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Prima luce per ExTrA, il cercatore di pianeti a La Silla

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L’aggiunta più recente all’Osservatorio dell’ESO a La Silla, nel nord del Cile è ExTrA (Exoplanets in Transits and their Atmospheres) che è appena stato messo in opera con successo. ExTrA è progettato per cercare pianeti intorno a nane rosse vicine e studiarne le proprietà. ExTrA è un progetto francese finanziato dal Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC) e dell’agenzia nazionale francese per la ricerca. I telescopi verranno gestiti a distanza da Grenoble, Francia.

Per scovare e studiare gli esopianeti, ExTrA usa tre telescopi da 0,6 metri che controllano regolarmente la quantità di luce ricevuta da diverse nane rosse e cercano una leggera diminuzione di brillanza che potrebbe essere dovuta a un pianeta che passa – o meglio “transita” – di fronte al disco stellare oscurandone parte della luce.

Questa veduta notturna mostra le tre cupole di ExTrA in primo piano e molti altri telescopi dell'Osservatorio di La Silla dell'ESO sullo sfondo. Crediti: ESO/Emmanuela Rimbaud

«La Silla è stato scelto come sede per i telescopi grazie alle eccellenti condizioni atmosferiche del sito», spiega il ricercatore a capo del progetto, Xavier Bonfils. «Il tipo di luce che osserviamo – nella banda del vicino infrarosso – viene assorbito facilmente dall’atmosfera terrestre, perciò abbiamo bisogno delle condizioni più asciutte e buie possibili. La Silla risponde in pieno alle nostre specifiche».

Il metodo dei transiti richiede il confronto tra la luminosità della stella sotto indagine e quella di altre stelle di riferimento per individuare cambiamenti anche minuscoli.

➜ Sul metodo dei transiti leggi anche missione PLATO: occhi italiani alla ricerca di nuovi mondiAstronomia amatoriale: come ho tracciato la curva di un pianeta extrasolare

Ma da terra è difficile realizzare misure di questo tipo, così precise da permettere di rivelare pianeti piccoli, di dimensioni terrestri.  Questo approccio, noto come fotometria differenziale, implica l’osservazione della stella bersaglio insieme ad altre stelle vicine nel cielo. Correggendo le variazioni causate in modo simile a tutte le stelle dall’assorbimento dell’atmosfera terrestre, si possono ottenere misure piu accurate per la stella bersaglio. È pur vero che i cali di intensità luminosa prodotti dai pianeti terrestri sono così minuscoli che anche questa tecnica non sempre è sufficiente. Usando un approccio innovativo che utilizza anche le informazioni sulla luminosità della stella in diversi colori, invece, ExTrA riesce a superare alcune di queste limitazioni.

Uno dei tre telescopi ExTrA all'interno della cupola. Crediti: ESO

I tre telescopi di ExTrA raccolgono la luce della stella bersaglio e di quattro stelle di confronto; questa luce è poi inviata, tramite fibre ottiche, a uno spettrografo multi-oggetto. Questo approccio innovativo di aggiungere informazioni spettroscopiche alla fotometria tradizionale aiuta a mitigare gli effetti dirompenti dell’atmosfera terrestre, nonchè quelli introdotti da strumenti e rivelatori – migliorando la precisione raggiungibile.

Poichè un pianeta in transito blocca una frazione maggiore della luce stellare proveniente da una stella piccola, ExTrA si focalizzerà su esempi vicini di uno specifico tipo di stelle piccole e brillanti note come nane M, comuni nella via Lattea. Queste stelle dovrebbero ospitare molti pianeti di dimensioni terresti, rendendoli bersagli primari per gli astronomi che vogliono scoprire e studiare mondi distanti che potrebbero ospitare la vita. La stella più vicina al Sole, Proxima Centauri, è una nana M e in orbita intorno a essa si è scoperto un pianeta di massa terrestre.

Trovare questi mondi precedentemente non rilevabili è uno dei due obiettivi principali di ExTrA. Il telescopio studierà anche il pianeta trovato con un certo dettaglio, e permetterà di stabilirne le proprieta e dedurne la composizione chimica per confrontarla con quella della Terra.

«Con ExTrA possiamo anche affrontare alcune delle domande fondamentali sui pianeti nella nostra galassia. Speriamo di esplorare quanto sono comuni, qual è il comportamento dei sistemi con numerosi pianeti e il tipo di ambiente che ha portato alla loro formazione», aggiunge un’altro membro dell’equipe, Jose-Manuel Almenara.

Questa veduta mostra due delle tre cupole di ExTrA sotto a una magnifica Via Lattea e alle Nubi di Magellano. Crediti: ESO/Petr Horálek

Bonfils è entusiasta per il futuro: «Con la prossima generazione di telescopi, come l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, potremmo riuscire a studiare l’atmosfera di esopianeti trovati da ExTrA per cercare di stabilire la possibilità che questi pianeti supportino la vita come la conosciamo. Lo studio degli esopianeti sta portando quella che una volta era fantascienza nel mondo della scienza».

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Galileo Galilei: 2° edizione

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20180224coelum

20180224coelum

Con il Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura Comune di Fiumicino e all’interno della rassegna culturale Fiumicino Inverno, una serata dedicata interamente al Padre della Scienza Moderna.

Programma della serata:
– Conferenza sulla vita di Galileo
– Osservazioni della Luna con una replica del telescopio storico
– Osservazione della Luna con i telescopi moderni del Gruppo Astrofili Palidoro

Media sponsor: COELUM Astronomia

INGRESSO LIBERO
Casa della Partecipazione
Via del Buttero, 10, 00057 Maccarese RM
Info: info@astrofilipalidoro.it – 3475010985

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Una nuova ipotesi per il mistero delle galassie a spirale

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Credit: ESA/Hubble & NASA Acknowledgement: Flickr user Det58
La galassia a spirale NGC 1566, ripresa dal Telescopio Hubble .Crediti: ESA/Hubble & NASA Acknowledgement: Flickr user Det58

Hanno la forma di un disco composto da un nucleo con alcune braccia che gli si avvolgono intorno. Sono le galassie a spirale, uno degli oggetti più suggestivi e interessanti dell’universo visibile rivelati dall’astronomia. Francesco Sylos Labini, ricercatore presso l’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Isc-Cnr) e del Centro Fermi, ha recentemente pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal una ricerca sul tema in collaborazione con il Laboratoire de Physique Nucleaire et de Haute Energies (Lpnhe) di Parigi.

«Molte teorie hanno cercato di spiegare l’origine di questi sistemi, ma nessuna si è mai affermata come quella corretta e definitiva. Una delle più famose del secolo scorso è quella che suppone l’esistenza della materia oscura, cioè una componente della materia non direttamente osservabile ma solo percepibile», spiega Sylos Labini. «Le curve di rotazione delle galassie a spirale, ovvero le variazioni della velocità orbitale delle stelle in funzione della loro distanza dal centro della galassia, finora hanno fornito l’evidenza più solida in favore della materia oscura. In questo sistema le stelle più lontane dal centro galattico orbitano quasi alla stessa velocità delle più vicine e questo fenomeno infrange la terza legge di Keplero, che definisce la velocità delle galassie inversamente proporzionale alla distanza dal centro. Per spiegare l’inaspettato fenomeno di quest’anomalia, dunque, è stato necessario ipotizzare una massa maggiore di quella visibile».

Risultato di una simulazione al computer di un sistema di 1 milione di particelle auto-gravitanti. (David Benhaiem e Francesco Sylos Labini)

Un’altra spiegazione delle particolari velocità osservate nelle galassie a spirale secondo i ricercatori è fornita dal modello della Dinamica newtoniana modificata (Mond): «Al fine di spiegare il particolare comportamento di queste galassie la teoria si propone di modificare la seconda legge di Newton, introducendo una nuova costante fondamentale», precisa Sylos Labini.

«La nostra pubblicazione si inserisce in questo interessante scenario fornendo una terza chiave di lettura del fenomeno. Grazie a simulazioni al computer e a calcoli teorici, abbiamo riprodotto il collasso gravitazionale di una nube ellissoidale di particelle isolate dando loro una piccola velocità di rotazione iniziale, constatando che ne derivano sistemi qualitativamente simili alle galassie a spirali, le cui braccia non sono stazionarie, cioè non orbitano come i pianeti intorno al Sole, che sono in uno stato di equilibrio, ma sono dei fenomeni generati da una dinamica fuori dall’equilibrio. La loro principale caratteristica è di avere delle velocità radiali oltre che circolari e le braccia a spirali sono formate proprio per effetto della combinazione di questi due moti. Invece di aver teorizzato un solo modello teorico, abbiamo dischiuso un ampio spettro di possibili modelli, su cui si baseranno nuovi studi offrendo un diverso quadro di lettura per un fenomeno affascinante e ancora misterioso».



Accademia delle Stelle

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Scuola di Astronomia a Roma
Il 2018 si apre con due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a marzo presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

Da lunedì 22 gennaio: Corso base di Astronomia. Il corso è dedicato a tutti per scoprire com’è fatto l’Universo, dai pianeti alle stelle, dal Big Bang a quasar, buchi neri e onde gravitazionali.

Da giovedì 25 gennaio: Fotografia Astronomica. Corso completo di Astrofotografia: tutte le basi teoriche e competenze pratiche per dedicarsi alla fotograia astronomica dalla semplice reflex al telescopio.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

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La Luna alta tra le stelle del Toro

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Per concludere con il mese di gennaio, il 27 gennaio, alle 18:10, segnaliamo una congiunzione piuttosto larga tra la Luna (fase 80%) e la stella alfa della costellazione del  Toro, Aldebaran (mag. +0,85).

I due astri si troveranno a una distanza di circa 4,5°, alti più di 50° sull’orizzonte di sudest. Niente di particolarmente spettacolare, ma sarà comunque un’occasione per dirigere lo sguardo verso questa magnifica area di cielo e ammirare Aldebaran e le Iadi con le Pleiadi (M 45) a poca distanza. E poco prima, attorno alle 17:50, non perdete uno dei passaggi notevoli della Stazione Spaziale di questo mese!

Ricordiamo poi che il 30 gennaio la Luna sarà in massima Librazione e potremo quindi provare a osservare la regione fra il mare Humboldtianum (area pianeggiante con diametro di 165 km) e l’adiacente cratere Belkovich (diametro di 204 km).

Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio

Leggi anche

➜ La Luna di gennaio e la guida all’osservazione del margine orientale del Mare Serenitatis

➜ Astrofotografia: Riprendiamo la cintura di Venere



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Rivoluzione Galileo: l’arte incontra la scienza

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Rivoluzione GalileoLa mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.

Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche.
Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.

16 gennaio: L’immagine di Galileo Galilei nell’arte novecentesca dell’Ateneo patavino – Marta Nezzo
23 gennaio: I segreti del cielo: la vita extraterrestre – Cesare Barbieri

Spettacoli teatrali presso la Sala dei Giganti (Padova)
12 gennaio Bahrami e Martux_m | Frescobaldi Renaissance
Il celebre pianista iraniano sperimenta e contamina con elettronica e sound art le musiche di Girolamo Frescobaldi, contemporaneo ed estimatore di Galileo.

19 gennaio Rossoporpora ensemble | Le nuove & le passate musiche
Da un collettivo di giovani musicisti diretti da Walter Testolin, un concerto raffinato con musiche, tra gli altri, di Monteverdi, Caccini, Willaert. Mottetti, madrigali, arie da un tempo di rivoluzione.
9 febbraio 2018 Jordi Savall | Tous les matins du monde
Uno dei più grandi interpreti della viola da gamba, compositore e musicologo, racconta in musica la relazione maestro-allievo. Il concerto che ha rivelato al grande pubblico il fascino della musica antica.

Per informazioni e prenotazioni:
Telefono 0425 460093
info@mostrarivoluzionegalileo.it
www.mostrarivoluzionegalileo.it

Cassini. Titano, tra cielo e mare

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Il Ligeia Mare di Titano, mostrato qui in un'immagine ottenuta dai dati della sonda Cassini, è il secondo più grande mare della Luna. Formato da idrocarburi, come etano e metano, è uno dei molti mari e laghi che ornano la regione polare nord di Titano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASI/Cornell

Titano, la più grande luna di Saturno, pur così lontana è forse il mondo che più somiglia, almeno all’apparenza, alla nostra Terra. Unico altro mondo nel Sistema solare ad avere oceani liquidi stabili sulla superficie, come la Terra ha mari, laghi e fiumi e un’ambiente con nubi, piogge, nebbie e foschie. La somiglianza però si ferma qui. I mari e i laghi di Titano sappiamo già da tempo che non sono di acqua liquida ma formati da idrocarburi (come metano, etano, propano), e sono i bacini che li contengono ad essere formati da ghiaccio d’acqua ricoperto di uno strato solido di materiale organico.

Ma proprio come i nostri oceani, una nuova mappa topografica della luna mostra come anche su Titano esista un “livello del mare”, ovvero un’altezza media delle acque che si pareggiano distribuendosi in base alla gravità della luna.

È l’ultima scoperta che ci arriva dal sistema del Signore degli Anelli e dalla sua luna. La nuova mappa, pubblicata il 2 dicembre su Geophysical Review Letters, ottenuta dai dati ora completi provenienti dalla sonda Cassini, rivela nuovi rilievi montani (non superiori ai 700 metri), i tre grandi mari e numerosi laghi di alta quota.

La presenza di un livello medio delle acque, e la presenza di laghi di alta quota vicini con un livello simile tra loro, è una scoperta importante, spiega un secondo studio pubblicato sempre sullo stesso numero del Geophysical Research Letters, perché indica che i mari, e i laghi vicini tra loro, sono in qualche modo comunicanti, e che nel sottosuolo della luna esiste quindi un’importante riserva di idrocarburi liquidi. Gli idrocarburi sembrano infatti scorrere sotto la superficie di Titano in modo del tutto simile a come l’acqua scorre attraverso la roccia porosa e le falde acquifere qui sulla Terra.

Il risultato finale di questo secondo studio però solleva anche un nuovo mistero. I ricercatori hanno infatti anche scoperto che la stragrande maggioranza dei laghi di Titano si trova in depressioni isolate, con bordi spioventi: «sembrano letteralmente come se avessi preso una formina per biscotti e avessi fatto dei buchi nella superficie di Titano», spiega Alex Hayes, uno degli autori dello studio (Cornell University). I laghi appaiono quindi circondati da alte creste, alte in alcuni punti anche centinaia di metri.
I laghi sembrano essersi formati attraverso a un meccanismo simile al carsismo sulla Terra, in cui la roccia sul fondo viene dissolta dal liquido che contiene e collassa, formando buchi sul terreno.  I laghi di Titano, come il carso terrestre, sono topograficamente chiusi, senza canali di afflusso o deflusso, solo che, a differenza di questi laghi alieni, quelli terrestri non hanno bordi così ripidi e rialzati.

Questa forma peculiare indica quindi un processo in cui i confini dei laghi si espandono di una quantità costante nel tempo. Il più grande lago nel sud della luna, ad esempio, sembra esserein realtà una serie di laghi più piccoli che si sono man mano allargati e uniti in un’unica grande formazione.

