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Coelum_Astronomia_230_02_2019

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Coelum_Astronomia_231_03_2019

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Coelum_Astronomia_233_05_2019

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Coelum_Astronomia_234_06_2019

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Coelum_Astronomia_235_07-08_2019

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Coelum_Astronomia_236_09_2019

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Coelum_Astronomia_241_02_2020

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Eclissi e Misurazioni – n. 256 Coelum Astronomia

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Le eclissi totali di Sole, oltre ad essere dei fenomeni straordinari da osservare e da fotografare, offrono opportunità uniche per fare esperimenti scientifici.

Stima del raggio solare da un video del flash spectrum

Luca Quaglia (Sydney, Australia), Alessandro Pessi (Milano), Kostas Emmanouilidis (Thessaloniki, Grecia) e John Irwin (Guildford, Regno Unito).

Ecco la squadra di astrofili appassionati di eclissi solari che, al di là di essere un fenomeno straordinario da osservare e fotografare, rappresentano delle rare opportunità per fare esperimenti scientifici. Il loro principale interesse è misurare il raggio solare per mezzo del flash spectrum.

“Quei momenti in cui la Luna sta per coprire completamente il disco solare forniscono una vista rara della luce emessa dagli strati più bassi dell’atmosfera del Sole: una luce che risulta nascosta dal bagliore del disco solare, la fotosfera, in qualsiasi
altro momento.
Analizzando lo spettro di questa luce, chiamato flash spectrum, il nostro team di astrofili ha ottenuto una misura accurata del raggio solare di (959.95 ± 0.05)” grazie a dati raccolti durante l’eclissi del 2017″.

Tutti i dettagli sul loro studio nel n. 256 Giugno-Luglio
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Le prime spedizioni sono previste per lunedì 23 maggio

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La materia oscura: il punto sull’indagine – n. 256 Coelum Astronomia

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Ogni tanto ci piace tornare sulle questioni aperte, su quegli ambiti della ricerca che in assenza di scoperte sensazionali sono tuttavia estremamente attivi e di grandi aspettative.

La materia oscura: il punto sull’indagine

La ricerca della materia oscura, come vedremo in questo articolo, è un ambito che in sordina, ma con costanza, continua a sviluppare nuove idee che, indipendentemente dal risultato, contribuiscono in maniera fondamentale alla crescita tecnologica e all’innovazione.

Vi lasciamo quindi agli interventi del prof. Massimo Pietroni e di Corrado Ruscica rispettivamente dedicati allo stato attuale dell’arte nella ricerca di materia oscura e il dettaglio dello strumento di indagine basato sul machine learning, il progetto CAMELS.

Scopri di più nel n. 256 Giugno-Luglio
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L’italiano su Marte e l’italiana sulla Luna – n. 256 Coelum Astronomia

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Negli ultimi anni stanno proliferando gli esperimenti volti a misurare e testare la capacità del genere umano di resistere ed adattarsi alla vita nello spazio: Simulating Human Space Missions.

Negli scorsi mesi ben due italiani sono stati coinvolti in progetti di simulazione specifici.

Pietro di Tillio e Flavia Palma ci raccontano la loro esperienza vissuta partecipando rispettivamente al progetto HERA della NASA e EMMPOL 10 mission di EuroMoonMars.

“Un giorno sarà vero…” – l’esperienza di Pietro di Tillio

Il 25 marzo 2022 abbiamo intervistato in esclusiva Pietro di Tillio, geologo, pescarese alla nascita e dal 2013 residente negli Stati Uniti ed appena rientrato da una missione
di simulazione NASA all’interno del programma HERA: simulazione di un volo e atterraggio su Marte.

Avevamo già parlato di lui, vi ricordate? Proprio QUI!

Il programma HERA, acronimo di Human Exploration Research Analog, si svolge al Johnson Space Center (JPL) della NASA a Houston, in Texas, alternando in un anno diverse squadre di volontari selezionati in base alla formazione e competenze.

Il turno in cui è stato coinvolto Pietro di Tillio ha avuto inizio il 28 gennaio, terminando a metà marzo. Sei settimane durante le quali i volontari hanno vissuto all’interno di un modulo abitativo senza nessun contatto con il mondo esterno, salvo rare eccezioni e comunicazioni necessarie con il centro di comando.

E la giovanissima italiana “sulla Luna” – il racconto di Flavia Palma

Flavia Palma, 25 anni, di origine marchigiana, è stata selezionata per partecipare alla
missione EMMPOL 10.

“Ciao a tutti lettori di Coelum! Sono Flavia Palma, ho 25 anni e vengo dalle Marche. Sono un ingegnere biomedico con laurea triennale presso l’università di Pisa. Attualmente sono iscritta al secondo anno di laurea magistrale in Bioingegneria per le Neuroscienze presso l’università di Padova.

Dopo una candidatura quasi casuale, la mattina del 7 aprile 2022 ho preso un aereo per la Polonia: da lì è iniziata la “mia” missione di simulazione di vita spaziale!”

Le testimonianze esclusive sul n. 256 Giugno-Luglio
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Mineral Moon, come fotografare i colori della Luna – n. 256 Coelum Astronomia

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Dopo l’articolo pubblicato nel n°255 dedicato alla Selenocromatica a cura di Aldo Ferruggia

Ti sei perso l’articolo? Puoi trovarlo QUI!

Continuiamo con gli approfondimenti dedicati alla Mineral Moon passando questa volta la penna a Matteo Vacca.

Come fotografare i colori della Luna?

La Mineral Moon è una moderna tecnica di astrofotografia che ci ha permesso di comprendere più nel dettaglio la composizione chimica dei minerali che compongono le rocce lunari.

Grazie all’avanzamento tecnologico dei sensori digitali, i limiti naturali dell’occhio umano sono stati superati ed è stato possibile scoprire una Luna del tutto nuova che prima ignoravamo!

Scopri di più su questa tecnica sul n. 256 Giugno-Luglio
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Proponi un evento per la Giornata Internazionale della Luna

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A poche settimane dal 20 luglio – International Moon Day

PROPONI IL TUO EVENTO A TEMA LUNA!

La Giornata Internazionale della Luna (International Moon Day), promossa dalla Moon Village Association, si avvicina: è aperta fino il 1 giugno la call per sottoscrivere la tua proposta.

PER PARTECIPARE CLICCA QUI: Call for Participation to the International Moon Day

Il tema di quest’anno è “Coordinamento e sostenibilità dell’esplorazione lunare“. La manifestazione mira a riaccendere lo spirito di esplorazione e ispirare le parti interessate dell’industria aerospaziale di tutto il mondo a un ritorno globale sulla Luna, abbracciando il principio di cooperazione. Si vuole anche a sottolineare l’importanza di tornare sulla Luna in modo sostenibile, al fine di avere un impatto positivo a lungo termine per le generazioni future.

La dichiarazione ufficiale delle Nazioni Unite sull’istituzione della Giornata Internazionale della Luna è datata 9 dicembre 2021, quindi il 20 luglio 2022 sarà la prima celebrazione veramente globale dell’evento.

Se desideri entrare nella storia commemorando il “salto da gigante” dell’umanità, impegnandoti attivamente per avere un impatto sui prossimi passi dell’esplorazione lunare su scala globale, l’organizzazione della manifestazione ti invita a registrare il tuo evento all’interno del calendario ufficiale.

Gli eventi possono essere sia in presenza che online

Alcune idee elencate dagli organizzatori della manifestazione per strutturare l’evento:

  • Invitare un astronauta a tenere un discorso di apertura per una serie di conferenze
  • Una proiezione di un film a tema “esplorazione lunare” seguito da una sessione di domande e risposte con un esperto
  • Una notte di osservazione della Luna presso l’Osservatorio locale
  • Una serie di webinar che indagano sull’incidenza dell’esplorazione lunare nel prossimo futuro
  • Una competizione di avvio per ispirare aziende locali, liberi professionisti o singoli interessati a immaginare opportunità di business legati alla Luna

La scadenza per presentare la proposta è il 1 giugno. Se l’evento verrà selezionato, sarà pubblicato sul sito web dell’International Moon Day entro il 1° luglio.

MAGGIORI INFO:

International Moon Day

Il correttore di dispersione atmosferica – n. 256 Coelum Astronomia

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correttore atmosferico
NUOVA RUBRICA TECNICA!

Il consulente informatico e astrofotografo Tommaso Massimo Stella è il primo professionista ad inaugurare questa nuova rubrica di Coelum:

La tecnica ci salverà!

Sul n. 256 Giugno-Luglio parleremo del correttore di dispersione atmosferica: cos’è, come si utilizza e tanti consigli pratici con foto e dettagliate spiegazioni!

Spesso, durante l’osservazione planetaria, può capitare di notare bordi colorati rossi e blu intorno alle figure dell’oggetto puntato con il telescopio (magari ad alti ingrandimenti).

L’ADC, una soluzione opto-meccanica. Il correttore di dispersione atmosferica (ADC –Atmospheric Dispersion Corrector) è uno strumento opto-meccanico che si posiziona nel treno ottico dopo l’obiettivo (che sia a lenti o a specchi) e prima del sensore di acquisizione (oppure dell’oculare).

Scopri di più sul n. 256 Giugno-Luglio
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L’astronomia di domani sarà ancora terrestre? – n. 256 Coelum Astronomia

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astronomia di domani

“Sapete una cosa?
Credo si stia profilando una preoccupante minaccia per la sopravvivenza dell’astronomia
osservativa come la conosciamo oggi.
Una minaccia di cui ovviamente noi umani siamo la causa. Ovviamente.
Di cosa parlo?

Di due problemi diversi, che però avanzano facendo fronte comune.
Il primo è sempre quello, il solito. Viene da molto lontano e ha a che fare con il cielo notturno, che visto dalla superficie terrestre appare sempre più torbido e lontano”.

