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E siamo a… 100 articoli sulle SUPERNOVAE! – Aggiornamenti di Aprile 2022

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Siamo a quota 100 articoli sulle SUPERNOVAE!

Grazie a Fabio Briganti e Riccardo Mancini per il loro meticoloso lavoro e impegno in tutti questi anni con COELUM
Vai a tutti gli articoli pubblicati finora 

Gli aggiornamenti di Aprile 2022

Continua il periodo positivo per la ricerca amatoriale italiana di supernovae in questi primi mesi del 2022.

Mirco Villi

A portare in alto la bandiera italiana è stato ancora una volta l’astrofilo emiliano Mirco Villi, che continua a mietere successi (una stupenda tripletta) portando avanti la collaborazione con i professionisti americani del CRTS Catalina.

Nella notte del 25 febbraio, analizzando un’immagine realizzata con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona, ha individuato una debole stella nuova di mag.+20,3 nella galassia a spirale barrata UGC9155 posta nella costellazione del Bootes a circa 560 milioni di anni luce di distanza.

Evidenziamo due interessanti curiosità: questa galassia ha visto esplodere al suo interno un’altra supernova, la SN2018ctc di tipo Ia, scoperta il 21 giugno 2018 proprio da Mirco Villi e la seconda curiosità sta nel fatto che stranamente il programma professionale americano denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) aveva ripreso questa supernova il 13 febbraio (12 giorni prima del Catalina), quando brillava di mag.+19,9 senza segnalare o individuare questo nuovo oggetto ed ottenendo perciò solo una pre-discovery.

In modo scherzoso possiamo affermare che le supernova di questa galassia sono pertanto destinate ad esclusivo appannaggio del nostro Mirco!

Al momento in cui scriviamo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022dfs. Grazie alla pre-discovery dello ZTF, possiamo affermare che la scoperta è avvenuta dopo il massimo di luminosità.

L’immagine della AT2022dfs in UGC9155 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri

La seconda scoperta è stata realizzata nella notte del 12 marzo, analizzando un’immagine ottenuta sempre con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano.

Questa volta la nuova stella, più luminosa della precedente, di mag.+19 è stata individuata nella galassia a spirale barrata IC1956 posta nella costellazione del Toro a circa 290 milioni di anni luce di distanza.

Al momento in cui scriviamo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto anche a questa possibile supernova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022erz.

Immagine della AT2022erz in IC1956 ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri

Arriviamo infine alla terza scoperta, realizzata nella notte del 14 marzo, sempre analizzando un’immagine ottenuta con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri.

Questa volta la stella nuova è molto debole con una luminosità pari a mag.+20,2 ed individuata in una piccola galassia anonima posta nella costellazione del Bootes alla notevole distanza di circa 700 milioni di anni luce. Anche per quest’ultima possibile supernova, purtroppo, non è stato ripreso lo spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022euf.

Immagine della AT2022euf in galassia Anonima ottenuta dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri

Le scoperte italiane però non finiscono qui!

A mettere a segno un’altra incredibile doppietta è stato il team dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR), composto da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli, Claudio Marangoni e Vittorio Andreoli.

Non si tratta in verità di due supernovae, ma bensì di due Novae Extragalattiche
7) Team dell’Osservatorio di Monte Baldo, da sinistra Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Claudio Marangoni

Con questi due nuovi successi l’Osservatorio di Monte Baldo, che fa parte dell’ISSP dal gennaio 2013, può vantare la scoperta di:

  • tre supernovae: la SN2012fm di tipo Ia scoperta il 21 ottobre del 2012 nella galassia UGC3528, la SN2013ff di tipo Ic scoperta il 31 agosto 2013 nella galassia NGC2748 e la SN2020gpe di tipo II scoperta il 12 aprile 2020 nella galassia NGC6214;
  • una Nova nella galassia M33, successivamente classificata come variabile di M33;
  • cinque Novae nella galassia M81 e di undici Novae nella galassia M31.

Con queste 17 scoperte gli scaligeri sono leader indiscussi nella ricerca italiana di Novae Extragalattiche ed ai primi posti anche a livello mondiale.

L’esplosione generata da una Nova è d’intensità assai minore rispetto ad una Supernova e pertanto anche la luminosità è molto inferiore. Con le strumentazioni attuali è possibile individuare solo quelle che si verificano nelle galassie più vicine a noi.

Le più monitorate sono pertanto le famose M31, M33 e M81, è però possibile allargare il campo di ricerca anche ad altre galassie come ad esempio M32, M83, M110, NGC2403, IC342 cioè galassie distanti non oltre i 15 milioni di anni luce.

Le Novae Extragalattiche sono fenomeni che si verificano molto più frequentemente rispetto agli eventi di Supernova, però come abbiamo detto con una luminosità molto inferiore. Non è pertanto facile riuscire ad ottenere delle scoperte in questo campo di ricerca, ma gli amici di Monte Baldo hanno intrapreso questo tipo di ricerca, ottenendo dei risultati davvero straordinari.

Gli scaligeri hanno deciso di monitorare sistematicamente, tutte le notti di sereno, le tre principali galassie cioè M31, M33 e M81 utilizzando la loro strumentazione di tutto rispetto costituita da un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 su montatura GM 4000 + CCD Moravian G4-9000 KAF.

Per riuscire ad ottenere una minima probabilità di scoperta sono necessari due importanti fattori:

  1. riuscire a raggiungere una profonda magnitudine limite, arrivando intorno alla mag.+20,0 / +20,5
  2. una tempestività nei controlli per battere sul tempo i team di ricerca professionali.

Il team dell’Osservatorio di Monte Baldo riprende perciò subito in prima serata M31 ed M33 con pose complessive di circa 45 minuti ed a seguire una posa triplicata di circa 2 ore e 15 minuti per la più lontana M81.

Immediatamente dopo le riprese partono i controlli delle immagini acquisite, confrontate con immagini equivalenti di archivio. Prima però le immagini subiscono un lavoro standard di calibrazione (dark e flat) e poi un lavoro di mascheratura con Maxim per togliere il bagliore della galassia e isolare solamente le stelle. Con pose così lunghe infatti la luce della galassia saturerebbe l’immagine rendendola inutilizzabile allo scopo.

Ma veniamo alle due scoperte.

La prima è stata ottenuta nella notte del 6 marzo individuando una debole stellina di mag.+19,5 situata 41” Ovest e 241” Nord dal centro della stupenda galassia a spirale M81 nella costellazione dell’Orsa Maggiore.

Purtroppo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto alla possibile Nova è stata perciò assegnata la sigla provvisoria AT2022elz.

Immagine della AT2022elz in M81 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8

La seconda scoperta è stata invece ottenuta nella notte del 10 marzo, immortalando una luminosa stella di mag.+16,5 situata 225” Est e 62” Nord dal centro della famosa galassia a spirale M31 nella costellazione di Andromeda.

I veronesi hanno battuto sul tempo l’astrofilo rumeno Vintdevara Dunitru Ciprian, a cui va comunque la pre-discovery, che aveva ripreso il nuovo transiente appena un’ora prima, con una magnitudine leggermente minore, pari a +16,8.

Visto la discreta luminosità del nuovo oggetto, stranamente anche in questo caso, nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto alla possibile Nova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2022eqj.

Immagine della AT2022eqj in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8

Chiudiamo la rubrica con una notizia dell’ultima ora!

Si tratta di una nuova scoperta amatoriale realizzata dal solito giapponese Koichi Itagaki, che nella notte del 19 marzo ha individuato un nuovo transiente di mag.+16,3 nella galassia a spirale barrata NGC3367 poste nella costellazione del Leone a circa 130 milioni di anni luce di distanza.

A tempo di record, appena un’ora e mezzo dopo la scoperta, dall’Osservatorio di Okayama in Giappone, con il telescopio Seimei da 3,8 metri è stato ripreso lo spettro di conferma.

Immagine della SN2022ewj ottenuta da Mauro Bachini con un telescopio Newton da 41cm F.3,2 somma di 15 pose da 30 secondi

La SN2022ewj, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane, scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. La luminosità dell’oggetto sta infatti lentamente aumentando e dovrebbe raggiungere presumibilmente la mag.+15,0/+15,5 intorno alla fine di marzo.

Transiti notevoli ISS per il mese di Aprile 2022

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La ISSStazione Spaziale Internazionale ad aprile 2022 sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari serali, quindi senza l’obbligo della sveglia al mattino prima dell’alba! Eccetto per gli ultimi due passaggi, di cui parleremo.
Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni!

Si inizierà il giorno 1 Aprile, dalle 21:02 alle 21:08, osservando da NO ad ESE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.9.

Il miglior transito del mese!

Si replica il2 Aprile, dalle 20:14 verso NO alle 20:22 verso ESE.

Visibilità migliore dal Nord Est Italiano e regioni Adriatiche per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.4.

Passiamo al giorno 4 Aprile, dalle 20:14 in direzione ONO alle 20:23 in direzione SE.

Osservabile al meglio dall’occidente e isole maggiori, il transito avrà una magnitudine di -3.2. Se l’osservatore si trova nel Centro Italia, la ISS transiterà vicina alla coppia Luna -Pleiadi, creando un’ottima occasione fotografica.

Saltando direttamente a fine mese, il penultimo si avrà il giorno 27 Aprile, dalle 04:58 da SO alle 05:05 a ENE, con magnitudine massima a -3.8.

Visibilità ottimale da tutte le regioni d’Italia, meteo permettendo!

L’ultimo transito del mese sarà meglio apprezzabile dal Centro Nord, il 30 Aprile.

Dalle 04:11 alle 04:16, da ONO a NE. Magnitudine di picco a -3.7.

Transito parziale, con la ISS che avrà la massima luminosità appena uscita dall’ombra della Terra.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite a un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

Le Costellazioni di Aprile 2022

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Con l’equinozio del 20 marzo che ha segnato l’ingresso della primavera astronomica anche il cielo ora ha una veste nuova.

Nel mese di aprile infatti saranno protagoniste le costellazioni tipiche della primavera: sull’orizzonte Ovest Orione si appresta a diventare un piacevole ricordo dell’inverno, mostrandosi in una breve finestra della prima parte della notte astronomica e anticipando sempre più il suo tramonto, assieme a Toro, Gemelli e Auriga. A Sud-Ovest Sirio tramonta con la costellazione del Cane Maggiore, seguendo fedelmente il suo padrone Orione, e a Nord domina l’Orsa Maggiore, mentre Cassiopea e Cefeo brillano a Nord-Ovest.

Da Est e Sud-Est saranno le costellazioni tipiche del periodo a rendere interessante la volte celeste. Ad animare la notte saranno le figure di Ercole, Lira, Boote, Idra, Vergine e Leone.

Il triangolo primaverile (in-the-sky.org)

Proprio le costellazioni di Boote, Vergine e Leone daranno vita all’asterismo del Triangolo Primaverile, che avrà ai vertici le stelle Arturo, Spica e Denebola.

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE NEL CIELO DI APRILE

Tra la debole costellazione del Cancro e quella della Vergine si trova il Leone, costellazione che nel mese di aprile troveremo a Sud sulla volta celeste: l’oggetto si rende maggiormente osservabile nel periodo che va da dicembre a giugno, rendendosi di fatto uno dei protagonisti più brillanti della primavera.

Nella prima serata basterà guardare verso Sud per riconoscere la tipica forma trapezoidale che identifica il Leone, di cui Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei vertici [quello orientato a Sud-Ovest].

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un oggetto celeste chiamato Falce.

La Falce Leonina (in-the-sky.org)

Si tratta di un asterismo molto brillante noto anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola,che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è più luminosa del Sole di circa 17 volte.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.

Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.

GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903. Quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione. Inoltre, visibile anche attraverso un piccolo telescopio, vi è la grande galassia ellittica NGC 3607.

Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo gioviano.

LEONE NELLA MITOLOGIA

(credit Stellarium)

Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.

Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea. Il leone, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo riuscì solamente Ercole: sconfisse la feroce bestia e la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che lo collocò sulla volta celeste.

LA CHIOMA DI BERENICE

Tra la costellazione del Leone e quella del Boote vi è un piccolo oggetto, una costellazione che è però piena di significato mitologico: la Chioma di Berenice.

Qui la deami pose, tra le antiche, stella nuova. Della Vergine e del fiero Leone tocco gli astri, nei pressi di Callisto Licaonia volgo al tramonto, dirigendo il corso dinanzi al lento Boote, che si immerge nell’Oceano profondo, a stento tardi”.

(credit Stellarium)

Nella poesia di Catullo (carme 66) è racchiusa la mappa stellare per individuare la Chioma di Berenice che, esprimendosi in prima persona, ci guida tra le costellazioni del Leone e del Boote passando per quella della Vergine per trovare finalmente gli astri che la compongono.

La costellazione non spicca di certo per luminosità poiché molte delle stelle che costituiscono l’oggetto sono membri di un ammasso aperto, uno dei più vicini a noi posto a soli 250 anni luce: si tratta di Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice, oggetto visibile al meglio soprattutto attraverso un binocolo, il cui oculare è in grado di contenere meglio la visuale delle poche stelle che compongono l’ammasso.

IL RIFERIMENTO MITOLOGICO DELLA COSTELLAZIONE

Regina cirenaica di splendida bellezza, Berenice era la moglie del re egizio Tolomeo III: essa consacrò la sua fluente chioma come pegno d’amore alla dea Afrodite affinché facesse tornare il marito sano e salvo dalla guerra. Quando questi ritornò trionfante, per la bella regina non restò altro che mantenere fede alla sua promessa: Berenice agghindò i suoi capelli in un raccolto che poi tagliò e portò al tempio dedicato ad Afrodite.

Ma il giorno dopo del pegno d’amore non vi era traccia, qualcuno lo aveva trafugato e i sovrani andarono su tutte le furie: a calmare gli animi e a fare chiarezza ci pensò Conone di Samo, un matematico e astronomo dell’epoca il quale asserì di aver trovato la chioma della regina in cielo, sotto forma di stelle.

Luna di Aprile 2022

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Tutto quello che dobbiamo sapere sulla Luna per il mese di Aprile 2022!

In apertura di questo mese alle ore 08:24 il nostro satellite sarà in Novilunio, ma attenzione:

La Luna Nuova del giorno 1 non sarà l’unica in quanto tale evento si ripeterà ancora il giorno 30!

Questo evento farà di Aprile il “mese della Luna Nera”, ma niente panico! Nessuna estinzione in vista, non sarà nient’altro che un comunissimo Novilunio alla pari delle altre fasi lunari che da oltre quattro miliardi di anni si alternano sulla faccia della Luna rivolta verso il nostro pianeta.

Un fatto curioso questo doppio novilunio

Comunemente tale evento astronomico ha una cadenza mensile, ma la minore durata del cosiddetto “mese lunare” (29 giorni, 12 ore, 44 minuti, 3 secondi) rispetto al mese del calendario Gregoriano, fa sì che nel corso di un intero anno ci sia “abbastanza spazio” per inserire una Luna Nuova in più, con una cadenza ogni 29 mesi.

