Ecco delle foto più classiche della congiunzione planetaria tra Giove e Venere che potremo osservare anche domani 2 marzo 2023. Queste sono ottenute l’1 marzo al tramonto, da una località cercata proprio per allineare i pianeti al paesino dove abito, Montecassiano (MC – ITALY). Riprese ottenute a 70mm e 400mm con fotocamera full frame.
Crediti: Cristian Fattinnanzi
Ecco il timelapse ripreso durante gli scatti
Ricordiamo che per chi volesse e meteo permettendo il “bacio” sarà visibile anche stasera con le indicazioni a seguire dell’autore dello scatto.
Il massimo avvicinamento tra Giove e Venere avverrà durante la notte tra il giorno 1 e 2 marzo 2023, quando il “bacio” tra i due astri li vedrà a circa 30′ di distanza tra loro, praticamente pari al diametro lunare. Dall’Europa potremo osservarli leggermente prima, la sera dell’1 marzo, o leggermente dopo il massimo avvicinamento, la sera del 2 marzo, sempre verso Ovest, al tramonto, tra le 18 e le 20:15 circa. In queste condizioni i due astri si troveranno ad una distanza comunque molto interessante, intorno ai 40′. La posizione prossima all’orizzonte permetterà di fotografarli contestualizzate al paesaggio: per ottenere questo tipo di immagini dovremo usare focali appropriate, consiglio di non andare oltre i 400mm su formato full frame e 300mm su APSC.
Nelle due immagini sotto rispettivamente dove guardare nella sera dei giorni 1 e 2 marzo alle ore 19 ora locale.
Roma, 1 marzo ore 19:00 ora locale. Crediti:TheSkyLive.comRoma, 2 marzo ore 19:00 ora locale. Crediti:TheSkyLive.com
Dimenticando il paesaggio e volendo concentrare l’attenzione sui due astri, per riprendere qualche dettaglio della loro fase (Venere) o atmosfera (Giove), potremo spingerci ad usare focali più impegnative, nell’ordine massimo dei 2000mm su FF e 1300 su APSC.
La reale posizione dei pianeti rispetto al Sole. Crediti: TheSkyLive.com
Inviate i vostri scatti a coelumastro@coelum.com oppure caricateli in PhotoCoelum per la galleria che dedicheremo all’evento!
Deep Sky CCD Atlas è uno di quei testi da consultazione rapida e veloce che ogni osservatore, visualista o meno, dovrebbe avere con se.
Una guida in grado di aiutare subito nell’individuazione degli oggetti confrontandone la forma che appare con quella registrata dallo splendido lavoro dell’autore John C. Vickers.
All’interno dell’Atlante vengono fornite statistiche ed immagini di oltre 2400 oggetti identificati, cioè: 26 ammassi galattici formalmente riconosciuti, più di 1700 galassie (Ga), 310 ammassi aperti (OC), 10 asterismi, 120 nebulose planearie (PN), 145 nebulose diffuse (Em=ad emissione, Rifl=a riflessione), 102 ammassi globulari (GC) e 13 nebulose oscure (Dk.Neb).
I campi scelti per questo atlante contengono stelle deboli fino alla 21 magnetudine, un risultato raggiunto grazie a riprese effetuate nelle migliori condizioni di osservazione. Le galassie sono state esposte da 5 a 8 minuti, gli ammassi globulari e le nebulose di solito 3 minuti, brillanti ammassi stellari da 30 a 90 secondi (acquisendo stelle di magnitudine 18 e 19). Normalmente sono stati realizzati fotogrammi duplici dei campi, successivamente sommati. Molti degli oggetti relativamente estesi qui presentati sono stati ripresi in più frame, a volte in notti diverse, in seguito combinati in una tecnica a mosaico. Non sono stati utilizzati filtri mentre si è scelto di utilizzare immagini in negativo per rappresentare deboli dettagli nel modo più efficace possibile.
Nell'immagine a corredo i due astri sono stati ripresi in pieno giorno, verso le 15 del 1 marzo, sfruttando un momento di cielo sereno.
Takahashi FS102/820 con Canon 200d. 1/500" a 200 ISO. Montatura Vixen GP. Crediti di Cristian Fattinnanzi
Nell’attesa del massimo avvicinamento, e confidando nella clemenza del meteo che per stasera fa ben sperare in alcune zone d’Italia, il nostro autore Cristian Fattinanzi ha immortalo i due astri già in pieno giorno, sfruttando un momento di cielo sereno.
Strumentazione: Takahashi FS102/820 con Canon 200d. 1/500″ a 200 ISO.
Il massimo avvicinamento tra Giove e Venere avverrà durante la notte tra il giorno 1 e 2 marzo 2023, quando il “bacio” tra i due astri li vedrà a circa 30′ di distanza tra loro, praticamente pari al diametro lunare. Dall’Europa potremo osservarli leggermente prima, la sera dell’1 marzo, o leggermente dopo il massimo avvicinamento, la sera del 2 marzo, sempre verso Ovest, al tramonto, tra le 18 e le 20:15 circa. In queste condizioni i due astri si troveranno ad una distanza comunque molto interessante, intorno ai 40′. La posizione prossima all’orizzonte permetterà di fotografarli contestualizzate al paesaggio: per ottenere questo tipo di immagini dovremo usare focali appropriate, consiglio di non andare oltre i 400mm su formato full frame e 300mm su APSC.
Nelle due immagini sotto rispettivamente dove guardare nella sera dei giorni 1 e 2 marzo alle ore 19 ora locale.
Roma, 1 marzo ore 19:00 ora locale. Crediti:TheSkyLive.comRoma, 2 marzo ore 19:00 ora locale. Crediti:TheSkyLive.com
Dimenticando il paesaggio e volendo concentrare l’attenzione sui due astri, per riprendere qualche dettaglio della loro fase (Venere) o atmosfera (Giove), potremo spingerci ad usare focali più impegnative, nell’ordine massimo dei 2000mm su FF e 1300 su APSC.
La reale posizione dei pianeti rispetto al Sole. Crediti: TheSkyLive.com
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Deep Sky CCD Atlas è uno di quei testi da consultazione rapida e veloce che ogni osservatore, visualista o meno, dovrebbe avere con se.
Una guida in grado di aiutare subito nell’individuazione degli oggetti confrontandone la forma che appare con quella registrata dallo splendido lavoro dell’autore John C. Vickers.
All’interno dell’Atlante vengono fornite statistiche ed immagini di oltre 2400 oggetti identificati, cioè: 26 ammassi galattici formalmente riconosciuti, più di 1700 galassie (Ga), 310 ammassi aperti (OC), 10 asterismi, 120 nebulose planearie (PN), 145 nebulose diffuse (Em=ad emissione, Rifl=a riflessione), 102 ammassi globulari (GC) e 13 nebulose oscure (Dk.Neb).
I campi scelti per questo atlante contengono stelle deboli fino alla 21 magnetudine, un risultato raggiunto grazie a riprese effetuate nelle migliori condizioni di osservazione. Le galassie sono state esposte da 5 a 8 minuti, gli ammassi globulari e le nebulose di solito 3 minuti, brillanti ammassi stellari da 30 a 90 secondi (acquisendo stelle di magnitudine 18 e 19). Normalmente sono stati realizzati fotogrammi duplici dei campi, successivamente sommati. Molti degli oggetti relativamente estesi qui presentati sono stati ripresi in più frame, a volte in notti diverse, in seguito combinati in una tecnica a mosaico. Non sono stati utilizzati filtri mentre si è scelto di utilizzare immagini in negativo per rappresentare deboli dettagli nel modo più efficace possibile.
Nasce oggi il canale TELEGRAM di Coelum Astronomia.
Nella dispersione delle piattaforme social e nel rumore di fondo che mischia, immagini notizie e contenuti di rilievo. Coelum attiva un canale che vuole essere un luogo di informazione. Riservato e parsimonioso il nuovo spazio raccoglierà le ultime news di astronomia, astrofisica e esplorazione spaziale.
Solo in alcuni casi, e con dovizia, potranno trovare spazio anche delle comunicazioni di servizio importanti come l’uscita di un nuovo numero di Coelum o avvisi urgenti.
L’anteprima delle notizie sarà collegata agli articoli completi sul sito e la pubblicazione del post in contemporanea a quanto accade nel sito stesso.
This is the highest-resolution color departure shot of Pluto's receding crescent from NASA's New Horizons spacecraft, taken when the spacecraft was 120,000 miles (200,000 kilometers) away from Pluto.
Nell’immagine un alone blu risplende intorno alla falce di Plutone in uno scatto d’addio della navicella spaziale New Horizons della NASA il 14 luglio 2015. Al momento di fotografare Plutone, New Horizons era ad una distanza di circa 200.000 chilometri.
Sono colori approssimativi, ricostruiti tentando di essere fedeli a come dovrebbe essere nella realtà. L’immagine è il risultato dell’eleborazione di un mosaico di sei immagini in bianco e nero dal Long Range Reconnaissance Imager, con il colore aggiunto da un’immagine a colori Ralph/Multispectral Visible Imaging Camera che però è a risoluzione inferiore.
Gli scienziati ritengono che la foschia possa considerarsi uno “smog” derivante dall’azione della luce solare sul metano e su altre molecole nell’atmosfera di Plutone. Un reazione che produce una miscela complessa di idrocarburi i quali, accumulandosi in piccole particelle di foschia, tendono a diffondere la luce blu. Mentre si depositano nell’atmosfera, le particelle di foschia formano numerosi intricati strati orizzontali che si estendono ad altitudini di oltre 200 chilometri.
Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
Giunti oramai a marzo i mesi più “gelidi” dovrebbero essere trascorsi anche se con scarse piogge e solo qualche nevicata l’inverno quest’anno si è distratto, chissà che il freddo non si scateni proprio in questo mese folle.
Ampio spazio nel mese di marzo alla Costellazione dei Gemelli, dominante nei prossimi cieli con le due stelle appariscenti Castore e Polluce! Molto da dire anche sulla costellazione della Giraffa o Camelipardalis.
Tutte le effemeridi del mese di Marzo 2023 sono disponibili in file csv
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Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi Febbraio 2023!
Mercurio
01/03 Sorge: h 06:25 Tramonta: h 16:47
31/03 Sorge: h 06:24 Tramonta: h 19:47
Mercurio nel mese di Marzo si renderà protagonista di splendide congiunzioni, ahinoi tutte diurne. Si inizia il 02 con Mercurio e Saturno molto vicini, solo 0.9° Sud; si continua il 16 Marzo con Nettuno addirittura a 0.4° Sud e si chiude con Giove a 1.5° Nord. Sotto l’orizzonte Mercurio incontra anche la Luna il 22 Marzo separati da 1.8° Sud. Mercurio sarà in congiunzione superiore il 17 Marzo mentre sarà al perielio il 31 ad una distanza dalla Terra pari a 0.3075 unità astronomiche.
Venere
01/03 Sorge: h 08:00 Tramonta: h 20:34
31/03 Sorge: h 07:24 Tramonta: h 21:46
Al contrario del primo pianeta del Sistema Solare, Marzo apre con Venere con il botto e con una bella sfida. Nella luce del tramonto, poco dopo la scomparsa del Sole sotto l’orizzonte, circa intorno alle 18:30 orario di Roma, Luna e Giove saranno vicinissimi e resteranno tali per circa un’ora e mezza prima di superare la linea immaginaria del suolo. Il resto del mese vedrà Venere allontanarsi sempre di più dal Sole per arrivare fino al 24 una nuova congiunzione con un delicatissima e sottile falce di Luna visibile sempre subito dopo il tramonto della nostra stella.
Marte
01/03 Sorge: h 11:02 Tramonta: h 02:32
31/03 Sorge: h 10:04 Tramonta: h 01:35
Marte continua la sua passeggiata attraverso tutto il cielo notturno. Allontanandosi via via da Albedaran si avvicina a M35 brillante ammasso aperto della costellazione dei Gemelli. Un solo evento interessante in questo mese per ammirare Marte e immortalare il suo percorso, dovremo attendere il 28 marzo per osservare una bella congiunzione fra Marte e Luna al primo quarto da osservare da subito dopo il tramonto fino al tramonto della coppia.
Giove
01/03 Sorge: h 08:04 Tramonta: h 20:35
31/03 Sorge: h 06:22 Tramonta: h 19:13
Ultimi spiragli per la finestra di osservazione del gigante rosso prima del tramonto, alla fine del mese infatti i due maggiori oggetti del Sistema Solare tramonteranno più o meno nello stesso momento chiudendo definitivamente il lungo periodo, durato anni, in cui il gigante rosso ha segnato i nostri cieli. Prima di salutarci definitivamente ultimo tentativo di immortalarlo nella congiunzione con Venere.
Saturno
01/03 Sorge: h 06:26 Tramonta: h 16:56
31/03 Sorge: h 04:37 Tramonta: h 15:16
Definitivamente un oggetto diurno e scomparso dai cieli della sera e della notte, solo a fine mese tornerà a fare capolino nel fresco della mattina per un’ora circa prima del sorgere del Sole. Poco tempo da dedicare quindi all’osservazione del gigante anellato perché anche nelle prime ore del mattino nessun evento particolare vedrà Saturno come protagonista, dovremo aspettare la metà di aprile per tornare ad ammirare il pianeta nei pressi della Luna.
Urano
01/03 Sorge: h 09:24 Tramonta: h 23:29
31/03 Sorge: h 07:29 Tramonta: h 21:37
Stessa sorte dei sui fratello gassosi, Giove e Saturno, Urano è sempre meno visibile, scompare nelle ore tiepide della mattina e si affaccia per un breve momento prima del tramonto prima di diventare definitivamente a fine mese un oggetto diurno. Prima di salutarci lancerà un’ultima sfida lasciandosi avvicinare alla Luna il giorno 24.
Nettuno
01/03 Sorge: h 07:25 Tramonta: h 19:06
31/03 Sorge: h 05:30 Tramonta: h 17:14
Nettuno che ha già preceduto i suoi compagni già dal mese di febbraio è completamente invisibile alla vista notturna. Continuerà ad assistere silenzioso agli eventi dei fratelli minori comodamente accolto nella costellazione dei Pesci.
LUNA
Il nostro satellite sempre ricco di dettagli!
Dopo il Primo Quarto dello scorso 27 Febbraio prosegue la Luna Crescente che culminerà col Plenilunio del 07 Marzo quando alle ore 13:40 il nostro satellite sarà in fase di 15,23 giorni, ad una distanza dal nostro pianeta di 403855 km, con un diametro apparente di 29,59’ ma si troverà a -37° sotto l’orizzonte essendo tramontato alle ore 06:53. Per effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere le 18:07 quando sorgerà contestualmente alla discesa del Sole sotto l’orizzonte rendendosi perfettamente visibile fino all’alba del mattino seguente.
Attivata immediatamente la fase di Luna Calante questa proseguirà di sera in sera passando alle ore 03:08 del 15 Marzo per l’Ultimo Quarto ad un’altezza di +7°40’, dopo essere sorta alle ore 02:06 e visibile fino alle prime luci dell’alba. Al termine della fase di Luna Crescente il nostro satellite, alle ore 18:23 del 21 Marzo, sarà in Novilunio completamente invisibile dal nostro pianeta in quanto contestualmente il Sole illuminerà interamente l’opposto emisfero…
Gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite per il mese di Febbraio 2023, continua nell’articolo di Francesco Badalotti.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
Le comete del mese di Marzo: la ZTF si allontana e una fivole C/2022 A2PANSTARRS resta sola nel cielo.
LA C/2022 E3 ZTF SI ALLONTANA
Con l’arrivo della primavera sta per terminare il regno della E3 ZTF, che tanto ci ha fatto trepidare nei mesi invernali e che per un bel po’ di tempo lascerà un grande vuoto dietro di sé. Alcune foto “artistiche” l’hanno trasformata in una novella Hale-Bopp, quando invece la realtà ci racconta di un bellissimo oggetto lontano però dai canoni della grande cometa.
La cartina riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF alle 21.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine.
C/2022 E3 ZTF
La sua corsa mensile si svolgerà quasi completamente nell’Eridano, a parte i primi due giorni quando sarà posizionata nella parte meridionale del Toro. Converrà cercarla non appena fa buio, inizialmente ancora discretamente alta sull’orizzonte ma gradualmente sempre più bassa. A inizio mese La sua luminosità dovrebbe aggirarsi attorno alla ottava magnitudine, rendendola ancora un bersaglio relativamente facile per modesti strumenti, mentre a fine mese non dovrebbe essere distante dalladecima magnitudine. In quel periodo saremo in sostanza quasi ai saluti, con la cometa ormai bassa e debole.
Ultimi appunti nel diario della cometa
Per finire vi propongo la seconda parte del mio diario osservativo dedicato alla C/ 2022 E3 ZTF riprendendo da dove lo avevo interrotto lo scorso mese:
27/1 h. 3.30
Nel riflettore da 30 cm. di diametro mostra una chioma molto estesa. Ilfalso nucleo è brillantissimo ed è circondato da un alone a sua volta brillante e dalla restante chioma più tenue ma rilevabile facilmente. Coda larga e corta. La visione d’assieme è però più soddisfacente nelgeneroso campodel binocolo 20×90.È Percepibile senza grandi problemi anche ad occhio nudo, pur rimanendo un oggetto poco appariscente. La stimo di quinta magnitudine.
30/1 h. 5.00
Oggi ho la miglior visione ad occhio nudo della cometa, che mi pare davvero facile da percepire, ovviamente con lavisione distolta. Non credo sia aumentata di luminosità, se non di un niente, forse è la posizione ad aiutare, nel senso che non è troppo vicina a stelle che disturbano e comunque non distante da un astro che fa da buon punto di riferimento.
1/2 h. 5.30
Nel giorno del suo passaggio nel punto più vicino alla Terra, ho la possibilità di osservarla poco prima dell’alba nell’ultima finestra di buio prima che la Luna si prenda la scena. La situazione è quella dei giorni immediatamente precedenti con la luminosità che ormai si è consolidata alla quinta magnitudine e l’aspetto che da qualche giornorimane sostanzialmente uguale.
5/2
Serata di plenilunio in cui la cometa si mostra in modo sorprendentemente facile nel piccolo binocolo 10×50. Nascondendo il nostro satellite naturale dietro ad un tetto la cerco allo zenith. È vicinissima alla stella Alfa dell’AurigaCapella e grazie alla sua chioma compatta risalta in un contesto non certo favorevole. Sinceramente credevo di fare più fatica e comunque di avere una sua visione molto meno chiara.
8/2
Cometa nuovamente visibile senza disturbo lunare, altissima in cielo(praticamente allo zenith). Così mi devo servire di uno sdraio per poterla osservare con il binocolo 20×90 tenuto a mano libera. È quasi a contattocon stella Iota Aurigae e continua a rimanere compatta, con falso nucleo ancora evidente. La coda è discretamente rilevabile, non molto lunga. Confrontando l’oggetto con i non lontani ammassi aperti Messier M 36, M 37 e M 38 somiglia molto a M 37, sia per dimensioni che per luminosità. La stima di magnitudine è quindi 5,6, in calo di sei decimi rispetto a una settimana prima. Non riesco a percepirla ad occhio nudo.
10/2
È vicina a Marte dalla quale la separano poco più di due gradi. Nel binocolo 10×50 i due oggetti sono visibili contemporaneamente ed è sempre un bel vedere quando si possono osservare questo tipo di incontri celesti.
17/2
Non è più così immediata, anche se non è comunque difficile. Credo la sua magnitudine possa avvicinarsi alla settima grandezza. Al binocolo 10×50 occorre accontentarsi di osservare la chioma mentre il 20×90 fa ancora vedere il falso nucleo, anche se non più spiccante, e una parvenza di coda quasi trasparente.