L’astronomia di domani sarà ancora terrestre?

Torna una firma storica di Coelum per questo n. 256 in uscita il 20 maggio

L’ex Direttore di Coelum Giovanni Anselmi ritorna a scrivere per la rivista e lo fa partendo da una domanda molto forte: ci sarà spazio per l’osservazione astronomica terrestre nel prossimo futuro? 

Certo, nel fare astronomia dallo spazio i vantaggi sono enormi. Esistono però anche un mucchio di buone ragioni per desiderare il contrario, o per auspicare quanto meno un po’ di sano buon senso nelle scelte per l’immediato futuro.

L’articolo disponibile sul n. 256 Giugno-Luglio
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23a MOSTRA di Astronomia e Astronautica – Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”

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A Santa Maria di Sala torna l’appuntamento con le stelle dopo due anni di stop

23^ edizione della Mostra di Astronomia e Astronautica

La manifestazione, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, si svolgerà a Villa
Farsetti dal 22 al 29 maggio 2022
Inaugurazione il giorno 21 maggio alle ore 18.00
Sarà un’edizione di rinascita, dedicata anche alle figure femminili nella scienza

COMUNICATO STAMPA a cura del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”

Siamo entusiasti di tornare finalmente a Villa Farsetti con l’edizione 2022 della
mostra, dopo due anni di stop a causa della pandemia. A marzo del 2020 siamo stati
costretti ad annullare la 23^ edizione all’improvviso, ma quest’anno possiamo
rinascere grazie alla passione per l’astronomia, che ha continuato a tenere uniti i
nostri soci anche nei momenti più difficili”.

Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”,
illustrando il programma e le novità della “23^ Mostra di Astronomia e
Astronautica”, in programma dal 22 al 29 maggio 2022.

La mostra conterà 25 sezioni tematiche di approfondimento negli spazi interni della monumentale Villa Farsetti di Santa Maria di Sala, illustrate dai soci del Gruppo Astrofili Salese.

Nell’incantevole giardino esterno della villa si potrà inoltre passeggiare tra i pianeti
nella ricostruzione del sistema solare in scala e osservare il cielo con i telescopi
messi a disposizione dall’associazione.

L’inaugurazione della manifestazione avrà luogo il giorno sabato 21 maggio alle ore
18.00, mentre le visite agli spazi espositivi inizieranno da domenica 22 maggio.

Come evento collaterale alla manifestazione è prevista l’inaugurazione del nuovo
Planetario, che si terrà sabato 28 maggio alle ore 10.30 presso l’Osservatorio
Astronomico di Santa Maria di Sala in via Ferraris, 1.

Si tratta di un Planetario ottico, che può riprodurre 3200 stelle e che permetterà a tutti gli interessati di capire qualcosa in più sui fenomeni astronomici e sulle bellezze del creato.

La Mostra di quest’anno – ha concluso Testolina – oltre che un simbolo di rinascita,
sarà anche un omaggio alle figure femminili nella scienza. Sarà infatti inaugurata una nuova sezione espositiva dedicata interamente alle donne che, con le loro scoperte
ed intuizioni, hanno segnato importanti traguardi nella storia dell’astronomia”.

La manifestazione è organizzata con il Patrocinio della Regione Veneto, Città
Metropolitana di Venezia, Comune di Santa Maria di Sala, ASI (Agenzia Spaziale
Italiana), INAF di Padova, INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) sezione di
Padova, ed EIE Group.

PER INFO, COSTI E MODALITA’ DI PRENOTAZIONE
VISITA IL SITO: www.astrosalese.it

Eclissi totale di Luna – FOTORACCONTO

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Sono davvero tanti i contributi che ci sono giunti riguardo
l’eclissi totale di Luna del 16 Maggio

… abbiamo così pensato di raccoglierli in questo

FOTORACCONTO

In copertina:

Eclisse lunare
di Fausto Lubatti

credit Fausto Lubatti (clicca sull’immagine per maggiori dettagli)

Mosaico di 15 immagini dell’eclissi lunare riprese a intervallo di 3 minuti tra le 4:41 e le 5:23 del 16/05/2022.
Luogo di ripresa: Carpiano (MI)

L’eclissi dell’alba
di Matteo Ferrarini

credit Matteo Ferrarini (clicca sull’immagine per maggiori dettagli)

Composizione di 3 immagini che raffigurano 3 momenti differenti dell’eclisse di luna del 16 maggio 2022. Verificandosi a ridosso dell’alba, si può notare il cambiamento dei colori del cielo.

Eclissi totale di Luna – 16 maggio 2022
di Matteo Ferrarini

credit Matteo Ferrarini (clicca sull’immagine per maggiori dettagli)

Composizione di 10 scatti che ritraggono le prime fasi dell’eclissi totale di Luna del 16 maggio 2022. A causa del contemporaneo sorgere del sole, non mi è stato possibile riprendere la fase di totalità.

Eclissi di Luna
di Filippo Galati

credit Filippo Galati (clicca sull’immagine per maggiori dettagli)

Una composizione di 7 scatti dell’eclissi di questa mattina (16 Maggio), ripresi tra le 4.30 e le 5.30. Le sfumature sono date dal passaggio dalla notte all’alba, purtroppo la foschia non mi ha permesso di riprendere l’ultima fase di totalità.

Eclissi Totale di Luna
Gruppo Astrofili Palidoro

credit Gruppo Astrofili Palidoro (clicca sull’immagine e accedi al sito del gruppo astrofili per maggiori dettagli)

Le spettacolari immagini dell’eclissi totale di Luna del 16 maggio 2022 vista e immortalata da Marina di San Nicola in provincia di Roma dal Gruppo Astrofili Palidoro. Gli autori delle foto sono: Giuseppe Conzo, Gabriele Spaziani, Francesco Orfino e Chiara Tronci.

Eclissi Totale di Luna
di Antonello Marino

credit Antonello Marino (clicca sull’immagine per raggiungere il sito Rossozero.it)

E infine grazie a Antonello Marino che già ci aveva aiutato con i preparativi ai nostri scatti con il suo articolo all’interno del n. 255 di Coelum Astronomia: “A caccia di eclissi!” – Come ottenere uno scatto suggestivo

Descrizione a cura dell’autore:
Dopo tanta pianificazione minuziosa per fare in modo che tutto fosse perfetto alla fine il risultato ha pagato i sacrifici! Ed è senz’altro una sensazione fantastica quella che si prova quando tutto il quadro che fino a poche ore prima di iniziare la sessione ci eravamo soltanto immaginati inizia a prendere forma sino a comporsi definitivamente davanti ai nostri occhi nel silenzio della notte!
Eh già, perchè di notte fonda si parla… Tutto è iniziato con la sveglia alle 2 del mattino, il tempo di riprendersi dallo shock di svegliarsi a quell’ora (…Potevo scegliere anche una sveglia meno aggressiva…) e via, si inizia! Per fortuna ho sistemato l’attrezzatura nel tardo pomeriggio predisponendola per ridurre al minimo le operazioni da effettuare sul campo così da essere operativi il prima possibile. Ormai possiamo svelarlo, la location che avevo scelto è la splendida baia di Capo Tirone a Belvedere Marittimo in provincia di Cosenza, il mio amato paesello.
Così ho aperto Google Earth, ho esportato la mappa e, conoscendo le longitudini di inizio e fine dell’evento, le ho riportate in sovrapposizione così da avere le direzioni precise di quanto campo doveva essere inquadrato. Fatto ciò mi sono recato sul posto, armato della mia fedelissima reflex e ho fatto un test di scatto verificando inoltre che l’esattezza delle posizioni fosse accurata grazie all’aiuto della realtà aumentata disponibile nell’app PhotoPills!
A questo punto tutto era pronto, dovevo solo decidere quanti scatti fare per “raccontare” al meglio l’intero evento.
Avendo a disposizione una finestra di circa 2 ore o poco più, iniziando dalle 3.33 ho deciso che 8 foto avrebbero descritto al meglio la transizione cromatica della luna.
Ok, avevo il posto, avevo i dati, potevo tranquillamente impostare la sessione di scatto.
Per arrivare a questo risultato ho utilizzato ben 3 camere per un totale di 33 scatti elaborati e messi insieme.
La prima camera era dedicata sia a catturare le immagini dello sfondo, posizionata fissa su di un cavalletto, sia le posizioni che avrebbe avuto la luna in ogni scatto che avrei effettuato.
La seconda invece era agganciata ad un telescopio rifrattore montato su testa equatoriale così da inseguire la luna automaticamente.
Le due camere erano inoltre sincronizzate attraverso due smart trigger e scattavano
contemporaneamente agli stessi orari.
La terza ed ultima camera invece era dedicata all’acquisizione del cielo notturno. Non essendo un soggetto deep sky ho preferito realizzare una sequenza di pochi scatti e con esposizioni relativamente brevi così da ridurre al minimo la contaminazione luminosa della luna che, ricordiamolo, era piena!
Alla fine l’emozione nel mettere insieme tutti i dati era davvero tanta e il risultato ottenuto ha ripagato tutti i sacrifici. Per questo e altri progetti vi rimando alla pagina Facebook dedicata Astrozero.
Hai altre foto da condividere con noi? Ti aspettiamo!

 

(Piccolo) Festival della Divulgazione

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Dal 14 al 29 maggio 2022

San Giorgio di Piano, Bentivoglio, Minerbio, Castel Maggiore, Pieve di Cento, Argelato, San Pietro in Casale (provincia di Bologna)

Segnaliamo questo (piccolo) Festival della Divulgazione, con un calendario ricco di eventi!

Sotto la locandina, il commento dell’astrofisico, divulgatore e autore per Coelum: Pierdomenico Memeo

A volte l’inizio è già un arrivo.