Pertanto il secondo Novilunio che cade in uno stesso mese viene definito “Luna Nera”, così come la terza Luna Nuova delle quattro analoghe fasi lunari presenti in una medesima stagione, in quest’ultimo caso però con una cadenza di 33 mesi.

Tutto qui! Senza l’inutile clamore mediatico che accompagna le cosiddette Super Lune, Mini Lune, Lune Rosse, Lune di Sangue, ecc…

Anche perché sulla “Luna Nera” non c’è proprio nulla da vedere in quanto, appunto, è proprio tutta nera [col Sole che contestualmente ne illumina completamente l’opposto emisfero, quello sempre invisibile dal nostro pianeta].

Torniamo a noi…

Col Novilunio del giorno 1 Aprile ripartirà un nuovo mese lunare col nostro satellite che di sera in sera acquisterà progressivamente sempre più una migliore visibilità rendendosi osservabile finalmente nelle più comode ore serali.

Infatti alle ore 08:48 del 9 Aprile la Luna sarà in Primo Quarto con fase di 8 giorni ma a -17° sotto l’orizzonte, pertanto chi intendesse effettuare osservazioni al telescopio dovrà solo attendere fino a poco oltre le ore 20:30 col nostro satellite ad un’altezza di +68° e costantemente visibile fino in tarda nottata quando intorno alle ore 4 andrà a tramontare.

Premesso che chiunque è libero di orientare il proprio telescopio su un qualsiasi dettaglio della superficie lunare, consiglierei questa volta di prendere in considerazione due vastissime strutture: il mare Serenitatis (superficie di 360000 kmq) e il mare Crisium (superficie di 181000 kmq,) entrambi provenienti dal periodo geologico Nectariano collocato a 3,9 miliardi di anni fa.

Sovrapposizione SERENITATIS su Penisola Iberica

Per quanto riguarda il primo, se ne potrebbe ipotizzare la sovrapposizione alla Penisola Iberica dove l’estensione di Serenitatis lascerebbe scoperte solamente le zone costiere dell’Atlantico e del Mediterraneo oltre alla regione Pirenaica.

Sovrapposizione CRISIUM su Italia Centrale

Mentre per Crisium, centrandone l’immagine sull’Italia centrale nella zona di L’Aquila, l’area interessata da questa ipotetica sovrapposizione sarebbe estesa dal mare Tirreno, quasi in prossimità delle coste di Sardegna e Corsica, fino all’altra sponda del mare Adriatico sulla costa della Croazia.

Per quanto concerne il Terminatore, partendo da nord ci si potrebbe dedicare alla Valle Alpina, una eccezionale faglia lunare (periodo geologico Imbriano, età 3,8/3,2 miliardi di anni) che attraversa letteralmente le Alpi da sudovest a nordest per 134 km e sul cui fondo in ottime condizioni osservative è possibile individuare (…e riprendere immagini!) un sottile e lungo solco di soli 700 mt di larghezza.

Orientando ora il telescopio in prossimità del settore nord degli Appennini sul versante lato mare Imbrium, altre eccezionali strutture lunari attireranno l’attenzione di molti appassionati.

Tra questi il sinuoso solco della Rima Hadley estesa per 82 km e profonda circa 400 mt situata all’estremità orientale della Palus Putredinis, mentre immediatamente a nord-nordest di Rima Hadley scorre il sistema dei larghi solchi ramificati delle Rimae Fresnel estese per circa 100 km lungo il Promontorio di Cape Fresnel posto a delimitare l’estremità settentrionale degli Appennini.

Infine a sud della Rima Hadley è possibile individuare il solco della Rima Bradley di 134 km lungo la base ovest di questa eccezionale catena montuosa andando a terminare non lontano dall’omonimo monte Bradley di 4200 mt di altezza.

Valle Alpina e le Rimae Hadley, Fresnel, Bradley provengono tutte dal periodo geologico Imbriano collocato a 3,8 miliardi di anni fa. Per l’osservazione di tali strutture vengono consigliati strumenti riflettori di almeno 200mm di diametro e un telescopio rifrattore di 100mm per la Valle Alpina, ma sarà il seeing della serata a dettare legge sugli strumenti da utilizzare.

Proseguendo nella fase di Luna crescente, dopo essere sorta alle 19:53, alle ore 20:55 del 16 Aprile il nostro satellite sarà in Luna Piena, con età di 15,5 giorni, alla distanza di 369212 km dalla Terra; con diametro apparente di 32,6’ è perfettamente osservabile fino all’alba del giorno seguente quando, contestualmente al sorgere del Sole, scenderà sotto l’orizzonte.

Ormai giunta al capolinea della fase crescente, ora il nostro satellite inizierà contestualmente la fase calante allontanandosi progressivamente dalle ore serali per entrare sempre più nelle ore della notte, toccando così la fase di Ultimo Quarto alle ore 13:56 del 23 Aprile.

Nel caso specifico la Luna si troverà a -20° sotto l’orizzonte, pertanto chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio potrà scegliere fra due possibilità: il 23 Aprile alle ore 03:10 la Luna sorgerà in fase di 21,8 giorni oppure la notte successiva, il 24, quando sorgerà alle ore 03:51 in fase di 22,8 giorni.

In entrambi i casi si potrà scorrere in lungo e in largo gran parte del settore occidentale del nostro satellite, notando come le immense e più scure distese basaltiche dell’oceanus Procellarum e dei mari Frigoris, Imbrium, Nubium, Humorum, Insularum e Sinus Aestuum siano in diretta comunicazione tra loro, al contrario di quanto possiamo osservare nel settore orientale dove i mari Serenitatis, Tranquillitatis, Crisium, Nectaris ed in parte anche Fecounditatis ci appaiono quasi completamente delimitati dalle rispettive pareti.

Sovrapposizione TYCHO su Alto Adriatico
A proposito del cratere Tycho, diametro di 78 km e pareti alte fino a 4800 mt, non ha mai pensato nessuno ad una ipotetica sovrapposizione di questa eccezionale struttura lunare su una corrispondente area del globo terrestre, ad esempio sull’Adriatico settentrionale centrandone l’immagine fra il Delta del Po e la Penisola Istriana?

Una tale struttura delle dimensioni di Tycho si renderebbe certamente visibile anche da parecchie centinaia di chilometri di distanza costituendo uno spettacolo veramente incredibile anche ipotizzando Tycho adagiato sui bassi fondali dell’Alto Adriatico.

Il procedere della fase calante porterà il nostro satellite al secondo Novilunio di questo mese di Aprile alle ore 22:28 del giorno 30, ed è proprio questa seconda Luna Nuova, come dicevamo, ad essere definita “Luna Nera”.

Le Falci lunari di Aprile

Appuntamento per chi va a caccia di falci lunari per la serata del 2 Aprile quando alle ore 21:15 tramonterà una sottile falce di 1,5 giorni.

Tramontato il Sole, non vi sarà molto tempo per effettuare alcune foto prima che la Luna scenda sotto l’orizzonte. La sera successiva, il 3 Aprile, un’altra bella falce con una più ampia finestra temporale utile per osservare e fotografare tramonterà alle ore 22:23. Nel caso specifico si consiglia una visita al settore più orientale del mare Crisium con gli adiacenti mari Marginis, Undarum e Smythii oltre al mare HUmboldtianum più a nordest.

La sera del 4 Aprile alle ore 23:31 tramonterà una più larga falce di 3,5 giorni fra Toro e Ariete. In questo caso vi sarà tutto il tempo per effettuare spettacolari osservazioni anche in alta risoluzione data la relativa vicinanza fra il bordo lunare e la linea del Terminatore.

Infatti ci si potrà dedicare al settore nordest dal mare Humboldtianum fino a Crisium, così come lungo il bordo orientale del mare Fecounditatis con gli spettacolari e imponenti crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius per poi spostarsi ancora più a sud sull’altopiano sudorientale con le scure platee basaltiche dei vasti crateri del mare Australe prima che alle ore 23:31 il nostro satellite scenda sotto l’orizzonte.

Per le falci in Luna calante appuntamento per la tarda nottata del 27 Aprile quando alle ore 05:09 sorgerà una falce di 25,8 giorni preceduta dai pianeti Venere e Giove alla distanza di 4 e 5° rispettivamente ma sarà poco il tempo a disposizione per qualche veloce foto.

Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

Librazioni di Aprile

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).

Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Nordest-Est
credits F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
  • 02 Aprile: Fase 1,54 giorni – Massima Librazione nordest cratere Gauss
  • 03 Aprile: Fase 2,58 giorni – Massima Librazione est cratere Cleomedes
Librazioni Regione Sudovest
credits F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
  • 16 Aprile: Fase 15,48 giorni – Massima Librazione ovest cratere Piazzi
  • 17 Aprile: Fase 16,48 giorni – Massima Librazione ovest cratere Mersenius
Librazioni Regione Nordovest
credits F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
  • 19 Aprile: Fase 17,8 giorni – Massima Librazione ovest Sinus Iridum
Librazioni Regione Nord
credits F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
  • 20 Aprile: Fase 18,8 giorni – Massima Librazione calotta polare nord
Cieli sereni!

NOTE

  • Immagini “Librazioni“: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
  • Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.

Le Comete di Aprile 2022

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Si annuncia una primavera stimolante, con ben due comete “binoculari” che speriamo possano anche trasformarsi in qualcosa in più, ma attualmente ad aprile sono ancora “timide”… In ogni caso ci aspettano nottate intense ed emozionanti, quelle che tutti gli appassionati sognano!

CRESCITA AL RALLENTATORE PER LA K2 PanSTARRS

credits in-the-sky.org

Da mesi stiamo ripetendo che la C/2017 K2 PanSTARSS, secondo le previsioni, sarà una delle star del 2022.

Certo è che al momento della scoperta la sua notevole attività, pur ad una distanza elevatissima dal Sole, è subito sembrata inusuale. Poi però la crescita non è stata in linea con la curva di luce prevista e il trend continua tutt’ora.

Ma ha ancora tempo per rifarsi ed è quello che gli appassionati sperano!

La cometa dovrebbe cominciare a fare sul serio proprio durante aprile, raggiungendo una luminosità tale da renderla visibile già con strumenti di modeste dimensioni. Questo se la curva di luce prevista risulterà corretta, portandola a fine mese a brillare attorno all’ottava grandezza.

L’apice (sesta/settima magnitudine) verrà poi toccato in estate perdurando a lungo, dato che a luglio passerà nel punto dell’orbita più vicino al nostro pianeta (ci separeranno 270 milioni di km) e solo a dicembre giungerà al perielio, ormai invisibile dal nostro emisfero.

Le ultime osservazioni non sono però in linea con quanto sperato e pertanto non ci stupiremmo se la luminosità di aprile fosse più bassa, magari attorno alla nona/decima magnitudine.

Nel corso del mese la sua posizione cambierà di poco, dato che si manterrà nei pressi delle stelle Zeta ed Epilson Aquilae, rispettivamente di terza e quarta magnitudine, ottimi punti di riferimento per puntarla. Sarà osservabile preferibilmente verso la fine della notte astronomica, quando risulterà piuttosto alta in cielo.

LA SECONDA COMETA DI APRILE: 22P/Kopff

credits in-the-sky.org

Non è di certo una grande apparizione questa della Kopff, cometa scoperta nel 1907 dall’astronomo tedesco August Kopff.

Passata da poco al perielio, a causa della scarsa altezza sull’orizzonte sarà visibile in discrete condizioni esclusivamente dalle regioni meridionali della Penisola, mentre dal nord Italia risulterà sempre radente l’orizzonte.

Per chi vuole provarci, durante i primi giorni del mese lo strumento andrà puntato nel Capricorno ed in seguito nell’Aquario, appena prima del termine della notte astronomica.

Nemmeno la luminosità è granché, con l’oggetto che dovrebbe raggiungere un valore non distante dalla decima magnitudine.

Peccato per tutte queste condizioni sfavorevoli, perché il contesto in cui si muove la Kopff è molto suggestivo, con la presenza nei suoi dintorni di Venere, Marte e Saturno. Proprio questo dovrebbe però smuovere gli osservatori più motivati, con i primi giorni di aprile che saranno i migliori per osservare questo “astro chiomato” molto vicino ai tre pianeti.

Il giorno 5 Marte e Saturno appariranno vicinissimi fra loro, con la Kopff ad assistere all’incontro a poco meno di tre gradi! In seguito e per tutto il resto del mese sarà Marte a scortare la cometa.

Cieli sereni a tutti e buone osservazioni!

NOTE:

La posizione della PanSTARRS è calcolata per le 3.30 ora legale. Le stelle più deboli sono di mag. 10
La posizione della Kopff è calcolata per le 5.00 ora legale a inizio mese e le 4.00 a fine mese. Le stelle più deboli sono di mag. 9

Mondi in miniatura – Asteroidi, Aprile 2022

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I NEANear Earth Asteroid

Questo mese introduciamo una classe speciale di questi corpi celesti: i NEA.

I NEA, o Near Earth Asteroid, sono asteroidi la cui orbita li porta ad avvicinarsi a vario grado a quella del nostro pianeta e sono suddivisi in tre gruppi principali: gli Aten, gli Apollo, gli Amor.

Scoperto da Karl Reinmuth il 24 Aprile 1932, (1862)Apollo è stato il primo asteroide conosciuto della famiglia, che da allora porta il suo nome.

Nello stesso anno, E. Delporte identificò (1221)Amor, mentre per la scoperta da parte di Eleanor Helin di (2062)Aten si deve attendere il 7 Gennaio del 1976.

Ma il primo NEA in assoluto ad essere individuato è stato (433) Eros.

Di questo oggetto “anomalo”, la cui orbita lo portava ben all’interno di quella di Marte e a solo 0.15 unità astronomiche di distanza dalla Terra, si accorse Carl Gustav Witt nell’agosto del 1898. Ne seguì un’intensa campagna osservativa che incluse anche l’analisi delle lastre fotografiche impressionate in tempi antecedenti la scoperta: un’attività che oggigiorno prende il nome di ricerca di precovery.

Una precovery consente, infatti, attraverso l’individuazione dell’oggetto all’interno di immagini di repertorio, di migliorare sensibilmente la definizione della sua orbita.

La campagna osservativa si concluse negli anni 30 e oggi, (433) Eros, è incluso nella famiglia degli Amor.

Da allora, sopratutto grazie all’introduzione delle moderne tecniche di ripresa basate sui sensori CCD e con l’avvento delle grandi survey automatizate, il numero di NEA rilevati è cresciuto in maniera significativa: alla data odierna i NEA conosciuti sono oltre 28.600.

Non perdere gli articoli delle due associazioni italiane che hanno vinto lo Shoemaker  NEO Grant 2021 per il loro impegno nell’individuazione dei NEA:

La vittoria dell’Associazione Romana Astrofili
Maura Tombelli e la vittoria del Gruppo Astrofili Montelupo

Caratteristiche

credits Wikipedia

Gli asteroidi del gruppo Atens sono degli Earth Crossing* caratterizzati da un’orbita con semiasse maggiore inferiore ad 1 unità astronomica e transitano per la maggior parte del loro tempo all’interno dell’orbita della Terra.

