Arrivo a Zagora, sistemazione in albergo cena e pernottamento. In serata Osservazioni Astronomiche facoltative

7° giorno, martedì 21/11
ZAGORA/MARRAKECH (km 380)
Prima colazione, in mattinata partenza per risalire il corso del fiume pietroso Draa sino a Agdz. Proseguimento per il passo di Tizi-n-Tiniffift e sosta a Ouarzazate per il pranzo. Proseguimento per l’Alto Atlante attraversando nuovamente il passo di Tizi-n-Tichka. Si scende poi verso la pianura del Haouz e si raggiunge Marrakesh. Sistemazione in hotel cena e pernottamento.

8° giorno, mercoledì 22/11
MARRAKECH/CASABLANCA/MILANO MALPENSA
Prima colazione. In tempo utile trasferimento in aeroporto e partenza per Milano Malpensa con volo di linea Royal Air Maroc.

Quota di Partecipazione

Minimo 20 persone: € 1.210,00 (8 giorni/7 notti)
Supplemento camera singola: € 130,00
Tasse aeroportuali: 134,00€ (soggette a riconferma fino all’emissione del biglietti)

Le tariffe aeree per il mese di Novembre non sono attualmente pubblicate da Royal Air Maroc.
La quotazione è pertanto costruita sulla tariffa in vigore a maggio 2006 e potrebbe subire variazioni.

La quota è altresì formulata in base ai costi e ai cambi in vigore alla data odierna. Eventuale adeguamento carburante a 30 giorni dalla data di partenza.

La Quota Comprende

• volo di Linea Royal Air Maroc in classe economica da Milano MXP/Roma Fiumicino per Marrakesh via Casablanca a/r
• sistemazione in hotel 4 stelle e 1 notte in campo tendato con sistemazione in camera doppia con servizi privati (Il campo tendato è situato di fronte alle dune di Merzouga e si compone di tende in stile berbero, ciascuna tenda è suddivisa in due zone da due posti letto ciascuna. Completano la struttura il ristorante ed i servizi igenici comuni in muratura)
• trattamento di pensione completa dalla cena del 1° giorno alla prima colazione dell’ultimo giorno
• cena tipica con spettacolo di luci suoni e danze folcloristiche a Marrakech
• trasporto in pullman gt e jeep Land Rover 4×4 con occupazione da 4/5 persone per jeep + autista
• guida locale parlante italiano per tutta la durata del tour
• visite ed escursioni come da programma
• assicurazione medico bagaglio e annullamento viaggio.


La Quota non Comprende

• bevande ai pasti
• i pasti non indicati
• mance
• eventuali spostamenti notturni in jeep per raggiungere luoghi piu idonei per le osservazioni astronomiche nel caso sia necessario
• extra personali e tutto quanto non specificato alla voce “La quota comprende”


Documenti

Carta Nazionale d’identità valida per l’espatrio o passaporto individuale.


Prenotazioni e Informazioni Termine prenotazioni: 31 Agosto 2006

Per informazioni e prenotazioni:
Centro Turistico Modenese di Robintur spa
Via Bacchini, 15- 41100 Modena
Tel. 059/2133701
E-mail: ctm.gruppi@robintur.it
Web: www.robintur.it

Per informazioni astronomiche:
Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
E-mail: fzanotti1@alice.it
Web: http://www.ferrara.com/columbia

Dalla Terra alla Luna

0
Tempo di lettura: 6 minuti

Se il mese scorso abbiamo voluto mettere alla prova la vostra dimestichezza con il pianeta più caro al genere umano (no, non stiamo parlando di Plutone), è stato solo per mostrare quanto poco si conoscano realmente anche le cose più comuni. La Terra è infatti certamente un pianeta, oltre ad esserci madre e genitrice; nonché l’unico luogo dell’Universo che davvero conosciamo e frequentiamo.
Il solo altro luogo che ha avuto la ventura di ospitare l’orma di un piede umano è la nostra vicina e compagna Luna, che però è stata così poco considerata dopo i primi emozionanti appuntamenti che avrebbe tutti i diritti di tenerci il muso come una fidanzata trascurata.
Il primo pensiero che abbiamo avuto, dopo i tafferugli di Praga, è stato allora quello di inventare un quiz basato sulla Luna e sulle risoluzioni dell’IAU, immaginando di dotarvi di poteri divini e di chiedervi quali potrebbero essere le “minime azioni possibili” in grado di promuovere la Luna a “Pianeta” secondo le nuove definizioni. Avreste potuto fare qualsiasi cosa: dilatarla, restringerla, appesantirla, spostarla ovunque nel sistema solare: l’importante era che, a valle delle modifiche potesse meritarsi l’ambita qualifica di “Pianeta”. Per il quale, ormai, non basta più essere un “astro errante”, con buona pace degli antichi Greci.
Però, abbiamo anche pensato che una domanda del genere sarebbe stata davvero poco romantica, mentre invece a noi la Luna suscita ancora ricordi e visioni da autentico “Sturm und Drang”: tanto per dire, l’unica volta che abbiamo fatto i capricci per vedere la televisione sino a tardi è stato durante la notte tra il 20 e il 21 luglio 1969. È possibile che il suo fascino nasca anche dal fatto che, pur presentando caratteristiche di corpo celeste, sembra appena fuori casa, quasi appesa in giardino. E basta questo per capire perché, sin dall’antichità, la letteratura si sia cimentata nella ricerca di un metodo per raggiungerla; a partire da Luciano di Samosata, passando per l’Orlando Furioso dell’Ariosto e il Cyrano di Rostand, fino al proiettile di Jules Verne.
I metodi proposti dagli autori classici, però, non è che fossero poi così entusiasmanti, almeno dal punto di vista delle scienze fisiche: dovendo eleggere un vincitore, le nostre preferenze andrebbero al signor De Bergerac che, se non ricordiamo male, proponeva ben sette metodi per raggiungere l’amato satellite: uno più inutilizzabile dell’altro, naturalmente, ma non è certo questo il punto. Anche i primi libri di astronautica capitatici tra le mani (“Razzi Interplanetari”, di Lester del Rey) e i primi libri di fantascienza non lasciavano molte speranze: senza eccezioni, presupponevano la necessità di una o più stazioni spaziali, in numero direttamente proporzionale all’ottimismo dell’autore in merito alla scoperta di nuovi propellenti.
È sempre un buon esercizio, però, tornare sulle vecchie idee per cercare di capire – senza troppa aria di sufficienza – “perché” fossero sbagliate. Anche le più semplici: ad esempio, l’ipotesi di “andare sulla Luna in mongolfiera” era effettivamente stata avanzata da qualcuno, ma sareste davvero in grado di demolire l’idea con un solo argomento logico, anche senza considerare l’assenza dell’aria nello spazio tra Terra e Luna (in fondo, l’assenza d’aria nello spazio non era una conoscenza così ovvia, ai tempi delle mongolfiere)?
E allora, anche noi vogliamo estrarre dal cappello una vecchia idea: decidiamo di usare un filo. Non prendeteci troppo in giro: non solo perché già Arthur Clarke ne ha parlato nel suo “Le Fontane del Paradiso”, ma anche e soprattutto perché non avete riso per niente quando sullo Shuttle si tentò l’esperimento Tethered.

Per farla breve, tutto quel che ci serve è un po’ di filo che riesca ad unire la Terra alla Luna, magari passando da una bella stazione spaziale piazzata in orbita geostazionaria. Non abbiamo alcun problema per portare il capo giusto del filo a destinazione, perché siamo riusciti a convincere un miliardario americano a finanziare l’impresa. Il nostro sponsor ci ha già fatto pervenire un gomitolo sferico di robustissimo filo, la cui sezione circolare è di un centesimo di pollice (visto che pagano gli americani, misuriamo come preferiscono loro: per pochi dollari siamo pronti a svendere tutto il sistema metrico decimale).
Il gomitolo assegnatoci ha un diametro di 24 pollici, che però a occhio ci sembra un po’ scarsino… quello che ci chiediamo è se con quel filo riusciremo ad arrivare, non dico alla Luna, ma almeno all’orbita geostazionaria…
Insomma, quanto è lungo il filo nel gomitolo? E nel caso che non bastasse, quale dovrebbe essere il diametro del gomitolo per arrivare alla Luna?

Casual Grand Tour

0
Tempo di lettura: 9 minuti


Deboli voci di corridoio riportano che questo sia un numero speciale, ed è allora indispensabile raddoppiare racconti ed entusiasmo, tanto che chi vorrà vincere l’abbonamento semestrale alla rivista dovrà risolvere ben cinque problemi.
Occasioni per festeggiare ce ne sono a bizzeffe, a volerle cercare: ad esempio, il numero dei pianeti è diventato talmente elastico e arrendevole da poter contentare sia i partigiani della teoria “Otto pianeti bastano”, sia quelli del “Finalmente siamo in Dodici (o forse più)”.
Dobbiamo però riconoscere che questa suddivisione dei pianeti non è piaciuta a tutti; e non solo per la proliferazione dei ermini (“Nano sarà lei” sembra essere stato l’insulto più diffuso nei corridoi praghesi, questa estate); i ragazzi delle medie, ad esempio, non hanno fatto in tempo a rallegrarsi di poter dimenticare Plutone che si sono subito accorti che anziché un pianeta in meno, gli sarebbe toccato studiarne almeno tré in più (nani o meno).

In realtà, la sola cosa che realmente diverte in questo bailamme nomenclaturale è l’affannoso lavorio degli astrologi (che già tanta fatica avevano fatto dopo il 1930 per inserire Plutone nei temi astrali) per cercare di mantenere coerenti i loro “studi” avendo a che fare con astronomi che gli cambiano continuamente le carte in tavola!
Comunque, conoscete il Grand Tour, classica ambientazione fantascientifica che consiste nel giro turistico di tutti i pianeti del Sistema Solare? Anche in una crociera così mirabolante ci sarebbe a bordo il rischio della noia, che regna sovrana tra uno sbarco e l’altro. Per il nostro Grand Tour interplanetario il problema però non sussiste: come e meglio del Capitano Kirk abbiamo a disposizione il teletrasporto! Sfortunatamente, il signor Scott che abbiamo a bordo noi è molto più pasticcione di quello dell’Enterprise.
Infatti, il nostro teletrasporto ci può condurre in un amen in uno qualsiasi dei dodici pianeti (in barba alle decisioni di Praga, fìngeremo che il numero sia questo); incluso quello da cui siamo partiti, perché il salto “nullo” (da e per il medesimo pianeta) è assolutamente lecito e possibile. Però, non ci è consentito di scegliere la destinazione. Partiamo dalla Terra? Bene, il sistema può portarci subitaneamente su Marte. O su Eris. O su Cerere. O su Caronte. Poi, magari, su Urano, e di seguito ancora su Urano (salto nullo). Insomma, il pianeta destinazione viene scelto assolutamente a caso, ma proprio per questo prima o poi dovremmo riuscire a vederli tutti. Secondo voi, quanti viaggi (salti nulli compresi) dovremmo aspettarci di fare per visitare tutti e dodici i pianeti?
Certo, parlare di fantascienza quando in Redazione si è appena conclusa una strepitosa festa in occasione dell’uscita del Numero Cento, è quasi uno spreco di fantasia.
Erano presenti un bei numero di persone, tra redattori interni, collaboratori fissi e scrocconi occasionali, e il Gran Direttore, colto da euforia, ha deciso di organizzare un gioco a premi. O meglio a premio, viste le regole.
Non dubito che ognuno di voi ricordi perfettamente tutti i numeri della rivista usciti finora” ha proferito con un tono carico di sottintesi “e io ben so che sono tutti bellissimi”. Neanche un moscerino ha osato vibrare le ali, per tema che la vibrazione fosse intesa come obiezione; e il G.D., magnanimo, ha allora concesso: “Ciò non di meno, ciascuno di voi avrà un numero particolarmente caro. Il mio l’ho scritto su questo foglio: adesso venite qui uno per volta e mi dite, senza farlo sentire agli altri, qual è il vostro numero preferito, e io ne terrò nota. Quando un numero di Coelum sarà in fine ripetuto due volte avremo il vincitore: la persona che ha nominato per la seconda volta il numero eletto vincerà l’ambitissimo premio, e cioè quella stessa copia di Coelum da me autografata”.
Tutti quanti hanno iniziato ad andare verso il tavolo del Direttore (non sappiamo se per il desiderio di vincere il premio o per tema di contrariarlo), cercando di decidere quale fosse il loro numero preferito. Noi ci siamo uniti al gruppo, ma il nostro pensiero era rivolto ad un altro problema. In che posizione dovevamo metterci nella coda, per massimizzare le probabilità di vittoria? E per finire (attenti che qui le soluzioni possono essere svariate, e premieremo solo le più eleganti) sapreste unire in sequenza le cifre da 1 a 9, con i soli segni delle quattro operazioni per ottenere cento come risultato?
Ormai dovreste esservene accorti, visto che questo è l’ultimo paragrafo dell’ultima rubrica dell’ultima pagina di questa rivista: questo è proprio il numero cento!
La nostra abitudine ad utilizzare il sistema decimale rende questo un evento speciale, perché gli uomini adorano le cifre tonde.
Essendo egocentrici (oltre che solo “recenti” collaboratori della rivista) anche noi Rudi vorremmo festeggiare la pubblicazione della dodicesima puntata di questa rubrica; scegliendo la base numerica opportuna, anche dodici può essere rappresentato come un numero tondo. Quale? E siccome c’è aria di festa, concludiamo con l’ultima domanda, davvero facile: quante volte abbiamo scritto “cento”, in questo testo? E quante volte “dodici”? Sbagliare è quasi impossibile; non deludeteci… ma attenti alla gherminella.

La Terra nel Sacco

0
dV/dA
Tempo di lettura: 7 minuti

Quasi certamente ve ne stavate in spiaggia, a crogiolarvi come salamandre sotto il sole d’agosto. Quasi certamente la vostra attenzione era ben diretta verso pelli abbronzate o, al massimo, verso l’orizzonte lontano, a scrutare il lento variare delle nuvole. Eppure, nonostante la vostra colpevole indifferenza, nella splendida capitale della Repubblica Ceca, tra il 14 e il 25 agosto, i partecipanti al XXVI Congresso della IAU si sono ferocemente accapigliati nel tentativo di sciogliere il secolare dubbio sulla definizione di pianeta. Voi eravate forse al chiosco della spiaggia a sorbire un sorbetto, e loro concionavano sul raggio minimo ammissibile; voi vi riempivate i polmoni di iodio respirando l’aria salmastra e mostrando i pettorali, e loro si dannavano sul requisito della sfericità, o forse sulla necessità della complanarietà delle orbite.
Facile, adesso, dopo il sorbetto estivo, fingere di avere opinioni chiare e sicure su Plutone e gli altri transnettuniani; la verità è che non avete dedicato al fondamentale problema più attenzione di quanta ne riserviate di solito ad un sorbetto al limone.
Ed è facile dimostrarlo. Prendete il primo pianeta che vi capita sottomano, e vediamo quanto davvero lo conoscete. Per dirne una, vi ricordate di Vladimirov Javacheff Christo? È il tizio che da 30 anni continua imperterrito ad incartare qualsiasi cosa con fogli di vinile (monumenti, palazzi, gasometri, il Central Park addirittura) sostenendo che tali incartamenti siano Arte (siete pregati di notare la maiuscola). Bene, per mantenere sempre desta l’attenzione dei media, la tendenza del nostro artista sembra essere quella di cercare di incartare qualcosa di sempre più grande. Come credete che finirà? È evidente che, prima o poi, raggiungerà il limite, proponendo di incartare l’intero globo terrestre.
Supponiamo allora che questa grande opera d’arte incartatoria sia già terminata, e che la Terra sia stata perfettamente avvolta da una aderente pellicola di plastica. E supponiamo anche di aggiungere un metro quadro esatto a questa copertura, stando attenti a mantenerla perfettamente sferica; due domande, a questo punto, sorgono spontanee.
Considerando la Terra perfettamente sferica e con un raggio di 6400 km, che volume resta compreso tra la plastica e la Terra? Inoltre, appurato che (forse) per un po’ riusciremmo a respirare, vorremmo anche sapere se riusciremo ad alzarci in piedi, e quindi: quanto disterà la copertura di plastica dalla superficie della Terra?
Se incartare la Terra vi pare eccessivo, allora limitiamoci a cingerla con una elegante cintura lungo l’equatore (però questa non è Arte). Anche in questo caso, mossi a pietà da una troppo spietata aderenza, aggiungiamo 6 metri di cintura e, come ogni persona che finalmente non si sente stringere sulla pancia, infiliamo un dito sotto e tiriamo la cintura verso l’esterno.
Oddio, a dire il vero non sappiamo neppure se aggiungendo 6 miseri metri ad una cintura che di metri ne misura quaranta milioni, riusciremo mai a farci passare un dito… Ma insomma: supposto che il dito ci passi e che noi si riesca a sollevare la cintura, di quanto si alzerà la cintura dalla superficie della Terra?
È possibile che si rendano necessarie delle approssimazioni, per chiudere il calcolo, sapete? Già… un pianeta come la Terra sembra assolutamente ovvio e banale, eppure basta poco e torna ad essere misterioso. Eppure, se si affrontano i problemi con il giusto approccio, a volte si risolvono anche quelli che sembrano impossibili. Non ci credete? Considerate allora un altro pianeta (visto che quello che abbiamo è l’unico abitabile nei paraggi, e non vorremmo rovinarlo più dello stretto necessario) e scaviamoci un buco da parte a parte. Con un po’ di sorpresa, ci accorgiamo che questo buco, escludendo le calotte sferiche che abbiamo tolto da entrambe le parti per iniziare a scavare, ha una lunghezza di 6000 km esatti. Ecco, che ci crediate o meno, avete già tutti gli elementi necessari a stabilire quale sia il volume restante del pianeta.
Con il che fanno 4 domande che valgono un abbonamento semestrale a Coelum. Che state aspettando?

Einstein on the beach

0
Tempo di lettura: 8 minuti

Dovrebbero essere i numeri a farla da padroni, in questa pagina. Ma è estate per tutti e allora possiamo conceder loro ancora qualche giorno di vacanza; se non altro per cedere il passo alle parole e provare a mostrare come anch’esse, in fondo, facciano parte della medesima famiglia.
È incredibile vedere quanto sia facile perdere di vista alcune connessioni piuttosto semplici nel momento stesso in cui la matematica viene applicata alle parole; al punto che alcuni dei giochi di parole più antichi si ritrovano ancora nelle odierne riviste di enigmistica. Come i “metagrammi”, ad esempio; pochi sanno che l’inventore fu il matematico e scrittore Lewis Carroll (quello di Alice nel paese delle meraviglie), che li battezzò “Doublets”: sono quei giochi in cui sono note due parole dello stesso numero di lettere una delle quali costituisce la “partenza” e l’altra l’“arrivo” di una sequenza che si deve svolgere cambiando una sola lettera alla volta e passando sempre attraverso parole di senso compiuto. Ad esempio, un metagramma originale di Carroll chiedeva di “far entrare il maiale (Pig) nel porcile (Sty)”: PIG-WIG-WAG-WAY-SAY-STY. Cinque passi, piuttosto semplice, quantomeno per un madrelingua inglese come Carroll.
Se li preferite in italiano, potreste provare a passare dalla Luna al Sole, ancora in 5 passi (valgono solo aggettivi e sostantivi, niente nomi propri e verbi):
Luna – Lana – Sana – Sane – Sale – Sole
E la matematica cosa c’entra? Beh, c’entra; e c’entra più di quanto sia lecito aspettarsi ad un primo sguardo. I metagrammi di Carroll ricordano molto i Codici binari di Gray, con i quali condividono la caratteristica di variare un solo carattere (un bit in questo caso) ad ogni passaggio. Nel codice Gray non vige però l’obbligo supplementare di sostituire il carattere con un altro qualsiasi, ma solo con quello che lo precede o con quello che lo segue: in compenso, non si richiede che la “parola modificata” resti di senso compiuto. È interessante notare che, mentre i metagrammi rappresentavano solo un simpatico passatempo per la gente dell’Età Vittoriana, se non funzionassero i Codici di Gray oggi non avremmo nessuna forma di telefonia mobile.

Uno dei giochi con le parole più stupefacenti che conosciamo è di un tale effetto mistico da far impallidire la fama del Codice da Vinci e da provocare subitanee conversioni di anime pie. Consideriamo i primissimi versetti della Genesi dalla Bibbia di Re Giacomo:

1: In the beginning God created the heaven and the earth.
2: And the earth was without form, and void; and darkness was upon the face of the deep. And the Spirit of God moved upon the face of the waters.
3: And God said, Let there be light: and there was light.

…e preparatevi ad un’esperienza sconvolgente.
Cominciate con lo scegliere una parola qualsiasi dal primo versetto, e contatene le lettere.
Partendo dalla parola successiva a quella selezionata, contate tante parole quante sono le lettere nella parola originale.
Continuate in questo modo, contando le lettere della parola su cui siete terminati e ripetete il tutto sin quando arrivate al terzo versetto: fermatevi alla prima parola che raggiungete al terzo versetto.
E riprovate pure con un’altra parola. Non c’è niente da fare, finite sempre “lì”, alla parola GOD!
A voi disquisire sul fatto che si sia in presenza della prova sull’origine divina delle sacre scritture, di una suggestiva coincidenza o del risultato di una qualche legge matematica. Tanto per dire, potreste chiedervi se la cosa funziona per qualsiasi tipo di testo, e se è legata ad una lingua particolare (funziona, ad esempio, sugli stessi versetti tradotti in italiano?). Poi fateci sapere, anche se sarete già diventati monaci frappisti.
Già, ma lo spazio si assottiglia e abbiamo quasi dimenticato lo scopo principale di questa rubrica, che è quello di proporre “il quesito del mese”.
Lo scorso numero ci siamo addentrati nel mondo delle sfide intellettuali che a colpi di anagramma si lanciavano da un capo all’altro dell’Europa gli eruditi e scanzonati scienziati del Seicento, e vi abbiamo proposto la frase: Più peso unendo tre stelle.
La prima corretta soluzione tra le moltissime arrivate in redazione è stata quella di Carlo Colonnello, che ha anagrammato il tutto arrivando ad annunciare al mondo che: Plutone possiede tre lune. E che si è quindi aggiudicato l’abbonamento semestrale alla rivista.
Altra soluzione notevole è stata quella di Fabiano Limonio, che ha trovato: E Sednes più oltre Plutone. Davvero sorprendente, non è vero? In pratica, Fabiano ha estratto dalla frase di partenza una diversa verità astronomica (quella dell’esistenza del planetoide Sedna al di là di Plutone)… Peccato solo per la piccola imperfezione nel nome: Sednes-Sedna!

Insomma, visto l’enorme successo della cosa, e considerata la temperatura ambientale che inibisce i centri nervosi che stimolano la continua ricerca dell’originalità, abbiamo pensato di ripetere la sfida anagrammi anche in questo numero. Con questa frase vagamente jattatoria:
Come poi spiri, cade la notte.
Quale scoperta o verità astronomica si cela tra queste parole?
Troppo facile, vero? È solo che in vacanza ci sentiamo più buoni… Troppo forse… e allora diciamo che se vorrete aggiudicarvi il consueto abbonamento semestrale a Coelum dovrete inviarci questa prima soluzione, ed in più la sequenza del metagramma che permette di passare da MARTE a URANO (noi l’abbiamo risolto in 12 passaggi, ricordando che non valgono verbi e nomi propri). Buon lavoro e buone vacanze!

Keplero o Nostradamus?

0
Tempo di lettura: 6 minuti


Siamo pronti a scommettere che all’edicola siate soliti guardare con sussiego gli acquirenti di riviste astrologiche e divinatorie. Non ce la sentiamo di biasimarvi (anzi!), ma sappiate che potreste pentirvene. State un po’ a sentire…
Come ben sapete, qualche secolo fa era invalsa l’usanza di comunicare le scoperte scientifiche ad amici (e ad avversari) in maniera criptica, tramite anagrammi. In tal modo ci si cautelava dalla concorrenza, si poteva sempre dimostrare la “priorità” e si aveva il tempo di cercare con comodo ulteriori prove a sostegno.
Nell’agosto del 1610, Galileo inviò un messaggio segreto all’ambasciatore toscano a Praga, Giuliano de Medici, perché lo consegnasse a Keplero. Il testo, un’incomprensibile sequenza di 37 lettere, anagramma della frase che annunciava la sua ultima scoperta astronomica, era il seguente:

SMAISMRMILMEPOETALEUMIBUNENUGTTAURIAS

Una stringa neppure scritta in latino, che secondo le intenzioni di Galileo doveva essere ricostruita nella frase: ALTISSIMUM PLANETAM TERGEMINUM OBSERVAVI, ovvero: “Ho osservato il pianeta più alto triplicato”: messaggio annunciante al mondo che il pianeta “più alto” (più lontano) allora conosciuto (Saturno) si mostrava al telescopio con qualcosa di strano ai bordi (le due anse degli anelli). Galileo lo aveva visto “triplicato” perché il suo cannocchiale non era abbastanza potente da risolvere l’immagine degli anelli da quella del pianeta, con il risultato che talvolta Saturno gli appariva come fosse fatto di tre sfere parzialmente sovrapposte
L’astronomo tedesco non si perse d’animo, e da esperto enigmista – prova e riprova – aveva presto ricondotto la stringa a questo verso latino:

SALVE, UMBISTINEUM GEMINATUM MARTIA PROLES!

che si può grosso modo tradurre con “Salve, furiosi gemelli, prole di Marte”.
Sorpresa! Galileo comunicava una notizia, e Keplero ne ricavava un’altra; anche più reale di quella del pisano, se vogliamo (infatti, Marte possiede davvero due satelliti, mentre il Saturno “tergenimum” di Galileo era solo un’approssimazione sulla strada della verità).
Insomma, Keplero era giunto alla conclusione che Galileo avesse scoperto un paio di satelliti di Marte. Cosa che noi sappiamo essere del tutto impossibile per i telescopi dell’epoca (non per nulla furono trovati solo nel 1877).
Si trattò di un caso o di una premonizione? Sicuramente un caso, penseranno i giustamente razionali lettori di questa rivista. Ma…
C’è un “ma”, perché qualche mese dopo, nel dicembre del 1610, Keplero si vide arrivare un nuovo messaggio di Galileo, così concepito: HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUR OY
Il quale, nelle intenzioni del fisico italiano doveva partecipare al mondo scientifico che CYNTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM (La madre dell’amore emula le forme di Cynthia). Ovvero, in termini astronomici, che Venere (la madre dell’amore) mostra delle fasi simili a quelle della Luna (Cynthia per i latini).
L’astronomo tedesco si rimette subito al lavoro (non vi sembra di vederlo, accanto al fuoco di un camino, nel gelido inverno di Praga mentre si agita e smania sul foglio ricoperto di frasi?), e dopo non si sa quanto tempo, se ne esce con questo risultato:

MACULA RUFA IN IOVE EST GYRATUR MATHEM ECC.

ovvero: “C’è su Giove una Macchia Rossa che gira in modo matematico, ecc.”

Cerchiamo di capirci bene: una Macchia rossa su Giove, nel 1610! Inutile ricordare che questa caratteristica gioviana fu osservata (da Giovanni Domenico Cassini, o forse anche dall’inglese Robert Hooke) soltanto a partire dal 1665…
A questo punto i “casi” di premonizione diventano due. Un po’ troppi… e l’ipotesi di un Keplero provvisto di capacità visionarie (aveva o no una madre “strega”?) non fatica a ritagliarsi uno spazio sempre più grande, perfino nelle nostre menti matematiche e assolutamente refrattarie a qualsiasi spiegazione di natura irrazionale. Quante probabilità ci sono, infatti, che da due sequenze di lettere si possa estrarne, tra tutte le combinazioni possibili, due frasi che descrivono in modo pressoché perfetto delle realtà astronomiche del tutto sconosciute al tempo?

Comunque rassicuratevi, questa dotta trattazione non ha certo lo scopo di minare la vostra fiducia nella visione razionale delle cose (niente è come sembra, come vedremo nel prossimo numero), ma soltanto quello di introdurre con un minimo di “atmosfera” la presentazione del “problema del mese”.
Immaginate quindi che un amico (o concorrente) astronomo, vi recapiti (non tramite l’ambasciatore, ma più probabilmente via email) un messaggio di questo tenore:

PIU’ PESO UNENDO TRE STELLE

Ebbene, anagrammando opportunamente, riuscireste a scoprire la scoperta scientifica celata in questa apparente ovvietà?

La cometa Schwassmann-Wachmann-3 alla minima distanza dalla Terra!

0
La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
Frammenti C, B, G della cometa
Tempo di lettura: 8 minuti

Aggiornamento 11/5/2006

La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.

La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
Clicca sulla mappa qui a sinistra per ingrandire.

Ci siamo, lo spettacolo annunciato già da parecchi mesi in questa rubrica sta per arrivare alla stretta finale: la cometa 73P/Schwassmann-Wachmann è ormai prossima al passaggio al perielio del prossimo 6 giugno, ma prima ancora, a metà maggio, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, arrivando a soli 12 milioni di chilometri (0,0735 UA).

Questo significa che potremo assistere molto da vicino a quanto sta già accadendo da qualche settimana. Come è noto, infatti, la cometa si presenta frammentata in più parti, e dopo le componenti C, B e G, rinvenute rispettivamente il 22 ottobre 2005, il 6 gennaio 2006 e il 20 febbraio 2006, le scoperte sono aumentate a tal punto che mentre scriviamo si contano ormai una ventina di frammenti. Insomma, sta avvenendo qualcosa di molto simile a quanto accadde 12 anni fa alla Shoemaker-Levy 9, che finì la sua corsa impattando su Giove con un “treno” di 21 piccole comete.
Il bello è che ognuno di questi frammenti segue una propria evoluzione fisica e fotometrica, disgregandosi in parti ancora più piccole o accendendosi in improvvisi outburst, come la componente B, ad esempio, che dopo essere aumentata in poche ore di 3 magnitudini agli inizi di aprile ha dato l’impressione di essersi vaporizzato, ma che poi in immagini del 14 è tornato a mostrare il falso nucleo. Al momento, il frammento C sembra sia l’unico in grado di arrivare integro al perielio, mostrandosi (anche ad occhio nudo) con una luminosità che potrebbe raggiungere la mag. 3-4. La situazione è però in continua evoluzione e le sorprese non mancheranno sicuramente.

ATTENZIONE!
Tra il 7 e 8 maggio la componente principale passerà ad un paio di primi d’arco dalla nebulosa planetaria M57 (e forse proprio “sopra” la vicina galassia NGC 1296), raggiungendola la mattina dell’8!
Una grande occasione per realizzare riprese spettacolari!

