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NEIL ARMSTRONG The First

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Neil Armstrong

Il 20 luglio 1969, noi esseri umani del pianeta Terra, eravamo su un altro mondo.
In quel preciso istante iniziava una nuova era dell’umanità.

Una mostra itinerante sulla vita e la carriera di Neil Armstrong commemorerà il 50° anniversario di Apollo 11 e tutto il programma lunare, include le foto della carriera di Neil Armstrong con scatti inediti o poco noti al grande pubblico. Potrete ammirare i modelli dei veicoli spaziali utilizzati da Neil Armstrong, le tute e le attrezzature utilizzate sulla superficie lunare, documenti originali, rari reperti dell’epoca, ricostruzioni a grandezza naturale. Video e suoni multimediali accompagneranno il visitatore nel più grande sogno dell’uomo: quello di raggiungere la Luna.
Leggi a pag. 176 di Coelum Astronomia 232 un articolo sulla mostra con tutti i dettagli.
Sul sito il calendario delle date e le località in continuo aggiornamento. Prossime date pubbliche confermate:

6 – 10 SETTEMBRE – OFFANENGO (CREMONA)
10.09, ore 20:30: Conferenza di Luigi Pizzimenti

Se desiderate ospitare la mostra scrivete a: info@neilarmstrongthefirst.it
www.neilarmstrongthefirst.it

Astronomiamo

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Locandina-Coelum-Settembre2019

06.09: presentazione stagione 2019, diretta streaming

12.09: Apollo 11, ritorno al ’69, diretta streaming

21.09: Equinozio di Autunno, Santa Maria degli Angeli

Per tutte le informazioni: https://www.astronomiamo.it

8 settembre, ore 21:30 Congiunzione Luna e Saturno

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Proseguono gli incontri tra la Luna e i pianeti brillanti del cielo della sera. Questa volta tocca a Saturno avvicinare Selene: il teatro dell’incontro sarà quello della costellazione del Sagittario, a poca distanza dalle stelle Pi, Omicron e Xi Sagittarii. La Luna (fase del 76%) si troverà a 2° 47’ di distanza da Saturno (mag. +0,37), ed entrambi i soggetti saranno alti circa 25° nel cielo del crepuscolo serale verso sud-sudovest. Con il passare delle ore, il duetto attraverserà il cielo della sera fino a tramontare dietro l’orizzonte di sudovest attorno all’1:30 del giorno 9.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Settembre 2019

E ancora su Coelum astronomia 236

➜ La Luna di Settembre 2019
e una guida per l’osservazione dal cratere Taruntius fino al lato orientale del Sinus Asperitatis.

➜ La Luna immersa nei colori pastello per riprese da favola!

La costellazione del Delfino:  piccola ma ben distinta tra le autunnali costellazioni “acquatiche”.


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Settembre su Coelum Astronomia 236

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Chandrayaan-2: Vikram si è probabilmente schiantato sulla Luna

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Una rappresentazione artistica del veicolo spaziale Chandrayaan-2, composto da un orbiter, un lander (Vikram) e un rover (Pragyan). Crediti: ISRO.
Una rappresentazione artistica del veicolo spaziale Chandrayaan-2, composto da un orbiter, un lander (Vikram) e un rover (Pragyan). Crediti: ISRO.

È ancora vivo nella nostra mente il ricordo della straordinaria impresa dell’Apollo 11 e del primo uomo sulla Luna, di cui abbiamo da poco festeggiato il 50° anniversario, e se siamo portati a pensare che raggiungere la Luna sia stato un compito certamente arduo negli anni ’60 del XX secolo ma che, tutto sommato, sia semplice per la tecnologia odierna, forse dovremmo ricrederci. Conquistare la Luna è stata e rimane un’impresa difficile e densa di rischi. Lo dimostra ancora una volta, sfortunatamente, il tentativo fallito di allunare della missione Chandrayaan-2, dell’agenzia spaziale indiana (ISRO, Indian Space Research Organization).

Era previsto per la sera del 6 settembre alle 22:22 circa (ora italiana) l’allunaggio del lander Vikram (termine che in sanscrito significa “valore”) con il suo piccolo rover “Pragyan” (“saggezza”). Purtroppo la delicata discesa verso la Luna si è conclusa con un insuccesso, con il probabile schianto del veicolo spaziale. Un triste evento che riporta alla mente il recente insuccesso del lander israeliano Beresheet, di cui abbiamo parlato qualche mese fa, e che di fatto sancisce l’ancora elevata difficoltà di compiere missioni di questo genere.
Il tentativo di atterraggio sarebbe avvenuto in una pianura situata vicino al polo sud lunare, sulla faccia visibile della Luna, tra i crateri Manzinus C e Simpelius N. Il sito si trova vicino a -71° S e un touchdown di successo lo avrebbe reso l’atterraggio morbido più vicino a un polo lunare compiuto fino a oggi.

La traiettoria del lander Vikram con livello di dettaglio crescente, sugli schermi della control room. Crediti: ISRO, processing Marco Di Lorenzo
Il sogno indiano di raggiungere la Luna si è infranto a poche centinaia di metri dal suolo lunare, nel silenzio dei monitor bloccati, che fino a poco prima avevano mostrato i dati telemetrici della discesa che stava avvenendo alla perfezione. Fino a quel momento, infatti, tutto era andato per il meglio, con il convoglio della missione Chandrayaan-2 che, dopo essere partita un mese e mezzo prima (22 luglio), aveva raggiunto con una serie articolata di manovre l’orbita della Luna il 20 agosto scorso.

Dopo il distacco del blocco composto dal lander Vikram e il rover Pragyan dall’orbiter Chandrayaan-2, avvenuta il 2 settembre, è inizita la lenta manovra di avvicinamento alla Luna. La prima fase, il “rough braking”, ha portato il lander da 30 km a circa 7,5 km di quota, lungo una traiettoria parabolica. Successivamente è iniziata la “cam coasting”, per portare il veicolo fino a 4 km e, infine, la fase “fine breaking”, che avrebbe dovuto portare Vikram fino a 400 m di quota, annullando nel contempo la velocità orizzontale. Solo a questo punto sarebbe iniziata la discesa verticale, che si sarebbe conclusa con un atterraggio morbido. È durante la penultima fase che si sono manifestate le anomalie, con il veicolo che ha iniziato a deviare in modo consistente dalla traiettoria programmata. La velocità di discesa era inoltre sensibilmente più elevata del previsto, tale probabilmente da non poter essere corretta con i motori di cui il veicolo era dotato.

Tutto andava bene, ma poi, d’improvviso, il silenzio: nessun segnale giungeva più nella sala di controllo missione dell’ISRO, a pochi minuti dal touchdown. Poco più tardi, K. Sivan, il direttore dell’agenzia spaziale indiana, dichiarò che la discesa di Vikram si era compiuta in modo nominale fino a un’altitudine di 2,1 km, ma che le comunicazioni erano state perse subito dopo. La conclusione più probabile è che Vikram si sia schiantato sulla superficie.

Il primo ministro indiano segue con apprensione le fasi finali della discesa. Crediti: ISRO, processing Marco Di Lorenzo

«L’India è orgogliosa dei nostri scienziati!» ha affermato il primo ministro indiano Narendra Modi che ha vissuto direttamente al centro di controllo missione quegli attimi di tensione. «Hanno dato il massimo e hanno sempre reso orgogliosa l’India. Questi sono momenti in cui essere coraggiosi e coraggiosi saremo!»

In un periodo in cui la Luna è tornata al centro dell’attenzione delle agenzie spaziali internazionali, ma anche delle compagnie private, un tale obiettivo continua a dimostrarsi sfuggente e arduo da raggiungere. Se l’allunaggio di Vikram si fosse compiuto secondo il programma, l’India sarebbe stata solo la quarta nazione a sbarcare con successo sulla superficie lunare.
In tutto ciò, risulta parzialmente di conforto il pensiero che l’orbiter Chandrayaan-2 continua a funzionare correttamente e si prevede che esegua le sue operazioni scientifiche di osservazione della Luna per almeno un anno. Chandrayaan-2 mapperà la superficie lunare e ne monitorerà l’ambiente usando la sua Orbiter High Resolution Camera (OHRC), cercando le firme di idrossile e ghiaccio d’acqua vicino al polo sud. Inoltre, proprio come l’israeliano Beresheet, Vikram ha inviato i suoi dati a Terra fino all’ultimo minuto, il che fornirà preziose informazioni per la risoluzione dei problemi riscontrati, cosa che permetterà di aumentare le probabilità di successo per le missioni future.

Notte Bianca – Gruppo Astrofili Palidoro

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NotteBianca_Coelum

NotteBianca_Coelum

CICAP Fest DALLA TERRA ALLA LUNA

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CICAP Fest 2019

CICAP Fest 2019Tre giorni di scoperte e sorprese
Se ami la scienza e vuoi scoprire cose nuove divertendoti, ma senza farti prendere in giro da bufale e falsi miti, il CICAP Fest, il Festival della scienza e della curiosità, ti aspetta a Padova dal 13 al 15 settembre. Incontri, conferenze, spettacoli, workshop, laboratori, mostre, performance, tour guidati, sorprese e meraviglie! Più di 200 eventi per grandi e piccoli. Ospiti speciali Piero Angela e l’astronauta Paolo Nespoli, oltre a 120 tra i più bei nomi della scienza, della divulgazione, della cultura e dello spettacolo. Una straordinaria palestra per il tuo cervello.
Moltissimi, inoltre, gli appuntamenti a tema astronomico con nomi noti ai nostri lettori come Paolo Attivissimo, Roberto Battiston, Piero Bianucci, Luca Boschini, “Chi ha paura del Buio?”, Adrian Fartade, Steno Ferluga, Elena Lazzaretto, Corrado Lamberti, Luca Nobili, Luca Perri, Lucia Votano e molti altri.
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Chandrayan-2. Il 6 settembre notte la discesa verso la Luna

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Il lander Vikram (chiamato come il padre del programma spaziale indiano Dr Vikram A Sarabhai) impegnato nel suo atterraggio morbido sulla superficie lunare, dove libererà il piccolo rover Pragyan (saggezza in Sanscrito). I due compagni studieranno il suolo e il sottosuolo lunare per un giorno lunare (14 giorni). Crediti ISRO

La sonda Chandrayan-2, seconda missione verso la Luna dell’Indian Space Research Organisation (ISRO), si è separata dal lander Vikram con il rover Pragyan a bordo, che si sta preparando a scendere sulla superficie del polo sud lunare.

Dopo il successo dell’inserimento in orbita della sonda, il 20 agosto scorso, Chandrayan-2 ha cominciato una serie di orbite sempre più basse per portarsi all’altezza giusta per sganciare il suo prezioso carico. Raggiunta, dopo la quinta orbita, l’altezza di circa 120 km dalla superficie, il 2 settembre è avvenuto il distacco tra la sonda madre e il lander, di nuovo con precisione e senza intoppi.

Ora Vikram sta lentamente avvicinandosi alla superficie, in una prima fase grazie a due manovre di “deorbit”, per scendere in orbite più strette, la seconda delle quali si è compiuta con successo alle 3:45 del 4 settembre IST (00:15 ora italiana). Una seconda fase di discesa vera e propria inizierà nella notte tra il 6 e il 7 settembre, quando uscirà dalla sua orbita di 35 x 101 km diretto verso un atterraggio morbido sulla superficie. L’inizio della manovra è previsto tra l’1 e le 2 del 7 settembre (sempre in IST, fuso orario indiano, tra le 21:30 e le 22:30 del 6 settembre per l’Italia), mentre il touch down è previsto in circa mezz’ora, quindi tra l’1:30 e le 2:30 IST.

Se tutto andrà bene, l’India sarà il quarto paese ad aver realizzato con successo un atterraggio morbido sul suolo lunare.
Il luogo dell’atterraggio è previsto nella pianura tra i due crateri Manzinus-C e Simpelius-N, nei pressi del polo sud lunare, una delle zone più sotto osservazione. Strategica per la presenza di riserve d’acqua in crateri con il fondo perennemente in ombra, data l’inclinazione dei raggi solari che la raggiungono, e quindi papabile per la costruzione di una colonia permanente sul nostro satellite, ma anche di grande interesse per la ricerca sulla formazione del nostro satellite, del sistema Terra-Luna e del Sistema Solare stesso. Per lo stesso motivo infatti si tratta di luoghi rimasti inalterati nel tempo, che non hanno subito alcuna trasformazione per l’esposizione alla luce solare, un vero e proprio sguardo nel passato del nostro sistema.

Nelle ore successive alla discesa, il piccolo rover Pragyan (“saggezza” in sanscrito) lascerà il lander e inizierà la sua missione. La durata prevista della missione, sia per il lander che per il rover, è quella di un giorno lunare, ovvero circa 14 giorni, durante i quali ci si aspetta riesca a percorrere circa 500 metri sul suolo lunare, analizzando il terreno coni suoi due payload scientifici e comunicando con il lander, che a sua volta trasmetterà i dati a Chandrayan-2 in orbita, il cui lavoro proseguirà per circa un anno.

Potete seguire gli aggiornamenti sulle operazioni direttamente dal sito dedicato alla missione: https://www.isro.gov.in/chandrayaan2-latest-updates


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Chang’e-4: Yutu-2 scopre una strana sostanza sul lato lontano della Luna

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Yutu e le sue tracce lasciate sul suolo lunare. Credit: CNSA
Yutu e le sue tracce lasciate sul suolo lunare. Credit: CNSA

Da sempre il lato lontano della Luna ha affascinato la scienza e la fantasia popolare. Oltre alle foto dall’orbita, la Cina è diventato il primo stato ad aver allunato un lander e un rover su quei territori così vicini a noi ma ancora inesplorati. Sicuramente c’erano e ci sono molte aspettative sulle scoperte che questa missione può produrre ma forse nessuno si sarebbe potuto aspettare un ritrovamento apparentemente tanto insolito.