Nei 12 anni in cui ho fatto divulgazione, ho partecipato a tanti eventi: festival, fiere, manifestazioni, conferenze, incontri, e laboratori. Ma passare dall’altra parte, da “partecipante” a “organizzatore” è qualcosa che difficilmente mi sarei aspettato. E invece eccoci qui. Quello che per mesi è stato solo un’idea, poi un progetto, è diventato realtà.

Una di quelle cose di cui hai quasi paura a parlarne, perché organizzare una cosa così è lungo, difficile, complicato, e onestamente io sono a malapena in grado di organizzare me stesso, figuriamoci. E invece, grazie al lavoro degli altri organizzatori, al supporto degli sponsor e alla fiducia delle istituzioni, siamo arrivati fino a qui: ossia appena all’inizio, ma per me è già incredibile. Ma ancora più incredibile, quando ti getti in questo tipo di imprese, è il numero stupefacente di persone disposte ad aiutarti, supportarti, e sostenerti in ogni modo.

Con la collaborazione di tante realtà del territorio:

Ossigeno scsLeo ScienzaL’Arca in MovimentoAgen.TerOasi WWF La RizzaMinerva Associazione di Divulgazione Scientifica, Butac Bufale un Tanto al Chilo. E con la partecipazione di tantissimi ospiti: Roberto Mercadini, Beatrice Mautino, Guido Barbujani, Marco Colombo, Francesco Tomasinelli, Francesco Filippi, Simona Vinci, Michelangelo Coltelli, Ruggero Rollini, Lucia Cuffaro, Irene Fini, Fulvio Franchi, Elisa Magnani, Francesca Campomori. Con il patrocinio dei Comuni coinvolti e dell’Unione Reno Galliera. Con il supporto di tanti sponsor, e perfino il dono da parte di Coelum Astronomia, è davvero il caso di dirlo, di un numero astronomico di copie da regalare ai partecipanti agli eventi e alle attività, come dimostrazione del fatto che scrivere per una rivista come questa è molto più di un incarico, è fare parte di una comunità.

Un (piccolo) festival della divulgazione: per raccogliere e dare struttura alle tante esperienze in ambito culturale e formativo realizzate sul territorio nel corso degli anni.
Un (piccolo) festival della divulgazione: tutta, non solo scientifica, perché la cultura è una cosa che unisce, non divide, per la quale è necessario andare oltre la separazione tra le discipline.
Un (piccolo) festival della divulgazione, per mettere insieme tante cose: due settimane in cui proporremo conferenze, presentazioni, attività didattiche, laboratori creativi, mostre d’arte, spettacoli teatrali.

Un (piccolo) Festival della Divulgazione, ma con tanta voglia di diventare (grande).
Dal 14 al 29 maggio 2022
San Giorgio di Piano, Bentivoglio, Minerbio, Castel Maggiore, Pieve di Cento, Argelato, San Pietro in Casale 
(provincia di Bologna)

LA PRIMA IMMAGINE DEL BUCO NERO AL CENTRO DELLA VIA LATTEA

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ULTIMA ORA
COMUNICATO STAMPA ESO

Gli astronomi rivelano la prima immagine del buco nero nel cuore della nostra Galassia

Oggi, durante diverse conferenze stampa simultanee in tutto il mondo, tra cui quella al quartier generale dell’ESO (European Southern Observatory) in Germania, gli astronomi hanno svelato la prima immagine del buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, la Via Lattea.

Questo risultato rappresenta una prova schiacciante che l’oggetto sia veramente un buco nero e fornisce preziosi indizi sul funzionamento di questi giganti, che si pensa risiedano al centro della maggior parte delle galassie. L’immagine è stata prodotta da un gruppo di ricerca globale chiamato Collaborazione EHT (Event Horizon Telescope Collaboration), utilizzando le osservazioni di una rete mondiale di radiotelescopi.

Crediti: EHT Collaboration

L’immagine è la prima, tanto attesa occhiata sull’oggetto massiccio che si trova proprio al centro della nostra galassia. Gli scienziati avevano già visto stelle in orbita attorno a qualcosa di invisibile, compatto e molto massiccio al centro della Via Lattea. Ciò suggerisce fortemente che questo oggetto – noto come Sagittario A* (Sgr A*, pronunciato “sadge-ay-star” in inglese) – sia un buco nero e l’immagine odierna ne fornisce la prima prova visiva diretta.

Anche se non possiamo vedere il buco nero propriamente detto, poiché è completamente oscuro, il gas incandescente che lo circonda mostra una firma rivelatrice: una regione centrale scura (possiamo dire un’ombra) circondata da una struttura brillante ad anello. La nuova veduta cattura la luce piegata dalla potente gravità del buco nero, quattro milioni di volte più massiccio del nostro Sole.

Le prime dichiarazioni

Siamo rimasti sbalorditi da quanto le dimensioni dell’anello concordino con le previsioni della teoria della relatività generale di Einstein“, ha affermato il responsabile scientifico del progetto EHT Geoffrey Bower dell’Istituto di Astronomia e Astrofisica, Academia Sinica, Taipei. “Queste osservazioni senza precedenti hanno notevolmente migliorato la nostro comprensione di ciò che accade al centro della nostra galassia e offrono nuove informazioni su come questi giganteschi buchi neri interagiscono con l’ambiente circostante.” I risultati del gruppo di lavoro EHT sono stati pubblicati oggi in un numero speciale di The Astrophysical Journal Letters.

Poiché il buco nero si trova a circa 27.000 anni luce dalla Terra, la sua dimensione in cielo ci appare all’incirca come quella di una ciambella sulla Luna. Per poterne catturare un’immagine, l’equipe ha creato il potente EHT, che collega tra loro otto osservatori radio in tutto il pianeta per formare un unico telescopio virtuale delle dimensioni della Terra. L’EHT ha osservato Sgr A* in più notti nel 2017, raccogliendo dati per molte ore di seguito, proprio come con un lungo tempo di esposizione su una macchina fotografica.

Oltre ad altre strutture, la rete EHT di osservatori radio comprende ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e APEX (Atacama Pathfinder EXperiment) nel deserto di Atacama in Cile, in comproprietà e co-operati dall’ESO per conto di suoi Stati membri in Europa. L’Europa contribuisce alle osservazioni EHT anche con altri radio osservatori – il telescopio IRAM da 30 metri in Spagna e, dal 2018, il NOEMA (NOrthern Extended Millimeter Array) in Francia – oltre a un supercomputer per combinare i dati EHT ospitato dal Max Planck Istituto di Radioastronomia in Germania. Inoltre, l’Europa ha contribuito con finanziamenti al progetto del consorzio EHT attraverso sovvenzioni del Consiglio europeo della ricerca e della Max Planck Society in Germania.

È esaltante per l’ESO aver svolto un ruolo così importante nello svelare i misteri dei buchi neri, e di Sgr A* in particolare, per così tanti anni“, ha commentato il Direttore Generale dell’ESO Xavier Barcons. “L’ESO non solo ha contribuito alle osservazioni EHT con le strutture ALMA e APEX, ma ha anche consentito, con i suoi altri osservatori in Cile, alcune delle precedenti osservazioni rivoluzionarie del centro galattico“.

Il risultato di EHT segue il rilascio nel 2019, sempre da parte della collaborazione, della prima immagine di un buco nero, chiamato M87*, al centro della galassia Messier 87, ben più lontana da noi.

Immagini simili

M87 (credit EHT)

I due buchi neri appaiono notevolmente simili, anche se il buco nero della nostra galassia è più di mille volte più piccolo e meno massiccio di M87*. “Abbiamo qui due tipi completamente diversi di galassia e due masse di buchi neri molto diverse, ma vicino al bordo questi buchi neri sembrano sorprendentemente simili“, afferma Sera Markoff, co-presidente del Consiglio Scientifico dell’EHT e professoressa di astrofisica teorica all’Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi. “Questo ci dice che la Relatività Generale governa questi oggetti da vicino, e qualsiasi differenza che vediamo più lontano deve essere dovuta a differenze nel materiale che circonda i buchi neri“.

Questo traguardo è stato decisamente più difficile che per M87*, anche se Sgr A* è molto più vicino a noi. Lo scienziato dell’EHT Chi-kwan (‘CK’) Chan, dell’Osservatorio Steward e del Dipartimento di Astronomia e del Data Science Institute dell’Università dell’Arizona, USA, spiega: “Il gas in prossimità dei buchi neri si muove alla stessa velocità — veloce quasi come la luce — sia intorno a Sgr A* che a M87*. Ma mentre il gas impiega giorni o settimane per orbitare attorno a M87*, più grande, in Sgr A*, molto più piccolo, completa un’orbita in pochi minuti. Ciò significa che la luminosità e la configurazione del gas intorno a Sgr A* cambiavano rapidamente mentre la collaborazione EHT lo osservava, un po’ come cercare di scattare una foto nitida di un cucciolo mentre insegue la propria coda“.

I ricercatori hanno dovuto sviluppare nuovi strumenti sofisticati che tenessero conto del moto del gas intorno a Sgr A*. Mentre M87* era un obiettivo più facile e più stabile, poichè quasi tutte le immagini si assomigliavano, questo non era il caso per Sgr A*. L’immagine del buco nero di Sgr A* è una media delle diverse immagini estratte dal gruppo di lavoro e rivela finalmente per la prima volta il mostro che si nasconde nel cuore della nostra galassia.

Lo sforzo è stato possibile grazie all’ingegno di oltre 300 ricercatori provenienti da 80 istituti di tutto il mondo, che costituiscono la Collaborazione EHT. Oltre a sviluppare strumenti complessi per superare le sfide insite nel ritrarre Sgr A*, l’equipe ha lavorato rigorosamente per cinque anni, utilizzando supercomputer per combinare e analizzare i propri dati, compilando nel frattempo una libreria senza precedenti di buchi neri simulati da confrontare con le osservazioni.