Tra l’11 ed il 12 la componente principale passerà circa 4 gradi a sud dal Velo del Cigno, e nei giorni a seguire, come una squadra di aerei, le 3 componenti principali attraverseranno la parte occidentale della costellazione del Pegaso.
Si tenga presente che da metà mese in poi diminuirà sempre più l’elongazione dal Sole, per cui le osservazioni si dovranno condurre la seconda parte della notte (la cometa sorgerà dopo la mezzanotte, ma bisognerà attendere un po’ prima di averla abbastanza alta sull’orizzonte). Gli astrofotografi dovranno poi tener conto del veloce moto proprio apparente dei tre frammenti principali nel periodo a cavallo del massimo avvicinamento alla Terra.

Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57

Dalle Stelle alle Stalle

0
Mucca
Tempo di lettura: 8 minuti


MuccaNon fidatevi dei luoghi comuni.
Perché i luoghi comuni non arricchiscono mai la mente, e sono invece perfetti per impoverire la fantasia. Ad esempio, tornate con la mente al principale evento astronomico di questa primavera, e riguardate la copertina del numero di Aprile della vostra rivista preferita: avete già la chiave di lettura che chiarisce perché proprio quella sia la copertina più corretta? Credete davvero che siano solo le tende, il deserto egiziano, i filtri sui telescopi a giustificare la foto? Fosse così, allora forse credete ancora che i matematici siano davvero persone refrattarie alle emozioni, persi eternamente in diagrammi e formule. Ancora luoghi comuni insomma, perennemente in agguato… Non fatevi ingannare: o lasciate almeno che siano dei matematici dilettanti a spiegarvi l’arcano della copertina di Aprile. Passando, naturalmente, per una leggenda malese.

Sole e Luna sono entrambe donne; anzi, sono madri. Le Stelle sono i figli di Luna, ma un tempo anche Sole ne aveva altrettanti. Ma troppa luce, troppo splendore rendevano la vista del Cielo impossibile agli uomini, che certo sarebbero morti per il troppo fulgore e la sovrumana bellezza. Cosi, tristemente, Sole e Luna convennero che ognuna avrebbe mangiato i propri figli. Ma mentre Sole divorò davvero la propria progenie, Luna nascose invece i suoi piccoli. Quando poi Luna li lasciò finalmente uscire dal nascondiglio, Sole si infuriò a morte; prese a inseguire Luna per distruggerla, e questa ricorsa dura ancora oggi. Talvolta Sole sembra arrivare abbastanza vicino a Luna da riuscire a morderla, e talvolta è invece Luna che morde Sole, per difesa. Ma è da quel tempo che Luna ancora nasconde i propri figli al Sole per tutta la durata del giorno, e li lascia uscire solo di notte, quando il nemico è lontano.

E diventa allora tutto chiaro: sono una madre e una figlia curiose e preoccupate quelle che guardano il sole dalla copertina di Aprile, perché le antiche leggende asiatiche possono anche essere ben interpretate da europee in terra africana; e soprattutto perché una rivista scientifica come si deve rifuggire le falsità e la superstizione, ma rispetta profondamente le leggende, fantasia creativa dei popoli.

Guardatevi dai luoghi comuni. I matematici e gli astronomi amano le leggende, almeno tanto quanto odiano le serie divergenti e le nuvole maleducate che rendono all’ultimo minuto del tutto inutili i filtri solari ritagliati a misura di binocolo, o anche solo a misura d’occhiale (è quanto è successo a noi tre). Non inveite contro la sfortuna, quando la tanto attesa notte d’osservazione viene devastata da un seeing schifoso. E non prendetevela neppure con Murphy e la sua legge: a ben vedere, Murphy era un ingegnere aerospaziale collaudatore di aeroplani, con un sacrosanto diritto di cittadinanza nel mondo scientifico: e se anche se la sua legge sta ormai dilatandosi in un significato drammaticamente prossimo a quello della scaramanzia, resta il fatto che il suo nobile intento era quello di garantire qualità e limitare al massimo il numero di incidenti ai piloti. E se davvero non siete in grado di distinguere una leggenda da una volgare bufala, allora cominciate a preoccuparvi. In fondo non è difficile: provate a chiedere a qualche astrologo quale sia la fase della Luna in un giorno d’eclissi, e probabilmente vi risponderà che deve consultare le sue carte. Chiedetelo ad un astronomo o a un astrofilo, e riderà della divertente battuta. Leggenda per leggenda, ci siamo ricordati anche quell’antica storia atzeca che raccontava come il disco solare, durante l’eclisse, venisse divorato da un mostro celeste. L’evento richiedeva un buon numero di sacrifici umani per far sì che l’astro tornasse pienamente a risplendere, e l’idea ha indotto in uno di noi – impedito all’osservazione dell’eclissi da improvvido meeting – la voglia di tornare a quelle antiche abitudini pur di sospendere la riunione e godersi l’eclissi parziale. In ogni caso, il fatto che nelle antiche leggende il Sole fosse spesso ritenuto un disco e non una sfera ci ha fatto venire in mente una domanda che ci piace sottoporvi. Supponiamo di essere Allevatori di Mostri Divoratori di Stelle, e di avere a disposizione il disco del Sole per nutrire per due giorni il nostro Mostro Spaziale preferito. Sappiamo bene che i lettori di Coelum non hanno alcun problema ad immaginarsi un famelico Divoratore di Stelle; forse però un Sole piatto potrebbe rappresentare un problema più serio per delle menti astrofile; se così fosse, siete autorizzati ad immaginarvelo come un grosso tappeto giallo di spessore inesistente (anche se a questo punto diventa davvero curioso il fatto che il nostro Mostro se lo voglia mangiare). Il nostro problema sta tutto nel fatto che quel disco deve durare due giorni, e non possiamo lasciare che il Mostro ne mangi liberamente: ne approfitterebbe per spolverarselo tutto in pochi minuti. Possiamo allora legare il nostro Mostro al bordo del disco solare con una corda di lunghezza opportuna, tale che possa mangiare solo metà della superficie del disco; l’indomani lo lasceremo libero di mangiarsi il resto.
Ora, sorvoliamo sui problemi più strettamente pratici tipo “Ma dove legate la corda?” o anche “Che diavolo significano le parole “domani” e “due giorni”, se vi pappate il Sole come fosse un’omelette?”; lo sapete, no, , che noi siamo solo dei teorici… Quello che ci interessa davvero sapere è: quanto deve essere lunga, la corda per fare in modo che il nostro Mostro mangi giusto metà del Sole, il primo giorno?

[E’ ora di finirla con queste metafore fiorite! E’ sufficiente immaginarsi una mucca legata con una corda in un punto di una circonferenza che delimita un bel prato di trifoglio. Quanto dovrà essere lunga la corda per fare in modo che la mucca mangi il primo giorno esattamente metà della superficie del prato? Ma quali Eclissi, ma quali “mostri divoratori”…Tzé! N.d.R.]

La Malesia e il Pianeta Tschai

0
Tempo di lettura: 4 minuti

Finalmente, qualche anima buona ha deciso di renderlo disponibile.
Ci riferiamo alla versione elettronica dei romanzi di Salgàri (con l’accento sulla seconda “a”), gioia della nostra infanzia e non solo; anche se non ancora tutti, buona parte sono ora scaricabili in formato elettronico su http://www.emiliosalgari.it/testi/testionline.htm
Le ambientazioni esotiche di questi romanzi sono stati in gioventù il primo approccio ad un qualcosa di vagamente simile alla fantascienza, con ampie escursioni nell’esobiologia (ci vuole un po’ di tempo, per rendersi conto che la “bougainvillea” è quel rampicante che dà spettacolo nel giardino del nostro vicino).

Non solo, ma con il suo vago sentore di letteratura (quasi) colta, ci permetteva di leggerli senza troppi mugugni da parte dei nostri genitori. Quello che ci ha sempre colpito, in Salgari, è la sua capacità di descrivere luoghi in cui non era mai stato, il che, ne converrete, lo mette sullo stesso piano di chi scrive le “press release” della NASA parlando di Marte e Titano. Con il solo ausilio di una buona documentazione, senza mai allontanarsi dall’Italia, è infatti riuscito a descrivere luoghi che sembravano non solo all’altro capo della Terra, ma talmente alieni – appunto – da poter essere situati su un altro pianeta.
Prendi la Malesia, e trasformala nel pianeta Tschai, il risultato cambia di pochissimo. Oppure prendi alcuni titoli dei suoi romanzi, come ad esempio, “Alla conquista di un impero” e soprattutto “La caduta di un impero”, e poi dimmi se non ti ricordano la Trilogia di Asimov e il suo “Crollo della galassia centrale”. Ma senza lanciarsi in paragoni azzardati, c’è comunque da dire una cosa misconosciuta da tanti, e cioè che lo scrittore veronese sfidò le visioni futuristiche di Verne con racconti che in parecchi punti affrontano temi più propriamente legati all’astronomia, come “Le meraviglie del duemila”, “Alla conquista della Luna” e “La Stella filante”. Dove si descrivono motori navali a propulsione elettrica, macchine volanti mosse da motori ad aria liquida… Il tutto condito però con una crepuscolare venatura pessimistica nei confronti della scienza e della tecnica: nella “Conquista della Luna” il nostro satellite non viene raggiunto, e la maestosa aeronave precipita dopo un’avaria.
Se di Salgari parliamo in questa sede, deputata alla proposta di percorsi logico-matematici, è perché rileggendo qui e là abbiamo avuto un improvviso corto circuito mentale, associando l’avventura salgariana, intesa come una sorta di mappa virtuale di luoghi e fatti totalmente alieni (anche all’autore), all’uso narrativo di vere e proprie mappe tipiche di certa letteratura da “caccia al tesoro”. E da qui la constatazione di come nella fantascienza vera e propria questo elemento manchi quasi del tutto.
Perché è così difficile trovare racconti di esplorazione planetaria e/o galattica in cui compaiano delle mappe?
In realtà abbiamo sviluppato alcune ipotesi, non sappiamo quanto serie: il fatto che l’universo sia basato su un numero di dimensioni ancora tutto da stabilire è al momento la più quotata, oppure
si potrebbe argomentare che la mappa è uno strumento ausiliario dell’avventura in sé, e non rappresenta (se non per eventuali problemi di decifrazione) il centro dell’azione.
Comunque sia, alla fine siamo riusciti a trovare un esempio in cui la mappa è proprio il problema principale; o meglio, lo è il riuscire a capire dove porta, questa mappa. Ve lo proponiamo, in forma salgariana, e immaginate quindi che sulla pergamena (o nell’ologramma) compaiano le seguenti indicazioni:

“Parti da [illeggibile] e cammina
verso il Promontorio del Naufrago
contando i tuoi passi. Giunto al Promontorio
del Naufrago, gira a sinistra
e cammina lo stesso numero di passi.
Ora pianta un segnale. Ora cammina
dalla Quercia dell’Impiccato verso la
Tomba dell’Olonese, contando i tuoi
passi. Giunto alla Tomba dell’Olonese,
gira a destra e cammina lo stesso numero di passi.
Ora pianta un segnale.
Troverai il tesoro a metà strada tra i
due segnali”.

Ora, ci sono un paio di piccoli guai: la parte illeggibile non riusciamo a capire se è la Quercia dell’Impiccato o la Tomba dell’Olonese, anche se siamo sicuri che sia una delle due; non solo ma, con il passare degli anni, la Quercia dell’Impiccato è ormai assolutamente indistinguibile dalle altre, e in questi anni la sunnominata deve aver messo in atto un periodo di entusiastica riproduzione: siamo in un bosco di querce!
Quello che vi chiediamo è: Dov’è il tesoro?
Anche se sembra strano, la domanda qui sopra rappresenta un “aiutino” per rispondere ad un’altra domanda: Cos’è l’“Illeggibile”?
Issate la bandiera corsara (o quella dell’impero galattico), per mille spingarde!

L’osservatorio “Notte Stellata”

0
Nebulosa Trifida
Nebulosa Trifida
Tempo di lettura: 8 minuti

Dopo circa un anno dal suo arrivo ho potuto provare abbastanza a fondo, quello che credo sia il sogno di ogni appassionato della volta celeste, un 60 cm in configurazione equatoriale. Uno strumento di queste dimensioni fino a circa 60 anni fa era considerato uno strumento di punta negli osservatori professionali. Per fortuna oggigiorno può essere alla portata di molte persone. Quello che manca però può essere il sito adatto.
Le dimensioni quasi ciclopiche di tali strumenti li rendono da postazione fissa.  Si ci sono dei dobson trasportabili di questi diametri, però un tale strumento va supportato con una robusta montatura, altrimenti non lo si può spingere al limite. I siti in Italia dotati di una buona volta stellata sono ormai pochi, e gli astrofili così come ormai da anni fanno gli astronomi tendono a spostarsi verso cieli bui in altri continenti. Emblematici gli osservatori tedeschi nati in Namibia, o anche quelli nel continente americano comandati anche in remoto. Per fortuna da anni dispongo di una piattaforma in Aspromonte a pochi chilometri da Reggio Calabria a 1200 m di quota, dove il cielo è abbastanza buio, e il numero di notti serene all’anno è molto elevato, in estate supera il 90%. Inoltre il clima è molto mite in inverno di notte non si scende mai sotto -5°. La presenza del mare su 3 lati dell’Aspromonte garantisce inoltre una stabilità termica molto elevata che favorisce un seeing molto buono. La dimora adeguata per un grosso strumento era stata trovata, non restava che scegliere la configurazione ottica e la montatura. Anni di esperienza astrofotografica mi hanno fatto optare per la configurazione Newton, molti astrofotografi usano la configurazione Ritchey-Chretien ma a mio avviso ha un’ostruzione secondaria molto forte e ciò ne pregiudica sia il contrasto fotografico che l’uso visuale. La montatura equatoriale a forcella inoltre, anche se più costosa, è molto più funzionale e fornisce un’ottima piattaforma per l’uso di strumenti in parallelo. Ho scelto di avere un rapporto focale molto spinto, f 3,6 questo per diverse ragioni, una prima fotografica, per aver un campo molto esteso e tempi di posa veloce, ottimi per riprese cometarie o di nebulose, poi per un uso pratico, la lunghezza del tubo ottico sarebbe stato simile a un classico 40 cm, e nel visuale sarebbe stato abbastanza agevole raggiungere l’oculare. Il telescopio puntato allo zenith raggiunge solo i 2,5 m di altezza.
Fissati i parametri dello strumento non restava che pensare alla sua casa. La soluzione più bella e romantica, che però in costi eguagliava quello del telescopio, era la cupola; ma per un uso pubblico è da sconsigliare. Uno strumento del genere a alta risoluzione risente fortemente della turbolenza prodotta dal calore delle persone, con conseguente effetto camino nella piccola apertura della cupola. La soluzione migliore, ma anche più economica risultò essere il tetto scorrevole, con soli 4.000 euro e olio di gomito ho attrezzato una struttura di 4,5 X 6 metri, un decimo circa del costo di una cupola di 5 metri, ma con un ulteriore vantaggio, la possibilità per i visitatori di ammirare interamente la volta stellata. E posso garantire che molti neofiti sono rimasti affascinati da questa soluzione, un tetto di stelle è veramente accattivante, una visitatrice si è persino sdraiata per terra per ammirarlo al meglio. Poi durante il periodo delle stelle cadenti, è un piacere sentirle contare mentre si osserva al telescopio. Il pavimento naturalmente è in materiale gommoso per attutire la caduta dei preziosi accessori ottici, e effettivamente fino al momento ha funzionato!

Le mie aspettative su tale strumento erano grandi. Sul piano osservativo mi aspettavo di riuscire a cogliere i colori sulle nebulose più brillanti e risolvere le strutture a spirale delle galassie.

Nebulosa Trifida
Nebulosa Trifida

A dire il vero la prima luce è stata un po’ deludente, Giove basso sull’orizzonte lasciava intravedere poco o niente, la Nebulosa Trifida era si evidente in estensione come in foto, ma i colori erano elusivi. Devo però ammettere che ho osservato frettolosamente e senza un adeguato adattamento al buio, qualche mese dopo difatti, il mio amico Michele mi ha fatto notare che sulla parte bassa a sud di M 20 erano visibili, per contrasto, dei delicati colori: sì, con facilità si poteva notare il viola e il rosato di questa parte della nebulosa. Lo stesso Giove osservato altre volte, in 3 occasioni nonostante fosse a soli 25° dall’orizzonte ha fornito una ricchezza di dettagli impressionante. Le bande più chiare erano percorsi da festoni sottilissimi che non avevo mai notato prima se non in foto, gli stessi satelliti medicei venivano risolti in piccoli dischetti. La correzione del primario è attorno a Lambda/10, e quando il seeing lo permette si notano tutti i decimi di correzione.
L’immagine di Saturno a una prima occhiata sembra simile a quella dei migliori telescopi apocromatici da 15 cm, ma poi si capisce che i colori sono molto più vividi e gli stessi anelli sono distinguibili per la loro differenza cromatica, che appare molto evidente.
Osservando gli oggetti nebulari con tale strumento anche se la loro colorazione è quasi assente, appaiono estesi e ricchi in dettaglio come nelle foto riprese da strumenti dell’ordine dei 20cm di diametro. In occasione dell’osservazione di M 42 il visuale supera la fotografia, infatti il maggiore range dinamico dell’occhio umano fornisce una visione della zona centrale del Trapezio mozzafiato. Le 4 stelle del trapezio, sembrano situarsi all’interno di una caverna rischiarata dalla loro straordinaria luce. Qui i chiaroscuri sono forti e i colori vanno dal grigio al verde al rosa. Usando un oculare a bassissimo ingrandimento, tutta l’intera spada di Orione si mostra in tutto il suo splendore, usando un Plossl da 56 mm ho una pupilla d’uscita di circa 15 mm! Ma vedere tutte le nebulose così come in foto è davvero incredibile. Ma questo strumento è soprattutto galattico ed è qui che si nota maggiormente il salto con un 40 cm. La prima della serie NGC 891 non lascia dubbi, è netta come in foto. Poi in inverno la rivelazione: M51 la galassia vortice, completamente risolta in tutta la sua bellezza. La spirale è ovvia e sembra quasi pulsare di vita, è davvero una visione impagabile.

Una cosa che non mi aspettavo in tale strumento è la sua potenza ottica, abituato con un Meade da 35 cm credevo che l’ingrandimento utile fosse, si legato allo strumento, ma soprattutto al seeing, e ritenevo che l’ingrandimento massimo idoneo fosse il 200X. Il 60 invece si muove agevolmente tra le anse delle planetarie o dei globulari a 400X! Sembrano i 70-80 X di uno strumento di 20cm. E’ davvero la lavorazione dell’ottica a fare la differenza.

Velo del Cigno
Velo del Cigno

Un altro oggetto ricco di colori può essere il Velo del Cigno, (visibile agevolmente anche senza filtro interferenziale), qui molti appassionati dicono già di percepire il giallo, il verde o il rosa con un 40 cm. Effettivamente si nota una differenza cromatica ma è difficile stabilire l’esatto colore, una signora mi ha fatto notare che ha un bel rosato; ma mi riservo di abbuffarmi di mirtilli (si sa ottimi per aumentare l’acuità visiva notturna) per poter osservare al meglio tale sfumatura. Comunque a prescindere dalla sua elusiva colorazione la nebulosa Velo rivaleggia visualmente con le migliori foto per ricchezza e finezza dei dettagli.

Helix
Helix

Sulle planetarie in genere tale strumento è eccezionale, facili le nane al centro di M 57, di M27, della Helix, qui addirittura è visibile l’arco esterno all’ ”elica”. Inizialmente credevo fosse un riflesso dell’oculare, ma poi spostando il tele, si notava che era una struttura del fondo cielo. Su M27 la visione è da 3D le orecchiette sono evidentissime così come la stellina centrale. Un’altra piacevole sorpresa è la Eskimo, risolta nei suoi 3 differenti gradi di luminosità o gusci di espansione (naso, faccia, cappello) la cosa inusuale è osservare i 3 distinti salti di brillantezza poiché in generale le nebulose possiedono un’omogenea distribuzione di luminosità.
Però a dire il vero non mi sono mai messo a spingere l’osservazione visuale al massimo, ho sfruttato pochissimo la visione distolta e ho lasciato adattare al buio il mio occhio solo per pochi minuti. Il 60 cm è comandato in remoto tramite Pc e lo schermo LCD del computer anche se messo alla minima luminosità incide negativamente sull’adattamento al buio. Come si sa dopo circa 15 minuti si ha la dilatazione massima della pupilla, dopo di che ci vogliono altri 15 minuti per far produrre all’occhio una speciale proteina che spinge i bastoncelli a guadagnare ulteriori 2 magnitudini in sensibilità.
Però il campo dove il telescopio mi ha lasciato senza parole è l’astrofotografia. Già dal singolo scatto digitale si nota l’incredibile risoluzione e contrasto dello strumento. Dove con strumenti della classe dei 20-30 cm prima erano visibili delle macchie o delle striature nere, ora sono risolte in nubi galattiche in 3 dimensioni. Lo stesso gas nebulare ha una plasticità incredibile. E poi i tempi di posa; allo zenith già con 4 minuti di posa si raggiunge il limite di saturazione del fondo cielo. Inoltre ho paragonato la puntiformità stellare delle mie astrofoto con le riprese effettuate dai migliori astrofotografi americani, anche se loro utilizzano una configurazione Ritchey-Chretien con una focale attorno ai 4000 mm, il mio Newton con soli 2200 mm di focale garantisce una puntiformità superiore a parità di campo inquadrato. Tale performance però richiede una guida automatica con CCD, infatti nonostante abbia provato a guidare in manuale a più di 300X risulta difficile ottenere stelle perfettamente puntiformi, l’eccellente qualità ottica non ammette errori. Per gli scatti utilizzo una Canon modificata accoppiata con uno spianatore di campo Televue. Però non oso immaginare cosa possa venir fuori con un CCD a largo campo dotato di filtri e ottica attiva e uno spianatore di campo più sofisticato. Le foto che fino adesso ho realizzato sono perciò solo un primo risultato, che lasciano intravedere le grandi potenzialità di questo 60 cm.
Una mia amica però mi ha detto che non è giusto che tenga tale strumento sia solo per me, è infatti conto di renderlo accessibile al pubblico in breve tempo. L’osservatorio è situato all’interno di un agriturismo dove si può alloggiare in confortevoli camere o gustare i prodotti aziendali. Credo che poche strutture in Italia possano permettere agli ospiti di dormire a soli 20 metri da un piccolo mostro di 60 cm sotto un cielo trapuntato di stelle. E se si è troppo stanchi dalla montagna si può fare sempre un tuffo nel mare cristallino di Reggio Calabria distante appena 20 km dall’osservatorio “Notte Stellata”.
Ho deciso di dare questo nome alla struttura, in ricordo del quadro di Van Gogh che tra le stelle del suo celeberrimo dipinto, ha riprodotto quello che Lord Ross per primo aveva osservato e disegnato grazie al suo nuovo telescopio di 180 cm: la struttura a spirale di M51, che come detto questo telescopio è in grado di rendere appieno.

russoMassimo Russo, nato nel 1971, sono un astrofotografo mi occupo di astronomia sin da bambino, ho pubblicato articoli astronomici nelle maggiori riviste italiane del settore, le mie foto sono state pubblicate anche su riviste internazionali e dalla BBC. Attualmente gestisco l’agriturismo “Notte Stellata” in Aspromonte e faccio parte della commissione tecnico scientifica del Planetario Pitagora di Reggio Calabria. Amo viaggiare per il mondo in cerca di eventi rari come eclissi, stelle cadenti, comete.

Questo è per te (forse)

0
Tempo di lettura: 13 minuti


Ci chiedevamo se gli interrogativi che tormentano la mente dell’astrofilo medio siano poi davvero gli stessi che abitano i dubbi delle persone normali. Non che si voglia insinuare con questo che gli osservatori di stelle tanto “normali” non siano; anzi… però, dopo aver frequentato per un po’ il Forum di questa sublime rivista, qualche inevitabile dubbio si affaccia alle nostre timide menti. Avete già provato una simile ebbrezza? No? Ah, dovreste, dovreste davvero… è tutto un susseguirsi di domande tecniche e ancor più tecniche risposte, con solo qualche rara ed isolata discussione (ma il termine esatto è “topic”) che non tratta delle gioie dell’osservazione.
E’ stato però proprio in una di queste discussioni che non trattavano né di montature equatoriali né di Barrow apocromatiche che ci siamo ritrovati a ripercorrer alcuni titoli e frasi celebri della fantascienza: anche perché sentenze quali “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, anche se si ritrova nel ciclo della Fondazione di asimoviana memoria, non sfigurerebbe neanche in un più austero testo di filosofia morale. E allora il gioco delle citazioni può facilmente prendere il via, in una sfida tutta giocata sul ricordare chi, dove, in quale libro e in quale situazione si narra la tal cosa o si dice la tal altra. E da gioco nasce gioco: se gli epigrammi filosofici vi sembrano troppo impegnativi, esiste sempre la possibilità di ripiegare su oggetti meno impegnativi ma certo non meno intriganti.
Allora, non ci vuole molto lasciar correre l’immaginazione: immaginate pure di avere quattro autorevoli rappresentanti di vetuste civiltà galattiche, che abbiano deciso di ritrovarsi per scambiarsi i rituali doni di fine anno (anno galattico standard, naturalmente).Immaginate che questi allegri rappresentanti delle diverse confederazioni abbiano portato ciascuno un regalo per gli altri tre, e che se li siano scambiati, aperti, e che poi si siano recati al pranzo ufficiale (innaffiato con abbondanti libagioni). Al ritorno, inutile dirlo, si sono accorti che non riuscivano minimamente a ricordare chi avesse regalato che cosa a chi.
Il bello è che hanno fisiologie decisamente diverse l’uno dall’altro per quanto riguarda la tolleranza all’alcool; infatti, reduci dai festeggiamenti, uno di loro ricorda tutto perfettamente (quindi tutte le sue affermazioni sono vere), un altro sbaglia un quarto delle affermazioni che fa (e quindi solo i tre quarti delle sue affermazioni sono corrette) e, mentre il terzo che si mantiene a malapena in piedi riesce ad affermare metà delle cose correttamente, il quarto è ormai completamente perso, non ne azzecca una neanche a pagarla.
Di seguito, il dialogo che si svolge tra questi preclari rappresentanti di quattro storiche civiltà.

    Aldebaran: “Sono sicuro che l’ Acqua di Jabra sia per Canopo.”
    Deneb: “La Lente Galattica è mia.”
    Betelgeuse: “Credo che la Lente Galattica sia per Aldebaran.”
    Deneb: “I Cristalli Sognanti e l’Enciclopedia Galattica sono per Aldebaran.”
    Betelgeuse: “No, i Cristalli Sognanti sono per Canopo.”
    Canopo: “E la Maschera del Cacciatore di Draghi è tua, vero?”
    Betelgeuse: “La Coperta Enciclopedica e l’Ansible sono miei.”
    Canopo: “E anche l’Enciclopedia Galattica.”
    Betelgeuse: “Io ho ricevuto l’Olio di Trifide.”
    Canopo: “La Lente Galattica arriva da me.”
    Aldebaran: “Credo l’Enciclopedia Galattica sia per me.”
    Deneb: “Betelgeuse, lo Scudo di Dilithium è tuo.”
    Betelgeuse: “Io ho ricevuto l’Amuleto di Yendor da Aldebaran.”
    Canopo: “Io sono quello che ha regalato l’ Enciclopedia Galattica.”
    Aldebaran: “l’Olio di Trifide arriva da Deneb”
    Deneb: “L’Ipercubo di Rubik è per Aldebaran.”
    Aldebaran: “Io ho ricevuto la Coperta Enciclopedica.”
    Deneb: “E la Maschera del Cacciatore di Draghi è per Canopo.”
    Aldebaran: “La Coperta Enciclopedica e la Maschera del Cacciatore di Draghi sono per Deneb.”
    Canopo: “La Coperta Enciclopedica è da parte mia.”
    Betelgeuse: “Io ho regalato la Lente Galattica, vero?.”
    Canopo: “Io ho regalato i Cristalli Sognanti.”
    Aldebaran: “Credo che lo Scudo di Dilithium fosse un regalo a Betelgeuse da Canopo.”
    Deneb: “L’Olio di Trifide è per Betelgeuse.”
    Canopo: “La Maschera del Cacciatore di Draghi è da parte di Aldebaran.”
    Deneb: “L’Ansible è per Canopo.”
    Betelgeuse: “Credo l’Ansible sia da parte di Aldebaran.”
    Betelgeuse: “Io ho regalato l’Ipercubo di Rubik.”
    Aldebaran: “I Cristalli Sognanti arrivano da Betelgeuse.”
    Deneb: “Io ho regalato l’Acqua di Jabra a Canopo.”
    Canopo: “…e in cambio io ti ho regalato la Spada Jedi.”
    Aldebaran: “Non credo la Spada Jedi sia un regalo da parte tua”

I dialoghi non sono il massimo della lucidità post-prandiale, ma vi assicuriamo che la situazione è pienamente ricostruibile. Come dimostrazione, ci accontenteremmo di sentirvi spiegare chi regala la Spada Jedi a chi. Ma non dimenticate la versione antologica (o meglio “antilogica”) è altrettanto carina: riuscite a ricordare in quali romanzi si trovano i vari regali citati nella storia?


Ci piacerebbe molto raccontarvi di come il quesito del numero scorso abbia generato un feroce imbarazzo per l’attribuzione del premio mensile, ma è quasi certo che rimarreste stupiti dalla cronaca: in realtà imbarazzo c’è stato, e molto anche, ma è stato causato non dal dilemma nello scegliere il vincitore, quanto nell’attribuzione del premio. Il fatto è che indubbiamente Paolo Schiavone ha ampiamente distanziato la concorrenza per capacità analitiche e per piacevolezza scrittoria, quindi non c’è dubbio sul fatto che sia lui a meritarsi la palma della vittoria; ma è anche vero che è già al suo secondo trionfo, e quindi il premio deve differenziarsi un po’…

Viaggio in EGITTO

0
Egitto
Tempo di lettura: 4 minuti

EgittoMappa Egitto

Programma

1° giorno, venerdì 24 marzo

ROMA / IL CAIRO
Ritrovo dei partecipanti all’aeroporto di Roma Fiumicino e partenza con volo di linea Egyptair per il IL CAIRO. All’arrivo, disbrigo delle formalità doganali e trasferimento con pullman privato in hotel. Pernottamento.

2° giorno, sabato 25 marzo
IL CAIRO
Trattamento di pensione completa in hotel. Giornata dedicata alla visita della citta: il MUSEO EGIZIO, la più grande e straordinaria raccolta di reperti ed opere d’arte dell’antico Egitto, il Cairo islamica, con sosta alla Cittadella E alla moschea di Mohammad Ali.

3° giorno, domenica 26 marzo
IL CAIRO / ALESSANDRIA (km 230 c.a.)
Prima colazione in hotel e pertenza per la visita delle Piramidi di Giza. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio trasferimento ad Alessandria. Sistemazione in hotel, cena e pernottamento.