Durante l’ottavo giorno lunare iniziato il 25 luglio (ogni giorno lunare dura due settimane terrestri, seguito da due settimane di buio), Yutu-2 si accingeva come di consueto a intraprendere le sue attività astronomiche, a misurare le radiazioni e a osservare i dintorni. Coordinato dal centro di controllo terrestre, il rover aveva iniziato ad attraversare un’area disseminata di crateri.

Credit: CNSA

Il 28 luglio, il team Chang’e-4 si stava preparando a ordinare a Yutu-2 il solito “pisolino” di mezzogiorno, per proteggere il rover dalle alte temperature e dalle radiazioni del Sole alto nel cielo, quando un membro del team che controllava le immagini della fotocamera principale si accorse che un piccolo cratere sembrava contenere qualcosa di strano: un materiale con un colore e una lucentezza diversa rispetto alla superficie lunare circostante.

Il cratere in cui sarebbe stata avvistata l'anomalia.

Così, radunati gli scienziati, gli ingegneri decisero di posticipare la pausa e ordinare a Yutu-2 di proseguire verso quel cratere per tutte le analisi del caso.

Il rover ha esaminato quindi sia il terreno anomalo che quello circostante con il suo Visible and Near-Infrared Spectrometer (VNIS) ma per ora gli scienziati cinesi non si sono pronunciati e si sono limitati a definire la strana sostanza “gelatinosa” e dal “colore insolito”.

Apollo 17 - Crediti: Apollo 17 Crew/NASA

Una possibile spiegazione, suggerita da ricercatori esterni alla missione, è che il materiale sia vetro fuso creato dai meteoriti che colpiscono la superficie della Luna. D’altra parte terreni colorati sul nostro satellite li abbiamo già visti. L’astronauta e geologo dell’Apollo 17 Harrison Schmitt scoprì un colore arancione vicino al luogo di atterraggio nel 1972 che, si stabilì, essere stato creato da un’eruzione vulcanica esplosiva 3,64 miliardi di anni fa.

Ma il mistero della “gelatina lunare” sul lato lontano della Luna è ancora irrisolto e, ci tengo a precisare, finora la notizia non sembra avere alcun riferimento e/o comunicato ufficiale: l’unica fonte, seppur autorevole, anche per i media cinesi, è l’articolo pubblicato su space.com. Vedremo i prossimi aggiornamenti.

Ora il rover ed il lander sono entrati nel nono giorno lunare: Yutu-2 si è svegliato il 24 agosto alle 00:42 GMT mentre il lander alle 00:10 GMT del giorno successivo. I programmi per il rover sono di continuare a viaggiare verso ovest, di fare un pisolino precauzionale intorno al mezzogiorno locale e si spegnersi per la nona notte lunare intorno al 5 settembre, circa 24 ore prima del tramonto locale.

Leggi anche

La Cina raggiunge il lato nascosto della Luna su Coelum astronomia 230


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Evento GAL Hassin 2019

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Locandina_GALHassin_2019

Locandina_GALHassin_2019E’ in programma per la giornata di domenica 8 settembre l’evento GAL Hassin 2019, arrivato alla sua undicesima edizione. Anche quest’anno conferenze, interviste, consegna del Premio GAL Hassin e musica in serata a cura di Carmela Stefano Fisarmonica classica. Nel corso dell’evento verrà assegnato il PREMIO GAL HASSIN 2019

ore 17:00 La prima immagine di un buco nero di Giovanni Peres (Dip. Fisica e Chimica Università degli Studi di Palermo).

ore 18:00 Non solo gamma: l’esplorazione del cielo dalle isole dei vulcani con i telescopi ASTRI-Horn di Giovanni Pareschi (INAF – Osservatorio Astronomico di Brera)

ore 19:00 Da bambina curiosa a cacciatrice di asteroidi. Sabrina Masiero intervista Maura Tombelli

Ingresso libero
INFORMAZIONI 0921662890 – 3298452944 – info@galhassin.it
www.galhassin.it

Unione Astrofili Italiani

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I convegni e le iniziative UAI
7-8 settembre
Corso imaging e ricerca cometaria
Organizzato dalla Sezione Comete, presso il Parco Astronomico “L. Gratton” a Rocca di Papa (RM) in collaborazione con l’Associazione Tuscolana Astronomia
Info: https://www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

28-29 settembre Meeting Sole-Luna-Pianeti Organizzato dalle sezioni Sole, Luna e Pianeti dell’UAI, presso l’Osservatorio Astronomico di Fiemme a Tesero (TN) in collaborazione con il Gruppo Astrofili Fiemme
Info: https://www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

Due serate con Quarto di Luna e Giove

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Come abbiamo potuto osservare anche durante i due mesi estivi precedenti, il passaggio della Luna nei pressi della costellazione dell’Ofiuco produce delle interessanti configurazioni geometriche con il brillante pianeta Giove (mag. –2,2), che domina quest’area di cielo. Indichiamo qui ben due serate, in cui potremo godere della visione di una bella mezza Luna e Giove in congiunzione.

Potremo vedere Giove apparire lentamente nel crepuscolo serale, via via che il cielo si farà scuro, a circa 18° di altezza sull’orizzonte sud-sudovest, tra le stelle dell’Ofiuco ma a poca distanza dalle affascinanti stelle dello Scorpione, tra cui spicca per brillantezza e colore, rosso acceso, la bella Antares (mag. +1.0). Il giorno 5 vedremo la Luna (fase del 46%) avvicinarsi a Giove, ponendosi a poco meno di 7° da esso, più verso sudovest, mentre il giorno 6, il nostro satellite naturale (fase del 57%) avrà sorpassato il grande pianeta ponendosi dunque più verso sud, a circa 6° 14’ da esso.

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Astronomiamo

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Locandina-Coelum-Settembre2019

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21.09: Equinozio di Autunno, Santa Maria degli Angeli

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Vi presento James Webb

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I team di integrazione guidano attentamente la sezione del telescopio di Webb sospeso al di sopra del suo elemento spaziale appena prima dell’integrazione. Credit: Nasa/Chris Gunn
I team di integrazione guidano attentamente la sezione del telescopio di Webb sospeso al di sopra del suo elemento spaziale appena prima dell’integrazione. Credit: Nasa/Chris Gunn

Il più grande, potente e complesso telescopio spaziale mai realizzato, l’attesissimo James Webb, ha compiuto un passo fondamentale verso il suo completamento: negli stabilimenti della Northrop Grumman a Redondo Beach, in California (Usa) i tecnici hanno collegato per la prima volta con successo le due metà del telescopio infrarosso voluto dalla Nasa.

Il James Webb sarà uno dei telescopi che potranno fare la differenza nello studio degli esopianeti in particolare quelli più vicini a noi, vediamo allora con Roberto Ragazzoni lo stato della ricerca ad oggi e le prospettive future. Su Coelum astronomia 236, in formato digitale e gratuito (clicca sull'immagine e leggi!).

L’operazione è consistita nel sollevare e far coincidere il telescopio vero e proprio di Webb – che include gli specchi esagonali ripiegati e gli strumenti scientifici – con lo scudo termico ripiegato e il modulo di navigazione, questi ultimi già combinati precedentemente. Le due parti sono state connesse meccanicamente; i passaggi successivi prevedono di collegarle elettricamente e quindi testare che tutto funzioni a dovere.

Entrambi i componenti principali della sonda sono già stati individualmente sottoposti a “torture” e condizioni ambientali simili a quelle che incontreranno durante il lancio e lo svolgimento in orbita della missione. Ora che Webb è un osservatorio completamente assemblato, dovrà sottoporsi a ulteriori test ambientali e di corretta distribuzione del peso per garantire il successo della missione.

Il James Webb Space Telescope “tutto d’un pezzo”. Crediti: Nasa/Chris Gunn

Realizzato grazie a una collaborazione tra le agenzie spaziali di Stati Uniti, Europa e Canada, il sospirato fratello maggiore del telescopio spaziale Hubble dovrebbe essere lanciato nel 2021, ben quattordici anni dopo la prima data ipotizzata, con un razzo Ariane 5 dalla base europea di Kourou, nella Guyana Francese.

In realtà Webb ha ben poco in comune con Hubble, a partire dallo specchio segmentato 10 volte più grande e dalla predilezione per le osservazioni nell’infrarosso, mentre i 5 strumenti principali di Hubble osservano nel vicino ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. Inoltre, mentre Hubble opera in orbita intorno alla Terra, Webb opererà a oltre un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, e non potrà quindi essere raggiunto dagli astronauti per eventuali missioni di riparazione.

Per saperne di più sul perché lo sviluppo del Webb ha richiesto molto tempo guarda questo esauriente video (in inglese) del canale Astrum:


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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

05/09/2019, 15:00: “Decoding the stars: una recente biografia di Padre Secchi”

con Ileana Chinnici (INAF Palermo) – Osservatorio Astronomico di Palermo

Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

La Luna di Settembre 2019 e una guida all’osservazione da Taruntius al margine orientale del Sinus Asperitatis

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Le fasi della Luna in settembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in settembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Dopo il Novilunio del 30 agosto, settembre si apre con la Luna di 1,4 giorni a –28° sotto l’orizzonte andando così a tramontare nella prima serata del mese alle 21:30 in fase di 2,3 giorni. Allontanandosi progressivamente dal Sole, di sera in sera ritarderà sempre più il suo tramonto rendendosi sempre più visibile fino alla fase di Primo Quarto prevista per le 05:10 del 6 settembre. La fase crescente culminerà col Plenilunio del 14 settembre. Da qui riprenderà la consueta fase calante con l’Ultimo Quarto del 22 settembre fra le costellazioni dei Gemelli, Orione e Toro andando così a chiudere questo ciclo lunare col Novilunio del 28 settembre.

Continua, con maggiori dettagli in la Luna di settembre su Coelum Astronomia 236

A settembre osserviamo

4 settembre Da Taruntius al margine orientale del Sinus Asperitatis

La prima e principale proposta del mese è per la serata del 4 settembre col nostro satellite che alle 20:30 sarà in fase di 5,3 giorni a un’altezza iniziale di +20° (colong. 335,8°; ill. 35,6%), quando il target sarà centrato sulla regione lunare dal cratere Taruntius fino al margine orientale del Sinus Asperitatis. Certamente non sono queste le condizioni ideali, comunque chi intenderà osservare questa interessante regione lunare avrà a disposizione circa due ore, fino alle 23:00 quando la Luna scenderà sotto l’orizzonte. Condizione essenziale sarà di poter disporre di una visuale libera da ostacoli verso occidente.

➜ Continua su Guida all’osservazione: da Taruntius al margine orientale del Sinus Asperitatis

 

7 settembre Massima Librazione: il mare Smythii

La seconda proposta di questo mese è dedicata al punto di massima Librazione che la sera del 7 settembre coinciderà col bordo orientale del mare Smythii, una vasta regione pianeggiante circolare (diametro 210 km e con una superficie di 104000 kmq) situata a sudest del mare Crisium al confine con l’emisfero lunare non visibile dalla Terra. Pertanto, a partire dalle 20:20′ circa, questa librazione estremamente favorevole consentirà l’osservazione di tutta l’area del mare Smythii e probabilmente anche delle pareti intorno alle principali strutture crateriformi poste appena oltre l’emisfero visibile, anche se in tali condizioni sarà importante non sottovalutare l’inevitabile schiacciamento prospettico di tutte le strutture lontane dal centro del disco lunare oltre al deleterio effetto dell’accentuata turbolenza atmosferica.

Sempre in tema di librazioni, il 13 settembre si ripeteranno le condizioni favorevoli, per l’osservazione delle già citate “Vette della Luce Eterna”, trattandosi dell’unico caso attualmente conosciuto nel nostro Sistema Solare di rilievi montuosi su cui non tramonta mai il Sole (varie cime delle pareti intorno al cratere Peary di 77 km di diametro). Leggi i dettagli sulla rubrica del numero doppio estivo La Luna di luglio e agosto.

8 e 9 settembre Nel bordo meridionale del mare Imbrium

La terza proposta, suddivisa nelle due serate dell’8 e 9 settembre, ci porterà lungo il bordo meridionale del mare Imbrium, l’enorme distesa pianeggiante situata nel settore centro settentrionale della Luna con un diametro di circa 1.300 km e una superficie di 890.000 km quadrati la cui origine risale al Periodo Geologico Imbriano Inferiore collocato a 3,8 miliardi di anni fa. Si ricorda che la visibilità delle strutture superficiali sarà in stretta relazione col progressivo avanzamento della linea del terminatore attraverso il disco lunare. La zona che andremo a osservare sarà quella compresa dai monti Archimedes fino al cratere Tobias Mayer all’estremità occidentale dei monti Carpatus. L’individuazione della regione lunare oggetto delle nostre osservazioni risulterà molto semplice se orienteremo il telescopio alla base dell’estremità sudovest dei monti Appennini, proseguendo poi verso occidente fino in prossimità del terminatore.

➜ Tutti i dettagli delle due proposte nella Luna di Settembre 2019

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Settembre su Coelum Astronomia 236

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Il Cielo di Settembre 2019

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La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Set > 23:00; 15 Set > 22:00; 30 Set > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI (apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Guardando verso occidente, saranno ancora visibili, declinanti e prossime al tramonto, le estese costellazioni della tarda primavera: il Boote con la brillante Arturo (mag. –0,1), Ofiuco, in cui potremo scorgere, prossimo all’orizzonte, il brillante pianeta Giove, Ercole e il Serpente. Verso sudovest starà già tramontando il Sagittario portando con sé Saturno, seguito dal Capricorno. Con il passare del tempo il cielo muterà completamente aspetto: prima della mezzanotte saranno già visibili le Pleiadi (M 45) sull’orizzonte nordest e nella seconda parte della notte si potrà godere della presenza contemporanea della grande nebulosa di Orione (M 42) e della Nebulosa Velo nel Cigno. In mezzo, solo spazi silenti e rarefatti, ma anche imponenti visioni, come quelle della grande galassia M 31 in Andromeda e del Doppio Ammasso nel Perseo:

➜ Il Cielo di settembre con la UAI che questo mese ci porta tra le galassie di Andromeda

➜ Ancora valida la rubrica del numero scorso Riprendiamo la Via Lattea con Giorgia Hofer, con tanti spunti anche da rubriche passate.