Gli scienziati sono particolarmente entusiasti di avere finalmente le immagini di due buchi neri di dimensioni molto diverse, cosa che offre l’opportunità di capire come si confrontano e in quanto differiscono. Hanno anche iniziato a utilizzare i nuovi dati per verificare teorie e modelli di come il gas si comporta intorno ai buchi neri supermassicci. Questo processo non è ancora del tutto compreso, ma si ritiene che svolga un ruolo chiave nel plasmare la formazione e l’evoluzione delle galassie.

Ora possiamo studiare le differenze tra questi due buchi neri supermassicci per ottenere nuovi preziosi indizi su questo importante processo“, ha affermato lo scienziato dell’EHT Keiichi Asada dell’Istituto di Astronomia e Astrofisica, Academia Sinica, Taipei. “Abbiamo immagini per due buchi neri – alle due estremità della distribuzione di massa dei buchi neri supermassicci nell’Universo – quindi possiamo progredire molto più di prima nella verifica del comportamenteo della gravità in questi ambienti estremi“.

I progressi sull’EHT continuano: un’importante campagna di osservazione nel marzo 2022 ha incluso un numero ancora maggiore di telescopi. La continua espansione della rete EHT e significativi aggiornamenti tecnologici consentiranno agli scienziati nel prossimo futuro di mostrare immagini ancora più impressionanti e anche filmati di buchi neri.

Aperta la prevendita di Coelum 256 giugno/luglio

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Coelum Astronomia n°256

Giugno-Luglio 2022

in uscita il 20 maggio 2022

Prevendita

Disponibile dal 20 maggio il numero 256 di Coelum Astronomia di giugno/luglio 2022.

LA COPERTINA

Il n. 256 è un numero ricco di novità con nuove rubriche e molti articoli. Oltre all’omaggio all’Astrofisica Margherita Hack con un contributo della giornalista Serena Gradari, un grande ritorno fra le firme di Coelum: Giovanni Anselmi, ex direttore, ci accompagna in un lungo e dettagliato approfondimento sui probabili scenari delle osservazioni da Terra e dallo spazio.

E inoltre:

👉 A cura del Prof Massimo Pietroni e di Corrado Ruscica facciamo il punto su un argomento “scomodo”: la materia oscura
👉 Ogni eclisse è spettacolare da guardare, ma anche dal punto di vista sperimentale offre opportunità di misurazioni senza precedenti. Un gruppo di appassionati ci racconta l’accurato lavoro per il calcolo del raggio del Sole
👉 Parliamo di tecnica: arriva la nuova rubrica destinata ai “trucchi del mestiere” per l’osservazione. In questo numero: il correttore atmosferico, un contributo di Tommaso Massimo Stella
👉 Mineral Moon continuano gli approfondimenti su questo argomento, con l’astrofotografo Matteo Vacca
👉 Due italiani ci raccontano in prima persona il mondo delle simulazioni di vita in ambienti extraterrestri. Intervista esclusiva a Pietro di Tillio, l’italiano su Marte, e Flavia Palma, l’italiana sulla Luna!

In più:

👉 Il ricordo del caro collaboratore Paolo Campaner
👉 Notizie dal mondo delle associazioni: grandi risultati per l’Astronomia amatoriale
👉 L’architettura e il machine learning a disposizione dell’abitabilità dello spazio, di Enrico Trolese
👉 Il catalogo Messier nel dettaglio con Giuseppe Petricca
👉 Le meraviglie affascianti dal mondo dell’Hubble Space Telescope a cura di Barbara Bubbi

Suggerimenti di Astrofotografia e data processing… e molto molto ancora!

Coelum è pronto per la distribuzione a partire dal 20 maggio!

❗❗❗❗ Prenota la tua copia qui❗❗❗❗

Il vento dei buchi neri non soffia più come una volta!

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COMUNICATO STAMPA INAF

Mentre attendiamo entusiasti i nuovi e rivoluzionari risultati sulla Via Lattea anticipati da ESO e EHT che saranno annunciati oggi alle ore 15:00 [non perdere l’articolo su Coelum]

Riportiamo lo studio pubblicato ieri, 11 maggio, su Nature. Il paper, guidato da tre ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica in collaborazione con la Scuola Normale Superiore, che presenta la prima misura osservativa della frazione di venti generati dai buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale, svelando che all’epoca questi venti erano molto più frequenti e potenti rispetto a quelli osservati nelle galassie a noi vicine

Venti primordiali

Nel primo miliardo di anni di vita dell’Universo, i venti scatenati dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie erano molto più frequenti e più potenti rispetto a quelli osservati nelle galassie odierne, circa tredici miliardi di anni più tardi. Questi venti sarebbero stati così poderosi da rallentare la crescita degli stessi buchi neri da cui hanno origine.

Questo è quanto emerge dai risultati dello studio guidato da tre ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Trieste, pubblicati sulla rivista Nature.

Le ricercatrici INAF Valentina D’Odorico (sinistra), Manuela Bischetti (centro) e Chiara Feruglio (destra). Crediti: INAF

Il lavoro è basato sulle osservazioni di 30 quasarsorgenti puntiformi dalla luminosità molto elevata, al centro di galassie lontanissime, la cui emissione deriva dall’attività intensa dei loro buchi neri supermassicci centrali che risucchiano la materia circostante – ottenute con il Very Large Telescope (VLT) presso l’Osservatorio di Paranal dell’ESO in Cile. Le galassie che ospitano questi quasar sono state osservate all’alba del cosmo, quando l’Universo aveva tra 500 milioni e un miliardo di anni di età.

Lo studio

«Abbiamo misurato per la prima volta la frazione di quasar nell’Universo giovane che esibisce venti generati dai buchi neri», afferma Manuela Bischetti, ricercatrice INAF a Trieste e prima autrice del nuovo studio. «A differenza di quanto si osserva nell’Universo più vicino a noi, abbiamo scoperto che i venti prodotti dai buchi neri nell’Universo giovane sono molto frequenti, hanno grandi velocità – pari fino al 17 per cento della velocità della luce – ed immettono grandi quantità di energia nella galassia che li ospita».

Circa la metà delle quasar osservate in questa ricerca mostra la presenza di venti da buchi neri, che risultano dunque molto più frequenti rispetto a quelli noti nei quasar del cosmo a noi più vicino – ovvero quando l’Universo aveva circa quattro miliardi di anni di età – oltre a essere oltre 20 volte più potenti.

«Le osservazioni dei buchi neri nell’Universo giovane mostrano che essi crescono più velocemente delle galassie che li ospitano, mentre nell’Universo vicino a noi sappiamo che buchi neri e galassie co-evolvono», aggiunge la coautrice Chiara Feruglio, ricercatrice INAF a Trieste. «Questo implica che ad una certa epoca dell’Universo sia intervenuto un meccanismo responsabile del rallentamento della crescita dei buchi neri. Le nostre osservazioni ci hanno permesso di identificare tale meccanismo nei venti generati dai buchi neri quando l’Universo aveva 0,5–1 miliardo di anni».

L’energia iniettata dai venti sarebbe dunque in grado di arrestare l’accrescimento di nuova materia sul buco nero, rallentandone la crescita e dando inizio ad una fase di ‘evoluzione comune’ tra il buco nero e la sua galassia ospite.

«Questo studio ci ha permesso di identificare l’epoca nella storia dell’Universo in cui l’impatto dei venti generati dai buchi neri inizia ad essere significativo», nota Bischetti. «Questo ha un grosso impatto per quanto riguarda la nostra conoscenza delle fasi iniziali di crescita dei buchi neri e delle galassie che li ospitano, ponendo dei vincoli stringenti ai modelli di formazione delle prime galassie».

La scoperta, del tutto inaspettata, è stata possibile grazie ai dati di alta qualità forniti dallo strumento X-shooter montato sul VLT, nell’ambito di un grande programma ESO per un totale di circa 250 ore di osservazioni.

Scoperta inaspettata e incredibile!

«I quasar osservati sono tra gli oggetti più luminosi osservabili nell’Universo primordiale, ma a causa della loro distanza sono piuttosto deboli in termini di magnitudine osservata», spiega la coautrice Valentina D’Odorico dell’INAF di Trieste, affiliata alla Scuola Normale Superiore di Pisa e principal investigator del programma osservativo su cui si basa lo studio. «Il grande investimento di tempo dedicato all’osservazione di questi oggetti e le capacità uniche di X-shooter in termini di efficienza, intervallo di lunghezza d’onda coperto e potere risolutivo ci hanno permesso di ottenere spettri di ottima qualità che hanno consentito questo interessante risultato».

Gran parte del pubblico, come il signore raffigurato in questa illustrazione, verrà a conoscenza del nuovo studio sui venti prodotti dai buchi neri supermassicci attraverso il proprio smartphone. Crediti: Imprinting Digital

«Da alcuni anni c’erano indizi che i buchi neri un miliardo di volte più massicci del Sole, al centro di enormi galassie formatesi quando l’Universo era ancora nella sua infanzia, potessero lanciare dei potentissimi venti che viaggiano ad una velocità pari a 20 per cento di quella della luce nello spazio circostante», aggiunge Andrea Ferrara, professore della Scuola Normale Superiore (SNS) e coautore dello studio. «Oggi ne abbiamo conferma grazie a dati ottenuti con un telescopio europeo da un team a forte impronta e guida italiana, a cui la SNS ha contribuito per la parte di interpretazione teorica. La scoperta di questi spettacolari venti galattici a tempi così remoti potrebbe avere avuto implicazioni enormi e ancora inesplorate per la nascita e l’evoluzione di galassie come la nostra.  Ci dedicheremo a queste domande nella prosecuzione già in atto di questo studio».