C/2022 A2PANSTARRS
Modesta cometa, ma pur sempre una delle più luminose del periodo, passata al perielio il 18 febbraio rivelandosi più luminosa del previsto. Si muoverà tra Lucertola e Andromeda, mantenendosi attorno alla decima magnitudine, osservabile al termine della notte astronomica.
La cartina riporta la posizione della C/2022 A2PanSTARRS alle 4.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine.
Questo mese ci sembra doveroso dare spazio ai successi ed allo stupendo lavoro che stanno portando avanti, nel campo della ricerca delle Novae Extragalattiche, i componenti dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR) membro dell’ISSP dal gennaio 2013. Oltre a tre supernovae, la SN2012fm di tipo Ia scoperta il 21 ottobre 2012 nella galassia UGC3528, la SN2013ff di tipo Ic scoperta il 31 agosto 2013 nella galassia NGC2748 e la SN2020gpe di tipo II scoperta il 12 aprile 2020 nella galassia NGC6214, l’Osservatorio di Monte Baldo vanta al suo attivo anche la scoperta di numerose Novae Extragalattiche nelle tre stupende galassie M31, M33 e M81, che sono i principali soggetti seguiti da chi porta avanti questo tipo di ricerca. L’esplosione generata da una Nova è d’intensità assai minore rispetto all’evento più catastrofico che si verifica nell’universo, cioè ad una Supernova. Ecco perché le Novae hanno una luminosità molto inferiore rispetto ad una Supernova e pertanto con le strumentazioni attuali è possibile individuare solo quelle che si verificano nelle galassie a noi più vicine. Quelle più monitorate sono pertanto le famose M31, M33 e M81, è però possibile allargare il campo di ricerca anche ad altre galassie come ad esempio M32, M83, M110, NGC2403, IC342 cioè a galassie distanti non oltre i 15 milioni di anni luce. Le Novae Extragalattiche sono fenomeni che si verificano molto più frequentemente rispetto agli eventi di Supernova, però come abbiamo detto essendo di luminosità molto inferiore sono solitamente seguite da programmi professionali che utilizzano strumentazioni di elevata qualità. Non è pertanto facile per gli astrofili riuscire ad ottenere delle scoperte in questo campo di ricerca, ma gli amici di Monte Baldo hanno voluto provare ad intraprendere questa strada ed i risultati ottenuti vanno oltre qualsiasi più rosea aspettativa.
Gli scaligeri hanno deciso di monitorare sistematicamente, tutte le notti di sereno, le tre principali galassie cioè M31, M33 e M81 utilizzando la loro strumentazione di tutto rispetto costituita da un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 su montatura GM 4000. Per riuscire ad ottenere una minima probabilità di scoperta erano necessari due importanti fattori: raggiungere una profonda magnitudine limite, che arrivasse intorno alla mag.+20,0 / +20,5 ed una tempestività nei controlli per battere sul tempo i programmi di ricerca professionali. Il gruppo dell’Osservatorio di Monte Baldo riprende perciò subito in prima serata M31 ed M33 con pose complessive di 60 minuti ed a seguire una posa doppia di 120 minuti per la più lontana M81. Immediatamente dopo le riprese partono i controlli delle immagini acquisite, confrontate con immagini equivalenti di archivio. Prima però le immagini subiscono un lavoro standard di calibrazione (dark e flat) e poi un lavoro di mascheratura con Maxim per togliere il bagliore della galassia e isolare solamente le stelle. Con pose così lunghe infatti la luce della galassia saturerebbe l’immagine rendendola inutilizzabile allo scopo.
Ma veniamo alle tre scoperte del mese di febbraio messe a segno da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli. La prima è stata ottenuta la notte del 7 febbraio nella galassia di Andromeda M31, individuando una debole stellina di mag.+18 situata a 69” Ovest e 196” Sud dal nucleo della galassia. Un’attenta analisi del transiente ha evidenziato che la posizione coincideva con la Nova AT2022abzg scoperta il 1° novembre 2022 dai cinesi del programma Xoss.
1) Immagine di riscoperta della AT2022abzg in M31 ripresa dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien 400 mm F.8 + ccd Moravian G4 9000 e posa di 60 minuti.4) Team dell’Osservatorio di Monte Baldo, da sinistra Vittorio Andreoli, Flavio Castellani e Raffaele Belligoli.
L’analisi dello spettro e della curva di luce permise di classificarla come una Nova Simbiotica. Questo tipo di oggetti sono simili alle tradizionali Novae, con un sistema binario formato da una nana bianca ed una gigante rossa, però differiscono principalmente dal fatto che la nana bianca è di massa più piccola ed il trasferimento di materia dalla gigante rossa alla nana bianca non arriverà mai al limite di Chandrasekhar, impedendo al sistema di esplodere in una deflagrante supernova di tipo Ia. Gli scaligeri hanno perciò individuato un nuovo outburst di questo interessante transiente. La seconda scoperta è stata invece realizzata la notte del 10 febbraio, individuando una stella discretamente luminosa di mag.+16,8 nella bella galassia del Triangolo M33. Al nuovo transiente è stata assegnata la sigla AT2023bne ed un’analisi della curva di luce ottenuta sempre dal team dell’Osservatorio di Monte baldo ed uno spettro ottenuto dal bellunese Claudio Balcon hanno permesso di classificarla come una Variabile Cataclismica della nostra Via lattea, posizionata prospetticamente proprio davanti M33.
2) Immagine di scoperta della AT2023bne in M33 ripresa dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien 400 mm F.8 + ccd Moravian G4 9000 e posa di 60 minuti
Non si tratta pertanto di una Nova di questa stupenda galassia a spirale, ma è pur sempre un’interessante scoperta. La terza ed ultima scoperta è stata infine ottenuta sempre nella notte del 10 febbraio nella bella galassia a spirale M81, con il nuovo transiente che mostrava una luminosità pari alla mag.+18,4. Questa scoperta deve essere condivisa con astrofilo ceco Kamil Hornoch, infatti anche se l’immagine di Monte Baldo è antecedente di quasi due ore rispetto a quella di Hornoch, il ceco è stato il primo a comunicarla con l’Atel 15896. All’oggetto è stata assegnata la sigla AT2023bnl e grazie agli astronomi bulgari del Rozhen Observatory, che hanno osservato il transiente con filtri a banda stretta con il telescopio RCC da 2 metri, è stato possibile confermare la natura di Nova in M81 vista la forte emissione nella banda H-alpha in corrispondenza del calo di luminosità nel visibile. L’oggetto infatti era sceso il 17 febbraio a mag.+19,6 e il 18 febbraio era ormai oltre la ventesima a mag.+20,1.
3) Immagine di scoperta della AT2023bnl in M81 ripresa dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien 400 mm F.8 + ccd Moravian G4 9000 e posa di 120 minuti.
Nella rubrica supernovae non possiamo però parlare solo di Novae, anche se Extragalattiche e pertanto concludiamo analizzando la supernova più luminosa di questo inizio del 2023. Stiamo parlando della SN2023bee scoperta la notte del 1° febbraio dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC2708 situata nella costellazione dell’Idra a circa 90 milioni di anni luce di distanza. La supernova che al momento della scoperta mostrava una luminosità pari alla mag.+17,3 è situata molto distante dal nucleo della galassia e precisamente 124” Nord e 54” Est. I primi a riprendere lo spettro in tempo di record, appena 20 minuti dopo la scoperta, sono stati gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang da 2,4 metri, classificando il nuovo transiente come una supernova di tipo Ic o Ic-BL molto giovane, lasciando però una certa incertezza sulla classificazione a causa della giovanissima fase della supernova.
5) Immagine della SN2023bee in NGC2708 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 8 immagini da 60 secondi.
Il giorno seguente gli astronomi australiani del Siding Spring Observatory con il Faulkes Telescope South di 2 metri, hanno ripreso un nuovo spettro e questa volta il dubbio sulla classificazione è stato fugato: si tratta in realtà di una supernova di tipo Ia scoperta più di due settimane prima del massimo di luminosità, appena 2-3 giorni dopo l’esplosione, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano all’impressionate velocità di circa 25.000 km/s. La supernova infatti è aumentata progressivamente di luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 19 febbraio alla notevole mag.+13. Abbiamo pertanto un facile e luminoso oggetto da poter immortalare situato nei pressi di una fotogenica galassia.
Trovi tutti gli eventi osservabili e dell’ultimo mese nella sezione: Il Cielo del Mese
Indice dei contenuti
Il cielo del mese con mappe, effemeridi ed eventi importanti è su
(1) Ceres, il più grande asteroide della fascia principale, compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.55 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 381.474.570 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Deve il suo nome Cerere, Antica divinità italica e romana dei campi. Scoperto da Giuseppe Piazzi il 1 Gennaio 1801, questo imponente pianetino (974 Kilometri di diametro equatoriale) sarà in opposizione il 20 di Marzo. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 6.9. Il suo moto sarà di 0,57 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti, ma data la brillantezza del soggetto sarà opportuno utilizzare pose più brevi onde evitare di incorrere nel rischio di saturare l’immagine. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (1) Ceres trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(134) Sophrosyne è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.500 giorni (4.11 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 2.86 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.166 Km al perielio e 427.849.910 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 27 Settembre 1873 dall’astronomo tedesco Robert Luther. Prende il nome da Sophrosyne, un termine Platonico indicante “padronanza di sé” o “moderazione”. Questo grande asteroide (circa 108 Km di diametro) sarà in opposizione il 15 Marzo momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 12.1. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (134) Sophrosyne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
Marzo Iozzi è membri di GRAM Gruppo Astrofili Montelupo Fiorentino
Interrompiamo momentanemante l’esplorazione dei principali asteroidi della fascia per dedicarci nuovamente agli asteroidi Near Earth, quel gruppo oggetti (31.300 alla data di oggi), le cui orbite eliocentriche li portano ad avvicinarsi in vario grado al nostro pianeta.
Come abbiamo imparato, quando la Terra si trova nel punto di intersezione con l’orbita del NEA nel momento preciso in cui vi transita anche l’oggetto, l’ingresso in atmosfera è inevitabile: se l’asteroide ha una massa contenuta si consumerà in quota ed al suolo giungeranno eventualmente solo dei piccoli frammenti, come nel caso di 2023 CX1, il piccolo asteroide NEA di circa 1 metro di diametro, caduto sopra il canale della Manica il 13 febbraio. In quel caso si trattava di un asteroide appartenente alla famiglia Apollo, con un’orbita eliocentrica caratterizzata da un semiasse maggiore che si estendeva fino a 1.68 UA, un eccentricità di 0.45 ed un’inclinazione sull’eclittica di 3.5 gradi, che lo portava a stazionare per lo più al di fuori dell’orbita terrestre.
Quando il tempismo dell’incontro tra Terra e Asteroide non è così perfetto, e il corpo celeste si avvicina al nostro pianeta per poi proseguire la sua corsa, si verifica un Close Passage, un passaggio ravvicinato. Eventi di questo tipo sono piuttosto frequenti e un caso eclatante è stato quello dell’asteroide 2023 BU, un piccolo sasso di circa 5 metri di diametro che ha ci ha letteralmente sfiorato il 27 gennaio di quest’anno, passando ad una distanza di appena 3.600 Kilometri dalla superfice terrestre, ad una velocità relativa di circa 9 Km al secondo. Prima dell’incontro con la Terra l’orbita del piccolo asteroide presentava un semiasse maggiore che si estedeva fino a 0.98 UA, con un’eccentricità di 0.06 ed un’inclinazione sull’eclittica di 2.39 gradi. Se pensiamo all’enorme differenza di massa che intercorre tra i due corpi, constatare che l’orbita del pianetino sia stata modificata a seguito del passaggio non deve soprendere: il semiasse maggiore si è esteso fino a 1.1 UA, l’orbita presenta adesso un’eccentricità di 0.11 ed un’inclinazione sull’eclittica di 3.7 gradi ed anche il periodo orbitale del pianetino è cambiato, passando dai 358.67 giorni – prima del passaggio – agli attuali 425.38. Per quanto ravvicinato e spettacolare, il Close Passage di 2023 BU è stato di ben 10 volte più “ampio” di quello di quello avvenuto il 13 novembre del 2020, quando l’asteroide di 10 metri 2020 VT4 ha sorvolato la superficie terrestre ad un’altezza di appena 360 Km.
2023 BU prima del Close Passage2023 BU dopo il Close Passage
Non tutti i passaggi sono però così “stretti”, se si pensa che per la maggior parte si verificano a distanze di centinaia di migliaia o di milioni di KM dalla Terra. Il Minor Planet Center rende disponibile in home page un elenco aggiornato di passaggi ravvicinati – passati e futuri – dei NEA oggi noti, con i relativi dati. Un’intera pagina dedicata ai passaggi ravvicinati si trova poi all’interno del sito internet del Center of Near Earth Object Studies (CNEOS https://cneos.jpl.nasa.gov/ca/), dalla quale è possibile effettuare ricerche mirate impostando l’arco temporale di interesse, la distanza di minimo avvicinamento e la magnitudine assoluta del NEA. Una volta scelti i valori, i risultati sono presentati in forma di tabella, ordinabile in base alla proprie preferenze ed esportabile nei consueti formati CSV e XLSX.
Impostando una ricerca per i prossimi 60 giorni, scopriremo che per Marzo 2023 sono previsti 4 passaggi ravvicinati di NEA entro 10 LD, il più piccolo dei quali 2016 GH1 ha una diametro stimato tra gli 8 ed i 19 metri mentre il più grande 2023 DQ ha un diametro stimato tra i 130 ed i 290 metri, e nessuno si troverà a meno di 1,227 LD dalla terra.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
07 MARZO
Si inizierà il giorno7 Marzo, dalle 05:47 alle 05:56, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.
08 MARZO
Si replica l’8 Marzo, dalle 05:01 verso NNO alle 05:07 verso ESE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
10 MARZO
Passando al 10 Marzo, dalle 05:02 alle 05:08, da SO a SE, la ISS sarà osservabile al meglio per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.6 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.
16 MARZO
Saltando di sei giorni, ed iniziando con i transiti serali, il 16 Marzo avremo un nuovo transito parzialedalle 20:01 in direzione OSO alle 20:07 in direzione ONO. Visibilità migliore dal Centro Italia, con magnitudine massima di -3.7.
17 MARZO
Il 17 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle 19:13 alle 19:21, da SO ad ENE. Visibilità ottima, meteo permettendo, per tutta la nazione. Magnitudine massima a -3.8 per il migliore transito serale del mese.
19 MARZO
Due giorni dopo, un nuovo transito il 19 Marzo, dalle 19:12 alle 19:21, da OSO aNE, osservabile al meglio dal Centro Nord Italia, con magnitudine massima a -3.7.
30 MARZO
L’ultimo transito notevole del mese sarà nuovamente visibile al meglio da tutto il paese, il 30 Marzo. Dalle 20:55 alle 21:01, da NO ad E. Magnitudine di picco a -3.5.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
Dopo il Primo Quarto dello scorso 27 Febbraio prosegue la Luna Crescente che culminerà col Plenilunio del 07 Marzo quando alle ore 13:40 il nostro satellite sarà in fase di 15,23 giorni, ad una distanza dal nostro pianeta di 403855 km, con un diametro apparente di 29,59’ ma si troverà a -37° sotto l’orizzonte essendo tramontato alle ore 06:53. Per effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere le 18:07 quando sorgerà contestualmente alla discesa del Sole sotto l’orizzonte rendendosi perfettamente visibile fino all’alba del mattino seguente.
Attivata immediatamente la fase di Luna Calante questa proseguirà di sera in sera passando alle ore 03:08 del 15 Marzo per l’Ultimo Quarto ad un’altezza di +7°40’, dopo essere sorta alle ore 02:06 e visibile fino alle prime luci dell’alba. Al termine della fase di Luna Crescente il nostro satellite, alle ore 18:23 del 21 Marzo, sarà in Novilunio completamente invisibile dal nostro pianeta in quanto contestualmente il Sole illuminerà interamente l’opposto emisfero. Immediata la ripartenza di un nuovo ciclo riportando progressivamente il nostro satellite fuori dalle profondità della notte fino alle più comode ore tardo pomeridiane e serali con la possibilità per gli appassionati di osservazioni lunari di scandagliare le innumerevoli strutture geologiche nelle migliori condizioni osservative. Nel corso di questo mese il Primo Quarto sarà alle ore 04:32 del 29 Marzo con la Luna in fase di 7,38 giorni ma ormai a -10° sotto l’orizzonte essendo tramontata alle ore 03:09. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni di questa spettacolare fase lunare dovrà considerare la necessità di anticipare la propria sessione osservativa di alcune ore vista la presenza della Luna in cielo già da inizio serata. Analogamente alla prima settimana di questo mese, anche gli ultimi 5 o 6 giorni di Marzo saranno ideali per “buttarsi” letteralmente sul nostro satellite andando a selezionare col telescopio fra l’immenso campionario di strutture geologiche di qualsiasi tipo e dimensione che, con un meteo finalmente favorevole (ma è solo un’ipotesi….) ed un seeing almeno decente, potranno consentire piacevolissime e dettagliate osservazioni anche in alta risoluzione.
Infatti la sera del 31 Marzo il nostro satellite sarà in fase di 10 giorni e già dalle ore 20:15/20:30 circa potrà essere osservato ad un’altezza di ben +64° mentre il transito in meridiano si verificherà alle ore 21:29 a +70° rendendosi a nostra disposizione, oltre che per tutta la serata, anche fino a notte fonda quando alle ore 05:07 dell’1 Aprile scenderà sotto l’orizzonte. L’ultima di Marzo potrebbe rivelarsi veramente la tipica “serata lunare” se tutti i parametri andranno al loro posto. Infatti dalla regione polare settentrionale si potrà scendere lungo il terminatore ammirando il Sinus Iridum spingendosi fino al cratere Plato ed al gigantesco arco formato da Alpi, Caucasus e Appennini dove sarà d’obbligo andare a scandagliare negli imponenti e spettacolari crateri Eratosthenes e Copernicus con le loro alte pareti terrazzate che si innalzano per migliaia di metri in un mare letteralmente tappezzato da una miriade di piccolissimi craterini, quale conseguenza della ricaduta al suolo dei materiali in seguito ai devastanti impatti che originarono queste due grandi strutture geologiche. Sempre in prossimità del terminatore sarà possibile andare alla ricerca di piccoli dettagli nei mari Insularum, Cognitum e Nubium per poi arrivare sull’altopiano meridionale dove ci si presenterà una estesa porzione di questa vasta regione in cui la craterizzazione raggiunse tre/quattro miliardi di anni fa elevatissime concentrazioni con la formazione degli imponenti e spettacolari crateri pronti ancora oggi ad esibire i loro più fini dettagli. Senza dimenticare infine che nella medesima serata del 31 Marzo, come se già non bastasse, il punto di massima librazione sarà proprio in prossimità della regione polare sud. In conclusione, i “compiti a casa” non mancano certamente e Photocoelum rimane in attesa dei vostri “capolavori”. Alla Luna di Aprile ci penseremo il mese prossimo.
Le Falci lunari di Marzo
Per gli appassionati di falci lunari primo appuntamento per la tarda nottata del 19 Marzo quando alle ore 05:25 sorgerà un sottile (ma anche problematica) falce di 26,9 giorni in cui la parte illuminata riguarderà esclusivamente una ridotta porzione del settore più occidentale. Falce certamente problematica a causa della vicinanza al sorgere del Sole per cui sarà di fondamentale importanza attuare ogni possibile precauzione al fine di non intercettare la luce del Sole per evitare danni permanenti alla propria vista. Informo che la Luna sorgerà contemporaneamente al pianeta Saturno da cui sarà separata da 9°.