Gli Apollo, anch’essi degli Earth Crossing, sono caratterizzati invece da un’orbita con semiasse maggiore superiore a 1 unità astronomica e si trovano quindi per la maggior parte del loro tempo al di fuori dall’orbita terrestre.

Gli Amor ne restano sempre al di fuori.

Un quarto gruppo di NEA è rappresentato dagli Atiras: da (163693)Atira scoperto nell’agosto del 2003.

Gli Atiras sono un piccolo sottoinsieme di 26 asteroidi confinati completamente all’interno dell’orbita della Terra. Sebbene non rappresentino un pericolo immediato (come gli Amor del resto), le loro orbite possono essere perturbate durante passaggi ravvicinati con Venere e Mercurio, e quindi potrebbero, in futuro, diventare degli Earth Crossing.

Se un asteoride NEA possiede una magnitudine assoluta (H) di 22 o inferiore (ha quindi un diametro, stimato, superiore ai 140m), e se la sua orbita è caratterizzata da un MOID (distanza minima di intersezione dell’orbita terrestre) inferiore a 0,05 Unità Astronimiche (corrispondenti a 7.480.000 km), viene classificato come PHA o Potential Hazardous Asteroid (un Asteroide Potenzialmente Pericoloso). Ad oggi sono conosciuti oltre 2000 PHA, 160 dei quali hanno un diametro stimato maggiore di 1 km.

Osservazione

L’osservazione e la misura di posizione dei NEA, in particolare dei PHA, è un campo in cui astronomi professionisti e astrofili mettono a fattor comune gli sforzi e la reciproca capacità di ricerca.

Come è oramai noto, le potenziali conseguenze di un impatto possono essere gravi, o addirittura catastrofiche.

Mentre gli oggetti più piccoli possono essere efficacemente “schermati” dall’ombrello protettivo costituito dalla nostra atmosfera, e qualora giungano a terra lo fanno per lo più ridotti in piccoli frammenti, quelli più grandi possono invece rappresentare un pericolo reale, soprattutto qualora l’area di caduta si trovasse  in prossimità di zone densamente popolate.

Basti pensare alle conseguenze che avrebbe comportato l’evento di Tunguska in Siberia se si fosse verificato al di sopra di una città: l’energia rilasciata in quel frangente è stata calcolata nell’ordine di una decina di megaton, quasi 1000 volte maggiore di quella generata dalla bomba di Hiroshima. È facile quindi capire come il monitoraggio di questi oggetti sia divenuto una priorità per la salvaguardia del nostro pianeta.

L’osservazione e la misura della posizione dei NEA rappresenta una sfida, a volte ardua, anche per gli astrofili più esperti.

Questa classe di oggetti è infatti caratterizzata da una velocità angolare che può superare i 100″ al minuto, molto spesso associata ad una magnitudine apparente molto bassa.

Questi due fattori, uniti assieme, rendono necessaria una buona strumentazione, possibilmente stazionata in postazione fissa, un timing di ripresa molto accurato, l’utilizzo di specifiche tecniche di post-produzione, la conoscenza di speciali software per la riduzione dei dati.

Qualora ci si volesse cimentare in questo campo si tenga inoltre a mente che le misure astrometriche, per essere utilizzabili nel calcolo degli elementi orbitali, devono essere di ottima qualità: l’errore massimo consentito deve risultare al di sotto del secondo d’arco.

Una volta effettuate, le misure dovranno essere inviate al Minor Planet Center, il punto di raccolta mondiale incaricato dell’identificazione, della designazione e del calcolo delle orbite dei corpi minori, asteroidi e comete.

La “caccia” ai NEA è un’attività estremamente interessante (e aggiungo, assai appagante!), oltre che molto utile dal punto di vista scientifico.

È anche grazie alle misure astrometriche degli astrofili che il controllo e la caratterizzazione delle orbite di questi oggetti ha oggi raggiunto un così elevato grado di precisione.

Cosa osservare a Aprile 2022

I principali asteroidi osservabili a aprile 2022 (in-the-sky.org)

(52) Europa

(52) Europa è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.990 giorni (5,45 anni) ad una distanza compresa tra le 2,75 e le 3,44 unità astronomiche (rispettivamente 411.394.143 Km al perielio e 514.616.673 Km all’afelio).

Deve il suo nome a Europa, principessa fenicia, madre di Minosse re di Creta, e moglie di Zeus. Scoperto da Hermann Goldschmidt il 4 Febbraio 1858, questo grande asteroide (all’incirca 300 Kilometri di diametro) sarà in opposizione il 6 Aprile. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.8.

Il suo moto sarà di 0,52 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo e con 40 minuti di posa vedremo (52) Europa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

(15) Eunomia

(15) Eunomia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.570 giorni (4,30 anni) ad una distanza compresa tra le 2,15 e le 3,14 unità astronomiche (rispettivamente 321.635.421 Km al perielio e 469.737.312 Km all’afelio).

È il membro più grande dell’omonima famiglia di asteoridi e deve il suo nome a Eunomia, antica divinità Greca. Una delle Ore, Figlia di Zeus e di Temi, Eunomia era la personificazione della legalità e del buon governo. Scoperto da Annibale Gasparis il 29 Luglio 1851, questo imponente asteroide (circa 250 Km di diametro) sarà in opposizione il 16 Aprile, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.0.

Il suo moto sarà di 0,57 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo e con 40 minuti di posa vedremo (15) Eumonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.

(10) Hygiea

(10) Hygiea è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.030 giorni (5,56 anni) ad una distanza compresa tra le 2,79 e le 3,49 unità astronomiche (rispettivamente 417.378.057 Km al perielio e 522.096.566 Km all’afelio).

Deve il suo nome alla divinità greca Hygiea, personificazione della sanità fisica e intellettuale. Scoperto da Annibale Gasparis il 12 Aprile 1849, con i suoi oltre 400 chilometri di diametro è il quarto asteoroide in ordine di grandezza ed il progenitore dell’omonima famiglia che si ritiene nata dall’ impatto di (10) Hygiea con un oggetto di grandi dimensioni, avvenuto all’incirca 2 miliardi di fa.

Sarà in opposizione il 28 Aprile, brillando ad una magnitudine di 9.3. Il suo moto sarà di 0,51 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5/6 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo e con 40 minuti di posa vedremo (10) Hygiea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Buone osservazioni!

 

alla scoperta della LUNA – un libro di Giovanni Anselmi

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Pubblichiamo oggi la recensione di un testo a noi caro, il suo autore infatti, Giovanni Anselmi, è un “pezzo di cuore” di questa redazione.

Il testo ci giunge dall’astronomo Mario Rigutti e lo ripubblichiamo fedelmente così come già apparso nella rubrica La pagina della Scienza di Ivan Spelti.

LA  LUNA RACCONTATA A TUTTI

La Luna è il primo corpo celeste che tutti amano. Con i suoi 4,5 miliardi di anni d’età segna da tempo,insieme al Sole, le culture del passato, del presente, del futuro, e lo sviluppo delle nostre conoscenze astronomiche e tecnologiche.

Ne parlo attraverso l’amore che vi dedica il caro amico astronomo prof. Mario Rigutti che per l’occasione mi invia la recensione di un bellissimo libro dedicato alla Luna, scritto da Giovanni Anselmi. Alla scoperta della Luna (Ed. Il Castello). Il suo testo.

 

Ero molto giovane, a giudicare da dove abitavo avevo come massimo nove anni perché alla fine della terza elementare cambiammo casa e passai a un’altra scuola. E la Luna la vidi col binocolo. Ne rimasi talmente colpito che il ricordo è rimasto indelebile e oggi ancora rammento la sorpresa, lo stupore, la meraviglia, la vivida impressione che accompagnarono quello che vidi della Luna. Che non mi era certo una cosa nuova, l’avevo vista mille volte, ma a occhio nudo, e sapevo cos’era. Per questo c’era mio padre che spesso mi intratteneva parlandomi di cose che riguardavano l’astronomia, tant’è vero che quando avevo undici anni mi giudicò maturo per mettermi in mano, un libro di Camille Flammarion, astronomo e famoso divulgatore. Poi passarono gli anni e un giorno ebbi in regalo “La Luna”, pubblicato nel 1933 per la Hoepli di Milano, da Alfonso Fresa, una persona gentile e modesta che ebbi il piacere di conoscere quando ormai era in pensione e si dedicava all’archeologia.

Il suo non era un libro dedicato alla divulgazione, era pieno di tabelle, grafici, formule, notizie di ogni genere, tradizioni, credenze, tutto quello che c’era da dire sull’argomento, al punto che sarebbe stato difficile, letto e studiato quel volume, sapere del nostro satellite più di quello che allora ne sapeva la scienza ufficiale.

La Luna ha sempre avuto un posto particolare dentro di me (e in chi non l’ha avuto?) e, benché non abbia approfondito moltissimo la sua conoscenza da un punto di vista, diciamo, tecnico e scientifico, ho imparato abbastanza cose sul suo conto e non è mai stata per me un oggetto estraneo.

Credo, poi, di aver sentito la sua presenza come, più o meno, la sentono tutti. Perché è impossibile restare indifferenti a questa cosa bianca che vaga nel cielo oscuro della notte. Anche i cani, e forse i lupi anche di più, sentono il suo fascino. E non parliamo degli innamorati!

Immagino che possa essere un bel problema per moltissimi capire come mai a volte sia circolare, a volte un arco sottile, a volte un mezzo cerchio, perché scompaia ogni due settimane e poi ricompaia. Ci sono molte cose che probabilmente la gente si domanda senza saper rispondersi. E va be’, penserà qualcuno, questo mondo è pieno di misteri, uno più uno meno… Ma intanto la Luna piace lo stesso perché aiuta a sognare.

Certo, oggi tutti (o quasi tutti) sanno che si tratta di un corpo celeste come il nostro perché con l’era spaziale qualcosa, comunque, si è imparata. Ci sono anche andati sulla Luna – cose da matti! – e c’è chi pensa di poter fare lassù, prima o poi, qualche base umana per l’estrazione di materiali utili o per piantarvi qualche strumento che catturi energia dal Sole per poi inviarla a Terra la quale, in quanto a energia, ne ha sempre più bisogno.

A pensarci, viene da dire che della Luna dovremmo proprio saperne qualcosa di più. Dio buono, magari tra poco diventerà un oggetto al quale non penseranno solo gli innamorati in cerca di testimoni silenziosi e condiscendenti, o poeti o artisti, ma anche fior di scienziati e tecnologi e industriali e, di riflesso, tutta l’umanità per i risultati ai quali porterà il loro lavoro che avrà conseguenze (buone si spera) che ricadranno su tutti. Eppure, generalmente, se ne sa così poco. Si potesse trovare in libreria un libro scritto per noi ignoranti, o per noi gente appassionata ma non troppo scientificamente preparata, che spiegasse e raccontasse qualcosa di questo strano astro che vaga nel nostro cielo! E magari un libro che non avesse le pretese che, di solito, hanno i libri d’essere la parola del Signore, pieni di vocaboli ricercati che stan lì a dimostrare la bravura e la scienza dell’autore, ma anche a rendere più difficile la comprensione del testo. Un libro che si pone unicamente lo scopo di far capire quello che in esso l’autore ha voluto mettere e di far vivere al lettore le emozioni che gli argomenti trattati hanno per forza di cose suscitato in lui che li ha voluti descrivere.

Ebbene, questo libro c’è, da due anni, e si può trovare in tutte le librerie: ha come titolo proprio Alla scoperta della Luna. Direte che due anni sono molti per un libro. Può darsi, ma non per questo. Perché in fatto di conoscenze sulla Luna non è successo praticamente nulla e se è successo qualcosa è di importanza secondaria. Il libro sarebbe potuto uscire oggi! Chiaro? Inoltre è stato scritto da una persona che, tra l’altro, ha fondato la più autorevole rivista di astronomia italiana Coelum Astronomia e per vent’anni l’ha diretta: scritto nel linguaggio di tutti i giorni, diverso da quello usato,da quelli che divulgano la scienza. Un linguaggio che potrebbe essere usato, in un gruppo di amici in conversazione intorno a un tavolo. Impossibile non capirlo e non appassionarsi alla lettura delle pagine di questo bel libro, oltretutto corredate da illustrazioni di ottima qualità. Un libro nel quale si trovano come è scritto, ed è promessa mantenuta, sulla prima pagina di copertina: la storia, le tradizioni, l’osservazione astronomica della Luna della quale il libro contiene, dulcis in fundo, anche una mappa e un poster di grandi dimensioni (46 x 66 cmq). E benché, come ho detto, già sapessi abbastanza cose della Luna, incontrarmi con questo libro è stato uno di quei momenti destinati a rimanere nella collezione dei  bei ricordi.

112 pagine divise in quattro capitoli intitolati: Lo spirito dell’Apollo, La Luna degli astronomi, La consapevolezza della Luna, La Luna al telescopio, un approfondimento “Per non perdersi sulla Luna”, un indice analitico e un prezioso “Siti di riferimento” con l’indicazione di nove siti online sui quali si può trovare il modo di soddisfare qualsiasi curiosità sia sorta durante la lettura.

Il libro inizia, come dice il titolo del primo capitolo, con il ricordo della grande avventura dei primi astronauti e di ciò che significò per tutti quelli che vissero quel giorno incredibile, pietra miliare della storia dell’umanità. Il secondo capitolo è dedicato alla Luna in quanto corpo celeste: origine, natura, proprietà, effetti sulla Terra. Il terzo è una storia che racconta com’è andata tra l’uomo e la Luna, dal paleolitico in qua passando per Ipparco, Cristoforo Colombo, Leonardo e Galileo. E il quarto capitolo del libro è dedicato a chi ha la fortuna di possedere un piccolo telescopio che lo avvicini alla Luna ed è una preziosa guida per chi si appresti a passare qualche ora notturna in compagnia del nostro compagno di viaggio nel cosmo.

Il tutto detto o raccontato o discusso con un linguaggio di chi con la divulgazione ha avuto a che fare per molti anni e non saltuariamente, un po’ come con il pane quotidiano, il che è come dire da un maestro della divulgazione.

 

Mario Rigutti è astronomo e divulgatore scientico. Ha tenuto la cattedra di astronomia alla Facoltà di scienze dell’Università Federico II di Napoli e diretto l’Osservatorio astronomico di Capodimonte (Napoli) e quello di Collurania a Teramo. Sempre a Napoli è stato deciso nella costruzione del planetario didattico e la Stazione Astronomica del Toppo di Castelgrande.