Il programma osservativo non era stato originariamente progettato per questo obiettivo scientifico ma principalmente per studiare il gas intergalattico nell’Universo primordiale. Basandosi sulle informazioni provenienti da quasar più vicini a noi, si pensava che questi venti fossero rari. «Per fortuna, si diceva, poiché queste caratteristiche complicano la ricostruzione dell’emissione intrinseca del quasar e sono indesiderate dagli astronomi nella nostra collaborazione che studiano il mezzo intergalattico presente lungo la linea di vista», chiarisce D’Odorico. «Inaspettatamente, abbiamo riscontrato che questi venti sono molto comuni nell’Universo giovane, il che ha complicato la nostra analisi, ma ci ha offerto l’opportunità di ottenere un risultato di grande importanza».

Grande attesa per nuovi risultati sulla Via Lattea!

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Domani, 12 maggio ore 15:00

CONFERENZA STAMPA
sui nuovi e rivoluzionari risultati relativi alla Via Lattea, grazie alla collaborazione tra ESO –  European Southern Observatory e EHT Event Horizon Telescope

Grande attesa per domani, 12 maggio 2022, per la conferenza stampa in diretta dalle ore 15:00 sul canale Youtube dell’ESO:

CLICCA QUI per accedere alla diretta

Le premesse sono allentanti!

Verrà svelata al mondo l’immagine del buco nero al centro della Via Lattea?

Questa è una delle congetture riguardo le “nuove rivelazioni” promesse, in quanto dalla scorsa collaborazione tra ESO e EHT ricorderete la famosissima prima immagine di un buco nero, in quel caso di M87 all’interno della Galassia Virgo A.

credit EHT

I due enti stanno mantenendo il massimo riserbo a riguardo.

Se dovesse trattarsi della prima foto del buco nero della nostra galassia, sarebbe un evento davvero straordinario

La zona di Sagittarius A – in cui è collocato il buco nero al centro della Via Lattea – rispetto a M87 non si trova in una posizione “comoda” per le osservazioni da Terra. Il Sistema Solare è infatti situato in una zona periferica della nostra galassia, all’interno di uno dei bracci a spirale, quindi l’osservazione del nucleo galattico risulta essere decisamente molto più complicata rispetto a oggetti ben più distanti. Questo è dovuto al fatto che è presente molta più materia interstellare in questa – sebben più breve – distanza.

Quindi ancora nulla di certo su quanto verrà svelato domani. L’ESO ha dichiarato che verrà pubblicato il comunicato stampa ufficiale sui risultati presentati il ​​12 maggio poco dopo l’inizio della conferenza stampa, ovvero alle 15:07 CEST.

Non ci resta che attendere! 

 

 

Trova le differenze! Aiutiamo l’ESA a studiare la cometa Rosetta

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Rosetta Zoo
il progetto di Citizen Science promosso dall’ESA e la piattaforma Zooniverse che invita i volontari a impegnarsi nel gioco “trova le differenze!

Osservando le immagini raccolte dalla Missione Rosetta dell’ESA, possiamo aiutare gli scienziati a capire come si evolve la superficie di una cometa mentre orbita attorno al Sole.

L’archivio Rosetta contiene un numero enorme di immagini che sono state analizzate solo in parte.

La missione Rosetta infatti ha fornito, per la prima volta, immagini ad altissima risoluzione (<1 m per pixel) della superficie di una cometa. Questi scatti dettagliati, effettuati con la telecamera OSIRIS a bordo della sonda spaziale, hanno rivelato la forma complessa del nucleo nel suo pieno splendore e la diversità morfologica della sua superficie, testimoniando un grado significativo di cambiamenti della superficie mentre la cometa si muoveva lungo l’orbita.

Nei 2 anni di osservazioni, Rosetta ha assistito a diversi cambiamenti su larga scala: il retrocedere di scogliere, lo “sgonfiaggio” di terreni e la movimentazione di blocchi di grandi dimensioni. Inoltre, molto di più è avvenuto su scale più piccole: un attento esame di  immagini ad alta risoluzione ha mostrato migliaia di cambiamenti su una scala da 1 a 10 metri, tra cui la formazione di piccole fosse, impatti, massi rotolanti e rimbalzanti.

Soprattutto per questi cambiamenti su più piccola scala, sono necessari molti occhi per setacciarli: data la complessità delle immagini, l’occhio umano è più bravo a rilevare piccoli cambiamenti rispetto agli algoritmi automatizzati.

I volontari visualizzeranno coppie di immagini OSIRIS della stessa regione della cometa, scattate prima del passaggio del perielio (quando la cometa era meno attiva) e intorno o dopo il passaggio del perielio (quando la cometa era più attiva). Inoltre si richiede di identificare se vedono modifiche significative tra le due immagini, contrassegnando le aree che mostrano le modifiche nelle due immagini con strumenti appositamente progettati. Ai volontari viene inoltre chiesto di etichettare il tipo di cambiamento nelle immagini.

Un po’ come il gioco di “Trova le differenze” appunto!

Vuoi saperne di più?
Visita la pagina Rosetta Zoo

L’aiuto di tutti per trovare 1700 asteroidi nelle immagini di Hubble

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Tutto ha inizio in occasione dell’Asteroid Day di giugno 2019

Un gruppo internazionale di astronomi lancia l’Hubble Asteroid Hunter, un progetto di Citizen Science (letteralmente “scienza dei cittadini”) per identificare gli asteroidi nei dati d’archivio di Hubble.

L’iniziativa è stata sviluppata da ricercatori e ingegneri dell’European Science and Technology Center (ESTEC) e del Science Data Center (ESDC) dell’European Space Astronomy Centre, in collaborazione con la piattaforma Zooniverse, la più grande e popolare al mondo per i progetti Citizen Science, con la collaborazione di Google.

Combinando l’intelligenza artificiale con moltissimi e acuti occhi umani, gli astronomi hanno classificato ben 1701 nuove scie asteroidali in 1316 scatti tratti dai dati d’archivio del telescopio spaziale Hubble, estrapolati dalle oltre 37.000 immagini che abbracciano due decenni.

Il progetto riflette sia il valore di Hubble per gli scienziati come “cacciatore di asteroidi“, sia il modo in cui il pubblico può contribuire efficacemente alle iniziative di Citizen Science.

Tutti insieme possiamo fare la differenza!

Il progetto dimostra anche quanto il “singolo” possa fare la differenza.

Questo mosaico è costituito da 16 diversi set di dati del telescopio spaziale Hubble che sono stati studiati nell’ambito del progetto “Asteroid Hunter”. A ciascuno di questi set di dati è stato assegnato un colore basato sulla sequenza temporale delle esposizioni, in modo tale che i toni blu rappresentino la prima esposizione in cui è stato catturato l’asteroide e i toni rossi rappresentino l’ultima. Credit:
ESA/Hubble & NASA, S. Kruk (ESA/ESTEC), Hubble Asteroid Hunter citizen science team, M. Zamani (ESA/Hubble)

Basti pensare che circa un terzo delle tracce asteroidali osservate può essere attribuito ad asteroidi già inseriti negli archivi del Minor Planet Center (il più grande database di oggetti del Sistema Solare), grazie alla segnalazione per lo più di astronomi amatoriali.

Perciò rimangono “solo” 1031 tracce non identificate che risultano piuttosto deboli e che probabilmente appartengono ad asteroidi più piccoli.

La stragrande maggioranza di questi asteroidi dovrebbe appartenere alla Fascia Principale (quindi tra Marte e Giove), dove asteroidi di così piccole dimensioni sono ancora poco studiati. Queste tracce potrebbero fornire agli astronomi indizi perspicaci sulle condizioni del Sistema Solare primordiale, ovvero quando i pianeti si stavano formando.

Questo progetto rappresenta un nuovo approccio alla ricerca di asteroidi negli archivi astronomici e può essere efficacemente applicato a set di dati differenti.

Le prossime fasi

Il prossimo passo sarà di analizzare le 1031 serie di asteroidi attualmente sconosciuti per caratterizzarne le orbite e studiarne le proprietà, come le dimensioni e i periodi di rotazione. C’è però un intoppo: poiché la maggior parte di queste tracce state catturate da Hubble molti anni fa, non è possibile seguirle ora per determinare le loro orbite.

Tuttavia, utilizzando Hubble, gli astronomi possono utilizzare l’effetto di parallasse per determinare la distanza dagli asteroidi sconosciuti e determinare così le loro orbite.

Come funziona questo metodo? In pratica, mentre Hubble si muove intorno alla Terra, cambia punto di vista mentre osserva l’asteroide che si muove sulla propria orbita. Conoscendo la posizione di Hubble durante l’osservazione e misurando la curvatura delle tracce asteroidali, gli scienziati possono determinare le distanze degli asteroidi e stimare così le loro orbite. Alcune delle osservazioni di Hubble più lunghe facilitano la misurazione di una curva di luce per gli asteroidi, da cui il team può misurare i periodi di rotazione e dedurne le forme dell’oggetto.

Restiamo in attesa di nuovi sviluppi quindi!

Maggiori info:

Global Citizen Science Project Finds Over 1700 Asteroid Trails in Hubble Images

[Comunicato] Scoperta una nuova coppia di stelle nell’Unicorno!

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Scoperta una nuova coppia di stelle nella costellazione dell’Unicorno.
Si tratta di un sistema binario di tipo semi-distaccato distante 11 mila anni luce dalla Terra che compie una rotazione completa in poco più di 17 ore.
Ad indiviuarlo sono stati i ricercatori del Gruppo Astrofili Palidoro che, con il progetto “MaCoMP”, sono giunti alla loro quindicesima scoperta. Questo sistema binario è stato trovato grazie all’osservazione congiunta di più telescopi che hanno rivelato una variazione di luminosità che, infine, ha condotto alla determinazione di “MaCoMP_V15“, così si chiama la coppia di stelle scoperta. Gli autori sono Giuseppe Conzo, Paolo Giangreco Marotta e Mara Moriconi che vedono certificata la scoperta dall’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) al seguente link

https://www.aavso.org/vsx/index.php?view=detail.top&oid=2227210

Il mistero del ghiaccio nascosto su Marte: la possibile spiegazione

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Siamo nel 2021 ed è l’alba su Marte.