IL SOLE

L’evento più importante del mese per la nostra stella sarà ovviamente il passaggio al nodo discendente sull’equatore celeste il giorno 23, quando in pratica il Sole avrà declinazione pari a zero e si verificherà l’Equinozio d’Autunno, ovvero l’istante in cui inizia l’autunno astronomico (la primavera per l’emisfero Sud).

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COSA OFFRE IL CIELO

Poche soddisfazioni dai pianeti, Giove, riduce ulteriormente le sue ore di visibilità, pur restando brillante e ben visibile nella prima parte della serata, accompagnato da Saturno che ne segue il destino.  Marte e Venere, invisibili e osservabili solo attravero il coronografo, anche se Venere comincerà a fare capolino nelle luci del tramonto dell’ultima decade del mese. Mercurio invece, come sempre, alternerà nel suo più veloce moto attorno al Sole, i suoi periodi di visibilità, ma per via della configurazione del suo moto apparente rimarrà comunque osservabile con difficoltà, al tramonto come Venere, solo dopo la metà del mese. Approfondisci le condizioni dei singoli pianeti, dei pianeti nani e dei principali asteroidi in opposizione nelle sezioni dedicate del Cielo di Settembre, oltre alle cartine e ai dettagli delle principali congiunzioni del mese.

In un mese un po’ carente di fenomeni da osservare, non ci resta che la Luna, sempre vigile e presente, Francesco Badalotti ci suggerisce quali formazioni osservare, con una guida approfondita della regine tra il cratere Taruntius fino al lato orientale del Sinus Asperitatis, mentre Giorgia Hofer per nuovi spunti di ripresa del nostro satellite naturale rispolvera un classico, quello della Cintura di Venere, già affrontato nel numero 218, ma con nuove immagini, nuovi racconti e nuovi spunti per La Luna immersa nei colori pastello per riprese da favola!

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Festival della Mente

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festival-della-mente

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Il festival, il primo in Europa dedicato alla creatività e ai processi creativi, animerà la città con una quarantina tra incontri, dialoghi e spettacoli.
Filo conduttore del 2019 è il concetto di futuro, che sarà indagato e approfondito da scienziati, filosofi, scrittori, intellettuali e artisti italiani e internazionali.

Il festival si aprirà con la lezione inaugurale di Amalia Ercoli Finzi, che da oltre venticinque anni si occupa di dinamica del volo spaziale e progettazione di missioni spaziali. La scienziata illustrerà come le sonde spaziali, la tecnologia esasperata, i lunghi tempi di progettazione e realizzazione, i finanziamenti ingenti uniti a menti visionarie possano permettere di raggiungere mondi tanto lontani da essere oggi ritenuti inarrivabili.

La Sojuz MS-14 è finalmente attraccata alla ISS

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DI MARCO VEZZOLI · astronautinews.it

Mentre la ISS sorvolava la Mongolia Orientale a poco più di 400 chilometri di altitudine, la navetta Sojuz MS-14, resa famosa (anche) dalla presenza del robot Fedor, è riuscita a effettuare il docking con la Stazione Spaziale Internazionale quando erano le 05:08 CEST, dopo il fallimento del primo tentativo il 24 agosto causato da un problema con il sistema di guida automatico Kurs.

La Sojuz MS-14 rimarrà ancorata per due settimane al modulo russo Zvezda, il cui boccaporto è stato liberato grazie alla manovra svolta la notte precedente dagli astronauti Parmitano, Skvorcov e Morgan, che hanno spostato la Sojuz MS-13 al modulo Poisk.

Il robot Fedor a bordo della capsula Sojuz MS-14. – © Roscosmos

La navetta, oltre a trasportare il robot umanoide russo Fedor (noto anche come Skybot F850), ha rifornito l’equipaggio della Expedition 60 con circa 658 kg di cibo, rifornimenti e strumenti scientifici.

Tuttavia, il lavoro straordinario degli astronauti a bordo della ISS non è ancora terminato: con l’attracco della navetta russa si è potuto dare il via alle operazioni per il rilascio della navetta Dragon, programmato alle 16:42 CEST del pomeriggio stesso, la quale riporterà a terra più di 1200 kg di esperimenti scientifici e altro carico.

Qui sotto il video del docking della Soyuz MS-14.


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E ancora Luna e Aldebaran

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La mattina molto presto del 24 agosto, la Luna (fase del 45%) si troverà prossima a varcare i confini dell’ammasso delle Iadi, passando a circa 3,3° a nordest della stella Aldebaran (Alfa Tauri, mag. +0,9).

I due astri sorgono attorno alla mezzanotte, e si alzano sempre più fino a perdersi nella luce del mattino. All’orario indicato li troveremo alti circa 13° sull’orizzonte di estnordest. Più in alto, a circa 9° e mezzo a nord della Luna, riconosceremo il grappolo di stelle delle Pleiadi (M 45).

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, come sempre consigliamo le puntate della rubrica di Stefano Schirinzi sul ricco campo della costellazione del Toro, in particolare dedicate ad Aldebaran e le Iadi.
Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta dei tesori delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2019

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E ancora su Coelum astronomia 235

➜ Giorgia Hofer ci porta poi nuovi spunti per la ripresa del nucleo della Via Lattea, ora che Giove e Saturno si trovano nei suoi pressi.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Luglio e Agosto su Coelum Astronomia 235

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Anatomia di un gabbiano cosmico

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Colorata e tenue, Sharpless 2-296 forma le "ali" di questa affascinante collezione di oggetti nota come la Nebulosa Gabbiano, così chiamata a causa della somiglianza con un gabbiano in volo. Nubi incandescenti si intrecciano con strisce scure di polvere e stelle brillanti. La nebulosa Gabbiano, costituita da polvere, idrogeno, elio e tracce di elementi più pesanti, è una culla calda ed energica di nuove stelle. Crediti: ESO/VPHAS+ team/N.J. Wright (Keele University)
Colorata e tenue, Sharpless 2-296 forma le "ali" di questa affascinante collezione di oggetti nota come la Nebulosa Gabbiano, così chiamata a causa della somiglianza con un gabbiano in volo. Nubi incandescenti si intrecciano con strisce scure di polvere e stelle brillanti. La nebulosa Gabbiano, costituita da polvere, idrogeno, elio e tracce di elementi più pesanti, è una culla calda ed energica di nuove stelle. Crediti: ESO/VPHAS+ team/N.J. Wright (Keele University)

Le componenti principali del Gabbiano sono tre grandi nuvole di gas, tra cui la più caratteristica è Sharpless 2-296, che forma le “ali”. Sh2-296 misura circa 100 anni luce da una punta all’altra dell’ala ed è formata da materiale incandescente attraversato da strisce di polvere scura che si insinuano tra stelle luminose. È un bell’esempio di una nebulosa a emissione, in questo caso una regione HII, che indica la formazione attiva di nuove stelle, che abbelliscono l’immagine.

È proprio la radiazione emessa da queste giovani stelle a conferire alle nubi i loro fantastici colori e renderle così affascientanti, ionizzando il gas circostante e facendolo brillare. Questa radiazione è anche il principale fattore che determina la forma delle nuvole, esercitando una pressione sul materiale circostante e scolpendolo con le forme stravaganti che vediamo. Poiché ogni nebulosa ha una distribuzione unica di stelle e può, come questa, essere un composto di più nubi, esse presentano una grande varietà di forme, che accendono l’immaginazione degli astronomi ed evocano confronti con animali o oggetti familiari.

Questa diversità di forme è esemplificata dal contrasto tra Sh2-296 e Sh2-292. Quest’ultima, appena sotto le “ali” nell’immagine, è una nube più compatta che forma la “testa” del gabbiano. La sua caratteristica più importante è un’enorme stella estremamente luminosa chiamata HD 53367, 20 volte più massiccia del Sole, che vediamo come “occhio” penetrante del gabbiano. Sh2-292 è sia una nebulosa a emissione che una nebulosa a riflessione; gran parte della sua luce viene emessa dal gas ionizzato che circonda le sue stelle nascenti, ma una quantità significativa è anche dovuta alla luce riflessa prodotta da stelle esterne.

Le strisce scure che interrompono l’omogeneità delle nuvole e danno loro consistenza sono scie di polvere – tracce di materiale molto più denso che nascondono parte del gas luminoso dietro di esse. Nebulose come questa hanno densità di alcune centinaia di atomi per centimetro cubo, molto meno dei più spinti vuoti artificiali sulla Terra. Tuttavia, le nebulose sono ancora molto più dense del gas esterno, che ha una densità media di circa 1 atomo per centimetro cubo (!).

Questa panoramica cattura la suggestiva e pittoresca zona di formazione stellare nota come Nebulosa Gabbiano, IC 2177, al confine tra le costellazioni dell'Unicorno e del Cane Maggiore. Questa visuale è ottenuta da immagini appartenenti alla DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Il Gabbiano si trova lungo il confine tra le costellazioni del Cane Maggiore e dell’Unicorno, a una distanza di circa 3700 anni luce, in un braccio della Via Lattea.  Le galassie a spirale possono contenere migliaia di queste nubi, quasi tutte concentrate lungo i bracci.

Diverse nubi più piccole vengono associate alla Nebulosa Gabbiano, tra cui Sh2-297, una piccola aggiunta nodosa alla punta dell ‘”ala” superiore del gabbiano, Sh2-292 e Sh2-295. Questi oggetti sono tutti inclusi nel Catalogo di Sharpless, un elenco di oltre 300 nubi di gas incandescente compilato dall’astronomo americano Stewart Sharpless.

Questa immagine è stata ottenuta con il VST (VLT Survey Telescope), tra i più grandi telescopi al mondo per survey in luce visibile. Il VST è progettato per fotografare ampie aree del cielo in modo rapido e profondo.

Ruscite a individuare il gabbiano in questa foto?

Sfidiamo i nostri lettori a dare sfogo all’immaginazione e disegnare sulla foto il contorno del gabbiano. Condividete poi le vostre foto usando l’hashtag #SpotTheSeagull.


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ExoMars 2020: fallito l’ultimo test del paracadute

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DI MARCO ZAMBIANCHI – astronautinews.it

Lo scorso 5 agosto si è svolto dal poligono di Esrange, in Svezia, un importante test del paracadute che dovrà frenare la corsa del rover marziano europeo Rosalind Franklin nella fase di entrata nell’atmosfera del pianeta rosso. Purtroppo la missione si è conclusa con un insuccesso, e il veicolo di prova si è schiantato al suolo.

ESA non ha annunciato ritardi sulla tabella di marcia, ma a seconda della complessità degli interventi richiesti per rimediare la situazione, non si può escludere un nuovo slittamento del lancio di due anni.

Che cosa è andato storto

Come parte della normale campagna di validazione pre-lancio di ogni missione, per ExoMars 2020 sono stati programmati numerosi test sui paracadute presso il sito della società svedese SSC. Il primo ha avuto luogo lo scorso anno, e ha dimostrato con successo il dispiegamento e l’apertura del più grande dei due paracadute principali, in un test di caduta svolto con un elicottero dalla quota di 1,2 km.

Successivamente, il 28 maggio di quest’anno, la sequenza di apertura di tutti e quattro i paracadute è stata testata per la prima volta grazie a un pallone stratosferico, che ha rilasciato la piattaforma di prova ad un’altezza di 29 km. Mentre i meccanismi di spiegamento si sono attivati ​​correttamente e la sequenza generale è stata completata, entrambi i paracadute principali hanno subito danni.

A seguito dell’ispezione dell’hardware recuperato, sono state apportate alcune modifiche al design dei paracadute e alle relative sacche di contenimento per preparasi al successivo test ad alta quota, quello dello scorso 5 agosto, anche se questa volta ci si è concentrati solo sul paracadute più grande, del diametro di 35 metri.

Purtroppo, come detto, non solo le modifiche non hanno risolto i problemi emersi a maggio, ma sembrano addirittura aver aggravato la situazione.

La complessa sequenza di apertura dei paracadute di ExoMars 2020 – Copyright ESA

Le indagini preliminari mostrano che i passaggi iniziali del rilascio e dell’apertura sono stati completati correttamente, tuttavia sono stati notati dei danni alla calotta già prima dell’inflazione completa, in modo simile al test precedente. Di conseguenza, il modulo di prova è sceso trattenuto solo dal paracadute pilota.

«È deludente vedere che gli aggiustamenti al design introdotti a seguito delle anomalie dell’ultimo test non ci abbiano aiutato a superare con successo il questa nuova prova, ma come sempre restiamo concentrati. Stiamo lavorando per comprendere e correggere il difetto al fine di poter lanciare puntualmente l’anno prossimo» ha affermato Francois Spoto, Team Leader di ExoMars per ESA.

L’hardware e la documentazione video e telemetrica sono stati recuperati, e sono attualmente in fase di studio. L’analisi di questi elementi dovrebbe rivelare la causa principale dell’anomalia, passaggio fondamentale per guidare le ulteriori modifiche che potrebbero essere richieste al sistema di paracadute prima di ulteriori test.

Un’altra prova in alta quota è già prevista per il primo paracadute principale entro la fine del 2019. Il prossimo tentativo di qualificazione del secondo paracadute principale è previsto per l’inizio del 2020.