Ma se questi bacini si allargano man mano, «significa che si stanno  distruggendo e ricreando i bordi per tutto il tempo e che i bordi si stanno muovendo verso l’esterno? Comprendere questi fatti è a mio parere la chiave di volta per comprendere l’evoluzione dei bacini polari su Titano», conclude Hayes.

Questa immagine dell'atmosfera di Titano a colori naturali è stata presa in luce visibile con la fotocamera grandangolare a bordo della sonda Cassini, il 31 marzo 2005, a una distanza di circa 33 mila chilometri dalla superficie della luna. L'inquadratura guarda verso la regione polare nord sul lato in ombra della luna. Parte della mezzaluna illuminata dal Sole è visibile sulla destra. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

E il cielo? Sappiamo che su Titano il clima è vario come quello terrestre, cambi repentini, piogge improvvise che riforniscono i laghi e i mari della luna. E nuvole ad alta quota, e questa immagine proveniente sempre dalla sonda Cassini ci mostra proprio questo: singoli strati di foschia nell’alta atmosfera di Titano, una atmosfera dalla chimica ricca e complessa, che ha origine da metano e azoto e si evolve in molecole complesse, formando infine lo smog che circonda la luna.

Per saperne di più sulla missione Cassini potete leggere il nostro speciale che ripercorre tutte le principali tappe della missione proprio attraverso le straordinarie immagini che ci ha inviato, o rivivere il Grand Finale su Coelum Astronomia 215.

Per approfondire:

Il primo studio, con la nuova mappa dai dati completi della missione Cassini: Titan’s Topography and Shape at the End of the Cassini Mission.”

Il secondo studio, sulla connessione di laghi e mari di Titano: Topographic Constraints on the Evolution and Connectivity of Titan’s Lacustrine Basins.”


✨ SPECIALE 2018. Tutti gli Eventi Celesti e le Missioni di Esplorazione Spaziale del Nuovo Anno!

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Nettuno a portata di… Luna!

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Nella cartina, la Luna è stata ingrandita per esigenze di rappresentazione grafica. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Nettuno lo troviamo a poco più di 2° e mezzo a nord della Luna. Nella cartina, la Luna è stata ingrandita per esigenze di rappresentazione grafica. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Toccherà infine alla Luna e al remoto Nettuno incontrarsi nel cielo tra le stelle della costellazione dell’Acquario.

Guardando verso ovest–sudovest alle 19:30 o anche prima, il  20 gennaio vedremo la Luna (fase 12%) a un’altezza di circa 10° sull’orizzonte: essa ci permetterà di localizzare più facilmente il tenue pianeta Nettuno (mag. +7,95) che potremo osservare solo con l’ausilio di un binocolo o di un telescopio.

Approfittiamone per l’osservazione anche della falce di Luna e, presentandosi sul posto di osservazione un po’ in anticipo, se le condizioni sono quelle giuste… riprendere la sua luce cinerea e perché non provare a cercare e riprendere la “cintura di Venere”?

➜ Astrofotografia: Riprendiamo la cintura di Venere


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➜ Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione dell’Eridano (II parte)


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“Tana” per il buco nero

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Questa rappresentazione artistica mostra come potrebbero apparire la stella e il suo compagno buco nero, massiccio ma invisibile, all'interno del ricco ammasso globulare. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org
Questa rappresentazione artistica mostra come potrebbero apparire la stella e il suo compagno buco nero, massiccio ma invisibile, all’interno del ricco ammasso globulare. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org

Usando lo strumento MUSE dell’ESO installato sul telescopio VLT (Very Large Telescope) in Cile, è stato possibile individuare una stella all’interno dell’ammasso stellare NGC 3201 che si comporta in modo bizzarro. Sembra infatti orbitare attorno a un buco nero invisibile di massa pari a circa 4 volte la massa del Sole. Si tratterebbe del primo buco nero di massa stellare inattivo, all’interno di un ammasso globulare, individuato in modo diretto grazie alla sua attrazione gravitazionale.

Gli ammassi globulari sono enormi sfere di decine di migliaia di stelle che orbitano nella maggior parte delle galassie. Sono tra i sistemi stellari più antichi dell’Universo e risalgono a un’epoca vicina all’inizio della crescita ed evoluzione delle galassie. All’interno della Via Lattea se ne conoscono più di 150.

Immagine composita a colori dell’ammasso globulare NGC 3201, ottenuta con lo strumento WFI montato sul telescopio da 2,2 metri dell’ESO/MPG all’Osservatorio di La Silla. Si trova a circa 16 000 anni luce da noi, nella costellazione australe della Vela. Crediti: ESO

Un ammasso particolare, NGC 3201, che si trova nella costellazione australe della Vela, è stato studiato con lo strumento MUSE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile. Un gruppo internazionale di astronomi ha scoperto che una delle stelle in NGC 3201 si comporta in modo strano – viene lanciata avanti e indietro a velocità di parecchie centinaia di migliaia di chilometri all’ora, con un andamento che si ripete ogni 167 giorni.  Lo studio infatti include l’analisi della “velocità radiale” delle singole stelle – la velocità con cui si avvicinano e si allontanano dalla Terra, lungo la linea di vista dell’osservatore. Usando le misure di velocità radiale si possono quindi determinare le orbite delle stelle, oltre alle proprietà di qualsiasi oggetto massiccio intorno a cui orbitino. Ed è così che è stata determinata la massa dell’oggetto:

 

Questa immagine ottenuta con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA mosta la zona centrale del ricco ammasso globulare NGC 3201 nella costellazione australe della Vela. Indicata con un cerchio blu, la stella  individuata che orbita intorno a un buco nero di massa pari a quattro volte quella del Sole. Crediti: ESA/NASA

«Era in orbita intorno a qualcosa di completamente invisibile, con una massa superiore a quattro volte quella del Sole – poteva essere solo un buco nero! Il primo trovato all’interno di un ammasso globulare direttamente osservando la sua attrazione gravitazionale» è quanto dichiarato dal primo autore Benjamin Giesers (Georg-August-Universität Göttingen, Germania).

La relazione tra buchi neri e ammassi globulari è importante ma ancora misteriosa. A causa della grande massa e dell’avanzata età, è quasi naturale ipotizzare che questi ammassi possano aver prodotto un grande numero di buchi neri di massa stellare. Buchi neri di queste dimensioni, si formano quando le stelle massicce muoiono, collassando sotto la propria gravità e esplodendo come potenti ipernove. Quel che rimane è un buco nero che contiene la maggior parte dalla stella originaria, che va da poche volte a diverse decine di volte la massa del Sole. Ma in mancanza di una formazione stellare continua, come nel caso degli ammassi globulari, i buchi neri di massa stellare diventano rapidamente gli oggetti più massicci presenti nell’ammasso.  Teorie recenti hanno concluso che i buchi neri si ritrovano a formare un denso nucleo all’interno dell’ammasso, che quindi si distacca dal resto del materiale. Moti al centro dell’ammasso potrebbero poi espellere la maggior parte dei buchi neri, con la conseguenza che solo pochi sopravvivererebbero dopo un miliardo di anni. Ma fin’ora erano solo teorie.

Poichè la luce non è in grado di sfuggire ai buchi neri a causa della loro enorme forza di gravità, il metodo primario per trovarli è attraverso l’osservazione di emissione nella banda radio o in quella dei raggi X prodotta dal materiale caldissimo che li circonda. Ma quando un buco nero non interagisce con la materia calda e non accumula massa o emette radiazione, come in questo caso, il buco nero è “inattivo” e quindi invisibile, serve perciò un diverso metodo per rilevarlo.

Lo strumento MUSE dell’ESO fornisce agli astronomi proprio questa possibilità: misurare il moto di migliaia di stelle lontane nello stesso momento per rivelare la pesenza di oggetti massicci che ne influenzino l’orbita. Con questi nuovi risultati, l’equipe ha avuto per la prima volta la possibilità di rivelare un buco nero inattivo nel cuore di un ammasso globulare.

L’animazione mostra come potrebbero essere le mutue orbite della stella e del compagno buco nero, nel cuore affollato dell’ammasso globulare. Crediti: ESO/L. Calçada/spaceengine.org

Dalle proprietà osservate si sono infatti determinate le caratteristiche della stella dal movimento “anomalo” e dell’oggetto che lo causa: la stella ha una massa pari a circa 0,8 volte quella del Sole, mentre la massa della controparte misteriosa è circa 4,36 volte quella del Sole, quasi sicuramente un buco nero.

L’individuazione recente di sorgenti di onde radio e di raggi X negli ammassi globulari, così come gli eventi di onde gravitazionali osservati a partire dal 2016, causati dalla fusione di due buchi neri di massa stellare, suggeriscono che questi buchi neri relativamente piccoli possano essere più comuni, negli ammassi globulari, di quanto si pensasse finora.

Giesers conclude: «Fino a poco tempo si supponeva che quasi tutti i buchi neri sarebbero scomparsi dopo breve tempo dagli ammassi globulari e che sistemi come questi non potessero neppure esistere! Ma chiaramente non è così – la nostra scoperta è la prima evidenza diretta dell’effetto gravitazionale di un buco nero di massa stellare in un ammasso globulare. Questa scoperta ci aiuta a capire la formazione degli ammassi globulari e l’evoluzione di buchi neri e sistemi binari – ogni informazione in questa direzione è vitale per comprendere le sorgenti di onde gravitazionali».

I risultati di questo studio sono stati presentati nell’articolo A detached stellar-mass black hole candidate in the globular cluster NGC 3201, di B. Giesers et al., pubblicato dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

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Rivoluzione Galileo: l’arte incontra la scienza

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Rivoluzione GalileoLa mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.

Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche.
Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.

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9 febbraio 2018 Jordi Savall | Tous les matins du monde
Uno dei più grandi interpreti della viola da gamba, compositore e musicologo, racconta in musica la relazione maestro-allievo. Il concerto che ha rivelato al grande pubblico il fascino della musica antica.

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Giove, un arazzo di bande e vortici dai mille colori

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Image credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill
Cliccare per la piena risoluzione e... meraviglia. L

Cinture di nubi vorticanti e colorate dominano l’emisfero sud di Giove in questa suggestiva immagine in arrivo dal Gigante gassoso.

L'immagine raw, così come è arrivata dalla sonda Juno su cui Gill ha lavorato per estrarre tutti i particolari della turbinosa atmosfera di Giove. Public domain NASA / SwRI / MSSS

L’immagine originale è stata ripresa dalla JunoCam il 16 dicembre 2017, durante il decimo flyby (nono scientifico) della missione ed è stata elaborata dal cittadino scienziato Kevin M. Gill, che ci ha ormai abituato ad immagini sempre più spettacolari che esaltano i colori ed evidenziano le forme della turbolenta atmosfera del pianeta, un arazzo diviso in bande ricamate da vortici colorati.

In questa immagine vediamo in particolare, nella parte più a sinistra, la regione scura della Banda Temperata Sud intersecata da un banco di nubi bianche, dalla forma simile a un fantasma che si intrufola tra le altre più scure. Si tratta della formazione più  estesa alle basse latitudini del pianeta e, si… è anche quello un ciclone, dal moto rotatorio in senso orario.

Le immagini grezze provenienti dalla JunoCam sono sempre a disposizione del pubblico, chiunque può unirsi alla comunità per scaricare, elaborare e condividere i proprio lavori, e partecipare alla scelta dei prossimi punti di interesse che la camera a bordo della sonda riprenderà nei prossimi passaggi.

Per vedere altre meravigliose immagini non perdete su Coelum Astronomia 218 di gennaio l’articolo che raccoglie gli ultimi sei mesi di missione del 2017: JUNO. Profondo Rosso (come sempre in formato digitale e gratuito!).

E voi avete mai provato a mettere mano alle immagini inviate dalla JunoCam? Mandateci le vostre elaborazioni! Caricandole su PhotoCoelum o inviandocele su gallery@coelum.com, indicando l’immagine originale e raccontandoci cosa avete voluto evidenziare, o a cosa vi siete ispirati per la vostra elaborazione, o più semplicemente… un vostro pensiero!

Link utili

Il sito della JunoCam Community

Il sito della Missione Juno della NASA

Le news principali sulla missione Juno su Coelum Astronomia


✨ SPECIALE 2018. Tutti gli Eventi Celesti e le Missioni di Esplorazione Spaziale del Nuovo Anno!

Coelum Astronomia 218 di gennaio 2018 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Hubble a caccia di mini stelle e pianeti orfani

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L’immagine fa parte di una survey condotta da Hubble alla ricerca di stelle di piccola massa, nane brune e pianeti nella nebulosa di Orione. Ogni cerchio identifica una coppia di oggetti, che però appaiono come un unico punto luminoso. Per separare la luce stellare degli oggetti, gli esperti hanno utilizzato speciali tecniche di elaborazione delle immagini. Il cerchio interno più spesso rappresenta il corpo primario, mentre il cerchio esterno più sottile indica il compagno. La porzione analizzata da Hubble misura circa 4×3 anni luce. Crediti: NASA , ESA, and G. Strampelli (STScI).
L’immagine fa parte di una survey condotta da Hubble alla ricerca di stelle di piccola massa, nane brune e pianeti nella nebulosa di Orione. Ogni cerchio identifica una coppia di oggetti, che però appaiono come un unico punto luminoso. Per separare la luce stellare degli oggetti, gli esperti hanno utilizzato speciali tecniche di elaborazione delle immagini. Il cerchio interno più spesso rappresenta il corpo primario, mentre il cerchio esterno più sottile indica il compagno. La porzione analizzata da Hubble misura circa 4×3 anni luce. Crediti: NASA , ESA, and G. Strampelli (STScI).

Giusto “dietro l’angolo” (a 1350 anni luce da noi) c’è la Nebulosa di Orione, un gigantesco laboratorio per studiare il processo di formazione stellare e il comportamento di oggetti di vario genere, dalle stelle giganti alle più piccole nane rosse passando per le deboli nane brune. Grazie all’eccezionale sensibilità e risoluzione senza pari del telescopio spaziale della Nasa Hubble, è possibile osservare anche gli oggetti più nascosti all’interno della nebulosa. Nel corso di una lunga survey gli astronomi hanno scoperto, infatti, la più grande popolazione finora nota di nane brune circondate da stelle appena nate. Dalle osservazioni è emersa anche la presenza di tre pianeti giganti e di un sistema binario dove due pianeti orbitano l’uno attorno all’altro in assenza di una stella ospite.

Per identificare le deboli e fredde nane brune, gli astronomi seguono le tracce di acqua nelle loro atmosfere. «Sono così fredde che si forma vapore acqueo», ha spiegato Massimo Robbertodello Space Telescope Science Institute. «L’acqua è un preciso indicatore della presenza di oggetti substellari, vale a dire quegli oggetti astronomici che non hanno abbastanza massa per poter brillare come stelle. Più le masse diventano più piccole, più le stelle diventano rosse e deboli; per questo è necessario osservarle nell’infrarosso, banda di frequenze in cui la caratteristica più evidente è proprio l’acqua».