L’orbiter NASA Mars Odyssey scatta delle immagini utilizzando la banda di luce visibile (quella percepita dall’occhio umano) per osservare il ghiaccio mattutino spettrale, bianco-azzurro, illuminato dal Sole nascente. Ma è solo usando la telecamera termosensibile dell’orbiter che il gelo appare più ampiamente, anche in aree in cui non era visibile, suscitando enorme sorpresa tra gli scienziati.

IL GHIACCIO INVISIBILE

Come è possibile che parte del ghiaccio sia invisibile ad occhio nudo? E perché su alcuni pendii compaiono valanghe di polvere?

Il ghiaccio osservato dall’orbiter è quello che si forma durante la notte ed è composto principalmente da anidride carbonica (essenzialmente ghiaccio secco) che spesso appare come brina sul Pianeta Rosso piuttosto che sotto forma di ghiaccio. Ma perché era visibile in alcuni luoghi e non in altri?

In un articolo pubblicato il mese scorso sul Journal of Geophysical Research: Planets, gli scienziati hanno proposto una risposta sorprendente che potrebbe anche spiegare come le valanghe di polvere, che stanno rimodellando il pianeta, si inneschino dopo l’alba.

Queste strisce scure, note anche come “strisce di pendio”, sono il risultato di valanghe di polvere su Marte. La telecamera HiRISE a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, le ha catturate il ​​26 dicembre 2017. Credit: NASA/JPL-Caltech/UArizona

DAL GHIACCIO AL VAPORE

«L’orbita mattutina dell’orbiter Odyssey produce immagini davvero spettacolari», ha affermato Sylvain Piqueux del Jet Propulsion Laboratory della NASA, che ha guidato l’articolo. «Possiamo vedere le lunghe ombre dell’alba mentre si estendono sulla superficie del pianeta».

Poiché Marte ha così poca atmosfera (solo l’1% della densità di quella terrestre), il Sole riscalda rapidamente il gelo che si accumula durante la notte. Invece di sciogliersi, il ghiaccio secco si vaporizza nell’atmosfera in pochi minuti.

Lucas Lange del JPL, collega di Piqueux, ha notato per la prima volta la firma del ghiaccio a basse temperature in molti punti in cui non poteva essere visto in superficie. Queste “firme” hanno uno spessore di solamente poche decine di micron e si trovano nel sottosuolo: in pratica, meno della larghezza di un capello umano “sotto” la superficie!

«Il nostro primo pensiero era che il ghiaccio potesse essere sepolto lì», ha detto Lange. «Il ghiaccio secco è abbondante vicino ai poli di Marte, ma stavamo osservando più vicino all’equatore del pianeta, dove generalmente è troppo caldo per la formazione di ghiaccio secco».

LE CONCLUSIONI

Nel loro articolo, gli autori propongono di stare osservando del “ghiaccio sporco” ovvero ghiaccio secco misto a granelli di polvere fini che lo oscurano alla luce visibile, ma non nelle immagini a infrarossi.

Gli scienziati sono giunti a sospettare anche che questo “ghiaccio sporco” possa anche spiegare alcune delle strisce scure che possono estendersi per più di 1.000 metri lungo i pendii marziani.

Queste striature derivavano, essenzialmente, da valanghe di polvere che lentamente rimodellano i fianchi delle montagne in tutto il pianeta.

Gli scienziati pensano che queste valanghe di polvere assomiglino a un fiume di polvere che avvolge il suolo e rilascia una scia di materiale soffice dietro. Poiché la polvere viaggia in discesa per diverse ore, espone strisce di materiale più scuro al di sotto.

Per approfondire su questi “fiumi di polvere”, l’articolo NASA: Recurring Martian Streaks: Flowing Sand, Not Water?

Altre info qui:

Science at Sunrise: Solving the Mystery of Frost Hiding on Mars

Un “maggio spaziale” al Museo Galileo di Firenze

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Un “maggio spaziale” al Museo Galileo tra note e stelle
con il telescopio gregoriano di Philippe-Claude Le Bas
e la musica del Conservatorio L. Cherubini

Durante la rassegna musicale i visitatori potranno ammirare due strumenti della collezione di acustica, la “tromba parlante” appartenente alla Collezione Medicea, e il fonografo di Thomas Edison

Diffondiamo il COMUNICATO STAMPA a cura dell’Ufficio Stampa Museo Galileo

Nel mese di maggio il Museo Galileo propone un viaggio tra note musicali e spazi siderali con l’arrivo del Telescopio gregoriano di Philippe-Claude Le Bas, uno dei primissimi strumenti del genere realizzato a Parigi alla fine del Seicento [in copertina a questo articolo] e la rassegna “Orbite Musicali”, quattro concerti appositamente concepiti dal Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, che si ispirano al sodalizio tra musica e scienza, con particolare riferimento all’astronomia (8, 15, 22, 29 maggio, alle 11; ingresso gratuito per i possessori del biglietto di ingresso al museo, info 055 265311).

Sono le novità proposte per il mese di maggio dal Museo Galileo, che da sempre cerca di coniugare nelle sue iniziative arte e scienza. Il Museo diventa così un luogo dove ascoltare la musica “cosmica” e vedere uno dei pezzi più pregiati della storia del telescopio.

Giorgio Strano con il Telescopio gregoriano di Philippr-Claude Le Bas (credit: Museo Galileo)

Arriva dunque al Museo Galileo il raro Telescopio riflettore gregoriano di Philippe-Claude Le Bas, uno dei primi del suo genere, realizzato seguendo le indicazioni costruttive date dallo scozzese James Gregory nella sua opera Optica promota del 1663. Il telescopio, appartenuto all’antiquario milanese Michele Subert, è stato acquistato dal Ministero della Cultura affidato al Museo Galileo in comodato d’uso gratuito dall’ente proprietario statale, la Direzione regionale musei della Toscana.

Di Le Bas sappiamo che costruì vari strumenti per l’Observatoire Royal di Parigi, fondato nel 1667 sotto l’egida del ministro Jean-Baptiste Colbert e diretto, dal 1671, dall’astronomo italiano Gian Domenico Cassini. Come ottico di Luigi XIV di Francia (il Re Sole), Le Bas ebbe il permesso di risiedere al Louvre, un privilegio attestato dalla firma incisa sul telescopio: “Le Bas aux Galleries du Louvre Paris”. All’importanza storica dello strumento si aggiungono le notevoli condizioni di conservazione dell’oggetto, ancora funzionante: sia le ottiche che le parti meccaniche sono integre.

Roberto Ferrari, direttore esecutivo Museo Galileo (credit: Museo Galileo)

Il telescopio è completo di treppiede con giunto sferico per il corretto orientamento ed è dotato di una particolare montatura con vite a succhiello che ne permette la stabile collocazione su un supporto fisso.

Per dare all’acquisizione il risalto che merita, prima di collocarlo in una delle sale espositive, il telescopio sarà esposto nella sala di accoglienza dei visitatori.

Musica stellare

Il telescopio arriva a Firenze in un periodo in cui il Museo propone la rassegna “Orbite Musicali”, quattro composizioni, in prima esecuzione assoluta, che interpretano il moto delle comete e dei quattro satelliti di Giove, il dialogo tra un astronomo e un satellite, e alcune ricerche di Leonardo da Vinci: 39P/OTERMA di Antonio GalantiRX-J 18–56.5 Ovvero il satellite animato di Roberto Becheri5 Aforismi su testi di Leonardo da Vinci di Barbara RettagliatiQuattro satelliti per orchestra del giovane Gianmarco Contini.

Un incontro sarà inoltre interamente dedicato all’ensemble di fisarmoniche diretto dal prof. Ivano Battiston, presente anche nella veste di compositore con Pulsar. Ogni concerto si conclude con una diversa interpretazione di Serenata per un satellite (1969) di Bruno Maderna.

In questa occasione, nella sala dell’imponente modello cosmologico di Santucci, il pubblico potrà assistere a esecuzioni che rievocano la scoperta dei Pianeti Medicei (i satelliti di Giove) compiuta da Galileo: gli strumentisti, simulando il moto degli astri, realizzeranno delle vere e proprie “Orbite Musicali”. Le esecuzioni saranno introdotte dai compositori e i concerti saranno preceduti da una relazione da Natacha Fabbri (Museo Galileo). I quattro argomenti scelti per questi incontri – Dialoghi cosmiciStelle danzantiDa Firenze alle stelle Macchine sonore – illustreranno il contesto storico-filosofico dei temi a cui si ispirano i concerti, concentrandosi sull’idea di viaggio astronomico, sulle macchine sonore di Leonardo da Vinci e sul percorso che ha portato l’uomo a diventare “abitante del cielo”.

Durante tutto il mese di maggio, inoltre, saranno esposti due strumenti della collezione di acustica del Museo: un rarissimo esemplare seicentesco di “tromba parlante”, appartenente alla Collezione Medicea, e il fonografo di Thomas Edison.

Il ciclo di concerti è parte della manifestazione Amico Museo 2022 promossa dalla Regione Toscana.

I concerti proseguono la collaborazione attivata con il Conservatorio negli scorsi anni e vedono il coinvolgimento del Dipartimento di Teoria, Analisi, Composizione e Direzione, coordinato dal prof. Antonio Galanti, e dell’Ensemble di musica contemporanea del Cherubini (EMC2) diretto dal prof. Luciano Garosi.

E’ online – Coelum Astronomia 254 2022 Digitale

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1989: gli Anni 90 sono alle porte!