Con la Luna in fase crescente appuntamento per la successiva serata, il 23 Marzo, quando alle ore 20:39 scenderà sotto l’orizzonte una altrettanto sottile falce di 2,1 giorni sulla cui superficie sarà possibile individuare il mare Humboldtianum a nordest, i mari Marginis e Smythii ad est ed una porzione del mare Australe a sudest. Il tramonto di questa bella falce lunare sarà seguito dal pianeta Venere alla distanza di circa 9°, venendo a costituire un piacevole quadretto da immortalare in foto che potrete inviare a Photocoelum.
Una falce non proprio stretta (3,1 giorni) ma pur sempre spettacolare si potrà osservare la sera del 24 Marzo tenendo presente che alle ore 21:51 scenderà sotto l’orizzonte preceduta dal pianeta Venere (separazione di 4°) e seguita dal pianeta Urano (separazione di 3°). Altro fotogenico quadretto di cui attendiamo i vostri riscontri fotografici mentre chi fosse interessato ad osservare la superficie lunare potrà spaziare lungo tutto il bordo orientale, dal mare Humboldtianum a nordest fino al settore est del mare Crisium con i mari Marginis e Smythii, spostandosi poi lungo il bordo est del mare Fecounditatis fino al mare Australe a sudest. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Marzo
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudest + Regione Polare Sud:
Librazioni Regione Sudest + Regione Polare Sud
01 Marzo. Fase crescente 09,50 giorni – Librazione mare Australe
02 Marzo. Fase crescente 10,57 giorni – Librazione cratere Boussingault
03 Marzo. Fase crescente 11,57 giorni – Librazione cratere Demonax
04 Marzo. Fase crescente 12,60 giorni – Librazione cratere Newton
05 Marzo. Fase crescente 13,64 giorni – Librazione cratere Wilson
Librazioni Regione Sudovest-Ovest:
– Librazioni Regione Sudovest-Ovest:
06 Marzo. Fase crescente 14,64 giorni – Librazione cratere Bailly
07 Marzo. Fase crescente 14,20 giorni – Librazione cratere Bailly
08 Marzo. Fase calante 16,46 giorni – Librazione cratere Schickard
09 Marzo. Fase calante 17,50 giorni – Librazione Mare orientale sud
10 Marzo. Fase calante 18,55 giorni – Librazione crateri Grimaldi, Riccioli
Librazioni Regione Nordovest:
Librazioni Regione Nordovest:
11 Marzo. Fase calante 19,60 giorni – Librazione crateri Kraft, Cardanus
12 Marzo. Fase calante 20,65 giorni – Librazione crateri Struve, Russel
13 Marzo. Fase calante 20,75 giorni – Librazione crateri Struve, Russel
14 Marzo. Fase calante 21,70 giorni – Librazione cratere Lavoisier, mons Rumker
15 Marzo. Fase calante 22,75 giorni – Librazione cratere Markov, Sinus Roris
16 Marzo. Fase calante 23,80 giorni – Librazione crateri Cleostratus, Pythagoras
17 Marzo. Fase calante 24,84 giorni – Librazione crateri Anaximander, Carpenter
23 Marzo. Fase crescente 02,09 giorni – Librazione mari Marginis, Smythii, Undarum
24 Marzo. Fase crescente 03,14 giorni – Librazione crateri Kastner, La Perouse
25 Marzo. Fase crescente 04,19 giorni – Librazione crateri Balmer, Humboldt
26 Marzo. Fase crescente 04,38 giorni – Librazione crateri Balmer, Humboldt
27 Marzo. Fase crescente 05,95 giorni – Librazione Mare Australe
28 Marzo. Fase crescente 06,98 giorni – Librazione Mare Australe
29 Marzo. Fase crescente 08,02 giorni – Librazione Mare Australe, cratere Pontecoulant
Librazioni Regione Polare Sud:
– Librazioni Regione Polare Sud:
30 Marzo. Fase crescente 05,95 giorni – Librazione cratere Boussingault
31 Marzo. Fase crescente 10,09 giorni – Librazione cratere Schomberger
Note:
– Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
In questa foto rilasciata dalla Roscosmos State Space Corporation, la nuova capsula vuota Soyuz MS-23 decolla venerdì 24 febbraio 2023 nel cosmodromo russo di Baikonur a Baikonur, in Kazakistan. Credito: Ivan Timoshenko/Roscosmos State Space Corporation tramite AP
Indice dei contenuti
La Russia lancia la navicella di sostituzione verso la Stazione Spaziale Internazionale dopo il danneggiamento delle precedenti
Continua la situazione di difficoltà per l’equipaggio ora in opera nella ISS.
LaRussia ha lanciato oggi, venerdì, la nuova Soyuz di salvataggio diretta verso la Stazione Spaziale Internazionale e destinata a riportare a casa l’equipaggio attuale dopo che, quella predisposta e già attraccata presso la ISS sembrava riportare lo stesso problema che ha afflitto la navicella di dicembra quando a causa dell’impatto di un micrometeorite il serbatorio del liquido refrigerante era risultato danneggiato e perforato.
La stessa cosa sembrava essere accaduto di nuovo all’inizio di questo mese, questa volta su una nave da carico russa attraccata . Le viste della telecamera mostravano un piccolo foro in ogni veicolo spaziale.
L’Agenzia spaziale russa ha ritardato il lancio della Soyuz sostitutiva, alla ricerca di eventuali difetti di fabbricazione. Non sono stati riscontrati problemi e l’agenzia ha proceduto al lancio prima dell’alba di venerdì dal Kazakistan della capsula con pacchi di rifornimenti legati ai tre sedili.
Con sollievo di tutti, la capsula ha raggiunto in sicurezza l’orbita nove minuti dopo il decollo: “un viaggio perfetto verso l’orbita”, ha riferito da Houston Rob Navias della NASA Mission Control. La nuova capsula Soyuz vuota dovrebbe arrivare al laboratorio orbitante domenica.
Una valutazione del team di controllo aveva stabilito che riportare l’equipaggio a terra con la Soyuz in parte danneggiata sarebbe stato troppo rischioso. Senza refrigerante, la temperatura della cabina aumenterebbe durante il viaggio di ritorno sulla Terra, danneggiando potenzialmente computer e altre apparecchiature ed esponendo l’equipaggio Frank Rubio della NASA e Sergey Prokopyev e Dmitri Petelin della Russia, in tuta a un calore eccessivo.
In questa foto rilasciata dalla Roscosmos State Space Corporation, la nuova capsula vuota Soyuz MS-23 decolla venerdì 24 febbraio 2023 nel cosmodromo russo di Baikonur a Baikonur, in Kazakistan. La Russia ha lanciato una nave di soccorso per due cosmonauti e un astronauta della NASA il cui viaggio originale provocò una pericolosa fuga di notizie alla Stazione Spaziale Internazionale. Credito: Ivan Timoshenko/Roscosmos State Space Corporation tramite AP
Fini all’arrivo della nuova navicella il piano di evaquazione prevede che Rubio, passi ad una nave SpaceX mentre i due russi Prokopyev e Petelin rimarebbero assegnati alla loro Soyuz danneggiata nell’improbabile necessità di una fuga veloce. Avere una persona in meno a bordo manterrebbe la temperatura a un livello, si spera, gestibile, hanno concluso gli ingegneri russi.
La Soyuz danneggiata tornerà sulla Terra senza nessuno a bordo entro la fine di marzo, così gli ingegneri potranno esaminarla.
I tre uomini sono stati lanciati con questa Soyuz lo scorso settembre per quella che avrebbe dovuto essere una missione di sei mesi. Ora rimarranno nello spazio per un anno intero, fino a quando una nuova capsula non sarà pronta per i sostituti dell’equipaggio per il decollo a settembre. Quella orginale era proprio questa che ora è partita senza nessuno a bordo.
La nave di rifornimento danneggiata invece è stata riempita di spazzatura e liberata durante il fine settimana, bruciando nell’atmosfera come inizialmente previsto.
La NASA ha un nuovo equipaggio di quattro persone che si lancerà su un razzo SpaceX lunedì mattina (27 febbraio) presto dal Kennedy Space Center della Florida. William Gerstenmaier di SpaceX ha detto che i quattro astronauti che torneranno sulla Terra tra poche settimane hanno già ispezionato la capsula Dragon che li porterà a casa e “tutto è regolare”.
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Caro Marzo Entra, Come sono felice Ti aspettavo da tanto Posa il Cappello Devi aver camminato Come sei Affannato..
In bilico tra l’inverno e la primavera, il cielo di marzo ci regala un mix di costellazioni ancora in grado di offrirci spunti di osservazione e fotografia astronomica.
Insieme ad Orione, Auriga e Toro, nel cielo di marzo ritroviamo la costellazione dei Gemelli che, con le stelle Castore e Polluce, ci accompagna per tutta la notte splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.
Castore, con magnitudine 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, è composta da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra loro; sebbene venga indicata come α Geminorum, la stella è in realtà meno luminosa di Polluce (i due astri che rappresentano le teste dei gemelli zodiacali).
Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15 e situata a circa 34 anni luce da noi: si tratta della gigante a noi più vicina.
CASTORE E POLLUCE: GEMELLI DIVERSI
Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione dei Gemelli: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – come già anticipato è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.
Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.
Ma Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.
Circa dieci anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.
ALTRE STELLE E OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI
Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.
Nei Gemelli sono collocati degli oggetti celesti non stellari: stiamo parlando dell’ammasso aperto M35, gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.
Attraverso l’impiego di un buon telescopio e camera di ripresa, questi oggetti possono essere osservati e fotografati anche dagli astrofili che si approcciano al cielo profondo: già con un binocolo M35 può essere individuato come l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, composto da circa 250 stelle;utilizzando invece un telescopio sarà possibile identificare un maggior numero di stelle.
Interessante soggetto per gli astrofotografi è sicuramente la Nebulosa Medusa, che si rivela agli appassionati attraverso il telescopio (e a un lavoro di post produzione necessario, come sempre in astrofotografia, per definirne tutti i dettagli).
I GEMELLI NELLA MITOLOGIA
I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.
Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.
Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.
Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.
Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).
Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.
La bellissima regina di Sparta : Leda
Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.
LA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA
In una remota area di cielo compresa tra l’Orsa Maggiore, l’Osa Minore, Cassiopea e Auriga, è situata la costellazione della Giraffa, nota anche come Camelopardalis.
Si tratta di una costellazione circumpolare boreale difficilmente riconoscibile ad occhio nudo da un cielo urbano: puntando in direzione della Giraffa ci troveremo dinanzi a una regione di cielo buia e priva di stelle luminose; questo perché le sue stelle sono di quarta e quinta magnitudine e quindi poco favorevoli ad essere individuate con semplicità.
La stella più luminosa della costellazione, β Camelopardalis, è una supergigante gialla di magnitudine +4,03, posta a una distanza di circa 900 anni luce; Alfa Camelopardalis è invece una stella supergigante blu con magnitudine apparente di +4,29 posta a 5240 anni luce.
OGGETTI NON STELLARI NELLA GIRAFFA
Tra gli oggetti deep sky presenti nella costellazione vi è l’ammasso aperto NGC 1502, composto da una cinquantina di stelle e osservabile già con un binocolo.
Nei pressi dell’ammasso di trova un interessante oggetto, la Cascata di Kemble: si tratta di un asterismo che appare come una sequenza di stelle di diversi colori e luminosità, disposte e allineate solo per un effetto prospettico.
Degli oggetti non stellari della Giraffa fa parte la nebulosa planetaria NGC 1501, la galassia a spirale NGC 2403, la galassia nanaNGC 1569, la galassia IC 342 che appartiene al Gruppo di galassie di Maffei 1, situato nei pressi del nostro Gruppo Locale.
NGC 2403 ripresa da Massimo di Fusco
Trattandosi di una costellazione creata da Petrus Plancius nel 1612, quella della Giraffa non vanta riferimenti nella mitologia; tuttavia possiamo, forse, riscriverne la storia, poiché negli ultimi mesi ha “ospitato” nelle sue vicinanze (anche se per brevissimo tempo) un corpo celeste che ha fatto molto parlar di sé in questo inizio anno: si tratta della Cometa C/2022 E3 (ZTF), ribattezzata come cometa di Neanderthal, che rimarrà nella storia dell’astronomia non tanto per essere stato un oggetto particolarmente luminoso e men che meno per la sua visibilità, (la cometa si è rivelata essere un tenue batuffolo verde invisibile ad occhio nudo) ma per via del suo ultimo passaggio ravvicinato che risale a circa 50.000 anni fa!
sta per scadere – mancano solo 5 giorni!
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Immagini di sei galassie massicce candidate, viste 500-800 milioni di anni dopo il Big Bang. Una delle sorgenti (in basso a sinistra) potrebbe contenere tante stelle quante la nostra attuale Via Lattea, ma è 30 volte più compatta. Crediti: NASA, ESA, CSA, I. Labbe (Swinburne University of Technology). Elaborazione delle immagini: G. Brammer (Cosmic Dawn Center del Niels Bohr Institute presso l'Università di Copenaghen)
Indice dei contenuti
La scoperta di massicce galassie primordiali sfida la precedente comprensione dell’universo
Sei enormi galassie scoperte nell’Universo primordiale stanno ribaltando ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla loro formazione.
“Questi oggetti sono molto più massicci di quanto ci si aspettasse”, ha detto Joel Leja, assistente professore di astronomia e astrofisica alla Penn State, che ha ricostruito la forma luminosa degli oggetti. “Ci saremmo aspettati infatti di trovare solo minuscole e giovani, insomma baby-galassie in questo stadio dell’evoluzione dell’Universo, ed invece abbiamo scoperto galassie mature come la nostra in quella che in precedenza era considerata l’alba dell’Universo”.
Utilizzando il primo set di dati rilasciato dal James Webb Space Telescope della NASA, il team internazionale di scienziati ha scoperto oggetti maturi come la Via Lattea quando l’Universo aveva solo il 3% della sua età attuale, circa 500-700 milioni di anni dopo il Big Bang. Il telescopio è dotato di strumenti di rilevamento a infrarossi in grado di catturare la luce emessa dalle stelle e dalle galassie più antiche. In sostanza, il telescopio consente agli scienziati di vedere indietro nel tempo circa 13,5 miliardi di anni, vicino all’inizio dell’Universo come lo conosciamo, ha spiegato Leja.
“Questo è il nostro primo sguardo così indietro, quindi è importante mantenere un approccio il più possibile ampio su ciò che stiamo vedendo”, ha detto Leja. “Mentre i dati indicano che si tratta probabilmente di galassie, penso che ci sia una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino buchi neri supermassicci oscurati. Indipendentemente da ciò, la quantità di massa che abbiamo scoperto significa che la massa nota nelle stelle in questo periodo del nostro universo è fino a 100 volte più grande di quanto avessimo pensato in precedenza. Anche se dimezziamo il campione, questo è comunque un cambiamento sorprendente”.
In un articolo pubblicato il 22 febbraio su Nature , i ricercatori dimostrano che le sei galassie sono molto più massicce di quanto ci si aspettasse e mettono in discussione ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla formazione delle galassie proprio all’inizio dell’universo.
“La rivelazione che la massiccia formazione di galassie è iniziata molto presto nella storia dell’universo sconvolge ciò che molti di noi pensavano fosse una scienza consolidata”, ha detto Leja. “Abbiamo chiamato informalmente questi oggetti ‘distruttori di universi’, e finora sono stati all’altezza del loro nome.”
Leja ha spiegato che le galassie scoperte dal team sono così massicce da essere in contraddizione con il 99% dei modelli per la cosmologia. Spiegare una quantità così elevata di massa richiederebbe l’alterazione dei modelli per la cosmologia o la revisione della comprensione scientifica della formazione delle galassie nell’Universo primordiale , secondo cui le galassie iniziarono come piccole nuvole di stelle e polvere che gradualmente si ingrandirono nel tempo. Entrambi gli scenari richiedono un cambiamento fondamentale nella nostra comprensione di come è nato l’universo, ha aggiunto.
“Abbiamo esaminato l’universo primordiale per la prima volta e non avevamo idea di cosa avremmo trovato”, ha detto Leja. “Si scopre che abbiamo trovato qualcosa di così inaspettato che in realtà crea problemi per la scienza. Mette in discussione l’intero quadro della prima formazione delle galassie “.
Il 12 luglio, la NASA ha rilasciato le prime immagini a colori e dati spettroscopici dal James Webb Space Telescope. Il più grande telescopio a infrarossi nello spazio, Webb è stato progettato per vedere la genesi del cosmo, la sua alta risoluzione gli consente di vedere oggetti troppo vecchi, distanti o deboli per il telescopio spaziale Hubble.
“Quando abbiamo ottenuto i dati, tutti hanno iniziato a immergersi e gli oggetti enormi sono saltati fuori molto velocemente”, ha detto Leja. “Abbiamo iniziato a modellare e abbiamo cercato di capire cosa fossero, perché erano così grandi e luminosi. Il mio primo pensiero è stato che avevamo commesso un errore e lo avremmo trovato e saremmo andati avanti con le nostre vite. Ma dobbiamo ancora trovare quell’errore, nonostante molti tentativi.”
Leja ha spiegato che un modo per confermare la scoperta del team sarebbe quello di acquisire un’immagine dello spettro delle galassie massicce . Ciò fornirebbe al team dati sulle vere distanze, e anche sui gas e altri elementi che costituivano le galassie. Dovremo quindi aspettare di ottenere altri dati dalle indagini del JWST
Gli altri coautori dell’articolo sono Elijah Mathews e Bingjie Wang della Penn State, Ivo Labbe della Swinburne University of Technology, Pieter van Dokkum della Yale University, Erica Nelson della University of Colorado, Rachel Bezanson della University of Pittsburgh, Katherine A. Suess dell’Università della California e della Stanford University, Gabriel Brammer dell’Università di Copenhagen, Katherine Whitaker dell’Università del Massachusetts e dell’Università di Copenhagen, e Mauro Stefanon dell’Universitat de Valencia.
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Crediti INFN: Massimo Carpinelli nuovo direttore EGO
Intervista con Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, dal 1° gennaio 2023 direttore di EGO.
Fondato nel 2000 dall’INFN e dal CNRS Centre National de la Recherche Scientifique, il Consorzio EGO, lo European Gravitational Observatory, è oggi tra i protagonisti della scena internazionale della ricerca sulle onde gravitazionali grazie ai successi dell’interferometro Virgo. EGO, infatti, è il sito, alle porte di Pisa, di uno dei tre interferometri al mondo che ad oggi hanno osservato le minuscole vibrazioni dello spaziotempo previste da Albert Einstein nella Relatività Generale e le cui scoperte, premiata con il Nobel nel 2017, ha portato alla nascita dell’astronomia gravitazionale e dell’astronomia multimessaggera, due modi completamente nuovi di studiare l’universo. La missione di EGO è assicurare l’operatività, il mantenimento e il potenziamento dell’interferometro di Virgo, e promuovere la ricerca nel campo delle onde gravitazionali in Europa. Il consorzio EGO ha costruito negli anni forti legami con il territorio, grazie anche all’impegno nella diffusione della cultura scientifica, in particolare accogliendo le migliaia di studenti e studentesse che ogni anno visitano Virgo. Presto Virgo riprenderà a operare, dopo importanti lavori di potenziamento. Ma, guardando ancora oltre, la comunità internazionale delle onde gravitazionali ha lanciato una nuova importante sfida: la realizzazione in Europa di un rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione, ET Einstein Telescope. Dopo oltre vent’anni di storia, EGO si troverà quindi ad affrontare nei prossimi anni sfide decisive per il futuro della fisica gravitazionale europea e mondiale, sfide su cui si concentrerà il mandato del direttore del centro, Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, entrato in carica il 1° gennaio 2023, succedendo a Stavros Katsanevas, prematuramente scomparso nel novembre dello scorso anno.