Gli oggetti identificati da Hubble nella Nebulosa di Orione con leggenda. Vicino a ogni target, descritti nell'immagine di apertura, vediamo due riprese di Hubble: a sinistra l'immagine originale della coppia, a destra la stessa immagine in cui vediamo solo la componente secondaria. Con una speciale tecnica di imaging digitale infatti la prima immagine è stata ripulita e le è stata sottratta la luce invadente della componente primaria, rivelando così la compagna. In alto a sinistra dell'insieme (cerchietti rosso-rosso) vediamo un sistema binario di pianeti orfani della loro stella, mentre al centro sulla destra (arancio-arancio) una coppia di nane brune. Crediti: NASA , ESA, and G. Strampelli (STScI)

Il team ha identificato 1200 candidati al titolo di nane rosse: quelli più luminosi, carichi acqua, sono stati confermati in questa categoria. I ricercatori hanno poi cercato i deboli compagni di queste stelle rossastre, ma con i metodi osservativi tradizionali queste stelle “sorelle” sono quasi impossibili da osservare, perché troppo vicine alle compagne.

Oltre al metodo dell’acqua, il team ha quindi sviluppato una nuova strategia basata sull’imaging ad alto contrasto, che ha permesso di aumentare la risoluzione delle deboli compagne nei sistemi binari.

Nell’elenco delle scoperte ci sono 17 coppiecomposte da nane brune e nane rosse, una coppia di nane bruneuna coppia formata da nana bruna e un pianeta. Gli esperti hanno anche osservato altri due oggetti di massa planetaria: uno associato a un nana rossa e uno a un altro pianeta. Quest’ultimo sistema planetario doppio è singolare, perché non è stata trovata nei paraggi la stella madre.

Successive indagini su questi oggetti verranno effettuate dal James Webb Telescope dopo il lancio nel 2019.


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Rivoluzione Galileo: l’arte incontra la scienza

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Rivoluzione GalileoLa mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.

Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche.
Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.

16 gennaio: L’immagine di Galileo Galilei nell’arte novecentesca dell’Ateneo patavino – Marta Nezzo
23 gennaio: I segreti del cielo: la vita extraterrestre – Cesare Barbieri

Spettacoli teatrali presso la Sala dei Giganti (Padova)
12 gennaio Bahrami e Martux_m | Frescobaldi Renaissance
Il celebre pianista iraniano sperimenta e contamina con elettronica e sound art le musiche di Girolamo Frescobaldi, contemporaneo ed estimatore di Galileo.

19 gennaio Rossoporpora ensemble | Le nuove & le passate musiche
Da un collettivo di giovani musicisti diretti da Walter Testolin, un concerto raffinato con musiche, tra gli altri, di Monteverdi, Caccini, Willaert. Mottetti, madrigali, arie da un tempo di rivoluzione.
9 febbraio 2018 Jordi Savall | Tous les matins du monde
Uno dei più grandi interpreti della viola da gamba, compositore e musicologo, racconta in musica la relazione maestro-allievo. Il concerto che ha rivelato al grande pubblico il fascino della musica antica.

Per informazioni e prenotazioni:
Telefono 0425 460093
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Viaggio al Centro della Galassia

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Gli astronomi della NASA, utilizzando i dati dell’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA e dati nell’infrarosso del Very Large Telescope dell’ESO, hanno simulato un viaggio al Centro della Via Lattea, la nostra galassia. Un vero e proprio viaggio nello spazio e nel tempo, dal punto di vista di un’osservatore che si trovi “seduto” sull’orizzonte degli eventi del buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A*, un mostro cosmico con massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole.

Il risultato è questo video navigabile a 360° che immerge lo spettatore nella simulazione del centro della nostra galassia, in evoluzione nel tempo. Il video mostra inoltre due simulazioni diverse, entrambe con inizio 350 anni nel passato e della durata di 500 anni.

La prima ci mostra Sgr A * in uno stato di calma, guardandoci attorno siamo in grado di vedere circa 25 stelle Wolf-Rayet (oggetti bianchi e scintillanti) in orbita attorno a Sgr A * che espellono venti stellari (in una scala di colori che va dal nero al rosso al giallo). Venti che possiamo vedere scontrarsi tra di loro,  mentre alcune bolle di materiale (in giallo) spiraleggiano verso Sgr A * contribuendo ad accrescere la sua massa.

La seconda simulazione ci mostra invece un Sgr A * più violento che espelle il suo stesso materiale, e vediamo così sparire le bolle di materiale di accrescimento che potevamo vedere nella prima simulazione.

La simulazione dei 30 giganti stellari, le stelle Wolf-Rayet, che orbitano entro circa 1,5 anni luce dal centro della nostra Galassia,  è stata ottenuta grzie ai dati in infrarosso del VLT. Potenti venti di gas fluiscono dalla loro superficie,  trasportando parte del loro strato esterno nello spazio interstellare. Qui i gas espulsi si scontrano con gas espulsi in precedenza da altre stelle producendo onde d’urto, simili a boom sonici, che permeano tutta l’area scaldando il gas fino a milioni di gradie e facendolo brillare nei raggi X. È qui che entrano in campo le osservazioni provenienti da Chandra, che hanno fornito i dati essenziali sulla distribuzione e la temperatura di questo gas.

Ma non è solo un bel gioco… tanto lavoro non è stato fatto solo per concederci questa straordinaria esperienza immersiva “virtuale”. Gli astronomi, coordinati da Christopher Russell dell’Università pontificia del Chile, sono infatti interessati a capire meglio quale ruolo giocano queste stelle Wolf-Rayet nel quartiere cosmico al centro della Via Lattea. In particolare, come interagiscono le stelle con il loro vicino, dominante del centro galattico: il buco nero supermassiccio Sagittario A *.

Dominante ma invisibile, Sgr A * ha una massa equivalente a circa quattro milioni di Soli. La forte gravità di Sgr A * tira verso il suo interno bolle di materiale, che le forze di marea allungano man mano che si avvicinano al buco nero.  Ma Sgr A *  non si limita ad attrarre materiale: occasionalmente esplosioni nella sua periferia provocano un espulsione di materiale (outburst) che si espande con violenza verso l’esterno, con l’effetto di eliminare parte del gas prodotto dai venti Wolf-Rayet, come possiamo appunto vedere nella seconda parte del filmato.

Nell'immagine una visualizzazione del centro della nostra galassia, possiamo distinguere le stelle brillanti e bianche, le bolle di materiale in giallo (clump) e sulla destra una di queste stirata dalle forze mareali del buco nero, i gas dispersi dai venti e i fronti di collisione che emettono radiazione X. Crediti: NASA/CXC/Pontifical Catholic Univ. of Chile /C.Russell et al.

Gli astronomi hanno quindi utilizzato queste simulazioni per comprendere la presenza di emissioni in raggi X, rilevate da Chandra, dalla forma di un disco che si estende per circa 0,6 anni luce dal buco nero.  Il loro lavoro ha mostrato che proprio la collisione tra i venti generati dalle stelle e il materiale espulso dall’outburst alimentato dal buco nero, crea emissioni in raggi X che dipendono sia dalla forza delle esplosioni che dal tempo trascorso dall’esplosione.

Le informazioni fornite dal confronto dei modelli teorici con i dati in raggi X osservati,  hanno portato Russell e colleghi a determinare che Sgr A * ha molto probabilmente ha avuto un outburst relativamente potente iniziato negli ultimi secoli, che sta ancora colpendo la regione intorno a lui nonostante si sia concluso circa un secolo fa.

Il video a 360 gradi del Centro Galattico è ottimizzato per occhiali per realtà virtuale (VR), come i Samsung Gear VR o i Google Cardboard, ma la navigazione è anche possibile cliccando sulla rotella con le quattro direzioni nell’angolo in alto a sinistra nel video YouTube e trascinando il video nella direzione voluta. Da smartphone poi è possibile utilizzare i sensori di posizione muovendolo per guardarsi attorno, come fosse una finestra nello spazio, come per tutti i video a 360°.


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Misterioso Frb, all’origine una stella di neutroni

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Crediti: Bill Saxton, NRAO/AUI/NSF; Hubble Legacy Archive, ESA, NASA
Crediti: Bill Saxton, NRAO/AUI/NSF; Hubble Legacy Archive, ESA, NASA

Ancora tu, non mi sorprende lo sai. Sei ancora tu, purtroppo l’unica. Si chiama Frb 121102 ed è l’unica sorgente di fast radio burst (o Frb, lampi radio veloci) nell’universo conosciuto a non sorprenderci più di tanto: si ripetePurtroppo l’unica, dicevamo, perché i lampi radio sono talmente brevi che, senza sapere in anticipo da dove proverranno, e dunque dove volgere il “padiglione auricolare”, occorre una fortuna enorme per captarne uno. Ma Frb 121102 si ripete, appunto: ed è proprio verso di lei – un’anonima galassia a tre miliardi di anni luce dalla Terra – che ha teso l’orecchio (il secondo più grande al mondo) la mitica antenna da 305 metri di diametro di Arecibo, a Puerto Rico.

La copertina di Nature dedicata alla scoperta.

Intuizione premiata: i dati raccolti dallo storico radiotelescopio – poi confermati dal Green Bank, un’altra antenna blasonata e anch’essa, come Arecibo, dal futuro un po’ incerto – hanno consentito a un team internazionale di scienziati guidato da un giovane astrofisico italiano, Daniele Michilli, di ricostruire l’ambiente di provenienza del lampo radio. E dunque il profilo del “colpevole”, dell’oggetto cosmico che lo ha prodotto: con buona probabilità, una stella di neutroni – forse una magnetar – immersa in un campo magnetico intensissimo.

Nato a Roma, laurea alla Sapienza con una tesi svolta all’Inaf Iaps di Roma, Michilli è oggi ricercatore all’istituto di radioastronomia olandese Astron e all’Università di Amsterdam, e con questa scoperta si è guadagnato addirittura la copertina di Nature.

Daniele Michilli. Crediti: Media INAF

«Al momento abbiamo due ipotesi. A emettere questi bursts molto potenti, molto brillanti, potrebbe essere una stella di neutroni estremamente giovane», dice lo scienziato a Media Inaf, «e attorno a questa stella di neutroni potrebbe esserci una supernova remnant, o una pulsar wind nebula, che crea le caratteristiche peculiari che osserviamo nei bursts. L’alternativa che suggeriamo, nel nostro studio, è un nuovo possibile scenario: una stella di neutroni in orbita attorno a un buco nero supermassiccio. Una configurazione, questa, mai osservata prima, e che creerebbe le caratteristiche uniche rilevate, appunto, nei burstsemessi da Frb 121102».

Immagine in luce visibile della galassia da cui proviene il (non più così) misterioso FRB che "si ripete". Crediti: Gemini Observatory/AURA/NSF/NRC.

Quali caratteristiche? Le “firme” dell’ambiente d’origine dei lampi radio prodotti da Frb 121102 che hanno attirato l’attenzione di Michilli e colleghi sono essenzialmente due. La prima è la loro durata brevissima, anche meno d’un millisecondo. «Uno dei risultati del nostro studio è che abbiamo trovato il burst più corto mai osservato, appena qualche decina di microsecondi. Per generare un segnale radio così breve è necessaria una sorgente estremamente piccola», spiega Michilli, «una regione d’emissione di circa 10 km. Quindi oggetti compatti, e le stelle di neutroni sembrano una spiegazione naturale». La seconda caratteristica peculiare è quella che in inglese viene chiamata twisting: una sorta di “attorcigliamento” impresso sulla polarizzazione del segnale da un fenomeno noto come rotazione di Faraday, e che si verifica quando, appunto, un’onda radio attraversa plasma altamente magnetizzato.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “An extreme magneto-ionic environment associated with the fast radio burst source FRB 121102”, di D. Michilli, A. Seymour, J. W. T. Hessels, L. G. Spitler, V. Gajjar, A. M. Archibald, G. C. Bower, S. Chatterjee, J. M. Cordes, K. Gourdji, G. H. Heald, V. M. Kaspi, C. J. Law, C. Sobey, E. A. K. Adams, C. G. Bassa, S. Bogdanov, C. Brinkman, P. Demorest, F. Fernandez, G. Hellbourg, T. J. W. Lazio, R. S. Lynch, N. Maddox, B. Marcote, M. A. McLaughlin, Z. Paragi, S. M. Ransom, P. Scholz, A. P. V. Siemion, S. P. Tendulkar, P. Van Rooy, R. S. Wharton e D. Whitlow

Guarda su MediaInaf Tv l’intervista a Daniele Michilli:


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Tre mattine con Mercurio, Saturno e Luna. Guest star: la ISS

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La cartina del cielo propone una vista a largo campo della situazione che si presenterà la mattina del 13 gennaio, alle ore 7 circa, guardando verso sudest. Si può notare la stretta congiunzione tra Saturno e Mercurio, immersi nel chiarore del crepuscolo mattutino. Più in alto troviamo la Luna e più in alto ancora Marte e Giove. Nel momento descritto si potrà assistere anche al passaggio della ISS, per le cui circostanze e tempi precisi si consiglia di consultare un planetario aggiornato impostato sulle proprie coordinate geografiche. Nella cartina, la Luna è stata ingrandita per esigenze di rappresentazione grafica.
La cartina del cielo propone una vista a largo campo della situazione che si presenterà la mattina del 13 gennaio, alle ore 7 circa, guardando verso sudest. Si può notare la stretta congiunzione tra Saturno e Mercurio, immersi nel chiarore del crepuscolo mattutino. Più in alto troviamo la Luna e più in alto ancora Marte e Giove. Nel momento descritto si potrà assistere anche al passaggio della ISS, per le cui circostanze e tempi precisi si consiglia di consultare un planetario aggiornato impostato sulle proprie coordinate geografiche. Nella cartina, la Luna è stata ingrandita per esigenze di rappresentazione grafica. Crediti immagini: Coelum Astronomia CC-BY

La mattina del 13 gennaio potremo assistere a una stretta congiunzione tra i due pianeti del mattino, Saturno e Mercurio.

Mercurio (mag. – 0,3), nel suo moto retrogrado sempre più basso all’orizzonte, incrocerà infatti il percorso di Saturno (mag. +0,5), che sta invece guadagnando altezza. Sorgeranno, a una distanza di soli 39′ l’uno dall’altro, dall’orizzonte sudest attorno alle 06:30, e poco dopo le 7:00 verranno raggiunti dalla luminosa Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che (per il Centro Italia) attraverserà il cielo passando alla destra di Giove e Marte (già molto alti in cielo), la Luna e quindi sparirà nei pressi della nostra strana coppia.

➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Potendo eseguire una ripresa a largo campo infatti, guardando più a sud, incontreremo prima la bella Antares, la stella alfa dello Scorpione (mag. +1,05) e, più in alto sempre verso sud, i pianeti Giove e Marte, nella Bilancia. Mercurio e Saturno saranno ancora molti bassi (attorno ai 5°) ma potremo seguirli fino a che non spariranno nella luce del mattino.

Un po’ meglio andrà il 14 gennaio, quando Saturno guadagnerà altezza superando Mercurio, e i due pianeti saranno quindi un po’ più alti sull’orizzonte, e potremo scorgere la falce di Luna, in fase 7%, in avvicinamento.