 

Giovanni Anselmi – Dopo gli studi universitari di astronomia, si è dedicato alla divulgazione e per più di vent’anni ha diretto la rivista “Coelum Astronomia”, la più quotata rivista italiana per la divulgazione dell’astronomia. Oltre a ciò ha collaborato e collabora con grandi istituti astronomici quali, ad esempio, il CFHT (Canada-France-Hawaii Telescope), per l’elaborazione delle migliori riprese fotografiche degli oggetti celesti da essi ottenute. Ha pubblicato molti articoli di divulgazione astronomica per varie riviste di astronomia e, su proposta del Minor Planet Center, l’Unione Astronomica Internazionale gli ha dedicato l’asteroide della fascia principale 15036Giovannianselmi.

Per ricevere la copia di “alla scoperta della Luna” Clicca Qui

SCOPERTA UNA NUOVA COMETA! Grande attesa per il 2023

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C/2022 E3 (ZTF) la nuova cometa che potrebbe raggiungere mag. +6 a febbraio 2023

La conferma è giunta lunedì 21 marzo. Grazie al contributo degli osservatori E. Guido, M. Rocchetto, E. Bryssinck, G. Milani, G. Savini, A. Valvasori e a Telescope Live
che ha concesso gratuitamente l’uso del telescopio remoto in Cile.

Il corpo celeste, inizialmente classificato come oggetto apparentemente asteroidale (di magnitudine ~17), è stato individuato su immagini CCD scattate il 2 marzo con un telescopio Schmidt da 1,2 mf/2,4 a Palomar in corso dell’indagine “Zwicky Transient Facility” (ZTF) [indagine astronomica osservativa del cielo ad ampio campo – ndr] con codice MPC I41.

Successivamente, è stato osservato che l’oggetto mostrava un aspetto cometario grazie anche al contributo di ulteriori astrometristi CCD.

La nuova cometa è stata quindi designata con il nome C/2022 E3 (ZTF).

credits Ernesto Guido

Alcuni dati

Lo stacking di 12 esposizioni non filtrate di 120 secondi ciascuna, ottenute in remoto tramite un astrografo da 0,61 mf/6,5 + CCD, mostra che questo oggetto è una cometa con una chioma compatta di circa 9″ secondo d’arco di diametro.

Dal Minor Planet Center, ovvero l’organizzazione incaricata dall’Unione Astronomica Internazionale di raccogliere e conservare i dati osservativi sui corpi minori del Sistema solare, calcolarne l’orbita e pubblicare tali informazioni, l’oggetto è stato classificato con il codice MPEC 2022-F13 e vengono indicati i seguenti dati:

Il Central Bureau for Astronomical Telegrams, ovvero l’ufficio centrale per i telegrammi astronomici (CBAT), centro ufficiale di raccolta e diffusione delle scoperte di tutti i tipi di osservazioni astronomiche, ha annunciato nel bollettino n. CBET 5111 che:

“Gli elementi preliminari indicano che la cometa passerà a 0,28 UA dalla Terra all’inizio di febbraio 2023, quando potrebbe essere quasi di magnitudine visiva totale 6. I dati suggeriscono anche che la cometa sia passata a circa 1,18 UA da Saturno nel maggio 2020 e a circa 3,07 UA da Giove nell’aprile 2021″.

Di seguito un grafico generato utilizzando il software Orbitas che mostra la magnitudine prevista (in rosso) rispetto alla sua elongazione. Come sempre, per le comete è difficile con così tanti mesi di anticipo avere dati precisi e quindi le magnitudini future qui riportate sono solo stime indicative.

credits Ernesto Guido
Complimenti agli osservatori per questa scoperta! In attesa di nuovi aggiornamenti, restate sintonizzati!

Maggiori info:

New Comet C/2022 E3 (ZTF)

 

Sei un/una specialista dell’osservazione? Coelum cerca proprio te!

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Hai messo a punto una tecnica o uno strumento speciale per l’indagine astronomica?
Vogliamo dare spazio a chi sperimenta sul campo e ha una competenza da raccontare.
In redazione raccoglieremo tutte le vostre segnalazioni e le più significative verranno condivise con tutti i lettori.

Parliamo di astronomia e raccontiamo le ultime ricerche in campo, ma ci piacerebbe poter dare più spazio anche alle/agli specialiste/i dell’osservazione!

Associazioni astrofile, professionisti o anche neofiti: si può contribuire a scoperte in ambito astronomico anche nel “nostro piccolo”!

A testimonianza di questa affermazione, le tante stelle variabili scoperte da associazioni o singoli appassionati negli ultimi anni; l’importante azione di monitoraggio dei NEO di Osservatori italiani e internazionali; il meticoloso lavoro di calcolo di orbite cometarie e asteroidali che ci permettono di seguire (e magari immortalare) questi oggetti celesti.

Nonché la messa appunto di nuove ottiche e strumentazioni per le nostre osservazioni e di nuove tecniche fotografiche e di elaborazione di immagini astronomiche.

Insomma: Coelum cerca proprio te!

Scrivici a coelumastro@coelum.com
Aspettiamo le vostre segnalazioni, notizie e immagini documentative!

 

Integrazioni rubrica Dalle Costellazioni al Profondo Cielo, Hydra – n. 255 Coelum Astronomia

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NGC2585 ripresa nell’infrarosso Crediti ESO Digitized Sky Survey DSS2

Vi sono molte vaste costellazioni nel cielo di cui solo due lunghissime: ma mentre Eridanus appare nel cielo autunnale, ecco che la costellazione la cui testa e cuore si rendono ora evidenti è solo una.

La più grande di tutte le 88 costellazioni della volta celeste: Hydra.

Di seguito la parte finale dell’articolo a cura di Stefano Schirinzi pubblicato sul n. 255 di Coelum

Campi di Galassie

[…]

Nella parte Occidentale di Hydra, a circa 2° a sud-est è, presente la bella NGC2642: una spirale larga circa 1’ il cui aspetto ricorda molto quello della nota M83 “girandola”, anch’essa situata in Hydra ma nella parte orientale della costellazione.

NGC2642 è lontana circa 204 milioni di anni luce dalla Via Lattea; a subito a sud di essa è presente un triangolo di stelle di ottava e nona grandezza con le quali la galassia disegna la parte superiore di quello che potrebbe assomigliare ad un “aquilone cosmico”.

NGC2585 ripresa nell’infrarosso
Crediti ESO Digitized Sky Survey DSS2

Circa 4° ad est di questo gruppo ve ne è un altro, forse il più cospicuo ed interessante della zona, centrato attorno alla stella di settima grandezza HD76334: si tratta del gruppo compatto LGG164,  presente nel cosiddetto Lyon-Meudon Extragalactic Database.

Creato nel 1983 dall’osservatorio di Lione e contenente informazioni su oltre 60 parametri di circa 100.000 galassie; la distanza media dalla Via Lattea di tale gruppo si aggira attorno agli 83 milioni di anni luce.

Le componenti più luminose vennero per la prima volta scoperte da William Herschel il 6 gennaio 1785, quindi da Heinrich d’Arrest nel 1862 e, infine, da John Herschel l’11 marzo 1886; sono in tutto una decina le galassie che si possono individuare in un raggio di 15’ dalla stella precedentemente citata anche se solo 6 sono quelle la cui luminosità permette di essere facilmente riprese tramite un’opportuna camera applicata ad un telescopio da almeno 250-300 mm di diametro.

Senz’altro, la più interessante tra queste è NGC2708, è una spirale vista di ¾ che presenta estese regioni di formazione stellare. Data la distanza e le dimensioni apparenti, con l’asse maggiore arriva a poco meno 3’, si stima abbia un diametro di circa 70.000 anni-luce, inferiore a quello della nostra galassia. Immagini a lunga posa permettono di acquisire le braccia ampiamente distorte della galassia, specie nel settore meridionale della stessa, che evidentemente sono state rese tali a seguito di qualche passaggio ravvicinato ad altre galassie vicine, probabilmente con la piccola PGC1075058 che giace 8’, dalla classica forma irregolare quasi sempre dovuta a fenomeni di interazione galattici.

La maggior parte delle altre galassie appartenenti a questo gruppo sono anch’esse spirali, con l’unica eccezione di NGC2699 che è, invece, un’ellittica; proprio questa è stata oggetto di studio condotto, nel 2017, col telescopio spaziale Hubble, secondo il quale tale galassia conterrebbe un buco nero supermassiccio dalla massa enorme, compresa tra un minimo di 147 milioni e 615 milioni di masse solari. Le altre galassie del gruppo sono NGC2697, NGC 2698 e NGC2709.

NGC2708 Crediti ESO Digitized Sky Survey DSS2

Esattamente 6° a nord di questo gruppo compatto, segnaliamo due altre interessanti galassie sulle quali merita spendere qualche parola: NGC2713 e NGC2716.

Lontana circa 176 milioni di anni luce dalla nostra galassia, la coppia venne scoperta da Albert Marth nel 1864 utilizzando il telescopio da 1,22 m di diametro di William Lassell, a Malta.

NGC2713 è una spirale barrata di dodicesima grandezza, alquanto inclinata rispetto alla nostra linea visuale; è anche classificata come una radiogalassia, attività tipica di una AGN e quasi sicuramente sviluppata a seguito delle interazioni con la compagna NGC2716. Quest’ultima, a lungo ritenuta un’ellittica o lenticolare, a seguito di recenti osservazioni sembra essere una spirale barrata.

Una terza galassia, IC2426, che è di quindicesima grandezza, è associata alla coppia; le tre costituiscono il gruppo compatto noto come UGZ83. Per riuscire ad intravvedere questa componente è necessario un telescopio da almeno 300 mm di diametro utilizzato ad elevati ingrandimenti per aumentarne il contrasto sullo sfondo oscuro del cielo.

I fortunati possessori di telescopi di diametro ancora maggiore potranno tentare l’osservazione delle componenti, con magnitudini attorno alla diciassettesima grandezza, del vicino ammasso galattico AGC732, situato appena a nord di NGC 2716.

ZETA HYDRAE

Concludiamo questo excursus nella sezione occidentale di Hydra approdando a ζ Hydrae la quale segna l’inizio del collo di Hydra. Al contrario della sesta lettera dell’alfabeto greco attribuitale dal Bayer, questa è in realtà la terza stella più luminosa di Hydra, splendendo di magnitudine 3,11.

Stando al già citato termine derivato da Ulug Beg, alla stella venne attribuito il nome Minazal V; in letteratura, ζ Hydrae è però anche nota col nome Hydrobius il quale, come il precedente, non figura nella lista di nomi propri di stelle deliberata dalla IAU. Non è dato sapere chi attribuì per primo a tale stella questo secondo nome, di chiara origine latina; certa è però la sua stretta connessione con la figura immaginaria del dal momento in cui dovrebbe significare “creatura acquatica”.

Lontana 150 anni-luce dal Sistema Solare, ζ Hydrae è una luminosa stella gigante di tipo G8III (4.900 K) dalla massa superiore a 4 volte quella solare, che irradia 138 volte il Sole. Il raggio derivato da questi parametri, risulta essere ben 18 volte maggiore di quello della nostra stella il che fornisce un potere radiativo superiore di oltre 130 volte la luminosità del Sole; il valore del raggio della stella è stato avvalorato dalla misura diretta del diametro angolare, messo in relazione alla sua distanza.

Con un’età stimata in 400 milioni di anni, la stella (che iniziò la vita come una calda stella nana di tipo B) sta per avviarsi in quella fase evolutiva in cui la mancanza di equilibrio tra gravità e pressione di radiazione porta stelle così poco dense a sviluppare meccanismi di pulsazioni che portano la struttura a contrarsi e ad espandersi in cicli successivi, divenendo così una variabile del tipo Mira.

La pressione di radiazione, ad ogni modo, metterà a nudo il suo nucleo – divenuto nel frattempo una nana bianca formata da gas degenere – producendo una nebulosa planetaria.

M2 – come trovarlo – integrazione

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Nel Cielo con Charles Messier – M2 l’era degli ammassi globulari

Posizione nel cielo

M2 può essere individuato come uno dei vertici di un immaginario triangolo rettangolo che comprende anche le stelle Alfa Aquarii (Sadalmelik) e Beta Aquarii (Sadalsuud). Un buon metodo per rintracciarlo è considerare che M2 possiede (approssimativamente) la stessa ascensione retta di Beta Aquarii e la stessa declinazione di Alfa Aquarii.

Come aveva fatto notare Maraldi, l’ammasso si trova in una zona di cielo abbastanza sgombra da stelle luminose. La più vicina, a più di un grado di distanza, è di magnitudine +6,2. Sarà quindi facile riconoscere l’ammasso anche con modesti binocoli.

La posizione di M2 nella costellazione dell’Acquario: facilmente individuabile 4,8° a nord di Beta Aquarii e a 8,1° a ovest di Alfa Aquarii.

Riassumendo:

Designazioni: M2;  NGC 7089
Tipo: Ammasso Globulare
Scopritore: G. D. Maraldi nel 1746
Costellazione: Acquario
Ascensione Retta: 21h 33m 27s
Declinazione: -00° 49′ 24″
Classe: II (molto compatto)
Distanza: 55.000 anni luce
Estensione: 175 anni luce
Magnitudine: +6.3
Massimo diametro apparente visuale: 7’
Massimo diametro apparente fotografico: 12’

Integrazioni articolo JWST – n 255 Coelum Astronomia

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Hubble eXtreme Deep Field (XDF). Credit: NASA, ESA, G. Illingworth, D. Magee, and P. Oesch (University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (Leiden University), and the HUDF09 Team

Le interviste

⭐ Dall’idea iniziale fino allo spazio: tutte le sfide del JWST

Siamo nel 1989. I pianeti conosciuti sono ancora nove e ruotano tutti attorno al Sole. L’espansione dell’universo è nota ormai da sessant’anni, ma non è ancora stata scoperta la sua accelerazione.

Tre anni prima, il disastro dello Shuttle Challenger aveva bloccato temporaneamente il programma spaziale degli Stati Uniti: gli astronauti hanno ripreso da poco le loro attività e si preparano a portare in orbita un osservatorio destinato a diventare leggenda.

È l’inizio di una nuova era per l’astronomia, ma si sta già pianificando la successiva. Ne parliamo con Massimo Stiavelli, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STSCI) a Baltimora dove è mission head di JWST.

Di seguito la parte finale dell’intervista pubblicata sul n. 255 di Coelum

[…]

Quante persone sono coinvolte?

Si stima che, negli anni, diecimila persone abbiano lavorato alla costruzione di JWST. Qui a STSCI, circa 300 persone sono responsabili di mandare comandi al telescopio e ricevere i dati, chiedere idee alla comunità scientifica e aiutare la comunità a implementarle per fare osservazioni. Non tutti fortunatamente però fanno turni anche la notte!

Nel frattempo sono nate anche nuove linee di ricerca, penso per esempio agli esopianeti… Avete dovuto fare molti cambi per adeguare il progetto a nuovi obiettivi?