Parallelamente, i team stanno studiando la possibilità di produrre ulteriori modelli di test del paracadute, da utilizzare in simulazioni a terra che cercheranno di imitare la dinamica dell’estrazione del paracadute, poiché le opportunità di lanci da palloni stratosferici sono limitate.

«Arrivare su Marte, e in particolare atterrarci, è un’impresa molto difficile», ha aggiunto Spoto. «Ci impegniamo a far volare un sistema in grado di consegnare in sicurezza il nostro carico utile sulla superficie di Marte, al fine di condurre la sua particolare missione scientifica».

NASA, che a suo tempo si ritirò dalla partnership per la missione ExoMars lander, ha comunque offerto il suo aiuto e il suo know-how ai partner europei. Il mese prossimo si riunirà un seminario di esperti di paracadute “marziani” proprio per condividere le conoscenze acquisite.

La missione ExoMars Rosalind Franklin

Il programma ExoMars è uno sforzo congiunto tra ESA e Roscosmos. Oltre alla missione del 2020, include anche il Trace Gas Orbiter (TGO) lanciato nel 2016. Il TGO sta già fornendo importanti risultati scientifici propri e sta trasmettendo dati dal rover Curiosity e dal lander InSight (entrambi della NASA). Trasmetterà anche i dati della missione del 2020 una volta che arriverà su Marte nel marzo 2021.

Il modulo di discesa Kazačok, fornito dalla Russia che è partner di ESA per questa missione, necessita di due paracadute. Ciascuno ha un suo scivolo pilota che ne facilita l’estrazione, e aprendosi uno dopo l’altro a intervalli prestabiliti, hanno il compito cruciale di rallentare la discesa fino a una velocità adatta all’accensione dei motori a razzo del modulo Kazačok, che resteranno in funzione fino all’atterraggio.

Il lancio della missione è previsto tra il 25 luglio e il 13 agosto 2020, date imposte dalla posizione reciproca della Terra e di Marte, con un arrivo sul pianeta rosso nel marzo 2021. Dopo essere scappato dalla piattaforma di superficie, il rover Rosalind Franklin esplorerà la superficie di Marte, alla ricerca di siti geologicamente interessanti da perforare sotto la superficie, per determinare se sia mai esistita la vita sul nostro pianeta vicino.

L’intera sequenza di arrivo sulla superficie, dall’ingresso atmosferico all’atterraggio, dura solo sei minuti. Pertanto anche l’Europa vivrà, per la prima volta, la sua versione dei “sei minuti di terrore” celebrati in un famoso video del JPL.

Il rover europeo Rosalind Franklin. ESA.
Il rover Rosalind Franklin, di costruzione europea, e la piattaforma di superficie a guida russa Kazačok sono in fase di completamento. Saranno lanciati da un razzo Proton dal centro di lancio kazako di Bajkonur, e viaggeranno verso Marte grazie a un modulo di crociera dedicato, sempre fornito da Roscosmos.

Il rover, in particolare, è attualmente in fase di costruzione presso Airbus Defence and Space a Stevenage, nel Regno Unito, e inizierà presto la sua campagna di test ambientali presso Airbus Tolosa, in Francia. Allo stesso tempo il modulo di discesa e la piattaforma di atterraggio inizieranno l’ultima batteria di test presso Thales Alenia Space, a Cannes, Francia. Il rover sarà integrato con il resto del trenino spaziale all’inizio del 2020.

Fonte: ESA

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Bolide sui cieli della Sardegna, facciamo il punto

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Ed è stata proprio la Nasa, grazie alle rilevazioni satellitari 24 ore su 24 fatte dalla rete di monitoraggio Cneos (Center for Near Earth Objects Studies), a confermare la posizione calcolata da Carbognani per il punto finale della traiettoria (38,9 N; 7,0 E) a circa 150 km a sud-ovest delle coste del Sulcis e 36 km di altezza. La velocità di caduta di 14,9 km al secondo (53.640 km/h) combinata con la traiettoria, ha fatto ipotizzare al Cneos un bolide di circa 1,5 metri diametro. Tenendo conto della natura ferrosa dei meteoriti finora ritrovati ed una conseguente densità di 3 tonnellate al metro cubo, la stima finale della massa è risultata di 4 tonnellate. Sul sito Cneos è disponibile un database che indica quasi ottocento bolidi (in inglese fireball) registrati dal 1988 a oggi. Una media di 25 all’anno in tutto il mondo. Quello passato pochi giorni fa sulla Sardegna, con la potenza di meno di 0,1 chilotoni, non è certamente tra i bolidi più “energetici” finora registrati, ma rappresenta comunque – come mostra la mappa riportata qui sopra – uno dei pochi nel Mediterraneo e il primo in Italia.
La foto del bolide. Crediti e copyright: Francesco Malica

Il 16 agosto 2019 resterà impresso nei ricordi di molti italiani e, in particolare, di chi, per residenza o per vacanza, si trovava in quel momento sotto i cieli della Sardegna. Alle 22.36 ora estiva locale (le 20.36 Utc) è infatti comparsa, in direzione sud-ovest rispetto all’isola, una scia di luce di straordinaria intensità che ha destato stupore e paura in migliaia di persone. Si è trattato di un cosiddetto “bolide”, ovvero – come spiegheremo tra poco – di una meteora molto più brillante della norma.

Le prime segnalazioni di un forte bagliore nel cielo sono apparse su Facebook già dopo pochi minuti dall’avvistamento, ma senza ancora nessuna immagine. Verso mezzanotte la prima fotografia completa della meteora è comparsa su Instagram. A postarla è stato il giovane fotografo Francesco Malica, che stava effettuando uno scatto a lunga esposizione (star trail) dalla località di S’Archittu – e che ha gentilmente concesso a Media Inaf l’uso della foto originale a piena risoluzione, che vedete qui sopra.

L’immagine, al di là della sua struggente bellezza, è risultata utile anche per gli scienziati che studiano i bolidi e i meteoriti, come Albino Carbognani, che lavora al progetto Prisma (Prima rete per la sorveglianza sistematica di meteore e atmosfera) dell’Istituto nazionale di astrofisica.

«La foto scattata a S’Archittu», dice Carbognani, «si è rivelata importante, perché il progetto Prisma si basa sia sul lavoro di telecamere fisse all sky costantemente puntate verso il cielo, sia sulle testimonianze oculari dei cittadini, che possono facilmente segnalare eventi di questo tipo tramite il nostro sito. Il bolide segnalato in Sardegna, dove è prevista l’installazione di una telecamera nel prossimo futuro, era troppo a sud rispetto alle telecamere attualmente in uso, per cui il riscontro fotografico è stato utile a raffinare e confermare le testimonianze inviate già dopo pochi minuti dall’evento. Grazie alla presenza di un orizzonte a livello del mare e di un astro luminoso come Saturno già alto nel cielo, è stato possibile risalire alle coordinate celesti dei punti iniziali e finali della traiettoria del bolide da quella particolare prospettiva. Il bolide ha seguito una traiettoria da nord-ovest verso sud-est, circa a metà strada fra Baleari e Sardegna».

Verso l’una e mezza del mattino è comparso su Twitter il video di Claudio Porcu, che con la dashcammontata sulla sua auto è riuscito a immortalare l’evento in modo perfetto, riprendendo tutta l’area di cielo interessata da prima dell’inizio a dopo la fine della scia. Grazie a questo video si capiscono ulteriori dettagli come la durata, di circa cinque secondi, e la frammentazione in tanti pezzi minori prima della scomparsa.

In un altro video, ripreso a Iglesias, si nota invece un altro dettaglio impressionante: l’estrema dinamicità delle ombre. Il movimento del corpo celeste, contrariamente al Sole e alla Luna, genera infatti ombre velocissime, analogamente ai fari di un’automobile in corsa.

Nel giro di poche ore tutte le principali agenzie di stampa e testate giornalistiche italiane, ma anche spagnole e francesi, hanno rilanciato la notizia e relative immagini e video con interviste a esperti e astrofisici. In Italia una fra le interviste più rilanciate è stata quella a Silvia Casu dell’Inaf di Cagliari, andata in onda al Tg1.

Purtroppo, nella foga di dare al pubblico la notizia in tempi record, sono state pubblicate anche alcune imprecisioni su cui è utile fare un po’ d’ordine. Alcuni errori si sarebbero potuti evitare andando a consultare l’articolo preliminare che lo stesso Carbognani ha pubblicato il 17 agosto sul sito di Prisma e aggiornato nei giorni successivi.

Il primo errore, per la verità abbastanza innocente, è stato quello di chiamare in causa il concetto di “meteorite”. Tecnicamente, infatti, il bolide è stato prodotto da un “meteoroide”, ovvero di un corpo celeste di piccole dimensioni (da trenta millesimi di millimetro ad un metro, secondo la definizione dell’Unione astronomica internazionale) in orbita attorno al Sole, che può avere diverse provenienze e composizioni chimiche. Si va dai residui, antichissimi e solitari, della formazione del Sistema solare a pezzi di asteroidi frutto di impatti reciproci o con altri pianeti e satelliti, fino ai resti di comete. In quest’ultimo caso i meteoroidi in ballo possono essere davvero tanti e dare vita a “sciami meteorici” ricorrenti come quello, appena passato, delle Perseidi, la famosa notte di San Lorenzo. Un magnifico sito web oggi ci consente addirittura di vedere con precisione 13 degli 81 sciami meteorici attualmente conosciuti.

Quando un meteoroide, quale che sia la sua origine, entra in contatto con l’atmosfera terrestre a forte velocità, la comprime e la surriscalda a tal punto da creare una scia di plasma incandescente e diventare visibile sotto forma di “meteora”. Quando una meteora supera una certa luminosità (o, più propriamente, magnitudine), viene definita “bolide”, ed è proprio il caso di quella che ha solcato il Mediterraneo il 16 agosto.

Di solito i bolidi si consumano completamente, vaporizzandosi prima di toccare il suolo e lasciando dietro di sé una scia di finissime “micrometeoriti” che – insieme con altre particelle di altra provenienza, e in grande maggioranza rispetto a corpi più grandi – cadono ogni anno a decine di tonnellate al suolo ma sono troppo piccole per essere individuate.

Se, invece, qualche frammento, sebbene malconcio e semi-fuso dal cosiddetto processo di ablazione, resta intatto e cade sulla Terra con una dimensione superiore ai due millimetri, viene definito “meteorite” – declinato di solito al femminile. Viste le sue caratteristiche, il bolide osservato tra la Sardegna e le Isole Baleari potrebbe anche aver prodotto una piccola meteorite, ma non possiamo esserne certi, perché sotto c’era mare per centinaia di chilometri. Ecco perché, anziché di “meteorite”, in questo caso è più corretto parlare di “bolide”, ovvero del solo fenomeno ottico di elevata magnitudine.

Un po’ più seria è stata la confusione tra meteoroideasteroide. In questo caso non è tanto la differenza lessicale a rappresentare l’ostacolo, visto che anche lo stesso sito dell’International Meteor Organisation (Imo) ha definito “asteroide” il bolide sardo, e le stesse stime della Nasa parlano di un oggetto del diametro compreso tra uno e due metri – dunque, sebbene di poco, eccederebbe lo standard di “meteoroide”. L’errore mediatico è stato piuttosto un vero e proprio “scambio di persona”: alcuni giornalisti, ingannati da una fortuita vicinanza temporale tra i due fenomeni, hanno identificato il bolide del 16 agosto con l’asteroide 2006 QQ23, passato sei giorni prima, il 10 agosto, a sette milioni e mezzo di km da noi, ovvero quasi venti volte la distanza Terra–Luna. Questo asteroide di circa 500 metri di diametro è un “sorvegliato speciale” della Nasa, in quanto potenzialmente pericoloso per la Terra – per cui, se fosse stato lui a cadere nel Mediterraneo, non saremmo probabilmente qui a scriverne oggi.

Ed è stata proprio la Nasa, grazie alle rilevazioni satellitari 24 ore su 24 fatte dalla rete di monitoraggio Cneos (Center for Near Earth Objects Studies), a confermare la posizione calcolata da Carbognani per il punto finale della traiettoria (38,9 N; 7,0 E) a circa 150 km a sud-ovest delle coste del Sulcis36 km di altezza. La velocità di caduta di 14,9 km al secondo (53.640 km/h) combinata con la traiettoria, ha fatto ipotizzare al Cneos un bolide di circa 1,5 metri diametro. Tenendo conto della natura ferrosa dei meteoriti finora ritrovati ed una conseguente densità di 3 tonnellate al metro cubo, la stima finale della massa è risultata di 4 tonnellate.

Il bolide sul sito del Cneos (cneos.jpl.nasa.gov). Dal 1988 a oggi è l’unico, fra quelli che hanno solcato i cieli italiani, potente a sufficienza da essere registrato nel database della Nasa.

Sul sito Cneos è disponibile un database che indica quasi ottocento bolidi (in inglese fireball) registrati dal 1988 a oggi. Una media di 25 all’anno in tutto il mondo. Quello passato pochi giorni fa sulla Sardegna, con la potenza di meno di 0,1 chilotoni, non è certamente tra i bolidi più “energetici” finora registrati, ma rappresenta comunque – come mostra la mappa riportata qui sopra – uno dei pochi nel Mediterraneo e il primo in Italia.