E ancor meglio il 15 gennaio, quando la sottilissima falce di Luna, ora al 3%, raggiungerà finalmente i due pianeti, ma per i dettagli continuate a leggere su Il Cielo di gennaio su Coelum Astronomia 218 a pag. 141 e 142 (lettura sempre gratuita!).

Come sempre, quando parliamo di sottili falci di Luna al crepuscolo, non possiamo non suggerire l’occasione di riprendere anche la sua Luce Cinerea Fotografare la Luce Cinerea della Luna

Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio

Leggi anche

➜ Scopri le costellazioni del cielo di gennaio con la UAI

➜ Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione dell’Eridano (II parte)

➜ La Luna di gennaio e la guida all’osservazione del margine orientale del Mare Serenitatis


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Rivoluzione Galileo: l’arte incontra la scienza

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Rivoluzione GalileoLa mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.

Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche.
Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.

16 gennaio: L’immagine di Galileo Galilei nell’arte novecentesca dell’Ateneo patavino – Marta Nezzo
23 gennaio: I segreti del cielo: la vita extraterrestre – Cesare Barbieri

Spettacoli teatrali presso la Sala dei Giganti (Padova)
12 gennaio Bahrami e Martux_m | Frescobaldi Renaissance
Il celebre pianista iraniano sperimenta e contamina con elettronica e sound art le musiche di Girolamo Frescobaldi, contemporaneo ed estimatore di Galileo.

19 gennaio Rossoporpora ensemble | Le nuove & le passate musiche
Da un collettivo di giovani musicisti diretti da Walter Testolin, un concerto raffinato con musiche, tra gli altri, di Monteverdi, Caccini, Willaert. Mottetti, madrigali, arie da un tempo di rivoluzione.
9 febbraio 2018 Jordi Savall | Tous les matins du monde
Uno dei più grandi interpreti della viola da gamba, compositore e musicologo, racconta in musica la relazione maestro-allievo. Il concerto che ha rivelato al grande pubblico il fascino della musica antica.

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In ricordo di Thomas Bopp

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Una bellissima sequenza fotografica che mostra il percorso seguito dalla cometa nel periodo dal 3 febbraio al 30 aprile 1997. Foto di Alessandro Dimai (Associazione Astronomica Cortina), effettuata con un obiettivo fotografico da 35mm a f/2,8.
La Hale-Bopp sopra le magnifiche vette dolomitiche. Foto di Alessandro Dimai (Associazione Astronomica Cortina).

In un’epoca (stiamo parlando di solo una ventina di anni fa) non ancora zeppa di sistemi automatici che scandagliano il cielo, c’era ancora lo spazio per la scoperta amatoriale di comete usando solo i propri occhi o e la propria modesta strumentazione. E fu ciò che avvenne il il 22 luglio 1995, quando Thomas Bopp, grazie al telescopio di un amico, osservando da Stanfield in Arizona il ben di Dio presente nella zona del Sagittario, si accorse che vicino all’ammasso globulare M 70 vi era la presenza di un intruso, un debole batuffolo che un osservatore esperto come lui riconobbe subito come una nuova cometa.

Praticamente in contemporanea, nel New Mexico, Alan Hale si era imbattuto nello stesso oggetto. Dopo aver comunicato entrambi all’ente preposto la loro possibile scoperta, la conferma non tardò ad arrivare. Quella era in effetti una nuova cometa, che prese la denominazione di C/1995 O1 Hale-Bopp.

Pur ancora molto distante dal Sole, appariva già insolitamente luminosa e il suo diametro risultò infatti cospicuo. Tutto questo mise in fibrillazione il mondo astronomico ed amatoriale. Circa un anno dopo la scoperta, infatti, la Hale-Bopp cominciò a mostrarsi a occhio nudo. Quel che avvenne in seguito è noto, con il passaggio al perielio dell’aprile 1997 che la rese un fenomeno di massa – ne abbiamo da poco parlato, nel numero 214 di Coelum Astronomia, proprio celebrando, con il ricordo di chi l’ha osservata e studiata, i vent’anni da quando la cometa ha attraversato i nostri cieli.

Una bellissima sequenza fotografica che mostra il percorso seguito dalla cometa nel periodo dal 3 febbraio al 30 aprile 1997. Foto di Alessandro Dimai (Associazione Astronomica Cortina), effettuata con un obiettivo fotografico da 35mm a f/2,8.

E pensare che passò piuttosto distante dalla Terra, altrimenti avremmo assistito a un qualcosa di inimmaginabile. Rimase visibile a occhio nudo praticamente per un anno prima di ripiombare nell’abisso oscuro da cui era provenuta.

Alan Hale ha postato sul profilo di Bopp un messaggio dicendosi molto rattristato per la morte dell’amico con cui ha condiviso la scoperta, ricordando che i loro nomi, qualora ci fossero ancora esseri umani sulla Terra, potrebbero tornare di moda attorno all’anno 4393 quando la Hale-Bopp dovrebbe fare ritorno.

Da parte nostra ogni volta che rivedremo nelle fotografie questo fantastico oggetto, ne parleremo o ne sentiremo parlare, il pensiero andrà anche a Thomas Bopp, che ha incarnato il sogno di ogni astrofilo legando in modo indelebilmente il suo nome alla grande cometa del 1997.

Goodbye Mr. Bopp

Leggi anche: Hale-Bopp. La grande cometa nel ricordo degli astrofili.


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Addio a John Young, l’astronauta dei record

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DI MASSIMO ORGIAZZIAstronautinews.it

All’età di 87 anni è scomparso John Young, che nei suoi 42 anni di carriera, la più lunga come astronauta alla NASA e come astronauta in generale, ha contribuito a fondare la corsa allo spazio del ventesimo secolo, volando in ben tre storici programmi: Gemini, Apollo e Shuttle.

Il ritratto ufficiale dell'astronauta John Young. Crediti NASA

Nella giornata di sabato, la NASA ha diffuso la notizia della morte di John Watts Young, l’astronauta che forse più di ogni altro e senza distinzione di nazionalità, ha percorso in prima linea la storia dell’esplorazione spaziale. John Young è stato infatti a buon titolo una delle colonne portanti dell’epoca d’oro dell’era spaziale. La sua è stata una vita dedicata al volo, all’esplorazione e alla ricerca. Non è stato il primo uomo nello spazio né sulla Luna, l’uomo della strada forse non ricorda il suo nome, ma il suo operato ha attraversato tutta la storia del volo spaziale del secolo scorso, facendolo diventare senza mezzi termini l’uomo dei record, una leggenda a pieno titolo. Nessuno come lui ha totalizzato primati che si potrebbero giudicare minori, ma che ogni volta hanno richiesto coraggio e abnegazione, aprendo la strada a nuove frontiere.

È stato il primo uomo a volare nello spazio per sei volte (o sette, se si considera anche il decollo con il modulo lunare dalla superficie della Luna nel 1972 con l’Apollo 16) e l’unico astronauta a comandare quattro tipi diversi di veicoli spaziali (cinque includendo il rover lunare). Era stato scelto dall’agenzia spaziale americana nel 1962, nella seconda tornata di selezioni dopo i Mercury Seven, insieme a Neil Armstrong e a Jim Lovell. Da lì, John Young ha completato due missioni Gemini, due missioni Apollo e due missioni Shuttle, di cui una era il volo inaugurale nello spazio del nuovo sistema di trasporto nell’orbita bassa della NASA. E’ stato uno dei tre soli astronauti a lanciarsi due volte verso la Luna, il primo ad orbitarla da solo nel 1969 con l’Apollo 10 e il nono uomo a camminare su di essa nel 1972 con l’Apollo 16. In totale Young ha registrato 34 giorni, 19 ore e 39 minuti nello spazio, incluse 20 ore e 14 minuti passeggiando sulla Luna.

John Young testa la capsula Gemini III il 6 gennaio 1965. Crediti: NASA

John Young ha completato la prima delle sue sei missioni nel volo inaugurale di un veicolo Gemini con equipaggio, la Gemini III nel 1965 insieme a Gus Grissom, membro dei Mercury Seven poi morto nell’incidente dell’Apollo 1 nel 1967. Insieme misero in orbita il primo veicolo Gemini in una missione di sole cinque ore, nella quale diede anche un morso o due al famigerato panino portato in orbita senza autorizzazione della NASA e che riempì di briciole l’abitacolo del veicolo. Il secondo volo di Young avvenne nel luglio del 1966 con la missione Gemini X: tre giorni a 760 km dalla superficie terrestre per valutare il rischio posto dalle radiazioni sugli astronauti. Insieme al collega Michael Collins completò anche il primo doppio rendezvous, con due veicoli Agena.

Nel maggio del 1969, a bordo dell’Apollo 10, divenne il primo uomo ad orbitare da solo intorno alla Luna, mentre Gene Cernan e Tom Stafford testavano il modulo lunare ad una distanza di 14 km dalla superficie dalla Luna. Una prova che sarebbe stata decisiva per il primo atterraggio dell’Apollo 11 di lì a due mesi. Durante il loro ritorno sulla Terra, Young, Cernan e Stafford stabilirono il record di velocità per una capsula spaziale: 39.897 km/h toccati il 26 maggio del 1969.

John Young e il rover lunare dell’Apollo 16 nell’aprile del 1972. Crediti NASA

Nel 1972 Young ebbe la sua chance per camminare sulla Luna, come comandante della missione Apollo 16.  «Alla partenza da Cape Kennedy» confessò Charlie Duke, che scese con lui sulla Luna, «io avevo 130 battiti al minuto. Jonh 75… Incredibile. La sua tranquillità in quei momenti ci diede sicurezza».  Durante la missione guidò anche il rover lunare nel famoso “Grand Prix” del 21 aprile 1972, dove stabilì il record di velocità a poco meno di 18 km/h (sarebbe stato superato di poco solo da Gene Cernan nel dicembre di quell’anno). Durante quei tre giorni sulla Luna, in cui esplorò 26 km di superficie, ricevette la comunicazione da Terra che il congresso aveva votato a favore del programma Shuttle.

Di lì a nove anni, Young avrebbe fatto ancora una volta la storia, comandando proprio la prima missione nello spazio nel nuovo veicolo di trasporto per l’orbita bassa terrestre.

John Young a bordo dello Shuttle Columbia, aprile 1981. Crediti NASA

Young partì insieme a Bob Crippen sul Columbia il 12 aprile del 1981 per il volo inaugurale dello Shuttle, che per come era stato progettato, a differenza del Buran sovietico, non poteva essere testato nello spazio senza un equipaggio. Volare su un veicolo riutilizzabile per la prima volta nello spazio e condurre un rientro planato senza alcun test “automatico” precedente, fu una delle prove più coraggiose dell’intero programma spaziale americano. Anche questo potrebbe essere considerato un fatto scontato, ma appena cinque anni dopo, quando il Challenger esplose qualche secondo dopo il decollo, fu chiaro che lo Shuttle non era un mezzo così sicuro, e lo stesso Young arrivò a dichiarare che tutti gli astronauti che avevano volato prima di quella fatale missione STS-51L, erano stati estremamente fortunati a tornare vivi sulla Terra, lui compreso.

John Young comanda la missione STS-9. Crediti NASA

John Young concluse la sua serie di voli nello spazio comandando la missione STS-9, condotta sempre a bordo del Columbia, nel 1983. Anche quella fu una missione con una “prima volta”. In essa furono completati 73 esperimenti scientifici sul modulo di sperimentazione costruito in Europa e denominato Spacelab, per la prima volta appunto nello spazio.

Young era stato nominato a capo dell’ufficio astronauti della NASA nel 1974. Sotto la sua direzione, vennero completati l’Apollo-Soyuz Test Program, lo sviluppo dello Shuttle con il collaudo dell’Enterprise e i suoi test di atterraggio, e i primi 25 voli dello Shuttle. Occupò quella carica fino al 1987, quando fu nominato assistente speciale del direttore del Johnson Space Center, carica che ricoprì fino al 1996 per poi diventare direttore associato per gli affari tecnici per altri otto anni, fino al pensionamento definitivo dalla NASA nel 2004.

John Young era nato il 24 settembre 1930 a San Francisco, ma era cresciuto in Florida, dove i suoi genitori si erano spostati quando lui aveva 18 mesi. Laureatosi in ingegneria aeronautica nel 1952, entrò subito nella Marina Militare combattendo nella guerra di Corea. Si diplomò poi nel 1959 alla U.S. Navy Test Pilot School, dove divenne collaudatore iniziando i test sui sistemi di armamento dei caccia bombardieri Crusader e Phantom. Nel 1962 ebbe modo di infrangere dei record anche in quest’ambito, stabilendo i migliori tempi di ascesa da 3000 a 25000 metri a bordo dell’F-4 Phantom. Nel corso della sua intera carriera di volo, Young ha totalizzato più di 15000 ore a bordo di veicoli ad elica, jet, elicotteri e razzi.

Nel corso della sua carriera nella Marina e poi nei suoi 42 anni alla NASA, Young ha percorso la storia tecnologica e scientifica di un intero secolo. Ha assistito alla nascita del volo spaziale e ne è diventato un protagonista assoluto. Ha contribuito a risolvere i maggiori problemi e le sfide incontrate nello sviluppo di quasi ogni singolo veicolo che ha portato la NASA nello spazio e sulla Luna, raccogliendo tutti gli onori del caso, tra cui una medaglia d’oro del Congresso, sei lauree ad honorem e persino il nome di una strada: un tratto della Florida State Road 423 che passa per Orlando è nota come John Young Parkway, in suo onore.

John Young lascia la moglie Susy, due figli e tre nipoti, ma anche una schiera di ammiratori che senza ombra di dubbio hanno riconosciuto in lui un modello di dedizione, eroismo ed umiltà. Mentre il numero degli astronauti che hanno camminato sulla Luna scende a cinque ancora viventi, e mentre l’esplorazione spaziale fatica ad eguagliare le grandi imprese dell’epopea lunare, la vita di John Young ci ricorda che l’uomo può spingersi lontano nello spazio contro ogni limite ,e quel suo sguardo nelle foto sembra quasi dirci che tornerà a farlo.


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Ancora Marte e Giove ma con Falce di Luna

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Abbiamo appena lasciato l’evoluzione del cammino della coppia di pianeti Marte e Giove che già solo un paio di giorni dopo tornano a essere protagonisti grazie a una falce di Luna, che questa volta si unirà ai due pianeti in fase del 28%.

Osserviamo la Luna
in Luce Cinerea

In gennaio, le giornate migliori per osservare e fotografare la Luna in luce cinerea saranno il 13 gennaio, appena prima dell’alba e il 20 del  mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto. Per approfondire:

Le falci lunari di gennaio di Francesco Badalotti su Coelum Astronomia 218

Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207

Guardando verso est–sudest alle 4:00 del mattino potremo osservare i due pianeti avvicinati da una falce di Luna calante piuttosto pronunciata, che si porrà a poco meno di 4° di distanza da Giove. Appena più sotto, un po’ meno di 2°, troveremo Marte.

A completare il quadro, potremo notare la presenza delle deboli stelle della Bilancia, Zubenelgenubi (Alfa Librae, mag. +2,75) e Zubeneschamali (Beta Librae, mag. +2,60), poste esattamente ai lati del nostro satellite naturale. Sarà anche questa una bella occasione per scattare delle magnifiche fotografie a largo campo.