4° giorno, lunedì 27 marzo
ALESSANDRIA
Trattamento di pensione completa in hotel. In giornata, visita della città, grande centro culturale dell’antichità, fondata da Alessandro il Grande nel 322 a.C. Si inizia dalla nuovissima biblioteca, erede di quella del periodo tolemaico, per proseguire con il Museo greco romano, le catacombe di Kom El Shuqafa, la moschea di Abu El Abbas, la cosiddetta “colonna di Pompeo”, in realtà edificata in onore dell’imperatore Diocleziano.

5° giorno, martedì 28 marzo
ALESSANDRIA / MERSA MATROUH (km 300 c.a.)
Prima colazionee partenza in direzione ovest, costeggiando le rive del Mediterraneo. Pranzo in ristorante e arrivo, nel pomeriggio, a Mersa Matruh, sistemazione in hotel, cena e pernottamento.

6° giorno, mercoledì 29 marzo
MERSA MATRUH / SOLLUM (ECLISSI DI SOLE) / ALESSANDRIA / IL CAIRO
All’alba trasferimento da Mersa Matruh a Sollum (Km 220 c.a.). Arrivo previsto a Sollum per le ore 08.00. Tempo a disposizione per la sistemazione della strumentazione per assistere alll’eclisse totale di sole (prevista per la tarda mattinata). Pranzo al sacco. Verso le ore 15.00, partenza per il lungo viaggio di rientro al Cairo (750 km c.a.). Cena in ristorante lungo il percorso e arrivo in tarda serata, sistemazione in hotel e pernottamento.

7° giorno, giovedì 30 marzo
CAIRO/ROMA FIUMICINO
In tempo utile, trasferimento all’aeroporto del Cairo. Disbrigo delle formalità doganali e partenza con volo di linea Egyptair per Roma Fiumicino. Fine dei servizi.

Quota di Partecipazione

Quota individuale di partecipazione (minimo 25 persone) € 1.180,00
Supplemento singola (su richiesta se disponibile) € 75,00
Visto di ingresso € 25,00
CONSIDERATA L’ECCEZIONALITÀ DELL’EVENTO, IL TERMINE MASSIMO PER LE PRENOTAZIONI È IL 27 OTTOBRE 2005

La Quota Comprende

• voli di linea Egyptair Roma Fiumicino/Il Cairo/Roma Fiumicino in classe economica
• franchigia bagaglio kg 20
• tasse aeroportuali
• tutti i trasferimenti indicati in programma a bordo di pullman, inclusi i costi del conducente, carburante, pedaggi e posteggi
• visite da programma con guida per tutta la durata del tour
• sistemazione in hotel 4 stelle al Cairo e Alessandria e 3 stelle a Mersa Matruh
• trattamento di pensione completa dal pernottamento del 1° giorno alla prima colazione dell’ultimo giorno
• assicurazione sanitaria, bagaglio e annullamento viaggio.

La Quota non Comprende

• bevande ai pasti
• escursioni facoltative
• mance, extra personali e tutto quanto non indicato alla voce “La quota comprende”

Documenti

Note

Passaporto individuale, con validità minima di 3 mesi, e visto consolare.
Pur trattandosi di servizi di linea, gli orari dei voli, possono subire modifiche e sono quindi soggetti a riconferma. Le visite potrebbero di conseguenza subire variazioni di ordine organizzativo, fermo restando il giorno 29/03/05 per la visione dell’evento astronomico. Attualmente il pernottamento del 6° giorno è a Mersa Matruh, stiamo verificando la possibilità di pernottare direttamente sul luogo dell’eclisse, il più vicino possibile, eventualmente in campo tendato. Considerata l’importanza dell’evento astronomico potranno verificarsi disagi e variazioni sui servizi.
Validità delle quotazioni: sono al momento in corso notevoli rincari del costo del carburante e delle tasse aeroportuali. La quota di partecipazione è stata calcolata in base al costo dei voli e dei servizi in vigore al 22/08/05 e al tasso di cambio valutario 1 € = 1,35 US$

Prenotazioni e Informazioni

Termine prenotazioni: 27 Ottobre 2005

Per informazioni e prenotazioni:
Centro Turistico Modenese di Robintur spa
Via Bacchini, 15- 41100 Modena
Tel. 059/2133701
E-mail: ctm.gruppi@robintur.it
Web: www.robintur.it

Per informazioni astronomiche:
Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
E-mail: columbia@global.it
Web: http://www.ferrara.com/columbia

ATMOS e l’Optical Design

0
aberrazione sferica longitudinale e trasversale
Un grafico mostra il comportamento dell’aberrazione sferica longitudinale ed uno di quella trasversale.
Tempo di lettura: 26 minuti

Agli inizi del XVII secolo vi fu una vivace disputa sulla paternità dell’invenzione di un singolare strumento capace di ‘avvicinare’ oggetti lontani grazie ad un’appropriata combinazione di semplici lenti. Ne furono protagonisti l’occhialaio Jan Lippershey di Middelbourg e James Metius di Alkmaar, entrambi autori di una specifica petizione diretta agli Stati Generali olandesi per assicurarsene il brevetto, e forse anche un terzo contendente, Zacharias Jansen. Al di là dei dubbi e delle contese, l’aspetto più rilevante è che nel 1609 Galileo Galilei, durante il suo soggiorno patavino, riuscì a ricostruirne uno, lo chiamò cannocchiale e lo rivolse verso il cielo, segnando in quel momento l’inizio della moderna Astronomia telescopica e di fatto una grande rivoluzione per la Scienza. In principio si trattava di strumenti dalle prestazioni modeste e per decenni le migliorie apportate o suggerite da Kepler, Descartes, Hevelius e Huygens potevano essere considerate piuttosto come il frutto di applicazioni empiriche. I lunghi rifrattori e i nuovi riflettori con specchi in leghe metalliche nati verso la fine di quel periodo e a cavallo del XVIII secolo presentavano limitazioni nell’ampiezza di campo utile e nella qualità delle immagini non legate solo alle procedure di fabbricazione degli obiettivi, ma soprattutto alla presenza di aberrazioni inerenti agli schemi ottici adottati, causate dal comportamento della luce al loro interno e non ancora perfettamente comprese dal punto di vista fisico. La correzione di questi difetti richiedeva un approccio analitico più rigoroso, che cominciò ad apparire nei lavori di ottica teorica di Isaac Newton (1666) e tese a perfezionarsi in quelli successivi di Dollond, il primo a costruire un obiettivo acromatico sulla base di calcoli geometrico-matematici. Altri importanti contributi vennero poi da Fraunhofer, Wollaston, Coddington, Hamilton e Gauss. Deposti i monumentali telescopi di William Herschel, bisognerà giungere al 1840 per avere con Petzval un primo esempio di applicazione generale dei metodi matematici al tema della progettazione di lenti, questa volta destinate ad una nuova straordinaria tecnica di fare immagini, la fotografia, seguito poco più tardi dalla pubblicazione della  teoria delle aberrazioni di Seidel, distinte in due cromatiche, l’aberrazione cromatica longitudinale e quella laterale, e in cinque monocromatiche di terzo ordine, l’aberrazione di sfericità, di coma, l’astigmatismo, la curvatura di campo e la distorsione. Il progressivo affinamento di queste metodiche portò ben presto all’affermazione della nuova disciplina scientifica dell’Optical Design, la quale mira a sviluppare, controllare e ottimizzare sistemi diottrici, catottrici o catadiottrici in grado di creare immagini del mondo reale grazie alle proprietà fisiche della luce, nonché di misurare quantitativamente o di analizzare qualitativamente la radiazione luminosa su un ampio range spettrale. Se per la parte di lavoro del progettista che consiste nel valutare le prestazioni dell’obiettivo a mano a mano che il progetto evolve la teoria delle aberrazioni di Seidel rappresentava di sicuro un valido ausilio, per altri versi si rendeva necessaria un’analisi molto più approfondita della struttura dell’immagine in formazione, utilizzando metodi basati sulla trigonometria e su specifiche leggi, come quella di Snell sulla rifrazione e la riflessione della luce. Ricordiamo che per la prima esiste un rapporto fra l’angolo formato da un raggio di luce con la normale della superficie ottica (ε) e quello del raggio rifratto (ε1) secondo la relazione:

sin e /sin ε1 = n1 / n

dove ( n ed n1) sono gli indici di rifrazione dei mezzi attraversati dalla luce, ad esempio un vetro ottico di una lente e l’aria. La seconda, invece, afferma che l’angolo di incidenza (i) di un raggio di luce su una superficie speculare è uguale a quello di riflessione (i1) in base alla relazione:

i = -i1

Anche il telescopio, come tutti i sistemi ottici, obbedisce a queste due leggi.

Sappiamo che esso è composto da lenti o specchi o entrambi le cui funzioni principali sono il potere risolutivo, cioè la capacità di separare particolari od oggetti tra loro angolarmente molto vicini, considerando i fenomeni connessi alla natura ondulatoria della luce, e quella di aumentare la quantità di luce raccolta che raggiunge il recettore (occhio, pellicola fotografica o sensore digitale). Nonostante la complessa natura della luce, a proposito della quale si parla di onde, particelle e pacchetti di fotoni, nel calcolo e nella progettazione dei sistemi basati su ottiche geometriche si fa riferimento a raggi o a fasci di raggi luminosi, ognuno dei quali è seguito lungo una direzione lineare quando penetra nel sistema ottico, finché non incontra un ostacolo o attraversa un mezzo con caratteristiche dispersive particolari (aria, vetro) e subisce gli effetti di fenomeni come la diffrazione, la rifrazione o l’interferenza. Insieme con i raggi nell’Optical Design si parla anche di fronti d’onda per indicare superfici curve, fisiche o geometriche, normali ai primi. Nel caso di una sorgente luminosa puntiforme e di un mezzo omogeneo che abbia un indice di rifrazione costante i raggi luminosi si possono rappresentare come linee diritte divergenti da quel punto, mentre i fronti d’onda hanno forma sferica con il centro di curvatura sull’oggetto. Un buon sistema ottico deve essere in grado di raccogliere raggi e fronti d’onda della sorgente-oggetto e reindirizzarli, nella maniera più fedele e inalterata possibile, verso i corrispondenti punti e centri di curvatura dell’immagine, ossia sul piano focale dell’obiettivo. La valutazione matematica e qualitativa di questo durante la fase di progettazione richiede il tracciamento di molti raggi geometrici reali o trigonometrici (ray-tracing), che attraversano il sistema ottico, partendo dalla sorgente luminosa e giungendo sul piano ove si forma l’immagine. Per ciascun raggio si applica la legge di Snell, via via che esso incontra le varie superfici con calcoli ripetuti per ogni raggio e per ogni superficie, con i risultatiottica raggiunta negli stadi iniziali del progetto. I termini “ primo e terzo ordine” fanno riferimento a certe proprietà delle funzioni trigonometriche, dal momento che le aberrazioni ottiche dipendono in misura rilevante dagli angoli dell’immagine, soprattutto dalle funzioni del seno e della tangente. Un pregio del metodo di Seidel è che il progettista può  trattare ogni singola aberrazione in luce monocromatica con un calcolo a sé stante, così che diventa facile individuare quale superficie aberrata all’interno dello schema ottico abbia dato il maggior contributo alla formazione dell’immagine non perfetta; 3) il calcolo o disegno del raggio meridionale, un esatto ray-tracing nel quale il percorso di ciascun raggio è calcolato attraverso gli elementi ottici, utilizzando le leggi della rifrazione e della riflessione. Il ray-tracing meridionale è ristretto al piano che passa dal centro degli elementi ottici dell’obiettivo, talvolta detto piano meridionale o tangenziale; 4) infine il tracciamento dei raggi d5113055  raccolti in apposite tabelle. Agli albori dell’Optical Design l’esecuzione di questi calcoli avveniva manualmente con grande dispendio di tempo e di risorse; in seguito si utilizzarono il sistema dei logaritmi e le calcolatrici meccaniche (1930), finché l’avvento del computer (1960) pose fine alle applicazioni manuali e non solo favorì la velocizzazione dei calcoli e delle operazioni geometriche, ma permise anche la creazione di nuovi algoritmi che consentivano di modificare liberamente i parametri dell’obiettivo allo scopo di migliorarne le prestazioni. In sostanza, partendo da una configurazione iniziale, con il computer divenne possibile ottimizzare l’obiettivo attraverso un processo iterativo facilmente controllabile, al termine del quale il progettista aveva la ragionevole sicurezza che la qualità dell’immagine raggiunta fosse la migliore che quell’obiettivo poteva fornire, tenuto conto della configurazione ottica di base, della focale, dell’apertura relativa, del campo di visione, delle lunghezze d’onda selezionate o dei valori di ostruzione scelti. Altra importante conseguenza fu la riqualificazione degli schemi ottici più tradizionali elaborati nei secoli precedenti, i quali potevano essere ricalcolati per ottenere prestazioni più esaltanti o per semplificare i processi di produzione o ancora per sperimentare le caratteristiche di nuovi tipi di vetro ottico naturale o sintetico o, infine, per sviluppare schemi ottici più complessi e innovativi con una maggiore riduzione delle aberrazioni, un miglioramento del potere di contrasto e della definizione grazie all’impiego di vetri con materiali dalle migliori proprietà dispersive e rifrattive o che apparissero più in sintonia con le qualità di imaging dei nuovi rivelatori a stato solido anche nelle regioni estreme dello spettro elettromagnetico.

In linea generale le fasi nelle quali più comunemente si articola l’Optical Design sono:

1) il calcolo parassiale o calcolo di primo ordine.
E’ un metodo applicato per le regioni vicine all’asse ottico entro piccolissime distanze e angoli fuori asse. Esso fornisce la posizione dei piani principali, la lunghezza focale del sistema, informazioni sui raggi di curvatura, gli spessori e le distanze degli elementi ottici, mentre non offre nessun dato relativo alle aberrazioni ottiche.
2) il calcolo di Seidel o di terzo ordine.
Permette al progettista di analizzare i tipi e considerare il peso delle aberrazioni eventualmente presenti, per compiere una rapida valutazione della qualit_liqui (skew ray-tracing), un metodo nel quale si determinano i percorsi di un grande numero di raggi che coprono l’intera pupilla di entrata dell’obiettivo al fine di produrre dei diagrammi a macchie e mostrare con estremo rigore il tipo di immagine finale che il sistema ottico potrà produrre.

Nel configurare un sistema ottico il progettista deve determinare alcuni requisiti fondamentali: ad esempio la natura e combinazione delle ottiche, il livello delle prestazioni da raggiungere, la destinazione d’uso finale, le caratteristiche meccaniche, le variabili che egli è in grado di controllare, la tipologia degli strumenti di registrazione e analisi dell’immagine ai quali l’obiettivo andrà applicato.
Ad una visione generale dovrebbe far seguire un esame più dettagliato:

  1. delle proprietà del sistema di primo ordine
    Esse includono il diametro della pupilla d’entrata (E.P.D.), la lunghezza focale (F), il rapporto focale (f), l’ingrandimento (i), il campo di visione (F.O.V.), lo spazio della cosidetta back focal lenght (B.F.L.), il range di lunghezze d’onda scelte per l’analisi del sistema ottico o per l’osservazione migliore.
  2. dei requisiti dell’imaging
    Questo aspetto riguarda il livello di dettaglio nell’oggetto che deve essere registrato. Le misure dirette sulla qualità dell’immagine comprendono le dimensioni geometriche delle macchie nei relativi diagrammi, l’errore geometrico di fronte d’onda, la risoluzione angolare limite, il trasferimento di contrasto ad una specifica frequenza spaziale calcolato attraverso la funzione di trasferimento della modulazione (M.T.F.), il rapporto Strehl, l ‘Encircled Energy Plot’ (E.E.P.). I requisiti di imaging determinano anche se il campo sarà piano o curvo e la quantità accettabile di distorsione per aberrazioni o diffrazione.
  3. di ulteriori considerazioni particolari.
    Tra le considerazioni speciali troviamo dettagli tecnici tipici di strumenti di analisi della radiazione elettromagnetica come gli spettrografi, i fotometri, i coronografi, gli interferometri, i telescopi a raggi X o per l’infrarosso.

Il progettista ottico può controllare solo alcune variabili del sistema dette gradi di libertà. Un grado di libertà indica l’abilità di fare una libera scelta rispetto ad un parametro ottico: ad esempio può essere utile variare il raggio di curvatura di una lente o la distanza fra due superfici, ricalcolare l’asfericità di una superficie o scegliere un tipo di vetro piuttosto di un altro per via delle differenti proprietà dispersive. Un’efficace correzione delle aberrazioni di immagine di un sistema ottico impone al progettista di disporre di tanti gradi di libertà quanto è il numero di aberrazioni da eliminare. Spesso è necessario contare il numero di variabili che uno strumento ottico consente di cambiare durante le fasi di ottimizzazione del progetto, delle quali occorre stimare quante siano indipendenti ed effettive nel controllare le proprietà e le aberrazioni ottiche. Per i sistemi formati da superfici sferiche centrate le sole variabili sono: le curvature/raggi delle superfici, lo spazio/spessore tra le superfici, i tipi di vetro distinti per indici di rifrazione e dispersione cromatica, la posizione del diaframma all’interno dello schema ottico. Sistemi meno convenzionali hanno altre variabili, che derivano dall’uso di superfici asferiche, inclinate e decentrate, o da prismi o reticoli di diffrazione. Come già accennato, sebbene le formule e i calcoli conducano a soluzioni molto vicine al progetto finale, di norma è necessario un processo conclusivo di ottimizzazione dei sistemi elaborati, ricorrendo a tecniche di ray tracing via via più precise, così da ridurre al massimo le aberrazioni residue assiali ed extrassiali.
Il procedimento si svolge con prove ed errori, tenendo conto di questi e cercando di eliminarli un po’ alla volta, attraverso l’introduzione di piccole variazioni nei parametri ottici: ad esempio modificando la combinazione correttore-secondario nei catadiottrici o cambiando il raggio di curvatura del secondario, nel caso dei riflettori.

In conclusione il progettista al termine del suo lavoro dovrebbe avvicinarsi il più possibile ai criteri indicati da Maxwell per l’immagine perfetta:

  1. nel caso di una sorgente luminosa puntiforme, tutti i raggi che attraversano il sistema ottico devono convergere in un’unica immagine puntiforme, cioè i punti devono essere riprodotti come punti;
  2. se la superficie dell’oggetto-sorgente è un piano perpendicolare all’asse ottico, anche le corrispondenti immagini devono giacere su un piano normale a quell’asse, cioè il sistema ottico deve avere un campo piano;
  3. linee diritte presenti sul piano dell’oggetto-sorgente devono essere riprodotte come linee diritte anche sul piano dell’immagine, cioè il sistema ottico deve essere privo di distorsioni o altre aberrazioni geometriche.

Se da un lato la gran parte delle case produttrici di strumenti ottici hanno sviluppato propri software di Optical Design con criteri direttamente legati alle fasi di creazione industriale dei loro obiettivi, a livello commerciale e ‘amatoriale’ evoluto, invece, i programmi più noti in cui è possibile usare ed approfondire molte delle funzioni prima sommariamente indicate sono OSLO, ZEMAX, MODAS, BEAM 4, TDESIGN, LENSDES e RAYTRACE, questi ultimi tre integranti l’ottimo testo “Telescope Optics” di H.Rutten e M.van Venrooij.

Da qualche anno troviamo accanto ad essi un altro straordinario software di Optical Design prodotto da Massimo Riccardi, ATMOS (Amateur Telescope Maker Optical designer and analysis Software), un programma nato con l’intento di ampliare le capacità offerte dalle funzioni presenti nel lavoro dei due ultimi autori citati, soprattutto con la possibilità di creare diagrammi a macchie per molte lunghezze d’onda contemporaneamente ed offrire all’utente una serie di strumenti di analisi e progettazione dei sistemi ottici completa, veloce, approfondita, flessibile, in grado di giungere a soluzioni tecniche innovative o di perfezionare quelle più tradizionali al fine di elaborare un obiettivo di alte prestazioni e garantire la migliore qualità delle immagini ottiche.

Compilato all’inizio in Qbasic, ATMOS fu in seguito sviluppato in ambiente Windows per poter disporre di una migliore veste grafica e di un’interfaccia utente più ‘amichevole’ grazie alla presenza di finestre, pulsanti e caselle utili all’immissione e alla visualizzazione dei vari dati. ATMOS, che consente di lavorare con sistemi ottici simmetrici per rotazione, assialmente centrati e fuori asse, contiene vari menu a tendine, dai quali si accede alle numerose operazioni di design e analisi delle principali configurazioni ottiche. Vediamole più in dettaglio.

Attraverso il menu (File) l’utente può scegliere tra la creazione di un nuovo progetto ottico, l’apertura di uno dei 36 già esistenti e il salvataggio di quello in corso. Nel primo caso viene visualizzata una tabella in cui andranno inseriti con esattezza alcuni dati preliminari di fondamentale importanza per la definizione teorica del sistema ottico, fra i quali il numero delle superfici (fino a 100, oltre al piano focale e ai cosidetti obscuration screens, ossia alle aree non illuminate presenti nel percorso dei raggi di luce prodotte da elementi ostruttivi), lo stop d’apertura, il semidiametro dell’obiettivo, il raggio di curvatura delle superfici (seguendo le indicazioni fornite nell’help circa la convenzione dei segni), lo spessore delle lenti misurato sull’asse centrale, il mezzo attraversato dalla luce (aria, vetro), il tipo di vetro ottico, scelto dai cataloghi Schott, (persino con riferimento ai nuovi “vetri ecologici” a basso contenuto di arsenico e piombo), Ohara, Hoya e Corning, l’indice di rifrazione, la figura della superficie (sferica, conica o di ordine superiore, come ad esempio può essere una lastra correttrice di Schmidt). E’ possibile selezionare fino a sei lunghezze d’onda operative (per le righe C, e, F del visibile, per la visione scotopica o per quella fotopica), il semidiametro del fascio luminoso in entrata, la distanza, finita o infinita, delle sorgenti, l’angolo di semicampo Alcuni di questi parametri possono essere inseriti anche utilizzando le funzioni di (Edit), come il numero delle superfici, le lunghezze d’onda o i valori lineari delle superfici non centrate e quelli angolari delle superfici inclinate. Una volta immesse queste informazioni numeriche, il programma esegue una serie di calcoli e fornisce i dati relativi alla B.F.L. (back focal lenght), alla lunghezza focale, all’altezza che il raggio principale raggiunge rispetto all’asse ottico sul piano focale e  al rapporto focale dell’obiettivo.

Nell’altro caso, invece, gli esempi presentati appaiono già completi e pronti per l’analisi ottica, che si effettua per mezzo delle funzioni contenute nel menu (Analysis).
Queste sono:

1) Detailed Spot Diagram (diagrammi a macchie dettagliati e policromatici con analisi della vignettatura)

Si tratta di particolari diagrammi nei quali, sulla base di complesse equazioni di ottica geometrica, si analizza un fascio di raggi luminosi monocromatici dentro un sistema ottico di lenti o specchi e si simulano le dimensioni, la forma e la distribuzione della luce proveniente da un oggetto puntiforme, come una stella, quando attraversa un obiettivo per giungere sul piano dell’immagine. Se si trascura la diffrazione, il diagramma costituisce una specie di mappa di tutti i punti di impatto dei fotoni sulla superficie dell’immagine, dando così una esatta visualizzazione della qualità di questa e delle eventuali irregolarità create dalle aberrazioni esistenti. Per i sistemi che formano immagini con luce policromatica o in cui sono impiegati vetri con differenti indici di rifrazione i raggi possono essere migliaia, in relazione alle lunghezze d’onda prescelte. ATMOS può tracciarne fino a 30000, 5000 per ognuno dei 6 colori considerati. L’analisi è condotta anche per i raggi provenienti con angoli fuori asse o a più lunghezze d’onda contemporaneamente, nel caso di lenti. Variando la posizione del piano focale  in avanti e indietro, è possibile esaminare l’effetto del fuocheggiamento sulla struttura del diagramma a macchie, al fine di fissare il cosidetto best focus, ossia la posizione in cui la messa a fuoco fornisce le immagini più puntiformi; la funzione consente anche di tener conto della percentuale di campo vignettato, cioè non del tutto illuminato, soprattutto ai bordi.

2) Multispot Diagram (through focus/field) (diagrammi multispot, in relazione al rapporto fuoco/campo)

Questi diagrammi a macchie sono ottenuti nello stesso tempo sull’asse ottico, sul 70% del campo di visione e sul 100% dello stesso, per diverse posizioni del piano focale, in modo da permettere al progettista di verificare le tolleranze di fuoco del sistema.

3) Matrix Spot Diagram (diagrammi a macchie di tipo matrix)

Sono diagrammi a macchie individuali per ciascuna lunghezza d’onda, visualizzate separatamente e poi comparate con le dimensioni dei corrispondenti dischi di Airy.

4) Total Field Spot Diagram (diagrammi a macchie a campo pieno)

In questo caso un grafico diviso in nove settori fornisce un quadro complessivo delle figure di diagrammi a macchie per angoli e distanze diverse dal centro asse, lungo le coordinate x-y.

5) R.M.S. spot size versus focus, field, wavelenght (dimensioni R.M.S. della macchia in relazione al fuoco, al campo di visione e alla lunghezza d’onda)

Si visualizza un grafico in cui è rappresentata sull’asse delle ordinate il raggio RMS (root mean square) della macchia confrontata con le dimensioni del disco di Airy e su quello delle ascisse la variazione positiva e negativa della B.F.L., o quella dell’angolo di campo o di diverse lunghezze d’onda.. La B.F.L. è la distanza lungo l’asse ottico dal vertice della superficie della lente posteriore o dello specchio primario al fuoco parassiale per un oggetto posto virtualmente all’infinito.

Si passa, quindi, all’esame  delle aberrazioni ottiche assiali ed extrassiali, la cui rilevanza è di assoluta preminenza sulla qualità dell’immagine finale fornita dall’obiettivo. Infatti, se si trascurano gli errori di fabbricazione o di assemblaggio, nonché gli effetti della diffrazione e della turbolenza atmosferica, sono proprio quei difetti che impediscono ad un sistema ottico di creare un’immagine perfetta, ossia un’immagine puntiforme di una sorgente luminosa puntiforme tanto sull’asse ottico, quanto a varie distanze dal medesimo.

6) Spherical Aberration + Coma  (O.S.C.) (Aberrazione sferica e coma)

aberrazione sferica longitudinale e trasversale
aberrazione sferica longitudinale e trasversale

Un grafico mostra il comportamento dell’aberrazione sferica longitudinale ed uno di quella trasversale. L’aberrazione di sfericità si ha quando raggi luminosi paralleli all’asse ottico che entrano a diverse altezze  nell’obiettivo vanno a fuoco su punti differenti lungo l’asse ottico. Quelli più vicini a quest’ultimo si focalizzano ad una distanza maggiore dall’obiettivo, nel cosidetto fuoco parassiale, quelli più lontani in un punto più vicino all’obiettivo, nel fuoco marginale. L’aberrazione sferica longitudinale corrisponde alla differenza tra il fuoco marginale e quello parassiale, quella trasversale alla distanza tra l’asse ottico e i raggi marginali, misurata secondo la normale all’asse ottico sul fuoco parassiale.
L’aberrazione di coma sorge quando i raggi fuori asse paralleli che attraversano la lente o si riflettono su uno specchio vicino ai bordi intersecano la superficie del piano immagine in punti diversi rispetto a quelli prossimi al centro dell’obiettivo, con il risultato di avere per un oggetto luminoso puntiforme un’immagine a forma di ventaglio o di coda di cometa. Per essere libero dal coma un sistema ottico deve soddisfare la condizione dei seni di Abbe, la quale richiede che in un siffatto sistema ogni raggio in uscita di un fascio incidente di raggi paralleli all’asse rispetti la regola:

h/sin U1 = C

dove (h) è l’altezza del raggio prima che entri nel sistema, (U1) l’angolo tra il raggio e l’asse ottico diretto verso il piano focale e (C) una costante, che può essere considerata come la lunghezza focale effettiva di ciascuna zona della pupilla d’entrata. Noto il valore di (C), un altro importante parametro può essere calcolato ai fini dell’identificazione e determinazione del coma, cioè l’O.S.C. (Offense against the Sine Condition), che sarà pari alla differenza frazionale tra il valore assiale di (C)  e quello di (C) all’altezza (h):

O.S.C. = C (h) / C(o) – 1.

Questa formula è valida in assenza di aberrazione sferica e per oggetti posti all’infinito.

ATMOS riproduce questi valori in un grafico, ponendoli in relazione all’altezza del raggio. Ogni scostamento dall’ordinata indicherà la presenza e l’entità dell’aberrazione comatica. I dati relativi sono anche raccolti in una tabella.

7) Field Curvature (Sagittal, Tangential, Average) (Curvatura di campo)

Tale aberrazione, in genere, potrebbe essere trattata insieme con l’astigmatismo, dal momento che un obiettivo affetto da questo presenta sempre  due superfici focali, una o entrambe curve. Per oggetti fuori asse i raggi tangenziali vanno a fuoco sulla superficie focale tangenziale, quelli sagittali sulla superficie sagittale. Pertanto la curvatura di campo e l’astigmatismo potrebbero essere descritti come curvatura di campo tangenziale e sagittale. Oppure essi potrebbero venire interpretati come variazioni della B.F.L. ad angoli di campo e distanze fuori asse. Tra le due superfici focali ne esiste una terza mediale, ove l’immagine di una sorgente puntiforme assume l’aspetto di un discoide noto come circolo di minima confusione. In presenza di curvatura di campo l’immagine si forma su una superficie quasi sferica con la concavità verso l’obiettivo. A seconda del campo che l’utente desidera utilizzare, ATMOS fornisce risultati grafici e tabulari con parametri come la distanza dall’asse, le dimensioni delle superfici tangenziali e sagittali, il raggio di curvatura medio di campo della superficie di miglior fuoco.

8 ) Distortion (Distorsione)

La distorsione è l’aberrazione che mostra quanto e come un oggetto posto su una superficie piana normale all’asse ottico è riprodotto su una superficie d’immagine piana anch’essa perpendicolare all’asse ottico. Se la superficie dell’oggetto appare, ad esempio,  come una griglia rettilinea piana e la relativa immagine è riprodotta nello stesso modo, allora l’obiettivo è ortoscopico cioè privo di distorsione. Ma se le linee fuori asse della griglia appaiono curvate, allora siamo in presenza di distorsione, che può essere a cuscinetto positiva o a barilotto negativa. Essa è causata da una variazione nella scala trasversale dell’immagine o dell’ingrandimento in funzione dell’angolo di campo fuori asse o della distanza. ATMOS visualizza un diagramma con l’andamento dei due tipi di distorsione, insieme con una griglia in cui è rappresentata graficamente l’entità di questa aberrazione.