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Destinazione Lune Inaf Padova

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Nel 2019 è programmata una rassegna di eventi dedicati all’allunaggio del 20/21 luglio 1969.
Gli eventi sono molti e si possono consultare nel dettaglio sul sito web dedicato www.destinazionelune.oapd.inaf.it che verrà costantemente aggiornato.
Questi alcuni appuntamenti per luglio e agosto:

A Padova:
Mostra “Le Lune di Padova” dal 16 luglio al 27 settembre presso la Specola. Un percorso iconografico per raccontare gli studi fatti sulla Luna (e sulle Lune) dagli astronomi che hanno operato a Padova, da Galileo ai giorni nostri.
16.07: 3, 2, 1, 0… DECOLLO!!! Aspettando l’eclissi parziale di Luna, aperitivo scientifico in Specola, rivivendo insieme agli astronomi quanto avvenne il giorno del lancio.
18.07: Tavola rotonda “Raccontare gli ultimi 50 anni dell’esplorazione spaziale per scrivere i prossimi 50” presso l’Aula Magna del Bo con Maurizio Cheli (Astronauta) e Monica Lazzarin (Università degli Studi di Padova), modera Roberto Ragazzoni (Direttore di INAF – Osservatorio Astronomico di Padova).
19.07: “The Planets” di Holst, con accompagnamento di proiezioni di immagini planetarie. Concerto dell’Orchestra di Padova e del Veneto presso il Castello Carrarese.
20.07, 21:45 – 22:17 (ora locale allunaggio): Spettacolo teatrale (di A. Pennacchi e R. Spiga), prodotto da Teatro Boxer. Partendo dalla rievocazione dell’Allunaggio (atterraggio del LEM alle 22:17) una storia sul futuro dell’Uomo..
29.07, ore 20:30 e 22:00: L’Angelo sulla Torre, straordinaria visita serale al Museo La Specola, accompagnata dal violino del Maestro Tommaso Luison organizzata con l’Associazione La Torlonga.

Ad Asiago:
22.08: Spettacolo teatrale “Con gli occhi di Galileo” di Nando Patat e Max Olitz al Teatro Millepini di Asiago.
23.08: Conferenza pubblica su ELT di Nando Patat.
24.08: Notte Nera.

https://www.destinazionelune.oapd.inaf.it

Congiunzione Luna e Saturno (con contorno di Giove e Antares)

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La sera del 12 agosto, alle ore 21:00, vedremo la Luna (fase del 93%) passare a circa 5° a est-sudest del pianeta Saturno (mag. +0,2). I due ci appariranno immersi nelle luci del crepuscolo serale e, all’orario indicato – quando il cielo si sarà già fatto un po’ più scuro, i due astri saranno alti poco meno di 20° sull’orizzonte di sud- sudest.

Avremo a disposizione numerose ore per osservare e riprendere il fenomeno (anche se per la fotografia di paesaggio consigliamo sempre di attendere il momento in cui i  soggetti sono bassi sull’orizzonte, così da includere elementi naturali o architettonici nella ripresa): il passaggio al meridiano avverrà attorno alle ore 23.

Ampliando il nostro raggio visivo, guardando più verso l’orizzonte sud, potremo notare la presenza del brillante Giove (mag. –2,4) nei pressi di Antares (Alfa Scorpii, mag. +1), nello Scorpione.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2019

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E ancora su Coelum astronomia 235

➜ Giorgia Hofer ci porta poi nuovi spunti per la ripresa del nucleo della Via Lattea, ora che il luminoso Giove si trova nei suoi pressi.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Luglio e Agosto su Coelum Astronomia 235

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Unione Astrofili Italiani

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Le campagne nazionali UAI:

10-12 Agosto Le Notti delle Stelle. Il più atteso appuntamento dell’estate astronomica durante il quale le associazioni astrofile proporranno una o più serate dedicate all’osservazione delle Perseidi. L’iniziativa è abbinata a “Calici di Stelle” manifestazione enogastronomica promossa il 10 agosto dal Movimento Turismo del Vico e Associazione Nazionale Città del Vino
www.uai.it/divulgazione

Luna, Giove e più lontano Antares

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Dirigendo il nostro sguardo verso sudovest, la sera del 9 agosto, alle ore 23:45 circa, potremo notare facilmente la presenza in cielo di due astri brillanti, molto vicini tra loro. Sono la Luna (fase del 72%) e il brillante pianeta Giove (mag. –2,4).

La coppia, con la Luna posta a 2° a nord-nordest del pianeta, sarà alta circa 15° sull’orizzonte.

Più a sud, noteremo la rossa Antares (Alfa Scorpii, mag. +1) già prossima al tramonto (altezza di circa 8°). Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ecco un articolo online dedicato alla rossa Antares, sempre a cura del nostro uomo delle costellazioni Stefano Schirinzi!

Ritagliatevi un momento di tranquillità perché come al solito, pur trattandosi di una sola stella, Stefano non si risparmia! 😉

➜ Leggi l’articolo dedicato ad  Antares, stella alfa dello Scorpione

Sarà molto bello riprendere questa congiunzione calata nel contesto del paesaggio naturale o architettonico circostante.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2019

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Perseidi 2019, le stelle cadenti di San Lorenzo

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Perseidi e Iridium Flare di Andrea Pistocchini. Cliccare sull'immagine per i dettagli di ripresa. Photocoelum.
Il radiante dello sciame delle Perseidi, ovvero il punto da cui sembrano partire le stelle cadenti estive, che prendono il nome dalla costellazione in cui si trova. Se è il punto migliore per ottenere la raggiera di stelle cadenti nelle immagini a lunga posa, non è però la direzione migliore per osservare le stelle cadenti più lunghe e persistenti. Si dovrà invece guardare più a destra o sinistra per vedere quelle che attraversano l'atmosfera in modo radente lasciando una lunga scia. Nell'immagine la posizione del quadrante poco dopo le 22 (per una località del Centro Italia), quest'anno però, anche se sarà comunque possibile avvistare le meteore più luminose, converrà attendere il mattino, prima dell'alba, quando la Luna sarà tramontata. Crediti: Coelum Astronomia

Come ogni anno, c’è sempre grande attesa, soprattutto per chi non segue assiduamente i fenomeni del cielo, per lo sciame meteorico delle Perseidi, le stelle cadenti di agosto. E così, per qualche giorno, lo spettacolo offerto dalle “Lacrime di San Lorenzo” (come sono, talvolta, chiamate) riesce a focalizzare l’attenzione anche dei media nazionali, con il risultato che in migliaia, nella notte di San Lorenzo, rimangono con il naso all’insù, nella speranza di vedere qualche brillante meteora (e magari, come da tradizione popolare, esprimere un desiderio).

Perseidi e Iridium Flare di Andrea Pistocchini. Cliccare sull'immagine per i dettagli di ripresa. Photocoelum.
Quest’anno il massimo dello sciame meteoritico delle Perseidi (il cui tasso orario o ZHR sarà pari a circa 110) avverrà purtroppo con la Luna quasi piena, il giorno 13 agosto (all’incirca alle 15 del pomeriggio). La notte migliore per osservarle è quella tra il 12 e il 13 agosto, ma dato che il nostro satellite naturale tramonterà attorno alle 4 del mattino, con il cielo ancora buio, potremo sfruttare questo poco tempo per riprendere qualche bella stella cadente poco prima dell’alba. Come sempre sarà possibile osservare qualche bel bolide luminoso anche nelle serate di qualche giorno prima e dopo il massimo (ricordate il bolide del sabato sera?)

➜ Continua su Perseidi 2019, le stelle cadenti di San Lorenzo con i consigli di Giorgia Hofer

Ma non dimenticate gli articoli usciti in occasione delle precedenti estati, con approfondimenti storici, consigli per la ripresa (anche con uno smartphone) e i racconti ispirati dall’evento, su

➜  Perseidi, le stelle cadenti estive.

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50 ANNI FA
Lo Sbarco dell’Uomo sulla Luna
La Storia, le Persone, le Emozioni… e tutte le immagini più belle.

Coelum Astronomia di Luglio e Agosto 2019
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ETOILES ET MUSIQUE – Saint-Barthélemy (Valle d’Aosta)

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Da sabato 10 a martedì 13 agosto  2019 – ogni sera a partire dalle ore 21.30

Saint-Barthélemy, Loc. Lignan 39, Nus (Valle d’Aosta)

La Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS, che gestisce l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta e il Planetario di Lignan, organizza quattro serate speciali dedicate alle stelle cadenti d’agosto. Accompagnati da ricercatori scientifici e esperti qualificati, compiremo insieme un affascinante viaggio alla scoperta del cielo d’estate, pronti a lasciarci sorprendere dal repentino passaggio di una stella cadente – cioè una meteora, come la chiamano gli astronomi.

Per ciascuna serata sono organizzati tre turni di visita, alle ore 21.30, 22.30 e 23.30, identici per organizzazione e contenuti scientifici. Ogni turno, della durata di un’ora, prevede l’osservazione guidata del cielo a occhio nudo e con i telescopi dell’Osservatorio Astronomico. Scopriremo inoltre la vera natura dello sciame meteorico delle Perseidi, popolarmente note come “le lacrime di San Lorenzo”. Così, quando una scia luminosa attraverserà il cielo all’improvviso, sarà ancora più emozionante esprimere il tradizionale desiderio, avendo compreso l’origine di questo spettacolo astronomico.

L’iniziativa ha ottenuto i prestigiosi patrocini ufficiali dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), i principali enti del nostro Paese per lo studio dello spazio e degli astri.

Vi aspettiamo a Saint-Barthélemy per quattro serate imperdibili!

Clicca qui per accedere alla pagina dedicata e scaricare comunicato stampa e locandina

Per ulteriori informazioni

e-mail info@oavda.it ― sito web www.oavda.it

Perseidi, le stelle cadenti estive


Come ogni anno, c’è sempre grande attesa, soprattutto per chi non segue assiduamente i fenomeni del cielo, per lo sciame meteorico delle Perseidi, le stelle cadenti di agosto. E così, per qualche giorno, lo spettacolo offerto dalle “Lacrime di San Lorenzo” (come sono, talvolta, chiamate) riesce a focalizzare l’attenzione anche dei media nazionali, con il risultato che in migliaia, nella notte di San Lorenzo, rimangono con il naso all’insù, nella speranza di vedere qualche brillante meteora (e magari, come da tradizione popolare, esprimere un desiderio).

Coelum Astronomia ogni anno dedica almeno un paio di pagine a questo fenomeno nel suo numero estivo, ma nel tempo gli abbiamo dedicato speciali, approfondimenti, consigli di ripresa e di osservazione che è un peccato dimenticare, perciò li riproponiamo qui sotto, a partire dagli articoli ad accesso gratuito presenti sul nostro sito o sui numeri estivi della nostra rivista che, ormai dal 2016, esce in formato digitale e completamente gratuito! Questo articolo sarà sempre in aggiornamento, in coda troverete invece qualche contributo relativo ai numeri più vecchi a pagamento.

Per le informazioni osservative dell’anno in corso consultate sempre le pagine del nostro Cielo del Mese!

Articoli e approfondimenti

➜ Dopo 2000 anni… ancora le Perseidi di Remondino Chavez su Coelum Astronomia 202
Perché le Perseidi non hanno il massimo sempre nello stesso giorno? Cos’è una “stella cadente”? …e una meteora? Da cosa vengono originate? Un po’ di storia, un po’ di scienza e tutte le curiosità sull’argomento.

➜ La Pioggia delle Perseidi di Remondino Chavez su coelum.com

➜ Perché “lacrime di San Lorenzo”? di Gabriele Marini su Coelum Astronomia 213

➜ Il bolide del sabato sera di Marco Malaspina su coelum.com (news media INAF)

Osservazione e ripresa

➜ Fotografiamo le Perseidi di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 213

➜ Come riprendere le Perseidi con uno smartphone! di Sebina Pulvirenti su Coelum Astronomia 202

➜ Come riprendere le Perseidi con la Reflex o il CCD di Daniele Gasparri su Coelum Astronomia 202

…e qualche racconto!

➜ Ci vediamo tra un anno di Ugo Ercolani su coelum.com

➜ La Luna che cammina… e il bolide del sabato sera di Pietro Francesco Nicolai su Coelum Astronomia 225

➜ Stelle cadenti di Ugo Ercolani su coelum.com

Dall’archivio di Coelum

In coda segnaliamo altri riferimenti a vecchi numeri che possono essere acquistati e sfogliati online o trovati in formato pdf nei CD/DVD in vendita nel nostro astroshop (per il formato cartaceo dei numeri più vecchi chiedere sempre prima la disponibilità a segreteria@coelum.com) ➜ Consulta l’archivio per le modalità di acquisto.

➜ Antonio Pacinotti astronomo di Luigi Gabba su Coelum Astronomia 144
Lo sapevate che Antonio Pacinotti, il noto inventore della dinamo, prima di occuparsi di elettrologia iniziò la sua carriera scientifica come assistente in un osservatorio astronomico? E che nel 1862 scoprì indipendentemente la celeberrima Swift-Tuttle, la cometa madre dello sciame delle Perseidi?



“Sotto i cieli del Parco” XI edizione – Parco Nazionale della Sila

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“Sotto i cieli del Parco” XI edizione – 2019
4 – 12 agosto

Manifestazione di educazione ambientale e di promozione turistica del territorio di elevato contenuto culturale e scientifico. La partecipazione alla manifestazione è assolutamente gratuita ed è offerta dal Parco Nazionale della Sila in collaborazione con l’Associazione Star Freedom Onlus.