Le effemeridi giornaliere di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio


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Niente alieni sulla Stella di Tabby

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Rappresentazione artistica della Stella di Tabby. Crediti: Danielle Futselaar/METI International
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Rappresentazione artistica della Stella di Tabby. Crediti: Danielle Futselaar/METI International

Un team di oltre 200 ricercatori guidato da Tabetha Boyajian della Louisiana State University, prima autrice dell’articolo che nel 2015 ne ha annunciato la scoperta, è a un passo dal risolvere il mistero che si cela dietro la stella più misteriosa dell’Universo: KIC 8462852, denominata anche Stella di Tabby dalla stessa Boyajian. La Stella di Tabby è una normale stella, circa il 50 per cento più grande e mille gradi più calda del nostro Sole, che si trova a poco meno di 1.500 anni luce da noi in direzione della costellazione del Cigno. La sua peculiarità è che presenta insolite fluttuazioni di luminosità, con una variabilità aperiodica e abbassamenti repentini di luminosità che arrivavano fino al 20 percento. Sono state proposte diverse teorie per spiegare il comportamento anomalo della stella, tra cui quella di una megastruttura aliena che orbita attorno alla stella stessa.

Il mistero della Stella di Tabby è così intrigante che più di 1.700 persone hanno donato oltre 100mila dollari attraverso una campagna Kickstarter, la piattaforma americana di crowdfunding, in sostegno a osservazioni mirate della stella usando una rete di telescopi presenti in tutto il mondo. I risultati ottenuti da Boyajian e colleghi, in collaborazione con l’Osservatorio di Las Cumbres, sono ora disponibili in un nuovo paper pubblicato su Astrophysical Journal Letters.

«La nostra speranza era quella di osservare una variazione di luminosità della stella in tempo reale, a tutte le lunghezze d’onda. Un simile comportamento avrebbe indicato la presenza, attorno alla stella, di qualcosa di opaco, come un disco orbitante, un pianeta o una stella, o anche strutture di dimensioni maggiori», spiega Jason Wright, ricercatore al Penn State Department of Astronomy and Astrophysics.

Invece il team ha scoperto che la luminosità della stella si è attenuata molto di più ad alcune lunghezze d’onda rispetto ad altre. «Molto probabilmente la causa di questa variazione di luminosità è da imputarsi alla polvere, che attenua in maniera diversa le varie lunghezze d’onda, non risultando mai completamente opaca, come ci si aspetterebbe da un pianeta o da una struttura aliena», osserva Boyajian.

Gli scienziati hanno osservato in dettaglio la stella dall’Osservatorio Las Cumbres da marzo 2016 a dicembre 2017. A partire dal maggio 2017 hanno riscontrato quattro episodi nei quali la luminosità della stella è diminuita. A questi quattro episodi è stato dato un nome, proposto e votato dai sostenitori della campagna di crowdfunding. I primi due sono stati chiamati Elsie e Celeste. Gli ultimi due hanno preso il nome da due antiche città perdute: Scara Brae in Scozia e Angkor in Cambogia.

Gli autori dell’articolo riportano che, per certi aspetti, ciò che sta accadendo alla stella in questione è simile a quello che è successo a queste città perdute. «Sono episodi antichi. Stiamo osservando cose accadute più di mille anni fa», scrivono. «Sono quasi certamente causati da un qualcosa di ordinario, almeno su scala cosmica, ma questo non li rende meno interessanti, anzi». E, come le antiche città, rimangono avvolti dal mistero.

Il metodo con cui questa stella è stata studiata – raccogliendo e analizzando una grande mole di dati provenienti da un singolo target (la stella) – segna una nuova era dell’astronomia osservativa. Il gruppo di citizen scientists, attraverso il sito Planet Hunters, ha setacciato enormi quantità di dati raccolti dalla missione Kepler della NASA e sono stati loro a rilevare per la prima volta il comportamento insolito della stella.

Il principale obiettivo della missione Kepler è quello di trovare pianeti, ricercando e rilevando l’attenuazione periodica della luminosità delle stelle, che può essere indotta da un pianeta che ruota attorno alla stella stessa, oscurandola periodicamente. Il sito di citizen science Planet Hunters è stato istituito per dare la possibilità ai cittadini volontari di tutto il mondo, di dare il loro contributo alla scienza, analizzando i dati di Kepler alla ricerca di pianeti extrasolari.

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L’astronoma Tabetha Boyajian

«Se non fosse stato per queste persone, che hanno uno sguardo imparziale sul nostro Universo, questa insolita stella sarebbe stata trascurata», sottoliena Boyajian. «E ancora, senza il supporto pubblico, non avremmo questa grande quantità di dati da analizzare ottenuti da questa lunga sessione di osservazione dedicata alla stella».

«Quest’ultima ricerca esclude la presenza di megastrutture aliene ma rende plausibili altri fenomeni che potrebbero spiegare l’oscuramento della stella» ha detto Wright. «Ci sono modelli che coinvolgono materiale circumstellare – come le eso-comete, che erano state proposte originariamente dalla squadra della Boyajian – il cui comportamento sembrerebbe essere coerente con i dati che abbiamo». Wright sottolinea anche che «alcuni astronomi preferiscono l’idea che non ci sia nulla che sta bloccando la stella, la cui luminosità si starebbe attenuando da sola – e anche questo sarebbe coerente con i dati raccolti».

«È emozionante» conclude Boyajian. «Sono molto riconoscente a tutte le persone che hanno contribuito a questo lavoro negli ultimi anni: il gruppo di citizen scientist e gli astronomi professionisti. Avere tutte queste persone che contribuiscono a raggiungere questi risultati in astronomia è un’esperienza di grande umiltà».

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Accademia delle Stelle

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2018-01 Coelum AdS

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Scuola di Astronomia a Roma
Il 2018 si apre con due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a marzo presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

Da lunedì 22 gennaio: Corso base di Astronomia. Il corso è dedicato a tutti per scoprire com’è fatto l’Universo, dai pianeti alle stelle, dal Big Bang a quasar, buchi neri e onde gravitazionali.

Da giovedì 25 gennaio: Fotografia Astronomica. Corso completo di Astrofotografia: tutte le basi teoriche e competenze pratiche per dedicarsi alla fotograia astronomica dalla semplice reflex al telescopio.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

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Buchi neri al comando nella formazione stellare

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Immagine composita di Centaurus A, uno dei nuclei galattici attivi più vicini alla Terra. Crediti: Eso/Wfi (ottico); MPIfR/Eso/Apex/A.Weiss et al. (submillimetrico); Nasa/Cxc/Cfa/R.Kraft et al. (raggi X)
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Immagine composita di Centaurus A, uno dei nuclei galattici attivi più vicini alla Terra. Crediti: Eso/Wfi (ottico); MPIfR/Eso/Apex/A.Weiss et al. (submillimetrico); Nasa/Cxc/Cfa/R.Kraft et al. (raggi X)

Le giovani galassie sfavillano grazie al fatto che sempre nuovi astri si accendono a ritmo sostenuto; tuttavia, a un certo punto dell’evoluzione galattica la formazione stellare rallenta, fino a cessare. Un nuovo studio, pubblicato nel primo numero del nuovo anno della rivista Nature, dimostra che a determinare quanto presto si verifichi questo smorzamento della formazione stellare è la massa del buco nero al centro della galassia.

Ogni galassia di una certa dimensione ospita al proprio centro un buco nero supermassiccio, con una massa di oltre un milione di volte quella del Sole. Oltre che dagli effetti gravitazionali sulle stelle circostanti, a volte l’ingombrante presenza del buco nero è rivelata dall’emissione energetica di un fenomeno chiamato nucleo galattico attivo (in sigla, Agn), di cui è protagonista lo stesso buco nero per periodi relativamente brevi.

Gli autori del nuovo studio hanno dimostrato come l’energia riversata dal nucleo attivo nella galassia circostante influenzi la formazione stellare dissipando del gas che altrimenti si sarebbe condensato in nuove stelle.

Questa idea non è affatto nuova, ed è consolidato il fatto che i modelli teorici di evoluzione galattica realizzati al computer riproducono correttamente le proprietà realmente osservate solamente se si introduce nel modello stesso l’effetto di feedback del buco nero centrale. Tuttavia, finora mancava “la pistola fumante”, ovvero la prova osservativa certa di questa connessione diretta tra buchi neri supermassicci e tasso di formazione stellare.

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Uno spaccato dello Hobby-Eberly Telescope. Crediti: HET

Il nuovo studio si concentra su un campione di galassie massicce per le quali era già stata determinata in precedenza la massa del buco nero centrale. La “storia evolutiva” delle stelle presenti in queste galassie è stata ricavata da indagini spettroscopiche compiute con il telescopio Hobby-Eberly Telescope all’Osservatorio McDonald in Texas.

Le analisi hanno rivelato un’osmosi continua tra l’attività del buco nero e la formazione stellare durante tutta l’arco di vita delle galassie, un interscambio che riguarda tutte le generazioni di stelle. In particolare, quando il gruppo di ricerca ha paragonato la storia della formazione stellare avvenuta in galassie con buchi neri di masse diverse, ha riscontrato differenze vistose, correlabili unicamente con la massa del buco nero, e non con altre proprietà come morfologia o dimensione.

Buchi neri di massa più grande hanno smorzato più precocemente e più velocemente la formazione stellare nella loro galassia ospite rispetto ad altre galassie con un numero paragonabile di stelle ma con un buco nero centrale meno massiccio.

La chiave del risultato di questa ricerca, spiegano gli autori, è di avere preso in considerazione la massa dei buchi neri anziché le proprietà dei nuclei galattici attivi. Un nucleo galattico diventa “attivo” – e quindi osservabile – quando il buco nero supermassiccio espelle violentemente parte del materiale che sta per essere ingoiato dal buco nero stesso. Tuttavia, i nuclei galattici attivi sono fenomeni estremamente variabili, e le loro proprietà dipendono da diversi fattori concorrenti, quali dimensioni del buco nero, tasso di accrescimento di nuovo materiale, e così via.

«Abbiamo usato la massa del buco nero come misura indiretta dell’energia profusa nella galassia dal nucleo galattico attivo», commenta Ignacio Martín-Navarro dell’Università della California a Santa Cruz, primo autore del nuovo studio, «perché fenomeni di accrescimento attorno a buchi neri più massicci conducono a un feedback più energetico dai nuclei galattici attivi e, di conseguenza, a uno smorzamento più repentino della formazione stellare».

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Cinque mattine con Marte e Giove

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Questo riquadro mostra nel dettaglio l’evoluzione della congiunzione tra i pianeti Giove e Marte, evidenziando il moto dei due corpi celesti rispetto alle stelle di fondo. Crediti Coelum Astrnomia CC-BY
Questo riquadro mostra nel dettaglio l’evoluzione della congiunzione tra i pianeti Giove e Marte, evidenziando il moto dei due corpi celesti rispetto alle stelle di fondo. Crediti Coelum Astrnomia CC-BY

Iniziamo già nei primi giorni del mese, il 5 gennaio, quando, la mattina molto presto, verso le 4:00, potremo vedere dirigendo il nostro sguardo a est–sudest i due pianeti bassi sull’orizzonte, circa 7° per Giove e poco più per Marte. I due pianeti si troveranno a una distanza reciproca di circa 53′. Non molto distante potremo notare la presenza di Zubenelgenubi (mag. +2,75), la stella alfa della costellazione della Bilancia, che ospita la congiunzione. I due pianeti e la stella formeranno un bell’allineamento a tre.

Ovviamente con il passare delle ore i tre astri guadagneranno altezza, superando abbondantemente i 20° alle 6 circa del mattino, prima di perdersi del chiarore del crepuscolo, ma è quando sono più bassi che si avrà la possibilità di fotografarli includendo gli elementi del paesaggio circostante e creare una composizione interessante.

Per vederli al massimo avvicinamento dovremo però aspettare il 7 gennaio: appena 10′ circa li separeranno e la visione d’insieme risulterà di grande effetto. Marte più tenue e di colore rossastro (mag. +1,4) mentre Giove apparirà brillante (mag. –1,8) e di colore paglierino.

L’immagine mostra come apparirà la strettissima congiunzione tra i pianeti Marte e Giove che avverrà il 7 gennaio 2018, nella costellazione della Bilancia a poca distanza dalla stella Alfa Zubenelgenubi (mag. +2,75). Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Nei giorni successivi potremo assistere al progressivo allontanamento dei due pianeti, il 9 gennaio, i due saranno nuovamente separati di poco più di 1°.

Questa magnifica e strettissima congiunzione costituirà un’ottima occasione non solo per osservare la “danza dei pianeti” ma anche per riprendere fotograficamente l’intera evoluzione come suggerito da Giorgia Hofer nel suo articolo pubblicato su Coelum Astronomia 202.

Volendo le riprese potranno coinvolgere anche un più ampio arco di tempo, infatti, la danza di Marte e Giove non finisce qui…

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L’INFINITA CURIOSITÀ. Un viaggio nell’Universo in compagnia di Tullio Regge

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1507068881_Linfinita-curiosita-Torino-1Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica.
www.torinoscienza.it

La Luna di Gennaio 2018 e una guida all’osservazione del margine orientale del Mare Serenitatis

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Le fasi della Luna in gennaio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione

Il nuovo anno si apre col nostro satellite che, allo scoccare della mezzanotte, risplenderà alto nel cielo meridionale a +62° (in posizione centrale rispetto alle costellazioni di Orione, Auriga, Toro e Gemelli) in fase di 13,69 giorni, quindi 27 ore prima del Plenilunio previsto per le 03:24 della notte successiva.

La prima sera del mese di gennaio vedrà la Luna in fase di 14,42 giorni ormai prossima al Plenilunio che, dopo essere sorta alle 16:30, culminerà in meridiano pochi minuti dopo la mezzanotte a un’altezza di +64° entrando in Luna Piena alle 03:24 della notte successiva, il 2 gennaio. Questo plenilunio sarà particolare poiché, come si suole dire oggi, si tratterà di una “SuperLuna”, di cui si può leggere nell’articolo di approfondimento in questo stesso numero di Coelum Astronomia.

➜ Leggi Guarda che Luna Super! Che differenza c’è davvero tra una Superluna e una Luna Piena “normale”, e con una “Microluna”? E se si tratta di un fenomeno così raro e spettacolare, com’è che ce n’è appena stata una il mese scorso? Sono tutte uguali le Superlune?

Ma la Luna Piena, anche se altre osservazioni del cielo possono risultare difficoltose, è sicuramente un momento in cui  scattare suggestive foto di paesaggio. Trovate degli ottimi spunti nella rubrica Uno scatto al mese di Giorgia Hofer e, in particolare, nel numero scorso: La Luna illumina la notte (la lettura è sempre gratuita).

A questo punto proseguirà il consueto avvicendarsi delle fasi con la Luna Calante che alle 23:25 dell’8 gennaio si troverà in  Ultimo Quarto.