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Ciao a tutti boomers! TOC!TOC! Sentite anche voi questo rumore? TOC!TOC!

No, non sono le picconate che stanno abbattendo il muro di Berlino, ma gli Anni ’90 che stanno tentando di entrare.

Paura eh?

Non vi preoccupate, ancora per un anno siamo nei roaring ’80. E chiuderemo col botto!

Siamo nel 1989…

e i Nirvana esordivano con il loro primo album “Bleach“!

Nel frattempo leggende del calibro dei Pink Floyd, suonavano su una chiatta trasformata in un palco, davanti a Piazza San Marco in un concerto gratuito, davanti a una folla stimata di 200 000 persone. A pensarci oggi fa ancora venire i brividi.

Nelle sale giochi uscivano videogame campioni di incassi come Golden Axe e FinalFight e i teenager cominciavano a portarsi i videogame ovunque grazie all’uscita del Game Boy. In realtà avevano già fatto pratica di asocializzazione con i GigNikko.

Parlando di asocialità, nasceva il World Wide Web ad opera dell’ingegnere britannico Tim Berners-Lee e i suoi collaboratori che crearono nei laboratori del CERN a Ginevra lo Hyper text transfer protocol (HTTP) per poter comunicare tra computer collegati e che diventerà, entro breve,  il sistema dominante per trasferire informazioni su Internet.

E anche molte cazzate. Principalmente quello!

Oltre a molta, molta disinformazione. In tutto questo bailamme di novità, il cielo continuava a farsi gli affari suoi. E siccome gli esseri umani negli Anni ’80 erano abbastanza curiosi continuavano ad osservarlo in cerca di risposte, in cerca del Sacro Graal, come Indy nell’ultima crociata.

Proprio in quell’anno venne scoperto un vortice di gas nella parte centrale della nostra galassia, probabilmente provocato dalla presenza di un buco nero nel suo centro.

Crediti: Keio University

L’esistenza dei buchi neri era stata ipotizzata anche per le galassie Andromeda e M32.

Sempre nello stesso anno, fu lanciata la missione Galileo della NASA con lo scopo di studiare più dettagliatamente Giove e le sue lune.

fonte NASA

La sonda raggiungerà Giove solo 6 anni dopo, nel dicembre del 1995, dopo aver effettuato un flyby su Venere e due sulla Terra.

I risultati saranno impressionanti, portando a casa un esame accurato del pianeta gigante e dei suoi satelliti, in particolare Europa e Io, che ancora oggi sono sotto l’occhio dei riflettori. La sonda andrà in pensione il 21 settembre del 2003, quando sarà fatta precipitare su Giove.

Nello stesso anno, la sonda Voyager 2 raggiungeva il punto più vicino a Nettuno, fornendo una prova incontrovertibile dei suoi elegantissimi anelli.

Ma il grande occhio umano voleva spingersi oltre

Quindi creò il satellite Cosmic background explorer (COBE), realizzato per viaggiare indietro nel tempo e sprofondare nei segreti meandri della radiazione cosmica di fondo, misurandone le anisotropie e le fluttuazioni infinitesimali. Queste informazioni saranno preziose per capire come si siano formate le strutture dell’Universo, dalle grandi alle piccole scale.

Un esempio di queste strutture era la Grande muraglia di galassie, scoperta dagli astronomi Margaret Geller e John Huchra, rispettivamente dello Smithsonian Astrophysical Observatory e dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics.

Essa era una distribuzione non omogenea di galassie, ripartite in filamenti densi e sottili e inframmezzati da vuoti estesi, che si estendeva per milioni di anni luce.

Nel 1989 ci furono anche dei fuochi fatui, come l’annuncio della realizzazione della fusione nucleare ‘fredda’ da parte di Martin Fleichmann e Stanley Pons della University of Utah, a Salt Lake City e che, purtroppo, non riuscirono più ad ottenere nuovamente né il risultato originariamente annunciato, né altri comunque accettabili.

E mentre Stephen J. Gould, della Harvard University suggellava la teoria dell’esplosione della vita, usciva nelle sale cinematografiche “Weekend con il morto”.

E noi possiamo dire di esserci stati. Di avere vissuto questi anni incredibili, fatti si scoperte, di sogni e di speranze. Di aver visto la riapertura della Porta di Brandeburgo a Berlino e di ricordare come essa fosse un simbolo per non avere mai paura del nuovo che avanza.

Perché anche se può sembrare che manchi la terra sotto i piedi, vivere il presente e cogliere l’attimo (fuggente) è indispensabile per pensare al passato senza rimorsi. Ora scappo, vado a vedere la prima puntata de I Simpson. In inglese, perché in Italia uscirà nel 1991. Chissà cosa porterà il prossimo decennio. Ciao belli!

Coelum va a Galassica!

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Coelum va in trasferta per Galassica!

Lo Staff di Coelum sarà ospite a Galassica – Festival di Astronomia, giunto alla quinta edizione! In questa settimana saremo impegnati (andremo a divertirci!) nelle numerose attività organizzate per l’evento.

Galassica è un progetto a cura di Associazione Nemesis Planetarium, in collaborazione con l’Università di Camerino, che si terrà da venerdì 8 a domenica 10 luglio nella suggestiva località del Castello Malcavalca di Esanatoglia, in provincia di Macerata. Il cuore del Festival è l’astronomia, intesa sia come ricerca e innovazione che come sensibilizzazione ambientale e valorizzazione del cielo stellato.

Programma completo, info e contatti su galassica.it
VI ASPETTIAMO!

Ricordiamo ai nostri cari lettori che tutti i servizi rimarranno attivi.
Ritorneremo dall’11 luglio ancora più grintosi e pieni di energie dopo le emozioni che i laboratori, le osservazioni del cielo e il clima di festa di Galassica sapranno donarci!

 

 

Da minuscole particelle di polvere ai grandi cambiamenti climatici

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Sospinta dal vento attraverso continenti e oceani, la polvere fa molto di più che rendere i cieli velati, congestionare i polmoni e lasciare una pellicola di sporco sui parabrezza dei nostri veicoli.

Conosciuta anche come polvere minerale o polvere del deserto, può influenzare il clima, accelerare lo scioglimento delle nevi e fertilizzare le piante sulla terraferma (oltre alterare le forme vegetali presenti in mare).

Le particelle dei deserti del Nord Africa possono viaggiare per migliaia di miglia in tutto il mondo. Ad esempio, oltre oceano, innescano fioriture di fitoplancton, seminando nutrienti nelle foreste pluviali amazzoniche e ricoprono alcune città americane con un velo di sabbia, assorbendo e disperdendo la luce solare.

Vedi l’approfondimento NASA: Il satellite che rivela quanta polvere sahariana nutre le piante dell’Amazzonia

Ad aiutare i ricercatori a indagare sugli effetti climatici derivanti da questi venti sabbiosi ci sarà la missione Earth Surface Mineral Dust Source Investigation (EMIT) della NASA che misurerà la composizione dei minerali che diventano polvere nell’aria.

Piccole particelle, grandi problemi

La missione EMIT, il cui lancio è previsto per giugno 2022, mira ad approfondire la composizione mineralogica di queste fini particelle di limo e argilla provenienti dai deserti della Terra.

Di base sappiamo che la polvere più scura e ricca di ferro assorbe il calore del sole e riscalda l’aria circostante, mentre le particelle di colore più chiaro, ricche di argilla, fanno il contrario.

Gli ingegneri e i tecnici del JPL mettono insieme i componenti dell’EMIT, inclusi il telescopio, lo spettrometro per immagini e la piastra elettronica di base. Credit: NASA/JPL-Caltech

«Diversi tipi di polvere hanno proprietà diverse – sono acide, sono basiche, sono di colore chiaro, sono scure – che determinano il modo in cui le particelle interagiscono con l’atmosfera terrestre, così come con la terra, l’acqua e organismi viventi» afferma Robert O. Green, del Jet Propulsion Laboratory, primo ricercatore dell’EMIT «Grazie a questo strumento, saremo sulla buona strada per mappare le regioni di origine della polvere che circola nel mondo e capire come questa riscaldi o raffreddi il nostro pianeta, nonché come potrebbe cambiare in scenari climatici futuri».

Ulteriore scopo della missione è di mappare la provenienza della polvere. Se sappiamo da dove deriva possiamo conoscere la sua composizione mineralogica, oltre a farci un’idea di quanto possa viaggiare (in ordine di km e di tempo) questo vento polveroso.

Dal suo trespolo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, lo spettrometro all’avanguardia di EMIT mapperà le sorgenti di polvere minerale del mondo, raccogliendo informazioni sul colore e sulla composizione delle particelle mentre lo strumento orbita su regioni aride e scarsamente vegetate.

L’EMIT si concentrerà su 10 importanti varietà di polvere, comprese quelle contenenti ossidi di ferro, le cui tonalità rosso scuro possono causare un forte riscaldamento dell’atmosfera.

Sapere quali tipi di polvere prevalgono sulla superficie in ciascuna regione monitorata fornirà nuove informazioni sulla composizione delle particelle sollevate e trasportate nell’aria. Con queste intuizioni, gli scienziati del clima possono affinare la loro comprensione degli effetti climatici regionali e globali della polvere minerale.

Per saperne di più:

L’EMIT è in fase di sviluppo presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, gestito per l’agenzia da Caltech (California Institute of Technology) a Pasadena, in California. Verrà lanciato dal Kennedy Space Center in Florida per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale a bordo della 25a missione di servizi di rifornimento commerciali gestita dalla SpaceX per la NASA.