Non tanto. Fin dall’inizio gli obiettivi scelti sono sempre stati ambiziosi. Non ci aspettavamo forse di arrivare così lunghi con i tempi ma sapevamo che stavamo parlando di decenni. Se avessimo puntato a risultati alla portata di un telescopio da Terra avremmo corso il rischio di essere superati. Così, quando sono stati individuati gli esopianeti, in realtà noi non abbiamo dovuto fare niente, c’è una piccola feature di uno degli strumenti è bastato modificare quella per essere pronti.

In quali altri campi JWST darà grandi contributi?

Mi aspetto che sia rivoluzionario in tanti ambiti dell’astronomia, dagli esopianeti ad un determinato tipo di misure cosmologiche come la costante di Hubble, per esempio, su cui oggi missioni diverse sembrano offrire risultati in contraddizione. A tal fine ci sono già dei proposal approvati nel primo anno di operatività del telescopio. Qualche anno fa, l’asteroide interstellare Oumuamua aveva destato interesse, con le spiegazioni più stravaganti sulla sua natura: c’è un proposal anche su questo genere di oggetti.

Pensate già al dopo JWST?

Certo! Siamo già ad un’idea e mezzo: una è già in sviluppo, il Roman Space Telescope, un telescopio come Hubble col grandangolo. Se si vuole avere un’immagine completa di M31, la galassia di Andromeda, con Hubble servono centinaia di diverse immagini per coprire tutta la galassia: con Roman sono sufficienti due osservazioni. E poi c’è un altro progetto per rispondere alla domanda “Siamo soli?” che JWST può solo iniziare ad affrontare. JWST infatti è adatto allo studio di pianeti intorno a stelle nane rosse, ma non intorno a nane gialle, come il Sole. A questo sarà dedicata Luvoir, missione ultravioletta-ottica-infrarossa, una specie di super-Hubble, più grande di 6 metri ma per il lancio si parla del 2045.

Hubble e JWST, generazioni a confronto

La prima volta che si sentì parlare del James Webb Space Telescope (JWST) era il 1989 e il telescopio spaziale Hubble doveva ancora entrare in funzione, sarebbe stato lanciato infatti appena l’anno dopo e ben presto si iniziò a definirlo come “il successore di Hubble”.

Che l’Hubble sarebbe rimasto in funzione così a lungo, e così a lungo avrebbe contribuito ad alcune fra le più importanti scoperte astronomiche degli ultimi trent’anni, nessuno poteva pensarlo, così come nessuno avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe voluto così tanto tempo per realizzare il JWST. Trentatré anni from concept to reality, per la precisione. Ma possiamo davvero continuare a pensare che l’osservatorio spaziale dallo specchio dorato sia semplicemente il successore del telescopio spaziale che ha fatto la storia?

L’intervista completa ad Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA, è disponibile sul n. 255 di Coelum.

Il confronto tra l’HUBBLE e il WEBB deep field

Hubble eXtreme Deep Field (XDF). Credit:
NASA, ESA, G. Illingworth, D. Magee, and P. Oesch (University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (Leiden University), and the HUDF09 Team
Billions and billions! A simulation of JWST’s field of view shows galaxies with unprecedented clarity.

 

Coelum n. 255 – 2022 Aprile-Maggio

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LA COPERTINA

Il n. 255 è ampiamente dedicato al James Webb Space Telescope. Dalle origini fino al lancio attraverso le fasi più difficili della costruzione. In dieci e più anni non sono mancati cambi di programma, imprevisti e modifiche strutturali importanti che in alcuni casi hanno rischiato di compromettere la riuscita del progetto.

Ne parliamo con chi il Webb lo ha “toccato con mano”, ovvero Massimo Stiavelli, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STSCI) a Baltimora dove è mission head di JWST, e Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.

L’EDITORIALE

La sensazione che la scienza e la ricerca siano una sicura e accogliente “isola di pace” a cura della direttrice Molisella Lattanzi.

GLI ARTICOLI IN QUESTO NUMERO

JWST una sfida vinta  a cura di Claudia Mignone e Valentina Guglielmo
Gli Estremofili e la vita nello spazio a cura di Marco Sergio Erculiani
Selenocromatica – Imaging mineralografico lunare a cura di Aldo Ferruggia

LE RUBRICHE

Il SISTEMA SOLARE – Venere:

Le MERAVIGLIE del COSMO di Barbara Bubbi:

NEL CIELO CON CHARLES MESSIER – M2 L’era degli ammassi globulari di Giuseppe Petricca

ASTROFOTOGRAFIA:

OSSERVARE è UN’ARTE – STAR TRAIL: La Magia del fluire del Tempo in un singolo Scatto di Dario Giannobile

DIDATTICA E DIVULGAZIONE di Pierdomenico Memeo:

MOON VILLAGE ASSOCIATION: La sfida decisiva per diventare Homo Astronauticus – “Malati di Spazio, malati per lo Spazio” di Carlo Aleci e Claudio Rosa

DALLE COSTELLAZIONI AL PROFONDO CIELO: HYDRA part. 1 Una costellazione timida ma ricca di sorprese di Stefano Schirinzi

LE SEZIONI DA NON PERDERE a cura della Redazione di Coelum

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In Deep – Editoriale del n. 255 Coelum Astronomia

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Editoriale n. 255 Coelum

La sensazione che la scienza e la ricerca siano una sicura e accogliente “isola di pace

«Non è forse proprio questo lo spirito che accomuna tutti gli “scientisti” sparsi nel mondo? La fiducia nella logica e nella ragione in grado di dare risposte certe e mettere fine a ogni diatriba. Confutare ipotesi e conclusioni sbagliate e in ultima analisi, perciò, decidere chi fra gli antagonisti abbia torto o ragione».

Chi non si è, almeno una volta, rifugiato su quest’isola di pace, ove ogni cosa ha un significato, ove basta seguire le indicazioni e lo scorrere degli avvenimenti è semplice
e naturale?

In un nuovo momento di assoluto smarrimento, proprio noi appassionati delle Scienze, vittime consapevoli ed estasiati dell’immagine pura de “l’ordine delle cose”, vorremmo che tutto tacesse per consegnare ogni arma dell’intelletto umano in mano alla stoica dea Logica.

L’esempio meglio riuscito di questo pensiero è senz’altro la Stazione Spaziale Internazionale. Osservandola nei suoi passaggi che segnano scie luminose nel nostro cielo notturno, perdendo qualche minuto ad immaginare cosa stiano facendo lassù quei sei astronauti, uomini e donne, che ci appaio sempre sorridenti, efficaci, raggianti, felici e in assoluta armonia fra loro.

Un ambiente professionale ove le incomprensioni personali svaniscono grazie ad
un approccio serio, alla stima reciproca, alla necessità l’uno dell’altro. Un “appartamento”
immune alle banali diatribe che da sempre invece affliggono l’uomo sulla Terra.

Un miracolo della ragione, diremmo, che ci riempie d’orgoglio e soddisfazione e placa in parte le nostre ansie con una splendida iniezione di fiducia nelle capacità umane; insomma, speranza alla stato puro.

Eppure, nonostante i milioni di occhi fissi sulle evoluzioni di questo luogo di freddo ma incantato metallo incombe un’ombra. Minacciato e messo in dubbio, quasi fosse
possibile ridurlo alla banale lista delle conseguenze di scelte politiche scellerate. Le notizie che riceviamo e che aleggiano nell’aria in attesa di conferme e smentite non ci tranquillizzano affatto.

Per quasi trent’anni la ISS è stata un emblema di uguaglianza e rispetto, un segno
che marca il cammino da seguire per chiunque, un modello da riprodurre in ogni ambiente lavorativo e personale, e così ci auguriamo che resti, nell’illusione che possa conservarsi per sempre immune agli attacchi della sciocchezza umana.

Buona lettura
Molisella Lattanzi

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JWST una sfida vinta – n. 255 Coelum Astronomia

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Dall’alba dell’Universo al nostro vicinato cosmico

James Webb Space Telescope

Osservare le prime galassie nella storia dell’Universo, catturare la luce delle prime stelle che si sono accese solo un centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang.

È il sogno degli astronomi e uno degli obiettivi scientifici all’origine del progetto James Webb Space Telescope (JWST). Un gigantesco osservatorio studiato per scrutare il cosmo nella porzione infrarossa dello spettro elettromagnetico.

A causa dell’espansione dell’universo, la luce emessa da corpi celesti lontani subisce il fenomeno del redshift: la sua lunghezza d’onda aumenta dal blu e verde verso il rosso e quando raggiunge i telescopi sulla Terra o nei paraggi è già nell’infrarosso. Se per studiare le stelle nella Via Lattea e nelle galassie vicine si osserva principalmente alle lunghezze d’onda della luce visibile (quella che percepiamo con i nostri occhi), per sostenere le stesse ricerche su galassie molto più distanti occorre indagare in banda infrarossa.

Alla fine degli anni ’70 la NASA iniziò a progettare una missione interamente dedicata a Giove: Galileo. Dopo Galileo, i cui risultati scientifici furono in parte compromessi da alcuni problemi tecnici, fu la volta di Juno, lanciata nel 2011 e in orbita intorno a Giove dal 2016.

Vuoi saperne di più su Juno? Gli ultimi traguardi e il futuro della missione?
Non perdere il n. 254 di Coelum!

Non solo. L’infrarosso è fondamentale anche per studiare regioni del cosmo a noi vicine, nella nostra Via Lattea, come le nubi interstellari dove nascono le stelle. Queste zone contengono una frazione piccola ma importante (circa l’1%) di polvere che blocca la luce visibile e non permette di osservare direttamente cosa accade al loro interno: la luce infrarossa, invece, passa attraverso la polvere, svelando i misteri della formazione stellare.

Stelle in fasce, prossime e lontane

«I risultati più sbalorditivi di JWST potrebbero arrivare da scoperte che non riusciamo nemmeno ad immaginare» racconta Mark McCaughrean, senior advisor per la scienza e l’esplorazione all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e interdisciplinary scientist nel science working group di JWST. «Tuttavia anche quello che sognavo di osservare quando sono stato coinvolto nel progetto, quasi 24 anni fa, è ancora tutto da fare, perché non c’è altro modo per farlo».

Le capacità del nuovo telescopio spaziale, in particolare a lunghezze d’onda oltre i 2 micron (la banda infrarossa copre le lunghezze d’onda tra 0,7 micron e 1 millimetro), sono
inarrivabili per qualsiasi altro osservatorio sulla Terra o nello spazio.

E così le domande scientifiche intorno a cui è stato costruito JWST sono ancora lì, aperte.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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Selenocromatica, imaging mineralografico lunare – n. 255 Coelum Astronomia

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Pochi astrofili, almeno una volta nella vita, non hanno tentato di esagerare i colori della Luna, la cosiddetta Mineral Moon (MM), per ottenere uno scatto ad effetto.

Si può però andare ben oltre la semplice estetica, mettendo in relazione i colori della Luna con l’evoluzione del nostro satellite, con lo scopo di ricavare la massima quantità d’informazione correlabile al significato mineralogico. Prima di iniziare dobbiamo porci un doveroso quesito:

Sono veri i colori che vediamo nelle nostre immagini?

La risposta è incerta. Insomma, pur assumendo come riferimento inevitabile l’occhio umano e la sua visione, nessuna riproduzione a colori può essere fedele al 100%, a causa delle differenze nella tecnologia di acquisizione, delle caratteristiche e delle limitazioni della riproduzione sullo schermo del computer, dei “settaggi” dello stesso, del filtro atmosferico, etc…

Inoltre c’è sempre la soggettività della visione sulla quale si potrebbe aprire un intero dibattito. Altre differenze si aggiungono a seconda della tecnica scelta per l’acquisizione e l’indagine, ma in ogni caso, qualsiasi sia la combinazione di strumenti preferita, la selenocromatica deve mantenere fede al concetto di rappresentatività: a diversi colori lunari devono corrispondere diversi minerali.

L’espressione di “colori rappresentativi”, è usualmente associata alle immagini riprese con il HST (Hubble Space Telescope), volendo sottolineare il concetto che i colori delle riprese del telescopio sono fedeli ai processi fisici oggetto di indagine. Per estensione quindi i colori che restituiranno le nostre immagini dovranno essere “rappresentativi” delle teorie sui processi evolutivi del nostro satellite e contribuire a confutarle o convalidarle, in un affascinante rimando reciproco.

[…]

MINERALI E COLORI

La “miscela” di elementi che compongono un dato minerale determina in gran parte come questo si comporta quando viene colpito dalla luce solare, riflettendo onde elettromagnetiche di una data lunghezza d’onda, la cosiddetta firma spettrale.

Le rocce lunari, col loro spettro di riflessione che va dai raggi γ alle radio-onde, non fanno eccezione e noi sfrutteremo proprio tale principio per ottenere informazioni. Prima di iniziare l’acquisizione delle immagini è necessario tenere a mente un importante fattore tecnico:

La superficie della Luna, essendo sferica, si curva ai bordi, influendo sulla qualità della radiazione catturata. 

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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STAR TRAIL: La magia del fluire del tempo in un singolo scatto – n. 255 Coelum Astronomia

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STAR TRAIL. Come immortalare in un unico scatto lo spettacolare tracciato del percorso notturno degli astri.

Fin dai tempi antichi l’uomo ha volto lo sguardo verso il cielo cercando di spiegarne le meraviglie. Le costellazioni cambiavano durante l’anno, i pianeti danzavano nel cielo e la Luna e il Sole sorgevano seguendo dei cicli ben stabiliti.

Ma più di tutto, ogni sera gli studiosi dell’antichità potevano assistere alla danza delle stelle. Gli astri non rimanevano immobili, ma percorrevano il cielo e, proprio grazie a questi allineamenti mutevoli, gli antichi cercavano di predire il futuro e di interpretare il fato.

Oggi sappiamo che il movimento delle stelle è una diretta conseguenza della rotazione terrestre che, momento per momento, sposta il nostro punto osservazione.

Come passeggeri di un treno in viaggio, non ne percepiamo il movimento, ma assistiamo allo scorrere del paesaggio, ugualmente, passeggeri della nostra astronave cosmica, non avvertiamo la rotazione terrestre, ma osserviamo le stelle sorgere e tramontare e il loro percorrere traiettorie sulla volta.

Così, le stelle nel cielo settentrionale, o boreale, ruotano attorno al polo nord celeste ovvero il punto di incontro tra la proiezione immaginaria dell’asse di rotazione della Terra e la volta celeste che sappiamo coincidere (o quasi) con la stella Polare, stella alfa della costellazione dell’Orsa Minore.

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Come si realizza uno STAR TRAIL?

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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La sfida decisiva per diventare Homo astronauticus – n. 255 Coelum Astronomia

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MALATI DI SPAZIO, MALATI PER LO SPAZIO

A partire dal 1961, l’anno della prima missione spaziale con astronauti a bordo, la storia ha dimostrato che l’uomo può avventurarsi al di fuori dell’orbita terrestre.

Eppure la sua sopravvivenza deve fronteggiare condizioni ambientali che mettono a serio rischio la sua salute.