Continua nella rubrica la Luna di Gennaio 2018

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A gennaio osserviamo

La prima e principale proposta di questo numero è per la serata del 22 gennaio con la Luna in fase di 5,61 giorni (illuminazione 27,5%, colongitudine 340.5°) quando, dopo le 18:00, l’oggetto delle nostre osservazioni sarà il margine orientale del Mare Serenitatis lungo il quale vi sono alcune grandi strutture fra cui il cratere Posidonius di 99 km di diametro.

Guida all’osservazione del margine orientale del Mare Serenitatis

Con la seconda proposta di gennaio prosegue l’osservazione dei grandi crateri situati in prossimità del bordo orientale del mare Nubium di cui questo mese è il turno di Purbach e il suo “Lunar X” che visiteremo la sera del 24 gennaio a partire dalle 18:00 circa, col nostro satellite in fase di Primo Quarto.

La terza proposta di questo mese è per il 30 gennaio quando il punto di massima Librazione coinciderà con la regione fra il mare Humboldtianum (area pianeggiante con diametro di 165 km) e l’adiacente cratere Belkovich (diametro di 204 km).

Per approfondire queste due osservazioni, per le falci di Luna e la sua luce cinerea e per tutte le altre informazioni, leggi la Luna di gennaio su Coelum astronomia 218 (è sempre gratis, puoi scaricarlo in pdf oppure stampare le pagine che ti interessano di più 😉 ).


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➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

➜  Calendario degli eventi giorno per giorno

➜  Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211



Il Cielo di Gennaio 2018

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AAssppeettttoo ddeell cciieelloo ppeerr uunnaa llooccaalliittàà ppoossttaa aa LLaatt.. 4422°°NN -- LLoonngg.. 1122°°EE LLaa ccaarrttiinnaa mmoossttrraa ll’’aassppeettttoo ddeell cciieelloo aallllee oorree ((TTMMEECC)):: 11 GGeenn >> 0000::0000 1155 GGeenn >> 2233::0000 3300 GGeenn >> 222222::0000
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Gen > 00:00; 15 Gen > 23:00; 30 Gen >22:00

EFFEMERIDI
(mar. – ott. 2017)

Luna

Sole e Pianeti

Proprio le numerose ore di buio permettono in questo periodo di spaziare – già a partire dalla prima serata – dalle costellazioni autunnali più orientali (Pesci, Pegaso, Balena…) fino alle regioni ricche di nebulose e ammassi del cielo invernale, per terminare nella seconda parte della notte con le prime avvisaglie della grande concentrazione di galassie del cielo primaverile (Vergine, Leone…).

➜ Scopri le costellazioni del cielo di gennaio con la UAI

IL SOLE

Dopo essere arrivato alla minima declinazione durante il Solstizio dello scorso dicembre, il Sole ha iniziato lentamente a risalire l’eclittica. La sua altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano risulterà in gennaio ancora molto modesta (+27° a metà mese), ma l’arco descritto nel cielo tenderà a divenire di giorno in giorno più ampio. Ciò comporterà di conseguenza un aumento delle ore di luce, anche se piuttosto modesto, di circa 45 minuti.

Cosa offre il cielo

Si comincia subito con una nuova Superluna il 2 gennaio. Dopo quella di dicembre, ecco una nuova Luna Piena a poche ore dal perigeo, il punto più vicino alla Terra dell’orbita lunare. Ma per comprendere meglio di cosa si tratta, questo mese abbiamo un bello e approfondito articolo di Aldo Vitagliano, che con la sua ironia e i suoi calcoli al decimale ci svela ogni segreto di questo evento che tanto affascina (soprattutto i media): Guarda che Luna Super!

Anche questo mese le più belle congiunzioni sono riservate a chi si alza presto al mattino (o resta in piedi fino a molto tardi…), ma le notti ancora lunghe non rendono la “sveglia presto” troppo “presto”… perciò, soprattutto per l’infilata di congiunzioni che ci offriranno Marte, Giove e Luna già dalla prima settimana del mese:

➜ Organizzati in anticipo con Il Cielo di gennaio su Coelum Astronomia 218

E per concludere, anche questo mese ha le sue stelle cadenti! Ogni inizio anno è caratterizzato dal manifestarsi  più o meno discreto dello sciame delle Quadrantidi, il cui nome deriva dalla obsoleta costellazione del Quadrante Murale (introdotta da Lalande nel 1795 e abolita nel 1922) che un tempo occupava la regione situata nella parte nordorientale del Boote (dove quindi è situato il radiante). Questo sciame meteorico è attivo già dalla fine di dicembre fino al 12 gennaio circa e il massimo dell’attività si avrà quest’anno verso le 23:00 del 3 gennaio. Purtroppo sarà presente la Luna a disturbare la visione, appena dopo la fase di Piena (fase 95%), fortunatamente a una discreta distanza dal radiante.

E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 218

➜ Storia, leggende, stelle e oggetti deepsky della costellazione dell’Eridano (II parte)
➜ La Luna di gennaio e la guida all’osservazione del margine orientale del Mare Serenitatis
➜ Il Club dei 100 asteroidi: Iniziamo l’anno con (1) Ceres!
➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS
➜ Le comete del mese: La modesta Heinenz e la “grande” Wirtanen.
➜ Supernovae: Una nuova scoperta italiana
➜ Astrofotografia: Riprendiamo la cintura di Venere

e il Calendario degli eventi giorno per giorno


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— BASE TRASPARENTE 600px larghezza (452 px minimo) —

—BASE STANDARD “Giove in blu” 600px larghezza (452 px minimo) —

—BASE STANDARD BLU 600px larghezza (452 px minimo) —

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——- GENERICO SCAFFALE 4 NUMERI (mostra sempre gli ultimi 4 numeri usciti) 617px ——–


——- GENERICO SCAFFALE ULTIMI NUMERI con barra di scorrimento 600px (mostra sempre gli ultimi XX numeri usciti, cambiare il valore nel tag “cols”, per avere invece più scaffali cambiare il valore anche di “rows”)——–


Nasce REEGO, un nuovo Collimatore targato AE

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Astronomy Expert ha da poco tempo arricchito la propria offerta di prodotti ottimizzati per l’astronomia un collimatore LED di nuova generazione, interamente progettato, sviluppati e realizzato in Italia! Versatile e multiuso, è compatibile con tutti i portaoculari da 2″ di quasi tutti gli OTA in commercio e con pressoché ogni schema ottico diffuso. Interamente realizzato in alluminio lavorato CNC, e corredato di apposita custodia morbida e di un pratico laccetto, oltre a una batteria CR2032 integrata e sostituibile.

La forza di #REEGO (acronimo di Recognisement of Elements Extraxiality through Glows Observation – per gli amici RIGO), è rappresentata dalla velocità e precisione delle collimazioni che consente di ottenere. Rispetto a collimatori di tipo tradizionale laser risulta molto più pratico e preciso, in quanto meno soggetto alle micro-variazioni angolari nell’inserimento all’interno del focheggiatore, nonché estremamente resistente ad ogni forma di staratura o imprecisione di lavorazione e assemblaggio di focheggiatore e intubazione.
Non teme urti né maltrattamenti, non richiede le cautele speciali tipiche dei collimatori laser ed è proposto a un prezzo molto conveniente (78 euro).

Questo collimatore dispone di due configurazioni operative di base: modalità rifrattore a LED bianchi attivi e modalità newtoniano/riflettore, a LED rossi attivi. A queste se ne somma una terza indiretta, a LED spenti, residuale e dedicata agli altri OTA.

Ottenere una collimazione di alta qualità anche in pieno giorno è facile, è sufficiente inserire REEGO nel focheggiatore e seguire le istruzioni passo passo riportate nel manuale (in italiano) suddiviso in sezioni dedicate ai vari schemi ottici Rifrattori, Newton, catadiottrici.

In modalità rifrattore il collimatore è in grado di consentire un semplice e veloce controllo dell’allineamento di tutti gli elementi ottici contenuti nella cella, nonché della corretta collimazione di quest’ultima rispetto al focheggiatore. Il sistema si basa su una serie di riflessioni prodotte su ciascuna superficie aria-vetro da un gruppo di LED ad alta luminosità, appositamente studiati ed orientati, capace di sviluppare una precisa geometria apparente. Un veloce controllo visivo di tale geometria, è in grado di dare precise informazioni su quali regolazioni siano necessarie per poter portare lo strumento ad una perfetta ottimizzazione!

Ecco alcuni esempi reali di cosa è possibile vedere, in rifrattori perfettamente collimati, durante un test effettuato con #REEGO.

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Sui telescopi Newton – sia tradizionali che molto aperti (≤F4 ), l’attivazione dei LED rossi permetterà di conseguire un risultato quasi perfetto, grazie allo speciale design interno del collimatore! L’utilizzo di REEGO è infatti estremamente facile e intuitivo e grazie all’utilizzo di speciali indicatori illuminati, sarà sempre chiaro non solo su quale vite agire, ma persino in quale direzione movimentare la vite di regolazione stessa. Un semplice manuale (Manuale Reego Newton) fornito a corredo consente di ottenere risultati strabilianti in pochissimo tempo!

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Chi possiede un telescopio Ritchey-Chreétien o un Dall-Kirkham sa bene quanto la collimazione di questi strumenti sia complessa e difficoltosa. Il collimatore REEGO permette invece di conseguire un risultato di qualità paragonabile a quello ottenibile con collimatori più blasonati, ma con una versatilità maggiore e ad un costo decisamente conveniente. REEGO è progettato infatti per operare sulla maggior parte dei telescopi di tipo RC, Cassegrain e Cassegrain-derivati, purché dotati di marcatore centrale sullo specchio secondario. In particolare viene garantita al 100% la compatibilità con gli RC TS e GSO (Manuale Reego RC).

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Il collimatore è compatibile anche con catadiottrici tipo Schmidt-Cassegrain e Maksutov-Cassegrain; per questi ultimi, tuttavia, trattandosi di una configurazione ottica tradizionalmente priva del marcatore di centro sul secondario, i vantaggi sono minori rispetto a quelli che può dispiegare REEGO su altre tipologie di OTA. In questo caso il collimatore può essere sfruttato sia in modalità a LED spenti (operando quindi in maniera simile ad un oculare tipo Ceshire), sia a LED rossi accessi (modalità newton/riflettore).

Il collimatore REEGO (disponibile in colori assortiti: blu, giallo, arancione e rosso) è proposto a 78 euro e nella confezione include la custodia protettiva imbottita, una batteria CR2032 e un laccetto.

Per maggiori informazioni: AE Teleskop Service Italia – Treviso (0423 81408)

Un po’ di luce sull’energia oscura

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Illustrazione di due stelle di neutroni che si fondono. Le increspature nella griglia dello spazio-tempo rappresentano le onde gravitazionali prodotte dallo scontro, mentre i fasci luminosi mostrano i lampi di raggi gamma esplosi pochi secondi dopo le onde gravitazionali. Sono inoltre raffigurate vorticose nubi di materiale espulso dalle stelle in fusione, nubi che si illumineranno di luce a diverse lunghezze d’onda. Crediti: NSF/LIGO/Sonoma State University/A. Simonnet
Illustrazione di due stelle di neutroni che si fondono. Le increspature nella griglia dello spazio-tempo rappresentano le onde gravitazionali prodotte dallo scontro, mentre i fasci luminosi mostrano i lampi di raggi gamma esplosi pochi secondi dopo le onde gravitazionali. Sono inoltre raffigurate vorticose nubi di materiale espulso dalle stelle in fusione, nubi che si illumineranno di luce a diverse lunghezze d’onda. Crediti: NSF/LIGO/Sonoma State University/A. Simonnet

Il recente annuncio della prima osservazione di una fusione tra due stelle di neutroni sia attraverso le onde gravitazionali che elettromagnetiche emesse dall’evento Gw 170817, registrato il 17 agosto scorso, ha letteralmente aperto una nuova finestra di osservazione dell’universo. Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, ha ora analizzato come tale, straordinaria, osservazione abbia di fatto sfoltito le innumerevoli teorie riguardo la natura della cosiddetta energia oscura.

Energia oscura è il nome con cui i fisici definiscono – in attesa di darne una spiegazione convincente – la forza misteriosa che mantiene l’espansione dell’universo in continua accelerazione, funzionando come una sorta di antigravità. In estrema sintesi, se la gravità agisce a livello macroscopico per tenere insieme la materia, l’energia oscura fa di tutto per separarla.

La fusione delle due stelle di neutroni ha scosso per un breve istante lo spazio-tempo circostante, dando origine a un impulso di onde gravitazionali, che hanno viaggiato nello spazio per 130 milioni di anni prima di essere rilevate sulla Terra dagli interferometri Ligo e Virgo. La fusione ha prodotto anche una serie di onde elettromagnetiche, tra cui un primo, intenso, bagliore di luce gamma, rilevato dai satelliti Fermi e Integral quasi in contemporanea con le onde gravitazionali, appena due secondi dopo.

Il fatto che onde gravitazionali ed elettromagnetiche siano arrivate pressoché assieme dopo un viaggio così lungo nello spazio rappresenta, fra le innumerevoli cose, un test importante per le diverse teorie attualmente in ballo per spiegare l’energia oscura.

I dati ricavati dalla fusione di stelle di neutroni osservata il 17 agosto fanno scartare una serie di teorie sull’energia oscura. Questo grafico mostra centinaia di varianti della cosmologia Galileon, dove quelle in verde-sfumato sono le sfavorite dalle osservazioni. Crediti: Berkeley Lab, Physical Review Letters

I due autori del nuovo studio spiegano come da questo test siano uscite vincenti le teorie più semplici. Come la costante cosmologica, introdotta nientemeno che da Albert Einstein un secolo fa all’interno del suo lavoro sulla relatività generale. Questa e altre teorie simili e derivate presuppongono che l’energia oscura sia costante sia nello spazio che nel tempo, influenzando alla stessa maniera onde gravitazionali ed elettromagnetiche. Come risulta, appunto, dall’osservazione del 17 agosto.

Anche alcune teorie più complicate o “esotiche” possono reggere la prova della fusione tra stelle di neutroni. Per esempio la cosiddetta massive gravity – che assegna una massa a un’ipotetica particella elementare chiamata gravitone – può risultare corretta se il gravitone ha una massa molto piccola.

I ricercatori notano infine come tutta una classe di teorie, complessivamente note come teorie scalare-tensore, siano messe in seria difficoltà dalle evidenze osservative raccolte durante l’evento di fusione. Fra le teorie che dovrebbero ricorrere a qualche aggiustamento per non essere scartate vengono citate Einstein-aethersimil-MOND, Galileon e Horndeski.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video di MediaInaf TV:


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Osservare la Luna per trovare Nettuno

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Una buona occasione, quella del pomeriggio tardo della Vigilia di Natale, per tentare l’osservazione di Nettuno (mag. +7,9), approfittando di una Luna in fase del 33%.

Lo potremo infatti trovare a circa 2,5° a ovest del nostro satellite naturale, alto sull’orizzonte sud-sudovest. I due astri diminuiranno man mano la loro altezza fino a tramontare dietro l’orizzonte ovest poco dopo le 22.

Servirà ovviamente almeno un piccolo strumento per individuare il lontano pianeta azzurro, troppo debole per l’osservazione a occhio nudo.