Lei ha appena assunto la carica di direttore di EGO, succedendo a Stavros Katsanevas, che lo guidava dal 2018 e che ci ha prematuramente lasciati poco prima della fine del suo mandato.
Mirabile era l’entusiasmo con cui Stavros Katsanevas ha affrontato la sua attività di ricerca e la sua intera vita, che lui sapeva essere, negli ultimi anni, minata dal male che purtroppo lo ha portato via troppo presto. In particolare, di Stavros due aspetti mi hanno sempre colpito. Il primo è la capacità che lo contraddistingueva di saper guardare molto lontano e di lavorare sempre con uno sguardo rivolto al futuro, non soffermandosi mai sull’oggi. Il secondo riguarda invece il prezioso contributo che ha fornito alla fisica delle onde gravitazionali. Stavros aveva compreso quanto questo settore fosse importante non solo per le conoscenze scientifiche, ma anche per l’impatto che può avere sulla società. E aveva capito il forte interesse da parte del pubblico nel conoscere questo tipo di ricerche, che sono un incredibile attrattore per una serie di altri interventi culturali, artistici e filosofici.
Crediti EGO/INFN
Che cos’è EGO oggi? Su quali tematiche e attività si concentrerà l’inizio del suo mandato?
La funzione e gli scopi di EGO non sono essenzialmente cambiati rispetto al passato, e si concentrano sul dare supporto, come infrastruttura di ricerca, all’interferometro gravitazionale Virgo. La nostra missione, che perseguirò nel mio ruolo di direttore, continua perciò a essere quella di garantire che l’attività del rivelatore si svolga al massimo della sensibilità. Tra le responsabilità di EGO c’è poi mantenere le relazioni con le istituzioni scientifiche che fanno parte del consorzio o che vorrebbero entrare a farne parte. Una delle novità più importanti rispetto al passato riguarda l’ingresso dell’Istituto nazionale olandese per la fisica subatomica, Nikhef, in veste di socio del Consorzio. Fino a tempi recenti EGO è stata essenzialmente un’impresa italo-francese. Le due nazioni, attraverso l’INFN e il CNRS, hanno contribuito alla maggior parte dei finanziamenti necessari e, grazie ad Adalberto Giazotto e Alain Brillet, alle idee che hanno portato allo sviluppo delle tecnologie di Virgo e alla fondazione del Consorzio. Solo da qualche anno le modifiche apportate allo statuto di EGO hanno reso possibile l’ingresso come soci di altre istituzioni scientifiche, consentendo l’adesione di Nikhef e un’apertura nei confronti di tutti gli enti che vorranno in futuro farne parte.
Ma, ritornando all’importante contributo di chi mi ha preceduto e alla costruzione di una attiva presenza di EGO anche al di fuori del campo della fisica della onde gravitazionali, una delle eredità di Stavros Katsanevas, che sarà certamente portata avanti nel prossimo futuro, riguarda la collaborazione con le comunità di ricerca interessate a utilizzare i dati relativi al rumore ambientale o antropico che noi dobbiamo conoscere per rendere possibile l’osservazione delle onde gravitazioni.
La collaborazione scientifica Virgo si sta preparando al nuovo ciclo di presa data, dopo importanti lavori di potenziamento dell’interferometro.
Il nuovo ciclo di presa dati di Virgo, chiamato O4, dovrebbe prendere il via prima della prossima estate. Attualmente, siamo in quella che viene definita fase di commissioning, cioè di collaudo dei miglioramenti tecnici e tecnologici già effettuati sull’interferometro. Lavoro che va in parallelo con quello dei due rivelatori statunitensi LIGO, anch’essi sottoposti negli ultimi due anni a interventi di upgrade. Questo perché l’alternanza tra periodi di presa dati e periodi dedicati al miglioramento degli strumenti è ormai concordata dalla collaborazione mondiale di cui fanno parte Virgo, LIGO e l’interferometro giapponese KAGRA. Molti sono stati gli upgrade implementati su Virgo, tra cui l’installazione di una sorgente laser più potente, un elemento necessario per ridurre un particolare tipo di rumore denominato shot noise. Altri miglioramenti sono stati ottenuti tramite l’inserimento di un risonatore ottico aggiuntivo, che ha la funzione di permettere il riciclo del segnale ottico aumentando la larghezza di banda a cui sarà sensibile il rivelatore. E la costruzione di ottiche aggiornate, in grado di ridurre l’effetto della cosiddetta luce parassita, ovvero la dispersione della luce all’interno dell’interferometro. È stata inoltre implementata una rete di sensori che hanno l’obiettivo di ridurre il cosiddetto rumore newtoniano alle basse frequenze. L’intervento tecnologicamente più rilevante ha infine riguardato lo squeezing, una configurazione ottica quantistica che permette di ridurre al minimo l’accoppiamento del rumore dovuto alla pressione di radiazione e quello dovuto al sopramenzionato short noise. Tutti questi interventi si tradurranno in una maggiore sensibilità di Virgo, che sarà in grado di sondare lo spazio alla ricerca di eventi di coalescenza di sistemi binari composti da buchi neri, stelle di neutroni, o da coppie miste di questi oggetti, a distanze maggiori rispetto al passato. Ciò comporterà ovviamente anche un aumento del volume di spazio osservabile e del numero di segnali che saranno rivelati.
Crediti EGO/INFN
Dalla scoperta delle onde gravitazionali nel 2015 ad oggi è stato un susseguirsi di nuove misure e osservazioni. La ricerca sulle onde gravitazionali si dimostra determinante per il progresso delle nostre conoscenze. Perché queste ricerche fanno la differenza?
Con l’aumento della risoluzione, prevediamo che il tasso di eventi registrati da Virgo crescerà dal massimo di due ogni settimana a uno al giorno. La crescita del numero di eventi che ci aspettiamo di osservare sarà di fondamentale importanza perché consentirà di iniziare a effettuare studi di popolazione delle sorgenti coinvolte. Un aspetto rilevante che riguarda O4 è, inoltre, la decisione di allungare il periodo di presa dati da un anno a 18 mesi. Tra le motivazioni quella di riuscire a rivelare nuovamente un evento multimessaggero. Fino a oggi c’è stata infatti una sola osservazione di un evento simile, in cui l’onda gravitazionale associata ha un corrispettivo di tipo elettromagnetico. L’evento in questione fa riferimento alla fusione di due stelle di neutroni osservata da Virgo e LIGO nell’agosto del 2017. La fisica multimessaggera è estremamente interessante perché permette di studiare questi fenomeni in varie frequenze – non solo attraverso le onde gravitazionali, ma anche nelle bande dello spettro elettromagnetico – e di ricavare informazioni molto accurate sul tipo di sorgenti. L’astrofisica multimessaggera rappresenta quindi un fondamentale strumento per riuscire a fare luce sulle questioni ancora aperte che concernono le sorgenti astrofisiche estreme. Un settore su cui anche l’INFN sta investendo molto, come dimostrano progetti come l’osservatorio sottomarino KM3NeT, che avrà tra i suoi obiettivi affiancare e integrare l’attività degli interferometri gravitazionali attraverso lo studio dei neutrini, messaggeri cosmici che possono trasportare informazioni sulle sorgenti astrofisiche d’interesse.
La comunità scientifica internazionale sta già lavorando per il futuro interferometro di terza generazione ET. Quali sono le principali sfide che questo nuovo rivelatore pone per la sua realizzazione?
Rispetto ai rivelatori di seconda generazione, ET dovrà migliorare ulteriormente la risoluzione, soprattutto alle basse frequenze. Gli osservatori gravitazionali possiedono infatti una curva di sensibilità che varia con le frequenze, che sono a loro volta associate a fenomeni astrofisici diversi. La regione delle basse frequenze è particolarmente interessante perché, qualora riuscissimo a esplorarla, saremmo in grado di osservare le cosiddette onde gravitazionali primordiali, ovvero quelle che si sono prodotte insieme al Big Bang. Tuttavia, rimane una regione molto difficile da rivelare perché il rumore a bassa frequenza può avere molte sorgenti: tutt’oggi stiamo studiando per capire come implementare soluzioni per eliminarlo. Ciò rappresenterà sicuramente la sfida principale per la realizzazione di ET, per superare la quale sarà necessario sviluppare nuove tecnologie. Dobbiamo inoltre considerare anche l’aspetto legato alle difficoltà ingegneristiche e costruttive che i nuovi rivelatori pongono. A differenza degli attuali osservatori, caratterizzati da bracci della lunghezza di 3 chilometri, i prossimi interferometri possiederanno bracci con lunghezze che, a seconda dei progetti, andranno dai 10 ai 20 chilometri, allo scopo di aumentare la sensibilità alle medie e alte frequenza. Per esplorare invece le basse frequenze, la nostra proposta per ridurre al minimo il rumore ambientale, è stata quella di posizionare ET sottoterra.
Lei è stato rettore dell’Università di Sassari e durante il suo mandato è stato tra i promotori della candidatura a ospitare ET della Sardegna.
L’idea che la Sardegna fosse il posto ideale per ospitare un osservatorio gravitazionale non è recente: può essere fatta risalire al padre di Virgo e dell’interferometria gravitazionale, Adalberto Giazotto. Già all’epoca del mio trasferimento da Pisa a Sassari, Giazotto mi chiese infatti di attivarmi per promuovere il progetto, perché anche lui riteneva che la Sardegna fosse il posto giusto. Le ragioni sono valide ancora oggi e sono le stesse alla base della candidatura a ospitare ET nella regione: la limitata attività sismica che contraddistingue l’area, tra le più basse d’Europa, e l’altrettanto limitata presenza di rumore prodotto dalle attività umane. In particolare, il sito poi individuato, l’ex miniera di Sos Enattos, si trova nel comune di Lula, caratterizzato da una delle più basse densità di popolazione di tutto il territorio europeo. A ciò si aggiungono anche le caratteristiche geologiche dell’area, che si prestano alla realizzazione di ET. Il merito di aver compreso per primo che la Sardegna sarebbe potuta diventare il luogo ideale in cui osservare e studiare le onde gravitazionali va quindi a Giazotto, senza il quale la fisica di cui ci occupiamo non esisterebbe: è stato lui, in maniera molto visionaria, a proporre la tecnica che ha reso possibile la nascita di questo settore. Sulla base del suggerimento fornitomi da questo grande scienziato, una volta diventato rettore dell’Università di Sassari, e grazie alla maggiore capacità di intercedere presso le istituzioni nazionali e locali che il ruolo mi consentiva, ho perciò iniziato grazie all’INFN, che ha fornito la guida scientifica, a sottoporre la proposta. Pur nella speranza che ET potrà effettivamente essere ospitato in Italia, il solo fatto di essere riusciti a portare avanti la candidatura ha rappresentato un risultato non del tutto ovvio, perché il territorio di riferimento, proprio per la sua bassa antropizzazione, presenta difficoltà logistiche.
Perché è rilevante ospitare una grande infrastruttura di ricerca?
Sono stati condotti studi per valutare l’impatto di una grande infrastruttura di ricerca internazionale come ET e questi hanno mostrano come per ogni euro speso ci si aspetta un ritorno sei o sette volte superiore, di cui una parte rimarrebbe nel territorio. Ci sarebbe quindi un vantaggio immediato in termini economici legato all’indotto generato dai servizi necessari al funzionamento dell’infrastruttura di ricerca. Aspetto forse ancora più importante è che la realizzazione di ET in Sardegna garantirebbe inoltre la crescita complessiva di tutto il tessuto tecnologico locale e nazionale, e del capitale di competenze, attraverso la formazione che i giovani ricercatori potrebbero ricevere non solo nel campo della fisica gravitazionale, ma anche in tutti quei settori scientifici e applicativi necessari a rendere possibili le attività di un avanzato centro di ricerca. L’insieme di tutti questi fattori potrebbe così contribuire a rallentare il fenomeno dello spopolamento che sta gravando su tutte regione depresse d’Italia come le aree della Sardegna scelte per ospitare ET.
A prescindere da dove sarà costruito, EGO sostiene la realizzazione in Europa del progetto ET. Qual è il contributo che può portare al nuovo progetto? E qual è il contributo che la comunità scientifica italiana può portare?
Va detto che il contributo principale che sarà fornito al progetto ET concerne il ruolo esclusivo che EGO oggi svolge in Europa come centro per la fisica delle onde gravitazionali. Il solo centro in Europa in cui sia oggi possibile per un giovane maturare e acquisire competenze nel settore delle onde gravitazionali rimane Virgo: l’unico laboratorio europeo in cui è possibile fare esperienza diretta di questa fisica e sperimentare le nuove soluzioni tecnologiche cui faranno ricorso i prossimi osservatori. EGO e Virgo rappresentano quindi la scuola all’interno della quale saranno formati gli scienziati che lavoreranno su ET. Presso il nostro laboratorio possono inoltre essere studiate le fonti di rumore in grado di disturbare la rivelazione delle onde gravitazionali alle basse frequenze e si sta lavorando sulle tecnologie che saranno sviluppate per ET, come quelle del vuoto, di ottica o delle sospensioni. Una funzione fondamentale che EGO e Virgo potranno svolgere potrà essere, infine, quella di traghettare e mantenere attiva la comunità della fisica delle onde gravitazionali, per non correre il rischio che si disperda, in attesa della realizzazione di ET, che potrebbe richiedere anche 15 anni. Al termine dei periodi di presa dati O4 e O5 già programmati, noi potremmo infatti ospitare un ulteriore miglioramento di Virgo, il progetto Virgo Next, che potrà colmare le lunghe tempistiche che ancora ci separano dalla partenza delle attività scientifiche di ET.
Anche negli Stati Uniti si sta lavorando alla prossima generazione di interferometri, Cosmic Explorer. Perché una rete globale di interferometri è determinante per il successo di queste ricerche?
La differenza tra la fase iniziale di nascita della fisica delle onde gravitazionali, in cui è stata dimostrata sperimentalmente l’esistenza di queste perturbazioni dello spaziotempo, e quella attuale, che è caratterizzata dallo studio approfondito dei segnali gravitazionali, è la capacità di localizzare con precisione nello spazio le sorgenti degli eventi osservati grazie a più osservatori in grado di triangolare i segnali. Oltre a garantire informazioni indispensabili per lo studio delle onde gravitazionali, avere a disposizione una rete estesa di interferometri ha un secondo importante vantaggio, rappresentato dal fatto che, lavorando in sincrono, gli interferometri possono ridurre il rumore di fondo, aumentando l’accuratezza e la sensibilità complessiva delle misure. Questo è il motivo per cui sarebbe necessario iniziare a pensare alla ricerca sulle onde gravitazionali come un’attività coordinata a livello globale, che consenta di ottimizzare le risorse disponibili e quelle future, compreso l’interferometro spaziale LISA.
Cosa prevede e si augura per il futuro di EGO?
Dal punto di vista di EGO, una questione legata a un aspetto contingente che mi trovo a dover affrontare è il ritorno alla normalità dopo la pandemia. Mi auguro quindi che nel 2023 si possa tornare ad avere un’affluenza massiccia di ricercatori nel nostro centro. Tra gli obiettivi che mi sono prefisso per il mio mandato c’è proprio quello di rendere EGO ancora più accogliente dal punto di vista logistico e dei servizi disponibili.
Bentornati su Marte!
Continuiamo a seguire Perseverance e Ingenuity nel loro viaggio verso il delta attraverso terreni difficili. Si parte! Anzi…
…si sale! Nella prima metà di febbraio il rover è stato impegnato nella scalata verso i rilievi a nord della regione dove ha lavorato questi mesi passati, superando complessivamente un dislivello di circa 35 metri. Per farlo è ricorso alle sue doti di arrampicatore che, grazie a un baricentro molto basso, gli permettono di inclinarsi sino a 45° in qualunque direzione senza pericolo di ribaltamento. Tuttavia, per non correre rischi, durante tutto il corso della missione si intende evitare di portarlo oltre i 30°. Fanno comunque una certa impressione le immagini che il rover ci ha inviato nel corso dei giorni di spostamento, e per mezzo anche alla documentazione fornita dalle rilevazioni satellitari (maggiori dettagli più tardi) possiamo verificare che Perseverance ha percorso una strada con inclinazione media di 10° con picchi che hanno sfiorato i 25°.
Visuale catturata da Perseverance l’8 febbraio e qui processata in modo da esaltare i colori. Da questa immagine, dopo una correzione dalla distorsione ottica, si può stimare un’inclinazione di circa 15° rispetto l’orizzonte. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Piras
Nei giorni in cui Perseverance risaliva l’importante dislivello Ingenuity non ha riposato.
Dopo la pausa estiva e gli impattanti rallentamenti autunnali (riferiti alle stagioni terrestri) l’elicotterino riprende calore. Per questo dobbiamo ringraziare il solstizio d’inverno, stavolta relativo al Pianeta Rosso, che dal 26 dicembre sta allungando i Sol. Con essi aumenta l’energia che Ingenuity riesce a produrre e la durata dei voli non può che giovarne.
Il volo 42 è stato eseguito il 4 febbraio decollando da Airfield Beta e atterrando a Airfield Gamma. Nel corso di 248 metri di spostamento orizzontale eseguiti in 137 secondi l’elicottero è salito di circa altri 20 metri di altitudine raggiungendo la regione del delta.
E qui sono forse iniziati un po’ di problemi.
Ingenuity, ci ricevi? Il piccolo elicottero non comunica direttamente né con la Terra né con i satelliti in orbita attorno a Marte. Si appoggia invece a Perseverance che ospita dell’hardware dedicato per dialogare con lui sulla frequenza di 900 MHz tramite un protocollo commerciale chiamato ZigBee. È poi il rover che salva i dati e ce li trasmette.
Concepito per lavorare entro poche centinaia di metri da Perseverance, nel tempo Ingenuity ha dimostrato di poter comunicare senza problemi anche oltre il chilometro di distanza. Tutto valido finché i due sono in contatto visivo, quella che viene chiamata line of sight. Se ci sono ostacoli in mezzo le onde radio sono disturbate e la comunicazione risulta deteriorata o persino impossibile.
Alcune delle primissime immagini che abbiamo ricevuto del volo 42, scaricate il 7 e 9 febbraio, mostravano segni evidenti di corruzione dei dati.
Una coppia di frame del volo 42 relativi agli ultimi secondi di acquisizione, con Ingenuity ormai posato al suolo. Crediti: NASA/JPL-Caltech
È possibile che sia stata proprio la posizione di Ingenuity e Perseverance ad aver influito sulla comunicazione? Per provare a trovare una risposta dobbiamo indagare un po’.
Il riferimento indispensabile sono le immagini satellitari scattate da HiRISE, il telescopio da 50 cm di diametro montato sul Mars Reconnaissance Orbiter. Questa impressionante ottica è corredata con un sensore fotografico che consente di distinguere dettagli più piccoli di un metro dalla quota di 300 km. Lo strumento permette anche, tramite il confronto tra immagini della stessa area acquisite da punti di vista differenti e algoritmi di elaborazione molto onerosi, di generare i Digital Terrain Models. I DTM sono niente meno che mappe altimetriche, e grazie all’elevata qualità delle immagini di partenza possono arrivare a risoluzioni di 25 cm per pixel, con una precisione di poche decine di cm nell’altitudine rilevata. Le immagini ad alta risoluzione di HiRISE e i DTM sono disponibili per tutti e gratis sul sito scientifico dello strumento curato dall’Università dell’Arizona. Agli “scienziati di quartiere” non resta che scaricare i file, importarli su un programma di modellazione 3D o GIS (Geographic Information System), e analizzare lo scenario.