Il Planetario

Gli spettacoli al planetario itinerante Star Freedom avranno la durata di un’ora e  (è gradita la prenotazione agli spettacoli)
8,9 e 10 agosto a Lorica – presso il salone del Camping Lago Arvo

12 agosto Villaggio Mancuso –  presso il Centro Visita A. Garcea (Taverna CZ)

Le serate osservative

Le serate osservative con i telescopi avranno la durata di tre ore e si svolgeranno nei seguenti giorni e orari:

Domenica 4 agosto 21.30 (Pian del Sole – loc. Trepidò – Cotronei KR)

Lunedì 5 agosto 22.30 (Stadio comunale Serravalle – Mesoraca KR)

Martedì 6 agosto 21.30 (Campo sportivo comunale – Bocchigliero CS)

Mercoledì 7 agosto 21.30 (Monte Scuro – uscita Fago del Soldato – SP256 nei pressi del Rifugio Montescuro – adiacente il Crocefisso – Celico CS)

Sabato 10 agosto (Notte di S. Lorenzo – Notte di Stelle cadenti) 21.30 (Centro Sportivo Lorica – Lungo lago di Lorica – San Giovanni in Fiore CS)

Domenica 11 agosto (Notte bianca della Biodiversità) 21.30 (Centro Visita A. Garcea – Villaggio Mancuso – Taverna CZ)

Domenica 12 agosto 21.30 (Campo sportivo comunale – Magisano CZ)

Per ulteriori informazioni e per le prenotazioni:

Associazione Star Freedom Onlus

www.starfreedom.it – starfreedomonlus@libero.it

Accademia delle Stelle

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2019-07 Coelum AdS
Accademia Delle Stelle

Estate Stellare!

Vacanze Astronomiche
Scuola di Astronomia
50° dallo sbarco sulla Luna
Cene ed Eventi Astronomici
Feste e Sagre in provincia di Roma e nel Lazio

Info e calendario eventi:
https://www.accademiadellestelle.org/
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle

L’età della Luna sale di 100 milioni di anni

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Immagine di uno dei campioni di roccia Ilmenitica-basaltica, il n. 12054, raccolto durante la missione Apollo 12 e utilizzato in studi come questo pubblicato su Nature Geoscience per risalire all’epoca di formazione del nostro satellite naturale. Crediti: Maxwell Thiemens, 2019
Immagine di uno dei campioni di roccia Ilmenitica-basaltica, il n. 12054, raccolto durante la missione Apollo 12 e utilizzato in studi come questo pubblicato su Nature Geoscience per risalire all’epoca di formazione del nostro satellite naturale. Crediti: Maxwell Thiemens, 2019

Tra le teorie che cercano di spiegare la formazione della Luna, la più accreditata è da tempo quella secondo la quale essa si sarebbe formata a seguito di una gigantesca collisione tra un corpo planetario dalle dimensioni di Marte e la Terra primitiva: la cosiddetta Giant impact hypothesis, o Teoria dell’impatto gigante. Uno scontro che avrebbe generato materiale a sufficienza per consentire al nostro satellite naturale, nel corso del tempo, di accrescere fino a diventare come lo vediamo oggi. Ma la sua età? Quanti anni ha la signora Luna?

Ebbene, secondo uno studio condotto da un team di scienziati dell’Istituto di geologia e mineralogia dell’Università di Colonia, in Germania, i cui risultati sono stati pubblicati ieri su Nature Geoscience, essa non si sarebbe formata 150 milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare – come ricerche precedenti hanno stimato – bensì appena 50 milioni di anni dopo: insomma, l’età della Luna sarebbe di 100 milioni di anni superiore a quanto si credeva. A certificare questa nuova datazione è la maggiore abbondanza dell’isotopo 182 del tungsteno nei silicati lunari rispetto alla maggior parte dei silicati terrestri. Una differenza di composizione di elementi rari che indicherebbe una formazione meno recente di quanto si credesse. Insomma, la Luna sarebbe una splendida vecchietta con un’età di 4.51 miliardi di anni.

Una conclusione, questa, alla quale i ricercatori sono arrivati analizzando ciò che di più prezioso possediamo della Luna: i campioni di roccia portati qui sulla Terra dalle missioni Apollo, tra i quali anche quelli della missione Apollo 11, che proprio questo mese ha festeggiato il cinquantesimo anniversario. Rocce che «hanno registrato informazioni sulla formazione della Luna, e che si possono trovare ancora oggi sulla superficie lunare», dice il primo autore dell’articolo, Maxwell Thiemens.

In particolare, analizzando le firme chimiche di questi campioni, ovvero misurando le quantità di isotopi radioattivi di elementi come afniouraniotungsteno – i cui tempi decadimento sono noti, consentendone così l’utilizzo come orologio radioattivo naturale – e combinando queste informazioni con quelle ottenute da altri esperimenti in laboratorio, il team di ricerca ha stabilito che il nostro satellite avrebbe iniziato a solidificarsi, appunto, già circa cinquanta milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare, avvenuta 4.56 miliardi di anni fa.

Secondo gli autori, l’eccesso dell’isotopo del tungsteno a cui accennavamo all’inizio – il tungsteno-182 – riscontrato nei campioni lunari esaminati è dovuto al decadimento dell’afnio-182. E poiché questo isotopo è esistito solo per i primi 60 milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare, spiegano i ricercatori, la Luna non può essersi formata successivamente a quell’epoca, e dunque avrebbe iniziato a solidificarsi approssimativamente 4.51 miliardi di anni fa.

«Questa informazione implica che un eventuale impatto gigante deve per forza risalire a un periodo precedente», osserva a questo proposito Carsten Münker, tra i firmatari dello studio, «il che risponde a una questione fortemente dibattuta tra la comunità scientifica in merito alla formazione della Luna».

«I primi passi dell’umanità su un altro mondo, esattamente 50 anni fa, hanno fornito campioni che ci consentono ora di comprendere i tempi e l’evoluzione della Luna», conclude Maxwell. «E poiché la formazione della Luna è stata l’ultimo grande evento planetario dopo la formazione della Terra, l’età della Luna fornisce anche un’età minima per la Terra».

Per saperne di più:


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Il Cielo di Agosto 2019

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Ago > 00:00; 15 Ago > 23:00; 31 Ago > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI (apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

A metà agosto, Andromeda e il quadrato di Pegaso saranno già molto alti verso sudest, mentre a ovest, sempre più basso, si preparerà a salutarci il Boote con la brillante Arturo. A fine agosto, già prima della mezzanotte, si potrà assistere al sorgere delle “sette sorelle”, le Pleiadi, le primissime avvisaglie della stagione più fredda – ancora lontana – che porterà con sé le brillanti stelle invernali:

➜ Il Cielo di luglio e agosto con la UAI che questo mese ci porta tra stelle e nebulose della Via Lattea

Riprendiamo la Via Lattea con Giorgia Hofer, con tanti spunti anche da rubriche passate.

IL SOLE

Dopo aver raggiunto, il 21 giugno scorso, il suo punto più alto nel cielo, la nostra principale fonte di luce tornerà a ridurre sempre più la sua declinazione, sembra strano a credersi ma nei giorni più caldi dell’anno in realtà le giornate continuano ad accorciarsi. Negli ultimi giorni di agosto, ad esempio, nel passare al meridiano raggiungerà (alla latitudine di 42° N) un’altezza dall’orizzonte di poco superiore ai +56°, contro i +70° di metà luglio. La notte astronomica quindi passerà dalle 4 ore e mezza di inizio luglio alle 7 ore e mezza di fine agosto!

➜ Continua a leggere, sempre gratuitamente, sul Cielo di Luglio e Agosto all’interno del nuovo numero.

COSA OFFRE IL CIELO

Giove, riduce sempre più le sue ore di visibilità, cominciando a tramontare prima della mezzanotte, ma in serata continuerà ad essere brillante e ben visbile, Saturno, in uscita dalla sua opposizione del 9 luglio, continua ad essere visbile, ma anche lui tramonterà sempre prima e, a fine agosto, culminerà durante il crepuscolo serale.  Marte e Venere, invisibili e osservabili solo attravero il coronografo. Mercurio invece, come sempre, alternerà nel suo più veloce moto attorno al Sole, i suoi periodi di visibilità, iniziando agosto ancora sotto l’orizzonte ma via via più alto finché, nella seconda decade del mese raggiungerà la sua massima elongazione.

Approfondisci le condizioni dei singoli pianeti, dei pianeti nani e dei principali asteroidi nelle sezioni dedicate del Cielo di Luglio e Agosto, oltre alle cartine e ai dettagli delle principali congiunzioni del mese.

LE PERSEIDI

Evento principe del cielo di Agosto sono sempre le Perseidi!

Anche se quest’anno il massimo dello sciame meteoritico delle Lacrime di San Lorenzo (il cui tasso orario o ZHR sarà pari a circa 110) avverrà purtroppo con la Luna quasi piena, il giorno 13 agosto, potremo comunque provare lo stesso a scorgere e catturare le più luminose, o attendere verso le quattro del mattino, quando il nostro luminoso satellite tramonterà.

Al link qui sopra (e cliccando sulla cartina) Giorgia Hofer ci offre qualche consiglio e qualche spunto per la ripresa delle “stelle cadenti” per eccellenza, ma come sempre sfogliate i vecchi numeri estivi, o cliccate qui, perché di articoli per l’osservazione e la ripresa, anche con uno smartphone, ne troverete in abbonadanza!

LA LUNA

Per quanto riguarda la Luna (continuate a inviarci e caricare su Photocoelum le vostre foto dell’eclissi parziale di luglio!), passato il suo momento, continuerà come sempre a mostrarci le sue interessanti formazioni. Per chi l’avesse persa il 6 e 7 agosto ci saranno le condizioni migliori per osservare il sito di atterraggio di Apollo 11.

➜ Continua su Guida all’osservazione del sito di atterraggio di Apollo 11

Mentre il 9 agosto proponiamo l’osservazione del Sinus Aestuum, un’antichissima regione relativamente pianeggiante con una superficie di 40.000 km^2 e un diametro di circa 260/280 km, la cui formazione viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Imbriano (da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa). La Luna sarà a nostra disposizione per tutta la serata fino al suo tramonto previsto per le 01:30 circa della notte seguente.

➜ Tutti i dettagli delle due proposte nella Luna di Luglio e Agosto 2019


E ancora su Coelum astronomia 235

➜ Giorgia Hofer ci porta poi nuovi spunti per la ripresa del nucleo della Via Lattea, ora che il luminoso Giove si trova nei suoi pressi.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ Comete. Due compitini per le vacanze e un’altro bellissimo racconto di Claudio Pra: Un sogno con la coda.

➜ Supernovae: Una nuova scoperta per il gruppo senese, e una nuova supernova luminosa da riprendere prima che svanisca.

La Chioma di Berenice (IV parte):  le galassie più belle e luminose.

e il Calendario di tutti gli eventi di luglio e agosto 2019, giorno per giorno!

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Relatività, una conferma estrema

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Rappresentazione artistica di S0-2. Crediti: Nicolle R. Fuller/National Science Foundation
Rappresentazione artistica di S0-2. Crediti: Nicolle R. Fuller/National Science Foundation

Astrofisica estrema. La chiama così Andrea Ghez, professoressa di fisica e astronomia alla University of California, Los Angeles (Ucla), la conferma diretta della relatività generale nei pressi del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea ottenuta dal suo team. Nello studio in uscita domani su Science, la squadra di scienziati guidata da Ghez e Tuan Do (Ucla) riconferma la teoria di Einstein grazie alle osservazioni dell’orbita di una stella, S0-2, attorno al buco nero supermassiccio Sagittarius A*.

S0-2 completa un’orbita attorno a Sagittarius A* in 16 anni. Il lavoro di Ghez e colleghi integra oltre 20 anni di osservazioni – compiute dal 1995 al 2017 al Keck Observatory, alle Hawaii, utilizzando uno spettrografo costruito presso l’Ucla – con dati più recenti, raccolti lo scorso anno. Questi ultimi sono state acquisiti in coincidenza di momenti particolari dell’orbita della stella, ad esempio durante il passaggio alla distanza minima dal buco nero, a 120 unità astronomiche. In quel passaggio, la velocità della stella era il 2,7 per cento della velocità della luce.

Combinando posizione e spettri di S0-2, non solo si è potuta ricostruire la più precisa orbita tridimensionale ottenuta finora di una stella attorno a Sagittarius A*, ma si è anche confermato l’effetto della relatività generale su un corpo soggetto a un intenso campo gravitazionale.

Il redshift osservato nello spettro di S0-2, cioè lo spostamento della luce a lunghezze d’onda diverse rispetto a quelle emesse in origine dalla sorgente, è il risultato di due fattori: l’effetto doppler relativistico e il redshift gravitazionale. Il primo può spostare la luce verso il rosso (o verso il blu) a seconda di come la sorgente si muove rispetto all’osservatore, mentre il secondo causa un arrossamento della luce che si allontana da un corpo compatto, fonte di intenso campo gravitazionale. Lo studio di Ghez e colleghi, in particolare, mostra che lo spostamento verso il rosso della luce di S0-2 è consistente con quello previsto dalla relatività generale nei pressi di un buco nero di 4 milioni di masse solari – qual è, appunto, la massa stimata del buco nero al centro della Via Lattea.

Il redshift gravitazionale non ha certo bisogno di buchi neri da milioni di masse solari per far sentire il suo effetto: i Gps che siamo ormai abituati a usare quotidianamente devono correggere il calcolo della posizione tenendo conto della differente intensità del campo gravitazionale sulla Terra e in orbita, lì dove viaggiano i satelliti. Il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia è però un ottimo laboratorio naturale quando si vuole testare la relatività con campi gravitazionali ben più intensi di quelli del Sistema solare. Da qui l’espressione “astrofisica estrema”.

«La particolarità di S0-2 è che abbiamo la sua orbita completa in tre dimensioni», dice Ghez. «Questo ci offre il biglietto d’ingresso ai test della relatività generale. Ci siamo chiesti come si comporta la gravità vicino a un buco nero supermassiccio, e se la teoria di Einstein basta a fornire la visione completa. Vedere le stelle completare la propria orbita fornisce la prima opportunità di testare la fisica fondamentale usando i movimenti di queste stelle».

Questo è il primo di altri studi che il team di Ghez condurrà su stelle che orbitano attorno a Sagittarius A*. Tra i candidati interessanti c’è anche la stella S0-102, che fra quelle del campione è la più veloce a completare la sua orbita: appena 11 anni e mezzo. La difficoltà di eseguire questo tipo di osservazioni sta infatti nei tempi orbitali lunghissimi, che nella maggior parte dei casi superano di gran lunga la durata di una vita umana.