E già che ci siamo, diamo un occhio al resto del cielo, per imparare a conoscere quella costellazione che ci manca, o osserviamo la Luna per distinguere qualcuna delle sue affascinanti formazioni. Di seguito trovte i link per qualche consiglio in più!

Le effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre

Leggi anche

➜ La Luna di dicembre e la guida all’osservazione dei crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius e Furnerius

➜ Scopri le costellazioni del cielo di dicembre con la UAI

➜ Le comete del mese: Deboli ma affascinanti

➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di dicembre su Coelum Astronomia 217

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Sboccia alla vista una culla stellare

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Lo strumento OmegaCAM, installato sul telescopio VST (VLT Survey Telescope) dell'ESO ha catturato questa veduta scintillante del vivaio stellare noto come Sharpless 29. Si vedono, in questa gigantesca immagine, molti fenomeni astronomici, tra cui la polvere cosmica e le nubi di gas che riflettono, assorbono e riemettono la luce delle giovani stelle, caldissime, all'interno della nebulosa. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Eccola Sharpless 29. un vivaio stellare che brilla dei colori dati dall'assorbimento e la riflessione della luce delle giovani e caldissime stelle al suo interno, che si scontra con le nubi di gas e polveri interstellari che le circondano. Crediti: ESO/M. Kornmesser

La regione di cielo mostrata è inclusa nel catalogo Sharpless di regioni di tipo HII: nubi interstellari di gas ionizzato, rigogliose di formazione stellare. Nota anche come Sh 2-29, Sharpless 29 si trova a circa 5500 anni luce da noi, nella costellazione del Sagittario, vicina alla più grande Nebulosa Laguna. Contiene molte meraviglie astronomiche, tra cui la regione di formazione stellare molto attiva NGC 6559, la nebulosa al centro dell’immagine.

La nebulosa centrale è la caratteristica più appariscente di Sharpless 29. Nonostante la sua modesta dimensione, di soli pochi anni luce, il suo aspetto mostra il disastro che le stelle all’interno delle nebulose interstellari posso produrre. Le stelle giovani e calde dell’immagine non hanno più di due milioni di anni e lanciano fiotti di radiazione ad alta energia, che a sua volta riscalda la polvere e il gas circostanti, mentre i venti stellari erodono e scolpiscono in modo spettacolare la loro “culla”. Infatti, la nebulosa contiene una cavità estesa scavata da un sistema binario di stelle molto energetico. La cavità si sta espandendo, causando così un accumulo di materiale interstellare che forma un bordo rossastro a forma d’arco.

Quando la polvere e il gas interstellari sono bombardati dalla luce ultravioletta emessa da stelle calde e giovani, l’energia le fa brillare luminose. La luce diffusa e rossastra che permea l’immagine proviene dall’emissione di idrogeno gassoso, mentre la luce blu scintillante è causata dalla riflessione e diffusione prodotta da piccole particelle di polvere. Oltre a emissione e riflessione, vediamo anche zone di assorbimento in questa regione. Brandelli di polvere bloccano la luce nel suo cammino verso di noi, impedendoci di vedere le stelle dietro di essi, mentre tentacoli sottili di polvere creano le strutture filamentose scure all’interno delle nubi.

Questa ricchissima regione della Via Lattea nella costellazione del Sagittario include un enorme numero di stelle e varie spettacolari regioni di formazione stellare. Al centro si trova Sharpless 29, che comprende NGC 6559. A destra si vede la brillantissima e famosa nebulosa Laguna (Messier 8) e sopra la nebulosa Trifida (Messier 20). Questa immagine è stata creata a partire da immagini della Digitized Sky Survey 2. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2 Acknowledgement: Davide De Martin

L’ambiente ricco e vario di Sharpless 29 offre agli astronomi un vasto assortimento di proprietà fisiche da studiare. L’avvio della formazione stellare, l’influenza delle giovani stelle sulla polvere e sul gas, il disturbo dei campi magnetici: tutto ciò può essere osservato ed esaminato in questa singola, piccola area.

Ma le stelle giovani e massicce vivono velocemente e muoiono giovani. Infine, porranno termine in modo esplosivo alla loro vita come supernove, lasciandosi dietro ricchi detriti di gas e polvere. Nel giro di qualche decina di milioni di anni, tutto verrà spazzato via e rimarrà solo un ammasso stellare aperto.

Sharpless 29 è stata osservata dallo strumento OmegaCAM dell’ESO montato sul VST (VLT Survey Telescope) al Cerro Paranal in Cile. OmegaCAM produce immagini che coprono un’area di cielo più di 300 volte maggiore del campo di vista più grande di uno strumento del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA e può osservare anche su un più grande spettro di lunghezze d’onda, dall’ultravioletto all’infrarosso. La sua caratteristica distintiva è la capacità di catturare la riga spettrale dell’H-alfa, molto rossa, che viene prodotta dagli elettroni all’interno del’atomo di idrogeno quando perdono energia, un evento molto frequente in una nebulosa come Sharpless 29.

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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ccatEcco il programma appuntamenti didattici del Circolo Culturale Astrofili Trieste per Dicembre 2017; dove non indicato, le conferenze si tengono presso la sala “Centro Natura”, ostello scouts “Alpe Adria”, Loc. Campo Sacro 381, Prosecco – Trieste, sempre dalle 18:30 alle 20:00.

18.12: Il caso Galileo. Relatore: Aldo Strati
Per informazioni:
http://www.astrofilitrieste.it

Ippogrifi e carte lunari

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16 dicembre – 28 gennaio 2018

La mostra “Ippogrifi e carte lunari”

Pinacoteca Civica di Bondeno (Ferrara)

La mostra, che il 16 dicembre apre i battenti a Bondeno (Ferrara), nella locale Pinacoteca Civica ha, tra l’altro, l’intento di celebrare le figure dei gesuiti Giovanni Battista Riccioli (1598-1671) e Francesco Maria Grimaldi (1618-1663).

Ma non solo, essa vuol essere un excursus storico e scientifico sul radicale mutamento dell’iconografia lunare avvenuto nel corso del secolo della Rivoluzione scientifica, il Seicento, grazie all’introduzione del telescopio quale strumento principe per l’indagine astronomica. Ed è quindi un fiorire, per tutto il secolo, di carte e selenografie, più o meno realistiche, realizzate da una consistente pletora di studiosi, tra i quali spiccano molti religiosi di grande cultura.

La mostra spazia dalle prime rappresentazioni grafiche pre-telescopiche del nostro satellite fino alla grande carta di Cassini, passando per il Sidereus Nuncius di Galileo e attraversando i due primi periodi della selenografia.

La sezione conclusiva della mostra vuole illustrare la nascita della fantascienza, così come la conosciamo, attraverso i viaggi immaginari sulla Luna o sui pianeti del Sistema solare, che cominciano ad apparire man mano che il telescopio di Galileo svela i misteri del cielo.

Ve la racconta più in dettaglio Rodolfo Calanca, uno degli ideatori e curatore dei testi, su Coelum Astronomia 217, e il consiglio è, dopo averlo letto… di andarla a vedere di persona! 😉

➜ Leggi Ippogrifi & Carte Lunari. La Selenografia al tempo di Galileo Galilei di Rodolfo Calanca

Ippogrifi e Carte lunari
La selenografia ai tempi di Galileo Galilei
Bondeno (Ferrara) Pinacoteca Civica dal 16 al 28 gennaio 2018.
La mostra nasce da un’idea di Rodolfo Calanca (che ha curato anche i testi), Daniele Biancardi e Claudio Gavioli, mentre l’ideazione grafica è di Giulia Osti.

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Pianeti intrappolati nella rete neurale di Google

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Rappresentazione artistica degli otto pianeti del sistema della stella (si intravede a sinistra) Kepler-90. L’ultimo scoperto, Kepler-90i, è il terzo più vicino alla stella. Crediti: Nasa/Wendy Stenzel
Rappresentazione artistica degli otto pianeti del sistema della stella (si intravede a sinistra) Kepler-90. L’ultimo scoperto, Kepler-90i, è il terzo più vicino alla stella. Crediti: Nasa/Wendy Stenzel

Alle 19, puntuale come sempre, l’ormai abituale annuncio della Nasa è arrivato come promesso. Ci sono notizie buone e notizie forse meno buone – per queste ultime, dipende dai punti di vista. Partiamo dunque da quelle buone.

Grazie all’instancabile telescopio spaziale Kepler sono stati scoperti due nuovi pianeti extrasolari. Pianeti piccoli, dunque quanto a dimensioni simili alla Terra, e probabilmente rocciosi. Ma sono le notizie “cattive” quelle più gustose. La prima è che uno dei nuovi pianeti porta il totale di quelli attorno alla stella che lo ospita a quota otto. Otto come quelli attorno al Sole. In altre parole, da oggi sappiamo con certezza – il sospetto già c’era… – che il nostro Sistema solare non detiene più da solo il record del numero di mondi. È un primato che ci tocca condividere con Kepler-90, questo il nome del “sole” attorno al quale è stato visto orbitare il nuovo arrivato, Kepler-90i, insieme ai sette pianeti di cui già si conosceva l’esistenza.

C’è però di peggio: oltre al primato, rischiamo pure di perdere il lavoro. O meglio, questo è il rischio che corrono gli astronomi. Già, perché a distillare i due nuovi arrivati dall’immenso archivio di Kepler non è stato un tenace e cocciuto postdoc: è stata una rete neurale artificiale. Un algoritmo di machine learning.

Magari è presto per allarmarsi: almeno l’astro-algoritmo non s’è ancora fatto furbo a sufficienza da firmare l’articolo scientifico. Però leggere che l’affiliazione del primo autore è “Google Brain, Mountain View, California” un po’ dà da pensare. Intendiamoci, il postdoc non manca: uno dei due autori dello studio è Andrew Vanderburg, astronomo in carne e ossa della Nasa e dell’Università del Texas a Austin. Ma la sua firma è la seconda. La prima è quella di Christopher Shallue, ingegnere informatico di Google.

È lui, Shallue, che ha avuto l’idea di fare ricorso a una rete neurale, attratto dai pianeti extrasolari dopo aver scoperto che anche l’astronomia, mano a mano che progrediscono le tecniche d’acquisizione, sta venendo rapidamente sommersa dai dati. «Così nel tempo libero ho iniziato a googlare “trovare pianeti extrasolari con grandi set di dati”. E sono venuto conoscenza», racconta sornione, «della missione Kepler e dell’enorme set di dati di cui dispone. Se c’è un ambito nel quale l’apprendimento automatico dà il meglio di sé, è dove ci sono così tanti dati che gli esseri umani non riescono a setacciarli da soli».

Analizzati fino a oggi con test automatici standard, se non addirittura direttamente a occhio, di dati in effetti ce ne sono davvero tanti, nell’archivio di Kepler. In quattro anni ha acquisito segnali relativi a circa 35mila potenziali transiti planetari. Per consentire alla rete neurale, sviluppata da Google, di farsi le ossa, Shallue e Vanderburg le hanno dato in pasto 15mila segnali – già controllati e validati – presi dal catalogo di esopianeti della sonda Nasa. E le hanno chiesto d’individuare quali erano veri pianeti e quali, invece, falsi positivi. Vediamo un po’ come se la cava, si devono essere detti… Ebbene, ci ha azzeccato il 96 per cento delle volte.

Ritenuta la rete neurale ormai sufficientemente addestrata per affrontare il lavoro vero, i due ricercatori le hanno affidato l’analisi dei segnali più ambigui relativi a 670 sistemi planetari, ritenendo che il posto migliore per cercare un pianeta fosse dove già ne erano stati trovati altri in precedenza. Risultato? «Abbiamo ottenuto un sacco di falsi positivi, ma anche molti pianeti potenzialmente reali. È un po’ come setacciare le rocce per trovare pietre preziose», spiega Vanderburg. «Se usi un setaccio più fine, raccoglierai altre rocce, ma potresti anche raccogliere nuove pietre preziose».

Il sistema di Kepler-90 (a sx) e il sistema solare interno (a dx) a confronto. Crediti: Wikimedia Commons

Vediamole, dunque, le due “pietre preziose” trovate con il setaccio made in Google. Uno, Kepler-90i, è appunto l’ottavo pianeta del sistema di Kepler-i90, una stella simile a Sole a 2545 anni luce da noi. Ottavo solo in ordine di scoperta, perché come distanza dalla sua stella è il terzo pianeta (clicca sull’immagine qui a fianco per ingrandirla). È la “Terra” di quel sistema, insomma, ma dalle caratteristiche molto più simili a Mercurio: vicinissimo al suo sole, compie una rivoluzione ogni 14.4 giorni e ha una temperatura in superficie di quasi 430 gradi. L’altro pianeta rimasto intrappolato nella rete neurale, anch’esso grande più o meno come la Terra, è Kepler-80g: il sesto membro della famiglia di Kepler-80, i cui pianeti danno luogo a una catena di risonanze orbitali, come quelli del celebre Trappist-1.

Tornando al metodo usato, vale la pena osservare che questo non è certo il primo esempio di scoperta astronomica “firmata” da un algoritmo. Per esempio, nemmeno due mesi fa, su Media Inaf, abbiamo dato conto d’una rete neurale convoluzionale usata per individuare lenti gravitazionali.

«L’intelligenza artificiale, e in particolare il deep learning, sta acquistando un ruolo primario in diversi settori dell’astronomia, a causa della complessità e dimensione dei dati che acquisiremo con le campagne osservative di prossima generazione, come quella del Large Synoptic Survey Telescope (Lsst), in cui Inaf ha recentemente preso parte e che entrerà in funzione nel 2021», conferma Nicola Napolitano, astrofisico all’Inaf-Osservatorio astronomico di Capodimonte, al quale ci siamo rivolti per un commento. «Si pensi che una delle nostre ricerche più difficili riguarda l’individuazione di deboli archi gravitazionali intorno a galassie ellittiche, e di queste ne troviamo una ogni circa 50mila galassie osservate. Sarebbe impensabile effettuare questa ricerca a occhio in survey di milioni se non miliardi di galassie, come faremo con Lsst, mentre stiamo già sviluppando tecniche che trovano questi archi in maniera automatica in immagini astronomiche».

«Per prepararsi a questi appuntamenti», prosegue Napolitano, «l’Inaf, con l’Osservatorio astronomico di Capodimonte, ha formato con altri otto istituti e università europee (di Belgio Germania, Regno Unito, Olanda e Spagna) un Marie Curie Innovative Training Network denominato Sundial, finanziato dalla Comunità europea proprio con lo scopo di far incontrare astronomi e computer scientists per lo sviluppo di tecniche innovative, da utilizzare sia per l’astronomia che per altre applicazioni utili alla società».