Delle numerose osservazioni disponibili del cratere Jezero, luogo di atterraggio e lavoro di Perseverance, ho selezionato una coppia di riprese acquisite nel gennaio e maggio 2007. La posizione dell’elicottero e del rover è stata recuperata sul sito che traccia gli spostamenti dei due robot e sono così in grado di mostrarvi dove si trovavano precisamente il Sol 697, giorno del 42esimo volo.
A questo punto ho eseguito due elaborazioni.
Nel corso della prima ho caricato il relativo DTM sul programma di modellazione 3D Blender, ho sovrapposto la corrispondente texture e aggiunto nelle posizioni corrette i modelli per Perseverance e Ingenuity.
Vi presento così un video in cui voliamo insieme su Marte, prima attorno a Perseverance e poi verso Ingenuity sfiorando promontori rocciosi. Risaliamo il Rocky Top e siamo nella regione del delta, dove i due robot stanno attualmente già avanzando.
Clicca per accedere al video
Questa visuale, per quanto interessante, non chiarisce tutti i dubbi. Per analizzare meglio la posizione di rover ed elicottero serve qualcosa di più approfondito.
Ci viene in soccorso il programma gratuito QGIS. Esso può nativamente prendere in ingresso i file DTM e fornire una rapida visualizzazione generando delle opportune ombre.
Tre distinti DTM sono qui importati e visualizzati.
Ancora una volta, prendendo come riferimento le posizioni di Ingenuity e Perseverance al Sol 700 (7 febbraio), possiamo estrarre informazioni quali la distanza in linea d’aria di 356 metri e il dislivello di 30 metri.
Utilizzo del plugin Profile Tool all’interno del programma QGIS.
Ma ancora più interessante, e adatta ai nostri scopi, è l’analisi del profilo altimetrico. Scopriamo così che per metà della distanza che separava rover ed elicottero c’era un muro di roccia alto sino a quasi tre metri che avrebbe avuto la potenzialità di disturbare la propagazione del segnale radio emesso da Ingenuity.
Il grafico disegna il profilo altimetrico della line of sight tra Perseverance e Ingenuity il giorno 7 febbraio. La retta verde è il percorso tra le rispettive antenne, che tiene conto anche dell’altezza a cui sono installate sui due robot. L’altezza in ordinata risulta negativa perché il cratere Jezero si trova sotto il livello medio della superficie marziana, il cosiddetto areoide, calcolato sulla base del campo gravitazionale del pianeta.
Alcuni giorni più tardi (11, 13 e 15 febbraio) Perseverance ha eseguito altri download delle immagini dalla memoria dell’elicottero e questi sono avvenuti con successo pur senza che il rover si sia spostato in maniera rilevante. Non ci è quindi possibile, senza conoscere alcuni dettagli del protocollo di comunicazione, concludere con certezza che questi apparenti problemi abbiano avuto come unica causa l’ostacolo delle rocce.
I DTM si rivelano tuttavia un aiuto prezioso per comprendere meglio le difficoltà del terreno in cui Perseverance e Ingenuity stanno operando, e lo saranno ancora di più nei prossimi mesi in cui ci troveremo a fare slalom tra le formazioni rocciose del delta.
Gli ultimi voli Senza avere ancora svuotato la memoria dalle foto del 42esimo volo, Ingenuity è decollato ancora una volta e il 16 febbraio ha continuato ad avanzare verso nord-ovest per ben 390 metri in 146 secondi. Non vedevamo simili distanze e tempi di volo da aprile, segno della riacquisita confidenza nelle capacità dell’avanzatissimo drone.
Nelle ultime ore abbiamo avuto conferma del 44esimo spostamento che ha avuto luogo il 19 febbraio. Ingenuity ha proseguito l’avanzamento verso nord-ovest per 325 metri, continuando a studiare il terreno con le rilevazioni fotografiche a tutto vantaggio del suo compagno rover. Quest’ultimo ha davanti a sé terreni molto accidentati che richiederanno caute valutazioni sul percorso da seguire. Considerando la rinnovata vitalità di Ingenuity, non è così certo che Perseverance riuscirà a rivedere l’elicottero da vicino molto presto.
Collage delle ultime zone di atterraggio di Ingenuity.Posizione di Perseverance e Ingenuity aggiornata al Sol 713, 21 febbraio sulla Terra. Crediti: NASA/JPL-Caltech
La “magnifica desolazione” di Perseverance
Chiudiamo questo aggiornamento marziano con alcune delle più belle immagini che il rover ci sta inviando dalla regione del delta. Il terreno è estremamente accidentato, e per avanzare con passo spedito il rover deve fare affidamento sul software di navigazione autonoma. Grazie alle sue camere riesce a individuare con un’ottima autonomia ostacoli e aree pericolose, elaborando un percorso sicuro che sino ad ora gli sta permettendo di spostarsi sino a 200 metri al giorno.
Visuale della Left NavCam, Sol 709. NASA/JPL-Caltech/PirasVisuale della Left NavCam, Sol 709. NASA/JPL-Caltech/PirasImmagine scattata dalla Hazard Avoidance Camera A di sinistra nel Sol 711. Il braccio robotico era impegnato nell’analisi delle rocce al suolo tramite gli strumenti Sherloc e Watson. NASA/JPL-Caltech/PirasUna delle più recenti immagini ricevute da Perseverance, scattata ancora dalla Left HazCam. Sulla destra si staglia un piccolo promontorio, largo poco meno di 200 metri e che si eleva per circa 20 rispetto alla piana circostante. NASA/JPL-Caltech/Piras
Anche per questo aggiornamento marziano è tutto!
A presto con nuove immagini, nuovi video e nuovi racconti.
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Uno spettacolare trio di galassie in fusione nella costellazione di Boötes è al centro di questa immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Queste tre galassie sono in rotta di collisione e alla fine si fonderanno in un’unica galassia più grande, distorcendo la struttura a spirale l’una dell’altra attraverso l’interazione gravitazionale reciproca nel processo. Una galassia in primo piano non correlata sembra fluttuare serenamente vicino a questa scena, e sullo sfondo sono visibili le forme sfumate di galassie molto più distanti.
Questo trio in collisione, noto agli astronomi come SDSSCGB 10189, è una combinazione relativamente rara di tre grandi galassie in formazione stellare che si trovano a soli 50.000 anni luce l’una dall’altra. Anche se potrebbe sembrare una distanza di sicurezza, per le galassie questo le rende estremamente vicine. I nostri vicini galattici sono molto più lontani; Andromeda, la grande galassia più vicina alla Via Lattea, dista oltre 2,5 milioni di anni luce dalla Terra.
Questa immagine proviene da un’osservazione progettata per aiutare gli astronomi a comprendere l’origine delle galassie più grandi e massicce dell’universo. Questi colossi galattici sono chiamati Brightest Cluster Galaxies (BCG) e, come suggerisce il nome, sono definiti come le galassie più luminose in un dato ammasso di galassie. Gli astronomi sospettano che i BCG si formino attraverso la fusione di grandi galassie ricche di gas come quelle viste qui. Si sono rivolti alla Wide Field Camera 3 e alla Advanced Camera for Surveys di Hubble per indagare su questo trio galattico nei minimi dettagli, sperando di far luce sulla formazione delle galassie più massicce dell’universo.
Queste immagini, riprese dallo strumento Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) dell'ESA/NASA Solar Orbiter, coprono trenta minuti del transito della sagoma di Mercurio sul disco solare. PHI ha osservato il transito per più di tre ore. Mercurio è visto come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell'immagine. È nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.
Il disco nero di Mercurio aiuta ad affinare la visuale di Solar Orbiter
Quest’anno è iniziato con una bella opportunità di imaging per Solar Orbiter e un’opportunità per migliorare ulteriormente la qualità dei suoi dati. Il 3 gennaio 2023, il pianeta interno Mercurio ha attraversato il campo visivo della navicella, dando vita a un così detto transito in cui Mercurio è apparso come un cerchio perfettamente nero in movimento attraverso la faccia del Sole.
Un certo numero di strumenti dell’ESA/NASA Solar Orbiter ha catturato il transito. Nell’immagine Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) , Mercurio appare come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell’immagine ed è nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.
L’Extreme Ultraviolet Imager (EUI) ha poi continuato a filmare il viggio del pianeta mostrando Mercurio subito dopo aver lasciato il disco che si stagliava davanti a strutture gassose nell’atmosfera del Sole.
Queste immagini, riprese dallo strumento Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) dell’ESA/NASA Solar Orbiter, coprono trenta minuti del transito della sagoma di Mercurio sul disco solare. PHI ha osservato il transito per più di tre ore. Mercurio è visto come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell’immagine. È nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.
Lo strumento Spectral Imaging of the Coronal Environment (SPICE) suddivide la luce proveniente dal Sole nei suoi colori costituenti per isolare alcuni spettri che provengono dal lato inferiore del Sole. Linee che corrispondo ad atomi di elementi scelti per rivelare i diversi strati nell’atmosfera del Sole a diverse temperature. Il neon (Ne VIII) è a una temperatura di 630 000 K, il carbonio (C III) è a 30 000 K, l’idrogeno (Ly Beta) è a 10 000 K e l’ossigeno (O VI) è a 320 000 K K.
“Non si tratta solo di guardare Mercurio che passa davanti al Sole, ma anche il passagio su diversi strati dell’atmosfera”, afferma Miho Janvier, Institut d’Astrophysique Spatiale, Francia, il vice scienziato del progetto SPICE che è attualmente distaccato a ESA.
I transiti planetari sono stati utilizzati per vari scopi dagli astronomi. Nei secoli passati venivano usati per calcolare le dimensioni del nostro Sistema Solare. Gli osservatori in quel tempo si posizionavano in luoghi molto distanti cronometrando il transito e quindi confrontando i risultati. L’ora precisa dell’evento sarebbe stata leggermente diversa. Conoscendo la distanza tra gli osservatori, il diverso orario consentiva loro di utilizzare la trigonometria per calcolare la distanza dal Sole.
Più di recente, i transiti sono diventati il modo più efficace per trovare pianeti attorno ad altre stelle.
L’ESA utilizza il metodo del transito per studiare gli esopianeti nella sua attuale missione Cheops (CHaracterising ExOPlanet Satellite). Nel prossimo futuro, la missione PLAnetary Transits and Oscillations of stars (PLATO) utilizzerà i transiti per cercare pianeti delle dimensioni della Terra nelle zone abitabili fino a un milione di stelle. E nel 2029, Ariel (Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey) dell’ESA utilizzerà i transiti per studiare le atmosfere di circa 1000 esopianeti conosciuti.
Per Solar Orbiter, questo particolare transito ha offerto una preziosa opportunità per calibrare gli strumenti. “È un oggetto nero certificato che viaggia attraverso il campo visivo”, afferma Daniel Müller, scienziato del progetto Solar Orbiter presso l’ESA. “Pertanto, qualsiasi luminosità registrata dallo strumento all’interno del disco di Mercurio deve essere causata dal modo in cui lo strumento trasmette la sua luce, chiamata funzione di diffusione del punto. Quanto meglio questo è noto, tanto meglio può essere rimosso.” Quindi, studiando questo evento, la qualità dei dati di Solar Orbiter può essere ulteriormente migliorata.
Per osservare da vicino Mercurio, l’ESA ha inviato la missione BepiColombo. Farà il suo prossimo sorvolo ravvicinato del pianeta nel giugno 2023. Nel frattempo, Solar Orbiter farà il suo prossimo passaggio
Fonte: ESA/NASA Solar Orbiter
In Coelum Astronomia 260 l’approfondimento dedicato allo stato della Radioastronomia in Italia e nel Mondo a cura di Silvia Casu dell’INAF
IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA INVISIBILE UTILIZZA LA TECNOLOGIA DELLA RADIOASTRONOMIA PER RILEVARE OGGETTI ARTIFICIALI NELLO SPAZIO
I ricercatori dell’International Center for Radio Astronomy Research (ICRAR) hanno sviluppato un sistema di sensori portatili a basso costo che può essere utilizzato per rilevare spazzatura spaziale, satelliti e aerei.
Il progetto portatile Space Domain Awareness (SDA) fa parte di una borsa di ricerca collaborativa finanziata dal Defense Science Centre del governo dell’Australia occidentale. Sviluppato dai ricercatori della Curtin University dell’ICRAR, il progetto SDA sfrutta le tecnologie utilizzate nella radioastronomia per creare un sistema radar passivo economico, flessibile e portatile.
A differenza dei sistemi radar convenzionali, che trasmettono deliberatamente un segnale noto, un sistema radar passivo fa uso di trasmissioni di terze parti come segnali radio e TV per rilevare oggetti senza rivelare la propria esistenza.
Il sistema portatile Space Domain Awareness utilizza le trasmissioni nell’ambiente locale per rilevare gli oggetti. Credito: ICRAR-Curtin
Il professore associato Randall Wayth dell’ICRAR-Curtin è il ricercatore capo del progetto e afferma che il sistema a 32 antenne potrebbe essere configurato per diverse applicazioni.
“Il nostro sistema è altamente portatile, sensibile e invisibile a molti sistemi di rilevamento tipici o commerciali, rendendolo ideale per l’implementazione in ambienti remoti e scenari di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.
I ricercatori dell’ICRAR hanno prototipato il loro sistema di sensori portatili basato sulla tecnologia di radioastronomia esistente, dimostrando il suo uso per la sorveglianza nascosta che può essere gestita autonomamente o integrata in una rete più ampia.
“Nella costruzione di questo prototipo, ICRAR ha preso le tecnologie e le competenze sviluppate nel corso della nostra attività principale di radioastronomia e le ha applicate a uno scopo di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.
“Le tecniche che usiamo per immaginare l’Universo distante si traducono direttamente nel rilevamento di oggetti più vicini a casa”.
Il sistema Portable Space Domain Awareness (SDA) sfrutta la tecnologia della radioastronomia. Credito: ICRAR-Curtin
Una considerazione chiave per il progetto è stata quella di motivare e stimolare lo sviluppo di una catena di approvvigionamento manifatturiero dell’Australia occidentale per i componenti critici. Per raggiungere questo obiettivo, il progetto ha sfruttato le forti connessioni dell’ICRAR con le industrie ingegneristiche e manifatturiere dell’Australia occidentale per rispondere alle esigenze di capacità attuali ed emergenti della difesa. Ciò ha dimostrato il sostegno dell’ICRAR ai posti di lavoro locali e all’industria manifatturiera di WA.
Il team di ricerca ha collaborato con il Development WA del governo WA , per distribuire il sistema SDA portatile all’Australian Automation and Robotics Precinct (AARP) a Neerabup. Questa disposizione ha accresciuto la consapevolezza delle capacità di ricerca e sviluppo dello stato nel campo della SDA e ha fornito una vetrina per le strutture del governo WA.
Guardando al futuro, il professore associato Wayth afferma che sono in corso discussioni con collaboratori dell’industria e del governo, con l’obiettivo di raggiungere capacità di elaborazione dei dati in tempo reale, migliorando il potenziale di applicazione a varie sfide di difesa e sicurezza.
Fonte: https://www.icrar.org/portable-sda/
In Coelum Astronomia 260 l’approfondimento dedicato allo stato della Radioastronomia in Italia e nel Mondo a cura di Silvia Casu dell’INAF
Prima fa centro di nuovo: trovata la Meteorite di San Valentino
Eccola, è la meteorite di San Valentino!
Lo scorso 14 febbraio un bolide, una meteorona bella grossa, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia. Se fino a qualche anno fa un evento come questo raramente portava al ritrovamento di meteoriti, oggi grazie alla rete Prisma, capita sempre più di frequente. È successo per esempio con la meteorite di Cavezzo, raccolta il 4 gennaio 2020 a Modena, ed è successo di nuovo in questi giorni di febbraio, sempre grazie alla rete di Prisma.
Il concetto è semplice in teoria, ma richiede un certo impegno per essere messo in atto: una rete di telecamere all-sky disseminate in tutto il territorio italiano che tengono d’occhio il cielo in ogni momento. Non sai mai quando e dove capiterà la prossima meteora degna di nota. Quando ci sono i presupposti, ossia quando il fenomeno è abbastanza energetico da suggerire che qualche frammento di roccia sia arrivato a Terra, grazie alle telecamere è possibile triangolare il potenziale punto di atterraggio.
Ovviamente questo metodo non permette di trovare il punto di caduta al millimetro, pertanto è comunque necessario organizzare spedizioni ad hoc per andarle a cercare in un’area più o meno estesa, a seconda del numero di telecamere con cui è avvenuta la triangolazione.
Credits immagine: Prisma/Inaf
La meteorite di San Valentino, dicevo, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia, attorno alle 19 di sera del 14 febbraio, tra la Puglia e la Basilicata. Il giorno dopo è stata delineata l’area di ricerca, a nord di Matera. Questa volta però la ricerca è finita ben presto: la meteorite è caduta su un balcone ed è stata segnalata a Prisma da due cittadini di Contrada Rondinelle. Sono stati raccolti oltre 70 grammi in 12 frammenti principali e decine più piccoli, riporta Prisma nel comunicato della faccenda. Avrebbe viaggiato a 300 chilometri orari, creando un minuscolo craterino in una piastrella del balcone. Penso in pochi possano dire di avere un cratere da impatto in casa propria.
La quasi totalità delle meteoriti sono rinvenute nei deserti, per via delle favorevoli condizioni climatiche e ottiche. Avere la possibilità di recuperarne in luoghi umidi e per di più fresche fresche di caduta (invece che ben alterate dopo decenni o secoli sulla Terra), è qualcosa di sensazionale dal punto di vista scientifico. Non a caso il 18 febbraio (che poi sarebbe ieri) la meteorite è stata consegnata ai ricercatori di Prisma, che ne faranno le dovute e approfondite analisi per ascoltare le storie che ha da raccontarci sul sistema planetario in cui viviamo.
L’approfondimento sarà sul prossimo numero di Coelum, n°261 da non perdere!
Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preceduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno
“Spettacolare quanto problematica la congiunzione che avrà come protagonisti Luna, Venere e Giove prevista per la serata del 22 Febbraio intorno alle ore 20:15. Infatti una bella falce lunare di 2,8 giorni il cui tramonto nella zona di Roma è previsto per le ore 20:37, verrà a trovarsi alle 20:15 quasi a metà strada fra Venere (separazione di 4°46’) ormai in procinto di tramontare ed il pianeta Giove (separazione di 3°23’). Sarà opportuno tenere presente che questa congiunzione potrà essere osservata col nostro satellite ad un’altezza di soli 4°16’ per la zona di Bolzano fino ai 3°40’ per l’Italia Centrale, per finire con i 3°13’ per chi osserva dall’Italia Meridionale.”
In breve riprendiamo gli eventi interessanti per le osservazioni dei prossimi 7 giorni
DATA
ORA
OGGETTO
EVENTO
19/02/2023
10:05:53
Luna
Perigeo
20/02/2023
00:57:32
Luna-Saturno
Congiunzione
20/02/2023
08:05:43
Luna
Nuova
21/02/2023
19:14:41
Luna-Nettuno
Congiunzione
22/02/2023
08:53:38
Luna-Venere
Congiunzione
22/02/2023
22:59:56
Luna-Giove
Congiunzione
24/02/2023
19:55:59
Luna
Nodo
25/02/2023
14:04:20
Luna-Urano
Congiunzione
26/02/2023
16:20:00
Luna-Pleiadi
Congiunzione
Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preeduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno
Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica. Come avviene ogni mese ormai da oltre quattro miliardi di anni, dal Novilunio ripartirà un nuovo ciclo lunare mentre, volendo, potremo constatare come di notte in notte il nostro satellite ci presenterà una falce illuminata di proporzioni sempre maggiori fino a riportarsi nuovamente nelle migliori condizioni osservative, anche se per i cosiddetti “esperti” qualsiasi dettaglio anche nelle più ostiche condizioni può essere fonte di ricerche e osservazioni sistematiche, dalla falce di 1 o 2 giorni fino alla Luna Piena.