Sebbene disponga di una tuta spaziale e si trovi a vivere e lavorare in un ambiente protetto come la Stazione Spaziale Internazionale o un villaggio lunare, l’uomo non può evitare di esporsi a una combinazione di eventi avversi, tra i quali i più importanti sono le radiazioni e l’assenza di gravità.

Una spessa atmosfera e una forza di gravità costante in direzione e intensità sono gli elementi che hanno reso possibile la vita sul nostro pianeta. Nello spazio la mancanza di atmosfera e di gravità espone l’uomo all’effetto deleterio delle radiazioni e dell’assenza di peso.

Si è calcolato che il decondizionamento multi-organo degli astronauti durante i mesi di permanenza nello spazio accelerano il loro invecchiamento di un fattore 10: in termini biologici ogni mese trascorso nello spazio vale quasi un anno sul nostro pianeta.

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Elaborare l’immagine di una cometa – n. 255 Coelum Astronomia

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Come dice David H. Levy :
“Le comete sono come i gatti: hanno la coda e fanno esattamente quello che vogliono” e forse è proprio per questo motivo che catturano la mia attenzione.

Mi piace fotografare le comete, specialmente quando, nel loro viaggiare, attraversano la Via Lattea oppure incontrano oggetti di profondo cielo.

Cerco sempre di tenermi informata sulle comete più interessanti e sui percorsi che fanno in cielo per fotografarle nel passaggio accanto ad oggetti celesti notevoli. Nella galleria del sito Spaceweather.com si trovano quotidianamente riprese di comete dei migliori astrofotografi “cometari” e leggere le informazioni a corredo delle immagini mi è utile per pianificare le mie sessioni fotografiche.

Ci sono inoltre anche gruppi nei social dedicati esclusivamente alle comete in cui si riescono a trovare tante indicazioni.

La notte del 9 settembre 2018 la cometa 21P Giacobini-Zinner transitava in Auriga, in prossimità di un gruppo di nebulose del catalogo Sharpless (SH2-231, SH2-232, S2-233 e SH2-235), un oggetto perfetto per le mie aspettative.

Ed è così che ho iniziato a pianificare la ripresa e a prepararmi per la successiva fase di elaborazione dell’immagine.

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Un diavolo per capodanno – n. 255 Coelum Astronomia

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I Dust Devil sono tra i fenomeni naturali più dinamici osservabili su Marte.

Sono dei vortici di polvere che si formano quando l’aria ruba calore al terreno creando delle sacche calde. Queste, meno dense, si sollevano e, mentre vanno verso l’alto, vengono sostituite dall’aria più fredda che inizia a ruotare guidata dalle forze di Coriolis. All’aumentare dell’aria in entrata nella colonna, la corrente ascendente si fa sempre più vorticosa, come un pattinatore che avvicina le braccia al corpo per girare di più. Quando la rotazione del mulinello diventa più robusta e autosufficiente al livello del suolo, i granelli di sabbia iniziano a rimbalzare e la polvere viene trascinata nel vortice in crescita.

Nasce così un Dust Devil o diavolo di polvere.

Per le missioni robotiche, assistere alla formazione e al passaggio dei Dust Devil è una gran fortuna, sia per motivi scientifici, perché sono indicatori delle condizioni atmosferiche e della velocità prevalente del vento, e sia perché concorrono a quelli che vengono chiamati “eventi di pulizia periodica”, ossia ripuliscono naturalmente le superfici dei rover o dei lander dalla polvere fine che gradualmente viene depositata dall’atmosfera marziana su di essi giorno dopo giorno.

La formazione dei Dust Devil dipende anche dalla geomorfologia del terreno: ci sono aree più proficue di altre.

Il rover della NASA Perseverance, atterrato nel cratere Jezero (Isidis Planitia) il 18 febbraio 2021, ha già dimostrato di essere molto fortunato.

Solo nei primi 90 sol (o giorni marziani) di missione ha incontrato più di 100 diavoli di polvere!

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Stelle sul palcoscenico – n. 255 Coelum Astronomia

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Il rapporto tra astronomia e teatro è una relazione di lunga data, le cui radici culturali sono antiche e profonde.

Per secoli, il cielo stellato è stato il palcoscenico sul quale intere generazioni hanno messo in scena storie di vita quotidiana e di miti lasciando alle familiari sagome delle costellazioni il ruolo di attori protagonisti.

“La colpa, caro Bruto,
non è nelle nostre stelle,
Ma in noi stessi, che siamo
uomini dappoco.”
– Giulio Cesare, scena II

Qualcosa di indefinibile ci ha condotto alla ricerca delle stesse emozioni, paure, speranze, passioni: lassù nelle profondità del cielo stellato, o quaggiù negli abissi dello spirito umano.

I miti sono diventati leggende, le leggende sono diventate storie, e le storie hanno continuato ad accompagnarci, incarnandosi in forme diverse, ma restando sempre fedeli a quel filo sottile che unisce, oggi come allora, le stelle al palcoscenico.

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Gli Estremofili e la vita nello spazio – n. 255 Coelum Astronomia

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In una melodia un abile musicista ordina le note secondo uno schema rigoroso e omogeneo. Non ci sono codici o regole da seguire ma essa suona come giusta all’orecchio umano. Si può paragonare la nascita della vita ad una melodia perfetta. Un punto di equilibrio e una complessa rete di strade interconnesse, ognuna delle quali contribuisce alla mappa della vita.

Come in qualsiasi sistema termodinamico aperto per lavorare in maniera corretta i processi interni devono essere ben separati dal mondo esterno. Nelle forme di vita biologiche questa separazione è rappresentata dalla membrana cellulare.

Sono necessari poi molti elementi chimici Carbonio, Idrogeno, Azoto, Ossigeno, Fosforo e Zolfo e un potentissimo solvente: l’acqua, il principale solvente usato nei processi chimici della biosfera.

Esiste tuttavia un altro liquido che può fungere alla stesso scopo: l’ammoniaca, in grado di svolgere alcuni compiti in maniera simile all’acqua in ambienti chimici però totalmente dissimili a quello terrestre.

Ma quanto tempo ci vuole per formare un organismo vivente?

Questa non è una domanda banale. Si calcola che sulla Terra i primi microfossili si siano formati circa 3,5 miliardi di anni fa e, poiché il Large Heavy Bombardment (LHB), ovvero il periodo di tempo caratterizzato da un gran numero di impatti astronomici che hanno colpito la Terra, si è verificato tra 4,1 e 3,8 miliardi di anni fa, si stima che la vita abbia avuto circa 300 milioni di anni per evolversi e lasciare dietro di sé una traccia fossile.

Adattabilità degli organismi in ambienti ostili

L’evoluzione non è un processo casuale, come a prima vista potrebbe sembrare.

L’evoluzione, citando Luca Signorile, è un orologiaio miope. Essa ha una linea guida, un obiettivo, che è la conservazione dell’organismo il più a lungo possibile, e l’adattamento è la sua strategia. Una strategia a lungo termine e che può operare attraverso la mutazione e la selezione naturale.

Sulla Terra sono stati colonizzati anche gli ambienti più aridi e inospitali, dove organismi unici ed estremamente differenti fra loro si sono adattati a vivere nelle proprie nicchie ecologiche.

Ambiente e microorganismi estremi. CREDIT: ESTREME TOUR CITTÀ DELLA SCIENZA

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Venere, la gemella “diversa” del nostro pianeta – n. 255 Coelum Astronomia

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La “prima stella” a sorgere al tramonto e l’ultima a tramontare all’alba, ecco come si presenta Venere ai nostri occhi.
Eppure, quella brillantezza causata dall’alta riflettività della densa atmosfera, nasconde una storia geologica unica all’interno del Sistema Solare.

Avvolta dalla densa atmosfera che genera un effetto serra a scala globale con temperature che superano i 400 C° e una pressione di circa 90 atmosfere, la superficie di Venere è stata completamente svelata solo negli anni ’90 grazie alle immagini radar dalla missione NASA Magellan (Saunders et al., 1992).

Da questi dati, sono emerse diverse peculiarità geologiche tra cui la numerosità e diversità di strutture vulcaniche, la giovane età della superficie (~500 milioni di anni) e la presenza di lunghi (da centinaia a migliaia di km) canali meandriformi.

I vulcani venusiani hanno tipologie a volte simili a quelle terrestri, in altri casi troviamo delle forme particolarmente complesse: alcune sono state denominate aracnoidi perché appunto ricordano la forma dei ragni, altre sono state chiamate domi pancake perché ricordano le tipiche frittelle americane!

Queste strutture non sono state identificate in altre pianeti, suggerendo l’unicità geologica di Venere.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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CANSAT: Non perché sono facili Ma perché sono difficili – n. 255 Coelum Astronomia

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Il CanSat come attività didattica

Per quelli che hanno vissuto di persona l’epopea moderna delle missioni Apollo, o per chi ha visto con i suoi occhi l’epoca dei lanci degli Space Shuttle, parole come queste sono ancora capaci di far venire la pelle d’oca.
Il conto alla rovescia, il boato e l’esplosione di fiamme dei motori.
E poi la colonna di fumo, il razzo che diventa sempre più piccolo nel cielo, fino a scomparire del tutto. L’emozione pura di un futuro in cui tutto sembrava possibile.

Ma sono passati più di 10 anni dall’ultimo volo dello Shuttle, e quelli che per gli adulti sono ricordi ancora vivi e recenti, per gli studenti e le studentesse delle scuole sono storia lontana.

E mentre centinaia di satelliti volano sopra le nostre teste, e perfino la presenza umana in orbita sembra un fatto quasi scontato, si è perso in parte il gusto della frontiera che ha sempre caratterizzato l’avventura nello spazio. Anche la tecnologia, sempre più digitale e virtuale, ha perduto quella sensazione concreta, di “cose” da smontare e rimontare. Per questo, all’interno della didattica non formale, grande valore acquista il laboratorio.

Perché il modo migliore per insegnare qualcosa è senza dubbio la sperimentazione. E poche cose sono più entusiasmanti di costruire e lanciare il proprio razzo verso il cielo.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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Il punto sulla fosfina su Venere – n. 255 Coelum Astronomia

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Nineteen ALMA antennas on the Chajnantor plateau
Cercare segni di vita nello spazio significa trovare le cosiddette impronte digitali che qualche organismo vivente può aver lasciato nell’ambiente circostante.

Bisogna cioè cercare una moltitudine di composti molecolari che contengano un mix di elementi chimici fondamentali per la vita, i cosiddetti CHNOPS [ovvero carbonio (C), idrogeno (H), azoto (N), ossigeno (O), fosforo (P) e zolfo (S)], una sorta di cocktail chimico essenziale perché la vita si formi.

Guidati da questa idea, un gruppo di ricercatori coordinati dall’astronoma Jane Greaves dell’Università di Cardiff hanno puntando due grandi telescopi verso Venere, il James Clerk Maxwell Telescope realizzato da una cooperazione Inglese, Canadese e Olandese e ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) il più grande complesso di radiotelescopi mai realizzato costituito dai 66 antenne europee poste sulle Ande cilene.

Le osservazioni condotte dal gruppo inglese hanno rivelato negli strati alti dell’atmosfera di Venere a circa 60 km di altezza una molecola insolita, la fosfina, un composto molto reattivo costituito da un atomo di fosforo e tre di idrogeno (PH3).

Il risultato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy ha subito avuto una grande  risonanza mediatica perché sulla Terra tutta la fosfina presente in atmosfera è prodotta esclusivamente da processi antropogenici o da microorganismi, mentre non conosciamo processi abiotici di tipo geologico o geochimico che possano formare la fosfina.

Un’evidenza, anche se indiretta, della possibile presenza di vita nell’atmosfera venusiana.

La fosfina quindi potrebbe essere prodotta da batteri che vivono nell’atmosfera ad altezze tali da avere condizioni di temperatura simili a quelle terrestri, molto diverse dalle temperature proibitive (460 °C) che si trovano sulla superfice del pianeta.

L’idea non è nuova.

Carl Sagan grande scienziato e divulgatore, già 60 anni fa aveva ipotizzato la presenza di batteri nell’atmosfera di Venere. La scoperta della presenza di fosfina potrebbe essere la conferma dell’idea visionaria di Sagan.

Ma trovare la fosfina non è sufficiente perché sia presente vita su un pianeta.
È ancora troppo poco.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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M2 l’era degli ammassi globulari – n. 255 Coelum Astronomia

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Dopo la Nebulosa del Granchio, rappresentante tipica dei residui di supernova, il secondo oggetto del Catalogo compilato dall’astronomo francese (“Messier 2”) inaugura una nuova tipologia di corpi celesti, quella degli ammassi globulari: un insieme sferico di centinaia di migliaia o anche milioni di stelle, tutte concentrate in un volume di decine di anni luce di diametro.

Gli ammassi globulari sono fra i più antichi, compatti e densi sistemi stellari oggi conosciuti.

La loro lunghissima storia inizia all’alba dell’universo e ci racconta come il processo di formazione di questi gruppi di stelle si sia già completato un miliardo di anni dopo il Big Bang. Purtroppo non esiste ancora una spiegazione convincente di come tutto questo sia avvenuto. Le teorie sono tante e la più intuitiva è quella che li considera i mattoni costitutivi delle galassie.

Se così fosse, i 161 globulari che orbitano ancora intorno alla Via Lattea a distanze di decine di migliaia di anni luce, dovrebbero essere interpretati come i superstiti di uno sciame che doveva un tempo comprenderne milioni.

Gli ammassi globulari ruotano attorno al nucleo di una galassia su orbite di elevata eccentricità e alta inclinazione rispetto al piano galattico, con tempi di rivoluzioni dell’ordine del centinaio di milioni di anni.

In questo articolo verrà raccontata la storia della scoperta e classificazione di M2; la posizione nel cielo e le tecniche osservative di questo oggetto stellare così affascinante.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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HYDRA part. 1 Una costellazione timida ma ricca di sorprese – n. 255 Coelum Astronomia

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HYDRA Part. 1 Occidente

Con l’arrivo della primavera la sensazione, propria di molti stargazers ma anche di appassionati neofiti dell’osservazione della volta celeste, è quella di trovarsi quasi smarriti con la scomparsa di tutte quelle figure che, a partire dal sorgere di Auriga e delle Pleiadi, hanno fatto compagnia nelle fredde serate invernali con le loro fulgenti stelle e i loro spazi opulenti di oggetti del profondo cielo tra i più belli offerti dalla volta celeste.

A sud di queste, il cielo diventa nuovamente popolato da deboli stelle; non fosse per una luminosa, di seconda grandezza, che attrae l’attenzione proprio per la solitudine di una stella luminosa all’interno di un’area celeste del tutto priva di altri fulgidi astri.

Vi sono molte vaste costellazioni nel cielo di cui solo due lunghissime: ma mentre Eridanus appare nel cielo autunnale, ecco che la costellazione la cui testa e cuore si rendono ora evidenti è solo una.