9) Lateral Color (Aberrazione cromatica laterale) e Chromatic Focal Shift

Se la lunghezza focale effettiva di una lente varia con la lunghezza d’onda, allora anche le dimensioni dell’immagine varieranno con la lunghezza d’onda. A seconda del segno di questa aberrazione, l’immagine nel rosso può risultare più grande o più piccola di quella nel blu. Questo difetto, noto come aberrazione cromatica laterale o differenza cromatica d’ingrandimento, può essere corretto con un metodo molto simile a quello usato per l’aberrazione cromatica longitudinale, ossia accoppiando vetri con differenti indici di dispersione. Rappresentata in un diagramma a macchie policromatico, questa aberrazione si rivelerebbe con degli sfasamenti trasversali nelle macchie d’immagine a varie lunghezze d’onda. ATMOS mostra in un apposito quadro lo spostamento del piano focale e della B.F.L. in relazione alla variazione cromatica.

Sempre nel menu Analysis troviamo un’altra serie di strumenti per valutare in maniera ancora più approfondita la struttura dell’immagine via via che il progetto ottico tende a definirsi, con concetti come l’interferenza, la diffrazione, i colori, il dominio delle frequenze che la semplice ottica geometrica non è in grado di spiegare. In questi casi la luce all’interno del sistema ottico viene considerata anche nella sua natura di onde elettromagnetiche o di pacchetti di fotoni.

10) Ray fan plot

Non sempre le informazioni ricavabili dall’analisi degli spot diagram sono sufficienti per diagnosticare certi tipi di aberrazioni ottiche e le loro entità, soprattutto per quelle che interessano talune zone della pupilla d’entrata che i raggi luminosi attraversano prima di giungere a formare i vari punti della spot d’immagine. A tale scopo risultano molto utili i grafici delle curve di intercettazione dei fasci di raggi luminosi (ray fan plot). Un fascio di raggi è un insieme di raggi provenienti da una sorgente luminosa puntiforme tutti disposti su un piano, che, di norma, è fatto passare per il centro della pupilla d’entrata con il fascio che si estende da un lato della pupilla all’altro. Quando un dato raggio nel fascio passa nella lente diretto verso la superficie dell’immagine, esso attraversa la pupilla d’entrata in una zona con una specifica altezza rispetto all’asse ottico. Nel momento in cui intercetta la superficie d’immagine, esso, di solito, cade a piccola distanza (mai pari a zero) dal raggio principale ( che è quello che parte da un bordo estremo della sorgente, passa per il centro dell’obiettivo, interseca l’asse ottico e prosegue fino al bordo del campo d’immagine). Questa distanza trasversale dal raggio principale è l’errore di altezza, cioè l’aberrazione, del raggio iniziale corrispondente alla zona di altezza della pupilla d’entrata già vista. Il relativo diagramma presenta in forma grafica questi errori di altezza del raggio sulla superficie d’immagine come una funzione della corrispondente altezza nella pupilla d’entrata. Gli errori sono considerati per due specifici fasci di raggi nel piano tangenziale e in quello sagittale, con raggi che intersecano la pupilla d’entrata lungo gli assi y e x, rispettivamente.

11) O.P.D. (Optical Path Difference)

Uno strumento analitico molto usato nell’Optical Design per calcolare e presentare le aberrazioni presenti nelle immagini è l’O.P.D. (Optical Path Difference). In pratica più raggi a varie altezze vengono seguiti attraverso il sistema ottico fin sul piano focale. Quindi si calcola la lunghezza totale del percorso del raggio espressa in unità di lunghezza d’onda. Nel caso in cui i raggi attraversino elementi a rifrazione le lunghezze di trasferimento sono moltiplicate per l’indice di rifrazione del vetro. Se il sistema è otticamente perfetto, le lunghezze del percorso di tutti i raggi saranno esattamente uguali, la luce, cioè, arriverà in fase; se, invece, i raggi arriveranno non in fase, ciò sarà il segno della presenza di aberrazioni ottiche. Quando la variazione della lunghezza del percorso non supera ¼ della lunghezza d’onda della luce utilizzata, il sistema è considerato “limitato dalla diffrazione”. E questo è, di solito, il normale livello di qualità presente negli strumenti astronomici amatoriali. ATMOS tratta le O.P.D. nella forma di ray fan plot, rappresentando graficamente gli errori O.P.D. del fronte d’onda nella pupilla d’uscita come funzione delle altezze di zona nella pupilla d’entrata. L’O.P.D. può essere considerata anche come la distanza lineare lungo un raggio tra l’attuale fronte d’onda aberrato nella pupilla d’uscita e quello ideale privo di aberrazioni.

12) Wavefront (Fronte d’onda)

Secondo la teoria dell’elettromagnetismo una sorgente luminosa emette nello spazio un flusso continuo e non limitato di onde elettromagnetiche che si propagano alla velocità della luce. Per ogni istante temporale la luce di una data lunghezza d’onda emessa da una sorgente puntiforme è in fase. Pertanto su superfici con costante tempo di percorrenza della luce proveniente da una sorgente puntiforme tutte le onde sono in fase, ossia le onde monocromatiche da punto a punto su queste superfici sono spazialmente coerenti. Queste superfici di fase costante sono dette fronti d’onda; se la sorgente è immersa in un mezzo con indice di rifrazione costante, allora i fronti d’onda hanno forma curva sferica con il centro di curvatura sulla sorgente ed essi appaiono come superfici normali ai raggi luminosi. Un sistema ottico privo di aberrazioni produce un flusso di fronti d’onda sferici convergenti in ciascun punto dell’immagine che viene a formarsi sul piano focale. ATMOS considera il fronte d’onda a proposito della valutazione degli effetti dei corrispondenti errori O.P.D., fornendone una mappa con rappresentazione tridimensionale della superficie del fronte d’onda con possibilità di rotazione negli assi x,y,z. Queste irregolarità sono errori di distanza o di percorso misurati longitudinalmente lungo i raggi, intese come separazioni fra il reale fronte d’onda aberrato nella pupilla d’uscita e quello sferico esente da aberrazioni detto anche sfera di riferimento che ha il centro di curvatura sulla superficie di immagine e il vertice su quello della superficie della pupilla d’uscita. Le aberrazioni O.P.D. del fronte d’onda possono essere specificate in vari modi, che troviamo chiari in ATMOS:

  1. range totale dell’O.P.D. peak-to-valley (dallo scostamento estremo positivo a quello estremo negativo rispetto al fronte d’onda di riferimento);
  2. massimo scostamento del valore assoluto del fronte d’onda reale da quello di riferimento;
  3. R.M.S. scostamento del fronte d’onda dalla sfera di riferimento valutato sull’intera pupilla d’uscita;
  4. scostamento del fronte d’onda reale da quello di riferimento espresso con i polinomi di Zernike;
  5. Strehl ratio.

Per ottenere immagini limitate dalla diffrazione non è necessario che un obiettivo abbia prestazioni geometriche assolutamente perfette, cioè che sia del tutto esente da aberrazioni ottiche. Infatti, se le dimensioni della macchia in un relativo diagramma è molto più piccola del disco di Airy, la diffrazione supera le aberrazioni geometriche e le immagini di oggetti puntiformi sono praticamente indistinguibili da una perfetta figura di Airy. Allo stesso modo, se gli errori O.P.D. nella pupilla d’uscita sono molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce, le aberrazioni saranno di nuovo indistinguibili. Se un obiettivo è privo di aberrazioni, allora la corrispondente figura di Airy è la più compatta e luminosa immagine che esso è in grado di produrre e l’irradianza al centro del disco di Airy è la massima possibile, mentre, in presenza di aberrazioni, la luce viene sparpagliata entro una certa area e il picco di irradianza dell’immagine aberrata (P.S.F.) appare sempre ridotto. Il rapporto fra questo picco e quello della relativa immagine (P.S.F.) libera da aberrazioni è detto Strehl ratio. Per comuni immagini limitate dalla diffrazione lo scostamento di questo rapporto dalla condizione ideale ( 1% o 100%) dipende dal tipo di strumento e dalle applicazioni pratiche a cui è destinato: valori di 80% – 90% sono più che accettabili. Se vi sono elementi ostruttivi nel percorso ottico o problemi di vignettatura meccanica che comportano un calo della quantità effettiva di luce trasmessa sul piano focale, di questi elementi si tiene conto nel calcolo di entrambi i termini dello Strehl ratio.

13) Interferogram (interferogramma)

Questa funzione è, in sostanza, una differente rappresentazione del Wavefront. La misura dell’O.P.D. per frangia, che di default vale 0,5 o mezza lunghezza d’onda, ci dice che nell’interferogramma visualizzato la distanza tra una frangia e l’altra corrisponderà ad un salto di ½ d’onda. Inoltre la possibilità di introdurre una certa inclinazione nelle direzioni X e Y consente di vedere più frange contemporaneamente, così da valutare la correzione del sistema a seconda della loro deformazione. In definitiva è una buona simulazione delle prestazioni dell’obiettivo da confrontare con gli analoghi sistemi di controllo che nei laboratori ottici vengono usati per testare la qualità dell’obiettivo durante le fasi conclusive della lavorazione.

14) E.E.P. (Encircled Energy Plot)

E’ un calcolo geometrico effettuato sullo spot-diagram. Partendo da un cerchio centrato sul raggio principale o sul centroide, vengono contati quanti sono i raggi non vignettati, e quindi l’energia, che cadono entro cerchietti di diametro crescente.
In ATMOS troviamo un grafico che mostra in ordinata la distribuzione percentuale dell’energia luminosa in funzione della distanza da uno dei punti di riferimento sull’ascissa, affiancato da un tabella dei relativi valori numerici.

15) P.S.F. (Point Spread Function)

Analisi P.S.F
Analisi P.S.F

Il concetto di P.S.F. (Point Spread Function) è utilizzato per spiegare l’impossibilità di ottenere di una sorgente luminosa puntiforme una corrispondente immagine puntiforme perfetta da un punto di vista matematico. La P.S.F. fornisce la corretta distribuzione fisica della luce nell’immagine di un oggetto puntiforme considerando gli effetti delle aberrazioni geometriche e della diffrazione, mentre non si tiene conto dei disallineamenti meccanici, della turbolenza atmosferica e degli errori di lavorazione dell’obiettivo che possono riguardare la curvatura e la figura delle superfici, gli indici di rifrazione e dispersione cromatica, l’omogeneità dell’indice di rifrazione, lo spessore degli elementi ottici o della spaziatura in aria, lo sfasamento assiale, il decentramento trasversale e l’inclinazione delle superfici ottiche.

Una tipica curva P.S.F
Una tipica curva P.S.F

I due principali tipi di P.S.F., prodotti, cioè, dalle aberrazioni geometriche o dalla diffrazione, sono molto utili al progettista perché forniscono una misura della miglior qualità d’immagine che un certo progetto teorico è in grado di assicurare. ATMOS calcola entrambe le P.S.F., mostrando i risultati in forma di mappa bidimensionale di distribuzione dell’intensità dell’energia luminosa e di grafico tridimensionale della superficie del sistema ottico, utilizzando il metodo delle F.F.T. (Fast Fourier Transform), un tipo di calcolo applicato nel campo del dominio delle frequenze spaziali.

Una tipica immagine di P.S.F. rivela un largo picco centrale circondato da una serie di anelli luminosi concentrici di irradianza decrescente verso l’esterno, alternati da anelli scuri che rappresentano i luoghi in cui l’irradianza ha valore zero, sempre a specifiche distanze dal centro. Questa distribuzione di luce limitata dalla diffrazione è detta anche pattern di Airy e il picco al suo centro altro non è che il disco di Airy. E’ chiaro, allora, che quanto più quel picco apparirà stretto e alto, tanto più intensa sarà la concentrazione di luce, a tutto vantaggio di una migliore puntiformità e brillantezza delle immagini stellari, e quanto più regolari e morbidi risulteranno gli anelli concentrici, tanto più l’immagine finale diventerà dettagliata e precisa.

16) M.T.F. (Modulation Transfer Function)

L’ M.T.F. (Modulation Transfer Function) fornisce una misura diretta di come e quanto i vari dettagli a diverso indice di contrasto presenti in un oggetto di riferimento sono contenuti nella corrispondente immagine riprodotta da un sistema ottico sul suo piano focale. E’ nota anche come risposta in frequenza spaziale o risposta dell’onda sinusoidale ed ha valori compresi tra 0% e 100%.  La modulazione (o contrasto)  (M) ad una data frequenza (v) è data dal rapporto:

M(v) = Imax – Imin / Imax + Imin

in cui (I) indica la radianza o intensità luminosa massima e minima. Per la misura del trasferimento di contrasto si utilizza un reticolo composto da linee chiare e scure equidistanti di dimensioni via via più ridotte da porre davanti al sistema ottico. Il rapporto fra il contrasto dell’immagine risultante (Ci) e quello dell’oggetto ripreso (reticolo) (Co) è detto coefficiente di trasferimento del contrasto (CT):

CT = Ci /Co

La relazione tra questo coefficiente e il numero di linee/mm presenti nell’immagine è riproducibile in un grafico della funzione di trasferimento della modulazione (M.T.F.) o di funzione di trasferimento del contrasto (C.T.F.). Per un sistema ottico perfetto si avrà una curva quasi del tutto rettilinea con un piede lievemente degradante. Le curve M.T.F consentono di valutare l’ampiezza delle aberrazioni dell’immagine e degli effetti della diffrazione di un sistema ottico non corretto rispetto al profilo ideale di uno perfetto. Le curve di quello imperfetto non coincideranno quasi mai con quelle di uno schema ideale e dall’esame di questo scostamento si potrà analizzare quanto e per quale causa il contrasto dell’immagine creata dal sistema ottico progettato sarà più basso se confrontato con l’andamento teorico. Ciò può accadere per via della presenza di aberrazioni geometriche oppure per difetti nella lavorazione delle superfici dell’obiettivo o ancora per l’interposizione di elementi ostruttivi lungo il percorso ottico che modifichino la figura di Airy o, infine, per riflessi interni al tubo ottico o raggi parassiti esterni non adeguatamente schermati da un efficace sistema di diaframmi. Attraverso l’analisi delle curve M.T.F. è possibile, quindi, ottimizzare i parametri dell’ottica progettata in modo che fornisca le migliori prestazioni teoriche a seconda del tipo di applicazioni a cui andrà destinata: diametro più grande possibile per sfruttare al meglio la capacità di raccolta di luce e il potere di risoluzione, ostruzione contenuta, riduzione degli errori di fabbricazione, schemi ottici con aberrazioni assiali ed extrassiali minime e controllabili, superfici ottiche rivestite da protezioni antiriflessi per assicurare il più alto trasferimento del contrasto nell’immagine finale. Il tutto per cercare di ottenere curve M.T.F. reali quanto più coincidenti con quelle ideali. ATMOS analizza queste curve sotto il profilo geometrico e della diffrazione, ponendole entrambe in relazione alle variazioni del fuoco e all’ampiezza del campo di visione, che spazia dallo 0%  (coincidenza con l’asse ottico), al 70% e al 100%, sia nel piano tangenziale (curva rossa) che in quello sagittale (curva blu).

Diagramma MTF
Diagramma MTF

Il menu Analysis si chiude con le tabelle relative al tracciamento dei raggi reali (Real Rays) e al calcolo parassiale (Parassial Calculation), quest’ultimo articolato in un setup, nella raccolta dei dati per il raytrace, nei coefficienti di Seidel per le aberrazioni ottiche trasversali e longitudinali.

Troviamo, poi, un grafico che mette in evidenza la percentuale di vignettatura presente nel sistema ottico (Vignetting Plot), ossia la porzione di campo non perfettamente illuminato dell’obiettivo a causa di un inesatto dimensionamento delle componenti ottiche o meccaniche ( ad es. una lastra correttrice di diametro uguale a quello dello specchio primario in una camera di Schmidt).

Catadiottrico Schmidt Cassegrain
Layout 2D di un Catadiottrico Schmidt Cassegrain

Infine lo schema ottico dello strumento progettato prende forma attraverso il Layout 2D o 3D, in cui ATMOS disegna su un piano bidimensionale o tridimensionale la struttura, il numero degli elementi ottici in forma lineare o solida, il percorso seguito da una quantità variabile di raggi luminosi all’interno dello schema stesso.

Nel menu (Telescope Predesign) sono contenuti una serie di quadri preimpostati relativi a molte delle principali configurazioni ottiche per uso astronomico: riflettore Newton, riflettori a due specchi Cassegrain, Gregory e Coudé-Schwarzschild, Camera Schmidt e Wright ad uno specchio, Catadiottrici Schmidt Cassegrain in versione compatta con ottiche sferiche e asferiche e in versione non compatta o monocentrica, Maksutov ad uno specchio e Maksutov Cassegrain a due specchi, Lurie Houghton ad uno specchio sferico o asferico e Houghton Cassegrain, ed infine gli obiettivi a rifrazione doppietti e tripletti, acromatici e apocromatici.

Catadiottrico Schmidt Cassegrain
Schema preimpostato di un Catadiottrico Schmidt Cassegrain

Per ogni sistema  prescelto ATMOS offre lo schema della combinazione ottica con alcuni importanti parametri geometrici e le distanze degli elementi ottici. Si richiede l’inserimento di specifici dati come la lunghezza focale effettiva, il diametro dell’eventuale correttore, la distanza dal vertice del primario al piano focale, il diametro lineare del campo non vignettato che si desidera, le lunghezze d’onda selezionate, il tipo di vetro ( con relativa automatica determinazione dell’indice di rifrazione), lo spessore dell’eventuale correttore, la posizione della zona neutra.

Dopo aver fornito queste indicazioni tecniche ATMOS provvede a calcolare il raggio di curvatura del primario, del secondario e del correttore, la distanza primario-secondario, il diametro del primario e del secondario, l’ingrandimento di quest’ultimo, soprattutto nei sistemi Cassegrain, la B.F.L., la percentuale di ostruzione lineare, il rapporto focale, la distanza primario-correttore nei sistemi catadiottrici, la potenza del correttore.
Completano gli strumenti a disposizione del progettista i diagrammi dei vetri ottici, una serie di grafici contenuti in un apposito menu (Glass Diagram) relativi alle caratteristiche di un gran quantità di vetri prodotti da Schott, Ohara, Corning e Hoya. Di essi si prendono in considerazione gli indici di rifrazione e i valori della dispersione cromatica (numeri di Abbe). I primi sono dati per le linee d (a 587,56 nm) ed e (a 546,07 nm), mentre i secondi si ottengono dalla differenza tra gli indici di rifrazione per le linee F (a 486,13 nm) e C (a 656,27 nm) e per le linee F1 (a 479.99 nm) e C1 ( a 643,85 nm) rispettivamente. I vetri sono selezionabili sia puntando il  mouse all’interno dei suddetti grafici, sia da apposite tabelle comprendenti i cataloghi dei prodotti con la specificazione degli indici di rifrazione per tutte le principali linee e lunghezze d’onda spettrali, i numeri di Abbe ed i valori di dispersione relativa parziale.

Il lavoro progettuale non può dirsi concluso se non è rifinito con l’ottimizzazione del sistema ottico. Questo processo, che troviamo trattato in ATMOS nel menu (Tools- Optimization), richiede una valutazione complessiva dell’esattezza dei metodi via via applicati, per giungere attraverso varie iterazioni alle migliori prestazioni. Naturalmente il software deve essere in grado di identificare questo obiettivo finale, deve, cioè, disporre di una misura di qualità che viene chiamata anche funzione di merito o funzione di errore. Nel caso di un sistema ottico perfetto il suo valore sarebbe pari a zero, ma la presenza di aberrazioni residue aumentano sempre i valori reali. Per mezzo dell’ottimizzazione il progettista cerca di ridurre il valore della funzione di merito il più possibile, approssimandola a zero, agendo su tutti i parametri ottici, parassiali, gaussiani, meccanici, nonché sulle aberrazioni che incidono sulla definizione e distorsione dell’immagine. I singoli elementi della funzione di merito sono detti operandi di ottimizzazione, in pratica delle funzioni di raggi, fronti d’onda o altre proprietà costruttive dell’obiettivo sui quali si desidera intervenire. Il controllo sugli operandi viene effettuato con il metodo dei minimi quadrati, il quale permette di regolare i parametri ottici in modo che la somma dei quadrati pesati degli errori rilevati per tutti gli operandi nella funzione di merito sia la più piccola possibile.

Sempre in (Tools) troviamo le funzioni (Best Focus) che fornisce la posizione del punto focale ove l’immagine è più corretta sull’asse ottico R.M.S. e a pieno campo in luce mono e policromatica; (Scale factor) e (New Focal Lenght) necessarie per calcolare un nuovo sistema ottico del quale si è semplicemente ridotta la scala o variata la focale; (Sagitta Table) (Element Volume) per avere i dati della sagitta e di volume del sistema ottico; (Aberrations Allowances) per disporre dei dati numerici riferiti alle tolleranze di aberrazione, assumendo come parametro di riferimento il limite di Rayleigh del quarto d’onda; (System Data Report), il riassunto finale tabulare dei dati ottenuti.

ATMOS è, dunque, un software di Optical Design molto completo e indispensabile per i progettisti di ottica ma che non mancherà di entusiasmare anche gli astrofili, gli autocostruttori e gli appassionati  di telescopi ed altri accessori ottici, che desiderino comprendere a fondo il funzionamento dei loro semplici e meravigliosi strumenti e migliorarne le prestazioni. Unici nei rilevati nella versione 7.0 sono la mancanza di un manuale o di un help in linea più ricco di informazioni e spiegazioni delle varie funzioni, alcune delle quali potrebbero risultare di non facile comprensione e applicazione, nonché della possibilità di salvare i quadri di lavoro nei più comuni formati grafici.

bottariClaudio Bottari, di formazione giuridico umanistica, imprenditore, coltiva i suoi particolari interressi astronomici nei campi della strumentazione ottica e dell’imaging digitale. Si occupa di ricerca di supernovae (sua è la scoperta della SN 1996 ai in NGC 5005) e di asteroidi N.E.O.

Psyche e Parthenope

0
Somma di 10 immagini
Somma di 10 immagini
Tempo di lettura: 2 minuti

Ecco le immagini pervenuteci in Redazione: sono il risultato delle riprese dai lettori di Coelum Giulio Cherini di Trieste, Roberto pellin di Monastier (TV), Gianluca Zenier di Basiliano (UD), Tito Bruno di Imperia e Elisabetta e Gerardo Sbarufatti di Caselle Landi (LO), che seguendo il suggerimento di Talib Kadori della rubrica “Gli asteroidi” (Coelum n° 92 di Febbraio 2006), non hanno perso l’occasione di immortalare la favolosa congiunzione degli asteroidi PsycheParthenope.

Psyche e Parthenope: Congiunzione – di Giulio Cherini

Congiunzione

Tecnica di Ripresa
Per registrare la loro congiunzione, essendo questi asteroidi molto luminosi sono state sufficienti pose molto brevi (pose di 10 secondi). Infine ho allineato quattro immagini ed ho tracciato con una linea i rispettivi percorsi indicando le date e l’ora civile della ripresa.
Strumentazione utilizzata:
Rifrattore APO 13 cm
CCD SXV-H9 risoluzione 1.54“ per pixel
Parthenope e Psyche – di Roberto Pellin

Somma di 10 immagini

Tecnica di Ripresa
Fotografie scattate la sera del 5 e 7 febbraio alle ore 20:30 Somma di 10 immagini da 10 secondi l’una di esposizione.
Strumentazione
Canon Eos 350 D su riflettore Newton 800 F4.
Psyche e Parthenopee 3 Febbraio 2006 ore 23:40 – di Gianluca Zanier

3 Febbraio 2006 ore 23:40

Tecnica di Ripresa
Somma di 7 foto da 30 s a 800 ISO. Ripresa del 3 Febbraio 2006 ore 23:40.
Preprocessing ed elaborazione Iris software
Strumentazione
Canon EOS300d al fuoco diretto di un Celestron 8
Località
Basiliano UDINE
Psyche e Parthenope: sequenza dell’incontro – di Tito Bruno

Sequenza dell’incontro

Tecnica di Ripresa
Riprese dell’evento a distanza di 40 min. una dall’altra a partire dalle 20.10 del 04/02/06. Riprese da 1 min. ciascuna.
Strumentazione
Telescopio C11 a F/4.7 e CCD MX716 con filtri IR Cut e SkyGlow per attenuare il chiarore lunare.
11 Parthenope e 16 Psyche: congiunzione – di Elisabetta e Gerardo Sbarufatti

Congiunzione

data 	 	ora TU
02-02-2006	19:42
03-02-2006	20:10
04-02-2006	20:22
05-02-2006	20:11
06-02-2006	22:18

Tecnica di Ripresa
Media di 12 pose da 30 secondi ciascuna
Strumentazione
Telescopio Celestron 8 + riduttore-correttore Celestron f/6,3

CCD Starlight-Xpress SXR
Località:
Caselle Landi

Recensione: “Il Calendario e l’Orologio” – Piero Tempesti

0
libro
Tempo di lettura: 3 minuti

È con grande diletto che leggo quest’ultima fatica di uno dei grandi “vecchi” dell’astronomia italiana che quest’anno compirà 90 anni, splendidamente portati.
Il prof. Tempesti è sempre stato un appassionato e brillante divulgatore, chiarissimo ed incisivo. Gli amatori di astronomia nostrani, quelli che, in particolare, hanno svolto o tuttora svolgono serie osservazioni di fotometria stellare, sanno bene di avere un forte debito di riconoscenza nei suoi confronti.
In questo suo nuovo lavoro sono molte le cose che mi hanno colpito e stimolato, perché tra di esse diverse fanno leva sulla mia mai sopita passione per la storia dell’astronomia. E, dobbiamo dire, che di storia della nostra disciplina il libro è letteralmente, felicemente, intriso. Piacevolissime le pagine dedicate alla “Storia del calendario” (capitolo 2), una vasta rassegna che parte dagli antichissimi calendari medio-orientali e giunge fino alla riforma gregoriana. Il tutto raccontato con entusiasmo, estrema competenza ed un linguaggio da grande divulgatore.
Confesso, però, di aver particolarmente apprezzato, per motivi meramente utilitaristici, il capitolo 3, “Le ore e l’orologio attraverso i secoli”. Infatti, qualche tempo fa, in occasione di una mia piccola ricerca sulla grande meridiana di Cassini in S. Petronio a Bologna (si veda Coelum n. 82, pp. 74-78) mi sono imbattuto o per meglio dire, scontrato, con quella autentica babele costituita dalla misura del tempo in Europa prima della rivoluzione francese. Un modo particolare di dividere le ore del giorno è infatti direttamente tracciato sulla meridiana cassiniana, ed è indicato con i termini “ore italiche”, il cui utilizzo non è di immediata comprensione. La documentazione moderna esistente sull’argomento (intendo dire quella più facilmente accessibile al non specialista) delle ore uguali e di quelle temporarie, è piuttosto abborracciata e qualitativamente insoddisfacente. Finalmente, nel libro di Tempesti, ne ho trovato una spiegazione, approfondita in poche pagine, veramente intuitiva ed esauriente.
L’altra parte del libro che ho letto con particolare attenzione è nel capitolo 4, “Il problema della Pasqua”. Determinare la data della Pasqua, quella cioè della principale solennità cristiana, ha costituito, per oltre un millennio, un formidabile problema astronomico. Tempesti racconta dettagliatamente come si è giunti a calcolarla con precisione, a partire dal Concilio di Nicea del 325, durante il quale fu stabilito che essa si sarebbe dovuta celebrare la prima domenica che segue il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Detta così può sembrare un problema già risolto in partenza, ma come ben sa chi si occupa dell’argomento, nei calcoli entrano in ballo alcune grandezze astronomiche, splendidamente spiegate nel libro, che li complicano assai. Il capitolo merita una lettura attenta perché solo così si possono apprezzare e comprendere fino in fondo i problemi celesti che furono risolti dagli astronomi per determinare, senza errori, la data di questa fondamentale festa cristiana.
Infine, segnalo come d’indispensabile lettura l’Appendice A che tratta del tempo siderale e universale, una concisa trattazione di eccezionale utilità per gli astronomi amatori che spesso si trovano a trafficare con il tempo delle stelle, tempo medio, ecc., senza avere ben chiaro a cosa servano e come si calcolano.
Inutile dire che il libro mi è veramente piaciuto e mentre lo leggevo, mi sono reso conto che questo lavoro di Tempesti non è solamente un libro di divulgazione ma anche un ottimo testo didattico che racchiude un’insieme straordinario di conoscenze (nell’ambito della storia, dell’astronomia, della fisica, ecc.) con un’alta valenza didattica. In sostanza, potrebbe certamente essere utilizzato per lo svolgimento di un progetto didattico multidisciplinare di elevato contenuto cognitivo.
La lettura è consigliata a tutti coloro che coltivano interessi culturali profondi, non solo a livello astronomico, ma anche storico, filosofico e religioso.

Il Calendario e l’Orologio
Piero Tempesti
Gremese Editore 2006.
formato 17 x 21 cm
pp. 192
Prezzo di copertina: 18,00 euro
Prezzo Scontato per il Lettori di Coelum
ISBN: 8884404460

Fai la Mossa Giusta

0
Tempo di lettura: 15 minuti

Beh, è inevitabile: è da quando è iniziata questa rubrica che continuiamo a inviare e ricevere messaggi, a scambiare disegnini e metodi elementari di calcolo, ad attraversare deserti e pianeti acquatici nella speranza di incontrarli. Quindi, tanto vale toglierci il dente: prima o poi, con qualche strana razza di Alieni finiremo davvero con l’entrare in contatto, e non ci resta che sperare che questa possa essere fonte di problemi interessanti (almeno per noi: non ci sentiamo di accomunare in questo aggettivo gli omini verdi coinvolti nell’incontro). Come ebbe a dire Theodore Sturgeon (in “Sotto il segno di Marte”), la convinzione che la nostra visione dei rapporti sociali sia universalmente valida porta ad una veloce quanto dolorosa disillusione; non è affatto detto che quelli che noi consideriamo comportamenti “corretti” siano considerati tali anche dalle popolazioni aliene.

E infatti una serie quasi infinita di problemi si basano sul fatto che alcuni “Aliens” (nel senso più britannico del termine, che non a caso sembra giocosamente oscillare tra il significato di “straniero” e quello di “alienato”) siano divisi in due categorie, una delle quali dice sempre la verità mentre l’altra è razza spudoratamente bugiarda che mente in ogni occasione. Nulla ci esime dal pensare che le popolazioni aliene possano davvero considerare valide entrambe queste visioni del mondo: come ebbe a dire uno dei padri fondatori della logica, un canale di trasmissione che sbaglia sempre è un canale perfetto: basta prendere il contrario di quello che dice e non occorre nessun codice di controllo.

Il più semplice di questi problemi, presumibilmente già noto a tutta la popolazione terrestre, è quello dell’incontro dell’esploratore con due alieni, dei quali l’unica cosa che si sa è che sono di razze diverse: uno di loro è un mentitore, mentre l’altro è un veritiero; ma il povero esploratore non è in grado di distinguerne la natura. Il nostro eroe è davvero interessato a sapere se gli indigeni sono pacifici o se invece stanno già affilando le scimitarre laser, e il rischio fatale per l’esploratore è proprio quello di scoprirlo nel peggiore dei modi, lasciando che la propria carotide incontri il filo della lama aliena. Poiché questa è rubrica di quesiti logici e non di fan di Freddy Krueger, all’esploratore è concesso il tempo di porre ad uno di loro una sola domanda:.che domanda dovrebbe fare?