Protagoniste delle foto più romantiche, le falci, ci danno appuntamento per il tardo pomeriggio del 21 Febbraio con una sottile falce di 1,47 giorni che alle ore 19:23 scenderà sotto l’orizzonte, seguita dai pianeti Venere e Giove, e per il il 22 Febbraio quando una falce di 2,5 giorni tramonterà alle ore 20:37 sulla cui superficie aumenteranno notevolmente le strutture che potranno essere oggetto di dettagliate osservazioni nei settori nordest
Dovremo attende il giorno 27 per scorgere (40) Harmonia in opposizione.
Le tabelle di tutti gli eventi sono nell’Almanacco 2023 di Coelum, libriccino di ben 16 pagine con tutti i riferimenti raccolti in tabelle per mese ed oggetto. Facile da portare sempre con se! Se non hai ancora la tua copia
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Luna Fasi e Nodi, Congiunzioni, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, Nettuno, Urano, Eclissi, Sciami Meteoritici, Solsisti ed Equinozi e Moti.
In più i suggerimenti per osservare le principali Comete e gli Asteroidi in opposizione per tutto il 2023.
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Il 3 febbraio, un asteroide lungo più di tre volte la sua larghezza ha sorvolato in sicurezza la Terra a una distanza di circa 1,8 milioni di chilometri, o poco meno di cinque volte la distanza tra la Luna e la Terra. Sebbene non vi fosse alcun rischio che l’asteroide, chiamato 2011 AG5, colpisse il nostro pianeta, gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California hanno seguito da vicino l’oggetto, facendo osservazioni inestimabili per aiutare a determinarne le dimensioni, la rotazione, i dettagli della superficie e, soprattutto, forma.
Questo avvicinamento ravvicinato ha fornito la prima opportunità di dare un’occhiata dettagliata all’asteroide da quando è stato scoperto nel 2011, rivelando un oggetto lungo circa 500 metri e largo circa 150 metri, dimensioni paragonabili all’Empire State Building. La potente parabola dell’antenna radar Goldstone Solar System da 70 metri presso la struttura del Deep Space Network vicino a Barstow, in California, ha rivelato le dimensioni di questo asteroide estremamente allungato.
“Dei 1.040 oggetti vicini alla Terra osservati dal radar planetario fino ad oggi, questo è uno dei più allungati che abbiamo visto”, ha detto Lance Benner, scienziato principale del JPL che ha contribuito a condurre le osservazioni .
Le osservazioni radar di Goldstone si sono svolte dal 29 gennaio al 4 febbraio, catturando molti altri dettagli: insieme a una grande e ampia concavità in uno dei due emisferi dell’asteroide, 2011 AG5 ha sottili regioni scure e più chiare che potrebbero indicare una superficie su piccola scala e presenta un diametro di poche decine di metri. Se l’asteroide fosse visibile ad occhio nudo, sembrerebbe scuro come il carbone. Le osservazioni hanno anche confermato che l’AG5 del 2011 ha una velocità di rotazione lenta, impiegando nove ore per ruotare completamente.
Oltre a contribuire a una migliore comprensione dell’aspetto ravvicinato di questo oggetto, le osservazioni radar di Goldstone forniscono una misurazione chiave dell’orbita dell’asteroide attorno al Sole. Il radar fornisce misurazioni precise della distanza che possono aiutare gli scienziati del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA a perfezionare il percorso orbitale dell’asteroide. L’asteroide 2011 AG5 orbita attorno al Sole una volta ogni 621 giorni e non avrà un incontro molto ravvicinato con la Terra fino al 2040, quando passerà di nuovo in sicurezza vicno al nostro pianeta a una distanza di circa 1,1 milioni di chilometri, o quasi tre volte la Terra- distanza lunare.
“Le continue osservazioni di questo oggetto hanno escluso ogni possibilità di impatto, e queste nuove misurazioni perfezioneranno ulteriormente le misure”, ha affermato Paul Chodas, direttore del CNEOS al JPL.
CNEOS calcola l’orbita di ogni asteroide noto vicino alla Terra per fornire valutazioni dei potenziali rischi di impatto. Sia il Goldstone Solar System Radar Group che il CNEOS sono supportati dal Near-Earth Object Observations Program della NASA all’interno del Planetary Defense Coordination Office presso la sede dell’agenzia a Washington.
è passato un anno, volato letteralmente, eppure ne sono successe di cose. Le notizie e i fatti popolari di attualità certo non sono mancati. E a noi, fortunati fra i fortunati, il compito assolutamente non oneroso di narrare le più importanti novità scientifiche in campo astronomico, un privilegio per cui ringraziamo.
Così nel corso delle sei ci siamo persi con voi nella lettura del racconto di chi ha contribuito alla realizzazione della prima immagine del buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A*, un cerchio rossiccio un po’ sfocato ma che ha contribuito a confermare molte delle ipotesi su questi oggetti misteriosi e sulla formazione della Galassia. Subito dopo siamo rimasti folgorati dai primi dati trasmessi verso la Terra dal James Webb Space Telescope, capaci di mostrare sin da subito la potenza di uno strumento colossale che segna il passo sullo sviluppo tecnologico fondamentale per seguire i passi da gigante della ricerca scientifica. Dettagli da lasciare senza parole, che fanno impallidire i più stimati osservatori a terra ed in orbita, ma è il lavoro in sinergia di tutti i team, reattivi ad ogni stimolo, il tassello fondamentale di questa folle eppur entusiasmante corsa alle scoperte.
Dopo oltre 20 anni da quando la fantasia dell’umanità è stata solletica dal film Deep Impact arriva a destinazione la sonda DART, il primo vero tentativo (e a prima vista piuttosto ben riuscito) di deviazione di un asteroide potenzialmente pericoloso per la Terra e per la vita su di essa ospitata. Cronaca in diretta di un impatto che, stranamente, rassicura. Abbiamo anche seguito e sostenuto la nostra astronauta Samantha Cristoforetti nel suo ritorno alla ISS, testimone di professionalità e passione, e ambasciatrice di un approccio estremamente positivo alle sfide. Non dimenticheremo le ore passate a guardare la sua EVA. Ed in fine, ahinoi, salutato anche l’amato Piero Angela, signore elegante della divulgazione in Italia.
Lo scorso dicembre poi il comunicato che annuncia la riproduzione della fusione nucleare e Artemis I minuzioso racconto ad immagini che disegna la strada ad una nuova era di esplorazione della Luna, e quindi si riparte subito già in questo numero con la narrazione, con il dott. Vincenzo Vagnoni affrontando il significato vero del risultato raggiunto in ambito nucleare e con l’avvocato Antonino Salmeri a proporci uno spunto differente da cui valutare il ritorno dell’uomo sul nostro satellite.
Ogni numero ha un tema principale e questa volta parliamo di Radioastronomia con una bella testimonianza amatoriale ma anche facendo il punto dei progetti in carico ai siti professionali, la dott.ssa Silvia Casu ci racconta del Sardinia Radio Telescope e dello SKA finalmente al via! A si, un’altra delle notizie del 2022.
Come promesso abbiamo aggiunto 12 pagine in più, stavamo riducendo sempre di più le dimensioni del carattere per farci stare tutto, ma alla fine ci siamo detti che ne valeva la pena, e grazie ai suggerimenti che ci sono arrivati in redazione abbiamo sfruttato al meglio questa opportunità dando più spazio alle rubriche e alle immagini, ma continuate a scriverci, Coelum è un progetto editoriale flessibile e che si sta formando sotto le mani tutti.
Gli astronomi hanno svelato l’ultima immagine in campo profondo del telescopio spaziale James Webb della NASA, con dettagli mai visti prima in una regione dello spazio nota come Ammasso di Pandora (Abell 2744). L’inquadratura di Webb mostra tre ammassi di galassie – già enormi – che si uniscono per formare un megacluster. La massa combinata degli ammassi di galassie crea una potente lente gravitazionale, un naturale effetto di ingrandimento della gravità, che consente di osservare galassie molto più distanti nell’universo primordiale utilizzando l’ammasso come una lente d’ingrandimento.
Solo il nucleo centrale di Pandora è stato precedentemente studiato in dettaglio dal telescopio spaziale Hubble della NASA. Combinando i potenti strumenti a infrarossi di Webb con un’ampia vista a mosaico delle molteplici aree di lente della regione, gli astronomi miravano a raggiungere un equilibrio di ampiezza e profondità che aprisse la visuale al centro e nuova frontiera nello studio della cosmologia e dell’evoluzione delle galassie.
“L’antico mito di Pandora riguarda la curiosità umana e le scoperte che delineano il passato dal futuro, che penso sia una connessione appropriata con i nuovi regni dell’universo che Webb sta aprendo, inclusa questa immagine del campo profondo dell’Ammasso di Pandora”, ha detto l’astronomo Rachel Bezanson dell’Università di Pittsburgh in Pennsylvania, co-principale ricercatrice del programma “Ultradeep NIRSpec and NIRCam ObserVations before the Epoch of Reionization” (UNCOVER) per studiare la regione.
La nuova vista dell’ammasso di Pandora unisce quattro istantanee Webb in un’unica immagine panoramica, mostrando circa 50.000 fonti di luce nel vicino infrarosso.
Oltre all’ingrandimento, la lente gravitazionale distorce l’aspetto delle galassie lontane, quindi appaiono molto diverse da quelle in primo piano. La “lente” dell’ammasso di galassie è così massiccia da deformare il tessuto dello spazio stesso, abbastanza perché anche la luce proveniente da galassie lontane che passa attraverso quello spazio assuma un aspetto deformato.
L’astronomo Ivo Labbe della Swinburne University of Technology di Melbourne, in Australia, co-principal investigator del programma UNCOVER, ha affermato che nel nucleo in basso a destra nell’immagine Webb, che non è mai stata ripresa da Hubble, ci sono centinaia di galassie con lenti distanti che appaiono come deboli linee arcuate nell’immagine. Lo zoom sulla regione ne rivela sempre di più.
Il team di UNCOVER ha utilizzato la NIRCam (Near-Infrared Camera) di Webb per catturare l’ammasso con esposizioni della durata di 4-6 ore, per un totale di circa 30 ore di osservazione. Il passo successivo sarà esaminare meticolosamente i dati di imaging e selezionare le galassie per l’osservazione di follow-up con lo spettrografo nel vicino infrarosso (NIRSpec), che fornirà misurazioni precise della distanza, insieme ad altre informazioni dettagliate sulla composizione delle galassie distorte, fornendo nuove approfondimenti sulla prima era dell’assemblaggio e dell’evoluzione delle galassie. Il team UNCOVER prevede di effettuare queste osservazioni NIRSpec nell’estate del 2023.
Nel frattempo, tutti i dati fotometrici NIRCam sono stati resi pubblici in modo che altri astronomi possano familiarizzare con essi e pianificare i propri studi scientifici futuri. “Siamo impegnati ad aiutare la comunità astronomica a sfruttare al meglio la fantastica risorsa che abbiamo in Webb”, ha affermato il co-investigatore di UNCOVER Gabriel Brammer del Cosmic Dawn Center del Niels Bohr Institute presso l’Università di Copenaghen. “Questo è solo l’inizio di tutta la straordinaria scienza nell’era Webb.”
I mosaici di immagini e il catalogo delle fonti sull’ammasso di Pandora (Abell 2744) forniti dal team UNCOVER combinano i dati di Hubble pubblicamente disponibili con la fotometria Webb da tre primi programmi di osservazione: JWST-GO-2561, JWST-DD-ERS-1324 e JWST- DD-2756.
Nello scatto del 14 febbraio Stasera, l’autore ha ripreso il trenino dei satelliti Starlink di passaggio sopra l’Italia.
L’immagine col ponte è un montaggio di due scatti, il panorama col ponte è stato ripreso qualche minuto prima del passaggio, purtroppo da quel punto di ripresa non potevo muovermi e i satelliti, passati leggermente più a destra, sono stati riportati all’interno dell’inquadratura in post-produzione.
Nell’immagine successiva, ripresa quando i satelliti brillavano incredibilmente alti in cielo, si notano diverse formazioni celesti note, Iadi, Pleiadi, Marte, e poco a sinistra di Aldebaran, piccolissima, anche la cometina di Neanderthal.
Tonight, February 14, I managed to photograph the train of Starlink satellites passing over Italy. The image with the bridge is a montage of two shots, the panorama with the bridge was taken a few minutes before the passage, unfortunately I could not move from that point of view and the satellites, passed slightly to the right, were brought back inside the post-production shot. In the next image, taken when the satellites shone incredibly high in the sky, you can see several known celestial formations, Hyades, Pleiades, Mars, and just to the left of Aldebaran, very small, also the Neanderthal comet.
Con il Patrocinio del Comune di Fiumicino
una serata dedicata interamente al Padre della Scienza Moderna.
Conferenza sulla vita di Galileo
Osservazioni di Marte e tentativo di osservazione della cometa di Neanderthal con i telescopi moderni del Gruppo Astrofili Palidoro
INGRESSO LIBERO
Casa della Partecipazione
Via del Buttero, 10, 00057 Maccarese RM
La missione ESA/JAXA BepiColombo, in rotta per studiare Mercurio, e il Solar Orbiter ESA/NASA, che sta osservando il Sole da diverse prospettive, stanno entrambi utilizzando una serie di assist gravitazionali da Venere per cambiare le loro traiettorie e indirizzare correttamente le tracce da seguire. Il 9-10 agosto 2021, le missioni hanno sorvolato Venere a distanza di un giorno l’una dall’altra, inviando osservazioni catturate sinergicamente da otto sensori e due punti di osservazione nello spazio. I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications.
La convergenza di due veicoli spaziali su Venere nell’agosto 2021 ha fornito una visione unica di come il pianeta sia in grado di mantenere la sua densa atmosfera senza la protezione di un campo magnetico globale.
A differenza della Terra, Venere non genera un campo magnetico intrinseco nel suo nucleo. Tuttavia, intorno al pianeta viene creata una debole “magnetosfera indotta” a forma di cometa dall’interazione del vento solare – un flusso di particelle cariche emesse dal Sole – con particelle elettricamente cariche nell’alta atmosfera di Venere. Attorno a questa bolla magnetica, il vento solare viene rallentato, riscaldato e deviato come la scia di una barca in una regione chiamata “guaina magnetica”.
Durante il sorvolo, BepiColombo è volato lungo la lunga coda della guaina magnetica ed è emerso attraverso dalle regioni magnetiche più vicine al Sole. Nel frattempo, Solar Orbiter ha catturato un pacifico vento solare dalla sua posizione davanti a Venere.
“Queste doppie serie di osservazioni sono particolarmente preziose perché le condizioni del vento solare sperimentate da Solar Orbiter erano molto stabili. Ciò significava che BepiColombo aveva una visione perfetta delle diverse regioni all’interno della magnetoguaina e della magnetosfera, indisturbata dalle fluttuazioni dell’attività solare”, ha detto l’autore principale Moa Persson dell’Università di Tokyo a Kashiwa, in Giappone, che è stato finanziato per realizzare lo studio dalla Commissione Europea attraverso il progetto Europlanet 2024 Research Infrastructure (RI).
Il sorvolo di BepiColombo è stata una rara opportunità per indagare sulla “regione di stagnazione”, un’area della magnetosfera dove si osservano alcuni dei maggiori effetti dell’interazione tra Venere e il vento solare. I dati raccolti hanno fornito la prima prova sperimentale che le particelle cariche in questa regione sono rallentate in modo significativo dalle interazioni tra il vento solare e Venere e che la zona si estende per una distanza inaspettatamente grande di 1.900 chilometri sopra la superficie del pianeta.
Le osservazioni hanno anche mostrato che la magnetosfera indotta fornisce una barriera stabile che protegge l’atmosfera di Venere dall’erosione del vento solare. Questa protezione rimane robusta anche durante il minimo solare, quando minori emissioni ultraviolette dal Sole riducono la forza delle correnti che generano la magnetosfera indotta. La scoperta, contraria alle precedenti previsioni, getta nuova luce sulla connessione tra campi magnetici e perdite atmosferiche dovute al vento solare.
La convergenza del veicolo spaziale BepiColombo e Solar Orbiter su Venere nell’agosto 2021 è stata una rara opportunità per indagare sulla “regione di stagnazione”, un’area della magnetosfera venusiana dove si osservano alcuni dei più grandi effetti dell’interazione tra Venere e il vento solare.
“L’efficacia di una magnetosfera indotta nell’aiutare un pianeta a mantenere la sua atmosfera ha implicazioni per comprendere l’abitabilità degli esopianeti senza campi magnetici generati internamente”, ha affermato il coautore Sae Aizawa dell’Istituto di scienze spaziali e astronautiche (ISAS) della JAXA.
BepiColombo comprende una coppia di veicoli spaziali, Mio, il Mercury Magnetospheric Orbiter guidato da JAXA, e MPO, il Mercury Planetary Orbiter guidato dall’ESA, che sono stati montati insieme per il viaggio verso Mercurio. Lo studio ha combinato i dati dei quattro sensori di particelle di Mio, il magnetometro e un altro strumento di particelle su MPO, e il magnetometro e l’analizzatore del vento solare su Solar Orbiter. Gli strumenti di modellazione meteorologica spaziale SPIDER di Europlanet hanno permesso ai ricercatori di tracciare in dettaglio in che modo le caratteristiche del vento solare osservate da Solar Orbiter sono state influenzate mentre si propagavano verso BepiColombo attraverso la guaina magnetica venusiana.
“Gli importanti risultati di questo studio dimostrano come l’accensione dei sensori durante i sorvoli planetari e le fasi di crociera possano portare a una scienza unica”, ha affermato il coautore Nicolas Andre, coordinatore del servizio Europlanet SPIDER presso l’Institut de Recherche en Astrophysique et Planétologie (IRAP ) a Tolosa, Francia.
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Una salita sulla sommità del monte Cadrigna (1300 m.) a nord di Varese per fotografare la Via Lattea invernale e la sorpresa di trovarsi inaspettatamente sotto un cielo di un bel colore verde smeraldo! Del tutto invisibile ad occhio nudo, l’airglow (luminescenza naturale degli strati superiori dell’atmosfera), rivelato dalla posa lunga della macchina fotografica, era distribuito uniformemente al di sopra dell’orizzonte settentrionale, in una serata limpida e nonostante la presenza di un notevole inquinamento luminoso attorno al lago Maggiore. Un fenomeno sicuramente molto raro dalle nostre zone, che finora avevo ripreso solamente sotto il cielo cristallino del deserto di Atacama!
Nebulosa di Orione di Alessandro Curci Il famosissimo complesso nebulare della spada di Orione dell’omonima costellazione. La ripresa è stata eseguita in 3 serate particolarmente trasparenti di fine novembre. Sono 4 ore con filtro lpsP2 per il colore e 5 ore con filtro L_eNhance per la luminanza. Elaborazione eseguita con PixInsight e Ps Data e Ora di acquisizione 29 Novembre 2022 alle 03:00
Seahorse Nebula di Davide Broise Scattata in data 25/08/2022 sotto il cielo della Val d’Orcia. 102 scatti da 300″ l’uno per un totale di 8,5 ore di segnale.