La più grande di tutte le 88 costellazioni della volta celeste: Hydra.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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Una rosa brillante di stelle – n. 255 Coelum Astronomia

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Credits: ESA/Hubble
La Nebulosa Rosetta è una nube interstellare di gas ionizzati e polveri, una regione dello spazio ricca del materiale necessario per la nascita di nuove stelle.

In aree come questa, addensamenti nebulari collassano formando generazioni di stelle, che inizialmente sono annidate nelle loro polverose culle native e non possono essere osservate in luce visibile.

In questa sorprendente immagine i dati a raggi X dell’osservatorio Chandra della NASA sono mostrati in rosso e rivelano la presenza di centinaia di giovani stelle addensate al centro dell’immagine e altri ammassi meno luminosi in entrambe le zone laterali.

I dati in banda ottica della Digitized Sky Survey e del Kitt Peak National Observatory (in viola, arancio, verde e blu) evidenziano invece vaste aree di gas e polveri, inclusi immensi pilastri, rimasti intatti dopo che la bruciante radiazione delle stelle massicce ha eroso il materiale più diffuso e meno denso.

Nel cuore della Nebulosa Rosetta trovano dimora molte stelle giganti, radunate in un ammasso aperto centrale, catalogato come NGC 2244, nato pochi milioni di anni fa a partire dal materiale nebulare.

I venti e le radiazioni emesse da queste grandi stelle scolpiscono e illuminano le vaste nebulosità residue che le circondano.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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Una galassia elegante dal cuore oscuro – n. 255 Coelum Astronomia

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credit: ESA/Hubble
La galassia a spirale barrata NCG 5728 appare tranquilla ed elegante in questa immagine ripresa dalla Wide Field Camera 3 (WFC3) del telescopio Hubble.
La scena inquadra la regione centrale della galassia, la barra di stelle e polveri che attraversa il nucleo e la struttura esterna ad anello, percorsa da ammassi di giovani stelle blu.

I bracci a spirale principali, al di fuori della ripresa, sono debolmente luminosi. La visione di Hubble cattura la luce visibile e infrarossa, ma oggetti come NGC 5728 possono emettere molti altri tipi di radiazione, che la camera WFC3 non è in grado di osservare e che possono svelare sorprendenti misteri.

Nonostante l’aspetto tranquillo, infatti, annidato nel cuore di NGC 5728 si nasconde un segreto oscuro: un mostruoso buco nero con massa 34 milioni di volte quella solare divora voracemente gas, polveri e perfino stelle che si avventurano nelle sue vicinanze.

Questo materiale che si raccoglie in un disco di accrescimento mentre precipita verso le fauci del buco nero, si surriscalda ed è in grado di irradiare immense quantità di energia.

Eppure, osservando la galassia in banda ottica e infrarossa, non c’è alcuna traccia del suo cuore brillante ed energetico. 

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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La nuova esplorazione di Venere – n. 255 Coelum Astronomia

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Venere è spesso indicato come il pianeta gemello della Terra anche se in realtà le similarità riguardano anche Marte o Mercurio, insomma tutti i pianeti rocciosi del nostro Sistema Solare.

Infatti, pur avendo le stesse dimensioni della Terra, le differenze con il nostro pianeta non sono affatto trascurabili.

Venere ha un’atmosfera molto più spessa (ben 90 volte quella terrestre!) e nessun campo magnetico.

Venere detiene un primato assoluto nell’esplorazione spaziale, essendo stato il primo pianeta avvicinato da una missione spaziale, la Mariner 2, nell’oramai lontano 1962, ma abbiamo dovuto attendere fino al 1990 per una sonda in orbita costante, la Magellan. Il potente radar montato a bordo di quest’ultima ci ha fornito le prime attendibili misure della superficie, dati indispensabili per la corretta interpretazione del pianeta la composizione e l’evoluzione geologica.

In risposta alla pressante richiesta di nuove informazioni l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) nel 2005 ha finalmente lanciato la missione Venus Express in grado, per la prima volta, di fornire una visione globale, e a volte di dettaglio, dell’atmosfera di Venere. Una missione rocambolesca, nata si potrebbe dire quasi per caso per coprire un bus “in avanzo” e assemblata con copie di strumenti a bordo di Mars Express e Rosetta.

Dal 2005 arriviamo fino al 2021, per fissare un altro anno memorabile per l’esplorazione di Venere con l’approvazione di ben 3 missioni, due della NASA e una dell’ESA.

A giugno dello scorso anno infatti la NASA ha selezionato DAVINCI+ e VERITAS, entrambe nell’ambito del programma Discovery. Il programma della NASA introdotto nel 1992 per selezionare missioni piccole, seguendo la regola faster better and cheaper.

Solo, se così si può dire, 500 milioni di dollari è il budget per ciascuna missione.

L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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ESOPIANETI a quota 5000 in trent’anni di osservazioni

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…E siamo a quota 5000!

Un traguardo cosmico dopo trent’anni di telescopi spaziali

È il 1995 e dall’Osservatorio di Ginevra viene annunciata l’ufficializzazione della scoperta del primo pianeta extrasolare di massa paragonabile a quella di Giove: si tratta di 51 Pegasi b collocato nella costellazione del Pegaso.

Oggi siamo giunti a oltre 5000!

Il “contachilometri planetario”, così definito dai tecnici NASA, si è arricchito ulteriolmente il 21 marzo con l’ultimo lotto di 65 esopianeti aggiunto all’archivio dell’agenzia spaziale americana. L’archivio registra le scoperte di esopianeti che appaiono in articoli scientifici sottoposti a revisione paritaria e che sono state confermate utilizzando più metodi di rilevamento o tecniche analitiche.

Chi più ne ha più ne metta

Gli oltre 5.000 pianeti trovati finora includono piccoli mondi rocciosi come la Terra, giganti gassosi (molte volte più grandi di Giove!) e “hot Jupiters” (cosiddetti “Giovi caldi”) in orbite ravvicinate attorno alle loro stelle.

Ci sono “super-Terre” (mondi rocciosi più grandi del nostro dove sarebbe possibile trovare forme di vita), così come “mini-Nettuno“! Aggiungete a questo mix anche pianeti in orbita attorno a due stelle contemporaneamente e pianeti ostinatamente in orbita attorno ai resti collassati di stelle morte.

Non perdere il video sul canale ufficiale NASA!

Scoperte non banali

«Non è solo un numero! Ognuno di loro è un nuovo mondo, un pianeta nuovo di zecca. Mi emoziono per tutti perché non sappiamo nulla di loro» afferma Jessie Christiansen, responsabile scientifico dell’archivio e ricercatrice presso l’Exoplanet Science Institute della NASA al Caltech di Pasadena.

La nostra galassia contiene potenzialmente centinaia di miliardi di tali pianeti. Il ritmo costante di scoperte degli ultimi trent’anni e l’arrivo di orbita di telescopi spaziali quali il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), lanciato nel 2018, e il più recente James Webb (JWST) promettono di incrementare questo numero in modo esponenziale.

Non perdere l’ultimo numero di Coelum con un ricco dossier sul JWST!

Gli oltre 5.000 esopianeti confermati finora nella nostra galassia includono una varietà di tipi: alcuni simili ai pianeti del nostro sistema solare, altri molto diversi. Tra questi c’è una misteriosa varietà conosciuta come “super-Terre” perché sono più grandi del nostro mondo e forse rocciose. Credit: NASA/JPL-Caltech

Fonti:

Cosmic Milestone: NASA Confirms 5,000 Exoplanets

SI SPEDISCE! In partenza il numero 255

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sta partendo!

Siamo pronte con la spedizione del n. 255 Aprile-Maggio!

In giro di pochi giorni potrete ricevere direttamente a casa vostra il nuovo numero Coelum: nuove rubriche, 4 pagine in più e un ricco dossier sul JWST!

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E in più…

Lo scorso weekend (e quello precedente) siete venuti a trovarci davvero in tanti e per noi è stato davvero un piacere conoscere affezionati lettori e nuove persone incuriosite e appassionate di Astronomia ⭐🔭
Se volete conoscere la Redazione, farvi un emozionante viaggio in realtà virtuale e acquistare la rivista in loco l’appuntamento è al primo weekend di aprile:

San Benedetto del Tronto sabato 02 e domenica 03 aprile presso il Centro Commerciale Portogrande – ultima data (per ora!) di Coelum in tour! 🚴

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Così si può misurare la salinità dell’Artico da satellite

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Salinità e cambiamenti climatici

I cambiamenti nella distribuzione dell’acqua dolce nell’Oceano Artico possono essere collegati ai cambiamenti nella circolazione termoalina – la componente di circolazione globale oceanica influenzata dalla densità delle masse d’acqua, a sua volta determinata da temperatura e salinità – che a sua volta può avere ripercussioni (o dipendere) dal clima globale.

Il più difficile da misurare fra i due parametri menzionati sopra, soprattutto su larga scala da satellite, è la salinità, a causa della complessa relazione che la lega alla temperatura di luminosità, il parametro misurato direttamente dallo spazio. Un passo avanti, a livello metodologico, è stato recentemente presentato in un articolo (https://essd.copernicus.org/articles/14/307/2022/#section5) pubblicato su Earth System Science Data, che presenta un nuovo metodo computazionale di utilizzo dei dati da satellite per ricavare misure di salinità.

Una mappa della salinità artica realizzata nello studio e relativa al periodo 11-19 Agosto 2012. Credit: Justino Martínez et al.

Partiamo dalla definizione: la salinità, in chimica, è il rapporto fra la massa di sali (misurata in grammi) contenuta in una determinata quantità di acqua e la quantità di acqua stessa, misurata in litri o chilogrammi. Il modo più preciso per misurare questo parametro localmente è farlo in situ, ma vi sono condizioni meteorologiche estreme in cui questo è difficile, o addirittura quasi impossibile. È il caso dell’Oceano Artico centrale, in cui il ghiaccio è in grado di distruggere le infrastrutture di misura come galleggianti, ormeggi o alianti.

Grafico che rappresenta un errore di salinità derivato dall’errore radiometrico con sezione di questa mappa dal Mare di Barents al Mare della Siberia orientale. Credit: BEC SMOS

Un metodo alternativo, e che consente di coprire anche regioni più ampie, è la misura da satellite, che però è spesso poco sicura e affidabile, specialmente nel caso di acque fredde. Nel nuovo studio, per misurare la salinità delle acque artiche dallo spazio sono stati utilizzati rivelatori di microonde che catturano l’energia elettromagnetica (o radiazione) emessa dalla superficie marina e che dipende dalla temperatura e dalla salinità. Il parametro considerato, la temperatura di luminosità, come dicevamo, diminuisce la sensibilità alla salinità con l’abbassarsi della temperatura dell’acqua, e la mancanza di misure in situ costituisce una limitazione importante in questo caso perché impedisce un confronto e una validazione delle misure da satellite.

Dettaglio del prodotto Arctic+ v3.1 insieme alla concentrazione minima di ghiaccio marino fornita da OSI SAF per il periodo 11–19 agosto 2012. Stessa regione ma per Arctic+v2.0. La barra dei colori di destra indica la concentrazione di ghiaccio marino mentre la barra dei colori di sinistra indica la salinità. Credit: BEC SMOS.

Gli scienziati dell’Istituto delle Scienze del Mare di Barcellona, in collaborazione con il centro italiano ESA ESRIN e Telespazio, hanno utilizzato i dati raccolti dal Soil Moisture and Ocean Salinity (SMOS) dell’ESA per implementare un modello informatico di analisi che consenta di prevedere le variazioni e l’andamento della circolazione marina nella regione artica. La missione SMOS, lanciata nel 2009, è la prima ad ospitare un radiometro in banda L che permette di misurare la salinità della superficie marina dell’oceano. La banda di frequenza (a 1,43 GHz, la banda L appunto) è ottimale per misurare la salinità, poiché questa regione elettromagnetica è protetta dalle emissioni elettromagnetiche umane, mentre la sensibilità alla salinità – sebbene diminuisca con la temperatura – è abbastanza alta.

Grazie ai dati raccolti dalla missione in nove anni (dal 2011 al 2019) e all’implementazione del nuovo modello presentato nell’articolo, sarà possibile ottenere un quadro più preciso – e spazialmente esteso – delle condizioni dell’artico e delle variazioni di salinità nel tempo e nello spazio. Le connessioni, a livello climatico, riguardano non solo le precipitazioni atmosferiche, l’evaporazione dell’acqua, la quantità di acqua dolce, ma anche la sopravvivenza delle specie animali.

Lampi radio veloci in transito

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La storia delle lampi radio veloci (FRB) potrebbe essere più complicata di quanto si immaginava. È difficile capire le origini degli FRB poiché sono così brevi, così luminosi che sembrano provenire da numerose regioni del cielo.

La maggior parte di queste esplosioni cosmiche sembra verificarsi in giovani galassie.

Un nuovo studio, pubblicato di recente su Science, ha esaminato una piccola popolazione di FRB ripetuti, esaminando le proprietà della loro luce e in particolare la loro polarizzazione.

Fenomeni ad alta energia

Un lampo radio veloce (in inglese fast radio burst, FRB) è un fenomeno astrofisico ad alta energia che si manifesta come un impulso radio transitorio, con durata di pochi millesecondi. Si tratta di lampi molto luminosi nella banda radio, provenienti da regioni esterne alla Via Lattea.

«L’emissione di un FRB attraversa un’enorme distanza prima di colpire la Terra, passando attraverso regioni che possono dare una svolta particolare alla polarizzazione radio, ovvero la direzione dell’oscillazione del campo elettrico», affermano i ricercatori del Green Bank Observatory in West Virginia, autori del progetto, «Per questo motivo, lo studio della polarizzazione degli FRB ci parla degli ambienti in cui sono nati e di tutto lo spazio intermedio».

Immagine che mostra la posizione delle esplosioni radio veloci nel cielo notturno. (Credit: NRAO Outreach/T. Jarrett (IPAC/Caltech); B. Saxton, NRAO/AUI/NSF)

Il team di ricerca ha scoperto che, nei cinque FRB ripetuti che hanno esaminato, i dettagli chiave della polarizzazione dipendono dalla radiofrequenza che viene osservata. Queste proprietà possono anche cambiare molto rapidamente in breve tempo.

Cambiamenti repentini

Rapidi cambiamenti di FRB possono verificarsi se l’emissione ripetuta passa attraverso un ambiente complesso attorno alle sorgenti di scoppio. Ad esempio, la luce FRB potrebbe muoversi attraverso i resti di una supernova e il gas denso che circonda i resti di una stella si muoverebbe in rapida rotazione vicino a enormi buchi neri.

«Con queste misurazioni, iniziamo a vedere la tendenza evolutiva degli FRB, con sorgenti più attive in ambienti più complessi e cambiamenti di polarizzazione più grandi in esplosioni più giovani», afferma l’autore principale dello studio Yi Feng, scienziato dello Zhejiang National Lab di Hangzhou in Cina, «Tutto ciò è molto entusiasmante poiché potrebbe trattarsi di una popolazione di FRB distinta. Altri indagini ci permetteranno di svelare il mistero».