Dennis Sciama, celebre cosmologo di Cambridge, sviluppò un’interessante variazione: il nostro esploratore sa che “Pish” e “Tush” sono i termini equivalenti per gli alieni dei nostri “Si” e “No”, ma il nostro eroe (come al solito) non ricorda se “Pish” voglia dire “Sì” o “No”; mettendovi nelle stesse condizioni dell’esploratore di cui sopra, che domanda fate, in questo caso?

I problemi di questo tipo sembrano ragionevolmente semplici, ma è possibile crearne di decisamente complicati: ad esempio, immaginate di trovarvi di fronte a cinque alieni (tutti pacifici, questa volta) dei quali sapete con certezza che uno (ma non sapete quale) è un mentitore mentre tutti gli altri appartengono ad una stranissima razza che alterna regolarmente verità a menzogna: vi sono concesse ben due domande per stabilire chi sia il veritiero; che domande fate, in questo caso?

Il problema di questo tipo più complicato in assoluto (almeno tra quelli che conosciamo noi), prevede la presenza di ben dieci alieni, di cui sappiamo che cinque sono veritieri e cinque menzogneri. E’ curiosamente ambientato alle propaggini di un sistema solare dotato di tre pianeti di cui uno solo dei tre è abitato. I dieci alieni sono stati accolti nella nostra dorata astronave alla stregua di naufraghi alla deriva nello spazio, ed è ora nostra intenzione chiedere loro quale sia il pianeta abitato del sistema. La cosa sorprendente è che solo cinque sanno da quale pianeta arrivano: gli altri vivono in beata ignoranza di questo dato fondamentale. In compenso, ciascuno di loro sa bene a quale categoria (bugiarda o veritiera) appartengano gli altri. I nostri dieci amici alieni si mettono ordinatamente in fila e, uno alla volta, rilasciano le seguenti dichiarazioni, a voce sufficientemente alta da farsi sentire dal successivo compagno nella fila:

1: “Veniamo dal primo pianeta”
2: “Veniamo dal terzo pianeta”
3: “Non veniamo dal secondo pianeta”
4: “Veniamo dal terzo pianeta”
5: “Non veniamo dal terzo pianeta”
6: Veniamo dal terzo pianeta”
7: “Non veniamo dal terzo pianeta”
8: “Veniamo dal primo pianeta”
9: “Veniamo dal secondo pianeta”
10: “Non veniamo dal primo pianeta”

E, in questo caso, la domanda è: verso quale pianeta vi dirigete?

Certo, supponendo che alla fin fine si voglia proprio atterrare sul loro pianeta… Ma siamo sicuri di voler incontrare gente del genere?

Nel quesito del numero scorso non vi abbiamo chiesto di esprimere le distanze in chilometri anzichè in drevenet perché non era possibile ricavarlo: eguagliando la formula della superficie della sfera con quella del volume si riesce soltanto a capire che un drevenet vale 1/3 del raggio del pianeta.

Per quanto riguarda il resto, definiamo 0.5 drevenet come 1 “unità”: si avrà allora che con un pieno si percorre 1 unità, con 2 pieni se ne percorrono 1+1/3, con 3 pieni 1+1/3+1/5…

In generale, con n pieni si percorreranno

unità; e poiché la serie è divergente, in teoria è percorribile una distanza infinita. Nel nostro caso specifico, dopo aver percorso una distanza di 1+1/3+1/5 unità ci resta da percorrere soltanto 1/15 di unità: alla fine si consumeranno 3.466… pieni di carburante, in 16 viaggi e in totale si percorreranno 1.733 drevenet.
La circumnavigazione del mondo d’acqua si può effettuare con tre VESPA; il sistema prevede che si effettuino dei “rabbocchi volanti” a 1/8 e 2/8 di equatore, perché in tal modo uno dei VESPA riesce ad arrivare sino a 6/8, mentre gli altri riescono sia a tornare alla base che a ripartire versol’altra parte; dell’equatore, ripetendo al contrario lo schema iniziale, con un consumo totale di sei pieni.

Susanna Nembri ha brillantemente risolto il problema della circumnavigazione planetaria, così come Massimo Andreolli; Massimo tenta anche la soluzione dell’attraversamento del deserto, anche se il suo risultato di 30 passi non è ottimale; in compenso, è stato l’unico ad accorgersi del problema “nascosto” di quanto fosse lungo un drevenet.

Un bel numero di solutori ha risolto i problemi di Dreven e Verten; Susanna Nembri ha ben circumnavigato, Massimo Andreoli anche, e in più ha attraversato il deserto, risolvendo anche la relazione tra raggio del pianeta e drevenet; Paolo Schiavone ha nuovamente mostrato la sua magistrale abilità, e anche Fabiano Limonio non si è lasciato spaventare dall’oceano e dalle dune. Anche se la menzione speciale del mese va a Valerio Pecoraro, che non solo risolve, ma riconosce perfino la mano nascosta di Alcuino da York in questo quesito e latinamente ce lo racconta, la Redazione decide di premiare la bella soluzione di Daniela Savoini, che con ferrea levità ha coniugato logica e carta, calcoli e disegni. A lei va l’abbonamento semestrale a COELUM, a tutti gli altri un po’ di gloria nella sezione “Soluzioni” del sito, dove avranno più spazio di quanto è possibile dar loro in queste poche righe.

GLOSSARIO – Alcuni termini utilizzati in astronomia digitale

0
Tempo di lettura: 3 minuti

ADU, (Analog to Digital Unit, Unità da analogico a digitale) – In un’immagine digitale, esprime l’unità di misura del numero di elettroni presenti in un fotoelemento del sensore. Il convertitore analogico/digitale A/D della fotocamera (tradizionale o CMOS) converte il segnale analogico, prodotto gli elettroni immagazzinati nei singoli pixel del sensore, nei valori ADU.

Bias – E’ il rumore generato dalla fotocamera durante un’esposizione di durata uguale a zero. Ha origine dall’elettronica di gestione della fotocamera che tiene in un continuo stato di carica il sensore per far sì che i fotoni possano essere convertiti in elettroni.

Blooming – Il numero di elettroni contenuto nei pixel di un sensore è limitato (si veda la voce full well capacity). Quando questo numero massimo è superato, gli elettroni liberati fluiscono all’esterno del pixel e invadono quelli adiacenti sulla stessa colonna, formando la ben nota strisciata di luce che può invadere l’intera colonna. Il blooming può essere ridotto con opportuni accorgimenti. Ad esempio, intorno ad un pixel si dispongono dei particolari “contatti” elettrici che hanno il compito di raccogliere gli elettroni in eccesso scaricandoli a massa. Questo accorgimento, però –come si legge nel testo dell’articolo- limita il range di linearità del sensore, riducendone le prestazioni fotometriche.

Charge Transfer Efficiency – (CTE, efficienza del trasferimento di carica). Durante la lettura del sensore, è la percentuale degli elettroni trasferiti da un pixel a quello adiacente.

Dark Current (corrente di buio) – E’ costituita dagli elettroni emessi dal sensore anche in totale assenza di luce. E’ prodotta dall’agitazione termica degli atomi di silicio ed è espressa in elettroni al secondo ad una determinata temperatura. La corrente di buio, che aumenta man mano che cresce la temperatura del sensore, si misura attraverso un’esposizione ad otturatore chiuso. In realtà, il dark frame così ottenuto è costituito dalla somma del bias, del rumore termico e del rumore elettronico.

Deviazione standard – (σ). E’ un indice di variabilità, definito come la radice quadrata della media aritmetica dei quadrati degli scarti dei valori osservati rispetto alla media.

Dinamica – E’ il rapporto tra il segnale effettivamente raggiungibile ed il rumore corrispondente. Per gamma dinamica di un sensore si intende la sua intrinseca capacità di discernere differenti livelli di intensità luminosa in una immagine. Tradizionalmente si esprime in decibel, anche se spesso si preferisce rappresentarla come un rapporto semplice.

Efficienza quantica – (QE). Esprime il rapporto tra il numero di fotoni incidenti sul sensore e quelli che generano elettroni all’interno dei pixel. L’efficienza quantica varia con la lunghezza d’onda dei fotoni incidenti.

Flat field – (letteralmente: campo piatto). E’ l’immagine di un oggetto uniformemente illuminato nella quale appaiono tutti i difetti fotometrici prodotti dal sistema ottico e dal sensore (polvere, vignettatura, differenze di sensibilità dei fotoelementi, ecc.). Per correggere l’immagine astronomica la si divide matematicamente, pixel per pixel, per quella di flat field.

Full Well Capacity – (FWC, capacità di contenimento). E’ la capacità massima di contenimento di ogni fotoelemento del sensore, espressa in elettroni. In buona misura dipende dalle dimensioni del fotoelemento. Una grande FWC corrisponde ad un intervallo dinamico maggiore che consente di riprendere immagini con grandi differenze di luminosità.

FWHM – (Full Width at Half Maximum). E’ il diametro di una stella misurato a metà del valore di picco della sua luminosità

Guadagno (gain): Il guadagno fissa il rapporto tra il numero di elettroni contenuti nel fotoelemento ed il valore numerico che misura questa quantità all’uscita del convertitore analogico/digitale A/D. Si misura in e-/ADU.

Istogramma: Grafico in cui i pixel sono raggruppati per valore.

Rapporto segnale/rumore – (S/N ratio). E’ un indice della qualità dell’immagine. Rappresenta il rapporto tra il segnale misurato e la sua variabilità dal punto di vista statistico ed ha un’importanza fondamentale in quanto, con un unico valore numerico, fornisce un indice di qualità di un’immagine digitale.

Readout Noise – (RON, rumore di lettura). E’ il rumore introdotto dall’elettronica quando scarica il sensore e procede alla conversione del segnale A/D; si esprime in e-/pixel. La deviazione standard σ, calcolata sull’insieme dei fotoelementi di un’immagine di bias, è una misura del valore del RON.

Rumore – Il rumore in una fotocamera, CCD o CMOS, è una sorta di segnale casuale, del tutto imprevedibile che, in certi casi, può però essere determinato con metodi statistici.

Il Deserto di Dreven

0
Tempo di lettura: 8 minuti


Inutile negarlo: eravamo convinti che l’idea di farvi interpretare l’augusto ruolo di un potente Ambasciatore Galattico vi sarebbe piaciuta molto, ma a giudicare dalle risposte ricevute dobbiamo proprio ricrederci. Così siamo ancora qui, a domandarci se il magro esito del quiz del mese scorso dipenda da un’innata antipatia nei confronti della diplomazia o da un’assoluta idiosincrasia nei riguardi del calcolo delle probabilità. In ogni caso, ci sembra di capire che la vostra visione del resto dell’universo sia maggiormente solleticata dall’epica visione di un’avventurosa esplorazione piuttosto che da una burocratica nnessione politica. Anche se il nostro spirito eternamente adolescenziale è pienamente d’accordo con voi, la nostra noiosa razionalità tende a ricordarvi che di solito gli ambasciatori lasciano questa valle di lacrime in veneranda età e dopo vita agiata e densa di soddisfazioni, mentre per gli avventurosi esploratori il motivo della dipartita è quasi sempre catalogato sotto la voce “incidente sul lavoro”, e le due date incise sulle lapidi sono quasi sempre vicine in modo preoccupante.
E’ anche vero che esistono intere discipline dedicate al tentativo di ridurre questi “incidenti sul lavoro”, e quasi tutte queste novelle scienze pongono particolare attenzione al concetto di “pianificazione”; non di meno, in alcuni casi la pianificazione sembra essere decisamente complessa. Un problema classico in questo campo è quello dell’attraversamento del deserto. La matematica necessaria alla sua risoluzione è assolutamente elementare: quel che serve in casi come questi è soprattutto una sana mentalità organizzativa.
Supponiamo allora di essere atterrati su Dreven, pianeta da poco colonizzato dove risiede un’amichevole razza di indigeni con la quale siamo riusciti ad entrare in comunicazione. L’atterraggio è avvenuto ai bordi di un deserto di dimensioni considerevoli: gli autoctoni (che non hanno generato una civiltà tecnologica, ma che sono tutt’altro che sprovveduti: sono creature prevalentemente contemplative) ci hanno infatti detto che è largo 0,8 “drevenet”. Il drevenet è una loro misura di lunghezza, e il significato letterale della parola potrebbe tradursi con “planetario”. I nostri indigeni contemplativi l’hanno scelta in modo tale che la superficie del pianeta, espressa in “planetari quadrati”, sia esattamente uguale al volume dello stesso espresso in “planetari cubici”. Beh, drevenet o planetari che dir si voglia, non ci abbiamo davvero messo molto a capire che 0,8 drevenet di deserto non sono affatto uno scherzo, anche perché l’autonomia dei nostri VOLPE (Veicoli d’Ordinanza della Legione Pianeti Extrasolari: dei grossi camion, in pratica) è di mezzo drevenet esatto.
I VOLPE non possono trasportare carburante oltre a quello che trova spazio nell’apposito serbatoio. E’ però possibile “estrarne” una parte e lasciarla, accuratamente protetta, lungo la strada del deserto, creando così dei depositi intermedi. L’obiettivo è quello di raggiungere la nostra seconda base dall’altra parte del deserto (anche arrivando a serbatoio completamente asciutto), per consegnare posta e rifornimenti. Come organizzate la sequenza dei depositi per attraversare il deserto nel minor tempo possibile? E quanti drevenet percorrerete, in totale? (Per favore, mandateci la soluzione espressa in chilometri, se potete: anche se Dreven ha le stesse identiche dimensioni di Marte, noi facciamo sempre fatica a cambiare unità di misura…)
Mentre stavamo pianificando la traversata del deserto, il vecchio sergente si è messo a ricordare del problema analogo affrontato su Verten, un pianeta totalmente coperto dalle acque. In quel caso la missione era di natura scientifica, e occorreva fare l’intero giro intero del pianeta (sorvolandone per intero l’equatore) per becere misurazioni astronomiche. Naturalmente, quella missione era equipaggiata non con dei VOLPE, ma con dei VESPA (Velivoli per l’Esplorazione Stanziale dei Pianeti Acquatici)
Ne avevano a disposizione un buon numero ma, come sempre, c’erano delle limitazioni logistiche mica da poco. I VESPA sono infatti in grado di decollare e di atterrare solo da una piattaforma apposita (e ne avevano sistemata una sola su quel pianeta, proprio sull’equatore) e, anche se sono in grado di effettuare il rifornimento in volo, la capacità del loro serbatoio è tale da permettere di effettuare solo metà del giro del pianeta: senza rifornimenti, arrivati agli antipodi della piattaforma si sarebbero ritrovati a secco.
Il sergente rideva come un matto, nel raccontare la storia, perché i VESPA costano quanto un motore gravitazionale, e ciononostante ci fu chi propose un metodo che prevedeva di far schiantare in mare alcuni VESPA pur di far completare il giro del pianeta ad uno di essi. Ci volle un po’, per convincere il comandante della missione che non era necessario sacrificare alcun velivolo. Avete un’idea di come ci siano riusciti?

L’astronomia e l’ottica di Leonardo da Vinci

1
camera oscura
Camera Oscura
Tempo di lettura: 20 minuti

Ma quella [scienzia] delle linee visuali ha

partorito la scienzia dell’astronomia, la

quale è semplice prospettiva, perché son

tutte linee visuali e piramidi tagliate.

Leonardo, Libro di Pittura.

Per vedere la natura delli pianeti apri il tetto…

Codice Arundel, f. 279v

LEONARDO E IL BIASIMO DEI CONTEMPORANEI COLTI

Leonardo, l’uomo delle chimere.

Così lo definiva, con scarsa benevolenza, il raffinatissimo letterato Baldassarre Castiglione (1478-1529) nel Libro del cortigiano (1528): “Un altro dei primi pittori del mondo sprezza quell’arte dove è rarissimo, ed èssi posto ad imparar filosofia; nella quale ha così strani concetti e nove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria dipingerle”.

D’altro canto, uno studioso moderno, L.M. Barkin, annota acutamente: “il Rinascimento si osservava in Leonardo, come in uno specchio, riconoscendosi e non riconoscendosi, restando ammirato ed infastidito”.

Questo ambiguo atteggiamento faceva sì che Leonardo godesse dell’incondizionata ammirazione di principi e re ma, allo stesso tempo, fosse oggetto del biasimo degli uomini di cultura suoi contemporanei. Le sue molteplici e, a volte, incomprensibili ricerche “filosofiche”, attraverso le quali avidamente indagava con stupefacente acutezza, e in totale solitudine, in ogni recesso dello scibile umano, sembravano fatte apposta per sollevare dubbi e recriminazioni.

La disapprovazione si esprimeva con parole simili a queste di Pietro da Novellara in una lettera ad Isabella d’Este, marchesa di Mantova e protettrice delle arti: “la vita di Leonardo è varia et indeterminata forte sì che par vivere a giornata […] dà opra forte alla geometria, impazientissimo al pennello”.

Ma che cosa gli veniva rimproverato?

Il noto studioso André Chastel sostenne la tesi che in Italia, e particolarmente alla corte papale, agli inizi del Cinquecento, la “[sua] capacità speculativa e [la sua] versatilità, risultavano insopportabili”.

Da buon francese, Chastel ci fa presentire che solo la superiore sensibilità di un re francese, Francesco I, poteva apprezzare la vastità di quel genio capace di affascinare e conquistare i sovrani più raffinati ed illuminati. Quello stesso genio così insensibilmente vilipeso dalle italiche genti.

In realtà Leonardo era un personaggio fuori e al disopra dei canoni intellettuali e culturali del tempo. Non si era mai visto nessuno prima di lui (“omo sanza lettere”, come, celiando, amava definirsi, riprendendo alla lettera le parole di Cicerone: homo sine ingeniis, sine litteris) capace di spaziare, con una profondità analitica sbalorditiva, dall’arte alla tecnologia, dagli arditi studi architettonici all’anatomia, dalla minuziosa analisi del volo degli uccelli ai tentativi di comprendere i meccanismi della visione.

Ciò che sconcertava i suoi contemporanei era il fatto che se si cercava l’artista ecco apparire d’incanto l’uomo di scienza. Quando si sarebbe voluto un pittore, ecco un architetto, uno scultore, un ingegnere, il disegnatore di scene teatrali, il progettista di giardini…

Ma, con buona pace di Chastel, ciò che più aveva colpito Francesco I era la sua straordinaria abilità di allestitore di scene teatrali e festaiole, ma anche quella di grande “affabulatore” e di inventore di rebus linguistici che rendevano tanto entusiasmanti le serate al castello sforzesco.

In Europa non si era infatti mai spento l’eco delle spettacolari feste di Lodovico il Moro (prima della sua rovinosa caduta), sapientemente realizzate dallo stesso Leonardo in ogni minimo dettaglio, dai costumi alle scene fino alla stesura delle pièce teatrali.

Recensione “La Terra nel Mirino”

0
Copertina de La terra nel mirino
Copertina de La terra nel mirino
Tempo di lettura: 4 minuti

Asteroidi e probabilità di collisione – di Alessandro Manara

Copertina de La terra nel mirino

Fino a qualche decennio fa lo studio degli asteroidi era un settore dell’astronomia di limitato rilievo scientifico. La scoperta di asteroidi doppi e, soprattutto, la sempre maggior consapevolezza che questa categoria di oggetti costituisce il residuo non aggregato di antichissimo materiale risalente ai primordi del Sistema Solare, ha contribuito a rivalutarne l’importanza dal punto di vista cosmogonico. L’interesse per gli asteroidi è poi aumentato a dismisura quando è diventato drammaticamente evidente che un numero elevato di questi frammenti rocciosi, almeno un migliaio con un diametro superiore al chilometro, i NEA (Near Earth Asteroids), asteroidi che possono transitare in prossimità della Terra, è potenzialmente pericoloso per il nostro pianeta.
Un fatto curioso, e apparentemente inspiegabile, è che solo dagli anni ‘60-‘70 del secolo scorso si è comunemente accettato che gli impatti degli asteroidi possono aver avuto un ruolo importante sia nella storia della Terra che nel condizionare l’indirizzo della successiva evoluzione delle forme viventi che la popolano.
L’idea di possibili interazioni tra la Terra e corpi extraterrestri non è però nuova. Risale alla fine del Seicento, a seguito della pubblicazione degli studi di Newton sui parametri orbitali della grande cometa del 1680. Astronomi della levatura di David Gregory, professore ad Oxford agli inizi del Settecento, invitavano i filosofi naturali a non sottovalutare il pericolo per il nostro pianeta costituito dalle comete che ne intersecano l’orbita. Naturalmente, Gregory avrebbe detto lo stesso degli asteroidi se ne avesse intuito l’esistenza!
In pieno secolo dei Lumi, quando divennero note le complesse ricerche matematiche di Clairaut e Lagrange sulle perturbazioni che alterano le orbite cometarie, furono subito prospettati dei catastrofici scenari di impatti di nuclei cometari con la superficie terrestre. L’astronomo francese J.J. de Lalande provocò ad arte un’autentica ondata di panico collettivo quando annunciò pubblicamente che, sul lungo periodo, era alta la probabilità di una collisione cosmica.
La scoperta dei primi asteroidi nell’Ottocento, confinati tra le inaccessibili e sicure orbite di Marte e Giove, non risollevò, tra gli astronomi, l’inquietante interrogativo di un possibile rischio collisionale con il nostro pianeta.
Solo molto lentamente si è accettata l’idea che le comete ed i NEA possono costituire un autentico pericolo per il pianeta e per l’umanità. Nel mutare delle opinioni, non poco hanno contribuito eventi catastrofici che hanno come naturale spiegazione l’impatto di corpi extraterrestri. Infatti, non è più possibile ignorare eventi come quello di Tunguska del 1908, autentici campanelli d’allarme per l’umanità.
Molto si è scritto sul rischio costituito dagli asteroidi killer, troppo spesso però in modo eccessivamente sensazionalistico e fumoso.
Il piccolo libro di Alessandro Manara, per quarant’anni astronomo all’Osservatorio di Brera, affronta questo tema “caldo” con chiarezza e rigore scientifico e questo sicuramente costituisce il suo principale merito. Ma, a differenza di altri sull’argomento, non è un libro “facile”: va letto ed assimilato attraverso una lettura meditata.
L’Autore, nell’introduzione, avverte che “ho cercato di usare un linguaggio molto semplice evitando per quanto possibile il ricorso alla matematica anche se… così facendo, è sì possibile dare una descrizione di ciò che avviene, ma in molti casi rimane preclusa la possibilità di darne una spiegazione o dimostrazione”. Credo però che già descrivere, così come ha fatto Manara nel suo lavoro, sia un’operazione divulgativa assai efficace per un pubblico colto che, a differenza dello specialista, non ha la necessità di entrare nei dettagli matematici, bensì di formarsi un quadro d’insieme del “problema asteroidi” il più possibile esauriente e comprensibile.

I successivi due capitoli, con i quali si chiude l’opera, analizzano l’evoluzione nel tempo delle orbite, la probabilità di collisione, le fonti dell’errore di osservazione e, infine la previsione e la prevenzione.
In questa ultima sezione del lavoro, Manara cerca di dare una risposta alla cruciale domanda: “che cosa è possibile fare e che cosa si sta facendo per prevenire il rischio rappresentato dagli impatti di asteroidi?”.
In primo luogo, Manara sostiene che le possibilità attuali di una previsione “sicura” di una collisione con la Terra dipende dalla nostra capacità di scoprire tutti i NEA con diametro superiore al chilometro, quelli, in altre parole, che possono causare una catastrofe su scala globale. Forse l’obiettivo sarà raggiunto nei prossimi 10-20 anni e, da quel momento sarà possibile prevedere gli incontri ravvicinati con un anticipo di parecchi decenni. Secondo l’Autore, una volta individuato un asteroide (o anche una cometa) a rischio, a causa della natura caotica del loro moto, sarebbe più facile modificarne l’orbita piuttosto che tentare, drasticamente, di distruggerli.
È opportuno ripetere che il libro analizza il problema della possibilità di collisioni cosmiche da una prospettiva assai complessa. Ciò non toglie che la sua lettura è consigliata non solo agli astronomi e agli appassionati del cielo ma anche, e forse soprattutto, ai politici, perché è spesso dalle loro scelte che dipendono i destini dei popoli.
Una piena presa di coscienza dei politici di tutto il mondo dei rischi connessi agli asteroidi, può portare allo stanziamento di adeguate risorse per il loro studio e per l’individuazione dei mezzi più idonei per annullare il pericolo di catastrofi planetarie.

La Terra nel Mirino.
Asteroidi e probabilità di collisione.
di Alessandro Manara
Ed. Il Castello, 2003
Formato 17×24 cm, pp. 98
Prezzo 16,00 €

Puoi acquistare subito il libro in AstroShop ad un prezzo vantaggioso! Clicca qui

Attenzione: Seti@Home fa BOINC!

0
data info
Data info
Tempo di lettura: 14 minuti

E’ giunta l’ora di passare a BOINC! Dal 15 Dicembre 2005 il Seti@Home Classic chiuderà definitivamente e non sarà più possibile utilizzare il vecchio client per l’elaborazione delle unità.

Indice

  • Introduzione
  • Come Funziona?
  • Le novità
  • Per essere operativi
  • L’interfaccia
  • boinc

    Domande, continue domande ed una incessante sete di risposte: questa la costante che ha caratterizzato l’essere umano fin dalla sua nascita e ne descrive l’essenza. Una delle domande più antiche, che risale alla prima volta che l’uomo ha alzato gli occhi al cielo, è: “Siamo soli nell’universo? Chissà se in uno di quei deboli puntini luminosi c’è qualcuno che si sta facendo la medesima domanda in questo momento…” Questa domanda è custodita nel nostro intimo e molti di noi non sanno come poter trovare una risposta.
    Grazie alla tecnologia oggi disponiamo di mezzi sufficienti per tentare di dare finalmente una risposta: proprio per questa ragione nacque il progetto SETI, ormai famoso e conosciuto in tutto il mondo. Il SETI, Search for Extraterrestrial Intelligence – Ricerca di Intelligenza Extraterrestre – è uno sforzo scientifico e tecnologico volto a determinare la presenza di civiltà intelligenti ed avanzate nell’universo. L’ipotesi di base è che tali civiltà sfruttino le onde radio per comunicare, esattamente come facciamo noi. Intercettando tali segnali si avrebbe quindi la conferma dell’esistenza di vita intelligente al di fuori della Terra.
    I moderni radiotelescopi presenti in ogni continente scandagliano incessantemente il cielo raccogliendo informazioni sottoforma di onde radio. Tutti i dati sono successivamente elaborati per determinare la presenza di informazioni razionali come, ad esempio nel caso del progetto SETI, segnali extraterrestri provenienti da una civiltà intelligente posta in un remoto sistema solare della nostra galassia.
    Oggi il programma continua con grande tenacia la ricerca grazie a finanziamenti privati, senza più alcun supporto dagli enti governativi. Ciò implica maggiori difficoltà nella gestione dei dati ricevuti dai radiotelescopi impiegati, dovute essenzialmente alla necessità di elaborare una enorme mole di dati senza adeguate infrastrutture a disposizione. Fortunatamente, grazie alla nuova frontiera di Internet, è stato possibile aprire una nuova strada, la via del calcolo distribuito.
    Molto brevemente, il calcolo distribuito consente di sfruttare la potenza di elaborazione di milioni di PC dislocati in tutto il pianeta creando virtualmente un colossale unico supercomputer dalla fantastica potenza computazionale impossibile da ricreare nemmeno con uno dei più recenti super-processori, presi singolarmente. In più il fatto veramente positivo è che il costo di tutta questa potenza è infinitesimo, dal momento che la richiesta di risorse ad ogni singolo computer è estremamente piccola, poichè sono le risorse che normalmente restano inutilizzate ad essere impiegate. All’università di Berkeley si sono subito intuite le potenzialità di tale forma di calcolo ed è stata così sviluppata la tecnologia necessaria a sfruttare queste capacità, inventando una procedura di suddivisione e distribuzione dei dati molto semplice ed efficace: i dati grezzi ricavati dai radiotelescopi vengono spezzettati in pacchetti e inviati tramite internet ai vari PC di tutto il mondo; ad elaborazione ultimata i dati vengono inviati nuovamente al centro di raccolta ed analisi. Nasce così a Berkeley il programma Seti@Home incaricato di gestire le elaborazioni ed i flussi di dati.
    Sono trascorsi ormai sette anni dall’avvio del sistema Seti@Home ed inevitabilmente in tutto questo tempo il panorama tecnologico ed informatico è profondamente mutato. In pochi anni l’informatica ha compiuto passi da gigante infrangendo e superando ampiamente, in termini di frequenza di calcolo, la barriera del gigahertz (1000 MHz). Anche Internet è notevolmente cambiata: se nel 1999 erano in pochi a disporre di “veloci” connessioni a 56Kbps, oggi invece sono le velocissime connessioni a banda larga ad essere ormai diffuse capillarmente, fornendo capacità di scambio dei dati inimmaginabili anche solo fino a pochi anni fa. Sono queste le ragioni che hanno spinto il team di programmazione dell’Università della California a Berkeley a realizzare BOINC (http://boinc.berkeley.edu/), il nuovo programma di calcolo distribuito che il 15 Dicembre 2005 sostituirà integralmente il vecchio client Seti@Home.
    E’importante notare che aderire ad un progetto di calcolo distribuito non comporta per noi alcun impegno vincolante: non ci sono quantità minime di dati da elaborare necessariamente né obblighi di alcun genere: il modo in cui si partecipa è del tutto personale, con i mezzi, il tempo e le risorse che si vogliono mettere a disposizione del mondo scientifico. Inoltre è possibile revocare l’adesione in qualsiasi momento senza dovere alcuna spiegazione.