Messier 7, come Messier 6 nell’articolo precedente, é un oggetto celeste che appartiene alla categoria degli ammassi aperti. Questa tipologia di ammassi é formata da un gruppo di stelle (anche migliaia) che sono nate nello stesso periodo da una nube molecolare gigante.
Storia delle osservazioni
M7 é un ammasso conosciuto sin dall’antichitá. La prima testimonianza scritta ci arriva dall’astronomo, astrologo e geografo greco Claudio Tolomeo (che gli da anche il nome), che lo documentó annotandolo nel suo catalogo (l’Almagesto) come un oggetto nebuloso “successivo alla coda dello Scorpione” con il numero 567. Circa mille anni dopo, nel Medioevo, l’astronomo persiano Abd al-Rahman al-Sufi impegnato nella revisione e aggiornamento del trattato di Tolomeo, lo classificó come avente una magnitudine di 4.5.
Successivamente, venne osservato anche dall’astronomo italiano Giovan Battista Hodierna nel 17esimo secolo, che contó circa trenta stelle appartenenti a questo oggetto. Nuove osservazioni vennero effettuate dall’astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille nel 1752, che scrisse: “Gruppo di 15 o 20 stelle, molto vicine l’una all’altra, nella forma di un quadrilatero”.
Charles Messier lo inserí nel suo catalogo nel 1764, descrivendolo come “un ammasso considerevolmente più grande del precedente (M6). Ad occhio nudo si presenta come una nebulosità; è situato a breve distanza dal precedente, tra l’arco del Sagittario e la coda dello Scorpione. Diametro 30’”. Una curiosità: con una declinazione di -34.8°, questo ammasso aperto é l’oggetto più meridionale dell’intero Catalogo Messier.
Fu studiato anche dall’astronomo, matematico e chimico inglese John Herschel dal Capo di Buona Speranza (nell’attuale Sud Africa) e dall’astronomo, matematico e fisico inglese Edmond Halley (lo scopritore della famosa cometa transitata l’ultima volta nel 1986).
Caratteristiche fisiche
Messier 7 si trova a poco meno di 1000 anni luce dal nostro pianeta (la sua elevata luminosità é dovuta principalmente a questo fattore) ed é composto da alcune centinaia di stelle, in genere di colore blu, con una massa totale di più di 700 volte quella del nostro Sole.
La sua età é stata calcolata in circa 200 milioni di anni e si staglia su un campo molto denso di stelle, che in realtà non appartengono ad M7, ma al bulbo galattico della Via Lattea, distante circa 30000 anni luce.
La stella piú brillante é una gigante gialla di magnitudine 5.6, quindi visibile ad occhio nudo sotto cieli bui lontano da sorgenti di inquinamento luminoso. Sono presenti anche tre giganti rosse e molte binarie spettroscopiche che sono ancora oggi oggetto di studio: in particolare, una variabile ad eclisse (una stella binaria in cui il piano orbitale delle due stelle si trova ben allineato con l’osservatore che le due componenti mostrano eclissi reciproche, transitando l’una di fronte all’altra) azzurra e decine di stelle nane osservate tramite vari studi ai raggi X.
Proprio nel mezzo di questa immagine, incastonata tra una spruzzata di stelle lontane e galassie ancora più lontane, si trova la galassia nana appena scoperta nota come Donatiello II. Se non riesci a distinguere bene il gruppo di deboli stelle che è tutto ciò che possiamo vedere di Donatiello II in questa immagine, allora sei in buona compagnia. Donatiello II è una delle tre galassie scoperte di recente che erano così difficili da individuare che sono state tutte perse da un algoritmo progettato per cercare dati astronomici per potenziali galassie candidate. Anche i migliori algoritmi hanno i loro limiti quando si tratta di distinguere le galassie molto deboli dalle singole stelle e dal rumore di fondo. In questi casi di identificazione più impegnativi, la scoperta deve essere fatta alla vecchia maniera, da un essere umano dedicato che setaccia i dati stessi.
I dati che hanno permesso queste scoperte sono stati raccolti dal Dark Energy Survey (DES), un intenso sforzo di osservazione durato sei anni, ed è stato effettuato utilizzando la Dark Energy Camera (DECam), che è montata sul Víctor M. Blanco 4- meter Telescope al Cerro Tololo Inter-American Observatory, un programma del NOIRLab della NSF. Come nel caso della maggior parte dei principali telescopi che ricevono finanziamenti pubblici, i dati del DES sono accessibili a tutti. Qui interviene la mano esperta dell’astronomo dilettante Giuseppe Donatiello. Elaborando laboriosamente i blocchi di dati DES ha individuato ben: tre galassie molto deboli, ora denominate rispettivamente Donatiello II, III e IV, tutte satelliti della ben nota galassia Scultore (altrimenti nota come NGC 253).
L’immagine proviene da un programma di osservazione del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Sulla base della propria ricerca indipendente, un team guidato da Burçin Mutlu-Pakdil ha utilizzato Hubble per ottenere immagini a lunga esposizione di diverse galassie deboli, tra cui Donatiello II. Con le immagini di Hubble, è stato possibile sia confermare l’associazione delle galassie bersaglio con NGC 253, che le scoperte di Donatiello.
Un campo nero, per lo più vuoto, con una varietà di stelle e galassie sparse su di esso. La maggior parte molto piccole. Un paio di galassie e stelle sono più grandi con dettagli visibili. Al centro c’è una galassia ancora di relative dimensioni contenute, il bagliore segna i confini della galassia Donatiello
Capita, sulla Terra, che, ogni tanto, nel corso della storia, cadano delle gocce di luce dalle stelle immense del firmamento. Queste gocce di luce brillano in mezzo alla folla di luce propria, come candele in una notte oscura. Queste gocce di luce sono persone speciali, che, ognuna a suo modo, possiede una virtù che la rende unica.
Oggi vi parlo di una di queste gocce di luce: Cecilia Helena Payne-Gaposchkin. Nacque a Wendover, a pochi chilometri da Londra, proprio nell’anno 1900. Orfana di padre in tenera età, viene allevata dalla madre assieme ai suoi due fratelli. Comincia sin da subito a manifestare una intelligenza curiosa, imparando prima dei dieci anni il francese, il tedesco e il latino. Quando ha 12 anni, si trasferisce a Londra, dove inizia a frequentare il St.Mary’s College, una scuola religiosa. Come spesso accade alle menti frizzanti, non trovando molti stimoli, decide di inventare da sé i suoi interessi, che la spingono a lambire le coste della scienza. E lo fa cominciando proprio dalle basi: i Principia di Newton. Accortisi dell’intelligenza non comune di Cecilia, una nuova insegnante di scienze le dà in prestito alcuni libri di fisica e la porta a visitare i musei londinesi. Parallelamente alla scienza, Cecilia, coltiva la musica, entrando a far parte dell’orchestra della St. Paul Girls’ School.
Grazie alle sue spiccate doti scientifiche, nel 1919 vince una borsa di studio che le permette di entrare al Newnham College, il college femminile dell’Università di Cambridge, dove Cecilia completa la sua preparazione arricchendo il suo scibile con la chimica e la botanica. In quel tempo e prima del 1948, a Cambridge alle studentesse non veniva riconosciuta la laurea al termine del loro percorso di studi, come accadeva per i colleghi uomini.
Lo stesso anno, Cecilia resta folgorata dalla conferenza di Sir Arthur Eddington, durante la quale l’illustre astrofisico britannico presentava i risultati delle misurazioni effettuate durante un’eclissi di Sole nell’isola di Príncipe, al largo delle coste occidentali dell’Africa, che confermano la validità della teoria della relatività generale di Albert Einstein.
Qui Cecilia capisce che la sua strada è disegnata: deve essere astrofisica. Per questo motivo, completa i suoi studi nel 1922, ma, ancora una volta, nel Regno Unito, per una donna era impossibile proseguire gli studi con un dottorato di ricerca. Ma la sua passione la porta a seguire una lezione sull’Universo del professor Harlow Shapley, l’allora direttore dell’Osservatorio di Harvard, e, parlando con lui, Shapley la convince a proseguire gli studi con lui negli Stati Uniti, dove approda l’anno successivo.
Nel 1925 consegue il dottorato di ricerca, la prima donna ad Harvard ad ottenerlo, con una tesi intitolata “Atmosfere stellari”. In questo lavoro, applicando metodi di analisi innovativi che aveva approfondito da sola, Cecilia era riuscita a calcolare l’abbondanza degli elementi chimici delle stelle attraverso l’osservazione del loro spettro. Questo era un passo importante per l’astronomia perché dimostrava che le stelle sono fatte principalmente da idrogeno ed elio a differenza della credenza dell’epoca che le riteneva costituite da atomi pesanti come alluminio, ferro o silicio, come quelli presenti nella crosta terreste.
Poteva una donna, poco più che ventenne, rivoluzionare il mondo della chimica stellare? Certo che no! Per questo, il professor Henry Norris Russell, quello diagramma Hertzsprung-Russell, la convinse a rivedere le conclusioni del lavoro che, successivamente, pubblicò a suo nome nel 1929, citando Cecilia Payne solo marginalmente.
Dopo il dottorato, Cecilia lavorò come assistente di Shapley, accettando un impiego sottopagato rispetto ai colleghi uomini e soltanto anni riuscì ad ottenere il ruolo ed il titolo di astronomo da parte dell’accademia.
Nel 1934 Cecilia sposò l’astronomo Sergei Gaposchkin, che aveva aiutato a fuggire dalla Germania nazista, cambiò il suo cognome in Payne Gaposchkin e, con lui ebbe tre figli: Edward, Katherine e Peter.
Solo nel 1956, Cecilia divenne ufficialmente professoressa ad Harvard e Direttore del Dipartimento di Astronomia, la prima donna a ricoprire un ruolo così importante nella rinomata università americana, dove resterà in carica fino al 1965, anno del suo ritiro.
Nel 1976 le fu assegnato il prestigioso premio “Henry Norris Russell”, il più alto riconoscimento della Società Astronomica Americana. In quell’occasione dichiarò: “La vera ricompensa per un giovane scienziato è l’emozione che prova nell’essere la prima persona nella storia del mondo a vedere o capire qualcosa di nuovo. Niente può essere paragonato a questa esperienza”.
La sua intelligenza e la sua curiosità la spinse a ricevere diverse medaglie, premi e riconoscimenti. Nel capitolo 22 della sua autobiografia, capitolo che si intitola “Sull’essere una donna”, Cecilia scrisse: “Essere una donna è stato un grande svantaggio. È un racconto di salari bassi, mancanza di status, progressione lenta. Ma ho raggiunto vette che non avrei mai osato immaginare 50 anni fa, neanche nei miei sogni. È stato un caso di sopravvivenza, di persistenza accanita. […] I giovani, e specialmente le giovani donne, spesso mi chiedono un consiglio. Eccolo, valeat quantum. Non intraprendete una carriera scientifica alla ricerca di fama o di soldi. Ci sono modi più semplici ed efficaci per questo. Intraprendete [una carriera scientifica] solo se null’altro vi può soddisfare, perché probabilmente non riceverete null’altro in cambio. Il vostro premio sarà l’ampliarsi dell’orizzonte durante la scalata. E se raggiungerete questa ricompensa, non chiederete altro”.
English Version
Cecilia Helena Payne-Gaposchkin
It happens, on Earth, that, every now and then, throughout history, drops of light fall from the immense stars of the firmament. These drops of light shine in the crowd of their own light, like candles on a dark night. These drops of light are special people, who, each in their own way, possess a virtue that makes it unique.
Today I tell you about one of these drops of light: Cecilia Helena Payne-Gaposchkin. He was born in Wendover, a few kilometers from London, in the year 1900. Orphaned by her father at an early age, she was raised by her mother together with her two brothers. He immediately began to manifest a curious intelligence, learning before the age of ten French, German and Latin. When he was 12 years old, he moved to London, where he began attending St. Mary’s College, a religious school. As often happens to sparkling minds, not finding many stimuli, she decides to invent her own interests, which push her to lap the shores of science. And it does so starting with the basics: Newton’s Principia. Aware of Cecilia’s uncommon intelligence, a new science teacher lends her some physics books and takes her to visit London’s museums. Parallel to science, Celilia cultivates music, joining the orchestra of St. Paul Girls’ School.
Thanks to her strong scientific skills, in1919 she won a scholarship that allowed her to enter Newnham College, the women’s college of the University of Cambridge, where Cecilia completed her preparation enriching her knowledge with chemistry and botany. At that time and before 1948, in Cambridge the students were not recognized as graduating at the end of their studies, as was the case for their male colleagues.
The same year, Cecilia was struck by Sir Arthur Eddington’s lecture, during which the illustrious British astrophysicist presented the results of measurements made during an eclipse of the Sun on the island of Príncipe, off the western coast of Africa, which confirm the validity of Albert Einstein’s theory of general relativity.
Here Cecilia understands that her path is drawn: she must be an astrophysical. For this reason, she completed her studies in 1922, but, again, in the United Kingdom, it was impossible for a woman to continue her studies with a PhD. But her passion led her to follow a lecture on the Universe by Professor Harlow Shapley, the then director of the Harvard Observatory, and, talking to him, Shapley convinced her to continue her studies with him in the United States, where she landed the following year.
In 1925 she obtained her Ph.D., the first woman at Harvard to obtain it, with a thesis entitled “Stellar Atmospheres”. In this work, by applying innovative methods of analysis which she had explored on her own, Cecilia had succeeded in calculating the abundance of the chemical elements of stars by observing their spectrum. This was an important step for astronomy because it shows that stars are mainly made of hydrogen and helium unlike the belief of the time that they consisted of heavy atoms such as aluminum, iron or silicon, such as those present in the earth’s crust.
Could a woman, in her early twenties, revolutionize the world of stellar chemistry? Of course not! For this, Professor Henry Norris Russell, that Hertzsprung-Russell diagram, convinced her to revise the conclusions of the work that, subsequently, he published in his name in 1929, citing Cecilia Payne only marginally.
After her doctorate, Cecilia worked as Shapley’s assistant, accepting an underpaid job compared to her male colleagues and over the years she managed to obtain the role and title of astronomer from the academy.
In 1934 Cecilia married the astronomer Sergei Gaposchkin, who had helped escape Nazi Germany, changed her surname to Payne Gaposchkin and, with him, had three children: Edward, Katherine and Peter.
Only in 1956, Cecilia officially became a professor at Harvard and Director of the Department of Astronomy, the first woman to hold such an important role in the renowned American university, where she remained in office until 1965, the year of her retirement.
In 1976 she was awarded the prestigious Henry Norris Russell Award, the highest award of the American Astronomical Society. On that occasion he declared: “The real reward for a young scientist is the emotion he feels in being the first person in the history of the world to see or understand something new. Nothing can compare to this experience.”
Her intelligence and curiosity led her to receive several medals, awards and recognitions. In chapter 22 of her autobiography, a chapter entitled “On Being a Woman,” Cecilia wrote: “Being a woman was a great disadvantage. It’s a tale of low wages, lack of status, slow progression. But I have reached heights that I would never have dared to imagine 50 years ago, not even in my dreams. It was a case of survival, of relentless persistence. […] Young people, and especially young women, often ask me for advice. Here it is, valeat quantum. Do not embark on a scientific career in search of fame or money. There are simpler and more effective ways for this. Undertake [a scientific career] only if nothing else can satisfy you, because you probably won’t receive anything else in return. Your reward will be the widening of the horizon during the climb. And if you achieve this reward, you will not ask for anything else.”
Anche per questo 2023 l’Accademia delle Stelle organizza corsi di Astronomia e Archeoastronomia base ed avanzata.
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L’Astronomia ha plasmato la cultura antica in modi incredibili, lasciando traccia di sè nel mito, nella religione, nell’architettura di tutte le epoche. Sono innumerevoli gli esempi che vedremo, tra archeologia, numerologia, simbologia, letteratura antica e arte rinascimentale, origine delle costellazioni e semantica del cielo, comprese scoperte originali del docente.
Per comprendere la fisica dei più importanti fenomeni astronomici: 8 conferenze su argomenti fondamentali spesso esclusi dai corsi base di astronomia. Include retroscena poco noti e illuminati di storia dell’Astronomia e approfondimenti di fisica quantistica.
Dal 12 al 15 maggio di terrà la settima edizione della scuola di formazione in archeoastronomia organizzata in seno all’Unione Astrofili Italiani del direttore dell’Accademia delle Stelle, Paolo Colona, riconosciuta MIUR come corso di aggiornamento per docenti e rivolta a tutti gli appassionati della materia. Fruibile sia in presenza sia in collegamento telematico, sarà ospitata come di consueto nella prestigiosa sede del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma.
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L’Accademia delle Stelle è una Scuola di Astronomia: dal 2010 tiene presso le proprie sedi moltissimi corsi di Astronomia Paolo Colona al TG2 (base, avanzata, pratica) e scienze affini (Archeoastronomia, Astronomia Culturale, Astrofotografia, Astronomia insolita e curiosa, eccetera), proponendo anche vacanze-studio di Astronomia amatoriale e teorica, avvalendosi della competenza di Paolo Colona, fisico, archeoastronomo, divulgatore e astrofilo di lunga esperienza. I nostri corsi hanno ricevuto il patrocinio della UAI.
A metà dicembre è uscito nei cinema il secondo episodio di Avatar, sequel di James Cameron che ne rivela la forte indole ambientalista. Grazie a questo strepitoso film, da gustare al cinema o in 3D (non si direbbe ma in redazione siamo amanti ancora del grande schermo, meglio se di nicchia e un po’ vintage) abbiamo iniziato a prendere confidenza con Pandora, un sistema-pianeta che si autoregola. In un periodo storico, attraversato dall’umanità, in cui la crisi climatica ha invaso la scena di ogni valutazione per lo sviluppo futuro, il tema del colossal è quanto meno attuale e, sebbene la trattazione sia ampia, con poche righe Marco Sergio Erculiani ci sposta dalla finzione alla realtà per introdurre almeno in parte, gli spunti concreti alla base dell’ipotesi di Gaia.
La coscienza di un pianeta
come l’attività collettiva della vita ha cambiato il pianeta Terra.
Spesso mi soffermo a pensare a cosa rappresenti l’essere umano. Siamo proprio sicuri della nostra unicità? E della nostra dominanza evolutiva? Biologicamente parlando, l’essere umano non è il più evoluto fra gli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi sono evoluti a modo loro e, se sono arrivati fino ad oggi, è perché hanno adottato le migliori strategie per adattarsi all’ambiente in cui vivono. Gli altri: estinti. Spesso si parla di resilienza in termini errati, una parola che oggigiorno è decisamente abusata. Io parlerei più di fitness. Resilienza infatti implica che un organismo sia duro e puro e resistente ovunque. La fitness invece è la capacità riproduttiva e di sopravvivenza di un particolare organismo in un dato ambiente e nei confronti di un altro organismo della stessa specie. Porta con sé una coscienza collettiva.
Le piante sono un buon esempio per comprendere la differenza. Esse hanno sviluppato un metodo per adattarsi e proliferare sul nostro pianeta che si chiama fotosintesi. Non intenzionalmente ma a causa dell’evoluzione e dell’affinamento di questo processo, esse rilasciano ossigeno. Il rilascio di questa molecola fin dalle prime fasi dello sviluppo di questo adattamento evolutivo, ha cambiato l’intera funzione della Terra. Questo processo ha quindi segnato la storia evolutiva dell’intero pianeta. Ma questo è solo un esempio di tutte le singole forme di vita che, vivendo la propria esistenza, collettivamente hanno un impatto non indifferente su scala planetaria. Cosa possiamo dedurre da questa constatazione? Che ogni essere sulla Terra è una goccia nel mare della vita: fa parte insomma di esso ma è irrimediabilmente interconnesso con le altre gocce. Come le fibre di un enorme tappeto, la cui trama rappresenta il volto del nostro pianeta. Quindi, è possibile che l’attività della vita, la biosfera, abbia plasmato il mondo, è verosimile che anche l’azione intenzionale, basata sull’attività collettiva della cognizione e le azioni che ne derivano possano fare altrettanto. Significa che, vista da questo punto di vista, la Terra potrebbe avere una vita propria, come un immenso organismo.