Fonti:

Science (March 2022): “Frequency-dependent polarization of repeating fast radio bursts-implications of their origin” by Yi Feng, Di Li, Yuan-Pei Yang, Yongkun Zhang, Weiwei Zhu, Bing Zhang, Wenbin Lu, Pei Wang, Shi Dai, Lei Zhang.

Minerva: la nuova missione di Samantha Cristoforetti

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Il nome Minerva si ispira alla dea romana della saggezza, dell’artigianato e delle arti… un omaggio alla competenza e alla maestria degli uomini e delle donne straordinari di tutto il mondo che rendono possibile il volo spaziale!

Il tweet dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti che ha svelato il logo della sua nuova missione sulla ISS

“Minerva” è il nome scelto per la missione di Samantha Cristoforetti. Ispirato alla dea romana, incarna anche il rigore e la forza richiesti agli astronauti in preparazione a un lancio nello spazio.

Il logo

In questo logo molto particolare ritroviamo una civetta stilizzata, simbologia associata proprio alla dea Minerva. L’occhio del rapace è una luna gialla che proietta un bagliore bianco sul pianeta Terra. Il suo becco allude alla forma della Stazione Spaziale Internazionale con i suoi caratteristici pannelli solari. Le due linee simboleggiano anche le due missioni di Samantha nello spazio. Il corpo della civetta è composto da onde blu scure, che dovrebbero affrontare gli astronauti ad affrontare sfide sempre più ardue. Mentre gli occhi della civetta si rivolgono verso il futuro dell’esplorazione spaziale.

La nuova missione “Minerva” di Samantha Cristoforetti. Credit: ESA

Il lancio

Il lancio è in programma il 15 aprile.

Gli astronauti partiranno a bordo di un razzo Falcon 9 e nella Crew-4 di SpaceX. Per circa 6 mesi la Cristoforetti sarà impegnata a svolgere nuovi esperimenti scientifici sulla ISS, ricoprendo il ruolo di specialista della missione. Inoltre, una volta saliti a bordo della stazione, l’astronauta italiana sarà leader del segmento americano della ISS, ovvero responsabile di tutte le operazioni all’interno della parte occidentale della stazione.

Fonti:

Release ESA: https://www.esa.int/Science_Exploration/Human_and_Robotic_Exploration/Minerva

È nata una Baby Galaxy

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La nascita di una galassia è cosa rara, specialmente nel nostro cortile cosmico. Questa volta abbiamo avuto per la fortuna di osservare questo fenomeno sul nascere.

L’evento è stato avvistato dal Dragonfly Array, ovvero uno strumento formato da 48 teleobiettivi Canon con sensori molto sensibili collegati che coprono ben sei gradi quadrati di cielo, trenta volta la dimensione della Luna piena. Questo ha il vantaggio di favorire la visione di un’area di cielo molto più ampia, per poi così poter scattare immagini molto profonde.

Tecniche innovative

Per osservare la particolare nascita della baby galaxy, il team dietro a Dragonfly ha provato a testare diverse tecniche di osservazione. Quella più riuscita ha permesso la creazione di una versione Pathfinder dell’array utilizzando solo tre obiettivi, ma sono dotati di un filtro speciale che consente di vedere solo una gamma molto ristretta di lunghezze d’onda (colori). Il gas idrogeno nello spazio può avere i suoi atomi eccitati, energizzati da diversi processi, tra cui stelle calde vicine, sbattere contro altre nuvole e così via. Questo gas emette quindi luce a una lunghezza d’onda molto specifica, chiamata H-alfa, che si trova nella parte rossa dello spettro a 656,5 nanometri.

Un filtro progettato per guardare solo quella lunghezza d’onda elimina molta luce estranea e vede solo idrogeno gassoso. Un telescopio estremamente sensibile ad ampio campo che vede solo la luce dell’idrogeno può essere utilizzato per cercare la formazione stellare e altri oggetti interessanti come appunto la nascita della baby galaxy.

Uno scatto di rara bellezza

A soli 12 milioni di anni luce dalla Terra si trova il gruppo M81, un piccolo gruppo di galassie che è uno dei più vicini alla Via Lattea. M81 è una galassia a spirale osservata spesso quasi di taglio, e presenta una forma irregolare, come se al suo interno si stesse verificando un esplosione. Questo oggetto celeste viene chiamato galassia starbust, la quale sta subendo al suo interno la nascita di una nuova stella. Nel suo centro si stanno sviluppando così tante stelle massicce che i loro venti stellari combinati stanno soffiando gas fuori dalla galassia stessa. Inoltre, alcune centinaia di milioni di anni fa, un passaggio ravvicinato con la vicina M81 ha estratto molto gas da M82, la gravità della galassia più grande ha creato lunghe stelle filanti da M82, chiamate code di marea.

La vicina galassia Starburst M82 sta espellendo enormi quantità di gas idrogeno (rosso) mentre le stelle nascono a milioni al suo centro. Foto: Crediti: NASA, ESA e The Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Ringraziamenti: J. Gallagher (Università del Wisconsin), M. Mountain (STScI) e P. Puxley (National Science Foundation).

Tutto ciò rende questa area del cielo un bersaglio perfetto per la versione di prova dell’array filtrato Dragonfly. Nella primavera del 2020 sono state effettuate centinaia di osservazioni sulla galassia, per così creare un’immagine H-alfa con un’esposizione totale di 95 ore. E sul bordo del disco di M82 è stata vista una macchia luminosa di emissione di H-alfa, che è stata nominata DF-E1 (Dragonfly Emission source 1), il primo emettitore di H-alfa scoperto dal piccolo array. Questo si sovrappone a una delle code di marea di M82, e questo rende molto probabile che si stia condensando del gas dopo essere stato strappato via.

M82 è una galassia osservata da molto tempo. Chi la studia ha trovato diversi piccoli nodi in DF-E1 che risultano essere giovani ammassi stellari che si formano dal gas che si osserva. I radiotelescopi mostrano anche che lì c’è molto idrogeno atomico a temperature molte basse, indicando che il gas si sta raffreddando per poi formare delle nuove stelle.

Il futuro della baby galaxy

Gli spettri presi usando l’enorme telescopio Keck alle Hawaii sono stati usati per determinare la velocità di DF-E1, e scoprono che si sta muovendo rispetto a M82 a circa 75 chilometri al secondo, abbastanza veloce da essere molto probabilmente non legato alla galassia; cioè probabilmente non rallenterà e ricadrà. La massa totale nel gas è circa 50 milioni di volte la massa del Sole. Nel complesso, queste informazioni rendono probabile che DF-E1 sia una galassia a sé stante, anche se piccola.

Quale potrebbe essere allora il suo destino? DF-E1 potrebbe ricadere su M82, poiché la velocità non è perfettamente determinata; o in caso contrario potrebbe unirsi al gruppo di altre piccole galassie del gruppo M81.

Il bello della faccenda è che DF-E1 non è un oggetto, cosmologicamente parlando, lontano dalla Terra, quindi di facile osservazione. E’ una neonata galassia nuova di zecca, nata dalle viscere strappate da M82, e la si può guardare quasi in tempo reale.

Fonti:

 

Ultima ora: ExoMars Sospeso

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E’ di qualche minuto la notizia ufficiale che il programma ExoMars è stato temporaneamente sospeso.

La notizia, nell’aria già da un pò è stata diffusa in maniera ufficiale dall’ufficio stampa ESA oggi 17 marzo alle ore 14:00.

Nel comunicato si legge come il Consiglio Direttivo dell’ESA, dopo aver valutato la situazione derivante della guerra in Ucraina ha riconosciuto all’unanimità l’attuale impossibilità di continuare la cooperazione in corso con l’agenzia Roscosmos sulla missione rover Exo Mars con il lancio previsto entro il 2022 ed ha incaricato il Direttore Generale dell’ESA a condurre uno studio accelarato per definire e valutare opzioni alternative disponibili al fine di continuare il programma.

L’ESA, cita il comunicato, in quanto organizzazione intergovernativa incaricata di sviluppare e attuare programmi spaziali nel pieno rispetto dei valori europei, deplora profondamente le vittime umane e le tragiche conseguenze dell’aggressione all’Ucraina. Pur riconoscendo l’impatto sull’esplorazione scientifica dello spazio, l’ESA è pienamente allineata alle sanzioni imposte alla Russia dai suoi Stati membri.

Inoltre, a seguito della decisione di Roscosmos di ritirare il proprio personale dallo spazioporto europeo nella Guyana francese, tutte le missioni programmate con lancio Soyuz sono state sospese. Si tratta essenzialmente di quattro missioni istituzionali per le quali l’ESA è l’ente di appalto dei servizi di lancio (Galileo M10, Galileo M11, Euclid e EarthCare) e un lancio istituzionale aggiuntivo.

Note sulla Stazione Spaziale Internazionale

Il programma della Stazione Spaziale Internazionale continua a funzionare nominalmente. L’obiettivo principale è continuare le operazioni sicure della ISS, compreso il mantenimento della sicurezza dell’equipaggio.

Qui la notizia ufficiale https://www.esa.int/Newsroom/Press_Releases/ExoMars_suspended

 

Inizia la Primavera, si aprono le porte dell’INAF

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Coelum Astronomia vi ricorda gli appuntamenti per la primavera promossi dall’INAF

Dal 20 al 28 marzo 2022 si svolgerà “Light in Astronomy”, manifestazione nazionale in cui le sedi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sparse sul territorio nazionale
aprono le porte al pubblico proponendo laboratori, conferenze, osservazioni del cielo e molto altro, sia in presenza che in streaming. Per l’occasione, lunedì 21 marzo la diretta speciale della serie “Il cielo in salotto” alla scoperta del patrimonio storico e culturale custodito nei musei astronomici delle sedi INAF di Milano, Napoli, Padova e Roma.

Per celebrare questa occasione, lunedì 21 marzo, all’indomani dell’equinozio, andrà in onda la diretta “Equinozio al museo” a partire dalle 18:30 sui canali YouTube e Facebook di EduINAF, la rivista online di didattica e divulgazione dell’Ente. La trasmissione, parte della serie “Il cielo in salotto”, offrirà una esclusiva visita virtuale ai musei astronomici delle sedi INAF di Milano, Napoli, Padova e Roma, accompagnando spettatrici e spettatori in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo alla scoperta dell’astronomia italiana, della sua storia e di alcuni dei suoi protagonisti.

“Light in Astronomy” è una manifestazione nazionale dell’INAF nata nel 2015 per celebrare l’Anno Internazionale della Luce. L’iniziativa è stata riproposta ogni anno, a novembre, fino al 2019, per poi subire una pausa nel 2020-2021 a causa dell’emergenza Covid-19.

Per ulteriori informazioni:

Il programma degli eventi dal 20 al 28 marzo è disponibile alla pagina Eventi di EduINAF: https://edu.inaf.it/events/light-in-astronomy-2022-torna-la-settimana-della-luce-dellinaf/

Il programma e il link per seguire la diretta “Equinozio al museo” lunedì 21 marzo sono disponibili alla pagina Dirette di EduINAF: https://edu.inaf.it/diretta/

Contatti:

Ufficio stampa INAF – Marco Galliani, 335 1778428, ufficiostampa@inaf.it

ARRIVATO! – n. 255 Coelum Astronomia

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Il numero 255 è arrivato!

Con tanta emozione ci troviamo a sfogliare questo secondo numero della nuova serie di Coelum

Ci avete scritto davvero in tanti e abbiamo raccolto quanti più suggerimenti possibili per arricchire ancor di più questo nuovo numero che, come si nota in copertina, comprenderà un ampio dossier sul “JWST una sfida vinta“.

Troverete anche due interviste a chi il Webb lo ha “toccato con mano“: parliamo di Massimo Stiavelli, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STSCI) a Baltimora dove è mission head di JWST; e Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.

Ma non solo

Gli altri articoli presenti in questo numero:

  • Gli Estremofili e la vita nello spazio a cura di Marco Sergio Erculiani
  • Selenocromatica – Imaging mineralografico lunare a cura di Aldo Ferruggia

E in più, due nuove rubriche:

  • Domande e Risposte: la redazione e gli autori rispondono
  • Dalle Costellazioni al Deep Sky: torna la rubrica a cura di Stefano Schirinziuna maratona di osservazione che può durare tutta una notte.

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JWST Updates: l’Allineamento degli Specchi

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Oggi 16 marzo la NASA si terrà un briefing virtuale con i media per fornire gli ultimi aggiornamenti sull’allineamento dello specchio del telescopio spaziale. Puoi seguire l’incontro qui

I partecipanti condivideranno i progressi compiuti nell’allineamento degli specchi di Webb, ottenendo un’immagine completamente focalizzata di una singola stella.

Maggiori approfondimenti sul JWST sul nuovo numero 255 di Coelum: il ricco dossierJWST una sfida vinta” – non perdere la prevendita qui!

Una missione dai nuovi orizzonti

Il James Webb è un telescopio spaziale a raggi infrarossi, lanciato il 25 dicembre 2021, dallo spazioporto di Arianespace a Kourou, nella Guinea Francese, trasportato in orbita solare da un razzo Ariane 5.

Rappresentazione grafica del telescopio. Credit: NASA

Nelle ultime settimane, il team di ricercatori responsabili del progetto ha catturato con successo la luce delle stelle attraverso ciascuno dei 18 segmenti speculari di Webb. Questi 18 singoli punti di luce sono stati quindi perfezionati e impilati uno sopra l’altro, per formare un’immagine di allineamento iniziale di una singola stella. Da allora, in fasi di allineamento chiamate “fasatura grossolana” e “fasatura fine”, gli ingegneri hanno apportato piccoli aggiustamenti alle posizioni dei 18 segmenti dello specchio primario in modo che agissero come uno solo, producendo un’immagine singola e focalizzata.

Webb, che ricordiamo comprendere una partnership internazionale anche con l’ESA (Agenzia spaziale europea) e l’Agenzia spaziale canadese, si è dispiegato nella sua forma finale nello spazio ed ha raggiunto con successo la sua destinazione a 1 milioni di miglia dalla Terra. Ora è in fase di preparazione per le operazioni scientifiche. Il team Webb rilascerà le prime immagini e dati scientifici del telescopio quest’estate dopo aver completato l’allineamento del telescopio e aver preparato gli strumenti.

Lo scopo è quello di esplorare ogni fase della storia cosmica, dall’interno del nostro Sistema Solare alle galassie più lontane nell’Universo primordiale e tutto il resto. Così Webb rivelerà nuove e inaspettate scoperte e aiuterà l’umanità a comprendere le origini dell’Universo.

Il pubblico potrà seguire i progressi del telescopio tramite un “Dov’è Webb?”, un tracker interattivo proposto dalla NASA.

Fonti:

Release: https://www.nasa.gov/press-release/nasa-to-discuss-progress-as-webb-telescope-s-mirrors-align

È aperta la prevendita del n. 255 di Coelum Astronomia con l’approfondimento sul JWST

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