    Recensione Planetario Software RedShift 5

    0
    Redshift
    Redshift
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Redshift

    Arrivato ormai alla sua quinta versione, Redshift si vanta di essere “Il planetario software definitivo”, come recita la confezione, e francamente mi riesce difficile trovare qualche spunto per mettere in dubbio quest’ambiziosa affermazione, dato che l’imponente atlante stellare, completo di circa 20 milioni di stelle e corredato di 70 000 oggetti del cielo profondo, il dettagliato atlante planetario, il simulatore del Sistema Solare e i diversi “tools” di cui è dotato ne fanno un software astronomico di ampio respiro.
    L’installazione, durante la quale è stato richiesto l’inserimento di un codice di sicurezza e di una veloce registrazione da fare on-line, è stata semplice e veloce. La registrazione è necessaria per acquisire il diritto di scaricare gli aggiornamenti del programma e degli archivi di oggetti, direttamente dal sito del produttore, e per far funzionare il software senza che sia richiesto l’inserimento del CD originale sul lettore.
    Dopo essermi goduto la clip di presentazione del prodotto, sono stato finalmente introdotto alla simulazione della volta stellata, corredata da numerosi pannelli di controllo.
    La prima cosa da fare è impostare il proprio punto di osservazione, selezionandolo dalla lista delle città o inserendone manualmente le coordinate. Chi vuole, può situarsi in orbita o sulla superficie di uno qualsiasi dei corpi celesti, compresi comete ed asteroidi, o “imbarcarsi” su una qualche sonda spaziale per osservare l’aspetto del cielo da quella posizione privilegiata.
    La data, l’ora, il livello di zoom, la direzione verso la quale vogliamo osservare, tutti possono essere cambiati facendo uso dei rispettivi pannelli. Aumentando lo zoom agiremo anche sul numero di stelle visibili, simulando la visione del cielo con l’ausilio di strumenti ottici via via più potenti. Gli oggetti visualizzati possono altresì essere filtrati in base alla loro magnitudine, classe spettrale, distanza dal Sole, variabilità, ecc. L’archivio stellare è davvero completo e comprende anche i relativamente recenti cataloghi Hipparcos e Tycho, oltre all’ormai noto Hubble Guide Star. Per quanto riguarda gli oggetti del cielo profondo vi sono tutti i più comuni cataloghi, quali il Messier, l’NGC, l’IC, il PGC. Anche qui le possibilità di filtratura sono limitate solo dalla fantasia dell’utilizzatore e comprendono anche la classificazione delle galassie, quasar, sorgenti radio o X, e chi più ne ha più ne metta. Per molti oggetti è possibile visualizzarne un’immagine dell’aspetto fotografico, ed è possibile anche caricare altre immagini, provenienti da internet o fatte da voi.
    Ogni oggetto è identificabile per mezzo di un semplice click e l’aiuto di un pannello ci informa di tutti i dati che lo caratterizzano, compresi i grafici di visibilità che ne mostrano la posizione in configurazione altazimutale, cioè quella a noi più familiare, rispetto all’orizzonte. Per inciso, l’attivazione di questo pannello creava dei problemi sul mio personal, risolti brillantemente scaricando dal sito della Focus Multimedia l’ultima patch disponibile.

    Gli archivi includono circa 50 mila asteroidi e 1500 comete. La visualizzazione di quest’ultime può essere impostata per mostrarne l’aspetto, il corretto orientamento e la dimensione apparente della coda. È consigliabile aggiornare sovente via internet questi database, come quello dei satelliti artificiali così da garantirsi di disporre sempre dei dati orbitali più aggiornati e completi delle ultime scoperte effettuate.
    Molto utile si è rivelato lo “sky diary” che ci consente di cercare in un dato lasso di tempo eclissi di Sole o Luna, congiunzioni planetarie o stellari e altri fenomeni celesti.
    Mi sono poi goduto una bella visione dei pianeti giganti a 400 ingrandimenti, Saturno e Giove coi rispettivi satelliti. La simulazione è di buon livello e le formazioni superficiali sono ben rappresentate, con la nomenclatura delle formazioni morfologiche principali.

    Completano Redshift 5 una lunga serie di utilità, come il dizionario enciclopedico astronomico multilingue, che mostra i termini in inglese, francese e tedesco e le definizioni in inglese, una galleria fotografica, ulteriormente impinguabile dall’utente, una curiosa e ricchissima lista dei Guinness dell’astronomia (la più grande stella, la galassia più distante, ecc.). E ancora, un registratore di filmati, utile ad esempio per preparare presentazioni animate di eventi come eclissi o congiunzioni da mostrare al planetario o agli amici. Infine un esauriente help in linea utile per prendere dimestichezza con le molte funzionalità del programma.
    In definitiva, il mio giudizio su questo software è certamente positivo e lo ritengo consigliabile sia ai curiosi del cielo sia agli astronomi dilettanti più esperti che necessitino di uno strumento per pianificare le proprie nottate al telescopio o anche solo per divertirsi al computer quando le osservazioni non sono possibili. La precisione esibita dal software nel calcolo delle posizioni planetarie e stellari lo rendono adatto anche per la ricerca di eventi celesti particolari o la rivisitazione di fenomeni passati.

    Redshift 5 è proposto ad un prezzo piuttosto aggressivo (45 Euro), che certamente contribuirà ad accrescerne ulteriormente la sua popolarità, oltre a renderlo ancor più raccomandabile.

    Fermiamo anche questa!

    0
    Monte Mucrone
    Monte Mucrone
    Tempo di lettura: 2 minuti
    Monte Mucrone
    Monte Mucrone

    Dopo la vicenda dei faraglioni di Capri, ecco l’ennesimo politico che ci riprova, in una regione come il Piemonte la cui legge anti inquinamento luminoso, “pensata” da Paolo Soardo, consente opere di questo tipo. Come per il Pilone di Messina, l’Etna e i Faraglioni di Capri: si può tentare di fare qualcosa ?
    Giancarlo Gotta – Alessandria (ggotta@hotmail.com)

    Stralcio articolo La Stampa, 5 dicembre 2003

    Il Mucrone illuminato come il Cervino
    Due potenti riflettori renderanno visibile la vetta dalla pianura

    La Giunta Scanzio: «E’ IL NOSTRO DONO DI NATALE AI BIELLESI».
    L’inaugurazione la sera di martedì 23

    BIELLA. Il monte Mucrone illuminato come la torre Eiffel: è l’inatteso regalo di Natale che la giunta Scanzio ha pronto per i biellesi. La Provincia, accogliendo la proposta dell’associazione Alpina di Sordevolo e della società Pietro Micca, si è lanciata a capofitto nell’insolita impresa. Il fascio di luce bianca rischiarerà gli ultimi 300 metri della vetta, e sarà realizzato da due mega-proiettori da 20 kilowatt che saranno posizionati sui paravalanghe all’altezza dell’alpeggio Sette Fontane. La montagna illuminata sarà visibile a 20 chilometri di distanza: l’impianto, azionabile attraverso un cellulare, entrerà in funzione nelle vacanze natalizie dalle 21,30 all’1,30. Il costo totale è di 42 mila euro: la Provincia contribuirà con 20 mila euro, pari al 48% della spesa, mentre la rimanente cifra è stata raccolta dai due promotori. La cerimonia d’inaugurazione, con tanto di spettacolo pirotecnico, si svolgerà martedì 23 alle 21,30 al colle San Grato, dove si esibiranno le corali alpine e il gruppo «Quintarua». «L’iniziativa ha un’importanza turistica notevole, e nasce sull’onda di operazioni analoghe come quella del Cervino – ha spiegato il presidente della Provincia Orazio Scanzio – Abbiamo pensato di offrire all’intera comunità biellese un dono che non avesse scadenze temporali».

    Gli indirizzi per dare voce a chi desidera esprimere la propria opinione in merito all’ennesima esibizione di cattiva gestione economica e pessimo gusto da parte della pubblica amministrazione.

    Presidente della Provincia di Biella
    Dott. Orazio Scanzio
    Via Quintino Sella 12
    13900 Biella BI
    Fax 015/8480853
    uff_presid@provincia.biella.it

    Prefetto di Biella
    Via Italia 54
    13900 Biella BI
    Fax 015/3590432
    prefetto.biella@utgprefettura.it

    L’Ambasciatore Terrestre

    0
    Tempo di lettura: 5 minuti


    Vi ricordate il romanzo “Galassia che vai”, di Eric Frank Russell? In un prossimo futuro, dopo l’invenzione della “Propulsione Blieder” (sulla quale non vengono forniti molti dettagli, per fortuna) l’umanità si precipita a colonizzare con ritmo esponenziale un mucchio di pianeti e, come in ogni funzione esponenziale che si rispetti, questi pianeti perdono rapidamente e senza troppi rimpianti i contatti con la Terra.

    In un futuro ulteriore, il Governo Terrestrre decide di riallacciare i contatti e manda una spedizione a vedere cosa sia successo: e di cose sembra ne siano successe molte, anche perchè i coloni hanno idee politiche e visioni del mondo decisamente diverse da quelle governative.
    Ricordo che, alla prima lettura, l’unica pecca che ero riuscito a trovare al romanzo era stata quella di limitarsi a tre pianeti. E ricordo anche il personaggio del Primo Ambasciatore (forse non si chiamava così, ma il concetto era quello). Aveva la possibilità di scegliere il pianeta sul quale risiedere e stabilire il Consolato Terrestre; però doveva tenere nella dovuta onsiderazione il fatto che si sarebbe trattato di una decisione immediata e definitiva: senza poter aspettare di vedere anche TUTTI i rimanenti prima di scegliere.
    Fermo restando che Russell disegna la figura del Primo Ambasciatore con tratti tali da farvi ardentemente sperare che non scelga il vostro pianeta, il problema che si pone a questo personaggio è piuttosto interessante. Cerchiamo di calarci nei poco confortevoli panni di colui che prima o poi dovrà prendere la decisione.
    Supponiamo che ci sia giunto (in triplice copia, chiaramente) l’ordine di guidare una spedizione che visiterà cento pianeti; noi, nel ruolo del Primo Ambasciatore, ogni volta che ne visitiamo uno possiamo dire “Sì!”, nel qual caso successivamente ad un discorso di accettazione dell’incarico trasferiremo lì armi e bagagli; oppure “No!”, e allora non rivedremo mai più quel pianeta (con indubbio sollievo degli indigeni).
    Che strategia dovremmo utilizzare, per massimizzare le probabilità di scegliere il pianeta migliore?
    L’idea è naturalmente quella di rifiutarne un certo numero e poi scegliere il primo che sia più bello di tutti i precedenti (sperando che ne arrivi uno), ma quello che vorremmo sapere è quanto vale quel “certo numero”. Sarebbe anche interessante sapere che probabilità abbiamo, con la strategia prescelta, di trovare proprio il pianeta migliore tra i cento da visitare. Se siete riusciti a rispondere alle domande precedenti, potreste pensare a qualche generalizzazione: ad esempio, èabbastanza probabile che entro breve tempo il Primo Ambasciatore venga eliminato dagli indigeni (palesando così come la sua scelta non sia stata proprio delle migliori). Ed è anche abbastanza probabile che, visto il successo (da un punto di vista terrestre) della spedizione, il Governo decida di rimediare alla prossima sovrabbondanza di burocrati organizzando un nuovo identico tour.
    Il Primo Ambasciatore di questo secondo viaggio conosce la strategia applicata dal suo (non troppo) compianto collega della prima spedizione, e quindi sa che la semplice ripetizione del suo metodo non conduce a risultati particolarmente soddisfacenti (almeno per lui: gli indigeni sembra che si divertano moltissimo).
    Come gli suggerireste di cambiare la strategia di scelta?
    E c’è comunque il rischio che la storia si ripeta ancora: e se va avanti così, prima o poi tutti i burocrati dovranno studiarsi un metodo che tenga conto del fatto che tutte le scelte precedenti erano, per un verso o per l’altro, sbagliate. Come vi comportereste allora, in funzione del numero d’ordine della spedizione?

    La Luce è Vita e Progresso a proposito di inquinamento “LUMINOSO”

    0
    Tempo di lettura: 3 minuti
    Nel numero 43 di Famiglia Cristiana, Antonino Zichichi ha espresso il proprio parere in tema d’inquinamento luminoso, con ragionamenti e affermazioni a dir poco singolari. I lettori potranno leggere qui sotto la trascrizione completa di quanto affermato dal fisico siciliano, e decidere in piena libertà sulla necessità o meno di indirizzare al direttore del settimanale Beppe del Colle le rimostranze per un messaggio che raggiungendo milioni di persone ha fortemente nuociuto all’immagine di quanto si sta costruendo per ovviare a questo problema. L’indirizzo e-mail è: famigliacristiana@stpauls.it

    L’industria che produce scaricando veleni nelle acque di un fiume va condannata per il delitto d’inquinamento. Se tutto diventa emergenza, crolla l’impegno per combattere le “emergenze planetarie”. Abusare del termine “inquinamento” porta ad abbassare la guardia contro i nemici del vivere civile. A tutti piacciono lo spettacolo di una notte stellata e il fascino di quella strana sorgente di luce – la Via Lattea – che per millenni si pensava fosse il riflesso della luce solare e che sappiamo invece essere una distesa sterminata di stelle come il nostro sole.

    Sarebbe segno di grande civiltà se si arrivasse, con una certa periodicità ad avere una notte senza luci artificiali, per avere a portata di mano lo spettacolo del cielo stellato e della Via Lattea. Le città spente, per atto di civiltà. Non perché le luci artificiali sono fonte di “inquinamento”. La luce non avvelena l’aria come fanno gli scarichi di tante industrie. La luce non rende sordi come fa l’inquinamento sonoro. La luce non provoca il cancro ai polmoni come fa il fumo passivo di cui continuiamo a essere vittime, nonostante le leggi che lo proibiscono.

    Diciamo quindi ai nostri amici astrofili che il loro impegno per educate la gente a volgere gli occhi verso il cielo stellato e la Via Lattea non deve avere conseguenze diseducative verso l’impegno a combattere le pericolose sorgenti di inquinamento ambientale. I nostri amici astrofili debbono agire da educatori facendo capire al grande pubblico che la luce non è sorgente d’inquinamento. La luce artificiale è una delle più grandi conquiste dell’intelletto umano.

    Per millenni e millenni, in tutti i continenti, tutte le civiltà avevano cercato di decifrare questo formidabile mistero del Cosmo: cos’è la luce?

    Ci sono voluti 200 anni di esperimenti per arrivare alla superba sintesi di Maxwell (il grande fisico scozzese vissuto nel XIX secolo), le cui quattro equazioni rappresentano l’atto di nascita dell’elettromagnetismo. Questo atto di nascita ha permesso di capire che la luce è una delle innumerevoli manifestazioni di quella forza fondamentale della Natura generata da quella quantità fisica cui è stato dato il nome di “carica elettrica”. Colori, sapori, tatto, gusto, olfatto, udito, vista, sono esempi di ciò che produce questa carica. Facendo vibrare questa “carica elettrica” si producono onde elettromagnetiche di energia diversa.

    Al livello minimo ci sono le onde radio. Poi vengono le onde radar. Poi vengono le onde tv. Più in alto ci sono le onde radar. Ancora più in alto la luce. Poi i raggi X e a livello estremo i raggi detti “gamma”. L’ultima novità delle scoperte astrofisiche sono i “lampi raggi di gamma”. Fenomeni celesti ancora tutti da capire.

    Lo spettacolo di un cielo stellato è certamente affascinante. Ma la scoperta delle equazioni di Maxwell è dotata di fascino ancora più potente. Da queste formule matematiche nascono la luce delle nostre lampade, la radio, la televisione e l’enorme quantità di strumenti tecnologici a noi indispensabili, inclusi i rivelatori dei “lampi cosmici di raggi gamma”.

    Se l’uomo si fosse fermato a contemplare lo spettacolo delle notti stellate, saremmo ancora all’età della pietra.

    La luce nelle città è indice di progresso. E infatti le immagini sei satelliti parlano chiaro. La sacca di disperazione e di morte per inedia è in quelle zone del mondo rimaste ancora nel buio, nonostante le equazioni di Maxwell. In quelle zone muoiono ogni anno milioni di nostri fratelli e sorelle. Sono zone in cui vivono – secondo le stime più recenti – 800 milioni di persone che ogni sera possono godersi lo spettacolo di un cielo stellato, ma non hanno luce per leggere, né cibo per sfamarsi, né medicine per curarsi.

    Noi amanti delle stelle abbiamo il sacrosanto diritto di osservare lo spettacolo di una notte stellata; a questo traguardo dobbiamo però arrivare non dicendo che la luce è fonte di “inquinamento”, ma ancorando le nostre legittime richieste al fascino delle conquiste legate alla scoperta dell’elettromagmetismo.

    Ambigui Messaggi Arrivati dallo Spazio

    0
    Esempio di decodifica di calcoli alieni
    Esempio di decodifica di calcoli alieni
    Tempo di lettura: 7 minuti


    E’ davvero difficile immaginare cosa si possa provare nel ricevere un messaggio da una civiltà aliena. Immaginiamo che sia un momento davvero emozionante, ma il condizionale è d’obbligo, visto che a noi non mai è capitato nulla del genere (benché alcune risposte al problema del mese scorso palesino una provenienza certamente transplutoniana); siamo però ragionevolmente sicuri che, appena placata l’euforia iniziale e i relativi festeggiamenti, un dubbio attanaglierà la nostra mente: “E adesso, cosa rispondiamo?”.
    Non è domanda da poco: anzi, forse è proprio per questa ragione che noi ci siamo già affrettati (“noi” intesi come “esseri umani”, non come “tenutari della rubrica”) ad inviare messaggi esplorativi; parlare per primi è un gran bel modo per scaricare la patata bollente negli altrui tentacoli (o pseudopodi, o escrescenze, o mani, o qualsiasi cosa ne faccia le veci; e sempre che siano in grado di sostenere una patata).
    Cosa dovrebbe contenere un messaggio di risposta? Trascuriamo per un instante i quasi insormontabili problemi di tempo e spazio, e concentriamoci soltanto sui contenuti: probabilmente il messaggio iniziale ha già codificato una sorta di “sintassi”, e inevitabilmente dovremmo mostrare di sapere usare la stessa, se non altro per palesargli che siamo una specie sufficientemente intelligente. E visto che lo avranno già fatto loro, non sarà certo il caso di mettersi lì a ripetere le costanti universali o i numeri primi. Occorrerebbe trasmettere, insomma, qualcosa che sia al tempo stesso per loro comprensibile, ma anche “caratteristico” della nostra specie. Una buona ipotesi potrebbe essere quella di descrivere un metodo per fare qualcosa che ogni civiltà evoluta deve saper fare, ma che verosimilmente ogni civiltà evoluta fa in maniera diversa dalle altre. Sembra una cosa davvero complessa da immaginare; cosa ci può mai essere di abbastanza comune da poter essere presupposto in una civiltà aliena e nel contempo anche abbastanza alieno, da poter essere fatto in maniera diversa?
    Beh, noi conosciamo cinque modi diversi per fare una moltiplicazione (quello solito, a??? veneziana, russo, egizio e cinese), ottenendo sempre lo stesso risultato: e siamo certi che di metodi ne esistono anche di più. Potrebbe essere questa la strada da percorrere? Riuscirebbero i nostri amici tentacolati e pluriocchiuti a capirci?

    Esempio di decodifica di calcoli alieni
    Esempio di decodifica di calcoli alieni

    Per verificare questo punto facciamo una prova: supponiamo che una popolazione aliena riceva uno dei messaggi inviati dalla Terra e decida di rispondere spiegandoci, attraverso una serie di esempi, il loro modo per calcolare un prodotto tra interi. Siamo riusciti a tradurre il messaggio quasi interamente, e ci mancano solo due simboli che sembrano strettamente legati al metodo utilizzato per far di conto; sono quelli che nella tabella indichiamo con “” e ““. Tutti gli altri simboli sono già tradotti e i numeri compaiono nella nostra solita forma decimale; quel che abbiamo capito è che, secondo gli alieni, nella colonna sinistra abbiamo l’operazione compiuta (così come la scriveremmo anche noi), mentre a destra è indicato proprio il calcolo vero e proprio che loro fanno per ottenere il risultato.
    Ora, per evitare di sospendere i rapporti interstellari ancora prima di iniziarli, quello che vorremmo sapere è quando si usa un simbolo e quando l’altro. O come si decide “quanti” usarne; insomma, cosa sono, i due simboli?


    Se questo problema vi sembra troppo facile, potreste provare con il messaggio simile arrivato dagli appartenenti ad una terza civiltà; questi ultimi, decisamente più laconici, si sono limitati a due sole moltiplicazioni, che trovate nella seconda tabella.

    Altro esempio di decodifica
    Altro esempio di decodifica

    E anche qui bisognerebbe proprio capire cosa mai possano essere quei “” e “”. Se pensate che da informazioni come queste sia impossibile ricavare notizie interessanti su chi le ha inviate, sappiate che c’è stato qualcuno che ne ha ricavato abbastanza per fare la seguente affermazione “…l’origine della prima civiltà è evidentemente legata ad attività stanziali di tipo agropastorale…” e anche che “…devono esserci stati contatti in tempi remoti tra le due civiltà…”. Non pretendiamo che riusciate a giustificare queste affermazioni dalla sola analisi delle tabelle (anche se, ripetiamo, c’è chi lo ha fatto), e non ci sentiamo neppure di considerare questo come un aiuto nella soluzione, ma non si può mai dire…

    Tuffiamoci con le Pleiadi nelle onde della Luna

    0
    posizioni Luna
    Figura 1. Posizioni occupate dalla Luna a partire dalle ore 18 TU del 18/2/94 (posizione 0), ad intervalli costanti di 27.3215 giorni, corrispondente ad 1 periodo siderale medio.
    Tempo di lettura: 9 minuti

    E’ una metafora bizzarra? Non troppo, come vedremo! Sta per iniziare un periodo di sei anni in cui la Luna incontrerà le Pleiadi ogni mese, dando luogo ad un ciclo di occultazioni, delle quali poco più di una ventina osservabili dall’Italia (la prima sarà di Atlante, il 20/10/2005, visibile dalla Sicilia). Passata questa ondata, dopo il febbraio 2011, occorrerà aspettare fino al 2023 per averne una nuova, anch’essa della durata di sei anni. Ma le Pleiadi sono in fondo una scusa per porci una domanda: come mai questa attesa? Ovvero, come mai la Luna, nel suo moto di rivoluzione, non segue sempre lo stesso percorso, proiettandosi sempre nelle stesse posizioni del cielo?

    posizioni Luna
    Figura 1. Posizioni occupate dalla Luna a partire dalle ore 18 TU del 18/2/94 (posizione 0), ad intervalli costanti di 27.3215 giorni, corrispondente ad 1 periodo siderale medio.

    Ebbene, di tutti gli oggetti del Sistema Solare, la nostra Luna è proprio quello il cui moto è più ondivago e più difficile da descrivere matematicamente. Non dico che si muova come un marinaio ubriaco, ma almeno un po’ alticcia lo è, basta guardare la Figura 1. Questa rappresenta una regione della volta celeste attorno alle Pleiadi, con le posizioni occupate dalla Luna “fotografate” ad intervalli costanti di 27.3215 giorni (corrispondenti al periodo medio siderale di rivoluzione). Per ricavare matematicamente quelle ali di farfalla, anche se solo con la precisione di un mezzo minuto d’arco, sarebbero necessari centinaia di termini correttivi da aggiungere a quelli che descrivono una semplice orbita Kepleriana. E’ chiaro che, usando un modello e uno strumento di calcolo che tengano conto di tutte le perturbazioni (in massima parte dovute all’attrazione gravitazionale del Sole), la posizione della Luna in ogni istante può essere ricavata con precisione senza problemi, ma la nostra ambizione di visualizzare e comprendere concettualmente, anche se in maniera approssimativa, il percorso celeste del nostro satellite, affoga così nel guazzabuglio della complessità matematica. In questo mare agitato, è possibile trovare non dico una scialuppa, ma almeno un salvagente?

    sfera celeste con l’eclittica e la traccia dell’orbita lunare
    Figura 2. La sfera celeste con l’eclittica e la traccia dell’orbita lunare. La luna percorre l’orbita in senso antiorario. Per effetto della gravità solare la linea dei nodi ruota in senso orario, facendo un giro competo in 18.61 anni.

    Proviamo a fare una semplificazione, tagliando via il grosso del problema e tenendocene appena un pezzetto. Interessiamoci solo del percorso seguito dalla Luna sulla volta celeste, senza preoccuparci del momento in cui si troverà in ciascun punto di quel percorso, né della distanza da noi. Abbiamo così rimosso la variabile tempo.
    Immaginiamo ora di orientare la sfera celeste, ruotandola in modo che il piano “orizzontale” coincida con il piano dell’eclittica.
    Il percorso della Luna sulla sfera sarà un cerchio massimo che interseca il nostro piano “orizzontale” lungo una retta (chiamata linea dei nodi), formando un angolo i (chiamato inclinazione), che è in media 5.16° (Figura 2). Immaginiamo ora di aprire la sfera come la buccia di un’arancia, dopo averne rimosse le calotte superiore e inferiore, e di distendere poi su di un piano ciò che rimane. La superficie della corona sferica si trasforma così in un rettangolo, il cui asse orizzontale indicherà la longitudine eclittica e quello verticale la latitudine eclittica (Figura 3).

    Planisfero celeste in coordinate eclittiche, con la sinusoide che descrive il percorso della Luna nel Febbraio-Marzo 2005.
    Figura 3. Planisfero celeste in coordinate eclittiche, con la sinusoide che descrive il percorso della Luna nel Febbraio-Marzo 2005. Per esaltare l’ampiezza della sinusoide la scala verticale (riportante la latitudine celeste) è stata raddoppiata, per cui le costellazioni appaiono distorte.

    Ed ecco che in questa mappa il percorso della Luna si è trasformato in una curva che chi mastica un po’ di trigonometria riconoscerà come una sinusoide (a rigore non lo è, ma ci si avvicina quasi esattamente). I “nodi” della sinusoide, cioè i punti in cui questa interseca l’asse orizzontale, corrispondono proprio ai nodi ascendente e discendente dell’orbita (vedi Figura 2), mentre l’ampiezza è uguale alla inclinazione i (5.16°). Ad ogni rivoluzione, della durata media di 27.3215 giorni, la Luna percorrerà la curva da destra verso sinistra… ma non sarà sempre la stessa sinusoide. Già, perché il principale effetto dell’attrazione solare è di far ruotare la linea dei nodi nel piano dell’eclittica in direzione opposta al moto della Luna, con un giro completo ogni 18.61 anni. A causa di questa “precessione dei nodi” la nostra curva si sposta verso destra nel piano orizzontale in media di circa 1.45° ad ogni rivoluzione, “uscendo” da destra e “rientrando” da sinistra, fino a tornare nella posizione originale dopo 18.61 anni. Volendo essere un po’ più precisi, c’è da dire che l’inclinazione non è costante, e la precessione dei nodi non è uniforme, ma entrambe subiscono delle piccole oscillazioni attorno al loro valore medio, introducendo così un po’ di imprecisione nel nostro modello di sinusoide mobile, di cui si terrà però debito conto.

    Siamo ora quasi del tutto equipaggiati con uno strumento adatto a descrivere i cicli di occultazioni. Ci manca solo un’altra considerazione. Quanto detto fin’ora vale per una Luna puntiforme, che sia vista dal centro della Terra. La Luna ha invece un raggio apparente (cioè l’angolo visuale che sottende nel cielo) di 0.26 ± 0.02° (a seconda della distanza). Inoltre noi non la osserviamo dal centro della Terra, ma da un punto della sua superficie che, a seconda della località e del moto diurno del nostro pianeta, può “vedere” la Luna in una posizione che differisce da quella “geocentrica” fino a 1° (vedi Figura 4).

    Effetto della parallasse e della rotazione terrestre
    Figura 4. Effetto della parallasse e della rotazione terrestre: vista dall’ Oceano Indiano, fra le Seichelles e le Maldive, il 5/3/2006 la Luna “schiva” le Pleiadi. Le linee superiore e inferiore rappresentano i percorsi del centro della Luna visti rispettivamente dal Polo Sud e dal Polo Nord.

    Ne consegue che, perché in qualche punto della Terra sia visibile l’occultazione di una data stella, basta che la Luna passi entro 1.2° dalla stessa (± 0.1° a seconda della distanza della Luna). Possiamo allora concludere che una occultazione si può verificare solo se la sinusoide di Figura 2 passa a meno di 1.2° dalla stella, con un margine massimo di incertezza di ± 0.25°, che tiene conto sia dell’intervallo entro il quale può variare la distanza Terra-Luna, sia di quello entro cui può variare l’inclinazione dell’orbita lunare.

    Il gioco è fatto! Possiamo tornare alle Pleiadi, e per esse riferirci alla stella più brillante dell’ammasso, η Tauri, Alcyone. Supponiamo di essere al Capodanno del 2005: la longitudine media λ della Luna è 165.0°. Con l’aiuto di un software grafico, o anche solo di una matita, un foglio di carta millimetrata e una calcolatrice tascabile, possiamo disegnare la sinusoide di Figura 5. Per farlo ci basta conoscere un solo dato: la longitudine media del nodo ascendente all’epoca considerata, (28.3° al 1/1/05), mentre l’ampiezza la conosciamo già, perché è uguale alla inclinazione media, cioè 5.16°. La Luna percorrerà la sinusoide da destra verso sinistra, partendo dalla longitudine di 165°, alla velocità media di 13.1764° al giorno, ma potrà essere in anticipo o in ritardo rispetto alla posizione “media” fino a 8°, corrispondenti a circa 0.6 giorni. Sopra e sotto la sinusoide ne sono tracciate altre due, sfalsate di ± 1.2° in verticale rispetto alla prima, che delimitano la zona del grafico, entro la quale deve trovarsi una stella perché sia osservabile (da qualche punto sulla Terra) una occultazione.

    Posizione e percorso “medi” della Luna alle 0 TU del 1/1/2005
    Posizione e percorso “medi” della Luna alle 0 TU del 1/1/2005 (curva centrale). Le curve nere superiore ed inferiore delimitano la fascia di osservabilità di una occultazione. La banda verde indica la zona in cui le occultazioni sono certe, mentre le bande arancioni indicano le zone entro cui il verificarsi dell’ evento dipende dalla deviazione istantanea della Luna dal percorso “medio”, ed è tanto più probabile quanto più si è vicini alla banda verde. Per effetto della precessione dei nodi, le curve si spostano verso destra di 1.45° ad ogni periodo lunare, completando il percorso di 360° in 18.61 anni.

    Il contorno di questa fascia non è netto, ma è sfumato nelle zone arancioni della figura, corrispondenti al margine di incertezza visto prima di ± 0.25° in latitudine. Nel grafico sono state inserite, ricavandole da un catalogo, le posizioni di alcune stelle brillanti situate in vicinanza dell’eclittica. Alcyone viene a trovarsi all’esterno della sinusoide superiore, distante da questa circa 2° di longitudine, ma entro la “zona arancione”. Secondo il nostro strumento grafico, ciò significa che in Gennaio una occultazione potrebbe essere possibile (anche se non molto probabile): quando? Se la longitudine (media) di partenza è 165°, la Luna dovrà percorrere 255° (“uscendo” da sinistra e “rientrando” da destra), e, alla velocità media di 13.1764 °/giorno, raggiungerà le Pleiadi dopo 255/13.1764 = 19.35 ± 0.6 giorni, cioè il 19 o il 20 gennaio. Di fatto la Luna sarà (o è stata) in congiunzione con le Pleiadi alle 22 TU del 19 gennaio, ma senza dare occultazioni. Ora immaginiamo di traslare le curve pian piano verso destra nel movimento della precessione dei nodi. Quattro settimane dopo si sono spostate di 1.45°, e Alcyone tocca la sinusoide superiore: una occultazione diventa abbastanza probabile, ma il punto di vista deve trovarsi abbondantemente al di sotto dell’eclittica, quindi nell’emisfero meridionale. Di fatto ci sarà, il 16 Febbraio, la prima occultazione, visibile nel Pacifico meridionale. Nei mesi successivi la nostra “onda”, continuando a spostarsi verso destra in media di 1.45° ad ogni periodo lunare, “sommergerà” Alcione, e ci sarà così una occultazione ad ogni passaggio della Luna. Continuando lo spostamento, la stella rimarrà costantemente entro la fascia di visibilità delle occultazioni, riemergendone solo dopo uno scorrimento complessivo di 116°.