Per saperne di più:

Guarda il servizio video di MediaInafTv:


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Astronomiamo

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LocandinaCoelumDicembre
20 dicembre
, dalle ore 18.30: Astrotombola on-line, Corso “Da zero a Oort” on-line, Corso di “Astrofotografia” on-line

Per informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Rivoluzione Galileo: l’arte incontra la scienza

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Rivoluzione GalileoLa mostra “Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e allestita a Palazzo del Monte di Pietà nella centralissima Piazza Duomo a Padova, è il
racconto di un uomo poliedrico, dalle molteplici sfaccettature: scienziato, padre del metodo sperimentale, letterato, esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti per la sua scrittura capace di risvegliare
l’immaginazione, musicista e virtuoso esecutore ed imprenditore, con il cannocchiale, il microscopio e il compasso. Ma anche un uomo che nella sua quotidianità cede a piccoli vizi e debolezze, come la passione per il vino. Attraverso un ampio numero di opere d’arte, la mostra ripercorre sette secoli di arte occidentale che, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana.
Alla mostra sono affiancate una serie di iniziative, tra conferenze, laboratori per ragazzi, spettacoli teatrali e musicali (consultare i vari programmi sul sito dedicato).
Gli incontri saranno introdotti da Giovanna Valenzano, prorettrice al Patrimonio artistico, musei e biblioteche.
Tutte le conferenze si terranno alle ore 18.00 presso la sala conferenze di Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14, Padova.

5 dicembre: Galileo, la fisica del suono e la “moderna musica” – Antonio Lovato
19 dicembre: Galileo Galilei e la medicina – Maurizio Rippa Bonati

Concerto: Apollo 5 | Antico futuro
17 dicembre presso la Chiesa di San Teonisto, Treviso
Il quintetto vocale, osannato dalla critica inglese, attraversa i secoli con l’occhio di chi osserva lo sviluppo delle trame musicali da un cannocchiale, in un viaggio suggestivo tra musica popolare e colta.

Per informazioni e prenotazioni:
Telefono 0425 460093
info@mostrarivoluzionegalileo.it
www.mostrarivoluzionegalileo.it

Bentornato a Paolo Nespoli, si conclude la missione VITA

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Bentornato Paolo ...e finalmente un sorriso! Per Paolo il rientro non è mai stato facile, il sistema cardiocircolatorio e vestibolare abituati per lungo tempo alle condizioni della Stazione Spaziale hanno bisogno di tempo per adattarsi alla gravità e all'atmosfera terrestre, probabilmente ancor di più se si è uno degli astronauti più alti in assoluto. Paolo con i suoi 188 cm è infatti il più alto astronauta italiano, e il secondo in assoluto dopo l'americano Jim Wetherbee (193 cm).

Si conclude con successo, e con un sorriso, la Missione Vita dell’Agenzia Spaziale Italiana dell’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli. È rientrato dopo una missione durata 139 giorni trascorsi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, denominata dalla NASA Expedition 52/53 e sua terza missione a bordo della ISS.

➜  Leggi lo speciale Missione VITA su Coelum Astronomia 215

La Soyuz MS-05, con a bordo oltre il nostro Paolo anche il comandante Soyuz russo Sergei Ryazansky e il comandante della ISS americano Randy Bresnik, è atterrata, come sempre senza imprevisti, alle 9:37 ora italiana nella regione centrale del Kazakhstan.

«Bentornato Paolo! Grazie per aver portato a termine con successo la tua missione e per tutto quello che hai fatto per la scienza e per lo spazio in questi cinque mesi sulla Stazione spaziale internazionale», questo è il messaggio per l’astronauta da parte del presidente dell’Asi Roberto Battiston. «Sei un esempio dell’eccellenza che può esprimere l’Italia quando mette a sistema le sue qualità, i suoi uomini e donne migliori, le sue aziende altamente specializzate. L’Italia che fa ricerca scientifica e sperimenta nuove tecnologie è un investimento sul futuro per tutto il nostro Paese. Io e tutti i colleghi dell’Agenzia spaziale italiana non vediamo l’ora di riabbracciarti. Voglio anche ringraziare i colleghi e amici di Esa, Nasa e Roscosmos con i quali da tanti anni raggiungiamo traguardi fondamentali».

I nostri amici di Astronautinews hanno seguito il rientro della Soyuz con una lunga cronaca (cominciata già dai primi preparativi di ieri) aggiornata passo passo.

Vi riportiamo di seguito i momenti salienti, cominciando con questo twit di Paolo che si avvia a lasciare la Stazione. Ricordiamo anche che con questa sua terza missione, iniziata il 28 luglio scorso, Paolo arriva a 313 giorni di permanenza nello spazio portandosi a casa il record tra gli astronauti italiani.


14/12 06:12 – Buongiorno a tutti i lettori, riprendiamo la cronaca diretta. Nel corso della notte Paolo e i suoi compagni hanno ultimato i preparativi e sono entrati nella capsula Soyuz MS-05 che li riporterà a terra. Il portello tra ISS e Soyuz è chiuso e il distacco è previsto entro 5 minuti circa, alle 06:16.

14/12 06:14 – Comando di distacco impartito! Ecco i due veicoli che si separano mentre la ISS vola al di sopra della Mongolia…

14/12 06:45 – Le condizioni meteo al punto di previsto di atterraggio sono buone, ma come anticipavamo ieri a salutare il ritorno di Paolo Nespoli ci sarà un bel freddo, con temperature nell’ordine dei -20 gradi centigradi. In questo momento Paolo, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky si trovano dentro la Soyuz dove stanno infilandosi faticosamente dentro le loro tute Sokol. Completata la vestizione daranno il via alla procedura di preparazione alla manovra finale di rientro prevista tra circa un paio d’ore, alle 08:44 italiane. Ecco intanto un replay del commovente momento dei saluti.

14/12 09:10 – La Soyuz MS-05 si trova in questo momento a 140 km di quota, e siamo arrivati al momento critico della separazione dei tre elementi della capsula. Grazie al design del veicolo spaziale e con l’aiuto di piccoli razzi di manovra, il modulo di rientro si orienterà presentando lo scudo termico verso la direzione del moto, e nel giro di 4-5 minuti, via via che l’atmosfera si farà più densa, sarà letteralmente ingolfato dal plasma incandescente. In questa fase, che durerà circa 5 minuti, le comunicazioni radio con Paolo Nespoli, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky saranno difficoltose e intermittenti.

In questa immagine di NASA vediamo una Soyuz in rientro fotografata da terra, e sono chiaramente distinguibili i frammenti dello scudo termico che (come da design) bruciando creano una scia incandescente dietro al corpo principale del modulo.

14/12 09:14 – Rientro in corso, tutto procede per il meglio. Intanto gustiamoci la separazione della Soyuz nei suoi tre moduli vista dalla prospettiva russa…

14/12 09:16 – Inizia il blackout, previsto, delle comunicazioni. La Soyuz è alla quota di 80 km ed è avvolta da plasma incandescente. Tra 7 minuti l’apertura dei paracadute…

14/12 09:23 – Apertura del paracadute confermata! La Soyuz si trova a 10 km circa di quota e stiamo avvicinandoci davvero alle battute finali della missione VITA. I paracadute che si aprono in sequenza sono due, il primo, il cosiddetto pilota, rallenterà la capsula fino a 7,2 m/s, quando il grande paracadute principale sarà estratto e frenerà la Soyuz fino a terra. Abbiamo anche la conferma visuale (e sì, quel fumo è normale)!

14/12 09:30 – Le squadre di soccorso hanno stabilito il contatto radio con la Soyuz. L’impatto “morbido” della capsula con il suolo è stato paragonato da Paolo alla “confortevole” situazione di un incidente stradale. Ad aiutare i cosmonauti ci saranno dei retrorazzi “esplosivi”, che creano un cuscino d’aria sotto la capsula, e gli speciali seggiolini in cui siedono Paolo e i suoi compagni, che si estenderanno per assorbire parte della forza dell’urto.

14/12 09:38 – ATTERRATI! – Paolo Nespoli, Randy Bresnik e Sergey Ryazansky sono rientrati sani e salvi! Ora si attende che il trio venga letteralmente estratto a forza dalla capsula.

14/12 09:52 – I membri delle forze di soccorso monteranno una sorta di “scivolo” che agevolerà l’estrazione dei cosmonauti dalla capsula. Dopo 6 mesi trascorsi in orbita e in seguito alle forze g subite durante il rientro, il trio di viaggiatori spaziali non sono in grado di muoversi da soli e rischiano anche di svenire mentre il sistema cardiocircolatorio e vestibolare stanno lavorando per riadattarsi alla gravità terrestre.

09:57 – Ecco il “primo estratto”, il comandante Sergey Riazansky. 10:00 – Ecco Paolo! Ad accoglierlo per ESA Charles Romain, uno dei partecipanti europei all’esperimento MARS500. E come anticipavamo, Paolo è abbastanza provato. 10:05 – Ecco anche Randy Bresnik, a completare il trio degli astronauti.

Bresnik e Ryazansky sono apparsi subito sorridenti e pronti a interagire con i fotografi, mentre Paolo sta impiegando un pò più tempo a ripendere le forze, come sempre è successo in occasione dei suoi voli precedenti. Prossima tappa l’aeorporto di Karaganda, dove i tre cosmonauti si separeranno per tornare nei loro paesi.


La cronaca completa, a cura di Marco Zambianchi, a partire dalle 11:30 del giorno 13, con immagini, video, tante notizie tecniche e curiosità la potete leggere direttamente sul sito di  Astronautinews, cliccando qui!


VOYAGER:  Viaggio verso l’Eternità
Lo speciale per i 40 anni della storica missione… ancora in corso!

Coelum Astronomia 217 di dicembre 2017 è online, come sempre in formato digitale e gratuito…
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Fetonte: figlio di Apollo e padre delle Geminidi?

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Un altro asteroide sta per avvicinarsi alla Terra: gli scienziati annunciano che raggiungerà il suo punto di minima distanza dal nostro pianeta il 16 dicembre prossimo. Fetonte – questo il suo nome – sarà davvero un pericolo per noi? Quanto è grande? E cosa c’entra con il massimo dello sciame meteorico delle Geminidi, che per frequenza di eventi rivaleggia con quello estivo delle Perseidi? Per fare chiarezza e avere qualche informazione in più su questo oggetto celeste abbiamo rivolto alcune domande a Daria Guidetti, dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf.

Quanto ci passerà vicino questo asteroide? Possiamo stare tranquilli qui sulla Terra?

«Il prossimo 16 dicembre Fetonte si avvicinerà a “soli” 10 milioni di chilometri dalla Terra. Praticamente una distanza pari a 27 volte quella che ci separa dalla Luna. Intersecando l’orbita della Terra, Fetonte è potenzialmente pericoloso, infatti gli astronomi lo hanno messo nella lista dei Pha (potentially hazardous asteroid). Ma possiamo continuare tranquilli i preparativi per le feste: benché 10 milioni di chilometri siano briciole per gli astronomi, la distanza è di totale sicurezza: l’asteroide non ci impatterà e la sua orbita è ben conosciuta. Nessuna sorpresa all’ultimo momento, nessun pericolo, quindi. In base ai calcoli attuali, si prevede che nel dicembre 2093 Fetonte passerà ancora più vicino, ad appena 3 milioni di km. Ma l’umanità potrà stare tranquilla anche in quel caso».

Può darci qualche informazione in più su questo oggetto celeste?

«Ha un bel diametro: circa 5 km, più o meno la metà di quello che dovrebbe aver causato l’estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa. Tra gli asteroidi della classe Pha è il terzo per grandezza: si piazza tra Jm8, di circa 7 km, e Cuno, di circa 5,7 km. È fatto di rocce carboniose che gli conferiscono un colore piuttosto scuro. È un sasso schiacciato ai suoi poli e rigonfiato all’equatore, per via della rotazione attorno al suo asse: compie un giro completo su sé stesso in circa 3 ore e mezzo. Fetonte gira intorno al Sole in un anno e mezzo su un’orbita ellittica, molto allungata (eccentricità 0.89) che interseca ben 4 pianeti: non solo la nostra Terra, ma anche Mercurio, Venere e Marte. È quindi potenzialmente pericoloso per ben 4 pianeti! Si avvicina molto al Sole, arriva fino a soli 20 milioni di Km da esso, più vicino di Mercurio».

E il suo nome? C’è una ragione per la quale è stato scelto quello del figlio di Apollo nella mitologia greca?

«Proprio perché la sua orbita si spinge cosi vicino al Sole, è stato chiamato Fetonte (da Phaethon, in greco “piccolo sole”): il personaggio mitologico greco che ottenne dal padre Apollo il permesso di poter guidare il suo carro del Sole, combinando però dei disastri: bruciando città, campagne, nazioni intere, per poi cadere nel fiume Eridano (il nostro Po), bruciando probabilmente a causa del fulmine scagliatogli da Zeus, nel tentativo di fermarlo. Fetonte è caduto sulla Terra, bruciando come una meteora».

E parlando di meteore, il suo avvicinamento alla Terra coinciderà proprio con il massimo di uno sciame meteorico alquanto appariscente, le Geminidi. È solo un caso?

«Affatto. Fetonte dovrebbe essere il “padre” delle Geminidi, in quanto la sua orbita ben spiega quella di queste meteore. Lo scenario dovrebbe essere questo: a ogni passaggio ravvicinato al Sole, il calore di quest’ultimo sublima le rocce carboniose dell’asteroide creando una struttura simile alla coda di una cometa: in pratica Fetonte lascia dietro di sé una scia di particelle, impolverando la sua orbita. È proprio nel mese di dicembre che la Terra si tuffa in questo polverone, e le particelle entrando nella nostra atmosfera danno vita a delle stelle cadenti, che sembrano provenire dalla costellazione invernale dei Gemelli: le Geminidi, appunto. Va detto che gli sciami di meteore periodici sono tipicamente associati a comete, non asteroidi, come ha scoperto il grande Giovanni Schiaparelli a fine ‘800. Può darsi che Fetonte un tempo fosse una cometa ricoperta di ghiaccio, andato perduto ad ogni transito vicino al Sole, di cui poi è rimasto il nudo nucleo carbonioso che oggi osserviamo. Osservazioni dettagliate dell’asteroide in prossimità del Sole sono molto importanti per rivelare segni di attività del suo nucleo».

Potremo vedere Fetonte a occhio nudo o servirà qualche strumento? Quali suggerimenti può dare per osservarlo?

«Non sarà possibile vederlo ad occhio nudo, nonostante in questi giorni sia nella fase “piena”. Infatti, nei giorni 12-15 dicembre Fetonte è ben illuminato dal Sole, raggiungendo Il massimo della sua luminosità con una magnitudine apparente pari a 11, ma rimane comunque fuori dalla portata del nostro occhio. Però si potrà osservare con piccoli telescopi o binocoli di medie dimensioni, recandosi in luoghi bui, lontani dalle luci artificiali. Inoltre, la Luna ci dà un bell’assist sorgendo nella seconda parte della notte e in fase calante, facilitando le osservazioni di Fetonte ma anche delle Geminidi. Ovviamente, cielo sereno permettendo».

Per approfondire su Coelum Astronomia trovate:

➜ Per cartina e effemeridi leggi anche L’opposizione di (20) Massalia e l’arrivo di Phaethon, papà delle Geminidi

➜ 14 dicembre, le Geminidi al meglio!

E se volete un aiutino su dove cercarlo nel cielo, potete dare uno sguardo all’animazione che abbiamo preparato sul passaggio di Fetonte alla minima distanza dalla Terra nella notte del 16 dicembre (l’asteroide è indicato dalla crocetta in rosso):


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