L’ipotesi di una intelligenza comune: l’ipotesi di Gaia
L’idea non è del tutto nuova. Infatti l’ipotesi di Gaia dice che la biosfera interagisce con i sistemi geologici come aria, acqua e terra per mantenere lo stato abitabile della Terra. Quindi, una specie non tecnologicamente evoluta come la biosfera può mostrare una sorta di intelligenza planetaria e l’attività collettiva della vita crea un sistema che si auto-mantiene. Già a metà del secolo scorso, insospettabilmente, Erwin Schrödinger, il celeberrimo fisico austriaco, descrisse la cellula vivente come un sistema in grado di seguire la seconda legge della termodinamica, consumando cibo a bassa entropia e producendo rifiuti ad alta entropia. Nel loro piccolo, le cellule sono assimilabili, secondo la teoria di James Lovelock e Lynn Margulis al sistema Terra. Quest’ultima è proprio come una cellula vivente: dissipativa.
Come le cellule, anche la Terra e gli organismi che la abitano hanno meccanismi di regolazione simili in grado di mantenere condizioni più adatte alla vita.
Le componenti centrali dell’ipotesi di Gaia possono essere suddivise in quattro criteri generali, che sono caratteristiche anche della termodinamica: disequilibrio, interazione, ottimizzazione, omeostasi. Il disequilibrio sulla Terra si riflette nelle forme di energia libera, come energia cinetica in movimento o energia potenziale. Nella chimica l’energia libera si manifesta tra carboidrati idrocarburi e ossigeno mentre nell’uomo si manifesta nella capacità dell’uomo di mantenere il suolo in uno stato non naturale, modificato con le infrastrutture e la tecnologia. Per quanto riguarda le interazioni, sappiamo che la vita influenza il suo ambiente ed interviene all’interno di esso, interagisce appunto.
Figura 1: L’ipotesi di Gaia. La radiazione solare aggiunge energia a bassa entropia al sistema Terra, che viene convertita da diversi processi in forme diverse. La dinamica risultante distribuisce questa energia, cambia le proprietà materiali e radiative del pianeta, in modo che lo stato termodinamico del pianeta derivi da queste conversioni di energia e dalle loro interazioni. Crediti: Kleidon 2010.
Islanda, terra di ghiaccio e di fuoco. Una terra magica piena di bellezza mozzafiato. Una terra dove Madre Natura impone i suoi ritmi e la sua supremazia. Una terra di vento costante, di sabbie nere, di vulcani, di ghiacciai e di cascate imponenti. Una terra che sconvolge, la si ama o la si odia. Io sogno di tornarci, tornarci e tornarci. Isole Lofoten, Norvegia. Un altro nord, oltre il circolo polare artico, una terra di cime di montagne immerse nell’acqua cristallina dei fiordi, villaggi di pescatori, strade che girano e girano intorno agli specchi d’acqua e che si inabissano nei tunnel o elevano sui ponti per passare da un’isola all’altra.
Terre poste al nord, poco sotto o poco sopra il circolo polare artico, terre bellissime. E la notte. La notte riserva meraviglie. Nella notte artica il cielo risplende di stelle.
Infinite, splendenti stelle disegnano arabeschi conosciuti, ma diversi: la stella polare è altissima nel cielo e si è trascinata dietro tutte le altre, l’Orsa Maggiore, Cassiopea, il Cigno, le Pleiadi che risplendono alte e luminose.
Poi appare una piccola nuvola. È strana, quasi una nebbia, ma si agita e allora rivela il suo vero colore prendendo potenza. È la luce del Nord, l’Aurora boreale, che è comparsa eterea nel cielo artico.
Night rainbow: Islanda 2021, Cascata Godafoss. Aurora visibile sopra il cielo nuvoloso come una diffusa luce verse, senza particolare forma. L’arcobaleno era dato dalla rifrazione delle goccioline prodotte dalla cascata, alla luce dei fari dei camion percorrenti la vicina strada. Grandangolo equivalente 22 mmm, ISO 1600, f/4,0, 15 sec.
La fata verde si allunga, srotola nastri, disegna archi, bacchette, note nel cielo scuro eppur punteggiato di stelle.
Danza nel vento solare, prende vigore, dardeggia colore e colori, regala emozioni e stupore, poi si acquieta lasciando veli leggeri, si riposa e poi ancora ritorna, gioisce, disegna curve ed angoli di luce brillante e continua e continua poi forse improvvisamente timida torna a nascondersi e nuovo e pulito risplende immenso il manto silenzioso di stelle.
L’aurora boreale è un fenomeno visivo che si verifica all’interno dell’atmosfera terrestre, caratterizzato principalmente da bande luminose di un’ampia varietà di forme e colori che cambiano velocemente nel tempo e nello spazio, più spesso di colore verde, con elementi di colore rosso o talvolta azzurro ed anche viola, causato dall’interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) provenienti dal vento solare con la ionosfera terrestre (parte dell’atmosfera compresa tra i 100–500 km): tali particelle eccitano gli atomi dell’atmosfera che successivamente, al momento di tornare al livello energetico precedente, emettono luce di varie lunghezze d’onda.
A northern sky: Lofoten 2019. Aurora ripresa dall’interno di un rorbu, una tipica casetta rossa dei pescatori. Grandangolo equivalente 18 mm, ISO 4000, f/4,0, 4 sec.
Per via della particolare geometria del campo magnetico terrestre, la carica di particelle provenienti dal Sole viene indirizzata verso i due poli magnetici della Terra, il Polo Nord e il Polo Sud dove il campo magnetico terrestre è più debole consentendo ad alcune particelle di passare e colpire l’atmosfera attorno ai poli formando una specie di anello, chiamato ovale aurorale. Questo anello è centrato sul polo magnetico, spostato di circa 11° rispetto al polo geografico e ha un diametro variabile a seconda dell’intensità del vento solare che non è costante, ma dipende dall’attività solare, nel suo ciclo undecennale e anche da flare o brillamenti solari occasionali e dalla presenza di macchie solari.
Chiamata comunemente aurora boreale, è in effetti un fenomeno che si verifica su entrambi i poli, assumendo il nome di aurora boreale nell’emisfero nord e aurora australe nell’emisfero sud; in quest’ultimo caso gli avvistamenti del fenomeno da parte di persone sono estremamente rari, dato che è possibile esclusivamente al personale delle varie basi scientifiche poste in Antartide.
Gli avvistamenti dell’aurora boreale sono invece molto più comuni, essendo molto più abitate e facilmente raggiungibili le terre dove si verifica il fenomeno.
Dopo 37 Sol di lavori, iniziati il 21 dicembre terrestre, Perseverance ha portato a termine la deposizione delle dieci fiale bianche di titanio che si trovano ora sulla piana della regione Three Forks.
Concludiamo quindi i nostri mosaici con l’aggiunta delle ultime due panoramiche scattate dalla camera Watson nei minuti successivi al rilascio dei contenitori nei Sol 682 e 690 (20 e 28 gennaio).
In queste foto ci troviamo davanti al campione Atsà, sigillato il 13 marzo 2022, e al tubo testimone chiamato Amalik chiuso il 14 ottobre sempre dello scorso anno. Questa particolare categoria di fiale, chiamata in inglese witness tube, è stata precaricata in laboratorio con materiali in grado di assorbire sostanze che lo stesso rover potrebbe potenzialmente rilasciare quali gas, residui chimici, materiali organici e inorganici.
I tubi testimone sono di volta in volta aperti da Perseverance e subiscono le stesse manipolazioni delle fiale standard, transiti nel trapano compresi, prima di essere nuovamente sigillati.
L’utilità è permettere agli scienziati di caratterizzare con precisione l’ambiente nel quale i campioni sono stati raccolti, e determinare l’origine terrestre di eventuali contaminanti. Il witness tube Amalik è l’unico a essere stato rilasciato nel corso di queste settimane, mentre gli altri due preparati dal rover tra il 2021 e il 2022 resteranno nella sua “pancia”.
La conclusione di questo mese e mezzo di operazioni permetterà ora a Perseverance di riprendere la via del Delta attraverso il passaggio chiamato Hawksbill Gap, già esplorato alcuni mesi fa. La chiusura della campagna Delta Front permetterà l’inizio della Delta Top, che dovrebbe tenere Perseverance impegnato per otto mesi.
Gli scienziati sono pronti a osservare dei profondi cambiamenti nel terreno che il rover esplorerà e in particolare nell’aspetto delle rocce, che daranno indizi chiave ai geologi per la comprensione della loro origine.
Nella parte bassa e iniziale del delta, sino alle pendici già esplorate del rilievo Rocky Top, ci siamo trovati in presenza di materiali che sembrano essersi formati in un ambiente lacustre.
Man mano che Perseverance continuerà a risalire il Delta e allontanarsi da questa regione le rocce che incontrerà avranno caratteristiche compatibili con quelle di materiale fluviale, eroso dall’acqua e qui trasportato per lunghe distanze da un antichissimo fiume.
Una delle prime tappe per il rover sarà un banco di sabbia visibile dalle immagini satellitari chiamato Curvilinear Unit. Gli scienziati presumono che si tratti di un deposito di sedimenti localizzato in quella che fu un’ansa del fiume, possibile sito con presenza di arenaria e argillite. Un’area eccellente per iniziare a scoprire di più sui processi geologici che sono occorsi poco fuori dal Cratere Jezero.
Vi ricordo che potete seguire gli spostamenti del rover, passati e futuri, nella pagina messa a disposizione dalla NASA e aggiornata quotidianamente:
Percorso programmato per la campagna Delta Top di Perseverance. Crediti: NASA/JPL-Caltech
3…2…1…cheese!
Qualche giorno prima del rilascio dell’ultima fiala i tecnici del JPL hanno istruito il rover per eseguire una serie di scatti, ancora una volta con la versatile camera montata sul braccio robotico. Il risultato di 62 foto acquisite nell’arco di 46 minuti è ammirabile nell’immagine sottostante.
NASA/JPL-Caltech/Piras
Ho realizzato anche una versione panoramica a 360° che può essere navigata ed esplorata a piacimento (il massimo livello di dettaglio si ottiene, purtroppo, solo osservandola tramite la app di Facebook).
Dalla sua posizione Perseverance sembra quasi compiaciuto del Sample Depot da lui creato, con tutte le fiale bianche rintracciabili (qualcuna più facilmente di altre) nell’immagine ad alta risoluzione. Se siete perplessi su dove sia orientata la testa del rover la risposta è sì, ci sono due versioni della foto. In una Perseverance guarda in camera e nell’altra guarda al suolo, precisamente sull’orma lasciata dalla sua ruota anteriore sinistra. La differenza sono esattamente tre foto!
Osservando l’immagine in dettaglio potrebbe inoltre sorgere un ragionevole dubbio: dov’è il braccio che ha scattato le foto? Ed ecco che viene fuori l’ingegno dei tecnici della NASA.
Selfie stick e tanta precisione
Sfruttando la mobilità del braccio dotato di cinque gradi di libertà (gli snodi, per intenderci) il rover ha fatto in modo di muovere opportunamente la sua appendice durante la sessione di ripresa così che in nessuna foto l’arto robotico fosse inquadrato.
Complicato? Proviamo a vedere in video come si svolge la movimentazione nel corso di una di questi lunghe sessioni di autoscatto.
L’occasione ci è fornita da una serie di fotografie eseguite nel Sol 46 poco dopo la conclusione della lunga operazione di rilascio dell’elicottero Ingenuity. Era il lontano 6 aprile 2021 e, mentre la camera Watson scattava le sue foto, analoghe acquisizioni erano svolte dalla NavCam di sinistra che riprendeva proprio la torretta in cima al braccio robotico.
Le foto che vedete scorrere sono perfettamente sincronizzate tra loro.
È affascinante osservare la precisione con cui il braccio robotico ruota per riprendere il paesaggio tutto attorno.
Un passaggio importante del video, fondamentale per rispondere finalmente alla domanda, si trova al secondo 40.
Il rover sta riprendendo il suolo e un’area molto critica, vale a dire lo snodo della “spalla”. In questo momento avviene una importante movimentazione dell’intero braccio che cambia la sua orientazione, si sposta sul lato dove le riprese sono appena state effettuate e può proseguire le acquisizioni!
Ripropongo qui di seguito un loop con i secondi di video a cui faccio riferimento.
È grazie a questo trucco che l’unione degli scatti può avvenire riducendo al minimo le interferenze visive del braccio da oltre due metri di lunghezza.
Un’altra finezza tecnica ci è suggerita dal movimento estremamente complesso della torretta che per buona parte del video ruota molto precisamente attorno al centro ottico della camera Watson.
Questo accorgimento, comunissimo nella fotografia panoramica, evita l’errore di parallasse che si introdurrebbe nel momento in cui le foto risultassero scattate da posizioni non coincidenti tra loro anche solo per pochi millimetri.
L’incidenza dell’errore è inversamente proporzionale alla distanza del soggetto fotografato: le montagne non risentirebbero di questa differenza, al contrario dei vicinissimi particolari del rover che soffrirebbero di un indesiderato effetto stereoscopico. La parallasse è sfruttata con successo da altre camere, montate in coppie in modo da sfruttare l’effetto risultante e produrre ricostruzioni tridimensionali dell’ambiente. Il software di navigazione autonoma è così avanzato che sfrutta queste immagini per decidere quale strada percorrere per arrivare in una determinata posizione evitando ostacoli e aree pericolose.
In queste settimane, dalla sua posizione a Three Forks, Perseverance ha prodotto anche altre belle immagini più convenzionali.
C’è per esempio una bella panoramica recente, scattata qualche tempo prima del rilascio della decima fiala ma con il rover che era già posizionato nella zona prestabilita per l’operazione. Da questo punto di vista rivolto a sud il rover ci mostra tutte le nove fiale che si è lasciato dietro, qui evidenziate con i cerchietti e numerate. Si tratta di una piccola porzione di un mosaico a 360°, realizzato combinando 47 scatti della MastCam-Z di sinistra. Aprendo l’immagine in alta risoluzione e usando le fiale come riferimenti non dovreste faticare troppo a percorrere a ritroso le tracce sulla sabbia.
Per non perdere l’orientamento vi rammento il percorso seguito dal rover durante queste settimane sfruttando ancora una volta la bella immagine prodotta dai grafici della NASA che supportano la divulgazione al grande pubblico.
NASA/JPL-Caltech
È invece ancora più recente, solo del 31 gennaio, la prima serie di immagini del tubo testimone Malik con il paesaggio marziano di contorno. La visuale sottostante ci è offerta dalla nostra fidata Left NavCam.
NASA/JPL-Caltech/Piras
Torniamo indietro di qualche settimana rispetto a queste immagini, precisamente all’8 gennaio. In quella giornata Perseverance ha scattato un altro maestoso panorama.
Stavolta navighiamolo in video, e aguzzate la vista!
Ebbene sì, dopo svariati mesi di lontananza Perseverance è tornato a vedere il suo collega Ingenuity! Al momento dello scatto i due risultavano distanti appena 270 metri grazie agli ultimi spostamenti dell’elicottero che si è portato verso ovest per riavvicinarsi al rover. Si riaprono così le azioni di supporto sotto forma di ricognizioni aeree nell’area variegata e accidentata che aspetta i due esploratori robotici.
E intanto dov’è arrivato Ingenuity?
Avevamo lasciato l’elicottero a fine dicembre con il 38esimo volo ancora da compiere, in ritardo rispetto allo svolgimento previsto per il 24 dicembre.
Il volo si è svolto il 4 gennaio con uno spostamento di 111 metri compiuti in 74 secondi. È da questo sito di atterraggio, Airfield Z, che Ingenuity è stato fotografato da Perseverance.
Abbiamo dovuto aspettare l’11 gennaio per vedere il volo successivo, che non ha prodotto uno spostamento netto. Si è trattato infatti di un ulteriore test delle funzionalità legate all’aggiornamento del software di volo, e per questo scopo Ingenuity si è spostato avanti e indietro per complessivi 140 metri atterrando nello stesso punto del decollo (con uno scarto di appena due metri). In quest’area il suolo è molto sabbioso, quindi abbiamo potuto osservare le quattro piccole orme lasciate dalle gambe di atterraggio. Il computer di bordo ha correttamente scelto un’area priva di ostacoli (rilevati tramite un’analisi del contrasto delle immagini della camera di navigazione) ma sensibilmente inclinata. Il posizionamento sulla duna è visibile chiaramente anche nella panoramica video che vi ho mostrato poco sopra.
Il rischio che al decollo Ingenuity acquisisca quota rimanendo storto, spostandosi così dalla verticale ideale, è scongiurato dall’uso dell’inclinometro che misura l’orientamento dell’elicottero pochi istanti prima del decollo. In questo modo eventuali correzioni di assetto possono essere eseguite repentinamente riportando il velivolo sull’asse ideale.
Il volo numero 40 ha avuto luogo il 19 gennaio, con uno spostamento di 178 metri in 92 secondi. Avendo terminato le lettere dell’alfabeto latino bisogna passare a quello greco, perciò Ingenuity è atterrato a Airfield Beta. Manca l’alfa? In effetti sì, le mie ricerche di un eventuale “Airfield Alpha” sono state inconclusive. È probabile che si sia deciso di saltare la prima lettera greca per non togliere prestigio all’area di volo che ha visto il primo decollo di un aeromobile su un altro pianeta, ufficialmente denominata Wright Brothers Field. La tesi è supportata dal fatto che non esiste neppure un “Airfield A”.
Sono gli imprevisti di nomenclatura che insorgono quando il tuo drone avrebbe dovuto fare 5 voli e invece arriva a 41.
Esatto, abbiamo anche il 41esimo! Quello che attualmente è l’ultimo volo si è svolto il 27 gennaio. In 109 secondi Ingenuity ha coperto la distanza complessiva di 183 metri tra andata e ritorno, atterrando a pochi metri di distanza dall’esatto punto di decollo. Non si è trattato né di un volo di riposizionamento né di uno di test, ma è stato ufficialmente definito un volo esplorativo. L’elicottero ha iniziato ad acquisire informazioni sul terreno del rilievo già menzionato chiamato Rocky Top che Perseverance si appresta a risalire nelle prossime settimane.
Rocky Top come visto da Ingenuity durante il volo numero 41 nel Sol 689. NASA/JPL-Caltech/PirasUn’altra visuale della medesima formazione rocciosa qui fotografata quattro giorni marziani dopo il volo. Da notare il materiale più scuro portato in superficie nel momento dell’atterraggio, visibile nella metà superiore della foto. Apparentemente Ingenuity è scivolato all’indietro di pochi centimetri a causa della lieve inclinazione dell’increspatura sabbiosa sulla quale si è posato. NASA/JPL-Caltech/Piras
A conclusione di questo ricchissimo aggiornamento marziano vi presento una carrellata con i voli di Ingenuity dal 37 al 41. Le immagini della camera di navigazione in bianco e nero e di quella a colori sono perfettamente sincronizzate tra loro, così come lo scorrimento della mappa. Per questioni di fruibilità i video sono velocizzati a 3x, se volete gustarveli in tempo reale potete scalare a 0.35x la velocità di riproduzione.
Non mi resta che augurarvi buona visione e darvi appuntamento alla prossima news!
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