    Quanto tempo impiega la sinusoide a scorrere di 116° ? Se ci vogliono 18.61 anni a fare tutto il giro di 360°, il tempo necessario sarà 18.61•116/360 = 6.0 anni dal Capodanno del 2005. Per avere poi la occultazione successiva, occorrerà ritornare pressappoco nelle condizioni della prima, il che avverrà dopo 18.61 anni dal febbraio del 2005, quindi nel settembre del 2023.
    Ora, la Tabella 1 riporta una selezione delle occultazioni (visibili e non) di Alcione nel prossimo e nel successivo ciclo, calcolate con il programma SOLEX (vedi Coelum no. 64) e tutta la precisione possibile. L’ultima del prossimo ciclo (quasi invisibile nella luce crepuscolare a Sud della Terra del Fuoco, bassissima sull’orizzonte) vi sarà il 19/12/2010: mancheranno pochi giorni a 6.0 anni! La prima del successivo ciclo (visibile nel Mare Antartico a Sud dell’Australia) si avrà il 5 settembre 2023!
    Direi che il salvagente per non affogare con la mente nelle onde del moto lunare lo abbiamo trovato! Anzi, forse è anche qualcosa di più, dato che la variabile tempo, uscita dalla porta, è poi in parte rientrata dalla finestra… La nostra mappa eclittica di Figura 2, insieme a un righello e a una matita, ci può infatti servire a prevedere se e quando sarà possibile una occultazione lunare di una qualsiasi stella, e quanto durerà il ciclo di occultazioni della stessa. Ci può mostrare ad esempio che una stella molto vicina all’eclittica (es. Regulus) non darà un solo e prolungato ciclo di occultazioni in un periodo di 18.6 anni, ma due più brevi, o che la prossima occultazione di Aldebaran ci sarà fra 10 anni… ma non vorrei dilungarmi troppo, e non vorrei togliere a chi fosse interessato la soddisfazione di provare da solo! Naturalmente le previsioni sono solo approssimative, e una parte delle occultazioni potrebbe avvenire di giorno e perciò non essere visibile. Questo purtroppo le nostre sinusoidi non ce lo possono dire, come pure non possono dirci esattamente quando e dove sarà osservabile ciascuna occultazione. Ma in fondo un semplice salvagente (o un canottino) servono per restare a galla, non per doppiare Capo Horn!

    Tabella 1. Selezione delle occultazioni di Alcione nei prossimi due cicli (sono dati i tempi della minima distanza geocentrica). Quelle marcate da un asterisco sono visibili dal territorio italiano. β è la latitudine della Luna.


    No.

    Data
    Ora
    (TDT)

    Dmin (°)

    β (°)
    1 2005/02/16 05:35 1.084 2.969
    2 2005/03/15 13:59 0.897 3.157
    3 2005/04/11 23:09 0.844 3.209
    4 2005/05/09 07:43 0.875 3.178
    5 2005/06/05 14:50 0.877 3.176
    ……….
    22* 2006/09/12 21:06 0.739 4.789
    23 2006/10/10 06:13 0.707 4.757
    24 2006/11/06 16:54 0.621 4.672
    25* 2006/12/04 03:13 0.605 4.655
    ……….
    51* 2008/11/13 20:26 0.736 4.787
    ……….
    60* 2009/07/18 02:57 0.540 4.590
    ……….
    76 2010/09/28 06:20 1.012 3.041
    77 2010/10/25 11:56 1.183 2.871
    78 2010/12/19 03:45 1.198 2.856
    79 2023/09/05 20:52 1.113 2.941
    80 2023/10/03 05:47 0.991 3.062
    81 2023/10/30 15:51 0.988 3.065
    ……….
    92* 2024/08/26 03:39 0.125 4.176
    ……….
    100* 2025/04/01 20:57 0.644 4.695
    101 2025/04/29 07:05 0.568 4.618
    102 2025/05/26 17:53 0.535 4.585
    103* 2025/06/23 03:29 0.612 4.662
    ……….
    135* 2027/11/14 18:58 0.497 4.547
    136 2027/12/12 04:38 0.527 4.577
    137 2028/01/08 15:11 0.609 4.659
    138* 2028/02/05 00:32 0.610 4.660
    ……….
    155 2029/05/14 04:02 1.104 2.949
    156 2029/06/10 10:52 1.082 2.971
    157 2029/07/07 18:44 1.072 2.982

    Nota: Le occultazioni più interessanti per l’osservazione sono quelle che si verificano dalla metà di Febbraio alla metà di Aprile, perché in questo periodo la posizione del Sole è tale che la Luna nelle Pleiadi, si trova entro il quarto crescente, e quindi il primo contatto con la stella avviene sul lembo oscuro e non su quello illuminato.

    Libia 2005: Anello di Fuoco nel Deserto

    0
    Leptis Magna
    Leptis Magna
    Tempo di lettura: 12 minuti
    cammello
    Cammello

    Dopo l’ultimo viaggio all’isola di Sal dell’arcipelago di Capo Verde nel Febbraio di quest’anno, Coelum Viaggi ritorna in pista con destinazione Libia, per l’osservazione dell’eclisse anulare di Sole del 3 Ottobre 2005 e dello sciame delle Draconidi, per le quali è previsto quest’anno un possibile outburst, in coincidenza col ritorno della cometa progenitrice, la 21P/Giacobini Zinner. La scelta del luogo, tiene conto della durata massima dell’eclisse ,delle statistiche meteo e naturalmente della possibilità di abbinare alle osservazioni astronomiche un interessantissimo tour nel Sahara, visitando località di straordinario interesse naturalistico e archeologico.

    Il viaggio, come di consueto viene organizzato in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia di Ferrara, la Coop Camelot e l’agenzia di viaggi CTM Robintur di Modena e conta 15 partecipanti: i veterani Ferruccio Zanotti, Esther Dembitzer, Maurilio Grassi e Paolo Minafra e le new entry Carlo Baletti, Luca Baletti, Laura Porta, Walter Brogi, Cosimo Brogi, Anna Francini, Monica Bauso, Luciano Padovani, Ulia Silingardi e Alena Ellen Pokutova, oltre naturalmente al sottoscritto.

    Ci imbarchiamo a Roma il 30 Settembre con un volo della Libyan Arab Airlines in forte ritardo e in serata arriviamo all’aeroporto di Tripoli in cui ci scontriamo immediatamente con le prevedibili lungaggini burocratiche relative a timbri, visti, controlli e passaporti, che addirittura sfociano nel sequestro dei due telescopi Pentax 75 SDHF, appartenenti ad Esther e Luca, per imprecisati motivi di sicurezza, con la promessa della restituzione soltanto al nostro ritorno.
    Anwer, la nostra guida, che sarà fondamentale e disponibilissimo per tutta la durata del viaggio, purtroppo in questo frangente non è in grado di aiutarci, rammaricandosi di come nel suo paese, possano verificarsi episodi veramente assurdi.

    Leptis Magna
    Leptis Magna

    A riprova di ciò, altra strumentazione astronomica in nostro possesso come il mastodontico Dobson da 25 cm, riesce a passare i controlli senza alcun problema. Prima di cenare all’Hotel Bab Albahar, in cui pernotteremo, Anwer ci accompagna a visitare l’arco di Marco Aurelio e la pittoresca città vecchia, tra nugoli di bambini, bancarelle con le mercanzie più varie e le onnipresenti gigantografie del colonnello Gheddafi.
    Sabato 1 Ottobre ci attende la visita della famosa Leptis Magna, un sito archeologico che conserva resti imponenti e spettacolari dell’antica Roma, come l’arco dei Severi, le terme di Adriano, la strada colonnata che giunge al porto, il Foro, la Basilica dei Severi, il mercato ed il teatro, veramente grandioso, nel cielo limpido e con il mare sullo sfondo.

    dobson
    Autisti e cuochi

    Dopo il pranzo in un vicino ristorante, visitiamo il museo e l’anfiteatro, prima del volo in serata per Sebha, la cittadina da cui partono le spedizioni che si addentrano nel deserto.
    Dopo una notte al modesto Hotel Fezzan, carichiamo gli innumerevoli bagagli sui fuoristrada che ci accompagneranno nell’impegnativo tour e facciamo conoscenza con gli autisti ed i cuochi, che dovranno provvedere al nostro sostentamento, visto che per diversi giorni saremo assolutamente isolati dal resto del mondo.

    parry
    Arco di Parry

    Il cielo, velato da un sottile strato di cirri e da sabbia in sospensione dà luogo ad un fenomeno di alone, sormontato da un rarissimo arco di Parry dalla forma a cuneo, mai visto prima d’ora. Partiamo per l’oasi di Al Fogaha, 200 km a NE di Sebha, nelle cui vicinanze l’indomani osserveremo l’eclisse e ci prepariamo ad incontrare Romano Serra, grande esperto di meteoriti e vecchia conoscenza dei nostri viaggi, che ci ha dato appuntamento, con tanto di coordinate proprio nel primo pomeriggio.

    Egli è già sul luogo da alcuni giorni, per cercare meteoriti nella regione del Dar El Ghani, dopo esservi giunto con un fuoristrada direttamente dall’Italia e grande è la speranza di poterci veramente incontrare. Purtroppo un guasto ad una delle nostre jeep ci fa arrivare tardi sul luogo dell’appuntamento e quando il GPS segna le coordinate stabilite, non vediamo nessuno ad attenderci. Gli autisti ed i cuochi si danno quindi da fare per preparare il pranzo appostandosi all’ombra di un palmeto in un vicino canyon e riparandosi dal caldo sempre più opprimente.

    dune
    Dune

    Mi consulto con Anwer e decidiamo di effettuare un altro sopralluogo per cercare Romano, prima di abbandonare definitivamente le speranze e questa volta la fortuna ci dà una mano: magicamente, in lontananza sul lungo rettilineo della strada per Al Fogaha, in direzione opposta ala nostra, vediamo giungere un veicolo che procede lentamente, quasi un miraggio. Ci affianchiamo e un uomo in canottiera dall’aspetto stanco e accaldato, con la barba lunga di giorni, ci guarda incredulo.

    E’ lui, Romano! Saltiamo fuori dalle auto e festeggiamo l’incredibile incontro, facendo presto conoscenza anche con gli altri 4 componenti della sua spedizione. Tutti assieme, ci dirigiamo così nel punto previsto per l’osservazione dell’eclisse (lat. 27° 37.630 N e long. 16° 07.500 E ) e gli autisti allestiscono il campo tendato per la nostra prima notte nel deserto. L’emozione è grande, il luogo si presenta come una distesa desolata e assolutamente piatta in tutte le direzioni ed il silenzio è assoluto. Comincio a prendere confidenza con la mia tenda igloo, mentre alcuni di noi preparano la strumentazione, altri attendono la cena ed Ellen, Monica ed Esther, sullo sfondo del Sole al tramonto, rapite dall’atmosfera si danno allo yoga. In serata il cielo è spettacolare, ma mentre mangiamo, annuvolamenti si alternano a schiarite ed addirittura cade qualche goccia di pioggia.

    Romano
    Romano

    Non è il momento di montare il Dobson, e approfittiamo di qualche squarcio per illustrare un po’ di costellazioni al pubblico con il potente laser verde di Ferruccio. Lunedì 3 ottobre, ci si sveglia all’alba, con il vociare degli autisti che preparano la colazione, osservando un cielo plumbeo, quasi padano. Ci guardiamo un po’ preoccupati e tutti quanti speriamo nella buona sorte. Nell’attesa dell’evento Romano ci mostra il suo personale bottino di meteoriti, una ventina di condriti ordinarie ed una molto probabilmente di origine marziana, trovate in questi giorni nelle sue peregrinazioni. Fortunatamente il cielo si rasserena e quando alle ore 10.03 locali inizia l’eclisse, tutti si armano di occhialini e di filtri iniziando a filmare e fotografare il fenomeno.

    Anello
    Anello

    Tutto procede bene fino al momento del secondo contatto, alle 11.33 locali, quando, con una precisione che ha dell’incredibile, una leggera nuvolaglia comincia a coprire il Sole, che in quel momento ha un’altezza sull’orizzonte di 54,3°.

    Anello
    Anello

    Con nostro sollievo, tuttavia, si tratta di nubi sufficientemente trasparenti, da permetterci l’osservazione del momento clou senza l’uso dei filtri e di ammirare quindi il sottile anello luminoso di Sole (la grandezza dell’eclisse è circa 0,9), ad occhio nudo in uno scenario altamente suggestivo creato dal contorno di nubi chiare e scure che in alcuni punti assumono addirittura una colorazione giallo-arancione.

    Eclisse
    Eclisse

    Luca ha le lacrime agli occhi dall’emozione e tutto intorno a noi il calo di luce è sensibile. La durata dell’anularità è di 4 minuti e 25 secondi, il terzo contatto avviene alle 11.38 locali e l’eclisse termina alle 13.14 locali.

    filtro
    Filtro

    Nel primo pomeriggio smontiamo il campo, salutiamo Romano ed i suoi amici, che proseguono le loro ricerche e andiamo noi stessi a caccia di meteoriti una trentina di km più a sud, anche se gli unici ritrovamenti degni di nota sono alcune rocce di arenaria con inclusioni di ematite, che testimoniano un lungo contatto della roccia con l’acqua, del tutto simili ai “mirtilli” marziani scoperti dalle sonde Spirit e Opportunity.

    Dopo aver ammirato un canyon veramente grandioso, facciamo il campo nelle vicinanze e procediamo in serata con l’osservazione binoculare e con il telescopio dei principali oggetti celesti del periodo, accompagnati dai canti degli autisti seduti attorno al fuoco, e notiamo come Scorpione e Saggittario, nonché Fomalauth del Pesce Australe, siano veramente alti rispetto alle nostre latitudini. Il giorno 4, dopo circa 300 km di scossoni e caldo sempre più deciso, ci concediamo una doccia, al campo fisso di Tekerkiba, località di accesso alla splendida regione dei laghi, che visiteremo l’indomani e qui abbiamo la lieta sorpresa di udire una voce familiare che non ci saremmo mai aspettati di risentire: è Romano, anch’egli di transito in questo campo.

    Tolto lo strato di sabbia che da giorni ci accompagna, andiamo nuovamente ad insabbiarci, poiché in serata montiamo il campo sulle vicine dune di Ubari, in un paesaggio di incomparabile bellezza. Giunge finalmente il momento di montare il Dobson: il cielo è perfetto. Ma c’è appena il tempo di cenare ed ecco che si alza un vento teso ed il cielo si copre irrimediabilmente. Ci ripariamo velocemente nelle tende eccetto Paolo che si attarda a sorseggiare il thè assieme a Ellen, Anwer e gli autisti. Si accorge così troppo tardi che una raffica di vento di inusitata potenza ha sradicato la sua tenda facendola volare all’orizzonte e rimane alcuni minuti incredulo a fissare il vuoto.
    Le ricerche della tenda proseguiranno tutta la notte senza dare purtroppo alcun esito e lo sfortunato compagno di viaggio viene ospitato successivamente da Maurilio, nella sua tenda monoposto. Il 5 Ottobre si presenta con un bel cielo limpido, l’ideale per ammirare al meglio una delle attrazioni principali del deserto libico: i laghi di Ubari. Gli autisti conoscono il deserto come le loro tasche e cavalchiamo sicuri le gigantesche dune che sembrano onde di un mare in tempesta, ed ecco che dal nulla compare il primo lago, Mavo, che suscita un senso di merviglia, come solo l’acqua nel deserto è in grado di fare. Proseguiamo con il grande lago Gebraoun nelle cui acque ipersaline alcuni di noi si lasciano galleggiare, circondati dalle palme e dalle alte dune rossicce.

    E’ il momento del terzo incontro con Romano, sempre più esilarante. Prima di ripartire, Ellen decide addirittura di noleggiare gli sci e sperimentare una discesa dalla duna più alta. La mattinata si conclude con la visita ai laghi Umm al Maa, uno specchio d’acqua turchese circondato da un fitto palmeto e Mandara, purtroppo quasi prosciugato, nelle cui vicinanze facciamo la sosta pranzo.

    cammello
    Cammello

    Nel pomeriggio prosegue la nostra corsa nel deserto fino al ritorno sulla strada asfaltata per fare il pieno agli automezzi. L’operazione si rivela lunga e difficoltosa e per questo motivo giungiamo tardi al luogo previsto per il campo, dopo aver attraversato una bassa savana cespugliosa, abitata purtroppo da grossi aracnidi. L’urlo di Monica segnala il primo avvistamento di quello che a prima vista pare un ragno. Una ciabattata di Hussein, mette fine alla corsa del povero animale e sul luogo del sinistro giunge Luciano, esperto entomologo, che ci rassicura dicendo che si tratta di uno pseudo scorpione, un aracnide a metà strada tra il ragno e lo scorpione ma assolutamente innocuo.

    Sarà, ma l’atmosfera si fa tesa e in lontananza giunge un altro grido e poi un altro ancora, il luogo è letteralmente infestato da questi animali e Luca ne scopre uno intento a salire sui suoi pantaloni. Tra le risate degli autisti ci sistemiamo in cerchio con le torce puntate a terra per sventare altri assalti, mentre Monica colta da una crisi di panico si rifugia in tenda senza cenare. Controlliamo tutti accuratamente le tende e io scopro un piccolo topo del deserto che mi osserva con sguardo interrogativo.

    Di osservazioni questa sera non se ne parla e ci affrettiamo a cenare prima di ritiraci definitivamente in tenda; l’unico contento della situazione è Luciano che nel corso della serata raccoglierà insetti rarissimi per la sua collezione. All’alba ci svegliamo in un luogo incantevole, di fronte alle altissime dune di Idehan Murzuq, che possono raggiungere anche i 400m, poi, smontato il campo ci dirigiamo verso il Wadi Methkandoush, un letto di fiume prosciugato, che ospita una delle più grandi concentrazioni di incisioni rupestri del mondo, risalenti almeno a 12.000 anni fa.

    Naturalmente non poteva mancare Romano, che troviamo intento ad esaminare una delle incisioni, secondo lui una possibile rappresentazione del passaggio di un’antica cometa. Nel cocente pomeriggio ( il termometro sfiora i 45°), affrontiamo il Msak Settafet, ovvero il massiccio nero, una pietraia arroventata in cui i fuoristrada sono costretti a frequenti soste per problemi ai radiatori e di seguito il Msak Mellet o massiccio bianco, in cui ci fermiamo per la notte. Gli autisti sono distrutti, a maggior ragione per il fatto che ci troviamo nel periodo del Ramadan e di conseguenza sono costretti a fare centinaia di km sotto il sole impietoso senza poter bere o mangiare. Ma finalmente è giunto il momento del Dobson, la serata è quella giusta e assieme a Luca Cosimo, Anwer ed Ellen prendiamo di mira alcune costellazioni troppo basse alle nostre latitudini come ad esempio lo Scultore.

    Qui dopo una impressionante osservazione della famosa galassia a spirale NGC 253 di magnitudine 7 ed estesa ben 22’,che mostra tutta una serie di chiaro scuri mai visti così bene, scendiamo nella parte meridionale della costellazione ed individuiamo altre due galassie : l’irregolare NGC 55 , dall’aspetto molto allungato e con un lato tronco( 25’X3’e magnitudine 8,2 ) e la spirale vista di fronte NGC 300 ( 20’X10’e mag. 8,7 ), più tondeggiante e granulosa.

    E’ la volta poi dell’ammasso di galassie della Fornace accanto al lungo Eridano che possiamo osservare in tutta la sua estensione fino alla alfa Achernar. Riusciamo a distinguere almeno 7 componenti dell’ammasso (NGC 1399 di 10,7,NGC 1404 di 9,9, NGC 1427 di 10,9, NGC 1387 di 10,7, NGC 1379 di 11,04, NGC 1374 di 11,89, NGC 1380 di 10,1), visibili come tenui macchie sfumate entro 45’ dalla coppia di stelle SAO 194435 e SAO 194426.

    Arco naturale di Affzzejer
    Arco naturale di Affzzejer

    Il venerdì 7 Ottobre entriamo nella regione montuosa dell’Acacus, nell’estremo sud della Libia, al confine con Algeria e Niger, passando attraverso le dune di sabbia dorata di Wan Caza e ammirando l’arco naturale di Affzzejer alto quasi 150 m, una delle formazioni rocciose più spettacolari dell’Acacus. Nel pomeriggio entriamo nel Wadi Tashwinat ricco di numerose pitture rupestri raffiguranti svariate scene di caccia e animali quali giraffe , elefanti bovini, ecc. dalle proporzioni perfette.

    Qui risiede una delle ultime famiglie Tuareg dell’Acacus, che visitiamo nella loro modesta capanna prima del tramonto. Ci accampiamo quindi per la notte sulla sommità di una duna con vista sulla vallata altamente scenografica e cerchiamo di posizionare le tende in modo da evitare il vento che si insinua tra le rupi vicine sulle quali rimbalza l’eco delle onnipresenti battute di Walter. Una sottile falce di Luna crescente accanto alla luminosa Venere ci accolgono al tramonto e il nostro satellite, visto al telescopio, viene salutato da Anwer, Ramadan e gli altri libici da urla di meraviglia.

    Una lunga nottata di osservazioni ci attende ostacolata di tanto in tanto da forti raffiche di vento e sabbia. Le osservazioni più interessanti riguardano la facile localizzazione al binocolo 7X50 delle nebulose diffuse California NGC1499, in Perseo, osservata poi anche al Dobson col filtro H Beta, della Cocoon IC 5146 nel Cigno a poca distanza dell’ammasso M39 lungo il filamento oscuro B168 e della IC 1396 nel Cefeo.

    Ne approfittiamo anche per cominciare il monitoraggio delle Draconidi. Queste meteore, che normalmente mostrano uno ZHR inferiore a 10, hanno dato luogo in passato a veri e propri spettacoli pirotecnici, in coincidenza col passaggio al perielio della cometa progenitrice, che ha un periodo di 6,6 anni. Ad esempio nel lontano 1933 sfoggiarono un tasso orario superiore a 50.000! Anche l’ultimo passaggio del 1998 è stato di tutto rispetto, con uno ZHR attorno a 700 e secondo gli esperti, quest’anno è possibile osservare alcuni picchi di attività rispettivamente alle 8TU e alle 16TU dell’8 Ottobre, e fra le 21 TU dell’8 Ottobre e l’1 TU del 9 Ottobre, anche se nessuno si sbilancia sull’eventuale ZHR

    Sasso
    Sasso

    Nel corso della notte, ne osserviamo solo una decina, lentissime (hanno una velocità geocentrica di 23 Km/sec), con scia persistente, mediamente luminose e dal colore bianco-verde. Più frequenti le sporadiche, speriamo di rifarci la notte successiva.

    Il nostro viaggio sta volgendo al termine e ci attende l’ultimo spettacolare giorno nell’Acacus, addentrandoci nella vallata di Awiss, con i suoi pinnacoli di roccia nera erosi dal vento nelle forme più assurde, che sembrano poggiare in precario equilibrio sulla sabbia e sul far della sera nell’altrettanto suggestiva vallata di Adad, in cui ci fermiamo.

    La serata è totalmente dedicata, dopo l’ultima cena nel deserto con tanto di pane arabo cotto sotto la sabbia , all’attesa per le Draconidi e ci stendiamo comodamente sui materassini ammirando un cielo buio e limpidissimo, il migliore da quando siamo in Libia (si scorge la galassia M 33 ad occhio nudo!). Purtroppo il picco previsto non si verifica e come la sera precedente osserveremo con delusione soltanto una manciata di meteore appartenenti a questo sciame, col radiante nella testa del Drago.

    Fungo
    Fungo

    Lo show è quindi rimandato al prossimo passaggio del 2011, per il quale diversi ricercatori, quali J. Vaubaillon, P.Jenniskens e P.Brown , prevedono condizioni geometriche nell’incontro fra le nubi di meteoroidi e la Terra molto simili a quelle del 1933. Tra l’altro il fenomeno dovrebbe avvenire alle 20.40 TL dell’8 Ottobre, favorendo quindi l’Europa nelle osservazioni. Staremo a vedere. Il 9 Ottobre procediamo al lungo ritorno verso Sebha ( più di 400 km ), per poi prendere l’aereo per Tripoli, che raggiungiamo soltanto a notte fonda.

    Una doccia e un brevissimo riposo su di un letto vero e poi di nuovo all’aeroporto, questa volta con destinazione Roma, che raggiungiamo naturalmente con alcune ore di ritardo. Al ritorno rimarrà comunque in tutti noi, al di là degli aspetti astronomici, il ricordo di un’esperienza unica, che ci ha fatto assaporare in pieno il deserto in tutte le sue innumerevoli sfaccettature e naturalmente un grazie sincero và ad Anwer, a Ramadan agli altri autisti e ai cuochi che ci hanno veramente dato tutto l’aiuto possibile e fatto vivere questi momenti in assoluta sicurezza e serenità.

    Come Decifrare un Codice Interstellare

    0
    Decodifica della prima sequenza
    Decodifica della prima sequenza
    Tempo di lettura: 7 minuti

    Passare davanti agli scaffali delle librerie, di questi tempi, significa fare un’abbuffata di codici. L’onda lunga del “Codice da Vinci” di Dan Brown si sente non tanto nelle onnipresenti copie del romanzo con la Monna Lisa in copertina, quanto nella miriade di cloni che contengono la parola “codice” nel titolo.
    Sembra quasi che il concetto di codice sia una novità del terzo millennio, una scoperta recente e alla moda quanto il sudoku. In realtà, “codice” è parola che copre significati anche molto diversi, che hanno in comune forse solo il principio base di “portatore di informazioni”.
    I codici inventati dall’uomo possono essere suddivisi in due categorie: quelli che tendono a restringere il numero dei destinatari (come tutti i codici militari e spionistici) e quelli che invece tendono ad aumentarlo, cercando di ottimizzare la trasmissione delle informazioni: tutto quanto viaggia in rete o nell’etere è strettamente codificato e protocollato, con procedure tanto complesse da far impallidire Enigma, la macchina che crittografava i messaggi tedeschi durante l’ultima guerra mondiale: ma lo scopo è proprio quello di garantire la corretta comunicazione.
    Puntare un telescopio verso il cielo richiede l’utilizzo di codici cui siamo tanto abituati da non riconoscerli più come tali: questo non significa che non siano complessi. Sappiamo che i fotoni emessi da una stella vengono catturati da un sistema ottico e guidati fino alla nostra rètina, e da qui trasmessi al cervello: ma come faccia il cervello ad interpretarli fino alla produzione di una emozione di meraviglia è tutt’altro che chiaro. Ma se volessimo invece costruirci un radiotelescopio amatoriale, dovremmo per forza essere preparati ad interpretare codici meno comuni. Le grandi parabole che, anziché guardare, “ascoltano” il cielo sono alla ricerca di segnali complessi e particolari: bisogna saper riconoscere il tracciato d’una radiosorgente stellare; e bisogna aguzzare l’attenzione nella speranza di riconoscere un segnale dalla possibile natura artificiale.
    La cosa positiva di questa ricerca è che è legittimo presupporre che gli extraterrestri, se davvero hanno mandato un messaggio in giro per il cosmo, lo avranno fatto con l’intenzione di essere compresi. E avranno allora preso le dovute precauzioni perché il messaggio risulti il più universale possibile, indipendente dalle particolarità della loro specie e del loro pianeta locale. E’ la stessa cosa che faremmo noi: anzi, è quello che abbiamo già fatto. E oggi puntiamo i nostri radiotelescopi nella speranza di trovare il segno di una sequenza chiaramente artificiale: a parte la lunghezza d’onda di trasmissione, l’unica cosa che può variare è la durata dell’impulso stesso. Se intercettiamo un impulso elettromagnetico che dura un certo tempo, seguito da un altro lungo il doppio, e poi da un terzo e da un quarto che raddoppiano ulteriormente la durata, possiamo ben “decodificare” questo trillo elettromagnetico con la sequenza numerica 1-2-4-8: e se la sequenza dovesse ripetersi ad intervalli ben regolati, sarebbe certo lecito ipotizzare la natura artificiale del messaggio. Il problema essenziale sta però nel fatto che il messaggio, oltre a palesare la sua natura artificiale, dovrebbe anche trasportare informazioni reali; meglio ancora, dovrebbe costruire le basi interpretative di sé stesso. Le distanze astronomiche obbligano a lunghi monologhi, e non è mai possibile dire “Avete capito?”, e aspettare la risposta.

    Sareste portati per un simile lavoro di “crittoanalisi”? Supponiamo che siate così desiderosi di cercare la vita extraterrestre da portare sempre una maglietta con sopra scritto “Viva il SETI” e da fare domanda per un lavoro all’Osservatorio Radioastronomico di Arecibo. E immaginiamo anche che il vostro esaminatore voglia testare le vostre capacità deduttive. Dopo avervi illustrato il lavoro che si svolge nelle viscere dell’enorme parabola, vi racconta anche che c’è una grossa eccitazione nell’ambiente a causa d’un breve messaggio che sembra proprio essere d’origine aliena. Voi subodorate il trucco fin dall’inizio (una notizia del genere dovrebbe – almeno si spera – raggiungere anche le prime pagine dei quotidiani, quelli sportivi compresi), ma decidete di stare al gioco, e chiedete ulteriori informazioni sul presunto messaggio.


    Sequenza A:
    14 – 5 – 1 – 5 – 2 – 4 – 2 – 2 – 2 – 1 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 1 – 1 – 1 – 2 – 5 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 3 – 1 – 1 – 3 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 2 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 1 – 1 – 5 – 1 – 5 – 2 – 14

    Sequenza B:
    14 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 2 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 9 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 3 – 3 – 3 – 3 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 14

    Al che il vostro interlocutore sorride, si fruga un po’ nelle tasche, e alla fine tira fuori due striscioline di carta coperte da una sfilza di numeri (come quella rappresentata nella figura a lato) dicendo: “Oh, facendo la copia devo aver sbagliato qualcosa, adesso come faccio a capire qual è quella giusta?”
    Voi non credete neppure per un istante a quella mediocre sceneggiata, ma incominciate a preoccuparvi, intuendo una incombente e crudele verifica.
    E lui infatti estrae dalla tasca del camice un notes, una matita e una gomma: ve li porge con noncuranza, e comincia a dirigersi verso la porta.
    “Secondo te, qual è la sequenza giusta?” – sibila prima d’uscire – “Tornerò fra un’oretta circa, se potessi aiutarmi a capirlo, te ne sarei davvero grato…”
    Quale sequenza decidete di prendere sul serio? Non tirate ad indovinare, è certo che l’esaminatore vi chiederà anche di motivare la scelta: questi ricercatori scientifici sono così noiosi…

    Cometa 9P/Tempel 1 Deep Impact vicino alla meta

    0
    La missione Deep Impact
    La missione Deep Impact
    Tempo di lettura: 5 minuti

    La missione Deep Impact
    La missione Deep Impact

    Il 4 luglio 2005 la sonda della NASA Deep Impact (vedi Coelum n. 85 pag 31, giugno 2005) sarà im prossimità della Cometa 9P/Tempel 1 e rilascerà un veicolo da impatto del peso di 360 kg, che con un motore proprio punterà diritto sul nucleo della cometa. L’impatto avverrà alla velocità di 37000 km/h e scaverà un cratere di circa 100 metri di raggio. L’energia  che si svilupperà nell’urto sarà pari all’esplosione di 4.5 tonnellate di tritolo e produrrà una enorme nuvola di gas e polvere attorno al nucleo della cometa, che avendo dimensioni di circa 6 km non verrà distrutto.