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “Relativistic redshift of the star S0-2 orbiting the Galactic center supermassive black hole”, di Tuan Do, Aurelien Hees, Andrea Ghez, Gregory D. Martinez, Devin S. Chu, Siyao Jia, Shoko Sakai, Jessica R. Lu, Abhimat K. Gautam, Kelly Kosmo O’Neil, Eric E. Becklin, Mark R. Morris, Keith Matthews,Shogo Nishiyama, Randy Campbell, Samantha Chappell, Zhuo Chen, Anna Ciurlo, Arezu Dehghanfar, Eulalia Gallego-Cano, Wolfgang E. Kerzendorf, James E. Lyke, Smadar Naoz, Hiromi Saida, Rainer Schödel, Masaaki Takahashi, Yohsuke Takamori, Gunther Witzel e Peter Wizinowich

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Il ghiaccio dei crateri lunari non è così perenne come si pensava

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Uno dei crateri in ombra perenne del polo sud lunare. Crediti: NASA's Goddard Space Flight Center

Si, sulla Luna ci siamo andati, con le missioni Apollo e con una miriade di altre missioni robotiche (che tra l’altro hanno visto anche le tracce delle missioni Apollo). Ed è ormai sicuro che ci torneremo, anche come base di partenza per andare “oltre”, ma per farlo occorre scegliere con attenzione i luoghi dove fermarsi e le risorse a disposizione, prima fra tutte la possibilità di trovare e poter estrarre acqua.

La regione del polo sud della Luna ospita alcuni degli ambienti più estremi del Sistema solare: è inimmaginabilmente fredda, craterizzata in modo massiccio e con aree o costantemente esposte alla luce del Sole o nelle tenebre eterne. E questo è proprio uno dei motivi per cui la NASA vuole inviare lì, nel 2024, gli astronauti del suo programma Artemis (leggi l’articolo Ritorno alla Luna. Il programma Artemis su Coelum Astornomia 235, in formato digitale e gratuito).

La parte dei crateri in ombra, infatti, che non vede mai la luce del Sole per via del basso angolo di illuminazione, raggiunge le temperature più fredde mai misurate nel Sistema solare interno. Si è pensato quindi che fosse l’ambiente perfetto per conservare materiali, come l’acqua ghiacciata, inalterati per eoni. E proprio lì sono state trovate riserve d’acqua ghiacciata permanente. Chiamate “trappole di ghiaccio” (cold trap), si è scoperto che le molecole d’acqua vaganti sulla superficie lunare (trasportate da comete e meteoriti e, forse, anche endogene), quando vengono catturate da queste trappole invece di sublimare o restare coinvolte in altri eventi ambientali, restano li, congelate, e si accumulano andando a formare una riserva perenne, una sorta di permafrost lunare.

Un nuovo studio, sui dati dello strumento Lamp (Lyman Alpha Mapping Project) a bordo di LRO, ha invece scoperto che lo strato più superficiale di queste riserve d’acqua, uno strato sottile più delle dimensioni di un globulo rosso, sta lentamente venendo eroso.

Primo autore dello studio, pubblicato su Geophysical Research Letters, è William M. Farrell. fisico del plasma al Goddard Space Flight Center, che spiega: «Si pensa che alcune aree di questi crateri polari intrappolino l’acqua e basta. Ma ci sono particelle di vento solare e meteoroidi che colpiscono la superficie e possono innescare reazioni che si verificano in genere a temperature superficiali più calde. Questo è un qualcosa che non era stato evidenziato».

Una simulazione del costante impatto di micrometeoriti e di particelle disperse sulla superficie lunare. Crediti: NASA's Goddard Space Flight Center

Particelle cariche di vento solare e micrometeoriti, qui sulla Terra, vengono neutralizzate dalla nostra atmosfera, sulla Luna invece arrivano senza alcun ostacolo e bombardano tutta la superficie lunare, anche quindi le superfici di ghiaccio perenne. Il vento solare scalfisce la superficie lanciando molecole d’acqua anche lontano dalla loro posizioni originale, mentre le micrometeoriti si schiantano sul terreno mischiato con pezzi di ghiaccio, le cui particelle, grazie alla bassa gravità e alla mancanza dell’attrito dell’aria, vengono lanciate anche fino a 30 chilometri di distanza.

È evidente che, fuori dalla zona d’ombra, queste particelle ghiacciate sublimano o si perdono in altri processi ambientali. Quello che ancora non è chiaro è se l’acqua (che arriva e che è arrivata sempre grazie a comete e meteoriti) si ripristina allo stesso modo nel tempo o se queste riserve sono destinate a consumarsi, e quanta ce n’è… ovvero se l’acqua si trova mischiata solo su questa sottile crosta superficiale, o se è presente anche più in profondità. Ad ogni modo è ormai evidente che esiste una sorta di ciclo dell’acqua anche sulla Luna, e questo è già un primo grosso risultato.
Un secondo risultato è stato quello quindi di dedurre che il ghiaccio trovato in questi crateri potrebbe non essere così antico e perenne come si pensava, ma subire appunto una sorta di riciclo, secondo una stima del team di Farrell, potrebbe rinnovarsi, almeno nella sua parte più superficiale, nel giro di 2000 anni. Per confermare i calcoli del team servirà però uno strumento in grado di rilevare l’eventuale “vapore acqueo” presente sopra i crateri polari, una sorta di esosfera composta da una a 10 molecole d’acqua per centimetro cubo liberata da questi impatti.

Tutto questo potrebbe essere una ottima notizia per le prossime missioni umane sulla Luna. Potrebbe infatti significare che non servirà immergersi nelle tenebre ghiacciate dei crateri per estrarre l’acqua, ma basterà trovarsi nei loro pressi, dove ancora il Sole sarà in grado di alimentare rover e macchinari ad energia solare, e potendo magari raccogliere quella “sparata” fuori da questo costante bombardamento, prima che sublimi o si disperda nuovamente.

Non è facile però trovare conferma per questi studi, analizzare il dettaglio di questi eventi nel buio dei crateri non è semplice e bisogna “andara là”. Con una sonda o con una missione umana, ma serve uno strumento che raccolga i dati sul posto. Al momento infatti, gli strumenti utilizzati per questo genere di analisi sono strumenti di telerilevamento in grado di identificare gli elementi chimici presenti in base alla luce riflessa o assorbita, ed è evidente che in zone di buio perenne luce non ce n’è. Quindi in attesa del ritorno degli astronauti sulla superficie lunare, o nuove sonde appositamente inviate per “fiutare” le molecole d’acqua presenti, ci si “accontenta” di provare a vedere se l’ipotesi dell’azione dei meteoridi all’interno dei crateri in ombra può aiutare a spiegare qualcuna delle tante domande sulla presenza di acqua sulla Luna. Ad esempio, potrebbe spiegare perché si trova in macchie di ghiaccio sottile mischiato alla regolite piuttosto che in blocchi di puro ghiaccio d’acqua…

Una animazione che mostra le alte concentrazioni di idrogeno nel polo sud della Luna (in blu). Nel 1998, la missione Lunar Prospector della Nasa identificò l’idrogeno sulla Luna, un primo indizio della possibilità di trovare acqua sul suolo lunare poi confermata nel 2009 dal Lunar Reconnaissance Orbiter. Crediti: Nasa/Gsfc/Svs

La certezza che la Luna non sia una roccia arida e morta, era stato ipotizzato da tempo e la certezza ce l’abbiamo da una decina d’anni, dopo che, nel 2009, il Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (LCROSS) si è schiantato nel cratere Cabeus proprio per analizzare il materiale del fondo del cratere, trovando appunto anche molecole d’acqua. L’LRO poi, con le sue migliaia di orbite e 1 petabyte di dati scientifici restituiti (equivalenti a circa 200.000 film ad alta definizione, trasmessi in streaming online), è stato determinante.

«Sospettavamo che ci fosse acqua ai poli e LCROSS ce l’ha confermato, ma ora abbiamo la prova che ci sia acqua anche alle latitudini medie», spiega Farrell. «Abbiamo anche evidenze che ci sia acqua proveniente dagli impatti dei micrometeoroidi e che abbiamo misurazioni che riguardano i ghiacci. Ma la domanda è: come sono collegate tutte queste fonti d’acqua?». E Farrell e i suoi colleghi sono più vicini a rispondere che mai.


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Ecco il volto della Via Lattea appena nata

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Rappresentazione artistica della nostra galassia, la Via Lattea, com’era 10 miliardi di anni fa e com’è diventata oggi. Crediti: Gabriel Pérez Díaz, Smm (Iac)
Rappresentazione artistica della nostra galassia, la Via Lattea, com’era 10 miliardi di anni fa e com’è diventata oggi. Crediti: Gabriel Pérez Díaz, Smm (Iac)

Circa 13 miliardi di anni fa, l’universo era molto differente da come lo conosciamo oggi: è noto che le stelle si formavano con un tasso di formazione molto elevato, e si raggruppavano nelle cosiddette galassie nane. Queste ultime, fondendosi tra di loro (durante i cosiddetti processi di merger), hanno formato in tempi successivi le galassie più massicce che conosciamo oggi, inclusa la nostra, la Via Lattea. Tuttavia, l’esatta catena di eventi che portarono alla formazione della Via Lattea non era ancora del tutto nota. Questo fino a oggi.

Le misure accurate – ottenute dal satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea – di posizione, luminosità e distanza per circa un milione di stelle della nostra galassia, incluse in un volume sferico con raggio pari a circa 6500 anni luce dal Sole, ha infatti permesso a un team di ricerca internazionale – guidato da Carme Gallart dell’Instituto de Astrofísica de Canarias – di studiare in dettaglio alcuni degli eventi che hanno caratterizzato le prime fasi di vita della Via Lattea. Il lavoro di ricerca, pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, è basato sull’analisi e il confronto con accurati modelli teorici della distribuzione in colore e luminosità (diagramma colore-magnitudine) di diverse componenti stellari della Via Lattea: l’alone (una struttura sferica che circonda le galassie a spirale), ed il cosiddetto “disco spesso” (in inglese, thick disk, costituito da stelle formatesi nel disco della Via Lattea e distribuite entro una determinata distanza dal piano del disco galattico).

Studi precedenti avevano mostrato che l’alone della Via Lattea (nel volume interessato dalle osservazioni effettuate con il satellite Gaia) era formato da due distinte componenti stellari: una dominata da stelle di colore nettamente più blu di quelle appartenenti all’altra componente. Lo studio delle caratteristiche cinematiche delle stelle appartenenti alla “componente blu” aveva permesso di identificare questa componente come appartenente ad una galassia nana – probabilmente la galassia Gaia-Enceladus – scontratasi con la Via Lattea nelle primissime fasi della sua formazione. Tuttavia, l’origine e la natura della “componente rossa” ed anche l’epoca esatta dell’evento di impatto non erano note fino ad ora.

Santi Cassisi, dirigente di ricerca all’Inaf – Osservatorio astronomico d’Abruzzo e coautore dello studio pubblicato su Nature Astronomy

L’analisi dei dati di Gaia ha permesso di ottenere la distribuzione dell’età delle stelle presenti nelle due componenti, e ha mostrato la chiara evidenza che sia la “componente blu” che la “componente rossa” sono formate da stelle estremamente antiche, ancora più antiche delle stelle del “disco spesso”. Ciò che differenzia le stelle delle due componenti è il diverso contenuto di metalli (gli elementi più pesanti dell’idrogeno ed elio): in particolare le stelle della popolazione blu sono molto più povere di metalli delle stelle della popolazione rossa.

«Combinando queste informazioni con i risultati di alcune simulazioni cosmologiche», dice a Media Inafuno dei coautori dello studio, Santi Cassisi dell’Inaf – Osservatorio astronomico d’Abruzzo, «abbiamo ricostruito la sequenza di eventi che ha caratterizzato le prime fasi di vita della Via Lattea. Circa 13 miliardi di anni fa le stelle si formarono in due distinti sistemi stellari: la galassia nana Gaia-Enceladus, e il nucleo progenitore della Via Lattea, circa 4 volte più massiccio di Gaia-Enceladus e più ricco di metalli. Tre miliardi di anni dopo, dunque circa 10 miliardi di anni fa, i due sistemi si scontrarono e si unirono formando un unico sistema. Come conseguenza della violenta collisione, alcune stelle appartenenti al progenitore della Via Lattea e praticamente tutte quelle di Gaia-Enceladus acquistarono le velocità tipiche che oggi si misurano per le stelle dell’alone galattico, e diedero vita ad una struttura sferica intorno al disco della galassia. Nei periodi successivi, infine, si ebbero vari eventi di formazione stellare, fino a circa 6 miliardi di anni fa, quando il gas residuo si depositò nel disco galattico, formando ciò che oggi conosciamo come “disco spesso”».

Per saperne di più:

Guarda l’animazione sul canale YouTube dell’Instituto de Astrofísica de Canarias:


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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

26.07, ore 22:00: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il 12), ai pianeti Giove e Saturno, agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) o un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Luca Parmitano a bordo della Stazione Spaziale

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DI MARCO ZAMBIANCHI · astronautinews.it

Luca Parmitano, astronauta dell’ESA di nazionalità italiana, si è unito ufficialmente all’equipaggio di Expedition 60 questa notte alle 03:04 ora italiana, quando è stato aperto il portello tra l’avamposto spaziale e la capsula Sojuz MS-13.

Partito alle 18:28 italiane di ieri 20 luglio insieme al russo Aleksandr Skvorcov e all’americano Andrew Morgan, Parmitano ha poi viaggiato per circa sei ore completando senza imprevisti la danza orbitale che ha lentamente chiuso la distanza tra la ISS ed il veicolo spaziale Sojuz.