Per approfondire: Earth Surface Mineral Dust Source Investigation (EMIT)

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A partire da oggi, 2 maggio 2022
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Coelum Astronomia 255 2022 Digitale

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Così si misura il carbonio nascosto negli alberi

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La seconda data release della missione della NASA GEDI a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, misura, con una precisione senza precedenti, la copertura vegetale del nostro pianeta per comprendere quanto carbonio sia contenuto nelle piante e quali siano, quindi, le conseguenze della deforestazione e degli incendi sulle emissioni e sul clima

Emissioni, biomassa, carbonio, metano, deforestazione: è questo il (parziale) vocabolario del cambiamento climatico, che sempre di più lega queste parole a cause o conseguenze dell’azione umana sul pianeta Terra.

Sono queste anche alcune parole che si trovano, ripetutamente, nei rapporti dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) che riguardano gli obiettivi per il contenimento delle emissioni e della crisi climatica da qui a fine secolo. Obiettivi che, sempre più, sembrano sfuggire di mano.

Cominciamo parlando di qualcosa di molto pratico, allora.
Un grande classico: la deforestazione.

È un problema di cui si parla da decenni, quello del disboscamento, della perdita delle aree verdi, della minaccia che incombe sui “polmoni” del mondo. Ultimamente, poi, a questo si uniscono anche moltissime iniziative per la piantumazione o per ampliare le aree verdi, specialmente quelle urbane.

La domanda, a questo punto, è: come mai mantenere o aumentare la biomassa sul pianeta è così importante?

La prima risposta è che foreste e zone verdi sono un enorme serbatoio di carbonio. Lo prelevano dall’atmosfera per nutrirsi e crescere e, di conseguenza, lo liberano quando sono interessati da incendi o quando vengono rimossi.

Secondo le stime, circa la metà della biomassa vegetale è composta da carbonio. Quanto sia, esattamente, il carbonio immagazzinato nei vegetali su tutta la superficie terrestre però, gli scienziati non lo sanno.

È questo uno degli obiettivi della missione Global Ecosystem Dynamics Investigation (GEDI), di cui è stata recentemente pubblicata una nuova release di dati.

Posizione dello strumento GEDI a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (nel riquadro giallo). Crediti: NASA

Questa informazione, oltre a poter essere utile per valutare eventuali soluzioni e contromisure al processo climatico in corso, è fondamentale per comprendere quanto carbonio verrà immesso nell’atmosfera a causa di incendi (nelle zone a rischio) e deforestazione (in atto o prevista).

La missione NASA

Una prima risposta, lo dicevamo, è arrivata in questi giorni dalla missione della NASA.

GEDI è uno strumento lidar che produce osservazioni dettagliate e tridimensionali della superficie terrestre, che ha misurato con precisione l’altezza delle chiome delle foreste, la loro struttura verticale e l’elevazione della superficie, fornendo una panoramica completa della distribuzione delle aree boschive, forestali e verdi sul pianeta.

Grazie a questi dati, i ricercatori possono monitorare il cambiamento delle foreste e comprendere meglio il ruolo che esse hanno nel mitigare il cambiamento climatico e, di conseguenza, l’impatto che rimuovere queste regioni avrebbe sul ciclo globale del carbonio e dell’acqua, sulla biodiversità e sugli habitat naturali.

Esempio di forma d’onda ricostruita dal lidar di GEDI sulla vegetazione, sulla base della quantità di energia riflessa da foglie, rami e cespugli alle diverse altezze. Crediti: NASA

GEDI si trova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ed è uno strumento lidar ad alta risoluzione progettato specificamente per misurare la vegetazione.

Funziona facendo rimbalzare rapidamente impulsi laser sugli alberi e sugli arbusti sottostanti per creare mappe 3D dettagliate delle foreste e delle formazioni terrestri. Quel che risulta è una griglia di misurazioni con una risoluzione di 1 km quadrato. Nei suoi primi tre anni in orbita, ha catturato miliardi di misurazioni tra 51.6 gradi di latitudine Nord e Sud (approssimativamente le latitudini di Londra e delle isole Falkland, rispettivamente).

GEDI utilizza tre laser divisi in quattro fasci che sparano 242 volte al secondo coprendo – mediante un dithering continuo – 8 tracce parallele poste a 600 metri di distanza, con impronte di 25 metri ogni 60 metri. Sono 968 impronte al secondo.

I fasci laser si riflettono prima sulle superfici più alte e poco dopo su quelle più basse, registrando un minuscolo ritardo rilevabile dal sensore di GEDI che monitora l’intensità della riflessione nel tempo e calcola una forma d’onda che documenta la densità riflettente dell’impronta a varie altezze, disegnando di fatto la superficie sottostante.

Le forme d’onda lidar così ottenute quantificano la distribuzione verticale della vegetazione registrando la quantità di energia laser riflessa dal materiale vegetale (steli, rami e foglie) a diverse altezze dal suolo. Da queste forme d’onda, possono essere estratti quattro tipi di informazioni sulla struttura:

  • topografia della superficie,
  • metrica dell’altezza della chioma,
  • metrica della copertura della chioma
  • metrica della struttura verticale.

Gli scienziati, infine, sono in grado di elaborare l’insieme di queste forme d’onda estraendo delle vere e proprie mappe in cui è possibile localizzare rapidamente le regioni di interesse e studiare la struttura delle foreste e il contenuto di carbonio con precisione molto maggiore precisione che in passato.

La nuova data release – come detto, la seconda per la precisione – contiene una combinazione di dati GEDI assieme a quelli provenienti da altri lidar aerei e terrestri per costruire una mappa globale della biomassa che rivela la quantità di vegetazione contenuta in un’area. La novità, rispetto alla precedente, sta nel miglioramento della geolocalizzazione, dell’algoritmo e, soprattutto, nella quantità di dati campionati.

Non rimane che attendere che gli scienziati leggano queste mappe e comunichino – ai decisori politici soprattutto – i numeri in gioco, i rischi e le possibili contromisure.

 

Una danza in cielo – il fenomeno delle iridescenze solari

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Potrebbero essere due delfini che giocano, una spirale di colore, un’onda che si increspa: dipende dagli occhi di chi guarda…

Una serie di foto scattate a pochi minuti, forse secondi, l’una dall’altra a testimoniare quanto siano rapide ed evolutive le formazioni di iridescenze.

Uno spettacolo variopinto

Alle 13.30 del giorno 16 ottobre 2021 da Polizzi Generosa (PA) stavo fotografando questo spettacolo generato dalla fisica: si tratta di iridescenze solari che rientrano nella categoria dei fenomeni ottici atmosferici.

credit Teresa Molinaro

Un fenomeno ottico di questo tipo è dato dall’interazione della luce con le particelle d’acqua o i cristalli di ghiaccio presenti in atmosfera; quando la luce solare, lunare o astrale interagisce con tali elementi viene diffratta, dando luogo a questo gioco di colori.

Le iridescenze solari sono fenomeni che insieme ad aloni, pareli e corone mi capita spesso di ritrarre.

La particolarità di questi eventi – in questo caso delle iridescenze – è che sono in grado di evolversi nella forma e nei colori nel giro di pochi secondi.

credit Teresa Molinaro

Amo fotografare il cielo diurno e notturno, sempre alla ricerca di giochi di luce che spesso mi sorprendono e mi affascinano proprio per la fugacità con la quale si manifestano. Solitamente, infatti, si formano e si disfano nel giro di pochissimi attimi, ma è vero anche che più volte ho assistito a manifestazioni di aloni per 3 ore di fila o per un’intera giornata!

Per saperne di più:

Per queste e molte altre foto inerenti fenomeni ottici atmosferici [alcune scelte come EPODEarth Science Pictures of The Day dal sito scientifico americano Epod.usra.edu] potete trovarle sul sito dell’autrice dell’articolo: Teresa Molinaro – Fotografia e Astronomia 

Festival Astronomia Asiago – ci sarà anche Coelum!

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DARK SKIES

Asiago, 12-22 maggio 2022

Anche Coelum Astronomia parteciperà alla prima edizione del Festival dell’Astronomia di Asiago

Non si ferma il tour di Coelum: ci trovate ad Asiago entrambi i weekend del Festival! Venite a conoscere lo Staff e acquistare la vostra copia direttamente in loco

Il cielo è un bene collettivo, una fonte infinita di bellezza e conoscenza per chi lo osserva

DARK SKIESFestival dell’Astronomia di Asiago si svolgerà dal 12 al 22 maggio 2022 con un programma ricco di eventi. Il focus sarà sul tema dell’inquinamento luminoso, che rischia sempre più di impedirci di ammirare la volta celeste.

Ad attendervi ci saranno visite guidate presso l’Osservatorio Astrofisico di Asiago; mostre e spettacoli teatrali a tema; conferenze e tavole rotonde; presentazione di libri; laboratori; trekking guidati; spettacoli al planetario gonfiabile e in realtà virtuale. Tantissimi eventi collegati alle tematiche dell’astronomia e dell’inquinamento luminoso.

Il Festival dell’Astronomia di Asiago 2022 è realizzato nell’ambito del progetto SKYSCAPE, finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e Interreg V-A Italia – Austria 2014-2020, il quale si occupa di valorizzare uno dei tesori più interessanti che la natura ci offre cercando di preservarlo: il cielo buio.

Un bene sempre più raro nelle zone urbane (ma non solo!).

Il cielo notturno è infatti parte della natura e del paesaggio che ci circonda e, come le altre componenti dell’ambiente, merita di essere salvaguardato.

L’inquinamento luminoso è inoltre in grado di minacciare la qualità della vita umana e di mettere a rischio l’esistenza di fauna e flora, anche in aree protette dove la tutela ambientale dovrebbe essere al primo posto.

Con il suo territorio incastonato tra i monti e lontano dall’inquinamento luminoso prodotto dalle grandi città della pianura, Asiago si classifica come un luogo ottimale per l’osservazione notturna del cielo.

Nelle notti più limpide si presenta come un vero e proprio mantello stellato.

Il programma completo qui: Festival Astronomia Asiago

 

 

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