    La sonda Deep Impact a bordo del razzo Delta II sulla rampa di lancio.
    La sonda Deep Impact a bordo del razzo Delta II sulla rampa di lancio.

    E’ la prima volta che non si effettua una semplice osservazione, ma viene programmato un vero  e proprio esperimento cosmico, sulla cui importanza si è già molto discusso. Il materiale costituente le comete è infatti quello originale della nube protosolare, rimasto congelato ed inalterato per miliardi di anni nel nucleo di questi corpi erranti del sistema solare. Il veicolo madre, deviata la sua traettoria, effettuerà osservazioni dell’impatto dalla distanza di 500 chilometri, fornendo nuove e preziose informazioni

    • sulla formazione del sistema solare,
    • sulla costituzione dei nuclei delle comete,
    • sul ruolo che gli impatti cometari possono aver giocato nel corso delle prime fasi di formazione della Terra e dell’inizio della vita.

    Per la piena riuscita dell’esperimento risulta cruciale l’acquisizione e la disponibilità del maggior numero di dati possibili sia precedenti, sia successivi all’impatto. A tal fine l’European Southern Observatory ha sponsorizzato il progetto della NASA e parteciperà attivamente alle osservazioni dopo l’impatto.
    Nella notta tra il 4 ed il 5 luglio, non appena la cometa Tempel 1 sarà visibile dal Cile, e per l’intera settimana successiva, tutti i più grandi telescopi di ESO (le 4 unità da 8.2 m del VLT del Picco Paranal, il telescopio da 3.6 m, il 3.5 m NTT ed il 2.2 m di La Silla)  contemporaneamente volgeranno i loro specchi per osservare la cometa in modo coordinato con il team del progetto. Ciò sarà fatto anche in molti altri  osservatori sparsi per il mondo sia professionali, sia amatoriali. A seguito di ciò la comunità scientifica internazionale entrerà in possesso di un’incredibile quantità di dati, che una volta ridotti, contribuiranno ad accrescere la nostra conoscenza sulle origini del sistema solare e sulla costituzione delle comete.

    Il Binocolo

    0
    Il Binocolo
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Il Binocolo“Grazie, se ne avrò bisogno la chiamerò”. Liquidato il personale di sicurezza richiuse la porta e si guardò intorno.
    L’ambiente gli sembrò più che spazioso. La grande scrivania e l’ampia vetrata alle spalle davano all’ufficio un’aria di lussuosa efficienza, e notò con piacere che al centro della sala, posato sul tavolo di un piccolo salotto, qualcuno aveva già provveduto a recapitare il contenitore dei suoi effetti personali.
    Come un bambino curioso andò subito a sedersi sulla comoda poltrona. Un odore di legno nuovo e di vernice impregnava ogni cosa. Era soddisfatto.
    Una piccola spinta e la sedia ruotò su se stessa. Un Sole rosso, solcato da sottili nubi, si stava alzando all’orizzonte promettendo una giornata stupenda, e per qualche minuto stette ad osservarlo rincorrendo pensieri disordinati. Una luce dorata gli colorava leggermente il viso affilato e scuro.
    Dopo un po’ si scosse, e raggiunto il contenitore cominciò a tirarne fuori piccoli oggetti che poi andava riponendo nei molti cassetti della scrivania. Sentiva che la breve euforia per l’incarico prestigioso a cui era stato chiamato andava già spegnendosi, e gli venne subito in mente il problema dell’antenna nord, con il test programmato da mesi che stava per essere annullato.
    La cassa era ormai quasi vuota, quando trovò il binocolo.
    Lo posò sulla scrivania con cura, arretrò di qualche passo, lo riprese in mano, guardò alla finestra e si sedette nella poltrona.
    Con un fazzoletto pulì con cura le lenti residue – soltanto tre, perché era sempre mancato l’oculare di sinistra – e con una piccola spinta volse la poltrona verso l’ampia finestra. Puntò lo strumento verso l’orizzonte, naturalmente con l’occhio sinistro chiuso, e tra mille riflessi causati dalla fioritura della resina nei doppietti intravide la grande parabola dell’istituto di radioastronomia, che confinava con la piana dell’interferometro.
    Dopo alcuni minuti posò il binocolo sulla scrivania, chiuse ambedue gli occhi e vide.
    Vide un bimbo sorridente che usciva di corsa da una montagna di spazzatura fumante.
    Aveva appena trovato il binocolo. Era felice.
    Con la maglietta pulì le lenti, lo avvicinò agli occhi e si accorse che funzionava. È vero che mancava un oculare, ma funzionava!
    Corse a perdifiato verso la baraccopoli di Pune, nel riparo dove viveva con i genitori, nascose il tesoro sotto il letto e tornò con gli amici sulla collina ricoperta di rifiuti, dove la mattinata terminò con altri recuperi di poco conto. Il suo pomeriggio, come per tanti altri bimbi, sarebbe stato dedicato alla “vendita” degli oggetti in mercatini improvvisati nei sobborghi meno poveri della città.
    Tornato a casa, dedicò molto tempo alla pulizia di quella cosa meravigliosa, che considerava “sua” e che mai avrebbe messo in vendita. Tentò anche di aprirlo, ma senza successo.
    Poi venne sera e lo puntò verso il cielo nero, l’unica cosa pulita di quel suo mondo disperato (e che però a lui sembrava bellissimo e rassicurante). E questo accadde per molte e molte serate a seguire. E tante erano le domande che andava facendo a tutti sul significato di quelle cose che vedeva in cielo, che un giorno suo padre rinunciò a mezza rupia, una giornata di paga, per comprargli un libretto dove si parlava di stelle, pianeti, e dove per la prima volta vide scritta la parola “astronomia”.
    Poi vennero altri libri, e il ragazzo – come nelle storie più belle – un giorno prese il treno. Una grossa borsa conteneva tutte le sue povere cose. Voleva continuare a studiare. Voleva sapere.
    Un linguaggio nuovo aprì la sua mente. Lo trovò divertente. Ed il ragazzo, fattosi uomo, imparò anche a raccontare, nella forma logico-matematica utilizzata dal mondo, le sue teorie, le sue soluzioni, i suoi pensieri.
    E ogni volta che c’era da superare un ostacolo non mancava di prendere in mano quel suo vecchio binocolo, che non lasciava mai e che gli ricordava come tutto può nascere da una casualità, e come tutto può ricadere su se stesso se non si colgono i segnali che la vita continuamente ci manda. Spesso i suoi pensieri tornavano alla sua casa, ai suoi amici, ai suoi genitori. Quante volte era tentato di tornare alla sua montagna di spazzatura…
    Tornò a guardare nel presente, sorvolando con il binocolo lo sterminato campo sotto il quale correvano i condotti di Fabry- Perot. Lì sotto stava la speranza di riuscire, un giorno non lontano, a rilevare la presenza di minuscoli segnali in concomitanza con l’esplosione di qualche supernova. O, meglio ancora, di segnalare al mondo, “in tempo reale”, l’avvenuta esplosione e la zona di provenienza.
    Sono anni ormai che lavora a questo progetto. È necessario non lasciare nulla al caso, ed è sicuro che la sua creatura non lo tradirà. Sarà certamente in grado di rilevare le onde gravitazionali, da tanto tempo previste e mai rilevate con la necessaria certezza.
    Quel piccolo binocolo, testimone e viatico del suo passato lontano, ancora una volta gli darà la forza per giungere alla meta.

    Viaggio a CAPO VERDE

    0
    Capo Verde
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Capo VerdeInoltre sarà possibile, con la guida di esperti astrofili, ammirare le meraviglie del Cielo stellato Australe ad occhio nudo e con l’ausilio di strumentazione astronomica.

    Soluzioni

    HOTEL VILA DO FAROL BRAVO CLUB

    Il bravo Club Vila Do Farol si trova sull’isola di Sal, una delle 10 isole ( di cui 9 abitate) che compongono l’arcipelago di Capo Verde. Il villaggio: situato all’interno di un ampio giardino affacciato direttamente sulla splendida spiaggia, una delle attrattive di maggiore rilievo dell’isola di Sal, che si affaccia su un mare cristallino incontaminato. Il corpo centrale comprende la hall, la discoteca,la boutique, la sala tv, la sala conferenze, il cinema, il ristorante, il bar terrazza, la ludoteca. Fra il corpo centrale e la spiaggia si trova la piscina con area bambini. Gazebo, lettini e teli mare a disposizione gratuitamente in spiaggia e piscina, fino ad esaurimento. I pasti principali sono serviti a buffet presso il ristorante principale, ma è anche disponibile uno snack-bar in spiaggia, un bar alla piscina e uno allo lobby con piano bar. Le camere: 236 camere tutte accoglienti e gradevolmente arredate, dispongono di servizi privati con doccia e asciugacapelli, aria condizionata, regolabile individualmente, telefono, tv, satellite, minibar, cassetta di sicurezza.

    FORMULA ALL INCLUSIVE

    Trattamento di pensione completa (prima colazione, pranzo e cena) tutti con allestimento buffet con bevande alla spina ai pasti: soft drink, acqua minerale naturale, birra e vino della casa; open bar (dalle ore 10.00 alle ore 24.00) con soft drink alla spina, birra alla spina, acqua(non in bottiglia) vino della casa, tè, caffè, liquori nazionali, cocktail alcolici ed analcolici; open snacks (dalle ore 10.00 alle ore 18.30) con spuntini dolci e salati. Note: tutte le bevande in bottiglia e in lattina sono a pagamento. Sono comprese le seguenti attività sportive: wind-surf, body-surf, kitesurf, surf da onda (assicurazione facoltativa), tiro con l’arco, beach-volley (3 campi), beach-soccer, beach-tennis, calcetto, basket, acquagym, step, ginnastica aerobica, pallanuoto, freccette, ping-pong, bocce,calcio-balilla, jogging. A pagamento: centro diving.

    Programma

    1° giorno, mercoledì 02 febbraio 2005
    VERONA/ISOLA DI SAL
    Ritrovo dei partecipanti, all’aeroporto di Verona, disbrigo delle formalità doganali e partenza per l’Isola di Sal. Arrivo, transfer in pullman presso l’Hotel Bravo Club Vila Do Farol e pernottamento.

    2°/7° giorno, giovedì/martedì 03/08 febbraio 2005
    ISOLA DI SAL
    Trattamento di all inclusive. Giornate dedicate al relax, alle attività balneari alle escursioni facoltative e all’animazione. Nel corso delle serate osservazioni astronomiche facoltative.

    8° giorno, mercoledì 09 febbraio 2005
    ISOLA DI SAL/VERONA
    In tempo utile, trasferimento all’aeroporto, disbrigo delle formalità doganali e partenza per Verona.

    Quota di Partecipazione

    Quota individuale di partecipazione a 25 persone € 790,00
    Supplemento camera singola, s.d € 160,00

    La Quota comprende

    • voli ITC in classe economica Verona/Sal/Verona
    • franchigia bagaglio kg 20
    • tasse aeroportuali italiane
    • transfer in pullman apt/hotel/apt
    • sistemazione in Villaggio Hotel Vila Do Farol – Bravo Club, in camere doppie con servizi privati, aria condizionata, tv satellite
    • trattamento con formula All Inclusive (tutto incluso)
    • assistenza di personale qualificato in hotel e negli aeroporti
    • copertura assicurativa, sanitaria, medico, bagaglio e penali annullamento viaggio

    La Quota non comprende

    • spese ottenimento Visto Consolare e Security Tax (€ 9,81)
    • mance
    • eventuali escursioni diurne e notturne con auto a noleggio.
    • extra in genere e tutto quanto non espressamente indicato alla voce “La quota comprende”.

    Documenti e Vaccinazioni

    Documenti di viaggio:
    passaporto individuale regolarmente bollato in corso di validità di almeno 6 mesi dalla data d’ingresso del paese e visto consolare.

    Prenotazioni e Informazioni

    Termine iscrizioni: 31 dicembre 2004

    Per informazioni e prenotazioni:
    Centro Turistico Modenese di Robintur spa
    Via Bacchini, 15- 41100 Modena
    Tel. 059/2133717
    Fax 059/214809
    E-mail: CTM.Bacchini@Robintour.it

    Per informazioni astronomiche:
    Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
    Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
    E-mail: columbia@global.it
    Web: http://www.ferrara.com/columbia

    Recensione: “Il nostro ambiente cosmico” – Martin Rees

    0
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Martin Rees, Astronomo Reale a Greenwich e Research Professor all’Università di Cambridge in Inghilterra è un autore prolifico ma solitamente i suoi libri divulgativi sono di ottima qualità. Non fa eccezione questo volume che raccoglie i suoi interventi alle Scribner Lectures, una serie di lezioni tenute all’Università di Princeton, nelle quali voleva “descrivere a grandi linee una certa attività scientifica di frontiera oggi molto vivace, mettendo in evidenza alcune idee nuove e rendendole accessibili al grande pubblico”.

    Il libro prende le mosse da una descrizione del sistema solare e dall’esistenza di altri sistemi planetari, accertata con sicurezza solo nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso.

    L’autore pone poi il problema della vita e dell’intelligenza al centro di un’indagine che comprende, come componente primaria, la più onnicomprensiva delle scienze “ambientali”, la cosmologia. Egli è convinto che anche se le forme di vita di tipo primitivo fossero comuni, l’emergere di forme progredite o intelligenti potrebbe non esserlo affatto. Sul nostro pianeta le forme di vita più semplici si sono evolute molto rapidamente, ma ci sono voluti invece circa tre miliardi di anni perché entrassero in scena i più elementari organismi pluricellulari. È lecito supporre che vi siano ostacoli molto gravi alla formazione di organismi complessi: l’intelligenza potrebbe essere estremamente rara anche se la vita ai livelli più primitivi non lo fosse.

    A pagina 46 Rees sostiene che “sarebbe per certi versi deludente se la ricerca di un’intelligenza extraterrestre fallisse, ma, in compenso, ciò darebbe all’uomo un pretesto per avere una più alta opinione di sé: se la nostra piccola Terra fosse l’unica dimora dell’intelligenza, il suo significato cosmico sarebbe molto superiore a quello che avrebbe qualora la Galassia pullulasse di vita complessa”. Mi pare che si tratterebbe di una ben grama consolazione a fronte di una assoluta e desolante solitudine cosmica!

    Rees dice che per noi la sfida del nuovo millennio è la risposta a questa domanda: “Com’è che 13 miliardi di anni di evoluzione ci hanno portato da condizioni iniziali semplici ad un ambiente complesso, in cui gli atomi si uniscono a formare creature capaci di riflettere sulle proprie origini?”

    È indubbiamente vero che una stella è più semplice di un insetto e che i biologi devono affrontare sfide ben più dure di quelle che vengono poste agli astronomi.

    Infatti, secondo i cosmologi oggi è possibile descrivere quello che è accaduto nei primi secondi della storia cosmica, con un margine di sicurezza del 99% (almeno così afferma Rees a p. 80) e, soprattutto, che tutto è cominciato con un big bang, le cui proprietà essenziali sono relativamente semplici da descrivere.

    Si ritiene che la prova che agli inizi del tempo il cosmo fosse piccolissimo, densissimo e caldissimo sia stata acquisita cinquant’anni fa con la scoperta della radiazione di fondo, l’eco della creazione. Rees mette però le mani avanti quando afferma che anche la teoria dello stato stazionario, che a lungo ha contrastato quella del big bang, potrebbe essere quella giusta, specialmente nella versione del “bang continuo”, messa a punto da Hoyle poco prima di morire. Forse l’errore commesso da Hoyle, Bondi e Gold è di aver attribuito al cosmo delle dimensioni troppo piccole. È infatti possibile che il nostro big bang sia solo uno fra i molti “bang” disseminati in un universo che su di una scala gigantesca permane in un eterno stato stazionario che eternamente si riproduce.

    Come ultima chicca voglio riportare sinteticamente quale potrebbe essere il destino della “quintessenza” secondo i moderni cosmologi (tra i quali, naturalmente, lo stesso Rees).

    Dice Rees (p. 134): “non sappiamo che fine farebbe quella misteriosa energia dello spazio … come energia residua, potrebbe convertirsi in qualche nuovo tipo di particella. Mentre si degrada, questa energia residua potrebbe invece formare delle bolle … C’è però un’eventualità ancora più sconcertante, ed è che lo spazio vuoto possa subire una trasmutazione catastrofica. Magari l’attuale “vuoto” è metastabile e potrebbe trasformarsi in un universo del tutto diverso…”.

    Mi fermo qui per un breve commento: questa non è più scienza, è pura e semplice, ed eccessivamente fantasiosa, speculazione. In almeno un paio di occasioni, nel suo libro, Rees si richiama, per illustrare concetti immaginifici, a quanto scrivono abili autori di fantascienza come Vonnegut e Stapledon e, in effetti, quanto oggi stanno masticando i cosmologi teorici assomiglia molto a science fiction di serie B: straordinari voli di fantasia assolutamente non verificabili attraverso l’osservazione.

    Per carità, Rees è un ottimo scienziato in grado di scrivere affascinanti saggi divulgativi, ma non è che questa volta si sia lasciato prendere la mano per venali motivi di cassetta?

    [Pubblicato su Coelum n. 85]

    .

    Scheda tecnica

    Il nostro ambiente cosmico

    Martin Rees

    Adelphi, 2004.

    Formato 14×22 cm, pp. 227.

    Prezzo 18,50 euro

    Ci vediamo tra un anno

    0
    Ci vediamo tra un anno
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Ci vediamo tra un anno“Senti, perché stanotte non ce ne andiamo ad osservare le perseidi? Dicono che quest’anno non sarà male”.
    “Certo, con piacere! Cosa ci portiamo? La macchina fotografica in parallelo al telescopio? Oppure la mettiamo fissa su un cavalletto? Porto anche un registratore ed i moduli da compilare, non si sa mai. Se ce ne venisse voglia…“.
    “No! Niente di tutto questo, questa volta vorrei osservare soltanto. Steso sulla sdraio. Ti dispiace?”.
    “Va bene, vengo a prenderti verso mezzanotte”.
    È tanto che non si esce assieme. La sua compagnia mi ha sempre fatto piacere. È un ragazzo in gamba. Calmo e sereno, sempre pronto, sia per la battuta sia per i discorsi importanti. E noi appassionati di discorsi importanti ne facciamo continuamente. Un po’ di cosmologia, la vita nell’universo, i primi tre minuti, gli effetti della relatività. Temi che riempiono i dialoghi di una intera notte.
    E cosi, ognuno con la propria sdraio caricata dietro, andiamo al solito posto.
    Mezz’ora di auto, un ampio prato con l’erba a foraggio appena tagliata.
    Come sempre io sono velocissimo, e in men che non si dica sono steso con un occhio al cielo e l’altro al mio compagno che con calma si prepara per l’osservazione. La debole luminosità del cielo sull’orizzonte mi permette di guardarlo con più attenzione.
    Magro, spalle curve.
    La sua altezza, che gli ha sempre dato un’aria distinta ed importante, ora lo rende più impacciato. Altro che ragazzo, per la prima volta mi accorgo che è quasi vecchio, che tutti e due siamo ormai quasi vecchi, che abbiamo passato i sessanta, e da un pezzo.
    Che strano cielo in piena estate! Il triangolo estivo è al tramonto, le Pleiadi sono già alte, M31 è ormai allo zenit. Abbiamo davanti a noi il grande quadrilatero di Pegaso…
    “Eccola!” – Una traccia luminosissima, quasi al meridiano, si spegne proprio sotto Markab.
    Tento un inizio di conversazione, ma sento subito che qualcosa non funziona.
    “È tanto che non ci vediamo. Va tutto bene?”.
    “Insomma” – risponde a mezza bocca, subito distratto da una piccola sporadica nella Lira.
    Mi pare che voglia cambiare discorso. Con un po’ di fatica si alza per prendere una giacca, che indossa nonostante il caldo.
    “L’umidità del mattino è quella che ti frega!”, dice con un sorriso, e si stende nuovamente.
    Le meteore si presentano con sempre minor intervallo.
    Bellissime! Alcune sono molto luminose. Peccato che non abbiamo la macchina fotografica. Molte avrebbero certamente impressionato la pellicola. Le nostre esclamazioni segnalano ogni scia che transita in cielo, tutte provenienti rigorosamente dalla costellazione che ha dato loro il nome.
    Improvvisamente lo sento dire – “È impossibile!”.
    “È impossibile cosa?” – chiedo.
    “Non c’è tempo per esprimere il desiderio, è proprio una bella presa in giro! Quanto dura la vita di una stella cadente?”
    “Mah, forse le più longeve arrivano al secondo, altre molto meno!”.
    “Vedi? è proprio una presa in giro”
    – risponde con un’amarezza che riesco a cogliere nitidamente.
    Mi scuoto, e la notte continua, ed è bellissimo! Senza preoccupazioni di telescopi, macchine fotografiche, tempi, rullini, sdraiati su un prato soltanto per osservare.
    Forse ognuno di noi dovrebbe cominciare così, senza strumenti, lasciando che la fantasia corra ovunque desideri andare.
    Le meteore aumentano la loro frequenza ed il loro splendore. Ancora per poco…
    Il tempo, inesorabile, trascorre lentamente sino a farci notare un impercettibile chiarore che da levante si impadronisce di tutto il cielo. È l’ora del rientro.
    Ci alziamo con fatica dai nostri giacigli e carichiamo le sdraio nel bagagliaio.
    E dico: “Bravo! È stata veramente un’idea stupenda. Mai più con strumenti! Sono veramente soddisfatto di questa nottata di osservazione.
    Mi prenoto già per il prossimo anno. Torniamo qui per l’undici agosto?”.
    “Purtroppo no. Mi piacerebbe, ma non ci sarò”.
    “Verrò a casa tua a prenderti con la forza!”
    “Non sarò neanche a casa!”.
    “Perché, hai intenzione di partire?”
    Un attimo di silenzio e poi – “Si! Partirò ”.
    “Verrò a prenderti anche in capo al mondo!” .
    “Non mi troverai. Ma ti prometto che, se potrò far qualcosa, le prossime perseidi saranno entusiasmanti.
    Tu tornerai qui ed io sarò al tuo fianco, anche se non mi vedrai”.
    Adesso non posso fare a meno di fissarlo negli occhi e gli chiedo – “Ma che significa?”.
    “Mi restano sei mesi. Un tempo lunghissimo in fondo, se pensi a quanto vive una meteora.”.
    Non so che dire. Sono affranto. Ho voglia di piangere.
    E lui, sorridendo – “Ah, dimenticavo, l’anno prossimo porta una sdraio e una giacca anche per me. Sai l’umidità del mattino…”.
    Lo guardo, incapace del minimo gesto.
    “Dai, non ti preoccupare, appena arrivo lassù fondo una associazione di gente strana come noi. Chissà che cielo stupendo ci sarà lì. E quando sarai stufo di questo inquinamento mi raggiungerai!”.

    Recensione: “Se l’Universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?” di Stephen Webb

    2
    Se l’Universo brulica di alieni…
    Se l’Universo brulica di alieni…
    Tempo di lettura: 4 minuti
    Se l’Universo brulica di alieni…
    Se l’Universo brulica di alieni…

    Sironi Editore, 2004
    Formato 14×21 cm, pp. 379
    Prezzo euro 19,50

    Stephen Webb, autore di questo splendido e divertente volume, con il quale è stato finalista all’Aventis Prize nel 2003, è un noto divulgatore scientifico che vive in Inghilterra.
    Nella prefazione egli riassume con queste parole il tema centrale del suo affascinante lavoro: “questo libro parla del paradosso di Fermi, ossia della contraddizione insita nel fatto che non vediamo gli alieni mentre ci attenderemmo segnali o indizi della loro esistenza”.

    La formulazione del “paradosso di Fermi” risale ad un giorno d’estate del 1950, quando il grande fisico italiano si trovava a Los Alamos in compagnia di Edward Teller e Herbert York. L’argomento del discorso era l’ondata di avvistamenti di dischi volanti che in quelle settimane aveva scosso gli Stati Uniti.
    Nel mezzo della conversazione Fermi chiese: “Dove sono tutti quanti?”, riferendosi al fatto che gli alieni, fino ad allora, non si erano mai manifestati, mentre, sulla base di rapidi calcoli eseguiti al momento, egli concludeva che “dovremmo essere stati visitati già molto tempo fa, e più di una volta”.
    Secondo l’Autore, Fermi sarebbe giunto alla stima di un milione di civiltà extraterrestri che, in questo momento, potrebbero essere in grado di comunicare con noi. Allora perché non sentiamo nulla, nemmeno da alcune di loro? Anzi, perché non sono già qui? Webb scrive: “se alcune di queste civiltà si fossero sviluppate in tempi estremamente remoti dovremmo aspettarci di vederle colonizzare la Galassia, o di averlo fatto addirittura prima che sulla Terra si sviluppasse la vita pluricellulare. La Galassia dovrebbe brulicare di civiltà extraterrestri. Però non ne vediamo alcun segno. Dovremmo già essere a conoscenza della loro esistenza, ma non è così. Dove sono? Questo è il paradosso di Fermi”.

    Webb, nei capitoli 3-4-5, presenta 49 soluzioni del paradosso delle quali, quelle del capitolo 3 sono basate sull’idea che le CET (acronimo per civiltà extraterrestre) siano già qui (intendendo con qui non solo la Terra ma anche l’intero sistema solare). Nel capitolo 4 cerca invece di dimostrare l’esistenza delle CET anche se non abbiamo trovato prove della loro presenza. Infine, nel capitolo 5, l’Autore avanza le proposte che ci vedono soli nell’Universo. Ad esempio, al capitolo 3 (della serie: gli alieni sono già qui) ecco la “Soluzione 2: sono qui e si immischiano negli affari degli uomini”. A tal proposito, Webb ricorda che Kenneth Arnold, il 24 giugno 1947, per la prima volta vide un disco volante. Molti diedero per scontato che i dischi volanti fossero pilotati da alieni. Come scrive Webb, “Se i dischi volanti esistono davvero e sono effettivamente pilotati da alieni, il paradosso di Fermi è risolto all’istante. Di tutte le soluzioni al paradosso che sono state proposte, questa gode del maggior sostegno da parte del pubblico”.

    L’Autore giustamente aggiunge che “La scienza non è un processo democratico: l’esattezza o l’errore delle ipotesi non si dimostrano per votazione. Non importa quante persone credano alla verità di una particolare ipotesi… Quindi la domanda è questa: quanto regge l’ipotesi che i dischi volanti siano prove dell’esistenza di CET?”. Webb, prima di entrare nel merito della domanda, puntualizza il significato di UFO, acronimo di “Unidentified Flying Object”, per gli avvistamenti di luci o oggetti strani in cielo. Purtroppo c’è una certa confusione nell’uso dei termini “UFO” e “disco volante”. Nell’accezione corretta, però, un UFO è solamente questo: un fenomeno aereo “non identificato”. Tutto ciò che vediamo nell’atmosfera è un UFO oppure un IFO (un oggetto volante “identificato”): “solo in seguito ad apposite ricerche un UFO può diventare un IFO; un IFO potrebbe rivelarsi un disco volante! In base a questa definizione è innegabile che gli UFO esistano! Bastano alcune ricerche per trasformare quasi tutti gli UFO in IFO. Ogni anno, però, ne restano alcuni per i quali non è disponibile una spiegazione razionale… Ciò non toglie che molte persone… vogliano una spiegazione per tutti gli avvistamenti”.

    Webb è del parere che “ogni straordinaria affermazione sui dischi volanti non è mai sostenuta da straordinarie prove. Tutt’altro: riceviamo menzogne, risposte evasive e montature. Tra le spiegazioni del paradosso di Fermi l’ipotesi dei dischi volanti sarà anche la più popolare, ma sicuramente ce ne sono di migliori”.

    Infine, un cenno a quella che è la soluzione del paradosso di Fermi, a parere dell’Autore. Secondo Webb, c’è una sola, unica e nitida verità: alle nostre orecchie l’Universo rimane silenzioso.
    Nonostante ciò (p. 314), “mi piace pensare che un giorno potrebbe avverarsi qualcosa di simile alla civiltà galattica descritta da Asimov nei suoi classici racconti della Fondazione. Ma queste speranze sono in contrasto con il paradosso di Fermi: se noi colonizzeremo la Galassia, perché loro non l’hanno già fatto? … L’unica soluzione che sia coerente con l’assenza di extraterrestri e che al contempo dia sostegno ai miei pregiudizi – l’unica soluzione del paradosso di Fermi che personalmente ritengo logica – è che siamo soli”.

    L’Autore ritiene che il fatto stesso che Fermi abbia formulato il suo “paradosso” ha procurato uno shock che ci obbliga ad esaminare l’idea diffusa che il grande numero di pianeti esistenti “basti a garantire l’esistenza di vita intelligente extraterrestre”.
    Webb fa uso, per le sue stime, della famosa equazione di Drake (della quale si è spesso parlato sulle pagine di COELUM), secondo la quale se uno dei suoi fattori è pari a zero, allora dobbiamo concludere che la nostra specie è sola. Ma, aggiunge: “sospetto che l’unicità del genere umano derivi non tanto da un’unica soluzione del paradosso quanto da una combinazione di fattori, un prodotto di varie soluzioni”.
    Per aver conferma delle sue ipotesi, Webb applica un “crivello”, analogo a quello di Eratostene (si trattava di un metodo che consentiva, filtrando i numeri, di individuare quelli primi), che lui chiama “crivello di Fermi”: naturalmente, lascio al lettore il piacere di scoprire le raffinatezze di questa interessantissima tecnica e le sue notevoli implicazioni.

    Finisco dicendo che ho trovato questo libro straordinario, leggero e profondo, divertente, malinconico e mai banale: assolutamente da leggere.

    error: Attenzione il contenuto è protetto.
    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

    There was an error while trying to send your request. Please try again.

    Autorizzo Coelum Astronomia a contattarmi via e-mail utilizzando le informazioni che ho fornito in questo modulo sia per fini informativi (notizie e aggiornamenti) che per comunicarmi iniziative di marketing.