Ecco il video riassuntivo della manovra di agganciamento della navicella al modulo Zvezda (la “coda” della ISS, dal lato russo).

Anche se l’aggancio “solido” tra i due veicoli si ottiene in pochi secondi, la procedura di attracco prevede una serie di attività in preparazione all’apertura del portello tra Stazione e Sojuz. Va pressurizzato il piccolo vestibolo che si forma in prossimità dell’anello di attracco e in seguito si devono equiparare le pressioni tra capsula e stazione.

Se i controlli di tenuta d’aria danno infine esito positivo, finalmente da terra arriva l’autorizzazione ad aprire i due portelli (uno dal lato stazione, l’altro dal lato Sojuz) e le due parti dell’equipaggio possono riunirsi, abbracciarsi e dare il via alla breve, tradizionale conferenza stampa di benvenuto a bordo e di saluto ai parenti in ansiosa attesa presso il centro controllo di Mosca.

In questo video vediamo invece l’agognato secondo ingresso di Luca Parmitano nella ISS.

Nei prossimi sei mesi, Luca eseguirà oltre 50 esperimenti europei e 200 esperimenti internazionali. Questi includono investigazioni su come aspetti del corpo umano sono influenzati dalla microgravità e come gli astronauti potrebbero controllare robot da remoto durante una esplorazione lunare.

Quando Aleksej Ovčinin lascerà la Stazione Spaziale al termine della Spedizione 60, Luca assumerà il ruolo di comandante della Stazione per la Spedizione 61. Questa è la terza volta che un astronauta europeo, e la prima per un astronauta ESA di nazionalità italiana, ricopre questa posizione. Luca sarà il terzo, dopo gli astronauti ESA Frank De Winne (2009) e Alexander Gerst (2018), quando prenderà il comando a fine anno.

Per approfondire gli esperimenti e i dettagli della missione, è possibile consultare (e scaricare gratuitamente) la brossura in italiano preparata da ESA, e seguire il topic dedicato a Expedition 60 in continuo aggiornamento su ForumAstronautico.it

Fonti: NASAESA

© 2006-2019 Associazione ISAA – Alcuni diritti sono riservati.

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Il Grande Passo – Gruppo Astrofili Palidoro

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20190727

20190727
Il Grande Passo: 50° anniversario dell’Allunaggio.
Conferenze, documentari e osservazioni
Darsena – Fiumicino

Informazioni:
info@astrofilipalidoro.it
http://www.astrofilipalidoro.it

Come la NASA ha portato la TV sulla Luna

L'Apollo Lunar Television Camera, versione in bianco e nero, così come era stata montata sul fianco del modulo lunare, a sinistra della scaletta di discesa, e che ha trasmesso in diretta mondiale il primo sbarco di un uomo sulla Luna. Crediti NASA

Chi ha avuto la fortuna di vivere quei momenti speciali, intensi ed emozionanti degli anni delle missioni Apollo e, specialmente, della missione Apollo 11, a meno che non si trovasse direttamente nel centro di controllo della NASA o sulla Luna, facilmente, in quei passaggi cruciali della storia dell’umanità, si trovava di fronte a un televisore!

Il numero speciale uscito in occasione del 50esimo anniversario dello sbarco sulla Luna. Clicca e leggi, è gratuito!

Il “piccolo passo” compiuto da Neil Armstrong, il coronamento di una missione iniziata solo qualche giorno prima, ma risultato di un decennio di intensi sforzi e grande lavoro, venne infatti trasmesso in diretta alle televisioni di tutto il mondo. E così tutti poterono osservare esterrefatti l’astronauta scendere la scaletta del modulo lunare Eagle e, infine, posare piede sulla polverosa superficie della Luna. Sono immagini che sono ormai scolpite nella storia, indelebili e indimenticabili. Eppure, a guardare con occhio critico, quelle immagini non sono poi così belle e nitide… ma stiamo parlando della fine degli anni ’60 del XX secolo e la trasmissione aveva origine su un corpo celeste posto a oltre 380.000 chilometri di distanza dalla faccia della Terra.

Non solo, le condizioni di temperatura e illuminazione, la disponibilità di potenza e le restrizioni sul peso imposti dalla missione, hanno necessariamente reso tutto più complesso, limitando anche la tecnologia già disponibile all’epoca. Ma come è stato possibile realizzare una trasmissione televisiva – in diretta per giunta – dalla Luna? Potrebbe sembrare una cosa piuttosto normale poter vedere oggi in televisione quel primo passo mosso dall’essere umano su un mondo diverso dalla Terra: la TV arriva ovunque e non ci si fa nemmeno più troppo caso. Anche all’epoca dell’Apollo 11, per la verità, la televisione aveva già raggiunto una diffusione piuttosto importante, ma una diretta dalla Luna?!

Già dal 1962 si cominciò a ragionare sulle specifiche di telecamere da mandare in volo con le missioni Apollo, ma per lungo tempo alla NASA si discusse se fosse davvero necessario trasmettere immagini dalle missioni, pensando al peso e considerate tutte le difficoltà logistiche legate al trasporto e alla messa in opera di telecamere in grado di riprendere e trasmettere l’impresa. Oggi potremmo farlo utilizzando semplicemente il nostro smartphone, e pure con immagini ad altissima risoluzione, ma negli anni ’60 le telecamere normalmente usate negli studi televisivi erano enormi, pesantissime e soprattutto assetate di energia!

Tutte e tre queste caratteristiche erano assolutamente incompatibili con una missione come quella dell’Apollo 11. Cosa fare dunque? Scartare l’idea? No di certo!

Poter osservare in tempo reale gli eventi, nel loro svolgimento, lassù, sulla Luna, non solo era di grande aiuto e valore per la NASA stessa, ma quasi dovuto al grande pubblico del mondo intero e, in primis, del popolo americano che aveva di fatto finanziato l’impresa e che stava passando anni bui e di scarsa simpatia nei confronti delle istituizioni, tra la guerra fredda con l’Unione Sovietica e il fallimento su tutti i fronti della guerra in Vietnam.

Ai giorni nostri, la NASA è divenuta maestra nel trasformare i fenomeni celesti e gli eventi legati al suo operato in veri e propri spettacoli mediatici, sappiamo bene quanto il destino delle missioni spaziali passi anche dall’opinione pubblica e dalla sua influenza sulle scelte della politica: nel ’69 quest’opera di marketing mediatico era agli albori, ma già se ne percepiva il valore.

L'Apollo Lunar Television Camera, versione in bianco e nero, così come era stata montata sul fianco del modulo lunare, a sinistra della scaletta di discesa, e che ha trasmesso in diretta mondiale il primo sbarco di un uomo sulla Luna. Crediti NASA

Ma quale telecamera avrebbe potuto realisticamente essere trasportata e operata sulla Luna? Una telecamera minuscola ovviamente (in rapporto alle dimensioni dell’epoca si intende), di un paio di kg o meno, in grado di funzionare con pochi watt di potenza e sensibile a sufficienza per riprendere in condizioni di scarsa luminosità. Senza considerare, infine, che un tale aggeggio avrebbe dovuto resistere a sbalzi di temperatura di oltre 200° C. Insomma, dei requisiti, per il tempo, da fantascienza!

Inutile dire che nessuna telecamera allora disponibile si avvicinava nemmeno lontanamente a quelle specifiche. Ma, proprio come i miracoli tecnologici compiuti dagli ingegneri impegnati nella costruzione dei mezzi spaziali del Programma Apollo, un paio di risposte altrettanto estreme e quasi miracolose arrivarono dai laboratori dei colossi tecnologici Westinghouse Electric Corporation e RCA Corporation, che alla fine produssero le telecamere impiegate nelle varie missioni Apollo (a partire dalla Apollo 7), non solo per la ripresa dello storico primo passo ma anche quelle poi utilizzate all’interno delle navette e dagli astronauti scesi sulla Luna.

Stan Lebar, project manager delle Apollo Camera della Westinghouse posa con le due camere (a colori a sinistra e monocromatica a destra) utilizzate nelle missioni Apollo. Quella a destra è la camera che è stata utilizzata per la diretta del primo passo sulla Luna, che volerà ancora come backup ma verrà sostituita dalla videocamera a colori nelle successive missioni. (Crediti Unknown, pubblico domino).

Il contratto per la camera utilizzata durante la diretta TV del primo passo sulla Luna lo vinse Stan Lebar e l’azienda per cui lavorava, la Westinghouse. Quella camera, in versione in bianco e nero, verrà utilizzata solo in quella occasione: negli archivi della NASA potete trovare e liberamente consultare un documento con i dettagli di tutte le camere usate nelle missioni Apollo e, tra gli altri, il manuale originale delle Apollo Lunar Television Camera sviluppate dalla Westinghouse con tutte le specifiche tecniche.

Ma le difficoltà non finivano di certo qui. La telecamera era solo il principio.

Lo standard delle trasmissioni televisive americane prevedevano un flusso di 30 fotogrammi per secondo (NTSC 30fps). La banda dati concessa dai sistemi radio delle navette Apollo non avrebbe mai permesso di trasmettere un tale flusso di dati. Senza contare che una buona parte della banda sarebbe comunque stata necessaria per le trasmissioni telemetriche, dei dati biometrici degli astronauti, per le comunicazioni audio e di navigazione. In conclusione, la banda disponibile sarebbe stata una frazione del necessario.
La soluzione in questo caso fu drastica: abbassare il frame-rate da 30 immagini al secondo ad appena 10.

Ottimo. A questo punto, con le telecamere appositamente sviluppate per l’occasione e gli stratagemmi tecnici adottati per effettuare le riprese e inviarle a Terra, una trasmissione televisiva dalla Luna era divenuta una possibilità concreta e reale.

Ma ancora non bastava.

Se le caratteristiche della trasmissione televisiva ripresa sulla Luna erano state fortemente alterate rispetto agli standard in uso, come avrebbero fatto gli spettatori a seguire quegli storici primi passi dai loro normali dispositivi televisivi? Era necessario effettuare una conversione in tempo reale.

Nell'immagine il monitor su cui arrivarono, a più alta qualità, le immagini captate dalla Honeysuckle Creek Tracking Station in Australia, una delle tre grandi stazioni che ricevettero il segnale dalla Luna, prima della conversione. Crediti NASA

La soluzione che venne pensata, e poi applicata, potrebbe sembrare sempliciotta e quasi casalinga, ma funzionò alla perfezione. Si trattò di utilizzare una telecamera televisiva standard per riprendere direttamente uno schermo speciale, di un dispositivo appositamente pensato per riprodurre le immagini ricevute dall’Apollo 11! Una doppia ripresa quindi… ma la cosa funzionò alla perfezione, anche se le differenti frequenze e framerate impiegati richiesero una speciale telecamera ad alta velocità, normalmente usata nelle riprese di eventi sportivi (e a quanto pare le immagini arrivarono “a testa in giù” per come la telecamera era stata agganciata al modulo lunare, come si può vedere nell’immagine in alto, quindi andavano anche “girate”).

Lo scotto da pagare, inevitabilmente, fu sul fronte della qualità delle immagini che, partendo già da un livello piuttosto basso, fu ulteriormente degradato dal “sistema di conversione”. Qui sotto vediamo a confronto le immagini ricevute e come sono risultate una volta ritrasmesse.

Il segnale originale, trasmesso direttamente dal modulo lunare Eagle alle grandi antenne della NASA a Goldstone (California, USA), a Canberra (Australia) e captato anche dal grande radiotelescopio Parkes (Australia) con la sua imponente antenna da 64 metri, era ben più nitido e luminoso di quello infine arrivato nelle case dei telespettatori di tutto il mondo. Ma di certo non ci si poteva lamentare e, sicuramente, lo stupore e l’emozione erano talmente intensi da convincere anche il più critico dei telespettatori a sorvolare sulla qualità delle immagini che, anche se buie e poco definite, non potevano che incantare letteralmente e lasciare stupefatti.

Una nota particolare è da farsi relativamente al fatto che la ripresa della discesa sulla Luna venne effettuata in bianco e nero. Le telecamere e la TV a colori erano già largamente diffuse all’epoca (anche se non ancora in Italia) e, nonostante gli stringenti vincoli imposti dalle missioni spaziali, era già stato possibile realizzare riprese a colori a bordo del modulo di comando Apollo a partire dalla missione Apollo 10. Eppure, per quella storica notte, il modulo lunare dell’Apollo 11 venne dotato di una telecamera in bianco e nero.

Le motivazioni erano legate essenzialmente alla minore sensibilità delle telecamere a colori e al loro maggior consumo di energia. Conservativamente, si optò per una tradizionale e più semplice telecamera in bianco e nero, perché sarebbe stata più efficace nel registrare i passi di Armstrong e Aldrin sulla Luna, nelle condizioni di alto contrasto tra le zone in ombra e le zone in luce, e di garantire un miglior rapporto segnale/rumore. E fecero bene… oggi possiamo vedere tutti come la scaletta di discesa dal modulo fosse in ombra, e di quanto abbaglianti siano invece, a confronto, le superfici illuminate dalla luce solare. Una trasmissione in bianco e nero avrebbe inoltre facilitato di molto la trasmissione a Terra del segnale televisivo e ritrasmesso in diretta a tutte le TV del mondo.

Nonostante tutti i suoi difetti e le soluzioni macchinose e arrangiate, quindi, anche la trasmissione televisiva in diretta dalla superficie del nostro satellite naturale è stata una prima volta da record, che ha richiesto ricerca e nuove soluzioni tecnologiche rientrando quindi a pieno titolo tra i grandi successi raggiunti in seguito alla conquista della Luna.

Di seguito un estratto di un documentario in cui si parla delle telecamere, della diretta televisiva e di come le immagini di allora siano poi state restaurate, con anche una breve intervista a Sten Lebar, l’uomo delle Apollo Lunar Television Camera, prime testimoni dello sbarco sulla Luna.


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